Cattolici e Politica
I Vescovi italiani invitano le comunità ecclesiali a pregare per papa Francesco.
Cattolici e Politica
Cattolici e politica. Russo (Rete di Trieste): “Serve una politica che torni a fare comunità, i partiti di ieri non coinvolgono più le persone” https://www.agensir.it/?p=1420489
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Oggi mercoledì 19 febbraio 2025
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Perché non persuade il no della Consulta per il referendum sull’autonomia differenziata
18 Febbraio 2025
Alfiero Grandi su Democraziaoggi
Vale la pena leggere la sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il quesito abrogativo per il referendum sulla legge 86/24 sull’autonomia regionale differenziata che conteneva un esplicito riferimento alle modifiche della precedente sentenza 192/24 della stessa Corte. La sentenza cancella questo referendum dal gruppo dei 6 che andranno al voto tra il 15 […]
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Oggi martedì 18 febbraio 2025
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Caso Todde, tanto rumore per nulla
18 Febbraio 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Vogliamo squarciare il velo della propaganda e del politicantesimo? Si chiede dalla destra la rimozione o la decadenza della Todde per fatti che non investono la sua dignità e la sua onorabilità. Si pretendono dimissioni senza nessuna contestazione sostanziale. E alzano la voce quegli stessi che tacciono di fronte ad una ministra che è […]
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Giuseppe Spiga, missionario sardo, nominato Vescovo di Grajaú, nello Stato di Maranhão,in Brasile
Giorgio La Pira, uomo di Pace. Il suo insegnamento vive
di Giorgio La Pira
Cari amici, permettete che io vi esponga il piano delle mie riflessioni relativamente a questo convegno, ed alla “premessa” a me affidata con la quale avete desiderato di introdurlo. Perché, mi sono detto, gli amici della Regione Sarda e dell’Ipalmo hanno dato a me questo mandato? La risposta non poteva essere che questa (e ne abbiamo, del resto, con tanti di voi, parlato spesse volte): perché a Firenze noi abbiamo avuto, a partire dal 1956, una certa, singolare esperienza dei problemi tanto complessi storici, spirituali, culturali, sociali, economici, militari e politici dei popoli mediterranei: e perché questa esperienza si è svolta alla luce di una idea madre, di una ipotesi di lavoro, che gli eventi mediterranei europei e mondiali di questi ultimi quindici anni non hanno, come crediamo, affatto indebolito, ma hanno anzi, in certo senso, fortemente convalidato.
Oggi lunedì 17 febbraio 2025
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Il sole e il vento. A quando la casa comune europea?
16 Febbraio 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Una volta il sole ed il vento, vedendo un uomo dentro un cappottone, si sfidarono: chi riuscirà a sfilare il cappotto da quell’uomo? Il vento impetuoso si mise subito all”opera. Soffiò così forte da ogni parte mettendo in seria difficoltà quel signore. Quest’ultimo, tuttavia, fece ogni sforzo per tenere l’indumento addosso e […]
——————-Cagliari Città di Pace———-—-
Oggi alle ore 11 sul Sagrato di N.S. di Bonaria.
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Oggi alle ore 16,30 Chiesa Parrocchiale di Sant’Anna.
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La Rete di Trieste
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/il-servizio-alla-politica-731769
14 febbraio 2024
INTRODUZIONE RETE DI TRIESTE
STARE NEL MEZZO:
TRA LE PERSONE, NELLE COMUNITA’, NEI LUOGHI
di Elena Granata, vicepresidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali.
“La politica deve essere presbite non miope”
Calamandrei, 1947
Grazie, grazie, grazie di questa introduzione,
grazie di avermi accolto anche se a distanza, cari amici e care amiche. Una premessa e un’introduzione breve al mio intervento, un po’ spiazzante. In questi giorni parleremo soprattutto di “valori non notiziabili”, quelli che non fanno clamore, ma sono fondamentali per il bene comune. Lo diciamo subito così che non perdano tempo quelli che si aspettano il nome del leader di un partito o attendono di sapere quanto stiamo al centro quanto stiamo a sinistra, a destra?
No, noi parleremo di “valori non notiziabili”, di cose assolutamente irrilevanti per la politica e per i media: sono irrilevanti i poveri, gli anziani senza casa, i giovani emigrati, i migranti, i carcerati. Ma sono irrilevanti anche i nostri figli e il loro desiderio di stare magari in questa Italia che non dà loro spazio.
Forse perché davvero, come ci ricorda Riccardo Staglianò, “Hanno vinto i ricchi” (Einaudi, 2024) e questo ce lo conferma la situazione planetaria. Che sembra dirci che forse possiamo fare a meno della politica perché ci sono già i ricchi e i potenti del digitale che possono scegliere per noi. Ecco che allora parleremo di valori non notiziabili, perché vogliamo lasciarci alle spalle i valori non negoziabili, quelli che per tanto tempo ci hanno divisi anche dentro il mondo cattolico perché – come diceva il cardinale Carlo Maria Martini – essere ancorati ai valori non vuol dire rinunciare all’esercizio della mediazione, della traduzione dei valori in prassi.
Ecco che allora parleremo di cose che forse a qualcuno che ci ascolterà sembreranno fuori dal tempo e fuori dalla moda. Inattuali, eppure per noi urgenti e necessari.
Siamo nel percorso di un processo un processo che è iniziato in maniera assolutamente spontanea e inattesa. A Trieste lo ricordiamo sempre che non era prevista questa uscita a un certo punto delle settimane sociali di un gruppo auto convocato di politici che ci hanno ricordato che esiste una generazione di sindaci giovani o più anziani che sta nei luoghi dove le persone soffrono e agiscono.
Ecco che allora ci siamo resi conto ancora una volta che il nuovo accade, che qualcosa succede quando siamo impegnati a fare dell’altro. Così è stato per noi. Abbiamo accolto questa autoconvocazione dei politici, soprattutto degli amministratori di questo Paese, mettendoci in ascolto come Comitato.
E allora qualche cenno per ricostruire da dove veniamo una piccola storia non ha neanche un anno è una questione di mesi ma che cos’è successo a Trieste che ha cambiato il nostro modo di pensare alla politica?
1. Cosa abbiamo imparato a Trieste sulla partecipazione e sulla politica?
Un primo punto: la partecipazione non si racconta, la partecipazione si fa, la democrazia si pratica. Non è parola, non è contenuto teorico o non è solo logos, comprensione della realtà, ma è messo in campo di energie, del corpo e della mente.
E se siamo capaci di ascoltare in questo nostro tempo alcuni accadimenti è quello che ci ha spiegato in maniera luminosa, esemplare Bianca Balti l’altro giorno sul palcoscenico di Sanremo, quando non ha parlato della sua malattia, non ha fatto annuncio di che cos’è il tumore, ma si è esposta con il suo corpo, con un gesto, con quella sua luminosità straordinaria, dicendo a tutti che lei non è la sua malattia. Rinunciare alla parola per lasciare che prevalga la vita e la concretezza dei nostri corpi e delle nostre relazioni.
Certo, abbiamo capito a Trieste quante difficile la partecipazione, perché “la partecipazione accade” diceva Giancarlo De Carlo tanti anni fa nel suo lavoro di generazione dell’università di Urbino insieme a Carlo Bo.
La partecipazione accade ma talvolta è faticosa e difficile. I processi partecipativi e i processi democratici sono oggi faticosi, prevale l’idea che tanto non valga la pena partecipare.
Ci siamo abituati che sia normale, perfettamente normale, che alcuni dominino la scena, possano prendere la parola, persino rubarla, quando vogliono e altri debbano stare nell’ombra, passivi e subalterni, come se il loro pensiero contasse meno. Abbiamo organizzato istituzioni che si fondano su un’ineguale ripartizione della partecipazione: tutti possono partecipare – in teoria – ma qualcuno è incentivato più di altri a farlo.
Basti pensare a come funzionano le aule scolastiche. Chi partecipa davvero alla lezione? Certamente il docente che ha il diritto di disporre del tempo e delle modalità con cui gli studenti intervengono in aula ma che spesso si abitua ad una “conversazione” che privilegia i più spavaldi, i meno timidi, i più preparati, chi conosce meglio la lingua, i ragazzi sulle ragazze o le ragazze sui ragazzi a seconda dei contesti. Amartya Sen parlerebbe di capabilities, che sono le competenze in atto e non solo in potenza. È ovvio che in un’aula tutti abbiano lo stesso diritto di intervenire, nessuno potrebbe mettere in discussione il principio astratto, ma ovviamente non tutti hanno le stesse capacità (padronanza, sicurezza, senso di sé, accettazione, consenso del gruppo, riconoscimento da parte del docente o dei pari) e questa disparità di capacità di traduce in diseguaglianza.
Nelle piccole e grandi arene di confronto (dal consiglio comunale al talk televisivo), prende più facilmente la parola il più anziano ed esperto rispetto al giovane, l’uomo rispetto alla donna, quello che ha un ruolo più alto (il prete, il vescovo, il presidente, il docente) all’ultimo arrivato, chi urla di più, e questo accade anche quando non dovrebbero contare ruoli e meriti culturali ma l’espressione delle proprie idee e dei propri pensieri.
E allora possiamo domandarci quali siano i contesti in cui imparare la parità, la reciprocità, l’ascolto. Dove mettersi alla prova in un esercizio di discernimento collettivo che presuppone che riconoscimento del valore di tutti e di ciascuno. Una mancanza di “luoghi del pensiero” che impoverisce la società tutta e la rende più sterile e incapace di confronto.
Siamo diventati tutti un pò scettici, temiamo una finta partecipazione (tanto sono altri che decidono, tanto non serve a nulla).
Partecipare non può significare solo prendere parte – come spiega la filosofa francese Joëlle Zask nel suo libro Participer: Essai sur les formes démocratiques de la participation, 2011- come si prende parte a una cena o a un convegno ma deve poter essere sempre occasione per portare il proprio contributo (pensiamo alla sistematica esclusione delle donne che ci sono fisicamente ma non sempre portano il loro specifico), o possibilità di partecipare ai benefici derivanti dall’azione collettiva, così come avviene in un’impresa dove gli individui partecipano ai benefici della società di cui fanno parte.
Beh, insomma, siamo un po’ arrugginiti perché non sappiamo più praticarla e quindi a Trieste ci siamo dato un metodo molto semplice, molto pragmatico. Ha prevalso il pragmatismo dei numeri. La rivoluzione a Trieste è stata data da un una regola aritmetica che ci siamo dati i delegati dovevano essere un terzo donne un terzo giovani E in tutti i panel che abbiamo fatto a Trieste innumerevoli metà delle relatrici sono state donne metà gli uomini.
Non è questione di quote rosa è questione di rendere possibile la partecipazione il contributo al pensiero all’intelligenza dei giovani e delle donne insieme all’elemento del maschile. E questo è stato rivoluzionario. Questo è stato rivoluzionario perché la rivoluzione ogni tanto non la fare lo Spirito Santo, ma la fa la metrica, la possibilità di dare parola a chi di solito non la prende.
E poi a Trieste abbiamo imparato uno stile, uno stile che l’amico Giorgio Vittadini ha definito – mi piace ricordare questa espressione perché la trovo persino simpatica – una una cordialità trasversale. C’è l’idea che nelle arene politiche possa passare anche uno stile cordiale non solo conflittuale non solo di chi si prende la parola l’un con l’altro non soltanto di chi emette qualche verso per poter togliere la parola agli altri.
E questa animosità ha attraversato anche i nostri mondi. Per quanto tempo ci siamo guardati in cagnesco pensando che ciascuno avesse la verità? Ma la verità è qualcosa di leggero e come il vento dello spirito è qualcosa che bisogna ascoltare insieme con tanta profondità.
2. Fine del prepolitico: tutto è politica
A Trieste abbiamo poi, concordemente sancito la fine del prepolitico. Ce lo siamo detti tante volte rimarcare, e sembra banale dirlo. È questo l’appello che emerge dal magistero di Papa Francesco. Oggi che la politica ha perso credibilità e consenso, dobbiamo riscoprire insieme la nostra comune vocazione verso le cose pubbliche e civili e, in forme diverse, tornare tutti a impegnarci in prima persona. Tornare a pensare la “cosa pubblica” come cosa di tutti e di nessuno, che sopravvive solo se sappiamo rigenerarla e reinventarla.
Francesco è politico quando parla di clima, ambiente e della natura sfruttata dalle attività umane. È politico quando promuove la fraternità universale. È politico quando difende il diritto alla casa, alla terra e a un lavoro dignitoso. È politico quando affronta i temi della pace, dell’intelligenza artificiale, della bellezza e dell’arte. Essere cristiani oggi significa riconoscere una vocazione universale, personale e collettiva alla politica. La politica, infatti, è lo strumento fondamentale per servire le persone, specialmente i più deboli e gli emarginati. È attraverso la politica che si possono trovare soluzioni concrete per rispondere al grido dei poveri e della Terra, entrambi minacciati da guerre e dalla crisi climatica.
Nessuno di noi può stare in panchina, delegare, evitare di sporcarsi le mani o rifugiarsi in una dimensione (solo) associativa, di volontariato, di animazione sociale. Non ci è chiesto di parteggiare, ma di partecipare attivamente e con più slancio personale e collettivo alla vita pubblica. Il clima, le pandemie, il mercato comune, le povertà, le guerre, ci chiedono di collaborare concretamente e attivamente.
3. Rispondere e sentire (con la mente e il corpo) la crisi della sfera pubblica e collettiva
E oggi, non possiamo negarlo, la politica non gode di buona fama.
In nome della politica si praticano a tutti i livelli forme di appropriazione indebita dei beni pubblici o di strumentalizzazione delle persone, l’uso indebito della forza, la xenofobia e il razzismo, il rifiuto di prendersi cura della Terra, lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali in ragione del profitto immediato, il disprezzo di coloro che sono stati costretti all’esilio, la fiducia in una tecnocrazia salvifica che si affida ciecamente alle tecnologie e al digitale.
Nella narrazione pubblica prevalgono altre dimensioni, più legate all’individuo e al suo benessere personale. È il trionfo dell’intimità e delle discipline che scrutano l’animo umano e le sue paure e contraddizioni, è il tempo della psicoanalisi da bar, dei guru che ci parlano della nostra anima, dei coach che ci aiutano a superare le piccole e grandi crisi.
Io. Io sento. Io penso. Io faccio. Io decido. Io comunico. Io mi sdegno. Io. Io. Abbiamo a cuore la salute ma non ci mobilitiamo per la sanità pubblica. Abbiamo a cuore l’educazione ma non ci mobilitiamo per la scuola. Abbiamo a cuore il benessere personale ma non ci mobilitiamo per la difesa dell’ambiente. Il mondo della comunicazione e dei social va radicalmente in questa direzione, perché ha capito che lo storytelling paga in termini di attenzione più dell’approfondimento e della profondità delle notizie. Da tempo i partiti hanno spostato la loro attenzione dai diritti sociali e collettivi a quelli individuali.
Tutto pare iniziare e finire con la persona, priva di reti, di relazioni, di contesto, di appartenenze. È davvero un tempo complicato, quindi, per chi si occupa di azione e pensiero collettivo, di dinamiche che coinvolgano comunità e territori, di capacità di allargare la rosa della partecipazione, del coinvolgimento delle persone. A parole, termini come collaborazione, cooperazione, partecipazione, animazione, fare rete, fare squadra, tanto cari al mondo cooperativo e all’economia civile, sono ancora vivi, ma in fondo – dobbiamo essere lucidi – sono davvero fuori moda. E così le scienze che lavorano sulla dimensione collettiva, come la politica, l’urbanistica, l’economia, sembrano più in affanno e meno popolari. È la sfera pubblica e la politica che si stanno impoverendo e svuotando di senso.
“Ogni generazione, ogni epoca è chiamata a misurarsi con la prova dell’alfabetizzazione, con la realizzazione concreta della vita democratica.” Così affermava, lo scorso luglio 2024 a Trieste, il Presidente Sergio Mattarella nel suo discorso in occasione della cinquantesima Settimana sociale dei cattolici in Italia. Impegnarsi affinché non vi siano più “analfabeti di democrazia” è un obiettivo che riguarda tutti, non solo chi detiene responsabilità politiche, ma anche la società civile nelle sue molteplici forme. La democrazia, infatti, è un processo che va esercitato, coltivato, reinventato e rigenerato dal basso, partendo dalle dinamiche e dalla vita delle comunità. Altrimenti muore.
Si tratta, piuttosto, di un’incapacità di comprendere e di vivere i valori fondanti della democrazia, come la partecipazione civica, il pluralismo, la separazione dei poteri, i diritti umani, la libertà di espressione, il diritto di emigrare, la pace. Ha la forma di un’apatia diffusa verso le questioni politiche, una crescente confusione tra parteggiare e partecipare, come se ogni discussione fosse una battaglia da combattere in una perenne arena televisiva, dove rischiamo di essere vittime di manipolazioni e disinformazione.
In questo clima di passiva rassegnazione, siamo tutti coinvolti. Ci preoccupiamo per la salute, ma non ci mobilitiamo per la sanità pubblica. Ci preoccupiamo per l’educazione, ma non ci impegniamo per la scuola. Ci preoccupiamo del nostro benessere, ma non facciamo sentire la nostra voce per la difesa dell’ambiente. Il mondo della comunicazione e dei social media sembra andare sempre più in questa direzione, consapevole che lo storytelling cattura più attenzione rispetto all’approfondimento o alla riflessione critica sulle notizie.
La mancanza della dimensione collettiva appare particolarmente problematica proprio perché tutte le grandi sfide che abbiamo davanti – da quella energetica (produrre e consumare diversamente energia) a quella climatica (dotarsi di strumenti per mitigare gli impatti climatici), a quella sanitaria (mantenere il nostro sistema di welfare e salute e rendere il diritto alla salute un diritto davvero universale), alla crisi della scuola – richiederebbero invece una nuova motivazione alla cooperazione, nuove capacità di convergere insieme verso obiettivi comuni, lasciandosi alle spalle il particolare e il singolo interesse.
4. Superare la distinzione tra politica “alta” e “politica minore”, tra stare al centro e stare nel mezzo.
Un punto che ci sta a cuore, che sarà il cuore della relazione di questi giorni, lo dirà meglio di me Francesco Russo nell’intervento che seguirà. Dobbiamo superare – e qui è davvero odiosa la distinzione – tra una politica alta la politica delle strategie, dei posizionamenti, delle alleanze la politica internazionale e la politica minore del grembiule, dell’amministrare il bene comune e la cosa pubblica nei contesti locali: non esiste una politica minore una politica alta, non esiste una politica per gli intellettuali e una politica per la manovalanza, esiste LA politica.
E sempre Giancarlo De Carlo negli anni Sessanta diceva che è necessario “rovesciare la piramide”, quello che sta in basso deve irrorare quello che sta in alto. È in corso una grande crisi della politica, delle cinghie di trasmissione tra l’alto e il basso e vorrei dirlo anche agli amici che hanno iniziato con noi questo cammino.
Quante dispute sulla questione sulla necessità di “stare al centro” e quante poche parole spendiamo per dire la necessità di “stare nel mezzo”, di stare dove ci sono le persone, di stare nelle corsie degli ospedali, di stare in mezzo ai lavoratori che perdono il posto di lavoro.
La differenza tra stare al centro e stare nel mezzo ce lo spiegava benissimo anni fa il cardinal Martini.
E ce lo ha spiegato con la sua vita e il suo impegno un grande compagno di viaggio che è stato il sindaco santo di Firenze, Giorgio La Pira.
“L’attesa della povera gente” e “La difesa della povera gente” (entrambi del 1950) sono testi fondamentali per comprendere l’orizzonte ultimo dell’impegno sociale e politico di Giorgio La Pira. Il suo uso delle parole non è mai casuale: colpisce, ad esempio, la scelta di scrivere “povera gente” anziché “gente povera”. In questa inversione si coglie tutta la sua capacità empatica: il sindaco di Firenze si sente coinvolto nel destino dei suoi concittadini, riconoscendoli poveri non solo per la loro condizione materiale, ma come vittime di un sistema ingiusto ed escludente.
I poveri non possono aspettare, hanno bisogno della nostra sollecitudine. È a loro che La Pira sente di dover rispondere. Il sindaco conosce le statistiche, ma sa dare un volto ai numeri. È consapevole della quantità di famiglie senza casa, dei lavoratori a rischio licenziamento: questi sono i veri protagonisti del suo impegno etico e politico.
La politica cristiana è sollecitudine e capacità di intervento. Bruno Bignami, nel suo libro Dare un’anima alla politica (Edizioni Paoline, 2024), definisce La Pira un “sindaco interventista”. Un termine significativo, oggi forse dimenticato. Il suo interventismo era pragmatico: riconoscere i bisogni, assumersene la responsabilità, trovare soluzioni e agire come se quei problemi fossero propri. Significava osare, rischiare, mettersi in gioco. Il suo impegno si rivolse ai disoccupati, ai senzatetto, ai giovani, ai carcerati e agli ammalati. Per La Pira, la città era il luogo della trasformazione concreta, radicata nella vita delle persone.
Oggi domenica 16 febbraio 2025
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Che progetto ha la UE?
16 Febbraio 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
La UE è malpresa e lo sono i suoi leader. Non ce n’è uno che chiuda la porta. E sapete perché? Perché a ben vedere, pensano ciò che Mattarella ha detto a voce alta a Marsiglia. La Russia di Putin è come la Germania di Hitler, ha l’idea aggressiva di invadere l’Europa […]
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Caso Todde, conflitto di attribuzione tra Stato e Regione?
15 Febbraio 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Nella prossima seduta del Consiglio regionale, il 18 marzo, verrà discussa una mozione volta a sollevare un conflitto di attribuzione tra Stato e Regione in merito all’ordinanza di decadenza della presidente Alessandra Todde, emessa dal Collegio elettorale della Corte d’Appello di Cagliari. […]
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Domenica 16 febbraio. Momento di riflessione – Ingresso a Iglesias del nuovo Vescovo Mario Farci
Cosimo Rosselli, Discorso della montagna e guarigione del
lebbroso, dettaglio, affresco del 1481- 1482, Cappella Sistina,
Vaticano.
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Gesù è un po’ più in alto come colui che insegna ma anche forse per farsi sentire dalla folla che lo circonda. Gli apostoli lo seguono (dietro di lui sulla destra). La cittadina con la sua vita alle spalle Lui parla di ciò che è essenziale di ciò che dà la gioia e la vita vera e vediamo tanti ascoltare attenti altri parlare tra di loro… è mai possibile che sia vero ciò che dice? Gesù è rivolto anche verso di noi indicando anche il cielo.
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Questo pomeriggio ingresso nel Duomo di Iglesias e presa di possesso della Diocesi del Nuovo Vescovo mons. Mario Farci.
- L’evento ripreso in diretta da Videolina, dalle ore 14,45 -
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Pausa dí spiritualità
Oggi sabato 15 febbraio 2025
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Caso Todde, conflitto di attribuzione tra Stato e Regione?
15 Febbraio 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Nella prossima seduta del Consiglio regionale, il 18 marzo, verrà discussa una mozione volta a sollevare un conflitto di attribuzione tra Stato e Regione in merito all’ordinanza di decadenza della presidente Alessandra Todde, emessa dal Collegio elettorale della Corte d’Appello di Cagliari. La mozione verrà firmata da tutti i capigruppo della maggioranza e […]
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Tempi duri per i lecchini!
14 Febbraio 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Certo dev’essere triste la giornata di quanti in questi anni hanno slecchinato gli Usa e la Nato ed hanno insultato chi non la pensava come loro e faceva una diversa narrazione della guerra Russia/Ucraina, delle sue ragioni e dei suoi fini. Avevano anche stilato una lista di filoputiniani, da isolare e mettere alla gogna come […]
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Giorgio La Pira: un politico, un Maestro del quale seguire gli insegnamenti
Oggi, mattinata e pomeriggio, interessante Convegno all’Università di Cagliari
Nota in margine al Convegno
Io ho sentito i saluti (tutti non di circostanza) e la prima sessione, che ho trovato interessante. Poi sono andato via e sono tornato di pomeriggio per la terza sessione, che, sebbene interessante, poco parlava di La Pira. Segnalo la relazione competente e ricca di spunti (e di documentazione fotografica) di Nicola Melis. Non ho seguito le conclusioni.
Partecipazione: mai piena la sala (l’aula magna di Scienze politiche che credo cubi circa 100 posti); poche le presenze nel pomeriggio: quasi esclusiva dei relatori e organizzatori.
Giudizio complessivo. Un buon convegno che avrebbe meritato più attenzione di pubblico e di stampa (assente). Eccessivamente accademico. La relazione più interessante a mio parere quella di Pietro Giovannoni. Ma non posso esprimere un giudizio completo in quanto ho saltato tutta la seconda sessione nonché l’intervento di Patrizia Manduchi (una delle organizzatrici dell’evento) nell’ultima sessione.
Posso azzardare una critica importante? Scarsa attualizzazione dell’operato e del messaggio di La Pira rispetto ai problemi dell’oggi.