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Save the date: 10 febbraio i Rigel Quarter in concerto

Domenica 10 febbraio a Cagliari in via San Domenico 120, h.19,  i Rigel Quarter in concerto, all’interno della Rassegna musicale e cinematografica organizzata da Solidando. Prendete nota, ve lo ricorderemo più avanti-
Notizie sui Rigel Quarter

“Costantino 313 d.C. L’editto di Milano e il tempo della tolleranza”. Il mosaico cagliaritano di Orfeo in mostra a Milano e Roma.

a cura di Rossella Atzori

Fino al 17 marzo si terrà al Palazzo Reale di Milano la grandiosa mostra che celebra la promulgazione del celebre editto da parte dell’imperatore Costantino. Dedicata a uno dei più grandi imperatori dell’impero romano, ricostruisce attentamente gli avvenimenti storici e culturali dell’epoca, mettendo l’accento sull’importanza avuta dall’Editto riguardo alla tolleranza religiosa.

(Prima immagine “Placca votiva con croce a bracci espansi fra due occhi. VI-VII secolo, incisione e lavorazione a sbalzo, Città del Vaticano, Fabbrica di San Pietro“. Foto:  ©Fabbrica di San Pietro in Vaticano).

Di particolare interesse per noi sardi la presenza in mostra del bellissimo mosaico di Orfeo (vedi foto),rinvenuto fortuitamente nella prima metà del sec. XVIII a Cagliari, presso il complesso della villa di Tigellio, e portato a Torino nel 1762, dove è attualmente conservato presso il Museo di Antichità.

Sulcis: Barca fa sul serio

Il Ministro Fabrizio Barca e l’Amministratore Delegato di Invitalia, Domenico Arcuri,  presentano “Bandi di idee”, il nuovo metodo per raccogliere proposte per lo sviluppo dei territori.

Roma,  venerdì, 25 gennaio presso la Sala Stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca, l’Amministratore Delegato di InvitaliaDomenico Arcuri, e il Capo del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica, Sabina De Luca, hanno incontrato i giornalisti per illustrare l’iniziativa “Bandi di idee”. Si tratta di una metodologia innovativa per raccogliere e selezionare interventi progettuali destinati alla valorizzazione e allo sviluppo di alcune aree significative del Paese, come il Sulcis in Sardegna, Reggio Calabria e Pompei.

Il metodo illustrato alla stampa verrà utilizzato nella nuova Programmazione dei fondi comunitari 2014-2020. Nel corso della conferenza, inoltre, è stato presentato il nuovo sito internet “99 ideas. Call for Italy”.

Tutta la documentazione sul sito del Ministro.

La notizia sui due quotidiani (cartacei) sardi oggi sabato 26 gennaio.

Cagliari e sua area vasta quasi una Silicon Valley

di Dolores Deidda *
La stampa nazionale, con articoli recenti e meno recenti di Il Sole24Ore, La Repubblica, La Stampa ed una ricerca (CERPEM per INVITALIA) sul Mezzogiorno tecnologico di giugno 2012, ha rotto il silenzio degli organi di stampa e dei mass media sardi sul fatto che il polo ICT di Cagliari ancora esiste, si espande e produce innovazione. Da svariati anni (esattamente dal 2004) questa realtà produttiva non veniva più indagata. La difficile situazione di Tiscali aveva indotto gli scettici osservatori locali (che ancora liquidano come bolla la più innovativa, sia pur discontinua, esperienza di imprenditorialità originata nel territorio sardo) a ritenere che la scommessa fatta alla fine degli anni novanta fosse irrimediabilmente persa. Cagliari e la Sardegna non potevano più aspirare ad un futuro tecnologico o quanto meno ad un futuro che passasse per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, un terreno su cui Davide non era riuscito a sconfiggere Golia.

I fatti, che gli osservatori esterni oggi rilevano, smentiscono questa versione e la disinformazione che si porta dietro. Non si tratta solo del ritorno di Tiscali, l’impresa pionieristica che perseguì un progetto di espansione a scala internazionale e che, pur ritornata “italiana”, è ancora una grande azienda con circa mille occupati, la terza in Sardegna per fatturato e valore aggiunto dopo le imprese del settore petrolifero (dati 2009). Tiscali riparte immettendo sul mercato servizi integrati di telecomunicazione, declinati in chiave social, che vanno a coprire “vuoti” di offerta nel campo dei servizi web che la diffusione di internet sta portando ad uno sviluppo inarrestabile.

Il successo che stanno ottenendo le applicazioni Streamago e Indoona (che nella versione 2.2 è più simile ad un social network) e il lancio del motore di ricerca Istella, sono segnali forti di questa ritrovata capacità di competere fuori dai confini domestici e di conquistare nuovi mercati, offrendo ciò che il mercato chiede, rispondendo nei tempi giusti alle esigenze degli utenti della rete in Italia e nel mondo.

Anche il caso Akela merita di essere richiamato perché questa impresa che ha raggiunto medie dimensioni, unica sopravvissuta tra quelle della costellazione ICT Saras-Atlantis, ha saputo crescere, incrementare il numero degli occupati e caratterizzarsi per le alte competenze in ambiti tecnologici avanzati, strategici per Solgenia, l’impresa che l’ha rilevata a marzo 2012 con l’obiettivo di sviluppare un’offerta altamente differenziata e competitiva nei segmenti di mercato del cloud computing, software applicativo e piattaforme per soluzioni in mobilità.

Ma le recenti performance di Tiscali e di Akela (ma anche di Softfobia e di Axis Strategic Vison) non basterebbero a dar conto di come è mutato il panorama imprenditoriale dell’ICT cagliaritano, che si mostra molto più articolato che nel passato, grazie soprattutto alla crescita numerica di piccole imprese ed all’emergere di componenti innovative che si affacciano sul mercato digitale globale con originali servizi e prodotti made in Sardinia.

La Camera di Commercio di Cagliari, dati Movimprese 2011, fornisce un quadro analitico delle 2229 imprese attive nell’ICT della provincia in cui, mentre la componente hardware (fabbricazione di computer e di unità periferiche) rimane estremamente minoritaria con 147 imprese, la componente dei Servizi di informazione e comunicazione con 1551 imprese presenta dinamiche di crescita che segnano con chiarezza le linee evolutive della specializzazione del sistema locale. Circa 350 di queste imprese svolgono attività di “sviluppo di software”, comparto ad alta tecnologia, e più di 800 sono attive nei “servizi informatici ed altri servizi d’informazione”, mentre la componente “attività editoriali” con 151 imprese e circa 500 addetti posiziona Cagliari tra i primi dieci Sistemi locali del lavoro in cui si concentrano tali attività. L’occupazione complessiva, utilizzando dati ISTAT sugli addetti medi per unità locale, è stimabile in poco meno di 10 mila unità.

Questo ecosistema digitale, il “mini Silicon Valley” di cui oggi si parla, è trainato da una nuova generazione di imprenditori high tech, formatisi prevalentemente nelle locali facoltà di Ingegneria ed Informatica ma conoscitori del mercato globale, collegati con esperienze d’oltre oceano, aperti alle nuove forme di internazionalizzazione, capaci di competere, e in alcuni casi di eccellere, sui mercati di nicchia che alimentano la cosiddetta app economy, facendo leva sulle proprie risorse cognitive quale principale investimento. Si possono citare i casi di imprese quali Agiletech, Applix (di recente approdata a Cagliari), Apps builder, Entando, Paperlit, Porcovino, Prossima Isola, Karalit, Reilabs, Sardegna.com, Sardex, Xorovo, prevalentemente start up e spin off, che stanno avendo successo, insieme a molte altre.

Il potenziale di queste esperienze, la qualità del capitale umano e delle competenze presenti nell’area di Cagliari non sfugge oggi ad investitori esterni interessati sia al sostegno di progetti innovativi di start up, sia ad investimenti diretti, come nel caso della multinazionale Amazon.

I decisori politici e istituzionali che fanno? Come intendono valorizzare questo sistema che nella crisi è cresciuto mentre il panorama industriale dell’isola diventava sempre più cupo? Con quali politiche pubbliche pensano di rafforzarlo, ben sapendo che l’ICT è un settore che l’Europa continua a considerare una priorità assoluta per il proprio futuro?
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Articolo pubblicato su Sardegnademocratica

Diffidate

Diffidate da tutte le imitazioni e di tutte le imitazioni, with Bomeluzo

GLI OCCHIALI di PIERO MARCIALIS

GLI OCCHIALI-DI-PIERO1-150x150141

IL PENSIONATO
Per non essere troppo alterato
mi son permesso un lusso inusitato
e ho consumato un decaffeinato.
Ecco arriva un commesso di Stato
che il mio reddito aveva misurato
e con cipiglio mi ha interrogato:
“Voglio sapere come l’hai pagato”.
E stato allora che mi sono incazzato
e a … ce l’ho mandato.

Cagliari e la sua area vasta candidatura credibile come Territorio Intelligente

Il polo ICT di Cagliari ancora esiste, si espande e produce innovazione,

Leggete l’articolo di Dolores Deidda

L’innovazione (che era) invisibile ora si vede

su Sardegnademocratica

Diritto&Rovescio

diritto & rovescio

Giovani e tirocini: una guerra di nuova povertà

di Gianni Loy *

L’ assalto alla diligenza  costituisce una delle rappresentazioni del nostro immaginario collettivo. Ma non è archeologia sociale. Sono, semplicemente, cambiate le modalità. Non è stato, forse, un assalto alla diligenza quell’improvviso picco di operazioni telematiche organizzate o confuse, finalizzate alla conquista di uno o più tirocinanti, unica merce, scarsa ma an-cora disponibile nel mercato, per svolgere una vera e propria attività lavorativa subordinata, ancorché, spesso, sotto le mentite spoglie di una attività para-formativa? Hackers o semplice ingorgo informatico? Forse la seconda ipotesi è quella più giusta. Ma sia chiaro, prima dell’informatica, in casi analoghi, i pretendenti bivaccavano davanti agli uffici dell’assessorato, per giorni, con provviste e sacchi a pelo, per riuscire a presentarsi per primi allo sportello. E’ cambiata solo la tecnica. Rimane la sostanza del vecchio adagio: chi tardi arriva male alloggia! Solo che per poter arrivare primi, sia quando si facevano le file che da quando ci sia affida alla nuova divinità informatica, occorrono risorse, forza, e magari furbizia, a tacer d’altro, che fa si che nella selezione siano sempre i più deboli, e non i meno meritevoli a soccombere.

Startup innovative: Unioncamere ti dice cosa sono e mette in rete la guida per l’iscrizione

Startup innovativa: applicazione della legge  che ne consente la nascita e le regola (decreto legge 179/12, convertito in legge 221/12)*. In rete  la guida web per l’iscrizione

Fare dell’Italia la prossima “startup nation”. E’ on line da oggi la guida interattiva per le start up innovative realizzata da InfoCamere, il braccio tecnologico delle Camere di commercio, all’indirizzo http://startup.registroimprese.it.

icona allegato Unioncamere Comunicato stampa - doc, 677.5kB

* Per orientarti. Se consulti la GU che pubblica il decreto legge integrato con la legge di conversione e con le relative note, una vera giungla di norme, trovi la parte su start up e incubatori di start up innovative dall’art.25 (pag. 105) all’art. 32 (pag. 125)

Attenzione a una prima micidiale scadenza per le start up già esistenti

La legge stabilisce che le imprese già costituite da non oltre 48 mesi, aventi i requisiti previsti per accedere alle agevolazioni introdotte dal decreto Crescita, possono iscriversi alla sezione speciale del Registro  fino al 17 febbraio 2013

Università: per non morire di autoreferenzialità

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di Franco Meloni

“Ask not what your country can do for you; ask what you can do for your country.” “Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”. E’ questa una delle frasi più famose tra quelle pronunciate da John Fitzgerald Kennedy; esattamente risale al 20 gennaio 1961, giorno del suo insediamento alla Casa Bianca come 35° presidente degli Stati Uniti d’America.

E’ una frase che mi piace e che a partire da ciascuno di noi deve riguardare tutti per orientare comportamenti virtuosi verso il bene pubblico. Ritengo che si possa riferire in modo pertinente soprattutto a quanti gestiscono la “cosa pubblica”.
Non è allora fuori luogo il fatto che mi sia venuta in mente pensando allo stato attuale delle università nel nostro paese. Cercherò di spiegarlo nel proseguo.
L’università pubblica che per definizione è al servizio del paese e dei cittadini, nonostante la sua funzione essenziale per qualsiasi traguardo di sviluppo sociale ed economico, è sottoposta da molti anni a questa parte a politiche vessatorie, fatte soprattutto di progressive restrizioni delle risorse statali, di aumento smisurato di adempimenti burocratici, di sfiancanti processi di riforma, in gran parte inefficaci.
A perderci in questa situazione non è certo, se non in minima parte, l’accademia, consolidata nei propri privilegi, quanto piuttosto gli studenti e, in conclusione, il paese intero. L’università pubblica, nel suo complesso, sembra destinata ad un inesorabile declino per mano assassina della politica (del governo come del parlamento) e, si badi per inciso, in presenza di un governo mai stato così tanto partecipato da professori, da assomigliare a un “senato accademico”
Ma perchè non si riesce a fermare questo precipitare verso il peggio? Forse i consapevoli quanto responsabili (colpevoli) di quanto accade pensano che le Università virtuose possano risuscitare dalle ceneri delle attuali. Sarebbe follia, ma sembra appunto questa la strada intrapresa. Non avanziamo qui ulteriori considerazioni, rinviando ad autorevoli approfondimenti, come quelli in grande parte condivisibili di Gianfranco Rebora (http://gianfrancorebora.org/category/universita/).
Invece vogliamo soffermarci su un aspetto: quello del modo in cui è percepita l’Università da parte della gran parte delle persone, dei cittadini e dalle altre organizzazioni. Fondamentalmente come un luogo di privilegiati che si occupano sì di scienza, cultura, insegnamento… ma quando e come vogliono, dall’alto delle loro sicurezze e con atteggiamenti di supponenza e separatezza, senza aver alcun obbligo di “resa del conto”, innanzitutto a chi finanzia l’università (in primis le famiglie, poi lo Stato, le Regioni, l’Unione Europea, etc). Sì, non è vero che sia tutto così deprecabile. Sappiamo, per esempio, quanti professori svolgono con scrupolo e impegno il loro prezioso lavoro e ancor di più quanti giovani nelle università lavorino sodo, i più senza adeguati riconoscimenti monetari e di carriera… Anche qui non mi soffermo, perchè il problema che voglio affrontare è un altro, precisamente questo: perchè nessuno, tranne i diretti interessati, difende l’Università? La risposta, a mio parere, si può ancora una volta trovare sul “peccato di autoreferenzialità” che marchia l’Università e che la rende largamente estranea al resto della società. Non voglio parlare di “parentopoli” o cose di questa natura, che rappresentano comunque perduranti patologie, ma piuttosto del modo normale di atteggiarsi delle università, soprattutto in relazione al modo in cui esse sono rappresentate dai rettori e dai diversi gruppi dirigenti. Del “peccato di autoreferenzialità” si ha certo da tempo consapevolezza, tanto è che perfino negli ambienti accademici si ricercano modalità per superarlo. Le stesse numerose leggi e altri miriadi di provvedimenti cosiddetti di riforma hanno a parole combattuto l’autoreferenzialità, ma possiamo azzardare che sia invece aumentata, tanto da far considerare la stessa come una delle cause più rilevanti del cattivo rapporto università-territorio.
Richiestomi da un’amica ricercatrice universitaria che indaga sull’apertura delle università al territorio così come appare dalla riformulazione degli statuti, in applicazione di quanto previsto dalla legge 30 dicembre 2010 n. 240, ho letto tutti o quasi gli statuti, pubblicati nei siti degli Atenei, tanto da ritenermi legittimato ad esprimere qualche giudizio. La mia lettura ha riguardato fondamentalmente gli aspetti dell’apertura dell’ateneo al territorio, in certa parte rappresentata dalla valorizzazione dei saperi nel loro trasferimento sul territorio e l’apertura al medesimo territorio attraverso la partecipazione alla governance universitaria dei soggetti del territorio. Per il primo aspetto (apertura) devo dire che in tutti gli statuti esaminati emerge l’attenzione verso il territorio di riferimento di ciascun Ateneo. L’impegno particolare verso la regione (istituzione e territorio) risulta in tutti, ma in modo marcato per le università che operano nelle regioni a statuto speciale (tra questi statuti segnalo quello dell’Università di Sassari per i riferimenti alle specificità delle problematiche regionali come la lingua, l’identità la cultura, etc). Maliziosamente potremmo darci ragione di tale enfasi rammentando come i rapporti Università-Regione comportino importanti trasferimenti di risorse dalle casse regionali a quelle universitarie, generalmente regolati da appositi protocolli d’intesa/convenzioni. Tuttavia – e qui parliamo del secondo aspetto (partecipazione alla governance) – il rapporto con il territorio rispetto all’ambito di diretto riferimento o considerato quello di più vaste dimensioni (nazionale, europeo, internazionale) non prevede negli statuti esaminati particolari forme di integrazione a livello gestionale, salvo alcuni statuti, ad esempio delle università dell’Emilia e Romagna e  dell’Università di Bari che hano istituito appositi organismi (come la “consulta dei sostenitori” per le università emiliano-romagnole e la “conferenza d’ateneo” per l’università di Bari), con prerogative abbastanza significative per quanto riguarda il controllo “esterno” sulla (e il coinvolgimento nella) programmazione delle attività dell’Università. Si osserva come dal punto di vista dell’integrazione tra Università e  Istituzioni dell’ambito territoriale risultino, anche per effetto della legge di riforma e degli statuti, significativamente affievoliti i legami che storicamente si erano precedentemente  consolidati. Parliamo soprattutto del legame con le città. Gli statuti riformati sulla base della legge citata prevedono la presenza nei consigli di amministrazione e nei nuclei di valutazione di esperti non appartenenti al mondo accademico, ma hanno abolito qualsiasi rappresentanza delle Isituzioni (Comune capoluogo in primis). Da questo versante possiamo pertanto dire che i nuovi statuti ci hanno consegnato università rafforzate nell’autoferenzialità. Si può osservare come la legge di riforma non impediva la costituzione di organismi di collegamento e di partecipazione alla programmazione, e gli statuti citati (sia pure nella debolezza della  ”consulta dei sostenitori” o consimili) ne è prova, ma l’errore di non aver previsto l’obbligatorietà di tali organismi (così come previsto, ad esempio, nell’ordinamento delle università spagnole) ha portato di fatto a non contemplarli e pertanto ad una ulteriore chiusura autoreferenziale delle università. Ne emerge la riproposizione “in peius” di modelli tradizionali, meno partecipati dalle Istituzioni e dal mondo delle Imprese, nei quali anche la famosa “terza missione” viene sì prevista ma con carattere subordinato rispetto alle tradizionali funzioni universitarie (ricerca e insegnamento). Certo bisogna riconoscere la positività della previsione dell’impegno per il trasferimento tecnologico per la quasi totalità delle Università che lo hanno citato nei principi fondamentali degli statuti, cosa che dovrebbe indurre a un maggiore impegno dell’Ateneo per questa missione, ma il tutto appare davvero insufficiente. Nello specifico, probabilmente bisogna prendere atto che l’attività di diffusione del sapere/trasferimento tecnologico può essere efficacemente attuata solo con una strumentazione diversa da quella propriamente accademica e pertanto attraverso strumenti come Fondazioni e Consorzi. Infatti è difficile pensare che una gestione efficace ed efficiente di tali attività possa essere svolta dagli attuali organi di governo dell’Ateneo (Rettore, Senato accademico, Consiglio di amministrazione…). Al tutto dobbiamo aggiungere, in negativo, una maledetta spirale burocratica che avvolge gli Atenei pubblici fino a volerli ridurre a una sorta di licei rigidamente controllati dal Ministero dell’economia. In analogia per quanto detto in fatto di partecipazione delle Istituzioni (e delle Imprese) alla governance degli Atenei sarebbe auspicabile che una legge prevedesse l’obbligatorietà per ogni università di dare vita a una propria fondazione per le attività propriamente riconducibili alla “terza missione”.
E infine, torniamo all’incipit del presente contributo, riscrivendo a nostro uso la famosa frase di Kennedy: cara Università “non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”, mettendo concretamente da parte la tua autoreferenzialità.
Forse troverai più gente e più organizzazioni convintamente al tuo fianco per salvarti insieme al paese!
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L’Università fuori dall’Europa

Mozione approvata all’unanimità dell’Assemblea della CRUI

(20.12.2012)

Le gravissime e irresponsabili scelte del Governo e del Parlamento contenute nel DDL di stabilità risultano perfettamente coerenti con il piano di destrutturazione del sistema iniziato con le LL. 133/2008 e 126/2008 nella legislatura appena conclusasi, a carico di un sistema universitario notoriamente e pesantemente sottofinanziato rispetto alle altre realtà internazionali. La richiesta di mantenere nella disponibilità delle Università 400mln di euro equivaleva a poco più del 10% degli emendamenti introdotti dal Senato e ad appena l’1% dell’impatto complessivo della manovra. Non si è voluto intervenire se non con un pour boire di 100mln di euro.

La CRUI prende atto di come gli appelli più volte lanciati dalla Conferenza in via ufficiale e a mezzo stampa sin dall’insediamento del Governo sulle conseguenze dell’ulteriore taglio di 400 milioni siano rimasti del tutto inascoltati e le garanzie formulate al riguardo dal Ministro dell’Università siano state totalmente tradite e disattese. E non è più sufficiente, purtroppo, dichiarare che l’Università va in fallimento senza che ciò produca i suoi necessari effetti a tutti i livelli.

Quanto approvato dal Parlamento è in patente contraddizione con le tanto frequenti quanto vacue prese di posizione in favore dei giovani e della ricerca; determinerà un crollo oggettivo del sistema universitario italiano e la sua immediata fuoriuscita dall’Europa.

La CRUI respinge in toto il disegno politico che porta all’affossamento del sistema universitario nazionale, statale e non statale. Per conseguenza, a fronte di una diminuzione del 12% delle risorse nel triennio e di una qualsiasi idea di sviluppo del sistema universitario, la CRUI annuncia fin da subito:
• l’impossibilità di avviare alla ricerca i giovani meritevoli;
• l’irricevibilità del piano triennale inviato alla Conferenza dal MIUR e delle conseguenti forme di ripartizione ivi previste, incluse quelle premiali;
• l’impossibilità di adempiere alle scadenze burocratiche indicate dall’ANVUR di valutazione della didattica, vista l’assenza di risorse adeguate per la costruzione dell’offerta formativa;
• l’impossibilità, alle condizioni attuali, di partecipare in modo competitivo al programma Horizon 2020 e agli obiettivi di efficienza didattica in termini di laureati chiestici dall’Europa.

Deve essere inoltre ben chiaro che, a séguito dei nuovi tagli, le Università italiane garantiranno le spese del solo personale in servizio e si vedranno costrette alla riduzione di non meno del 20-25% dei servizi essenziali per il funzionamento (luce, gas, riscaldamento, laboratori, biblioteche) con le prevedibili conseguenze sulle infrastrutture della didattica e della ricerca, sull’offerta formativa, sulle immatricolazioni e sulla correlata fuga delle menti migliori verso Paesi più “ospitali”. Inoltre, come più volte annunciato, la drastica e inopinata diminuzione delle entrate dallo Stato provocherà lo sforamento dei bilanci di più della metà degli Atenei italiani.

Il Paese, anche in vista delle prossime scadenze elettorali, deve essere consapevole che alle parole spese per lo sviluppo, per la difesa dei giovani e delle loro opportunità dovrà seguire la garanzia dei fatti. Non si può né si deve continuare a mentire. Come può l’Italia stare in Europa se non vi porta le sue Università? Le Università italiane vogliono essere trattate e giudicate su standard europei. Nulla di più.

La CRUI ritiene che l’occupazione dei propri spazi di autonomia da parte di una politica nemica del sapere abbia prodotto risultati disastrosi; intende avviare nelle prossime settimane un dibattito sulle nuove scelte per il futuro del sistema con tutti gli interlocutori coinvolti, a cominciare dagli studenti e dalle famiglie, in vista di un’Assemblea aperta da tenersi prima delle elezioni politiche per rilanciare un’idea diversa di Università nel Paese.

Università e autoreferenzialità: negli anni aumenta nonostante tutto e sappiamo per colpa di chi

Ecco cosa diceva un accademico, ma all’epoca ministro per la funzione pubblica e attualmente presidente del CNR, Luigi Nicolais: rompere autoreferenzialità dell’Università. Purtroppo la recente riforma universitaria, intestata all’ex ministro Mariastella Gelmini ha decisamente contribuito ad aumentare questo tratto negativo degli Atenei italiani. Ma non è certo colpa solo di quella riforma largamente deludente, avversata fieramente dagli studenti e accettata spudoratamente da gran parte dei rettori e dall’establishment accademico. I consigli di Luigi Nicolais sono dunque rimasti del tutto inascoltati

(ANSA) – ROMA, 22 FEB 2007- La riforma dei meccanismi di valutazione nella pubblica amministrazione deve essere “condivisa tra gli addetti ma soprattutto con i portatori di interesse per rompere il circuito perverso dell’autoreferenzialità”. Lo ha sostenuto il ministro per la Funzione Pubblica, Luigi Nicolais, nel suo intervento alla cerimonia di inaugurazione del nuovo anno accademico della Lumsa in cui ha parlato delle sfide che attendono il mondo delle università. “Un’amministrazione più efficiente e al servizio di cittadini e imprese è innanzitutto una pubblica amministrazione più trasparente e valutabile” ha continuato Nicolais riferendosi anche agli atenei per i quali, ha detto, la valutazione deve enfatizzare e sottolineare “la dimensione sociale della qualità attraverso la capacità delle università di assumersi il ruolo strategico di gestione della conoscenza per la società e per tutti i cittadini”. Negli atenei, ha quindi continuato Nicolais, si ripropone il problema della ‘governance’: “l’università – ha detto – nonostante le innovazioni introdotte continua ad essere gestita secondo lo storico ed orgoglioso modello di autoreferenzialità dei dotti, senza dover rendere realmente conto né ai portatori di interesse diversi dagli stessi docenti, e cioé Stato, studenti, forze sociali, né ai maggiori finanziatori, e cioé lo Stato e le Regioni”.

Elezioni

Estote parati. With Bomeluzo

La Camera di Commercio propone un’intesa tra le Istituzioni e le Imprese per costruire progetti d’Innovazione

Una Commissione speciale per supportare i progetti di innovazione della Camera di Commercio di Cagliari

La proposta, fatta propria dal Consiglio Camerale della Camera di Commercio di Cagliari, è del consigliere camerale Giampiero Lecis (nella foto)

Dal verbale del Consiglio Camerale del 17 dicembre 2012 (approvazione Relazione Previsionale Programmatica 2013):

nel suo intervento il consigliere Giampiero Lecis, sottolinea l’importanza di investire adeguate risorse camerali sull’innovazione e di concorrere, unitamente ad altri soggetti pubblici e privati, all’assegnazione di risorse comunitarie e nazionali, anche alla luce della recente conversione del cd. decreto Sviluppo [decreto legge 18 ottobre 2012, n.179, convertito in legge  17 dicembre  2012, n.221]; propone pertanto  di istituire un’apposita Commissione consultiva, integrata da esperti provenienti dall’ambito accademico, che porti a unità i diversi programmi camerali sul tema (premio innovazione, fondo seed capital, Cagliari territorio intelligente, promozione start up innovative, etc), integrandoli in un’ottica di sistema con l’azione delle altre istituzioni del territorio.

Che fine ha fatto la “Città dell’impresa”?

A proposito di start up innovative e incubatori d’impresa. C’era una volta a Cagliari la Città dell’Impresa. Che fine ha fatto?

GLI OCCHIALI di PIERO MARCIALIS

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  1. Redditometro
    Non è la prima volta che agitano lo spauracchio redditometro. Ricordate anni fa quando ci chiedevano quante auto e televisori e yacht ed elicotteri e aerei personali avevamo?
    Ancora non si nominavamo le isole Cayman. Beh, neanche ora. Adesso vogliono sapere se nonostante ti abbiano tagliato la pensione riesci ancora a pagare una brioche a colazione.
    Il redditometro non tocca le pensioni. Perchè no? Misurate pure. Cominciate dalla pensione d’oro del Presidente del Consiglio. Pensioni fino a 1.500 euro che misurarle a fare?
  2. Redditormento
    Ah, già… si deve misurare se le spese superano il reddito…
    Giusto! controllate che non forzino il salvadanaio dei nipotini, sono là i tesori nascosti.