Risultato della ricerca: EMILIO LUSSU

Vittorio Emanuele III, l’improbabile Imperatore degno di oblio

vitt Eman |||Vittorio Emanuele III e le sciagurate scelte
di Francesco Casula

Alcune motivazioni perché Vittorio Emanuele III di Savoia non è degno di essere intestatario di una Via, una Piazza o altri simili ed equivalenti “onori” e riconoscimenti nei paesi e nelle città della Sardegna.

Durante il suo regno (1900-1946) Vittorio Emanuele III fu connivente e spesso attivo sostenitore di scelte sciagurate e funeste per l’intera Italia e per la Sardegna in particolare, per le conseguenze devastanti che quelle scelte comportarono. Per cui il giudizio della storia sulla sua figura è spietato e senza appello. Egli infatti è, in quanto re e dunque capo dello stato, responsabile o comunque corresponsabile della partecipazione dell’Italia alle due grandi guerre e del Fascismo.
Anche durante il suo regno, fin dall’inizio del Novecento, continua la repressione violenta nei confronti della protesta popolare e dei movimenti di opposizione che aveva caratterizzato la fine dell’Ottocento, culminata con l’omicidio di Umberto I per mano dell’anarchico Gaetano Bresci, rientrato appositamente dagli Stati Uniti per “vendicare” la strage di Milano del 1898.

1. Repressione poliziesca agli inizi del Novecento in Sardegna
L’eccidio di Buggerru. La sommossa di Cagliari, Villasalto e Iglesias
Ricollegandosi al clima di repressione di fine secolo in Italia con la strage di Milano, nel romanzo Paese d’ombre Giuseppe Dessì scrive a proposito dell’eccidio di Buggerru: Bava Beccaris era nell’aria e con esso il suo demente insegnamento.
Anche a Buggerru, allora importante centro minerario, l’esercito, come a Milano nel 1898, sparò sulla folla inerme. Il 4 settembre del 1904 nel paese di Buggerru giunsero da Cagliari due compagnie del 42° reggimento di fanteria. La folla che gremiva la strada principale del paese li accolse in un silenzio ostile. Poco dopo i soldati con le baionette già cariche si schierarono in assetto da guerra all’esterno dell’Albergo dove alloggiavano. Le minacce e i tentativi di disperdere con la forza i manifestanti da parte dei soldati non sortirono alcun effetto. Fu allora che i soldati imbracciarono i moschetti e spararono sulla folla inerme. La tragedia si consumò in pochi minuti: sulla terra battuta della piazza giacevano una decina di minatori. Due, Felice Littera di 31 anni, di Masullas, e Giovanni Montixi di 49 anni, di Sardara, erano morti. Un terzo, Giustino Pittau, di Serramanna, colpito alla testa, morì in ospedale. Un mese dopo anche il ferito Giovanni Pilloni perì.
A Cagliari due anni dopo nel 1906, in seguito a una sommossa popolare contro il caro vita ci furono 10 morti.
“Alla notizia dei morti di Cagliari – scrive Natale Sanna – insorsero subito i centri minerari dell’Iglesiente con richieste varie, scioperi, saccheggi, scontri con i soldati, morti (due a Gonnesa e duie a Nebida) e feriti (17 a Gonnesa e quindici a Nebida) fra i dimostranti” (Natale Sanna, Il cammino dei Sardi, volume terzo, Editrice Sardegna, Cagliari, 1986, pagina 472).
Duramente repressi furono anche gli scioperi e le manifestazioni che si innescarono sempre dopo i fatti di Cagliari a Villasimius, San Vito, Muravera, Abbasanta, Escalaplano, Villasalto (con 6 morti e 12 feriti). Mentre a Iglesias nel 1920 i carabinieri sparano su una manifestazione di minatori causando 7 morti.

Sciboletta2. Vittorio Emanuele III e la Prima Guerra mondiale
La decisione di entrare in guerra fu presa esclusivamente dal sovrano, in collaborazione con il primo ministro Salandra, desideroso com’era di completare la cosiddetta “unità nazionale” con la conquista di Trento e Trieste, ancora in mano austriaca. il conflitto fu, come noto, tremendo per le forze armate italiane, che andarono incontro ad una spaventosa carneficina, tra il fango, la neve delle trincee e tra indicibili stragi e sofferenze.
Fu lo stesso Papa Benedetto XV a definire quella guerra una inutile strage. Ma in una enciclica del 1914 Ad Beatissimi Apostolorum Principis lo stesso papa era stato ancora più duro definendola una gigantesca carneficina.
Sarà il sardo Emilio Lussu, in una suggestiva testimonianza storica e letteraria come Un anno sull’altopiano a descrivere gli orrori di quella guerra. Egli infatti al fronte però sperimenterà sulla propria pelle l’assurdità e l’insensatezza della guerra: con la protervia e la stupidità dei generali che mandano al macello sicuro i soldati; con i miliardi di pidocchi, la polvere e il fumo, i tascapani sventrati, i fucili spezzati, i reticolati rotti, i sacrifici inutili.
Una guerra che comportò oltre a immani risorse (e sprechi) economici e finanziari immani lutti, con decine di migliaia di morti, feriti, mutilati e dispersi. A pagare i costi e il fio maggiore fu la Sardegna: “Pro difender sa patria italiana/distrutta s’este sa sardigna intrea, cantavano i mulattieri salendo i difficili sentieri verso le trincee, ha scritto Camillo Bellieni, ufficiale della Brigata” (Brigaglia, Mastino, Ortu, Storia della Sardegna, Editori Laterza, 2002, pagina 9).
Infatti alla fine del conflitto la Sardegna avrebbe contato bel 13.602 morti (più i dispersi nelle giornate di Caporetto, mai tornati nelle loro case). Una media di 138,6 caduti ogni mille chiamati alle armi, contro una media “nazionale” di 104,9.
E a “crepare” saranno migliaia di pastori, contadini, braccianti chiamati alle armi: i figli dei borghesi, proprio quelli che la guerra la propagandavano come “gesto esemplare” alla D’Annunzio o, cinicamente, come “igiene del mondo” alla futurista, alla guerra non ci sono andati.
La retorica patriottarda e nazionalista sulla guerra come avventura e atto eroico, va a pezzi. Abbasso la guerra, “Basta con le menzogne” gridavano, ammutinandosi con Lussu, migliaia di soldati della Brigata Sassari il 17 Gennaio 1916 nelle retrovie carsiche, tanto da far scrivere allo stesso Lussu – in Un anno sull’altopianoIl piacere che io sentii in quel momento, lo ricordo come uno dei grandi piaceri della mia vita.
In cambio delle migliaia di morti – per non parlare delle migliaia di mutilati e feriti – ci sarà il retoricume delle medaglie, dei ciondoli, delle patacche. Ma la gloria delle trincee – sosterrà lo storico sardo Carta-Raspi – non sfamava la Sardegna.
Sempre Carta Raspi scrive: ”Neppure in seguito fu capito il dramma che in quegli anni aveva vissuto la Sardegna, che aveva dato all’Italia le sue balde generazioni, mentre le popolazioni languivano fra gli stenti e le privazioni. La gloria delle trincee non sfamava la Sardegna, anzi la impoveriva sempre di più, senza valide braccia, senza aiuti, con risorse sempre più ridotte. L’entusiasmo dei suoi fanti non trovava perciò che scarsa eco nell’isola, fiera dei suoi figli ma troppo afflitta per esaltarsi, sempre più conscia per antica esperienza dello sfruttamento e dell’ingratitudine dei governi, quasi presaga dell’inutile sacrificio. Al ritorno della guerra i Sardi non avevano da seminare che le decorazioni:le medaglie d’oro. d’argento e di bronzo e le migliaia di croci di guerra; ma esse non germogliavano, non davano frutto”. (Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna, Ed. Mursia, Milano, 1971, pagina 904)
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La “vertenza entrate” oltre la propaganda

sardegna-dibattito-si-fa-carico-181x300Vertenza entrate: vittoria storica o pietra tombale dell’autonomia finanziaria sarda?
23 Maggio 2016

democraziaoggi loghettodi Tonino Dessì, su Democraziaoggi

Due comunicati, uno del Presidente della Regione sarda, uno della Presidenza del Consiglio dei Ministri, hanno reso nota l’approvazione, da parte del Governo, dell’atteso decreto legislativo di attuazione dell’articolo 8 dello Statuto speciale per la Sardegna, come modificato dalla legge n. 296 del 2006.
Il decreto legislativo contiene la specificazione della base su cui vengono determinati alcuni cespiti erariali da ripartire fra Stato e Regione, unitamente all’accordo sulla corresponsione, a rate, di 900 milioni di euro che avrebbero dovuto essere corrisposti alla Regione in base alla legge, ma che invece sono state trattenute finora dallo Stato.
Il Presidente Pigliaru e altri esponenti della Giunta e della maggioranza regionale hanno definito l’accordo, raggiunto nell’apposita Commissione paritetica, per l’adozione del decreto legislativo, un evento “di portata storica”, tale da concludere definitivamente, addirittura, l’annosa “vertenza entrate” tra Stato e Regione.
Più concretamente, tuttavia, va detto che il decreto legislativo non cambia affatto i contenuti della legge di modifica dell’articolo 8 dello Statuto approvata dal Parlamento nel 2006: quella riforma ha trasferito per intero alla Regione, tra le altre, le spese della sanità e dei trasporti interni, in cambio di un incremento di entrate insufficiente a coprire, per la prima, la spesa storica (da qui il deficit strutturale che si era perfino pensato, recentemente di coprire con aumenti delle addizionali regionali IRPEF e IRAP), per i secondi, gli oneri necessari per gestire e per ampliare i collegamenti.
La vera e propria novità del decreto legislativo parrebbe stare nella modifica del meccanismo di tesoreria. Lo Stato infatti finora non ha versato sempre, alla scadenza, le tranches periodiche delle entrate erariali riscosse in Sardegna spettanti alla Regione. Non le ha versate sia quando ha verificato che la Regione, per sue lentezze nella spesa, disponeva ancora di liquidità giacenti, sia quando in generale, per rallentare il flusso corrente della spesa pubblica, esso è ricorso unilateralmente a restrizioni dei trasferimenti liquidi di cassa. Finora lo Stato poteva anche trattenere una parte delle entrate regionali a titolo di riserve erariali per fronteggiare eventuali emergenze.
Col nuovo decreto legislativo è stato stabilito invece che l’erogazione delle spettanze di competenza regionale avverrà, anche in termini di cassa, puntualmente, a scadenza e che prescinderà dallo stato delle liquidità disponibili nel conto centrale di tesoreria (nel quale le spettanze tributarie della Sardegna sono finora contabilizzate e gestite dal Governo). In futuro, un decreto ministeriale stabilirà le modalità di accredito diretto alla Regione (senza verosimilmente passare dal conto centrale di tesoreria), delle quote tributarie di competenza regionale accertate e riscosse in Sardegna dall’Agenzia statale delle Entrate e dagli altri soggetti incaricati dallo Stato.
Non si tratterranno più, infine, quote di riserve erariali e le eventuali emergenze verranno determinate volta per volta sulla base di intese.
Senza sminuirne l’utilità “operativa”, non pare tuttavia un risultato di così enorme portata da definirsi “storico” ed è assai preoccupante leggere che in tal modo si concluderebbe “definitivamente” la “vertenza entrate”.
A questo proposito sembra opportuno ripercorrere sommariamente alcune vicende, per comprendere il filo di continuità che lega questi fatti recentissimi a processi che risalgono assai più indietro nel tempo.
Più d’uno, infatti, continua a scrivere che la questione delle entrate finanziarie della Sardegna e il relativo contenzioso con lo Stato sono nati per la prima volta con la Giunta Soru nel 2004. In realtà si è trattato e si tratta di una vertenza prolungata e caratterizzata da diverse fasi, nella storia dell’Autonomia speciale. - segue –

Riportare Sa DIE, festa identitaria della Sardegna, sul suo solco primario e originario, amplificando una rete diffusa di consapevolezze, sentimenti e valori comuni di sardità. Promuovere la produzione di significati di appartenenza e di relazione e progettualità convergenti nell’orizzonte di una patria comune

pablo-e-amiche sa dieUNA RIFLESSIONE SU SA DIE DE SA SARDIGNA
rudas1di Nereide Rudas, su Fondazione Sardinia
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La scommessa è quella di far mantenere ai giovani sardi una rinnovata autoconsapevolezza della loro specificità…. metterci alle spalle le sconfitte, le illusioni e le de-lusioni, le vergogne, le invidie, i naufragi e camminare liberi, a viso aperto, insieme agli altri popoli della terra. Nereide Rudas presiede il Comitato per SA DIE de sa SARDIGNA.
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A distanza di circa un mese dall’ultima edizione di SA DIE è forse utile avanzare una riflessione sulla sua celebrazione e sul suo significato.
Pur non avendo partecipato (se non come testimone) alla sua nascita e al suo exploit iniziale, a me sembra che questo evento simbolico si sia trasformato nel tempo. Nata come festa identitaria fondante, si è viva via offuscato, subendo, nella diacronia, una torsione di significato.
Il discorso si amplia e ritorna ai suoi quesiti iniziali su cosa s’intenda, in generale, per identità, e cosa s’intenda nell’oggi l’identità sarda o sardità.
Una prima osservazione i suoi aspetti, le sue caratteristiche e dinamiche e le sue prospettive. Il tema identitario, come più volte ripetuto, si è imposto, oltre che all’attenzione politica, a quella culturale e sociale.
Con le sue scansioni-tensioni, con le sue emergenze cadute e silenzi, il problema identitario ha attraversato tutto il Novecento per giungere come discorso aperto sino a noi. Ma proprio nell’oggi l’identità dell’Europa, a cui apparteniamo, attraversa un drammatico snodo. Allo scenario unificante della frantumazione delle frontiere (Unione Europea) e alla spinta della globalizzazione, necessariamente omologante, si affermano notevoli controspinte. Oltre all’emergenza di grandi masse extraeuropee che premono ai nostri confini, si sollevano le voci di piccole e grandi patrie in difesa della propria specificità. Nasce l’esigenza di tutelare la propria diversità, quale bene da custodire e tramandare non solo sul proprio ambito, ma come valore generale prezioso per tutti. Ovviamente questa legittima esigenza non deve caricarsi di rischi e spinte nazionalistiche di chiusura e di estremismo nazionalistico.
La problematica identitaria è particolarmente partecipata e discussa in Sardegna. L’identità etnica, storica, linguistica e sociale, in altre parole la “sardità”, rappresenta una categoria ben individuata da una vasta letteratura di varie discipline scientifiche.
Nonostante che sulla nostra entità peculiare e distinta si sia basata l’istituzione di un ordinamento di Regione Autonoma ad ampia autonomia speciale, il Governo regionale non è stato mai capace di esprimere una politica culturale specifica, adeguata all’Isola e alla sua identità. Si è limitata a gestire burocraticamente la cultura.
In questo clima, il Governo Regionale non ha mai vissuto Sa DIE come giornata fondante la sua stessa esistenza.
Così SA DIE è diventata una festa generica, aspecifica, omologabile alla festa della mamma e del papà, etc…
I segnali di questa torsione di significato sono molteplici. Essi parlano di una Regione che, pur non dichiarandolo apertamente, non vuole SA DIE. O meglio, non la vuole nella sua specifica essenza. Perciò la sradica dal suo solco primario e la traveste da contenitore multidimensionale, da festa contingente (i Corsi, i Migranti: quest’anno. C’è da attendersi qualche nuovo argomento d’attualità per l’anno prossimo). Pur in una confusa e discontinua pratica culturale, la Regione ha messo preferenzialmente il piede sull’acceleratore di una malintesa modernità. La sua posizione tende a conformarsi a quella che ho, altrove, definito “integrazionismo radicale”.
Desiderosi di futuro, gli “integrazionisti radicali”, sono scarsamente attenti al proprio passato e alle proprie radici. Considerano, in cuor loro, il sardo, pur non affermandolo apertamente, una lingua limitata e non idonea ad una prospettiva moderna. Propugnano l’esigenza e la ricerca di collegamenti esterni, per creare una Sardegna al passo dei tempi. Ma chi insegue un integrazionismo a tutti i costi, chi sente come arcaico l’uso del sardo in un mondo che parla prevalentemente l’inglese, dovrebbe considerare un serio pericolo: in tempo di globalizzazione, c’è infatti il grave rischio di essere schiacciati e appiattiti su patterns esterni, restando assimilati senza speranza al modello dominante. In altre parole c’è l’azzardo di perdere la propria identità, alienandosi.
Analoghi rischi di perdita dell’identità corre, ovviamente, chi sostiene e difende la posizione opposta ed estrema di un ”autonomismo radicale”. Gli “autonomisti radicali”, volti alla propria terra e alle sue tradizioni, sono guardinghi e diffidenti verso il confronto, perché temono (e non del tutto a torto) le condizioni svantaggiose, se non prevaricanti, in cui il confronto dovrebbe avvenire. L’Isola, d’altronde, anche nel suo passato, non ha mai usufruito di condizioni paritetiche e simmetriche di confronto e di scambio, ma ha sempre dovuto subire condizioni di prepotenza e dominio. Ed è quindi comprensibile la tentazione di chiudersi, di difendersi e persino di arroccarsi.
Queste posizioni si rispecchiano peraltro in molte altre situazioni, come dimostrano le “turbolenze” delle piccole e non solo piccole (Catalogna, Scozia, etc.) patrie. Si tratta dunque di fenomeni non solo sardi ma mondiali.
Ma la chiusura e l’isolamento, lungi dal favorire l’identità, la dissolvono. L’immersione chiusa nelle proprie radici non porta all’identità, ma alla sua perdita. Isolandoci rischiamo di uscire dalla storia e dal mondo e, in ultima analisi, da noi stessi. Entrambe le prospettive portano dunque alla dis-identità.
Per quanto riguarda la storia più recente la massima pressione integrazionista si è verificata con il fascismo e con i suoi fanatismo nazionalistici. Per tale periodo – credo di ricordare – che si sia addirittura parlato di Sardegna come “colonia interna” dell’Italia. E i coloni si dovevano necessariamente italianizzare, diventare italiani o – come diceva Cicito Masala – diventare “italioti”, neologismo che suggerisce facili, ma offensive rime.
Superato il fascismo, il diffondersi sulla cultura del pensiero marxista, che si muoveva essenzialmente in un orizzonte internazionalistico, ha quasi ovunque oscurato l’esigenza identitaria di gruppi, popoli ed etnie. In Sardegna questa è stata parzialmente difesa, sulla scorta del pensiero di Gramsci, dall’azione politica illuminata di Renzo Laconi e Umberto Cardia.
Ma su di essa ha purtroppo pesato una esasperata conflittualità. Non ci fu solo una “guerra fredda” che contrappose il mondo su due blocchi antitetici, ma ci fu un conflitto, una divisione (o meglio uno “splitting”, cioè una “scissione” psicologica) interna che attraversò la coscienza di una moltitudine di sardi e di uomini di tutto il mondo. In questa nuova e durissima guerra tra “guelfi” e “ghibellini”, le parti “buone” degli altri furono, psicanaliticamente, omologate al ‘sé’, mentre quelle “cattive” furono espunte dal ‘sé’. Gli avversari politici, spogliati dell’intera personalità, ma parcellizzati in “parti buone” e “parti cattive”, da antagonisti divennero nemici da espellere e abbattere. L’identità nel suo valore unificante subì un attacco quasi mortale.
Alla fine del secondo conflitto mondiale la Sardegna si trovò povera e divisa. La classe politica regionale non seppe sfruttare le energie innovative che scaturivano dall’istituzione dell’Autonomia Speciale e dalla profonda trasformazione della struttura dello stato. Ma neanche la classe intellettuale riuscì a superare i motivi dei conflitti interni ed esterni nella prospettiva di una nuova fase di civilizzazione.
Ci adattammo ad una posizione di subalternità e di marginalità, ma non comprendemmo appieno neanche il potenziale energetico, creativo e produttivo della nostra condizione.
Margine (da cui marginalità) può infatti essere inteso in una duplice linea di significato e prospettive. L’”essere-al-margine” può essere inteso come essere marginalizzato, escluso, lontano dal centro del potere, etc. Cioè “essere fuori”. Ma l’ “essere-al-margine” può invece essere colto come essere sul confine, “essere-tra-due-mondi”, due weltanshaung. E chi ha esperienza e conoscenza di due mondi è potenzialmente più ricco, esperto e capace di chi è monocentrico.
Purtroppo sia la classe politica dirigente che noi stessi intellettuali non abbiamo saputo/potuto seguire la linea innovativa e dialettica dell’ “essere-tra”, appiattendoci sul ruolo di parenti poveri, queruli e richiedenti.
Eppure avevamo già avuto l’esempio e l’insegnamento dei grandi Maestri, che avevano vissuto il margine, rovesciandolo positivamente in forza innovativa e propulsiva per il proprio popolo.
Grandi Maestri e in primis: Emilio Lussu. Egli diventa completamente sardo, anzi il prototipo e l’essenza stessa della sardità nell’esperienza della Grande Guerra. E’ nel cieco mondo della trincea, che vive in prima persona, sperimenta l’essere sardo, insieme ad altri sardi.
E’ appunto, davanti al filo spinato e alla terra di nessuno che il giovane arrivato da Armungia diventa il Capitano Lussu, comandante della Brigata regionale Sassari. E’ lì che si cala nella smisuratezza del gigantesco e lacerante Evento-Guerra e si trasforma e ricostruisce nella sua piena identità. Egli combatte la guerra da sardo, perché da sardo la concepisce, come concepisce la vita e la morte secondo una specifica visione del mondo. L’eroismo suo e dei suoi limiti non è che una delle possibili conseguenze della loro specifica modalità di esistenza.

Da questo forse troppo lungo discorso si possono trarre alcune brevi conclusioni.

Occorre:
- consolidare, rafforzare e sviluppare la nostra identità coniugandone i due segmenti costitutivi: a) autocoscienza = radici, lingua = tradizione; b)scambi, confronti, relazioni in un orizzonte solidaristico di progettualità.

- Riportare Sa DIE, festa identitaria della Sardegna, sul suo solco primario e originario, amplificando una rete diffusa di consapevolezze, sentimenti e valori comuni di sardità. Promuovere la produzione di significati di appartenenza e di relazione e progettualità convergenti nell’orizzonte di una patria comune.

Queste mete non sono utopiche, ma realisticamente realizzabili mediante un enorme e coinvolgente progetto culturale collettivo, affidato soprattutto ai giovani.

La scommessa è quella di far mantenere ai giovani sardi una rinnovata autoconsapevolezza della loro specificità: di far diventare i giovani sardi cittadini del Mondo, conservando i significati e i valori della loro piccola patria. Ma la scommessa è anche quella di farli diventare veri abitanti della Sardegna, in quanto abitanti del Mondo.

Potremo così metterci alle spalle le sconfitte, le illusioni e le delusioni, le vergogne, le invidie, i naufragi e camminare liberi, a viso aperto, insieme agli altri popoli della terra.

La legge sulle autonomie locali: né riforma né riordino, manca un’idea di Sardegna!

sardegna-dibattito-si-fa-carico-181x300Sardegna. Che pastrocchio il “riordino” degli enti locali!

democraziaoggi loghettodi Andrea Pubusa su Democraziaoggi

Volete farvi una risata? Sentite questa: la legge sul sistema delle autonomie locali, approvata l’altro ieri, viene chiamata dalla giunta regionale legge di “riordino”! Sissignori di “riordino”! Sennonché la legge dispone…in attesa di un referendum! Ebbene sì, se il referendum costituzionale – come è probabile e desiderabile – boccia lo scasso costituzionale di Renzi, il riordino rimane in sospensione, a bagno maria! Un bel casino!
E allora cosa cambia? Nulla o quasi. Le province di Sassari, Nuoro e Cagliari rimangono perché sono previste nello Statuto speciale (articolo 43). Oristano rimane perché è prevista da una legge statale. Dicono i “riordinatori” della giunta: attendiamo il referendum costituzionale di ottobre per sapere se la soppressione delle province prevista nella proposta Renzi-Boschi-Verdini passerà. Intanto, è probabile che non passi. Ma cosa c’azzecca? La modifica del titolo V della Costituzione non tocca lo Statuto, che è legge costituzionale e non è, al momento, soggetta a revisione. Ergo, Sassari, Nuoro e Cagliari rimangono. Al più Renzi, se non si nasconde nella Garfagnana dopo il referendum di ottobre, potrà sopprimere la provincia di Oristano abrogando o modificando la legge che a suo tempo la istituì. Bell’avanzamento per quelle popolazioni! Rimangono senza una rappresentanza territoriale potenzialmente credibile. Ma Cagliari, Sassari e Nuoro rimarranno. E a quel punto, ve la immaginate la provincia di Cagliari…senza Cagliari? Non la possono neanche chiamare del Sud Sardegna perché lo Statuto speciale prevede la provincia di Cagliari, non del Sud Sardegna. Quindi, modificando la circoscrizione territoriale attuale, dovranno prevedere che nella provincia di Cagliari…non c’è Cagliari e che il capoluogo è, poniamo, Sanluri!
Un bel riordino con c’è che dire! Da far venire i capogiri!
E la rete metropolitana di Sassari, si sovrapporrà alla Provincia di Sassari? E le unioni di Comuni, piccole aggregazioni governate da consorterie locali e prive di qualunque peso nei riguardi dello Stato e della Regione? E così via riordinando.
Volete il senso politico di tutto questo o, se preferite, il prevedibile risultato? Creare casino nei territori, stravolgere e paralizzare qualsiasi iniziativa delle comunità locali, privarle di rappresentanza, nel caos istituzionale dare permanentemente le decisioni locali a gruppi e consorterie, dove anche i buoni amministratori sono neutralizzati.
Certo richiamare alla razionalità un ceto politico uscito di senno è difficile. Ma, di grazia, non sarebbe più sensato mantenere le province attuali e rinforzarle, delegando loro tutte le funzioni di area vasta, lasciando ai Comuni tutte le quelle a da esercitare a contatto coi cittadini? L’area metropolitana cagliaritana più che la provincia avrebbe sostituito i comuni nell’esercizio delle funzioni aell’area, senza intaccare quelle elementari, da esercitare sull’uscio di casa.
Il riordino vero passa anzitutto dalla Regione e si realizza prosciugandola attraverso un rafforzamento delle funzioni e della rappresentatività degli enti locali minori. Meno Regione più autonomie sub-regionali pienamente rappresentative, ecco la linea di una vera riforma, che voglia riattivare le comunità locali e la loro voglia di partecipare. Il “riordino” della legge Erriu è solo un pasticcio volto a mortificare la rappresentanza e le comunità locali. L’obiettivo? Ripeto: nel casino assegnare il potere decisionale sulle questioni locali a quel grumo oscuro, costituito dall’intreccio fra consorterie regionali e locali, accomunate dalla volontà di escludere i cittadini.

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Ferula
CAGLIARI “CITTÀ METROPOLITANA” MENTRE LA SARDEGNA CORRE VERSO IL SUICIDIO DEMOGRAFICO: QUALI ALTERNATIVE?
di Federico Francioni, su Fondazione Sardinia on line.

Sommario: Premessa – La situazione internazionale – La sfida – L’economista Thomas Robert Malthus smentito dallo storico John Day – Alcune tappe della dinamica demografica sarda – La forza simbolico-politica dall’Utopia – Una nuova capitale della Sardegna nell’ambito di un progetto più vasto – Conclusioni.

Premessa: si è discusso di “città metropolitana”, ma non della minaccia di “genocidio culturale” che incombe sulla Sardegna. Le polemiche su Cagliari e/o Sassari come città metropolitane, unitamente al dibattito in Consiglio regionale sulla “riforma” degli Enti locali, hanno – in genere – ignorato, trascurato o non hanno posto adeguatamente in risalto l’estrema, tragica gravità del problema demografico: l’isola è uno dei territori del pianeta col tasso meno elevato di natalità. Lo ha notato, fra gli altri, David Kertzer, storico americano, studioso della famiglia in Italia, vincitore del prestigioso Premio Pulitzer, il quale si è interrogato, in particolare, sui modelli culturali che guidano i percorsi di vita e le decisioni delle donne in Sardegna. Ma già negli anni sessanta Antonio Simon Mossa, geniale architetto ed intellettuale poliedrico, affermò – non era esagerazione, slogan o “sparata” la sua – che su questa terra incombe la minaccia di “genocidio culturale”. Il rischio è che potrebbe essere la nostra comunità a contribuire, in modo decisivo, al proprio annientamento, alla scomparsa pressoché completa di una storia, di una lingua, di una cultura, di una civiltà. Ciò si potrà verificare grazie anche al secolare, decisivo, letale contributo di ceti dirigenti politici ed intellettuali profondamente estranei – dal punto di vista psicologico ed esistenziale, prima che politico-ideologico – a determinate tematiche.

La situazione internazionale.

Da tempo in tutto il mondo la popolazione tende sempre più a concentrarsi nelle città; alla crescita delle aree urbane corrisponde l’abbandono di quelle rurali. Lo spopolamento investe particolarmente territori di Nord America, Europa, Russia e Giappone: si vedano al riguardo le cifre fornite da State of World Population 2011 dell’UNFPA (United Nations Populations Fund), ripresa (si veda la p. 68) dall’importante ricerca Comuni in estinzione. Gli scenari dello spopolamento, in Idms, Indice di deprivazione multipla della Sardegna, 2013. In questo studio figurano pagine di Antonello Angius, di due docenti dell’Ateneo cagliaritano, Gianfranco Bottazzi e Giuseppe Puggioni (da tempo impegnato nello studio di questa tematica) e di altri autori.

La città cinese di Chongqing, come ha scritto Salvatore Settis, è passata da 600.000 abitanti del 1930 ai 32 milioni di oggi. Il fenomeno dello spopolamento assume inoltre il rilievo specifico dello svuotamento di Venezia, studiato dallo stesso Settis, ma anche centri storici dell’isola, come nel caso di Alghero e di Sassari, perdono abitanti. Senza una critica calzante dei mostri urbani attuali non saremo assolutamente in grado di prefigurare e progettare alcunché di positivo per il futuro. L’assunzione acritica dei modelli dominanti potrà condurre solo a versioni minuscole e penose delle megalopoli esistenti. Cagliari è già capoluogo del sottosviluppo, nel senso più deteriore del termine. «La nostra Isola del futuro – ha scritto il 12 dicembre Salvatore Cubeddu nel sito della Fondazione Sardinia ed in quello di “Sardegna soprattutto” – sarà una Città-Stato con il nome di Cagliari e sullo sfondo un territorio in dissolvenza storicamente chiamato Sardegna»; con relativa scomparsa, dunque, anche di una parvenza di autonomia regionale. Ma si veda anche (cfr. “La Nuova” del 24 ottobre 2015) quanto ha scritto in proposito Giovanni Maciocco, già preside della Facoltà di Architettura dell’Università di Sassari, sede di Alghero, che ha preso le distanze dal concetto di città metropolitana.

La sfida.

La grande, vera sfida che la società sarda dovrà affrontare nei prossimi decenni è quella che riguarda la dinamica demografica, la quale va assolutamente considerata in relazione ad una più ampia dimensione storica, socioeconomica, politica, culturale e, soprattutto, ad un’idea di pianificazione e di progetto. Non si tratta di un problema che attanaglia solo le popolazioni dei Comuni dell’isola a rischio di scomparsa e di estinzione pressoché totale.

Da molto tempo il nodo che si vuole qui esaminare è stato posto lucidamente da vari amministratori, fra i quali in questa sede vanno almeno citati Bachisio Porru (già sindaco di Olzai) e Paolo Pisu (già sindaco di Laconi). Più di recente, nello scorso novembre, il tema è stato affrontato nel convegno di Sennariolo ad opera specialmente del sindaco di questo Comune, Giambattista Ledda e di Omar Hassan, sindaco di Modolo, presidente della Consulta dei piccoli Comuni, nonché da altri amministratori. Lo stesso problema affonda le sue radici in secoli endemicamente caratterizzati da spopolamento e sotto-popolamento. Una situazione ben diversa da quella di determinate regioni del Meridione d’Italia, che sono stati e sono invece “piene” di abitanti. Un altro buon motivo per non edulcorare e per non annegare i tratti specifici della questione sarda in un unico calderone o magma indistinto, chiamato genericamente Mezzogiorno. Operazione in passato – ed ancor oggi – propria di certa intellettualità accademica, poco o niente sensibile alle rigorose analisi di Antonio Gramsci, che ha sempre distinto Napoletano, Sicilia e Sardegna, per la quale egli aveva posto a Emilio Lussu il quesito concernente l’esistenza – o meno – di una valenza “nazionale”, in senso sardo, di determinate spinte e rivendicazioni. Purtroppo lo stesso Bottazzi ha sostenuto che la dimensione sarda non presenta un suo profilo originale, ma è Meridione, puramente e semplicemente. Una lettura che conduce al totale appiattimento: come si fa a comparare Cagliari e Sassari con la realtà napoletano-vesuviana, da secoli fra le aree con densità di popolazione fra le più alte d’Europa? Se si parte da premesse teoriche errate sarà possibile mettere a punto adeguate strategie di salvezza?

L’economista Thomas Robert Malthus smentito da John Day.

Day, storico franco-americano, grande e sincero amico della nostra isola, cui ha dedicato anni di studio e pagine dense di precisi dati quantitativi (si pensi soprattutto alle sue indagini sui villaggi scomparsi) ritiene che le vicende demografiche della Sardegna costituiscano la smentita più eloquente delle posizioni assunte dall’inglese Malthus (1766-1834): com’è noto, per questo autore l’aumento delle risorse naturali e materiali, indispensabili per la sussistenza e la sopravvivenza, non riesce a reggere, a seguire il tasso naturale di crescita delle popolazioni. Catastrofi naturali, carestie, pestilenze, guerre svolgono il triste, ma inevitabile ruolo di ricondurre la situazione ad equilibri meno precari. Secondo Malthus è indispensabile assecondare la ricerca di tale equilibrio non facendo, fra l’altro, l’elemosina ai poveri e raccomandando la castità alle coppie che non siano in grado di mantenere i propri figli. Queste tesi suscitarono violente critiche (si pensi a quelle dei socialisti utopisti Charles Fourier e Pierre-Joseph Proudhon, così come di Marx ed Engels) ma allo stesso tempo incontrarono sostanziali e perduranti consensi.

Day invece pubblica – in “Annales” (n. 4, 1975), la rivista di Marc Bloch, Lucien Febvre e Fernand Braudel, una delle più prestigiose nel panorama della storiografia internazionale – un saggio in cui si dimostra che, fra malaria, presenza-assenza di guerre e di altre calamità, la Sardegna è, comunque, perennemente spopolata e/o sotto-popolata. Una carenza di popolazione si accompagna ad un’ampia disponibilità di territori solo molto parzialmente sfruttati e non adeguatamente valorizzati.

Se in futuro si cambiasse rotta, ciò avverrebbe a tutto vantaggio dell’isola che potrebbe collocare – se non altro in importanti nicchie del mercato globale – risorse di pregio, inconfondibili, uniche, come, per esempio, il grano Cappelli: ne avevamo parlato nel novembre 2014 in un incontro ad Alghero, presso il Dipartimento di Architettura, presentando la rivista “Camineras” ed affrontando il nodo dello spopolamento, con l’economista Ivan Blecic, Tonino Budruni (docente e storico), Ninni Tedesco (direttrice della rivista); erano intervenuti, fra gli altri, Paolo Mugoni (redattore di “Camineras”), l’economista Andrea Saba e Tonino Baldino (ex-sindaco di Alghero) il quale metteva in luce già da allora che Cagliari, nella veste di città metropolitana, è destinata ad assorbire gran parte dei finanziamenti dell’Unione Europea, con relativa accentuazione degli squilibri esistenti.

Sarà indispensabile assumere consapevolezza piena – per il passato, il presente e, soprattutto, per il futuro – che determinate realtà demografiche non possono, non devono essere analizzate indipendentemente dai programmi e dalle opzioni politiche dei ceti dirigenti, italiani e sardi; si tratta di individuare al riguardo una precisa gerarchia di responsabilità. Solo così potrà essere esaminato e compreso il ruolo dei soggetti in gioco per creare e mantenere quei meccanismi della dipendenza che hanno reso la nostra isola un “laboratorio di storia coloniale” (espressione coniata da Day). Lo spopolamento, va ribadito, può essere affrontato solo con politiche ad hoc che siano parte integrante di un più ampio progetto di fuoriuscita dalla crisi, di rilancio, per l’emancipazione economica, socioculturale e politica della Nazione sarda.

Alcune tappe della dinamica demografica sarda.

Risulta oltremodo difficile ipotizzare la consistenza globale della popolazione durante il dominio romano: si è pensato che, durante il I secolo dopo Cristo, gli isolani fossero all’incirca 300.000 (circa 12 per Kmq). Attenzione, una densità bassa in rapporto a quella siciliana ed al Sud dell’Italia, alta però se paragonata al numero dei sardi nel Medioevo ed in alcuni tratti dell’Età moderna.

Agli inizi del Trecento la Sardegna è popolata da non più di 190.000 persone. Mai regione d’Europa è stata, più della nostra isola, duramente provata dalle carestie, dalle epidemie e dalla violenza del tardo Medioevo: lo sostiene Day. Tra la fine del XIV ed i primi anni del secolo successivo, quando muore, colpita dalla peste, Eleonora d’Arborea, lo spopolamento rurale tocca il punto più alto e tragico. Ma, avverte Day, si tratta delle ultime ripercussioni di un movimento cominciato in piena “prosperità pisana”: espressione che, con tutta evidenza, va rigorosamente virgolettata.

Nel Seicento, il saldo finale è passivo: infatti, intorno al 1627, la popolazione è di 310.000 unità che diventano 260.551 nel 1698. La Sardegna, fortunatamente, non conosce la peste di manzoniana memoria (quella del 1630). Tuttavia nel 1641 i sardi, in tutto, non dovevano essere più di 300.000. Il 1644 è un anno di carestia; il 1647 è segnato da un’invasione di cavallette che non è la prima e non sarà, purtroppo, neppure l’ultima, se appena pensiamo a quella del secondo dopoguerra, filmata dal regista ed etnoantropologo visuale Fiorenzo Serra. Soprattutto, del 1652-57 è la decisiva cesura stabilita dalla grande pestilenza: Sassari perde, nei confronti di Cagliari, quel primato demografico che non riconquisterà più, pur riavvicinandosi all’attuale capoluogo regionale tra fine Ottocento e primi del Novecento, come sosteneva il sindaco di allora, Pietro Satta Branca (lo scriveva Manlio Brigaglia nel suo libro sulla classe dirigente sassarese). Del 1680-81 è un altro durissimo colpo per i sardi, già duramente provati: si tratta della hambre y epidemia che fa scomparire circa 1/3 degli abitanti. Un quadro più preciso viene dagli atti degli Stamenti, l’antico Parlamento sardo di ordini privilegiati, del quale chi scrive (con altri studiosi) ha curato l’edizione critica su incarico del Consiglio regionale.

Nel Settecento la crescita è continua: in Sardegna non arriva la peste di Marsiglia del 1720-22 che fa sparire la metà della popolazione. Nell’Ottocento la dinamica demografica continua ad essere positiva, nonostante Sassari venga colpita dal colera che, nel 1855, uccide ben 6.000 sassaresi su 25.000. Pur in presenza di lebbra (sì, proprio la lebbra), malaria, tracoma ed altre malattie, alla fine del XIX secolo gli abitanti sono circa 830.000, come emerge dai lavori del primo Congresso dei Sardi, tenutosi nel 1914 in Roma, a Castel Sant’Angelo: lo abbiamo ricordato il 27 ottobre del 2014 in un incontro-dibattito nell’Università di Sassari, con il vicesindaco Gianni Carbini ed inoltre con Attilio Mastino, Gianfranco Ganau, Serafina Mascia, Paolo Pulina, Paolo Fois, Omar Chessa, Cubeddu e Vanni Lobrano.

Nel Novecento la crescita prosegue, nonostante alle malattie già ricordate si aggiunga, ai primi del secolo, un aumento dei casi di lebbra, per non parlare della tubercolosi che, nei primi decenni, colpisce particolarmente Sassari, per la quale, infine, negli anni novanta, si delinea la crescita zero. Ma per tanti altri centri la decrescita era cominciata dopo il 1951 con imponenti, quasi biblici flussi migratori, che si sommavano a quelli che, durante l’età giolittiana, si erano diretti verso l’America Latina; il picco, per l’Italia di allora, è costituito dal 1913. Un aspetto dell’emigrazione poco studiato, secondo la psichiatra Nereide Rudas, riguarda le migliaia di sardi finiti nei Cim (Centri di igiene mentale).

Fino al 1951 si era registrato un sostanziale aumento nella popolazione di tutti o quasi i Comuni sardi. In seguito cominciano a prendere corpo i ben noti fenomeni di concentrazione, soprattutto nell’area cagliaritana, in quella sassarese, più di recente in quella di Olbia; in generale, si verifica uno spostamento della popolazione verso le coste e verso le due principali città – Cagliari soprattutto – ma non si tratta di percorsi e traiettorie uniformi, come viene dimostrato dai dati e dalle tabelle della già ricordata ricerca Comuni in estinzione. Nel Capo di Sopra paesi importanti accusano emorragie di notevole consistenza: impressionano le cifre che accompagnano il percorso demografico di centri tradizionalmente operosi, dotati – e non da ieri – di energie imprenditoriali, come Thiesi, Bonorva, Ozieri, Berchidda. Comuni come Uri crescono invece assorbendo i transfughi di quelli viciniori.

In Provincia di Nuoro non sono solo Bitti ed Orune a perdere abitanti (diverso il caso di Orgosolo), ma anche Aritzo, Desulo e Tonara, da tempo noti per il turismo montano (e non solo). Ultimamente il sindaco di Orgosolo Dionigi Deledda è stato fra i pochi, mi pare, a mettere in evidenza che il nodo da affrontare e da sciogliere riguarda non la creazione di una o due città metropolitane, ma proprio il riequilibrio demografico. Nel Capo di Sotto una realtà che andrebbe studiata, per esempio, è quella di Villacidro – dove non a caso si verifica un incremento di popolazione – evidentemente in grado di mantenere un sostanziale equilibrio fra settori economici diversi (il commercio, il centro della rete distributiva di Nonna Isa, agricoltura, pastorizia), nonostante sia stata colpita dalla crisi di una fabbrica come la Keller.

Nel convegno promosso dalla Cisl e tenutosi a Mandas nell’ottobre del 2014 è stato ricordato che i piccoli Comuni isolani sono 313 su 377; 258 hanno meno di 3.000 abitanti; 31 sono quelli a rischio estinzione in un arco di tempo che va dai 10 ai 60 anni. Pur tuttavia queste realtà – cosiddette minori – hanno giacimenti archeologici, tesori d’arte e produzioni che potrebbero essere quanto mai valorizzate se appena si pensasse ad un tessuto produttivo, connettivo sardo: dovrebbe essere proprio questo l’obiettivo prioritario di ogni Giunta regionale. In effetti vengono stretti accordi con l’emiro del Qatar – che finanzia sottobanco l’Isis – e si firmano protocolli su Matrìca con un colosso come l’Eni, il primo a non rispettarli ed a sganciarsi. Una politica economica che non punti alla vocazione quasi naturale della Sardegna per la piccola struttura – agropastorale, artigianale, manifatturiera, industriale – e che non sia rigorosamente antimonopolistica vedrà infine la nostra società depauperata anche di uno straccio di autonomia decisionale, come in effetti è avvenuto.

Si è detto del convegno di Sennariolo in cui è stato ripercorso il calvario dei piccoli Comuni: chiudono l’ufficio postale, la stazione dei carabinieri, lo sportello bancario, la farmacia, la scuola elementare, il negozio di alimentari; è già molto se resiste qualche bar: le alternative? Fiscalità di vantaggio e alleggerimento del patto di stabilità, tanto per cominciare: sindaci di opposti schieramenti hanno più volte ribadito che solo uomini spinti da un mix di demenza e scelleratezza potevano pensare ad una legge che impone ad un ente di accantonare soldi – peraltro in cassa – per pagare la piccola impresa che ha eseguito qualche lavoro pubblico. Ma tutto ciò fa parte di quelle sciagurate politiche di austerity che tanto piacciono all’Unione Europea, al centro destra ed al centro sinistra e su cui neanche la cultura sardista e indipendentista ha mai fatto sufficiente chiarezza. Solo gli indipendentisti scozzesi e catalani le hanno condannate drasticamente.

La forza simbolico-politica dell’Utopia.

Un’alternativa allo svuotamento della Sardegna – puntando sull’idea di una nuova capitale – può essere delineata sia sul piano utopico, sia su quello progettuale. Utopia intesa non nel senso di un sistema sociale ideale, di un governo perfetto, fondato sulla comunione dei beni e delle donne, secondo una concezione che risale a Platone, prosegue con Thomas More, con Tommaso Campanella, per arrivare ai grandi utopisti dell’Ottocento (cui Marx deve molto di più di quanto sia disposto ad ammettere). Utopia, piuttosto, come prospettiva di uguaglianza, di giustizia, di speranza, da perseguire sulla base di quelle conquiste – economiche, sociali, politiche, culturali, spirituali – che hanno caratterizzato diversi cicli della storia dell’umanità: dalla predicazione di Gesù al primo cristianesimo, dai movimenti religiosi alle sette ereticali del Medioevo ed oltre, con la loro carica di millenarismo, sedimentatasi nella cultura popolare, presente nelle analisi dei gramsciani Quaderni del carcere; le due rivoluzioni inglesi del XVII secolo, quella del 1649 e la seconda, quella del Bill of Rights (1688-89); la rivoluzione americana e l’Ottantanove francese, che lo storico Robert Roswell Palmer considera come parte integrante di un’unica “rivoluzione atlantica”; per giungere all’Ottobre russo del 1917. Rotture epocali, che sono state indubbiamente accompagnate da un carico più o meno accentuato di violenza, da spargimenti di sangue, nonché dal rischio, ricorrente – ed assai esplicito con lo stalinismo – del rovesciamento dell’utopia nel suo esatto contrario, la distopia, cioè l’utopia negativa. Quanto fin qui detto si riscontra sostanzialmente in un’opera affascinante e significativa: Utopia. Rifondazione di un’idea e di una storia (pubblicata nel 1997 dall’editore Dedalo di Bari), che si deve ad Arrigo Colombo, animatore del Centro interdipartimentale di studi sull’utopia dell’Università di Lecce.

Di fronte ai drammatici problemi dell’isola, si rendono indispensabili proposte forti, decise, radicali, da formulare sia sul terreno dell’utopia, sia su quello del progetto. Non possiamo limitarci solo a chiedere la fondazione di una nuova capitale della Sardegna (versante utopico); l’idea era emersa ad opera della cultura sardista, secondo una proposta mutuata negli anni settanta da determinati ambienti sindacali (si veda al riguardo il libro L’ora dei Sardi, curato da Cubeddu, pubblicato nel 1999 dalla Fondazione Sardinia di Cagliari). Occorre abbinare a tale istanza un progetto, parola odiata dalle oligarchie autoreferenziali dominanti, che hanno ormai soggiogato tutti i partiti, chiuso le sezioni, impedito il dibattito e la partecipazione della base.

Una nuova capitale della Sardegna nell’ambito di un progetto più vasto.

A questo punto potrebbe balzare in primo piano il ruolo del Dipartimento di Architettura dell’Università di Sassari, sede di Alghero o di Ingegneria dell’Ateneo cagliaritano. In sinergia con altri soggetti, come la Fondazione Sardinia – o la stessa Unione dei piccoli Comuni – si potrebbero promuovere ricerche, tesi di laurea, di dottorato, per studiare il problema a partire da una riflessione, per esempio, sull’esperienza storica, architettonica ed urbanistica di Brasilia, che venne costruita durante la presidenza di Joscelino Kubitscheck, su progetto di Oscar Niemeyer: una vicenda che, per ovvie ragioni, non può essere meccanicamente applicata allo specifico contesto sardo.

Ma si potrebbe pensare anche ad indagini di economisti, sociologi, architetti, urbanisti, ingegneri civili e dei trasporti, che investano paesi e territori del centro della Sardegna, fra i quali, con razionalità, potrebbe essere scelta, dopo adeguati interventi e con opportune riqualificazioni, la nuova capitale dell’isola. Si potrebbe anche pensare ad un raccordo, su vari piani (dall’edilizia al sistema delle comunicazioni stradali) fra centri dell’interno, che possa condurre a quella “città ambientale” autorevolmente teorizzata ed auspicata da Maciocco.

Un’altra ipotesi, sottolineata da Cubeddu, potrebbe essere rappresentata dalla costruzione, presso il Monte Arci, di uno o più edifici come sedi sia del Congresso, cioè dell’Assemblea legislativa del Popolo sardo, sia dell’Esecutivo: si tratterebbe di un primo nucleo della futura “Città della Sardegna”.

L’importante è individuare – con una miscela di indagini, di tipo sia qualitativo che quantitativo – un Comune, un gruppo di Comuni o un territorio che ogni cittadina o cittadino possa raggiungere, partendo da qualsiasi luogo della Sardegna, in un’ora, un’ora e mezzo al massimo. Ciò dovrebbe essere infine oggetto di accorta disamina da parte di un’Assemblea costituente, tema da riprendere e rilanciare dopo che intorno a questa prospettiva aveva preso corpo, negli anni novanta / inizi del 2000, un movimento poi purtroppo frammentatosi ed andato verso la dispersione.

Una borsa di studio, un premio, un concorso di idee potrebbero diventare economicamente appetibili non solo con donazioni personali, ma anche lanciando una sottoscrizione, attesa, fra l’altro, la pressoché completa indisponibilità della Fondazione Banco di Sardegna verso richieste di finanziamento avanzate per ben motivati progetti culturali.

L’idea di un riequilibrio affonda le sue radici in un ordine di considerazioni storiche che non riguarda solo ed esclusivamente la demografia. Sin dal Medioevo, proseguendo con l’Età moderna, per arrivare alla contemporaneità ed alla situazione presente, recarsi a Cagliari ha costituito per gran parte degli abitanti dell’isola un sacrificio insopportabile, una penalizzazione ormai non più tollerabile. Gli atti degli Stamenti, l’antico Parlamento sardo – che ho avuto l’onore e l’onere di curare per conto del Consiglio regionale – dimostrano inequivocabilmente che la collocazione geografica di Cagliari e la sua lontananza da altre parti dell’isola determinava quasi sempre la rinuncia, per moltissimi, per i più, a recarsi colà per adire le sedi giudiziarie più alte onde vedere soddisfatte, almeno in parte, le proprie istanze (cfr. in particolare Il Parlamento del viceré Nicola Pignatelli duca di Monteleone (1688-89), a cura di F. Francioni, Consiglio Regionale della Sardegna, Cagliari, 2015, 3 tomi di circa 670 pagine l’uno). Per non parlare dell’ancor più grave e penalizzante centralizzazione su Cagliari del commercio granario.

Bisogna tornare in qualche modo all’esperienza dell’industriale Adriano Olivetti e dell’economista sassarese Gavino Alivia, che avevano concertato un piano per il ripopolamento della Nurra (lo ricordava Giulio Sapelli in un volume sull’impresa nel Nord Sardegna). Occorre una riflessione non superficiale sulla cultura delle città, partendo dalle pagine di Lewis Mumford, che era stato ripreso dal nostro Michelangelo Pira ne La rivolta dell’oggetto. Lo stesso Pira si interrogava su Cagliari, su ciò che la rende davvero bella, “Città del Sole” (si pensi al libro di Francesco Alziator) e sulle sue brutture. Cagliari ha comunque le caratteristiche geofisiche, ambientali, artistiche e culturali per diventare una delle autentiche capitali del Mediterraneo (cfr. Cagliari tra passato e futuro, a cura di G. G. Ortu, Cuec, Cagliari, 2004).

Si rende altresì indispensabile una rilettura attenta di quanto l’economista, giornalista e ambientalista Giuseppe De Marzo ha scritto sulle cosiddette Casitas Auschwitz di Città del Messico, sugli squilibri, le contraddizioni, gli obbrobri dell’urbanesimo attuale. Occorre considerare i volumi di quegli studiosi – il geografo urbano Edward Soja e John Friedman, studioso delle città, ricordati da Maciocco – che sono critici dei modelli metropolitani oggi dominanti.

All’utopia va dunque affiancata una progettualità, che contempli: a) il rilancio dell’agricoltura e della pastorizia abbinato agli obiettivi strategici della sovranità alimentare ed energetica; b) la creazione e/o il rafforzamento di un tessuto industriale e produttivo locale da avviare verso una riconversione ecocompatibile, incardinata sulla piccola impresa (si veda in proposito un succoso volumetto del già citato Sapelli); c) la realizzazione delle bonifiche a Porto Torres, Ottana, Macchiareddu, Porto Vesme, insomma, nei siti fra i più inquinati d’Europa (se non del mondo), aprendo così una concreta prospettiva di lavoro per i cassintegrati e per gli espulsi dai processi dell’industrializzazione selvaggia; d) un sistema bancario sardo; e) una rete commerciale che non sia dipendente dalla grande distribuzione, la quale dirotta verso il Nord della penisola e dell’Europa i profitti derivanti dalle spese e dai consumi dei sardi; f) il rifiuto netto dei monopoli calati in Sardegna, mossi solo dalla logica dello spremi e getta (la vendita di Versalis ed il tendenziale disimpegno dell’Eni dal progetto Matrìca dovrebbero renderci quanto mai edotti che con i monopoli è bene non firmare protocolli che non vincolano mai il più forte); g) un piano di opere pubbliche, infrastrutture e trasporti in grado di collegare i vari territori, evitando una centralizzazione ormai esasperata su Cagliari (si tratta di un nodo saldamente intrecciato alla creazione di un nuovo polo di gravitazione dell’isola); h) il ripensamento ed il rilancio della cooperazione e del mutualismo che, per il ripopolamento, unisca, in particolare, donne sarde e donne immigrate, le quali possano usufruire del microcredito.

A questo punto sarebbe essenziale esaminare in qual modo potrebbe essere applicata alla Sardegna la visione del premio Nobel per la pace Muhammad Yunus, che sosteneva la necessità di prestiti alle donne, per quanto povere, in quanto esse si fanno carico, si prendono cura – delle cose, dei problemi, delle persone – non solo della prole (cfr. il contributo di chi scrive, su “Camineras”, n. 3, maggio 2012, pp. 63-83, in particolare le pp. 67-69).

Appare evidente che i punti salienti di questa progettualità sono dettati non dalle logiche del liberismo selvaggio, ma da quelle di tipo keynesiano, dall’esigenza di un New Deal di cui la Sardegna dovrebbe dotarsi, come ha più volte auspicato Cubeddu, per guardare con meno angoscia ad un futuro in cui la minaccia di spopolamento non pesi come oggi.

L’Ocse ha riconosciuto come buona prassi quella seguita nello Stato finlandese. Nel giro degli ultimi vent’anni, nei territori dei Lapponi, con una densità di abitanti fra le più basse d’Europa, sono stati realizzati interventi cofinanziati in gran parte con fondi comunitari: agevolazioni fiscali ed incentivi per incrementare le nascite e per l’acquisto della prima casa; concessione di terreni a titolo gratuito; diffusione della banda larga; incentivi al telelavoro; accorpamento, integrazione e messa in rete dei servizi alle popolazioni locali; incentivi per la creazione di reti pubblico-private; decentramento amministrativo delle funzioni pubbliche; decentramento dei servizi alle imprese; efficientizzazione del sistema dei trasporti; e-learning nelle scuole non soltanto dell’obbligo. I risultati, incoraggianti, costituiscono spunti validi anche per il nostro contesto.

Conclusioni.

Le città metropolitana, quella voluta specialmente dall’assessore Cristiano Erriu, non ha incontrato fino ad oggi alternative credibili. I problemi della Sardegna non si risolvono nella scelta di Cagliari e/o Sassari, ma affrontando il nodo decisivo del riequilibrio demografico e territoriale. Sono state prospettate in questo articolo le seguenti, possibili scelte: 1) l’idea di una nuova capitale dell’isola; 2) la scelta di un paese al centro da riqualificare come nuova capitale; 3) un raccordo, una rifunzionalizzazione fra piccoli Comuni dell’interno per una “città ambientale” come capitale; 4) l’edificazione di una nuova sede del Congresso (cioè del Parlamento) e dell’Esecutivo in un luogo strategico (la “Città della Sardegna”). Temi e problemi che richiedono approfondimenti, competenze specifiche ed anche interdisciplinari.

Quanto è possibile fare sul piano dell’indagine razionale non è invece spendibile immediatamente nella prassi politica “ufficiale”. Qualsiasi forza (indipendentisti compresi) si troverebbe in grave difficoltà nel gestire una proposta che potrebbe alienare simpatie e consensi elettorali nel Capo di Sotto. A ciò si aggiungano le gravi responsabilità di un ceto di intellettuali sostanzialmente teracu. Bisogna dunque fare in modo che tali proposte diventino oggetto di studio, di ricerca e che possano collegarsi quanto prima al dibattito politico ed alla dimensione progettuale.

La possibilità di cominciare a studiare seriamente il problema è realizzabile. Si tratta di suscitare entusiasmi ed energie soprattutto giovanili, con un concorso di idee, con un premio, con una o più borse di studio, per cominciare a indicare una prospettiva non avulsa da un più generale moto di radicale cambiamento.

Sardegna. Nella ricerca di una nuova classe dirigente che abbia le antiche virtuose caratteristiche

sardegna dibattito-si-fa-carico-181x300Bastià Pirisi, politico e commediografo antifascista, pacifista e separatista
di Francesco Casula
Bastià (Sebastiano) PirisiBastià (Sebastiano) Pirisi, è un intellettuale, scrittore e politico sardo di rilievo ma del tutto dimenticato e sconosciuto ai più. Nel primo dopoguerra aderì al Partito sardo d’azione e dopo la marcia su Roma rimase schierato su posizioni antifasciste. Si trasferì poi nella capitale dove si laureò e iniziò a lavorare. Con il consolidarsi del fascismo si tenne estraneo alla vita politica. Prima della fine della seconda guerra mondiale costituì un comitato clandestino invitando Emilio Lussu a mettersi a capo di un insurrezione per portare la Sardegna alla indipendenza statuale.
Nel 1944 uscì dalla clandestinità e nel 1946 fondò la Lega sarda, di cui era organo il periodico Voce della Sardegna. Il Movimento si ispirava al separatismo siciliano, ma sebbene l’aspirazione a una Sardegna indipendente fosse diffusa anche nel Psd’Az, la Lega partecipa alle elezioni della Costituente del 2 giugno 1946 (con l’incoraggiamento del leader siciliano Finocchiaro Aprile e dello stesso Camillo Bellieni) ma ottiene solo 10486 voti, partecipa altresì alle successive elezioni amministrative con risultati modesti spegnendo così, almeno temporaneamente, la fiammata indipendentista. Il mancato riscontro elettorale portò la Lega alla scomparsa.
Molti i suoi scritti politici, pubblicati soprattutto su l’Unione sarda e su Voce di Sardegna. Ma la sua opera più sorprendente è la commedia in lingua sarda S’Istranzu avventuradu- Cumedia ind’unu actu che, nel 1969 per la sezione Prosa drammatica, vincerà il Premio Ozieri con questa motivazione: “La Commedia, che presenta un fatto vero accaduto in Sardegna nell’ultima guerra, mostra scioltezza ed efficacia nel dialogo, padronanza nello svolgimento della sceneggiatura e notevole incisività nei caratteri dei personaggi. Indovinata la rievocazione di costume e d’ambiente, tipica della gente sarda di quel tempo. Notevole la purezza e la proprietà di linguaggio aderente alla più schietta parlata logudorese”.
La commedia narra la vicenda di un Tenente di complemento dell’Aviazione americana che, in piena guerra (siamo nel 1943), si paracaduta da un aereo militare vicino a Capo Caccia (Alghero). Ecco come l’Autore descrive il fatto:Bidimus bolende comente unu lampu in altu meda, un areoplanu deretu a su chelu supra Monte Olidone, totu inghiriadu de neuleddas biancas che nie…Induna induna, accò qui distinghimos subta sas alas unu telu tundu falende lentamente, mentras qui s’areoplanu, l’haimus già supra a nois derettu a iscumparrere ad sa ‘olta de Cabu Cazza…Ei tando sas batterias giambant su tiru e si la leant cum su telu…«cussu est unu pararutas!»narat su padronu…«Abbaidade! …No lu idides s’homine trattesu dae sas funes?» Sas batterias zessant su fogu…s’homine agganzadu sighit a falare, ma su entu de levante lu trazat supra sos iscollios…(Vediamo che vola velocissimo nel cielo un aereo sopra il Monte Olidone, interamente circondato da nuvolette bianche come la neve…Improvvisamente ecco che distinguiamo sotto le sue ali un telo tondo che scende lentamente mentre abbiamo già sopra di noi l’aereo che diretto verso Capo Caccia, scompare. Allora le batterie (contraeree) cambiano tiro e se la prendono con il telo…«quello è un paracadutista!» dice il padrone…«Guardate!..non lo vedete l’uomo trattenuto dalle funi?» Le batterie cessano il fuoco…l’uomo agganciato continua a scendere, ma il vento di levante lo trascina sopra gli scogli…).
Il suo destino sembrava segnato: essere divorato dai pesci. O comunque fucilato dai tedeschi come spia. Si salva invece e ospitato e nascosto da Don Vittorio Serra, conte di Roccamanna e dai suoi amici, ritornerà sanu e liberu a domo sua, in America … pro abbrazzare muzere e fizu.
La vicenda del tenente americano, per l’Autore è solo un pretesto per “confezionare” una Commedia politica, con la Sardegna (ma soprattutto Cagliari) a più riprese bombardata dagli Anglo-americani, con una guerra più volte definita nel testo come malaitta (maledetta). Emerge con chiarezza il Sebastiano Pirisi pacifista e antifascista, sardista e separatista. Denuncia infatti una guerra maledetta che ha molti padri: il re (a cui la corona di imperatore l’hat frazigadu su carveddu!), Mussolini (cuddu ciacciarone de teracazzu), Hitler (s’anticristu fuidu dae s’inferru).Alla figlia Donna Juannica (Donna Giovannina) che sostiene: ”La guerra, a quanto mi hanno assicurato, a Roma, l’ha voluta il popolo italiano, quasi per intero”, Don Vittorio Serra, uno dei personaggi più importanti, in cui non è difficile riconoscere l’Autore stesso, replica infatti :”Quello che io non riesco a comprendere è come mai il nostro Re ha dato mano libera a quel parolaio, servaccio dell’anticristo fuggito dall’inferno…A meno che la corona di imperatore non gli abbia infracidito il cervello!…
E certo responsabili sono anche gli Italiani, maccos che loa (completamente pazzi). Sugli Italiani Sebastiano Pirisi – sempre per bocca del Conte Serra – è durissimo. Li accusa di bieco opportunismo, di trasformismo, di mancanza di coerenza. “L’italiano? – si chiede il Conte che conosce bene la storia e ha letto Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa – …che custodisce nel baule cento bandiere, una diversa dall’altra, sempre pronto a esibirne una dal balcone, di volta in volta, a seconda dell’occasione che si presenta?”
Ma comunque i Sardi cosa c’entrano con le pazzie degli Italiani? Infinis, eo mi pregunto ite neghe nd’haimis nois Sardos de totos sos degoglios de su continente, qui hant provocadu tantu male ad s’humanidade? (Infine io mi domando – dice ancora il Conte – che colpa ne abbiamo noi sardi di tutti i massacri del continente, che tanto male hanno provocato all’umanità”?
Come Sardi aspettiamo ancora una risposta, a questo interrogativo del Conte di Roccamanna, ovvero del sardo-separatista Sebastiano Pirisi.
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Giovanni Maria Angioy Memoriale 2«Malgrado la cattiva amministrazione, l’insufficienza della popolazione e tutti gli intralci che ostacolano l’agricoltura, il commercio e l’industria, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la sussistenza dei suoi abitanti. Se la Sardegna in uno stato di languore, senza governo, senza industria, dopo diversi secoli di disastri, possiede così grandi risorse, bisogna concludere che ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa, e che gli antichi non hanno avuto torto a rappresentarcela come un paese celebre per la sua grandezza, per la sua popolazione e per l’abbondanza della sua produzione.»
In un recente convegno sulle tematiche dello sviluppo della Sardegna, un relatore, al termine del suo intervento, ha proiettato una slide con la frase sopra riportata, chiedendo al pubblico (oltre duecento persone, età media intorno ai 40/50 anni, appartenente al modo delle professioni e dell’economia urbana) chi ne fosse l’autore, svelandone solo la qualificazione: “Si tratta di un personaggio politico”. Silenzio dei presenti, rotto solo da una voce: “Mario Melis?”. No, risponde il relatore. Ulteriore silenzio. Poi un’altra voce, forse della sola persona tra i presenti in grado di rispondere con esattezza: “Giovanni Maria Angioy”. Ebbene sì, proprio lui, il patriota sardo vissuto tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, (morto esule e in miseria a Parigi, precisamente il 22 febbraio 1808), nella fase della sua vita in cui inutilmente chiese alla Francia di occupare militarmente la Sardegna, che, secondo i suoi auspici, avrebbe dovuto godere dell’indipendenza, sia pur sotto il protettorato francese (1).
Mario Melis 1E’ significativo che l’unico uomo politico contemporaneo individuato come possibile autore di una così bella frase, decisamente critica nei confronti della classe dirigente dell’Isola (e quindi autocritica) e tuttavia colma di sviluppi positivi nella misura in cui si potesse superare tale pesante criticità, sia stato Mario Melis,, leader politico sardista di lungo corso, il quale fu anche presidente della Regione a capo di una compagine di centro-sinistra nel 1982 e di nuovo dal 1984 al 1989. Evidentemente la sua figura di statista resiste positivamente nel ricordo di molti sardi. E questo è bene perché Mario Melis tuttora rappresenta un buon esempio per le caratteristiche che deve possedere un personaggio politico nei posti guida della nostra Regione: onestà, competenza (più politica che tecnica), senso delle Istituzioni, passione e impegno per i diritti del popolo sardo. Caratteristiche che deve possedere non solo il vertice politico, ma ciascuno dei rappresentanti del popolo nelle Istituzioni. Aggiungerei che tali caratteristiche dovrebbero essere comuni a tutti gli esponenti della classe dirigente nella sua accezione più ampia, che insieme con la classe politica comprende quella del mondo del lavoro e dell’impresa, così come della società civile e religiosa.
Oggi al riguardo non siamo messi proprio bene. Dobbiamo provvedere. Come? Procedendo al rinnovo dell’attuale classe dirigente in tutti i settori della vita sociale, dando spazio appunto all’onestà, alla capacità tecnica e politica, al senso delle organizzazioni che si rappresentano, alla passione e all’impegno rispetto alle missioni da compiere.
Compito arduo ma imprescindibile.

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(1) Sappiamo come andò a finire la storia: i francesi si guardarono bene dall’intervenire, perlomeno in Sardegna – contrariamente a quanto fecero in Piemonte – per la quale tennero fede all’Armistizio di Cherasco (28 aprile 1796) e al successivo Trattato di Parigi (15 maggio 1796) che, sia pure con termini pesantissimi per i sabaudi, consentì loro di mantenere costantemente e definitivamente il potere sull’Isola.

Scienza e fantascienza tra conoscenza, inquietudine e meraviglia

Biblioteca Lussu CaITALO CALVINO, MINIERA DI STIMOLI PER LE SCIENZE

Giovedì 10 marzo alle ore 18 secondo appuntamento della rassegna culturale promossa dalla Biblioteca Provinciale nell’ambito dei programmi di promozione della lettura. L’incontro-dibattito si terrà presso la sala conferenze Giovanni Lilliu della Biblioteca Provinciale, parco di Monte Claro, ingresso in auto da via Mattei o da via Romagna (ingresso dell’ex ospedale psichiatrico).
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Scienza e fantascienza tra conoscenza, inquietudine e meraviglia

cagliari-JacekYerkaE’ il titolo della rassegna culturale che inizierà giovedì 3 marzo alle ore 18. L’iniziativa, promossa dalla Biblioteca provinciale nell’ambito del programma di promozione della lettura, si svolgerà nella sala convegni Emilio Lussu della Biblioteca provinciale (situata in cima al parco di Monte Claro, ingresso in auto da via Romagna).
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La fantascienza oggi, immagini di futuro tra utopie e distopie, è il titolo dell’incontro che si svolgerà giovedì 3 marzo alle ore 18 con un dibattito con Franco Meloni, già professore ordinario di fisica della materia presso il corso di laurea in fisica nell’Università di Cagliari, sostenitore e promotore di innovativi settori di ricerca volti anche al recupero di zone industriali dismesse, nonché attento cultore di letteratura di fantascienza; il tutto prendendo spunto dal libro L’inferno comincia nel giardino di Jonathan Lethem (scrittore e saggista statunitense). Si discuterà sul ruolo della fantascienza oggi sia nei suoi rapporti con le scienze, che in termini sociologici e pedagogici.
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Ma perché la fantascienza? Si può dire che sino alla fine del secolo scorso scienza e fantascienza hanno spesso marciato, più o meno, di pari passo caratterizzandosi, la fantascienza, in due grandi filoni: uno, che si può far risalire a Giulio Verne, per lo più teso all’avventuroso, al meraviglioso e al cosmico, e con un interesse affascinato verso il progresso tecnico-scientifico; l’altro, riconducibile al filone aperto da George Wells, volto a un atteggiamento più scettico, che guarda al futuro con occhio critico e preoccupato per l’uso che l’essere umano fa dello sviluppo del pensiero tecnico-scientifico. E così si ha, per fare alcuni esempi, da un lato il formidabile progresso della fisica, della matematica e della biologia nei primi due terzi del secolo scorso (dalla relatività generale alla fisica quantistica, dalle geometrie non euclidee agli indecidibili di Kurt Godel, dai vaccini al codice genetico); e, dall’altro e in parallelo, si ha l’uso delle bombe atomiche nella seconda guerra mondiale e l’aumento del dislivello economico col sud del mondo. Da cui l’entusiasmo e lo scetticismo della fantascienza. – SEGUE –

Zona franca urbana, punto franco doganale: opportunità di sviluppo e lavoro per Cagliari

zona-ffanca-e-punto-franco-CCC E’ il tema dell’incontro-dibattito organizzato da Cagliari Città Capitale per mercoledì 10 febbraio, con inizio alle ore 17.30, presso la sala Search del Comune, Largo Carlo Felice 2. All’evento moderato dalla giornalista Alessandra Addari, interverranno Roberto Mirasola di Cagliari Città Capitale, l’ex deputato Pietro Maurandi, Marco Sini, l’economista Gianfranco Sabattini e il direttore di Aladinews Franco Meloni. Dopo il dibattito, concluderà gli interventi Enrico Lobina, candidato Sindaco di Cagliari Città Capitale.
- La pagina fb dell’evento.

Punti franchi doganali. Quello di Cagliari sembrava quasi fatto, poi tutto si è fermato… Cerchiamo di capire a che punto siamo. Lo dicevamo nell’ottobre 2015, ma la situazione è restata identica

Pinocchio visto da Enrico Mazzanti di Firenze anno 1883IL CIABATTINO PIGLIARU (della zona franca). Durante la prima guerra mondiale un soldato sardo portò ad aggiustare i propri stivali ad un ciabattino di Asiago, il quale, dopo averne valutato lo stato e l’entità delle riparazioni da fare, disse: “Va bene, torna tra quindici giorni”. E li ripose in uno scaffale alle sue spalle. Il soldato se ne andò soddisfatto, ma non tornò dopo quindici giorni, avendo dimenticato i suoi stivali, forse perché impegnato a salvare la pelle, come per fortuna gli riuscì. Se ne ricordò d’un tratto ben tre anni dopo, quando, a guerra finita, tornato ad Asiago, questa volta in visita turistica, mentre passeggiava nella città riconobbe la bottega del calzolaio. Entrò, si presentò e chiese dei suoi stivali. “Mi ricordo benissimo”, disse il calzolaio, tirando fuori dallo scaffale gli stivali impolverati, esattamente nello stato in cui il soldato glieli aveva consegnati tre anni prima. “Ma non ricordo cosa le avevo promesso”. “Beh – disse l’ex soldato – mi aveva detto di ripassare dopo quindici giorni che me li avrebbe consegnati tornati a nuovo”. “Ah! Ora mi ricordo” – disse il calzolaio. “E allora?” – chiese l’ex soldato. “Esattamente come le avevo promesso – rispose il ciabattino – Torni tra quindici giorni”.
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zona-ffanca-e-punto-franco-CCCIn vista del Convegno di Cagliari Città Capitale di mercoledì 10 febbraio ripubblichiamo un nostro articolo del 14 ottobre 2015; purtroppo non occorre aggiornarlo perché la situazione perdura immutata: si chiama immobilismo, ma anche presa per il naso dei cittadini.
porto panape innovativadi Franco Meloni
Tre mesi fa, precisamente il 30 giugno scorso, la Giunta regionale approvava con propria delibera il “Piano operativo della Zona Franca di Cagliari”. L’assessore dell’Industria, Maria Grazia Piras sottolineava l’importanza del provvedimento, così dichiarando: “Ci consente di individuare e studiare un modello di Zona franca che vorremmo estendere, come previsto dal nostro Statuto, agli altri cinque punti franchi della Sardegna: Olbia, Porto Torres, Oristano, Arbatax e Portovesme. Il punto di Cagliari, insomma, sarà una sorta di «laboratorio» che permetterà alla Regione di capire come integrare le Zone franche con modelli di sviluppo coerenti con le esigenze dei diversi territori”. “La deliberariportava una nota stampa della Giuntaconsentirà alla società Cagliari Free Zone di realizzare gli interventi inseriti nel progetto, che ha già ottenuto il nulla osta dell’Autorità doganale di Cagliari. Il Piano Operativo prevede la realizzazione dei servizi comuni e la collocazione logistica degli spazi da adibire a servizi generali. Si tratta di infrastrutture che consentiranno l’avvio delle prime attività. Il Progetto di massima di Cagliari Free Zone individua un lotto di 6 ettari all’interno della zona attualmente recintata nella parte posteriore del piazzale di banchina del molo di Levante del Porto Canale. Il lotto sarà recintato su quattro lati e vi saranno due accessi. I costi di massima per le opere da realizzare ammontano a poco meno di un milione e 100 mila euro. In particolare, saranno costruite le palazzine e sarà sistemata la viabilità. Interventi anche sui servizi tecnologici, il telecontrollo, l’illuminazione e l’impiantistica”. Bene, commentavamo in tale occasione nella nostra news, rammentando i ripetuti interventi sulla questione, che datano dall’esordio on line della stessa: aspettiamo i fatti! Ma, allo stato, questi fatti non si top secretvedono proprio. Non troviamo alcuna informazione sul sito web della Regione, doverosa sulla base della normativa sulla trasparenza. Ma, ci diciamo: andando oltre i noti “difetti di comunicazione” della Regione, non è detto che non si stia facendo nulla… Certo è che se qualcosa si sta facendo è «top-secret». Non solo per noi, ma perfino per uno dei più diretti interessati, cioè l’attuale presidente della Società consortile SpA Zona Franca di Cagliari, Piergiorgio Massidda, il quale in un articolo-intervista (apparso il 13 ottobre nel suo blog ufficiale) informa di aver partecipato il 6 ottobre a una riunione con l’assessore all’industria della Regione Sardegna. In quella sede, dichiara Massidda: “ho ribadito di aver raccolto in giro per il mondo l’adesione di tanti investitori internazionali che stanno aspettando dalla Sardegna una risposta; mi è stato detto che avremo delucidazioni entro poche settimane; è già passata una decina di giorni; l’impressione avuta durante i vari incontri con assessori e dirigenti è che si vogliano rimandare queste decisioni senza spiegarne il perché; spero che l’assessore si renda conto dell’importanza del suo interessamento e delle potenzialità della Zona Franca Portuale Doganale”. Massidda esprime poi una serie di altre considerazioni, che quantunque influenzate dalla sua probabile candidatura a Sindaco di Cagliari nell’imminente tornata elettorale, sono interessanti e in certa parte coincidenti con le posizioni di Aladinews su Zona franca e dintorni, assunte in tempi non sospetti. Ad esempio, dice Massidda: “(…) l’Ente maggiormente interessato [alla Zona Franca] dovrebbe essere il Comune di Cagliari in quanto azionista sia del CACIP che membro del comitato dell’Autorità Portuale, al pari della Regione, ma l’attuale Sindaco di Cagliari ha già fatto intendere che non ritiene che sia compito del Comune investire per la creazione di posti di lavoro a Cagliari. La Regione ha tuttavia facoltà statutaria di entrare nella ZFD con capitale proprio come azionista considerato che è anche l’istituzione con la maggiore solidità finanziaria; più volte si è prospettata l’ipotesi dell’ingresso della regione attraverso la SFIRS ma anche questa soluzione è rimasta sulla carta. Davvero inspiegabile. Secondo alcune voci ciò accade perché ci sono io alla Presidenza e quindi c’è la certezza che il lavoro si crei per davvero, mettendo fuorigioco chi vorrebbe trasformare la Zona Franca in una fabbrica di poltrone (…) Sarebbe bene che tutti ragionassero su come restituire al Comune di Cagliari il suo ruolo centrale nello sviluppo economico, sociale e politico dell’isola, arrestando e invertendo questo palpabile decadimento e rivitalizzando le sue naturali direttrici di sviluppo.”. Infatti, al netto della componente strumentale elettoralistica (peraltro legittima) del suo discorso, le sue considerazioni sono condivisibili. In uno dei richiamati interventi di Aladinews, precisamente del 9 giugno 2014, mentre si dava atto di significativi passi avanti nella realizzazione del punto franco di Cagliari – anche per la meritoria attività di Piergiorgio Massidda quando ricopriva la carica di Autorità portuale di Cagliari – con il rafforzamento della compagine sociale della Società “Cagliari free zone” attraverso gli ingressi della Camera di Commercio e del Comune di Cagliari (già deliberati dai rispettivi organi di governo), si constatava come il modello per il punto franco di Cagliari fosse sostanzialmente quello di Barcellona (città méta di numerose visite/vacanze-studio dei nostri amministratori). La situazione di Barcellona è paragonabile (mutatis mutandis) a quella di Cagliari, non solo per quanto riguarda lo strumento “punto franco doganale”, ma per le analogie del contesto barcellonese che potrebbero in certa misura consentire una replica dell’esperienza su Cagliari. Per esempio con il “naturale” insediamento accanto alla zona franca di centri universitari e aziende utili alle attività di trasformazione consentite nella stessa zona franca. In un non lontano convegno della Camera di Commercio di Cagliari (4 maggio 2012) l’esperienza di Barcellona era stata ben illustrata (purtroppo gli atti del convegno, in particolare l’ottima relazione di Iolanda Conte, esperto di Unioncamere, non risultano più reperibili nel sito istituzionale della Camera).
E allora? Avevamo salutato con favore la decisione della Giunta regionale del 30 giugno scorso e aspettiamo i fatti, che purtroppo, come detto, non si vedono ancora. Per ora non abbiamo null’altro da aggiungere, se non ribadire ancora una volta un concetto a noi caro: per fare una zona franca di successo occorre la costituzione di una compagine di gestione efficiente, fortemente integrata e unita. E’ una condizione realizzabile? Cioè: è possibile che Francesco Pigliaru o l’assessore competente (Regione), Massimo Zedda (Comune), Paola Piras (Camera di Commercio), Vincenzo Di Marco (Autorità portuale), il presidente del Cacip, ma anche Maria Del Zompo (Università) e pochi altri, trovino la formula magica della compattezza nella predisposizione e realizzazione di un comune progetto? Per come fino ad ora dette Istituzioni e i rispettivi responsabili si sono comportati in questa o analoghe circostanze si può essere solo pessimisti. Speriamo arrivino tempi migliori.
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DOCUMENTAZIONE

Delibera del 30 giugno 2015, n. 33/18 [file .pdf]
Piano operativo della zona franca di Cagliari ai sensi dell’art. 7 del D.P.C.M. 7 giugno 2001.
All. 33/18 [file .pdf]

PIANO (allegato alla delibera della G.R.)
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Articolo-Intervista a Piergiorgio Massidda sul suo blog ufficiale (13 ottobre 2015)

StemmaAraldico_ComuneCagliari_feb2015_d0- Odg del Consiglio Comunale di Cagliari del 1° luglio 2014 per l’adesione al Comune alla Società Cagliari free zone.

stemma RAS Consiglio-regionale-Sardegna- Legge regionale 2 agosto 2013, n. 20 “Norme urgenti per l’attuazione ed il funzionamento delle zone franche istituite nella Regione autonoma della Sardegna”

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ARCHIVO ALADINEWS del 21 agosto 2013
Zona franca: liberate Barabba!
Zona franca: liberate Barabba!
ape-innovativadi Franco Meloni, su Aladinews
Tutti conosciamo la situazione disastrosa dei trasporti (di tutte le vie) da e per la Sardegna, nonchè della rete interna, con poche eccezioni rispetto ad alcune tratte. Portiamo come esempi negativi la tratta aerea per Milano, per la quale occorre prenotarsi con almeno un mese in anticipo e, riguardo all’interno, il collegamento via treno Cagliari-Sassari (o viceversa) con una percorrenza di oltre tre ore!
Solo considerata questa situazione, in gran parte addebitabile direttamente all’inerzia e incapacità del governo regionale, ma complessivamente alla nostra classe dirigente, risulta non credibile e perfino comica la presa di posizione di Cappellacci e della sua giunta sulla questione della zona franca: per ottenerla (nella forma integrale) si dovrebbe convincere il governo italiano (notoriamente ostile a questa ipotesi) a condurre una dura vertenza con l’Unione Europea, anch’essa poco propensa ad autorizzare le zone franche nelle diverse possibili configurazioni. Ma ve lo immaginate il presidente battere i pugni sui tavoli del governo Letta (o chi altri gli succederà) e della commissione europea, nell’immaginario (e non solo) rappresentata dalla cancelliera (di ferro) Merkel, per far valere le “ragioni dei sardi”? Intanto così come si rivendicano più consistenti fondi europei nonostante non si riesca a spendere nella totalità quelli di cui già si dispone, si vuole una zona franca integrale, di difficile se non impossibile ottenimento e nel mentre non si attuano i punti franchi doganali, quelli già previsti dalla normativa. In verità su questo versante si è mosso il Consiglio regionale, con una pessima leggina [L.R. 2 agosto 2013] che al massimo potremmo salvare per l’intento (destinato al fallimento, crediamo) di assicurare una “copertura regionale” per la realizzazione dei sei punti franchi. In realtà detta leggina, di complicata attuazione e del tutto inammissibile nella previsione di surroga del potere regionale con quello prefettizio (!)* rischia di impedire quanto di concreto si stava cominciando a fare a Cagliari con la realizzazione del punto franco doganale, già possibile da ben dodici anni. Di questo abbiamo parlato in un editoriale su Aladin a cui rinviamo. Al riguardo segnaliamo inoltre i pregevoli interventi di Antonio Ladu, su Tiscali news (ripresi anche da Aladinpensiero blog).

Ma dobbiamo avvertire che all’impostazione demagogica della problematica, di cui è portatore il movimento per la zona franca integrale che ha coinvolto ben 350 comuni sardi e a Ugo Cappellacci che ne vuole essere condottiero, non si possono opporre solo ragionamenti e richiami alla ragionevolezza, seppur con tutti i possibili approfondimenti, da svolgere in modo aperto e senza pregiudizi. Occorre una vasta e partecipata battaglia di contrasto e soprattutto di rivendicazione di quanto si può e deve fare da subito. Ci riferiamo in modo particolare alla realizzazione del punto franco di Cagliari e degli altri cinque che devono seguire.

Occorre muoversi con tutti i mezzi di comunicazione, al di là dei pochi che già sono attivi, come questo e altri blog, ma anche organizzare iniziative assembleari.
Muoviamoci per impedire che vinca la demagogia, ricordandoci che la folla fanatica libera Barabba e crocifigge Gesù.

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* Ecco il commento – sdegnato e da noi pienamente condiviso – di Gesuino Muledda su fb ”se Emilio Lussu dovesse tornare in questa Sardegna entrerebbe a cavallo in Consiglio Regionale per cacciare via questi analfabeti della autonomia che nominano un prefetto commissario della Regione Autonoma della Sardegna.ma dove diavolo erano i “sovranisti”e gli autonomisti? è la prima volta nella storia della autonomia che in una legge si prevede che a una inadempienza della giunta ponga rimedio un prefetto. e i sardisti che cosa facevano?”

Ex servitù militari a Cagliari: una risorsa per la Città

ex servitù Paolo Erasmodi Paolo Erasmo*

– Sono passati circa dieci anni dal 21 Gennaio del 2006 quando, dopo un lungo, serio ed appassionato lavoro, abbiamo organizzato insieme ad un gruppo di amici il convegno “Ex Servitù militari a Cagliari: una risorsa per la città”.

Tra i relatori Gianni Nieddu Senatore dei DS, il consigliere regionale Paolo Maninchedda di Progetto Sardegna ed il consigliere comunale Claudio Cugusi dell’Ass.ne Emilio Lussu; il dibattito fu interessante e non mancarono le idee e le proposte di riconversione delle ex servitù militari, tuttavia i risultati ancora oggi latitano.

Alcuni anni dopo, quasi cinque per la precisione, il 13 Aprile 2011, il candidato Sindaco Massimo Zedda su iniziativa del SEL partecipò al dibattito dal titolo “Progetti ed idee di qualificazione sostenibile per la città”: tra le possibili ipotesi di riutilizzo delle ex servitù si ipotizzarono orti urbani, fattorie didattiche e progetti come “la casa dell’artista”.

Una volta eletto sindaco al ballottaggio attendemmo le dichiarazioni programmatiche da parte di Zedda, ma nella presentazione in Consiglio non vi fu nessun cenno al riutilizzo delle ex servitù militari. Una semplice svista? Non credo, considerando che nel mandato di amministrazione che sta per concludersi non c’è stato nessun intervento concreto per il trasferimento e il riutilizzo delle ex servitù militari dalla Regione Sardegna alla città di Cagliari.

Se questo atteggiamento poteva considerarsi “giustificato” con la precedente Giunta Regionale, proprietaria dei beni e considerata avversa per colore politico, non si può dire che le cose siano migliorate con la Giunta attuale considerata “amica”… Anzi: uno degli ex beni militari che si trova in un quartiere dormitorio con pochi servizi è stato messo all’asta alla cifra di quasi 6 milioni di euro; l’asta è andata deserta, probabilmente nell’attesa da parte di qualche ”palazzinaro“ di poter usufruire di un prossimo ribasso della base d’asta per poter acquistare ad un prezzo più vantaggioso e poter costruire ancora qualche palazzo in città. Tutto ciò potrebbe avvenire senza che l’amministrazione rivendichi il bene per poter creare i servizi mancanti nel quartiere.

Dopo tanta inerzia sul tema il 16 ottobre del 2015 la Giunta Regionale, su iniziativa dell’Assessore agli enti locali e urbanistica Erriu, ha approvato la delibera 50/3 per il istituire la “Cittadella della Solidarietà e del Volontariato”; naturalmente la delibera è perfettibile, in quanto attualmente non prevede nessuna dotazione finanziaria per la rimessa in uso e riutilizzo dei fabbricati dell’ex deposito carburanti aeronautica. Si tratta di una bella sfida per i cittadini, per le associazioni e le organizzazioni che vorranno avanzare la propria candidatura per la gestione del complesso, in accordo con la Regione ed il Comune di Cagliari.

Naturalmente sarà necessario coinvolgere nella predisposizione del disciplinare per l’affidamento degli spazi, il cui compito è affidato alla Direzione Generale degli Enti locali, oltre che l’osservatorio regionale del volontariato, anche le associazioni di promozione sociale e gli altri soggetti portatori di interesse, per rendere il progetto “inclusivo” e sostenibile sia dal punto di vista ambientale, che da quello economico, con l’eventuale coinvolgimento di soggetti privati.

Dovranno essere ricercate le più opportune modalità di concretizzazione di tale impostazione con l’utilizzo di pratiche virtuose positivamente sperimentante in situazioni analoghe in Italia e in altri Stati, con un particolare impegno delle Istituzioni coinvolte, nella fase di studio con il coinvolgimento specifico dell’Università, in quella di programmazione e realizzazione dei progetti e in fase di valutazioni ex-ante ed ex-post.

Naturalmente per fare questo il ruolo del futuro Sindaco di Cagliari non può essere ricoperto da chi per decenni ha avuto ruoli di grande rilievo nelle istituzioni senza che la propria azione abbia contribuito al miglioramento delle condizioni economiche dei cittadini, ma non dovrebbe essere ricoperto neanche da chi amministra la Città e vorrebbe continuare a farlo, facendo promesse in campagna elettorale salvo poi disattenderle totalmente quando di tratta di trasformare le promesse in azioni di governo.

In conclusione vorrei ricordare l’intervento dell’On. Mario Melis nella “Conferenza regionale sulle servitù militari in Sardegna del 1981”:

“Dovremmo però farci promotori, insieme alle altre regioni di una nuova legge che imponga al Ministero della Difesa la restituzione gratuita alle comunità locali, con il vincolo di destinazione ad usi pubblici dei beni dismessi dall’autorità Militare. Onde evitare operazioni di tipo speculativo dovrà essere evitata la cessione a privati”.
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* su Cagliari Città Capitale
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Mario-Melis-sardista

CAGLIARI. Dibattito su/per la città alla vigilia delle elezioni comunali

AladinDibattito-CAape-innovativa2Pubblichiamo l’articolo di Gianfranco Murtas, traendolo dal sito della Fondazione Sardinia, considerandolo un interessante contributo al Dibattito su/per la città alla vigilia delle elezioni comunali (ormai siamo pienamente immersi in una lunga campagna elettorale).
Al riguardo ribadiamo il senso del nostro impegno come Aladinews ben delineato in una dichiarazione che ci sembra opportuno qui richiamare per una lettura integrale e di cui di seguito riportiamo un passaggio. Le campagne elettorali hanno aspetti ambivalenti e contraddittori: da un lato sono occasioni di strumentalizzazioni di ogni tipo, dall’altro costringono i cittadini e soprattutto le forze politiche a una disponibilità al dibattito, sconosciuta in altri periodi. Tocca a noi, opinione pubblica, fornire un terreno di confronto che diminuisca i rischi del primo aspetto e consenta ai cittadini elettori di farsi un’opinione di programmi e persone che li rappresentano, misurandone la credibilità. Altrimenti c’è la sfiducia e la conseguente diserzione delle urne, che, badate bene, fa premio a una classe politica il cui motto è diventato “meno siamo (gli elettori), meglio stiamo (gli eletti)”. Noi pratichiamo una linea virtuosa, quella della partecipazione popolare per la città di tutti. Ecco perchè pensando alle elezioni comunali di Cagliari del prossimo anno, prendendo atto che la campagna elettorale è ormai aperta, diamo spazio a un dibattito sulla città, senza limiti e pregiudizi o rispetto reverenziale per chicchessia. Con queste motivazioni abbiamo pubblicato una serie di interventi che ci sono sembrati particolarmente “utili alla causa” e continueremo nel tempo a pubblicarne di nuovi. Chiaramente la nostra è una scelta “arbitraria” che vuole esplicitamente portare acqua al mulino del rinnovamento nei programmi e nelle persone che vorremmo al governo della nostra città, obiettivo che ci vede precisamente schierati.
Zedda MassiddaEnrico-Lobina mezzobusto
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Di Zedda e Massidda candidati sindaco: no, no e no. E qualche considerazione sul sardismo d’oggi
di Gianfranco Murtas

Si affacciano le prime candidature alla guida dell’Amministrazione civica di Cagliari e nell’affollamento di liste e di nomi sarebbe utile forse, dalla parte della cittadinanza, definire, come in una matrice di compatibilità e preferenze, i parametri elementari di gradimento. Dico la mia, non perché sia cosa importante in sé, ma perché può valere come testimonianza di una elaborazione che gode, e non se ne dispiace, di chiamarsi politica.
Valgano, a premessa orientatrice, alcuni rapidi cenni di una esperienza personale, nel concreto della vita civica cagliaritana e sarda di questi ultimi quarant’anni. Me ne incoraggia anche – lo dico onorando l’uomo e lodando il suo magnifico lavoro autobiografico “Il cugino comunista. Viaggio al termine della vita” (sul quale mi riprometto di tornare nei prossimi giorni) – l’esempio di un mio quasi coetaneo che ha riversato nella militanza politica, con risultati apprezzati, gli anni migliori della sua esistenza, le sue migliori energie intellettuali, la sua passione civile e sociale: Walter Piludu. Mi hanno evidentemente toccato, in particolare, nei capitoli introduttivi, le confidenze circa la sua simpatia adolescenziale per l’area democratica azionista presidiata dai repubblicani di Ugo La Malfa. Piludu dalla democrazia liberale al comunismo, come Giorgio Amendola giovane, nella temperie della dittatura in fasce, transitato dal liberalismo sociale del padre (di Giovanni Amendola cioè, assassinato dai fascisti, e degli uomini della Unione Democratica Nazionale, ivi compresi, con il giovanissimo Ugo La Malfa, uomini come Mario Berlinguer e Francesco Cocco-Ortu sr. e molti massoni nazionali e sardi) al comunismo allora in conversione, certo non nobilitante, dal gramscismo al togliattismo.
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Lussu riferimento del nostro operare politico odierno. “Lussu propone, con il suo impegno totale e la sua intelligenza creativa, una moralità ed una capacità ancora esemplari, non interpretate e portate a esiti conseguenti da quanti a lui sono succeduti nella direzione politica del nostro paese”

lussu-opere 3Emilio Lussu e “La costruzione delle democrazia”
4 Dicembre 2015

democraziaoggi loghettoStasera alle 17 presso la Fondazione del Banco di Sardegna verrà presentato, edito dalla Cuec, il terzo volume delle Opere complete di Emilio Lussu, secondo il progetto – destinato a concludersi entro pochi anni, con la pubblicazione di altri cinque tomi -, concepito dall’Istituto sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia. Questo libro comprende gli scritti del prestigioso leader socialista dal 1943 al 1948 e si intitola “La costruzione della democrazia”.
- Sul volume, curato da Luisa Plaisant, una presentazione di Giuseppe Caboni, uno degli ispiratori di questa preziosa raccolta.
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Mese dei Diritti Umani: ad Assemini mostra di Takoua Ben Mohamed, la ragazza che combatte le discriminazioni con i fumetti

Women story sponsor 4 5 dic15
Giovedì 3 DICEMBRE la CONFERENZA STAMPA di presentazione – segue -

Ma esiste ed è esistita una letteratura sarda?

museo Cadi Francesco Casula

Ma è esistita ed esiste una letteratura sarda? C’è chi lo nega. Alcuni dubitano perfino che la Sardegna abbia avuto una storia tout court.

Emilio Lussu ha scritto che noi non abbiamo avuto una storia. La nostra storia è quella di Roma, di Aragona ecc. Lo storico francese Le Roy Ladurie ha sostenuto che la Sardegna giace in un angolo morto della storia. Francesco Masala, il nostro più grande poeta etnico, parla di storia dei vinti perché i vinti non hanno storia. Fernand Braudel, il grande storico francese, direttore della rivista “Annales” che rivoluzionerà la storiografia contemporanea, alludendo ad alcuni popoli mediterranei, fors’anche all’Isola, ammette che la loro storia sta nel non averne e non si discosta molto da questa linea raccontando che viaggiare nel mediterraneo significa incontrare il mondo romano nel Libano e la preistoria in Sardegna.

Il mestiere dello storico di cose sarde, diventa difficile senza dubbio. Anche a proposito della nostra letteratura. A meno che non la si voglia ridurre a una sezione o, peggio, a un’appendice di quella italiana: magari gerarchicamente inferiore e comunque da confinare nella letteratura “dialettale”.
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Il “Mese dei Diritti Umani” dal 10 novembre al 10 dicembre 2015

mese diritti umaniRitorna il Mese dei Diritti Umani con la sua quarta edizione che verrà presentata durante la conferenza stampa che si terrà oggi lunedì 9 novembre alle ore 11.00 in Via Emilia 39 a Cagliari nella Sede Regionale dell’Anpi provinciale – secondo piano. (Fondazione Enrico Berlinguer).
- Il “Mese dei Diritti Umani” è una campagna di sensibilizzazione proposta dal comitato sardo “Stop Opg” a tutte le persone sensibili al rispetto dei diritti umani che vuole coinvolgere la società civile, il mondo della cultura, della conoscenza e dell’arte. Un mese di iniziative. In occasione della giornata mondiale dei Diritti Umani che si celebra in tutto il mondo, il comitato delle organizzazioni aderenti, riorganizzerà per il terzo anno consecutivo un mese di eventi dal 10 novembre al 10 dicembre 2015. La data del 10 dicembre è stata scelta per ricordare la proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti umani da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 10 dicembre 1948. Durante la conferenza stampa interverranno i rappresentanti delle organizzazioni aderenti.
- Il nuovo motto della quarta edizione del mese dei diritti umani:
“I diritti fondamentali si pongono a presidio della vita, che in nessuna sua manifestazione può essere attratta nel mondo delle merci”.
(Stefano Rodotà)

- IL PROGRAMMA DELLE INIZIATIVE.