Risultato della ricerca: Vanni Tola

Quando il passato ci parla (e parla ai giovani) utilmente per il presente

c4baf996-896f-4c80-a940-03bc14effddf«Moralismo e Moralità», i giovani e la scelta antifascista nella battaglia delle idee
L’intervento di Rossana Rossanda al convegno su Antonio Banfi in Senato. «In piena guerra, leggemmo le 16 pagine di Antonio Banfi su quale fosse la scelta morale: pronunciarsi contro il proprio Paese o difendere il regime repubblichino».
sbilanciamoci
Si è svolto alcuni giorni fa nella biblioteca del Senato a Roma il convegno intitolato “Antonio Banfi, intellettuale e politico”. Promosso dal Presidente del Comitato per la biblioteca e l’archivio storico del Senato, Gianni Marilotti, in collaborazione con l’Ufficio studi del Gruppo Pd, sono intervenuti Aldo Tortorella, Roberto Rampi e Fabio Minazzi. Il testo che pubblichiamo è quello dell’intervento inviato da Rossana Rossanda, allieva di Antonio Banfi, che racconta l’oggetto degli studi di un gruppo di giovani nel pieno dell’occupazione nazifascista, della Resistenza e della guerra. Ragazze e ragazze che, anche attraverso quelle letture e quegli studi, maturarono scelte consapevoli.

Oggetto del nostro studio è il saggio “Moralismo e Moralità” edito da Banfi nel n. 1-2 della rivista “Studi filosofici”. Esso è stato pubblicato nel 1948; non ne abbiamo l’originale ma la ristampa a cura del “Centro studi Antonio Banfi” della provincia e del comune di Reggio Emilia uscito nel 1946. Infatti la rivista di Banfi, redatta soprattutto da lui medesimo in qualità di direttore con l’aiuto dei suoi allievi Enzo Paci, Giulio Preti, Remo Cantoni e del collega Giovanni Maria Bertin, senza avere la pretesa di indicare una scuola, ma un complesso di problemi filosofici urgenti, è uscita in un anno straordinario.

Il 25 luglio del 1943, in piena guerra, aveva avuto luogo la riunione dell’organismo dirigente del Partito Nazionale Fascista, il Gran Consiglio del Fascismo, nel quale si era spaccato il partito e, soprattutto per l’attività di Dino Grandi, Mussolini era stato messo in minoranza e aveva finito con l’essere arrestato in nome del re Vittorio Emanuele III. Venne quindi rinchiuso in un albergo adibito a carcere in Abruzzo a Campo Imperatore da dove sarebbe stato liberato, naturalmente senza l’accordo del Regno d’Italia, dall’incursione di un ufficiale ungherese – Otto Skorzeni – riparando poi in Germania. In quel periodo, e precisamente sul finire dell’estate, l’Italia si era separata dalla Germania alla quale era legata dall’asse italo-tedesco dichiarando il suo allontanamento dalla guerra fino ad allora condotta in comune. Si è trattato di un periodo sicuramente confuso della vita nazionale giacché mancava qualsiasi precisa direzione dello Stato e delle forze militari. In seguito a questa decisione unilaterale italiana, la Germania dichiarava guerra all’alleato che considerava in qualche misura traditore, anche se non ne esistevano i termini giuridici concreti. Nel novembre del 1943 Luigi Mascherpa e Inigo Campioni – i due ammiragli italiani preposti che avevano difeso eroicamente per oltre due mesi, insieme alle forze militari inglesi, l’isola di Lero nel Mar Egeo, si arresero con i loro soldati e i loro ufficiali ai tedeschi. Molti di quei soldati e di quegli ufficiali vennero trucidati sull’isola. I due ammiragli furono arrestati, spediti ad Atene e da lì in un campo di concentramento in Polonia per essere infine consegnati ai repubblichini di Salò per un processo strumentale e sommario con l’accusa di tradimento della patria. I due ammiragli vennero giustiziati nel maggio del 1944.

E’ dunque nei mesi convulsi nei quali di fronte alla scelta fascista e tedesca si organizzava anche la Resistenza antifascista che esce la rivista banfiana; e questo spiega l’impossibilità di reperire la stampa del primo numero nella sua forma originale. Ricordo ancora per essere stata studentessa del primo anno della Facoltà di Lettere e Filosofia, l’affollarsi di studenti e studentesse in preda alla massima confusione davanti alle aule della sede transitoria di via Passione dell’ex Collegio Reale delle Fanciulle, in attesa di essere successivamente assegnata all’antico Ospedale di Milano in via della Festa del Perdono dove risiede tuttora. Quella folla di giovani dai diciotto ai vent’anni, non sapeva letteralmente cosa fare tanto è vero che mentre per le ragazze il problema era strettamente personale, questo problema diventava drammatico invece per i giovani invitati ad arruolarsi nelle truppe del regime fascista di Salò. A coloro che si fossero rifiutati non restava che la strada della clandestinità e il tentativo di raggiungere le forze, anch’esse ancora disgregate, del Comitato di Liberazione Nazionale; esso avrebbe assunto una via più precisa nei mesi immediatamente seguenti, ma intanto la scelta del “che fare” restava strettamente individuale. Si era al corrente che le forze antifasciste si stavano organizzando; in particolare il Partito Comunista italiano e il Partito d’Azione; sapevamo che avremmo potuto trovare fra di noi alcuni rappresentanti di questi due partiti, ma in mancanza di un’organizzazione clandestina precedente la maggior parte di noi non sapeva letteralmente a chi rivolgersi.

Sono stati dunque mesi molto difficili e insieme decisivi per le scelte di milizia e di vita che comportavano; e non senza una particolare drammaticità sia per le minacce costituite dalle forze fasciste e tedesche organizzate, sia per la presenza tra di esse e in mezzo a noi di alcuni ex combattenti della guerra immediatamente precedente che interrogavano i compagni sul senso che aveva avuto il loro stesso sacrificio. In questo clima uscì dunque il n. 1-2 della rivista “Studi Filosofici” con il breve saggio firmato dallo stesso Banfi: “Moralismo e Moralità”. Esso ebbe un effetto deflagrante tra noi studenti perché in qualche modo sollevava lo stesso dilemma che ci veniva posto dalla situazione politica. In particolare l’attacco che Banfi rivolgeva al moralismo come pretesa di un richiamo a una validità astratta, in quanto atemporale, di una legge morale valida per sempre. Questo sembrava rispondere direttamente alla martellante propaganda tedesca e fascista, richiamandosi a quella che poi sarebbe stata definita “Resistenza”, e quindi al carattere egualmente astratto e sostanzialmente infondato del potere di Stato e Nazione che ci voleva al suo fianco.

Nessuno parlò allora pubblicamente ai giovani come questo saggio di sedici brevi pagine che direttamente poneva il problema di quale fosse la scelta morale che eravamo chiamati a fare: pronunciarsi contro il proprio paese augurandosene la sconfitta oppure mettersi dalla parte del regime. Problema assai impervio; anzitutto perché non è facile scegliere la sconfitta della propria nazione; ma non era ugualmente semplice stare dalla parte di chi ci aveva trascinato in una guerra di cui stavamo conoscendo la ferocia e l’estensione geografica in gran parte dell’Europa. Per questo leggemmo “Moralismo e Moralità” come una guida per l’immediata decisione che dovevamo prendere; nel mio piccolo accadde lo stesso. E questo spiega perché questo testo è rimasto impresso nel corso della mia intera esistenza. In pratica non mi restava che provare a stabilire un contatto con il CLN del quale peraltro non sapevo nulla se non che – si diceva – Antonio Banfi ne facesse parte. Non mi restò dunque che cercarlo anche se era una scelta azzardata; in quell’autunno lo cercai nella sala dei professori.

Lo trovai appoggiato davanti a un radiatore spento e alla sua domanda di cosa desiderassi non potei che buttarmi repentinamente nell’acqua: «Mi dicono che lei aderisce alla lotta antifascista: è vero?» Banfi dovette capire che ero una giovane un po’ stolta ma non una provocatrice per cui decise di rispondermi con sincerità e, al suo «sì», incalzai: «Ho bisogno di capire che cosa devo fare. Forse lei può dirmi che cosa prima di tutto devo leggere.» Egli si spostò verso il tavolo e scrisse un foglietto che ho ancora davanti agli occhi e poi me lo diede dicendomi di leggerlo. C’era scritto: Harold Laski, “La libertà nello Stato moderno” e “Democrazia in crisi” pubblicati ambedue dall’editore di Croce; Karl Marx, “Il Manifesto del Partito Comunista”, “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850” e poi “Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte” non ricordo da chi editi, Lenin “Stato e rivoluzione” e infine per ultimo: «di S. quello che trovi». S. era evidentemente Stalin; era dunque proprio comunista!

Lo lasciai e nella via di ritorno a casa presso Cantù, dove eravamo sfollati, mi fermai nella biblioteca di Como. Con altrettanta disinvoltura non mi restava che rivolgermi al personaggio che dirigeva la sala di lettura. Gli lessi il foglietto. Egli non fece una piega e mi disse: «Cerchi alla fine del casellario.» Ed effettivamente trovai nell’ultimo cassetto quasi tutti i volumi che Banfi mi aveva segnalato salvo quelli del fatale S.. Tornai a casa piuttosto stravolta e mi confidai con mia sorella, più giovane e che frequentava ancora il liceo, e assieme precipitammo in una settimana di convulse letture.

Per conto mio cominciai da “Stato e rivoluzione” per non prenderla alla larga. Ricordo ancora adesso il carattere tumultuoso di quella lettura che fu veramente una volta per sempre. Sarei poi tornata da Banfi dicendogli semplicemente di aver letto i libri che lui mi aveva consigliato e di voler sapere cosa dovevo fare; e lui mi rispose indicandomi il nome di quello che sarebbe stato il mio contatto con il Comitato comasco di Liberazione Nazionale: la professoressa Maffioli. Da allora i miei rapporti durarono per tutta la guerra della quale qualcosa ho raccontato nel volume “La ragazza del secolo scorso”.

Quel numero di “Studi Filosofici” ce lo contendemmo fra molti. Gli studenti di Banfi vi riconoscevano i suoi temi di fondo: il rifiuto di soluzione eterne e atemporali e il richiamo permanente alla concreta realtà del vissuto: «la coscienza del carattere problematico delle idee morali… che ci conduce allo scoprimento della sfera morale. Da Socrate essa è di fatto il fondamento di una continua inchiesta per cui noi e la nostra vita siamo obbligati a confessarci, a chiarirci di fronte alle esigenze ideali; l’immagine di Socrate – non del Socrate filosofo o martire – ma il Socrate uomo e libero cittadino ateniese pronto a ispirarsi a una concreta realtà come è quella della sua vita piuttosto che a teorie morali, siano esse le più nobili e più pure”.

E qui si fa evidente il momento di uno spirito morale veramente costruttivo. La coscienza del carattere problematico delle idee, la critica delle loro soluzioni convenzionali, il rilievo dei presupposti concreti per cui si giustificavano le loro risorse come un terreno da cui può risorgere una vera moralità. Realismo dunque estremo e deciso. Verso di sé e verso gli altri… che vuol dire al di là di ogni mascheratura retorica, al di là di ogni giudizio convenzionale, al di là degli schemi moralistici che oscurano la realtà a noi stessi e agli altri. Un conoscerci senza infingimenti, un riaffermarci e un reciproco sentirci per quel che sentiamo non secondo una forma moralistica, ma secondo le forze reali che sono in noi e che attendono di essere riconosciute per agire. Proprio per questi motivi non vi è nulla da guadagnare a celarne le contraddizioni, le asprezze, i problemi, a postulare di questi una soluzione moralistica come si fa spesso per i problemi di vita personale. E’ piuttosto necessario considerare quei problemi senza attenuazioni, senza riduzioni ideologiche nella realtà del campo dove sono nati e si sviluppano, al di là del senso parziale e ricco di contaminazioni che essi determinano… occorre scendere in fondo in questa loro realtà perché dalla vissuta esperienza chiara e oggettiva si svolga una loro soluzione, non una soluzione moralistica ma la linea di sviluppo morale delle loro soluzioni… nessuna maggiore ingenuità o malafede che il volere imporre a quelle esigenze una soluzione o un metodo di soluzione moralistici. E’ il modo di sformarle e di eluderle, e riesce di fatto ad abbandonarle alla sedentarietà degli averi, fuor di ogni criterio morale e quindi non vero senso di umanità. E’ necessario piuttosto laddove è possibile viverle così, schiettamente e radicalmente, proprio nel loro campo, che la loro soluzione e il processo per arrivare a quella soluzione facciano sgorgare l’atto della moralità – di una nuova moralità. Chi non fa questo è la figura hegeliana dell’”anima bella” sempre oggetto di polemica di Banfi. Questo saggio dunque risolveva ogni immagine nobilmente tragica del seguire l’ipotesi vagheggiata da fascisti e tedeschi per fondare una diversa realtà. “La moralità è sempre il partecipare e costruire assieme del libero mondo dell’umanità nella realtà concreta in cui essa vive.”

Sono soltanto sedici pagine il cui senso tuttavia non sfuggì né ai fascisti né ai tedeschi che decisero la chiusura della rivista; essa quindi cessò di uscire come n 1-2 nel 1944 e sarebbe ripresa nel 1946 a guerra finita per arrivare ad una chiusura decisa da Banfi stesso dopo un Comitato Centrale del Partito Comunista che aveva rimproverato una recensione critica di Remo Cantoni a una sbrigativa liquidazione del problema dell’esistenzialismo ad opera di Jean Kanapa. Insomma Banfi aveva appena cessato di scontrarsi con fascisti e tedeschi per incontrare le rigidità del suo partito, il Pci.

Concludo limitandomi a segnalare oggi quale decisiva importanza abbia avuto per me e per la mia generazione l’uscita di quel saggio Moralismo e Moralità che, con la prefazione di Eugenio Garin, fu poi pubblicato nel dopoguerra a cura del Centro Antonio Banfi del comune di Reggio Emilia insieme al resto delle sue opere più importanti cui egli stesso aveva potuto provvedere prima che la morte lo cogliesse nel 1957 e che ora l’Istituto Luigi Sturzo mi ha cortesemente messo a disposizione.

Tratto da il Manifesto del 18 luglio 2019 – Ripubblicazione di sbilanciamoci.it.

Agenda ONU 2030: missione impossibile?

Troppi ritardi, per l’Agenda 2030 serve una marcia in più

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L’High-level political forum ha testimoniato una grande mobilitazione, ma anche molte difficoltà nella realizzazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Ora la parola passa ai Capi di Stato e di Governo dei Paesi Onu. 25/7/2019
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di Donato Speroni, ASviS.

Quattro anni dopo l’approvazione unanime dell’Agenda 2030, i Paesi delle Nazioni Unite discuteranno lo stato di attuazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile nell’Assemblea generale del prossimo settembre. Nei giorni scorsi però, nel corso dell’High-level political forum (Hlpf), la riunione annuale che fa il punto sulla realizzazione degli SDGs, il vicesegretario generale dell’Onu Liu Zhenmin ha già anticipato i principali punti che dovranno essere discussi a settembre:

- La realizzazione dei Sustainable development goals (SDGs) è resa più impegnativa dal rallentamento dell’economia, che cresce a un ritmo inferiore dell’1% rispetto alla crescita media del quindicennio 2001 – 2015, quando il mondo era impegnato nei Millennium development goals (MDGs), i predecessori dei SDGs. E la situazione potrebbe peggiorare.

- La popolazione globale raggiungerà 8,5 miliardi nel 2030. Questa dinamica può offrire un dividendo demografico ai Paesi in via di sviluppo che disporranno di abbondante manodopera, ma molti giovani potrebbero restare esclusi dal mondo del lavoro: 1,8 miliardi di persone rischiano la disoccupazione cronica.

Il tema del lavoro è stato al centro dell’Hlpf, anche perché il Goal 8 (“Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti”) era tra quelli sottoposti quest’anno a specifico esame, assieme al 4 (“Istruzione di qualità”), al 10 (“Ridurre le diseguaglianze”), al 13 (“Combattere il cambiamento climatico”, al 16 (“Pace, giustizia e istituzioni solide”) e al 17 (“Partnership per gli Obiettivi, che viene riesaminato ogni anno). In un side event organizzato il 12 luglio dall’Ituc, l’organizzazione internazionale dei sindacati, il portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini ha presentato una relazione nella quale ha affrontato il problema del monitoraggio dei dati sul lavoro, che nel mondo vengono raccolti in modo diseguale e che comunque indicano un ritardo: “al ritmo attuale di miglioramento, è improbabile che nel 2030 gli Obiettivi del Goal 8 possano essere raggiunti”. Il portavoce dell’ASviS ha anche sottolineato che “il livello di reddito conta, ma non racconta tutta la storia”, perché anche in Paesi con un basso reddito pro capite possono essere soddisfatti i diritti dei lavoratori e realizzato il dialogo sociale. Tuttavia, c’è molto da fare per monitorare e raggiungere obiettivi adeguati in materia di sicurezza sul lavoro, regolarizzazione dei contratti, divari di genere.

I side events, gli eventi collaterali, dell’Hlpf sono stati 156 e su alcuni di questi (oltre a quello Ituc-ASviS già menzionato) possiamo riferire grazie alla partecipazione ad essi di Ottavia Ortolani del Segretariato ASviS. Si tratta di una cronaca interessante perché dà un’idea dell’ampiezza dei temi trattati nelle giornate di New York.

Ad esempio, SDG Watch Europe ha discusso il documento sulle diseguaglianze “Falling through the cracks”, già segnalato sul nostro sito. Dal dibattito è emerso che, anche se l’Europa non soffre della povertà estrema secondo la definizione della Banca Mondiale (un reddito quotidiano inferiore a 1,90 dollari), nel continente ci sono 100mila persone che vivono senza tetto o in alloggi di fortuna, con un aumento del 17% rispetto a dieci anni fa. La povertà minaccia in particolare i giovani, perché in questa fascia di età uno su quattro è a rischio di trovarsi in tale situazione e va sottolineato che l’aumento delle diseguaglianze riguarda anche i Paesi più ricchi.

Gli aspetti etici del progresso tecnologico sono stati discussi in un panel organizzato dal Sustainable development solutions network, Sdsn. Amnesty international ha citato un caso che merita attenzione. Con l’avvento delle auto elettriche, aumenterà la domanda di batterie. Tuttavia, le batterie richiedono cobalto che proviene in larga misura dai due Congo (Brazzaville e Kinshasa), dove viene estratto in condizioni che non rispettano i diritti umani. È dunque necessario trovare il modo di ridurre l’impiego futuro di cobalto, ma anche capire come rendere accettabili le modalità di estrazione di questo minerale così importante per la bilancia commerciale di questi Paesi.

Un altro incontro importante, organizzato da Global reporting initiative (Gri) e UN Global compact, ha discusso il tema dei dati aziendali correlati agli SDGs. Vi hanno preso parte tre aziende italiane: la Cassa depositi e prestiti, l’Enel e l’Eni. Negli ultimi due anni si è riscontrato un aumento di attenzione ai dati Esg (environment, social, governance). I sistemi di misurazione però non sono comparabili ed è necessario fare un importante sforzo di allineamento dei dati.

Nel complesso, l’Hlpf ha visto la partecipazione di oltre 2mila esponenti di governi, imprese e società civile, tra i quali oltre 125 Capi di Stato e di Governo, ministri e viceministri. Sono state presentate 47 “Voluntary national reviews” (Vnr), le relazioni nazionali sull’attuazione dell’Agenda 2030, che l’Italia aveva presentato nel 2017. In quattro anni sono state presentate 142 Vnr.

Nonostante questa grande mobilitazione, gli otto giorni di dibattito hanno portato alla conclusione che non si sta facendo abbastanza. “Siamo in ritardo e dobbiamo accelerare”, ha detto il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, inaugurando la sessione ministeriale dell’incontro. E ha citato due dati: i tassi di povertà non stanno diminuendo a velocità sufficiente per raggiungere l’Obiettivo di abolire la povertà estrema entro il 2030; ben cinque miliardi di persone non possono contare su un sistema giudiziario giusto ed efficiente come richiesto dall’Obiettivo 16.

Anche l’analisi dettagliata degli Obiettivi all’ordine del giorno in questa sessione ha messo in luce molti ritardi: l’Obiettivo 4 deve fronteggiare una “crisi globale dell’istruzione”; il progresso sull’8 è “lento e mal distribuito”; le diseguaglianze di reddito stanno aumentando in contraddizione con l’Obiettivo 10; il cambiamento climatico, che dovrebbe essere combattuto dall’Obiettivo 13, sta invece mettendo in crisi molte economie nazionali e minacciando la vita di molte persone; sull’Obiettivo 16, riguardante pace, giustizia e istituzioni forti, non ci sono stati progressi, e non va meglio per l’Obiettivo 17 dedicato alla solidarietà, perché l’aiuto ufficiale allo sviluppo nel 2018 è calato del 2,7%, l’aiuto umanitario è diminuito dell’8% e anche l’aiuto ai Paesi più poveri e all’Africa è in diminuzione.

Insomma, questa prima tornata quadriennale consegna all’Assemblea dell’Onu che ne discuterà in settembre un quadro allarmante. È positivo il fatto che mai prima d’ora le nazioni del mondo si sono impegnate insieme su obiettivi comuni così ambiziosi, coinvolgendo anche imprese e società civile. Ricordiamo che gli MDGs, che precedettero gli SDGs, erano stati calati dall’alto, senza una vera partecipazione collettiva. È preoccupante però il fatto che non si stia facendo abbastanza. Certamente l’atteggiamento di alcuni governi, come quello di Washington, che tendono a rifiutare gli impegni multilaterali sul clima ma anche sull’economia, non aiuta il progresso. Ci sarebbe spazio per una grande iniziativa europea, per fare dell’Unione la “campionessa dello sviluppo sostenibile”, come indicato in apertura del Festival organizzato dall’ASviS. Nell’editoriale della settimana scorsa, Giovannini ha sottolineato che le prime prese di posizione di Ursula von der Leyen fanno bene sperare. Sarà compito dell’Alleanza e delle altre organizzazioni della società civile impegnate a livello europeo far sì che queste buone intenzioni non incontrino ostacoli insormontabili e trovino riscontro anche nelle politiche nazionali.

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La Caritas italiana chiede ai governi un vero impegno per l’Agenda 2030
Meno vertici internazionali e più collaborazione fattiva tra le varie realtà civili
di Angela Ambrogetti su ACI Stampa.
ROMA , 19 luglio, 2019 / 3:00 PM (ACI Stampa).-

Il 2030 si avvicina ma i risultati attesi dalle Nazioni Uniti per lo sviluppo sostenibile sono ancora lontani.

A New York si è appena svolta la consueta analisi annuale nell’High level political forum (Hlpf) e il 24 e 25 settembre l’Assemblea generale dell’Onu farà il punto sui meccanismi di attuazione dell’Agenda 2030.

Come sempre in questi casi la Caritas Italiana pubblica un dossier: ‘Vertici internazionali: servono veramente ai poveri?” .
[segue]

Verso Camaldoli/2

40711aladin-logo-lampadaSi terrà dal 26 al 30 agosto a Camaldoli la Settimana teologica 2019, intitolata “Fede e politica. Un dialogo da ricominciare”, organizzata al MEIC, Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale. Per l’importanza e la ricchezza dei contenuti abbiamo ripreso dal sito del Meic su Aladinpensiero una parte dei lavori preparatori, ripubblicandoli integralmente o riportando i relativi link. Contiamo ora questa attività. Daremo ovviamente conto dei lavori della Settimana e delle conclusioni.
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VERSO CAMALDOLI/1 Fede e politica: un servizio di cultura
13 Giugno 2019

di RICCARDO SACCENTI
ricercatore della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII
delegato Meic Toscana

Il passaggio storico che ci troviamo ad attraversare viene descritto, sul piano politico, da un lessico dominato dal binomio sovranismo/populismo, con il quale si cerca di significare un mutamento radicale negli equilibri e nelle dinamiche con cui si costruisce la decisione politica, soprattutto all’interno di sistemi istituzionali democratici e liberali. Tuttavia, questa scelta semantica, che assume come tratto qualificante l’accentuazione posta sul primato assoluto dell’interesse del popolo sovrano, ricorre a concetti che appartengono oramai alla storia del secolo precedente e che non sono in grado di restituire fino in fondo la radicalità di un mutamento storico nel quale siamo direttamente coinvolti.

Sotto la superficie estremamente sottile di queste espressioni si cela infatti un movimento magmatico nel quale ad essere messi in discussione, fin nelle loro radici, sono i concetti di democrazia, di libertà, di giustizia, che hanno segnato il Novecento. Il terreno della politica, che oggi mostra tensioni e conflitti, è il precipitato di tutto questo: rappresenta cioè l’esito di una faglia che si è creata e si è allargata essenzialmente sul terreno della cultura e che dunque richiede di essere presa in considerazione con gli strumenti propri della cultura.

E come tutte le realtà umane e storiche, anche questo cambio d’epoca cela rischi e opportunità che una lettura teologica è in grado di mettere in luce. Lo sforzo di far sì che la Parola di Dio interroghi anche questa stagione di “crisi” delle culture politiche e della politica stessa, cela potenzialità di speranza non ancora colte e del tutto inespresse. Si tratta di un impegno che richiedere una profonda maturità spirituale e teologica e al tempo stesso un’apertura al mondo e alla storia all’insegna di una misericordia intellettuale radicata nella convinzione che ogni frammento della vicenda umana è destinatario dell’annuncio del Vangelo. Per realtà ecclesiali che come il Meic hanno nell’apostolato della cultura il loro proprium vi è qui la consapevolezza di un’urgenza a cui rispondere: andare, in questo nostro tempo, alle radici di una lettura sapienziale della politica e restituire alla cultura quella funzione pubblica di strumento per dare alla politica un senso profondo della storia e dell’umanità.
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VERSO CAMALDOLI/2 Delegare non basta, servono cittadini protagonisti
21 Giugno 2019

di PAOLO DACCO’
delegato regionale Meic Lombardia

Lo spazio politico e del dibattito culturale è dominato da chi pensa di potersela cavare con poco: frasi e annunci ad effetto, promesse a getto continuo – non importa se contraddittorie e senza verifica successiva, capitani e caporali più o meno carismatici e zero idee complesse, ragionamenti e argomentazioni.

I cittadini meno attrezzati, oppure preparati ma animati da poca tensione verso un esercizio pieno dei diritti e dei doveri che la cittadinanza porta con sé, trovano decisamente più semplice delegare ogni decisione al leader di turno, senza assumere in prima persona posizioni o ruoli che esigerebbero poi impegni ed azioni conseguenti.

Sgombrando subito il campo da illusioni di facile cambiamento, va detto che un antidoto ad effetto rapido non esiste. Il lavoro – anzitutto culturale – che la situazione ci richiede, per quanto sia da attivare prima possibile, prevede tempi di efficacia medio-lunghi.

Non per questo, per il fatto cioè di non vedere nessuna luce in fondo al tunnel (del divertimento, soprattutto altrui), possiamo sentirci autorizzati al disimpegno o a cedere il passo alla sensazione di inutilità che spesso pervade chi si trova a remare contro una corrente contraria e impetuosa.

Credo invece che sia più che urgente ed opportuno non mollare la presa, da un lato assumendo l’atteggiamento e lo stile della “cittadinanza attiva”, dall’altro individuando nel grande filone dei “beni comuni” un campo di azione e di elaborazione di una nuova cultura politica capace di superare lo sfilacciamento dell’ampio fronte democratico-costituzionale, andando oltre sigle, partiti e partitini ormai specializzati in “teoria e tecnica della gestione del proprio ombelico”, per ridare respiro e un nuovo orizzonte ideale ad azioni capaci di coinvolgere i cittadini nuovamente come parte di una comunità e non solo come individui.

Il quadro è così complesso e frastagliato che sembra impossibile trovare un punto da cui partire. Credo che la visione complessiva sulla nostra realtà espressa nella Laudato Si’ e i temi in essa contenuti possano rappresentare un terreno comune a tante espressioni – non necessariamente ispirate da una prospettiva credente – di una nuova cultura di promozione di ciò che è comune ed essenziale per la vita di tutti.

Questo a tutela dei diritti di chi vive oggi, ma allo stesso tempo di quelli delle generazioni future.

In questa direzione si collocano i movimenti sociali e popolari (non a caso convocati più volte da Papa Francesco) che muovendo da una critica ai dogmi della globalizzazione ci hanno accompagnato e sollecitato negli ultimi decenni.

Da Seattle a Genova, al Forum dei Movimenti per l’Acqua con la grandissima vittoria referendaria del 2011 resa finora inefficace da scelte di segno opposto da parte di tutti i governi che da allora si sono succeduti, fino alla campagna in corso in questi mesi, promossa in tutta Italia dai Comitati per i beni pubblici e comuni “Stefano Rodotà” (www.generazionifuture.org), che propone una raccolta di firme per una Legge di iniziativa popolare che vuole l’inserimento esplicito nel Codice civile dei beni comuni e della loro tutela.

Insomma, per chi lo vuole c’è già da subito modo e spazio per essere attivi, iniziando a ridare senso e sostanza al nostro comune essere cittadini.
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VERSO CAMALDOLI/3 Nell’epoca dei populismi, investire in formazione
27 Giugno 2019

di MARCO FORNASIERO

“Fede e politica. Un dialogo da ricominciare”. Questo il titolo della Settimana teologica del Meic 2019. Probabilmente un dialogo che non si è mai interrotto perché cos’è la politica se non un atto di fede verso il prossimo, un prendersi cura dell’altro? Il mondo culturale dal quale proveniamo ha fatto da principe nel rapporto con la politica. Un ponte tra la formazione delle coscienze, tema tanto caro a chi come me ha vissuto l’esperienza della Fuci, e le esperienze a servizio del Paese a tutti i livelli. Potrà sembrare banale, ma il tema oggi è: vale la pena investire sulla formazione alla politica nell’epoca dei populismi? La risposta può essere solo che affermativa. Potrà sembrare scontato ma comporta un atto di responsabilità. Desiderare di percorrere questa strada significa decidere di mettersi in dialogo soprattutto con persone che possono sembrare distanti, che provengono da realtà differenti. È in questi momenti che prende corpo l’espressione “essere Chiesa”. Nel rapporto tra fede e politica, un aspetto dal quale oggi non è possibile esimersi è la comunicazione. Possiamo dire che fare politica oggi significa anzitutto saper comunicare, è difficile essere generativi se non si è in grado di comunicare le proprie idee all’esterno.

Una realtà che negli anni ha incarnato questa essenza è Connessioni, una comunità di giovani che da dieci anni dibattono e si formano sui grandi temi del Paese a partire dalla dottrina sociale della Chiesa. È bene ricordare come questa realtà sia nata dall’impulso del mondo associativo cattolico (Fuci, Azione cattolica, Agesci, Mcl, Gioventù Francescana ecc.), dalla volontà delle singole dirigenze nazionali di mettersi in rete, connettere i virtuosismi. Ed è proprio questo a mio avviso il punto di forza, a Connessioni non si frequenta una scuola di formazione politica ma si vive un’esperienza di fede declinata in tutti i suoi aspetti. Viene proposto un metodo che scandisce i lavori degli incontri in cinque momenti. Il primo è dedicato all’introduzione spirituale che seppur breve, costituisce il fondamento dell’agire politico e la base di partenza per ogni nostro incontro. Il secondo momento è dedicato all’ascolto e al dialogo con uno o più relatori sul tema della giornata. Il terzo è dedicato ai lavori di gruppo che si ispirano al metodo della casistica gesuitica, in cui dal caso concreto si risale al principio generale. Questo momento è fondamentale perché è durante la divisione in lavori di gruppo che si cerca di trasmettere il metodo proprio della democrazia deliberativa. L’esito dei lavori di gruppo sfocia nel quarto punto, la condivisione in plenaria del lavoro svolto. Last but not least, l’ultimo momento è rappresentato dal pranzo comunitario in cui ognuno è chiamato in base alle proprie disponibilità, a contribuire a questo momento di condivisione e amicizia.

Credo che ci sia ampio spazio di dialogo nel rapporto tra fede e politica e credo anche che le singole associazioni possano giocare un ruolo fondamentale nella formazione alla politica delle nuove generazioni, ma per farlo dovranno passare a mio avviso da due capisaldi: il fare rete per evidenziare gli aspetti virtuosi di ciascuna realtà nel rispetto delle singole autonomie, così da generare comunità; la comunicazione per dare corpo e ali ai contenuti.
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VERSO CAMALDOLI/4 “La fede ha una parola da dire su tutto”
03 Luglio 2019

di ROCCO D’AMBROSIO
ordinario di Filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana

Sono passati cento anni da quel gennaio del 1919, quando i cattolici italiani, guidati da Luigi Sturzo, sono ritornati ad impegnarsi direttamente in politica. Dei tanti nobili profili e alti contenuti, è impossibile fare sintesi, eppure solo la loro storia può illuminare e guidare il presente dei cattolici italiani. Consci che, come scriveva Pietro Scoppola, “la storia in contrasto con l’opinione corrente non dà lezioni, non detta comportamenti, non dice a nessuno cosa deve fare; ma solo aiuta, un poco, a capire che cosa siamo, lasciandoci tutta intera la responsabilità di scegliere, dopo averci messo in una posizione un poco più elevata, con la possibilità di un orizzonte più aperto”. Questa storia, oggi, non può prescindere dall’indicazione di Paolo VI: “Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi”. L’invito papale e conciliare ad impegnarsi in politica non contiene mai un’indicazione di schieramento e di partito. Per questo motivo il magistero si limita a ricordare solo le esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili nell’azione politica dei cattolici, che sono: il rifiuto dell’aborto e dell’eutanasia; la tutela dei diritti dell’embrione umano, della famiglia, della libertà di educazione e la tutela sociale dei minori; la liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù; la libertà religiosa; lo sviluppo per un’economia al servizio della persona e del bene comune; la giustizia sociale; la solidarietà umana; la sussidiarietà; la promozione della pace. Questi principi morali non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno e sollecitano una forte responsabilità personale nel realizzarli (cfr. Nota della CDF, 2002). Quindi, tutti i cattolici, a prescindere dalla loro collocazione politica e sociale, sono tenuti a seguire fedelmente tutte, nessuna esclusa, queste indicazioni etiche.

Eppure una frattura esiste tra i cattolici italiani e non è quella dello schieramento: è quella della coerenza. Ci sono coloro che vivono in politica servendo il Vangelo per il bene comune e, purtroppo, ci sono anche quelli (di destra, sinistra e centro) che vivono servendosi del Vangelo per accrescere interessi e potere. La frattura esiste non per carenze magisteriali, ma per deficienze formative, sia a livello di autoformazione che di itinerari in parrocchie e diocesi. Sono pochi i cattolici che giungono all’impegno politico con una robusta formazione intellettuale, un cuore grande e una fede solida. Chi è seriamente formato sa bene che non si può restare in silenzio quando sono in gioco i cardini della democrazia: solidarietà, unità dei popoli, pace, rispetto della dignità di tutti, accoglienza, rispetto delle istituzioni e della fede religiosa, giustizia e così via. Principi anche cristiani.

La proposta lanciata da papa Francesco di indire un sinodo della Chiesa italiana sembra essere quanto mai attuale: è innegabile una sorta di “scisma sommerso” tra i cattolici italiani, specie sui temi sociali e politici. Abbiamo bisogno di riflettere tutti insieme sulla nostra testimonianza di fede nel mondo. Non basta essere contro aborto, eutanasia e altri temi di etica personale; accanto a questi deve essere della stessa forza il No a razzismo, xenofobia, corruzione, mafie, guerre e traffico di armi, egoismi nazionali e discriminazioni. Niente deve fermare o compromettere la testimonianza di pastori e laici credenti. Il buon Dio ci invita a essere forti e liberi da ogni compromesso con chi vuole comprare, magari con privilegi o leggi, o strumentalizzare, in tanti modi, il consenso dei credenti.

Insieme a Scoppola potremmo indicare altri cristiani coerenti e significativi: Sturzo, De Gasperi, La Pira, Dossetti, Moro, Bonhoeffer, Lazzati, Rodano, La Valle, Romero e altri ancora. Sono convinto che ad accomunarli è quanto Scoppola scriveva: “La fede ha una parola da dire su tutto! È che tocca a ognuno dei credenti di far sentire questa parola. A tutti i livelli. In tutti gli ambienti. Con umiltà. Senza arroganza. Ma con la consapevolezza di una grande responsabilità e di un momento decisivo per la storia del mondo”.
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Palabanda nella Guida della città e dintorni di Cagliari, del can. Giovanni Spano, 1861.

giovanni_spano[Can. Giovanni Spano] Uscendo da questo Convento [Cappuccini], nella vallata che si trova incontro, si vede un piccolo giardino ornato con lusso di opere d’arti, parte scavate nella roccia, e parte con monumenti antichi trovati nel sito (1) Viene chiamato Palabanda, e sebbene non sappiamo da che abbia preso il nome, pure è storico perché adesso fu la culla dei rivolgimenti politici del 1812. Era questo un predio dell’infelice avv. Salvatore Cadeddu il quale l’aveva adornato di sedili e di altre comodità per ricrearsi. Quivi soleva trattenersi quotidianamente nelle ore d’ozio dove concorrevano gli amici più cari che aveva, e distinti cittadini. All’ombra di due cipressi di morte, che allora vi sorgevano, sieduti tutti solevano biasimare gli atti del Governo, e quindi meditavano il modo di farlo crollare. Ma non ebbe effetto, perché fu scoperta la trama, e parte di essi terminarono la vita coi supplizj, e parte nell’esilio (1)
[Pag. 352] (1) Vi si vede una bella sfinge di granito, un capitello di marmo, ed altri pezzi che annunziano di esservi esistiti antichi edifizi. Nella parte superiore della roccia vi sono alcune cisterne scavate nella medesima roccia, ed il canale che si vede intorno all’anfiteatro si estende sino a questo sito.
[Pag. 353] (1) V. Martini, Storia della Sardegna dell’anno 1799-1516. Cagl. Timon 1852, pag.255.
——————————–I personaggi————

I Martiri di Palabanda. Chi furono?

QUANDO I SARDI MORIVANO PER LA LIBERTA’. I martiri di Palabanda: cosa successe (il moto di libertà), chi erano (i protagonisti), come finirono (il loro destino e … il nostro!).
“I MARTIRI DI PALABANDA ALLA FINE DEL VENTENNIO RIVULUZIONARIO, 1794 – 1812”.
Nota. La vicenda storica sulla congiura di Palabanda è contenuta subito qui sotto all’interno della biografia del suo più importante esponente, Salvatore Cadeddu. Tutte le schede sono tratte dal volume di VITTORIA DEL PIANO, GIACOBINI MODERATI E REAZIONARI IN SARDEGNA, Saggio di un dizionario biografico 1793 – 1812, Edizioni Castello, Cagliari 1996.
[segue]

Oggi martedì 18 giugno 2019

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———————Opinioni,Commenti e Riflessioni———————————
Elezioni a Cagliari: basta cavolate, accuse e lamentazioni, chi ha perso se l’è cercata
18 Giugno 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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sassari-stemmaElezioni a Sassari.
Vanni Tola su fb.
Elezioni comunali, peggio di cosi non potevano andare. A Sassari ballottaggio tra un usato sicuro che rappresenta un gruppo di liste civiche e un altro che dice di avere tutto in testa, programma, organigramma degli assessori e quant’altro. Io non ci credo. Se avesse un programma valido (al di la delle affermazioni generiche della campagna elettorale comuni a tutti i candidati) avrebbe tirato fuori qualcuna delle idee vincenti che dovrebbero distinguere la Giunta prossima ventura. Ma soprattutto non credo che abbia già una lista pronta degli incarichi di Giunta fondamentalmente perché è evidente che il PD di Sassari è diviso in numerose correnti una contro l’altra armate che, in assenza della candidatura proposta, non sarebbero mai riusciti a raggiungere un punto di intesa per le elezioni e, probabilmente, neppure a presentare una lista unitaria. E’ evidente quindi che alla eventuale vittoria del PD al ballottaggio seguirebbe una lunga e cruenta battaglia tra le componenti interne del PD per la spartizione dei posti in Giunta. E l’esito positivo del confronto non sarebbe scontato, con buona pace del candidato e del suo progetto. Staremo a vedere.
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POLITICA ITALIANA. Il terzo partito

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di Roberta Carlini, su Rocca.
Lo chiamano il terzo partito, ed è abbastanza forte benché invisibile. È il partito – dicono i retroscena della politica – composto dall’establishment istituzionale ed economico, quello che dialoga con Bruxelles, ha a cuore la stabilità dei conti pubblici e la credibilità dell’Italia, mantiene aperte le porte che i caciaroni populisti sbattono in faccia all’élite europea. C’è dentro ovviamente la Banca d’Italia, i vertici di Confindustria (solo loro, visto che i grandi industriali saranno pure preoccupati ma i piccoli sono stati visti spellarsi le mani per Salvini), l’alta dirigenza generale, un bel po’ di «ex» (ex ministri, ex presidenti etc.) rodati nei ruoli istituzionali, soprattutto internazionali, e secondo alcuni la preoccupazione è tale e tanta che «il terzo partito» arriva fino al Quirinale. Quanto alle sue ramificazioni nell’attuale maggioranza, sono cangianti. Prima del voto delle Europee, il principale esponente dell’ala moderata e dialogante dei gialloverdi era considerato Giorgetti e la Lega il potenziale salvagente contro eccessive ondate tumultuose; ma dopo il 26 maggio, con il crollo dei Cinque Stelle e la impennata dei toni del leader leghista, è toccato al partito del «Vaffa» vestire i panni dei responsabili. Ma il fronte dei dialoganti si affida soprattutto a due «punte» che prima non lo erano (e tutto sommato non lo sono neanche adesso): il presidente del consiglio Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Una gran confusione, nella quale tre cose sono chiare. La prima è che le istituzioni europee, anche con il nuovo quadro politico uscito dalle urne dell’Unione, non faranno sconti all’Italia e dunque si apprestano allo scontro duro sui nostri conti pubblici. La seconda è questa e sarà, per i prossimi mesi, l’opposizione più forte al governo italiano. La terza è che avremo un’altra estate
di tormenti politico-economici, con un occhio allo spread, uno al Quirinale e un altro sempre incollato sul tribuno di Facebook.

l’Italia commissariata
Le procedure europee hanno i loro tempi e i loro riti, ma anche con questo filtro che potrebbe addormentare qualsiasi conflitto prima o poi al dunque si arriva. Rinviata per l’attesa delle elezioni – prima delle quali non conveniva approfondire il contrasto né al governo italiano, che aveva presentato una manovra economica platealmente finta, basata su una gigantesca cambiale da pagare nel 2020, né alla leadership uscente europea, che non voleva mostrarsi nelle urne con la faccia da falco –, la lettera di censura all’Italia è infine arrivata, e in assenza di una inversione di rotta porterà all’apertura di una procedura di infrazione nei confronti di Roma. Il rigido rituale prevede che a questo si possa arrivare attorno al 9 luglio. Sarebbe una prima volta, nella breve storia dell’Unione europea e dell’euro, che si applica una regola che ha all’apparenza una logica surreale: per punire chi ha speso troppo, gli si commina una multa, cioè li si fa spendere ancora di più. La multa parte dallo 0,2% del Pil. Ma questa punizione illogica doveva valere come un deterrente, un po’ come l’arma nucleare che reggeva l’equilibrio del terrore. Neanche la Grecia è ar- rivata all’applicazione della procedura di infrazione, avendo accettato prima «l’in- vasione» della trojka dei creditori per sorvegliare sulla buona condotta nei conti pubblici. Il vero problema infatti non è la multa in sé ma il terremoto sui mercati che provocherebbe, tale da far salire il costo del debito pubblico ancor di più di quanto non sia già successo finora per la febbre dello spread.
Dunque ha ragione Salvini, quando tuona contro queste procedure e lacci e invoca il mandato popolare che gli ha consegnato i pieni poteri? Niente affatto.

il «come» e il «cosa»
Al leader leghista, ministro dell’interno e vicepresidente del consiglio autodesignatosi «papà» di 60 milioni di italiani le minacce europee fanno un immenso dono. Spostano l’attenzione dal «cosa» al «come»; ossia dal contenuto delle politiche fiscali ed economiche alla questione della loro sostenibilità economica: che è importante, e che lo sarebbe anche senza l’Europa (qualunque governo deve dare un’idea di dove prendere i soldi per le sue politiche, nel presente o nel futuro: e se le fa a debito, deve spiegare e convincere su come lo ripagherà); ma non è tutto. A coloro che hanno votato per i partiti che sostengono questo governo, così come a coloro che non li hanno votati, interessa sapere cosa arriverà nelle tasche private e pubbliche. Cosa cambierà, e cosa non cambierà. Ora, se si parlasse di qui a settembre della flat tax, di chi beneficia e chi perde dalla grande rivoluzione fiscale promessa e fumosa, qualcuno forse si pentirebbe del suo voto; qualcuno sarebbe contento; molti altri no, essendo la «flat tax» una riduzione delle aliquote più alte che dunque inevitabilmente premia di più chi guadagna di più – e l’aver messo, come ha fatto la Lega, un tetto di 50mila euro alla sua applicazione, se esclude una fascia ristretta di più ricchi, può anche incentivare ancor più nero e evasione.
A guardare bene nel contenuto della proposta fiscale cavalcata da Salvini, c’è anche uno spostamento dalla tassazione sulla persona a quella sulla famiglia che può finire per avere effetti di disincentivo al lavoro femminile. Ma la «distrazione di massa» dello scontro con l’Europa non torna utile solo a Salvini, per sventolare la bandiera della flat tax senza dover mai entrare nel contenuto concreto, ma anche a Di Maio, i cui ministeri (Lavoro e Sviluppo) sono travolti al momento da una serie di crisi industriali ed emergenze delle quali pochissimo si parla nel Palazzo e sui media.

l’eurotrappola
L’Unione europea, alla quale siamo legati da trattati che possono anche essere sconfessati ma solo dopo ampio e trasparente dibattito pubblico, e non per capriccio di un governo, può avere una funzione in questa fase travagliata della politica italiana: richiamarci alla realtà, e allo stesso tempo ripensare i suoi errori nella gestione della crisi economica e delle sue conseguenze politiche. Ma la replica della tragedia della lunga estate della crisi dei debiti sovrani (2011) con l’Italia al posto della Grecia può finire per aiutare, come si è visto, l’ala più nazionalista ed estremista della destra già vincente. Allo stesso tempo, c’è il rischio che schiacci per l’ennesima volta quel che resta della sinistra in una trappola: quella di identificarsi con l’élite europea e i suoi buoni e saggi consigli, contro il parere e il volere del «popolo». Avremmo di nuovo, in questo caso, un’opposizione a trazione monetaria a un governo a trazione nazional-razzista. Un quadro già visto, che però si ripropone in una situazione sociale degenerata, in un clima di ostilità e odio esasperati, e con una sinistra sempre più piccola e confinata geograficamente. A meno che nel frattempo non nasca, nelle pieghe delle crisi sociali e lavorative così come nelle nuove emergenze ambientali e migratorie, qualcosa di nuovo dalla società civile italiana.

Roberta Carlini
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Ma…donne a Sassari. Lunedì Luna Piena al Parco

64382704_305251507027516_94628995798138880_nsedia-van-gogh4La sedia
di Vanni Tola
Sassari – Quarta edizione di “Luna Piena al Parco” organizzata dall’Associazione Ma…donne.
L’Associazione Ma…donne ha organizzato, anche quest’anno, una nuova edizione di “Luna piena al Parco. La manifestazione, patrocinata dal Comune e dalla Provincia di Sassari si avvale dell’apporto di un Comitato Scientifico che individua e sviluppa i contenuti dell’avvenimento. Il Comitato Scientifico è composto dalla professoressa Maria Rita Piras, insegnante, da Caterina Bua, appassionata di letteratura e dalla giornalista Brunilde Giacchi. Il nuovo ciclo di incontri è dedicato a autori illustri della letteratura italiana di cui, in quest’anno ricadono compleanni o ricorrenze, come nel caso di Leopardi. Per il prossimo incontro si è scelto di raccontare Ariosto che canta la luna nel suo Orlando Furioso, una scelta impegnativa che sicuramente il pubblico che segue l’attività di Ma…donne saprà apprezzare. Alla professoressa Piras il compito di realizzare un approccio divulgativo che raggiunga i partecipanti. L’incontro si terrà lunedì 17, con la luna piena di giugno, i partecipanti sono invitati ad indossare in questa occasione il colore verde. Il luogo scelto per l’incontro è particolare e caratteristico. Una bella terrazza affacciata sulla vallata di Rosello con possibilità di generi di conforto offerti dal Circolo Ultimo Spettacolo e la partecipazione all’apericena del Circolo in Corso Trinità 161 (per prenotazioni e info tel. Gabriele al 3393400769)

Oggi venerdì 14 giugno 2019

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———————Opinioni,Commenti e Riflessioni———————————
Ricorso elettorale contro l’imbroglio delle adesioni “tecniche”: i ricorrenti perdono, ma è solo il primo tempo, il secondo si gioca a Roma, davanti al Consiglio di Stato, ed è lì che si vince o si perde
14 Giugno 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Respinto il primo ricorso contro la legge elettorale sarda. L’avv. Antonio Gaia ed altri avevano denunciato la violazione dell’art. 21, il quale prevede che le liste dei candidati, per ogni circoscrizione, debbano essere sottoscritte da un certo numero di elettori. Precisamente:
a) da non meno di 500 e non più di 1.000 elettori iscritti nelle […]

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Due semplici ragioni per sostenere Francesca Ghirra sindaco di Cagliari
Di Giovanni Maria Bellu – 14/06/2019 su Il Risveglio della Sardegna.
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Perché il mondo dell’indipendentismo e dell’autodeterminazione dovrebbe scegliere Francesca Ghirra.
di Roberto Loddo su fb
La Regione Autonoma della Sardegna è ufficialmente entrata a far parte dell’internazionale dell’intolleranza. [...]

Per salvare la nostra Casa, la Terra! Un’alleanza per il clima, la Terra e la giustizia sociale

coordinamento-democraziaPubblichiamo il documento Laudato Si’, risultato di un lavoro a molte voci, su iniziativa della Casa della carità di Milano. Un lavoro aperto perché è possibile tuttora avanzare suggerimenti, proposte e perché le varie posizioni non sono giustapposte, ma convivono l’una a fianco dell’altra e come ricorda Maria Agostina Cabiddu non c’è un prendere o lasciare di tutto il documento.
- Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, che ce lo ha inviato, sottolinea di essere interessato a questo lavoro, in cui tanti si sono impegnati come singoli e come associazioni.
- Questo documento è presentato da brevi scritti di Raniero La Valle e di Maria Agostina Cabiddu, entrambi componenti del direttivo nazionale del Cdc, che hanno partecipato al lavoro di costruzione del documento.
- La Valle in particolare pone un problema politico fondamentale: trovare le modalità per attuare politiche che non sono realizzabili senza un salto di qualità di strumenti e di iniziative.
- Può sembrare un’utopia. In realtà le utopie sono necessarie per individuare percorsi nuovi, per avere una nuova stella polare istituzionale e politica. Basta ricordare che per regolare I rapporti tra i mercati nazionali è stata costruita una struttura sovranazionale come il WTO, come del resto ne sono state costruite altre.
- Oppure sono stati ipotizzati trattati tra grandi aree del mondo per regolare i commerci, come quello tra Europa e Canada.
- Perché mai i mercati debbono potere proporre e attuare discutibili proposte di regolazione, che arrivano a mettere sullo stesso piano gli Stati e le multinazionali, mentre se si tratta di cambiare in profondità il sistema economico, le sue relazioni, i suoi obiettivi tutto questo viene liquidato come una utopia ?
- In fondo il milione di giovani e ragazze che ha manifestato per il clima e l’ambiente in tutto il mondo, proseguendo l’impegno e il protagonismo proposto da Greta Thumberg pone esattamente il problema della svolta politica ed istituzionale di cui c’è bisogno.
- La Valle con la consueta lucidità pone il problema, ipotizza delle soluzioni. La soluzione concreta dipenderà da tutti noi e quindi è bene che se ne discuta.

Per La Presidenza di CdC
Alfiero Grandi
28/5/2019
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logo-laudato_sii_homeDOCUMENTI UTILI

- La Valle – presentazione.pdf

- Cabiddu – Commento.pdf

- Un’alleanza per il clima, la Terra e la giustizia sociale 13 maggio 2019.pdf

Scuola di Cultura Politica Francesco Cocco

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Il Comitato d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria, in collaborazione con la Confederazione Sindacale Sarda e con l’Anpi di Cagliari, ha costituito una Scuola di Cultura Politica, intitolata a Francesco Cocco, morto di recente, che dello stesso Comitato è stato un illustre esponente.
[segue]

Oggi sabato 20 aprile 2019

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Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti————————-

costat-logo-stef-p-c_2Abbiamo impugnato la legge elettorale sarda
20 Aprile 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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cammino-nuxis-5-5-19Il 5 maggio a Nuxis nei luoghi della latitanza dell’Avv. Cadeddu, capo di Palabanda. Partecipate!
20 Aprile 2019
Nell’ambito delle iniziative su “Sa die de Sa Sardinia” ci rechiamo, accompagnati dalla locale Associazione Le Sorgenti, in pellegrinaggio laico nelle campagne di Nuxis nella Grotta di Conch’è Cerbu, dove l’Avv. Salvatore Cadeddu, capo della rivolta di Palabanda, trascorse alcuni mesi della sua latitanza fra la fine del 1812 e i primi mesi del 1813, […]
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sedia di VannitolaLe “comunarie” del Pd e del centro sinistra di Sassari pensando a Eleonora d’Arborea. Non sembra vero ma, nella grande divisione e confusione che regna da sempre nel Pd e nel centro sinistra, l’unica idea pervenuta (peraltro di padre ignoto) è stata quella di affidarsi alla Magistratura prima ancora che ciò potesse rendersi necessario per accidente o incidente politico. Nasce cosi l’idea di candidare alla carica di Sindaco uno “sconosciuto”, politicamente parlando, del quale si ignorano le potenziali capacità e le eventuali esperienze pregresse nella pratica della politica e nella amministrazione della cosa pubblica. L’unica caratteristica nota del candidato è la professione fino ad ora esercitata. Chi lo conosce afferma che si tratta di un buon giudice ormai prossimo alla pensione, di una persona moralmente ineccepibile, con molte idee e qualche proposta originale su come governare la città. Non c’è alcun motivo per dubitarne. L’interrogativo è un altro. Ha le competenze e la necessaria capacità politica per svolgere il gravoso compito che è costato lacrime e sangue al suo predecessore? O si pensa realmente che la cosa più intelligente da fare, per superare l’impasse amministrativa ormai cronica nel nostro territorio, sia quella di affidarsi alla magistratura per derimere le beghe di un ceto politico straordinariamente litigioso? Ho il sospetto che, in fondo in fondo, il pensiero guida di chi ha proposto la candidatura sia stato proprio questo. Un giudice per governare bene. Un “Giudicato”. Il nuovo Giudicato di Torres per dare vita alla Città Metropolitana da tempo auspicata. Anche il suo nome di battesimo rafforza tale ipotesi. Si chiama Mariano, come Mariano IV di Arborea. (V.T.)
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Settimana Santa

giovedi-santo-liciaGesù lava i piedi ai discepoli.
Ford Madox Brown, 1851 (Pittore preraffaellita).

lampadadialadmicromicro133Riflessioni: Ci vuole “spirito di servizio” a partire da chi sta più in alto.
Ci vuole “spirito di servizio” a partire da chi sta più in alto.

di Franco Meloni, su Aladinews di giovedì santo del 4 aprile 2012.

Dal Vangelo secondo Giovanni 13, 4-54 si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. 5 Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto. 

La chiesa cattolica nella liturgia del giovedì santo, nella messa in coena Domini, rivive il gesto della lavanda dei piedi riportato nel testo dell’evangelista Giovanni. L’episodio è significativo di un atteggiamento di umiltà del Maestro nei confronti dei suoi discepoli e possiamo correttamente ricondurlo simbolicamente ad un atteggiamento “di servizio”, come si diceva un tempo. Ma il concetto è purtroppo in disuso, proprio nel momento in cui sarebbe salutare farvi ricorso. Riportando questo quadro nelle organizzazioni, il Maestro può correttamente simboleggiare il “superiore gerarchico” (il presidente, il rettore, il direttore, il dirigente, etc), mentre i discepoli possono rappresentare i suoi collaboratori o i cittadini-utenti tutti (qui però tralasciamo questa possibile ulteriore estensione). Perchè ci piace fare questa trasposizione, evidentemente apprezzando il gesto della lavanda dei piedi e di tutto quanto può rappresentare nel rapporto capo-collaboratori? Perchè crediamo che oggi vi sia necessità di recuperare un concetto fondamentale: chi per nomina, elezione o eredità si trovi ai vertici di un’organizzazione, sia essa un’impresa, una pubblica amministrazione, un partito politico, un’associazione, una famiglia o quant’altro, deve sentirsi e comportarsi non come un padrone al di sopra di tutto e di tutti, ma piuttosto come titolare di una funzione di servizio verso la stessa organizzazione e la società in generale. Al contrario, purtroppo, si verifica troppo spesso che chi si trova in posizioni di comando in un’organizzazione pensa di poterne disporre a suo piacimento, quasi come l’avesse “vinta al lotto” e si comporta nei confronti dei collaboratori adottando lo schema padrone-servo.  E invece oggi più che mai abbiamo bisogno di “spirito di servizio”, che si traduce in disponibilità all’ascolto, rispetto e valorizzazione delle persone, coinvolgimento di tutti nel perseguimento delle missioni e degli obbiettivi delle organizzazioni. Nella scala delle responsabilità in tutte le organizzazioni più si è in alto nelle posizioni gerarchiche più si ha il dovere di farsi carico dei problemi o, com’è pertinente dire nella settimana di Passione, di portare la croce.

Al via la “Scuola di cultura politica Francesco Cocco”

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16 Aprile 2019, su il manifesto sardo.
[Franco Meloni]
Il Comitato d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria, in collaborazione con la Confederazione Sindacale Sarda e con l’Anpi di Cagliari, ha costituito una Scuola di Cultura Politica, intitolata a Francesco Cocco, morto di recente, che dello stesso Comitato è stato un illustre esponente.
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Oggi domenica 14 aprile 2019

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Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti—————
Marco Paolini: volete ridere o piangere?
14 Aprile 2019
Gianna Lai su Democraziaoggi.
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———————————–Oggi alla Comunità di San Rocco – Cagliari
disturbatoriloc2 Disturbatori della quiete pubblica: alcune voci profetiche degli ultimi 100 anni.