Risultato della ricerca: reddito di cittadinanza Gianfranco Sabattini

Oggi venerdì 13 ottobre 2017

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democraziaoggiRosatellum: bene l’opposizione e vademecum.
13 Ottobre 2017
A.P. Su Democraziaoggi.
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Saviano: “La fiducia sul Rosatellum-bis è un agguato alla democrazia”.
di SILVIA TRUZZI
Saviano: “La fiducia sul Rosatellum-bis è un agguato alla democrazia”. il Fatto Quotidiano, 13 ottobre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews. «“Cambiare sistema alla vigilia del voto è da Paese malato: chi usa parole forti fa benissimo”». (p.d.)
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index120x80Vincono i comitati: a Torino l’acqua torna pubblica
di MAURIZIO PAGLIASSOTTI
Vincono i comitati: a Torino l’acqua torna pubblica il manifesto, 12 ottobre 2017 Torino, ripreso da eddyburg e da aladinews. Via libera del consiglio comunale alla delibera che toglie ai privati le gestione del servizio idrico. Contrari Pd, Forza Italia e Lega (c.m.c.)
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copia-di-eu_direct_loc_4-5_ottobre_ok_001-2_2_2lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. Materiali per il Dibattito su Lavoro e Reddito di Cittadinanza
La solidarietà: dato naturale o concetto ideologico?
di Gianfranco Sabattini su Aladinews e su Democraziaoggi.
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Materiali per il Dibattito su Lavoro e Reddito di Cittadinanza

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unique-forms-of-continuity-in-space-umberto-boccioniLa solidarietà: dato naturale o concetto ideologico?

di Gianfranco Sabattini

Nel libro “Solidarietà. Un’utopia necessaria”, di cui si è già parlato su Aladinews e su Democraziaoggi, Stefano Rodotà sottolinea come la parola usata come titolo del libro fosse divenuta “proscritta”; di essa – afferma l’autore – “ci si voleva liberare o se ne cancellava ogni senso positivo”, in quanto si considerava la solidarietà, “non più tratto che lega benevolmente le persone, ma delitto: delitto appunto di solidarietà, quando i comportamenti di accettazione dell’altro […] vengono considerati illegittimi e si prevedono addirittura sanzioni penali per chi vuol garantirgli diritti fondamentali”.
Le vicende storiche della solidarietà sono state, a parere di Rodotà, caratterizzate da alti e bassi, che però hanno consentito al concetto “di conservare nei diversi sistemi una benefica tensione”, servita a ribadire l’”irriducibilità del mondo alla sola dimensione del mercato”; ma anche a ricordare che principi, come appunto quello di solidarietà, prima affidati “alla forza della morale o all’azione politica”, sono stati trasformati in norme giuridiche; fatto, questo, che impone che quei principi siano oggi “presi sul serio”. A tal fine, diventa perciò necessario capire come sia avvenuta l’evoluzione della solidarietà da precetto morale a vincolo giuridico, e come ciò si sia congiunto al problema della funzionalità della democrazia e della possibilità della sua conservazione.
In questo modo, secondo Rodotà, collegando l’evoluzione del principio di solidarietà e la sua trasformazione in uno dei capisaldi della democrazia, diviene possibile, da un lato, ”dilatare” i confini del significato della solidarietà, “sottraendola in qualche modo alle letture riduttive suggerite dalla crisi dello Stato sociale e individuandone un più largo campo di operatività”; dall’altro lato, capire come siano divenute stringenti le connessioni tra democrazia e solidarietà, “rendendo plausibile la conclusione secondo la quale solo la presenza effettiva dei segni della solidarietà consente di definire ‘democratico’ un sistema politico”; come dire che, se si affievolisce il principio di solidarietà, si affievolisce anche la possibilità di sopravvivenza della democrazia.
Considerando il particolare interesse che nei momenti di crisi la solidarietà riesce a promuovere, si deve forse concludere – si chiede Rodotà – “che essa è virtù di tempi difficili, e non un ‘sentimento repubblicano’ che deve accompagnarci in ogni momento?” Dal punto di vista storico, il concetto di solidarietà è comparso in tempi diversi, non ha conosciuto un’evoluzione lineare, ma ha sempre mostrato una capacità di “forzare le barriere” entro le quali si è cercato di rinchiuderlo, sino a convertirsi in una “potente forza positiva”, diventando sinonimo di fraternità, per costituire, come già si è detto, con i concetti di libertà e di uguaglianza, i principi che hanno presieduto alla nascita del mondo moderno.
Rodotà esclude che la solidarietà sia un “dato naturale” e sia invece un “dato costruito”, cioè un’ideologia nata alla fine del XIX secolo, implicante una “nuova rappresentazione del legame sociale e politico”, che ha portato a una “profonda trasformazione dei modi di gestione del sociale e delle forme di intervento pubblico”. Si tratta di una tesi, questa, che richiama, sempre secondo Rodotà, un altro dato “tutt’altro che naturalistico”, che considera la solidarietà “nel suo separasi dalla fraternità”, perché della “triade rivoluzionaria”, proprio la fraternità si è rivelata la componente più debole, o quella più difficilmente accettabile, per via del rilievo che l’affermazione dell’ideologia liberale ha assegnato al diritto di proprietà.
La fraternità è stata infatti oscurata dal primato del diritto di proprietà; diritto, questo, implicante l’esclusione degli altri “dal godimento di un bene, dunque destinato a spezzare quel legame tra gli uomini”, che attraverso la fraternità si era inteso stabilire. In tal modo, la fraternità ha cessato di esprimere un diritto fraterno, imbattendosi “nella durezza del nudo potere proprietario”, che ha separato e non unito, rendendo impossibile il vero compito affidato alla fraternità/solidarietà. La scomparsa della fraternità è valsa ad affievolire anche l’efficacia dei principi di libertà ed uguaglianza, in quanto anch’essi subordinati a una logica che ha indicato nella proprietà “la misura prima dei rapporti tra le persone”. Ma è proprio per salvaguardare l’efficacia di questi ultimi due principi che, nel corso del Novecento, è stato costruito un contesto costituzionale che ha individuato nel diritto di proprietà il fattore limitante il principio di solidarietà.
Così, è stato possibile ricuperare il principio di fraternità/solidarietà, essendo stato concepito tale ricupero come precondizione perché si potesse ridare la loro piena importanza ai principi di libertà ed uguaglianza. Per comprendere come sia stato possibile la costruzione di un contesto costituzionale all’interno del quale venisse riaffermato il principio di fraternità/solidarietà, diventa cruciale – afferma Rodotà – la considerazione del “modo in cui nel corso dell’Ottocento si sono sempre più fortemente intrecciate le lotte operaie, l’organizzazione di massa dei lavoratori, il progressivo riconoscimento dei diritti sociali […]. Da qui sono provenute le idee-forza che prima hanno indicato e poi hanno spianato il cammino verso il riconoscimento istituzionale della solidarietà, “come principio e riferimento necessario per l’agire pubblico e privato”.
Il processo col quale è stato ricuperato il principio di fraternità/solidarietà consente anche di capire, a parere di Rodotà, quanto sia debole l’idea che si possa avere solidarietà “senza lotta di classe” e sia invece cruciale l’idea che non possa aversi solidarietà sino a quando sulla scena sociale manchi un soggetto in grado di assicurarne il ricupero e la conservazione; individuando, nella solidarietà stessa, il mezzo per contrastare la “lotta di classe dopo la lotta di classe”, intesa nel modo in cui la concepiva Luciano Gallino, come mezzo per “contrastare una possibile “lotta condotta da una classe imprenditoriale proprio per ridimensionare i diritti sociali”.
Rodotà ritiene che il ricupero del principio di fratellanza/solidarietà, inteso come risultato costruito attraverso un processo storico, consentirebbe anche di “sfuggire a suggestioni comunitarie che […] fanno correre il rischio di passare dalla frammentazione individualistica, che si vuole contrastare, a una scomposizione della società in gruppi custodi della propria individualità più che interessati a una ricostruzione complessiva dei legami sociali”. Per Rodotà, la solidarietà non deve subire confini limitanti, in quanto, sebbene si inveri all’interno dei diversi contesti sociali secondo le loro tradizioni, essa però non deve mai perdere la “sua capacità d’essere principio unificante”.
Nella completa affermazione del principio di solidarietà, i grandi soggetti collettivi della modernità hanno quindi giocato un ruolo essenziale; la loro scomparsa, particolarmente evidente in Italia, è stata aggravata, secondo Rodotà, dall’erosione dello Stato sociale, attraverso politiche corruttive e clientelari; tutto ciò “ha aperto un vuoto, ha lasciato spazi liberi per l’iniziativa di altri soggetti, che sono così divenuti protagonisti di politiche della solidarietà”. Si è infatti consolidata la presenza di un “terzo settore”, caratterizzato dal “no profit”; per quanto meritevole di attenzione sia questo terzo settore, non si dovrà tuttavia trascurare che il principio solidaristico sia esposto al pericolo di possibili frammentazioni, che possono condurre ad inasprire il fenomeno negativo della disuguaglianza.
La costruzione sociale con la quale si è dato corpo al principio di solidarietà è stato il Welfare State, “variamente declinato nelle lingue e nei diversi contesti”; la sua costruzione e il suo mantenimento non sono avvenuti però a “costo zero”, in quanto hanno richiesto la disponibilità di “capitale sociale e risorse finanziarie”; se tali risorse diminuiscono – afferma Rodotà – “si determinano condizioni propizie per dinamiche politiche e culturali che negli ultimi tempi hanno messo in discussione lo stesso modello dello Stato sociale e riproposto una solidarietà venata di irresponsabilità pubblica e ingannevole responsabilità privata”, che ha fatto rinascere una concezione caritatevole dello stesso Stato sociale, nella quale l’”economico” ha prevalso sul “giuridico e sullo stesso politico”.
Ciò non è stato privo di conseguenze, in quanto la messa in discussione del modello dello Stato sociale ha comportato una “decostituzionalizzazione accompagnata da una ricostituzionalizzazione [della solidarietà] in termini economici”; così è stata riproposta la “centralità della proprietà”, che ha determinato una subordinazione dei diritti sociali a “una discrezionalità politica” concepita come “insindacabile potere proprietario sulle risorse disponibili; e una dipendenza della persona dalle risorse proprie, necessarie per acquistare sul mercato quel che dovrebbe essere riconosciuto come diritto e che, invece, si presenta come merce, con un evidente ritorno alla cittadinanza censitaria”.
Ma se si ricupera l’idea di fraternità/solidarietà, intesa come concetto costruito costituzionalmente, occorre affrontare due questioni dirimenti che riguardano, da un lato, l’introduzione di un reddito garantito universalmente (o reddito di cittadinanza, correttamente inteso) e, dall’altro lato, la “discrezionalità politica in tempi di risorse scarse”.
La prima questione, che può essere definita come “questione del diritto all’esistenza”, può essere risolta statuendo per lo Stato un “dovere di assicurarne la garanzia”, nel senso che le risorse disponibili, anche se scarse, devono essere utilizzate in modo da rispondere a una gerarchia che consideri prioritari gli impieghi per la soddisfazione dei diritti fondamentali, tra i quali appunto il “diritto all’esistenza”. La seconda questione, quella concernente la discrezionalità politica sull’uso delle risorse, può essere risolta consequenzialmente alla prima, stabilendo destinazioni delle risorse “costituzionalmente consentite” e “destinazioni vietate”, fondando la distinzione in relazione alla soddisfazione dei diritti fondamentali; invertendo così la prassi politica tradizionale che considera prioritarie le destinazioni finalizzate alla crescita e residuali quelle destinate alle soddisfazione dei diritti fondamentali.
Le due “questioni” indicate sollevano un problema che la definizione della solidarietà intesa da Rodotà, come “concetto costruito” o come ideologia, e non già come “dato naturale”, non consente di risolvere, subordinando la soluzione al ricatto delle politica. L’accoglimento della definizione della solidarietà come fatto naturale (sottostante al diritto di esistere di ogni individuo) implica però che tale fatto sia costituzionalizzato con un’affermazione diretta e non ricavato indirettamente attraverso altre statuizioni relative ad altri diritti sociali. Se la fratellanza/solidarietà fosse costituzionalmente istituzionalizzata sarebbe possibile, come osserva John Rawls, realizzare, tra l’altro, anche una più compiuta democrazia. Infatti, la mancata istituzionalizzazione dei principi del 1789 come principi naturali dimostra, secondo Rawls, che una democrazia che non risulti fondata sulla costituzionalizzazione congiunta e diretta dei tre principi è una democrazia incompleta e “zoppa”, dominata da un eccesso di individualismo o da un eccesso di comunitarismo.
In conclusione, solo all’interno di una comunità nella quale siano eliminate, in termini pre-politici, le disuguaglianze nella distribuzione delle opportunità è possibile correlare una vera democrazia, fondata su un vero “sentimento repubblicano”, ad un processo di crescita e sviluppo stabile e socialmente condiviso. La qualità dell’evoluzione sociale ed economica verrebbe così a dipendere da un’organizzazione della comunità che sia il riflesso della costituzionalizzazione esplicita di tre condizioni: il governo democratico dei rapporti sociali della comunità; la parificazione ex ante delle opportunità di tutti i componenti la comunità come conseguenza dell’accoglimento congiunto sul piano costituzionale dei principi sanciti dalla rivoluzione del 1789; l’affrancamento del lavoro e di tutti i rapporti sociali da ogni forma di condizionamento del capitale. Fuori da queste condizioni, il diritto all’esistenza degli individui continuerà sempre a dipendere dal “ricatto politico”, esercitato in funzione della prevalente contingenza.
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Per correlazione. Fmi: ‘Disuguaglianze di reddito in aumento nei Paesi avanzati. Reddito di cittadinanza? Costa fino al 6,5% del pil’ Su il fatto quotidiano.

Oggi giovedì 12 ottobre 2017

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SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » DE HOMINE
La rabbia non ci salverà
di SIMONETTA FIORI
La Repubblica, 8 ottobre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews. «È un sentimento distruttivo: può servire per reagire alle ingiustizie, ma va subito purificato”. Martha Nussbaum parla del suo ultimo libro. E spiega perché critica anche il perdono»
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copert-sassu-aSardegna: lo sviluppo locale un flop? Parola di Antonio Sassu
12 Ottobre 2017, su Democraziaoggi.

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democraziaoggi loghettoLa solidarietà: dato naturale o concetto ideologico?
12 Ottobre 2017
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews.
Il Reddito di Cittadinanza non è un provvedimento-tampone contro la povertà
di Gianfranco Sabattini
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Materiali per il Dibattito su Lavoro e Reddito di Cittadinanza

unique-forms-of-continuity-in-space-umberto-boccionilampada aladin micromicroFacendo seguito all’anticipazione fattane in questa stessa rubrica, e ad altri precedenti contributi, pubblichiamo un saggio breve del prof. Gianfranco Sabattini sul “Reddito di Cittadinanza”, o meglio sul “Dividendo Sociale”, come lui preferisce denominare lo strumento che costituirebbe una fonte alternativa alle sempre più improbabili nuove opportunità di lavoro. Stiamo parlando di una tematica complessa, non riconducibile alle semplificazioni proprie di molte trattazioni giornalistiche o, peggio ancora, a molte improvvisate e superficiali proposte presenti nel recente dibattito politico. Al contrario, le teorie serie e fondate, se non altro perché avanzate da illustri economisti, tra i quali James Edward Meade, premio Nobel per l’Economia del 1977, fanno fare a Gianfranco Sabattini una scelta di campo precisa a favore del RdC-Dividendo Sociale nel dibattito sui sistemi più efficaci per perseguire il benessere collettivo. Tale scelta netta a nostro avviso favorisce il confronto tra posizioni e indubbiamente contribuisce a illuminare la strada ai decisori politici. Non spetta a noi, giornalisti e operatori della comunicazione, fare scelte altrettanto chiare e definite. A noi spetta fornire un terreno fertile per il dibattito. Come abbiamo fatto e stiamo facendo con il sostegno all’attività del Comitato d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria a partire dalla preparazione, organizzazione e, ora, disseminazione dei contenuti, del recente Convegno sul Lavoro (4-5 ottobre u.s.). Proprio in tale sede sono emersi i termini del dibattito e l’attuale (diciamo attuale perché forse il dibattito potrebbe anche fornire soluzioni intermedie o diverse) contrapposizione tra teorie e posizioni politiche; la più netta tra quelle contrarie (o fortemente critiche rispetto) al RdC sembra essere quella di cui si è fatto autorevole sostenitore Papa Francesco, nella più aggiornata versione della Dottrina sociale della Chiesa cattolica (espressa con massima chiarezza nel discorso fatto a Genova ai lavoratori dell’Ilva il 27 maggio u.s.), che Giacomo Meloni, Segretario nazionale della CSS, ha ripreso, condividendola, nel suo intervento al nostro Convegno. Nel ringraziare il prof. Sabattini per il suo tenace lavoro di ricercatore accademico e di eccellente divulgatore, non possiamo che rinnovare la richiesta, o, meglio, la giusta pretesa, perché le Università sarde al riguardo si impegnino seriamente sul versante dell’approfondimento scientifico, mettendosi a maggiore disposizione della società, in primis quella sarda di loro primo riferimento.
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Il Reddito di Cittadinanza non è un provvedimento-tampone contro la povertà

di Gianfranco Sabattini

1. Premessa

Il dibattito politico che ha preceduto l’introduzione in Italia del “Reddito d’inclusione”, inteso come provvedimento utile per assicurare il sostegno economico in modo progressivo a tutte le famiglie che si trovino al di sotto della soglia di povertà assoluta, ha rilanciato la “campagna di disinformazione” sul Reddito di Cittadinanza (RdC), spargendo su quest’ultima forma di reddito valutazioni e giudizi che sono del tutto estranei al discorso degli economisti che ne hanno definito e formalizzato in termini compiuti il concetto, collocandolo all’interno di un’analisi coerente con i principi della teoria economica. Esempi di disinformazione recente sono offerti da un articolo di Raoul Kirchmayer, apparso su L’Espresso del 30 aprile scorso, dal titolo “Una trappola contro i poveri. Non fidatevi del reddito di cittadinanza: è la vittoria culturale del neoliberismo”, e dall’intervista concessa dal tedesco Henning Meyer, docente alla London School of Economics, a Carlo Bordoni, il cui testo è apparso sul periodico domenicale del Corriere delle Sera, “La Lettura”, col titolo “Il reddito garantito umilia le persone”.
Kirchmayer afferma d’aver sentito parlare per la prima volta del “RdC” dal filosofo Jean-Mark Ferry, uno degli studiosi che, a partire dalla fine degli anni Ottanta, ha contribuito a diffonderne la conoscenza e l’attuazione. Il nesso che si sosteneva esistesse tra la cittadinanza e una base economica garantita dall’introduzione del “RdC” è sembrata a Kirchmayer “una forma di protezione sociale capace di mettere al riparo dalle incertezze di quella che, di lì a poco, sarebbe stata chiamata ‘società del rischio’”.
Il nesso, perciò, non evocava nessuna correlazione del “RdC” con la povertà, della quale, tra l’altro, non si parlava; questo nesso, secondo Kirchmayer, è cominciato a comparire dopo il 2007/2008. Con la crisi, sarebbe mutato il senso e il significato originario come utopia o come proposta di politica del “RdC”. Questo avrebbe cessato di rappresentare un progetto d’inclusione della democrazia e di ampliamento dei diritti democratici materiali dei cittadini, per diventare “un intervento-tampone per limitare la sofferenza dei ceti più attaccati dalla crisi”. La crisi, secondo Kirchmayer, avrebbe comportato, in merito al senso del “RdC”, uno suo spostamento “nella produzione discorsiva pubblica”, che sarebbe valsa ad attribuirgli un carattere non più utopico e progettuale; uno spostamento, cioè, che lo avrebbe “fatto entrare da qualche anno a questa parte e con denominazioni diverse, nell’agenda politica nazionale di movimenti e partiti”.
Il discorso critico di Kirchmayer è condivisibile; ciò che non è condivisibile è la sua implicita affermazione secondo la quale, a causa dell’”incompetenza” dei movimenti e dei partiti politici, il concetto di Reddito di Cittadinanza possa aver perso il senso e il significato che gli sono stati attribuiti originariamente. Quando, però, il “RdC” sia correttamente inserito nella “cornice teorica” grazie alla quale coloro che l’hanno costruita hanno dotato il concetto di senso e di significato univoci, nessun movimento o partito politico può stravolgere il concetto stesso in funzione di esigenze politiche contingenti.
Più grave è la disinformazione sul “RdC” che origina dalle considerazioni svolte da Henning Meyer nell’intervista concessa a Bordoni. Egli mette addirittura in dubbio l’efficacia del “RdC” contro la disoccupazione, facendo pensare che la sua introduzione possa portare allo “smantellamento del sistema previdenziale, sostituito da misure minime generalizzate”, destinate a ridursi “ad una falsa democratizzazione”, in quanto il Reddito di Cittadinanza “si risolverebbe in una falsa democratizzazione, privilegiando le classi che non hanno bisogno di sostegno”. Inoltre, Meyer nutre dubbi sull’efficacia del “RdC” come strumento utile a contrastare la disoccupazione tecnologica. Ciò si verificherebbe per diversi motivi: intanto, perché il “RdC” ridurrebbe il lavoro a semplice fonte di introiti, con la conseguenza di radicare l’ignoranza circa la sua natura di fattore di autostima; inoltre, perché il ricevimento di un salario sociale indurrebbe la forza lavoro a non riuscire più ad inserirsi nel mondo del lavoro, a causa della rapida obsolescenza delle competenze professionali provocata dalle trasformazioni tecnologiche dei moderni sistemi economici.
In luogo di erogare un Reddito di Cittadinanza, i governi dovrebbero combattere la disoccupazione comportandosi keynesianamente come “datori di lavori di ultima istanza”; in questo modo, a parere di Meyer, “i governi avrebbero uno strumento aggiuntivo per incrementare le attività socialmente utili”; ma anche “per finanziare lo sport e altre attività culturali a livello locale, rafforzando la coesione sociale delle comunità”. Si potrebbe anche aggiungere, sebbene Meyer manchi ricordarlo, il possibile ampliamento del servizio civile secondo le forme e le modalità indicate dall’attuale Ministro della difesa italiano.
Concludendo la sua critica riguardo al “RdC”, Meyr, contraddittoriamente, dopo aver escluso che le risorse necessarie per combattere la disoccupazione attraverso lo Stato datore di lavoro di “ultima istanza” possano essere recuperate attraverso un “ripensamento” del sistema fiscale, non ha avuto altro di meglio che proporre, per il futuro, la “democratizzazione” del capitale accumulato, per estendere al maggior numero possibile di cittadini le quote di partecipazione alla sua proprietà.
Le osservazioni critiche di Meyer sorprendono, non solo per la sua rinnovata fiducia nel sistema del welfare State, che egli considera ancora come strumento efficace per risolvere il problema della disoccupazione tecnologica originata dai moderni sistemi industriali; ma anche, e soprattutto, perché mostra di ignorare il contributo di un suo illustre predecessore alla London School of Economics, James Edward Meade, il cui contributo pionieristico alla definizione e giustificazione del Reddito di Cittadinanza resta un punto di riferimento ineludibile, come si cercherà di evidenziare nelle pagine che seguono, per capirne il senso sul piano sociale, oltre che su quello economica.

2. Reddito di cittadina e disoccupazione strutturale

Allo stato attuale, una cosa è certa; una schiera sempre più espansa di analisti di sinistra, di centro e di destra va sostenendo da tempo, che la logica capitalistica di funzionamento dei moderni sistemi produttivi non è più in grado di “creare” posti di lavoro, né di “conservare” i livelli occupazionali acquisiti. Quindi, gli attuali sistemi industrializzati, anziché soddisfare gli stati di bisogno delle rispettive società civili (funzione, questa, che dovrebbe valere a giustificarli e a legittimarli socialmente) riversano su di esse l’”inconveniente” di produrre crescenti livelli di disoccupazione strutturale irreversibile. Di fronte a questa situazione sopraggiunge l’incombente e fatidica domanda: che fare allora?
Proprio per dare una risposta all’interrogativo, è maturata l’idea che occorresse creare all’interno dei sistemi sociali che soffrono della crescente disoccupazione strutturale irreversibile condizioni (fuori dalle logiche rivoluzionarie del passato) tali da consentire, non solo il sostentamento del nuovo “esercito industriale di riserva” senza lavoro, ma anche l’autoproduzione, resa possibile dall’erogazione del “RdC”, considerato come fonte alternativa di nuove opportunità di lavoro.
Affrontando la soluzione del problema della disoccupazione, insistendo sul valore psicologico del lavoro e trascurando la natura strutturale irreversibile della disoccupazione, si manca di considerare il crescente e continuo affievolimento, se non della totale estinzione, dell’etica del lavoro; in tal modo, ci si preclude di comprendere come gli esiti negativi della disoccupazione strutturale possono essere rimossi ricorrendo ad una forma di reddito incondizionato, qual è il Reddito di Cittadinanza, alternativo al reddito di mercato. Sin tanto che non sarà rimosso il rapporto che si presume esista tra il lavoro e la stima di sé, che porta a considerare il lavoro stesso come un valore esistenziale dal quale non si può prescindere (perché: “il lavoro è vita”, “il lavoro è partecipazione”, “il lavoro è autonomia”, ecc.), la necessità di creare posti di lavoro continuerà a costituire una priorità sociale ineludibile, ma irrisolvibile in presenza delle attuali regole di funzionamento delle economie di mercato integrate nell’economia mondiale.
Perché il lavoro possa portare la stima di sé occorre che esso produca beni e servizi che possano essere “apprezzati” dai potenziali consumatori e dai contribuenti, quando sono questi a doverlo finanziare; ne consegue, perciò, che il lavoro creato attraverso contribuzioni pubbliche solo perché si ritiene costituisca un valore in sé potrebbe non servire allo scopo. Ciò può accadere se il lavoro fosse avvertito come controproducente, sia da chi fruisce del prodotto finale (consumatore), sia da chi ne finanzia la produzione (contribuente).
La stima di sé del lavoratore non è un valore che possa essere presidiato con il convincimento che esso esista o, peggio, che esso debba esistere. Se il lavoro svolto da un lavoratore è “apprezzato” dagli altri, esso sarà richiesto e, necessariamente, assicurerà a chi lo svolge stima di sé; d’altra parte, se il lavoro non è richiesto, esso non potrà assicurare a chi lo esercita nessuna stima, ma solo uno stato di indigenza insostenibile e di grave frustrazione psicologica.
Inoltre, dal punto di vista dei rapporti sociali, la stima di sé, che può essere tratta da chi svolge un lavoro, dipende anche dal “tipo” di lavoro svolto. Un lavoro temporaneo, ad esempio, non può assicurare alcuna stima, in quanto coloro che lo eseguono sono occupati solo per un tempo limitato. Se, ad esempio, lo scopo del lavoro temporaneo, nelle condizioni attuali, fosse quello di impedire l’autoafflizione dei disoccupati strutturali, occorrerebbe che il lavoro fosse stabile e non precario. In conclusione, il lavoro supposto dotato di valore in sé nella attuali economie industriali avanzate non è assunzione utile alla rimozione della disoccupazione strutturale e con questa dell’indigenza; il lavoro inteso come “vita”, “dignità”, “partecipazione” e “libertà” è un residuo biblico, che si è tradotto in un principio comportamentale individualistico ed arcaico dell’uomo “condannato” a produrre ciò di cui ha bisogno per sopravvivere, non più idoneo, nei moderni sistemi industriali, a garantire stabilità economica e sociale in presenza di una giustizia distributiva condivisa. Il problema allora della giustificazione dell’erogazione di un reddito svincolato dallo svolgimento di un lavoro deve essere spostato sul piano sociale.

3. Giustificazione economico-sociale del Reddito di Cittadinanza

3.1. L’esperienza del modo di funzionare dei moderni sistemi industriali ha da tempo evidenziato che, quando la gestione del sistema economico è lasciata all’azione discrezionale della politica per il perseguimento di scopi nobili come, ad esempio, l’incremento o il mantenimento dei livelli occupativi, in assenza di un qualche automatismo autoregolatore, è resa possibile una manipolazione dei flussi di reddito, tale da creare uno stock di capitale sociale negativo (somma dei disavanzi correnti del settore pubblico) a spese dei cittadini; è questa la ragione del perché si impone oggi, all’interno delle società industriali avanzate, ed in particolare all’interno di sistemi come quello italiano che da tempo ha visto deteriorarsi i propri “fondamentali” economici, la necessità di una riforma radicale del welfare esistente.
Prima del secondo conflitto mondiale John Maynard Keynes affermava che gli Stati autoritari dell’epoca risolvevano il problema della disoccupazione a spese dell’efficienza e della libertà. Keynes, tuttavia, era certo che il mondo non avrebbe tollerato a lungo la mancanza di libertà, ma anche che non avrebbe sopportato la “piaga” della disoccupazione, imputabile alle ingiustificabili modalità di funzionamento delle economie capitalistiche. L’economista di Cambridge era anche certo che, abbattute le dittature, una corretta soluzione del problema della disoccupazione sarebbe stato possibile trovarla, ricuperando, sia l’efficienza, che la libertà.
Dopo il secondo conflitto mondiale, però, il mercato del lavoro ha subito un cambiamento nelle forme d’uso della forza lavoro, originando una diffusa disoccupazione sempre più difficile da “governare”, sino a diventare disoccupazione strutturale, che ha messo progressivamente in crisi il sistema di sicurezza sociale basato sul modello elaborato nel Regno Unito, nel 1942, da William Henry Beveridge. Questo sistema aveva tre funzioni: assicurare alla forza lavoro disoccupata la garanzia di un reddito corrisposto sotto forma di sussidi a fronte di contribuzioni assicurative; assicurare un reddito alle categorie sociali che, per qualsiasi motivo, avessero avuto bisogno di un’assistenza temporanea, nel caso in cui esse non avessero avuto il diritto ad alcun sussidio; assicurare al sistema economico servizi regolativi e di supporto all’occupazione ed al risparmio, attraverso la realizzazione delle condizioni che davano titolo a ricevere i sussidi. L’obiettivo fondamentale del welfare State realizzato è stato, sin dal suo inizio, univocamente determinato; il sistema è però “fallito”, a causa delle perdita della flessibilità del mercato del lavoro.
Il sistema di sicurezza sociale realizzato era basato sulla premessa che l’economia operasse in corrispondenza del pieno impiego, o ad un livello molto prossimo ad esso, cosicché le contribuzioni della forza lavoro bilanciassero le erogazioni previste in suo favore. Ma il sistema così come era stato concepito all’origine è divenuto largamente insufficiente rispetto all’evoluzione successiva della realtà economica e sociale. Ciò perché il welfare State è stato progressivamente esteso per coprire le emergenze conseguenti all’aumentata complessità dei sistemi economici; in tal modo, esso è divenuto costoso ed inefficiente a seguito dell’espandersi delle varie forme di sussidio che è stato necessario corrispondere e dei costi burocratici per le “prove dei mezzi” (le prove cioè di trovarsi realmente in stato di bisogno) alle quali i beneficiari dei sussidi dovevano sottoporsi.

3.2. Il fallimento delle riforme e delle integrazioni cui il sistema di sicurezza sociale è stato sottoposto, dopo la sua realizzazione, ha orientato l’analisi economica ad assumere che la sicurezza sociale dovesse avere principalmente lo scopo di assicurare una costante flessibilità del mercato del lavoro e non quello di compensare la crescente insicurezza reddituale delle forza lavoro. Il modo per rendere tra loro compatibili la flessibilità del mercato del lavoro e la sicurezza reddituale individuale nella libertà, da un lato, e l’efficienza del sistema economico, dall’altro, è stato individuato nell’istituzionalizzazione del Reddito di Cittadinanza.
Si tratta di una forma di reddito erogato incondizionatamente a favore di tutti e finanziato con le medesime risorse impegnate nel funzionamento del sistema di sicurezza sociale, l’attuale welfare; oppure mediante la distribuzione di un Dividendo Sociale, finanziato con le risorse derivanti dalla vendita sul mercato dei servizi di tutti i fattori produttivi di proprietà collettiva, gestiti dallo Stato, mediante la costituzione di un “Fondo-capitale nazionale”, per conto e nell’interesse di tutti i cittadini. Era questa l’idea originaria con cui James Edward Meade, docente alla London School of Economics e alla Cambridge University e insignito nel 1977 del premio Nobel per l’economia, parlando di Dividendo Sociale, ha introdotto nell’analisi economica il problema dell’istituzionalizzazione del Reddito di Cittadinanza.
Il Dividendo Sociale, doveva essere corrisposto di diritto a ciascun cittadino sotto forma di trasferimento, indipendentemente da ogni considerazione riguardo ad età, sesso, stato lavorativo, stato coniugale, prova dei mezzi e funzionamento stabile del sistema economico. Il suo fine ultimo doveva essere quello di realizzare un sistema di sicurezza sociale che avesse riconosciuto ad ogni singolo soggetto, in quanto cittadino, il diritto ad uno standard minimo di vita, in presenza di una giustizia sociale più condivisa; un sistema di sicurezza, cioè, che avesse consentito di raggiungere, sia pure indirettamente, tale fine in termini più efficienti ed ugualitari di quanto non fosse stato possibile conseguirlo con qualsiasi altro sistema alternativo.

3.3. Meade ha sempre preferito parlare di Dividendo Sociale, anziché di Reddito di Cittadinanza; quest’ultima espressione sarà introdotta successivamente, verso la fine degli anni Ottanta del secolo scorso; ma il suo significato e le sue implicazioni saranno quelle indicare da Meade nel suo concetto di Dividendo Sociale, che il premio Nobel aveva mutuato dal lavoro di Lady Juliet Rhys-Williams, autrice nel 1943 di un libro dal titolo “Something to Look Forward Too” (Non vedere l’ora di fare qualcosa di nuovo), in cui veniva proposto un “Nuovo Contratto Sociale”, implicante la corresponsione incondizionata e universale di un reddito sociale alternativo a quello previsto dal Rapporto-Beveridge sulla sicurezza sociale. James Meade, nel 1948, in un suo lavoro, “Planning and the Price Mechanism”, ha presentato l’idea di Lady Rhys-Williams come una stimolante proposta per una riforma strutturale del modello di sicurezza sociale istituzionalizzato nel Regno Unito alcuni anni prima.
Meade ha riassunto come segue la proposta di Lady Juliet Rhys-Williams: ella – ha affermato il Nobel inglese – ha suggerito la corresponsione di un pagamento in moneta (o Dividendo Sociale) ad ogni singolo cittadino, uomo, donna o bambino. La somma pagata deve sostituire tutti i benefici sociali corrisposti sulla base del sistema di sicurezza sociale esistente, quali i sussidi ai disoccupati, il pagamento delle pensioni ai lavoratori collocati a riposo per raggiunti limiti di età, i sussidi per malattia e quelli corrisposti ai minori di età. Ogni uomo, donna o minore deve percepite il Dividendo Sociale, qualunque sia il loro stato di salute, sia nel caso di malattia che nel caso si trovino in perfetto stato di salute, sia in caso di occupazione che di disoccupazione, e indipendentemente dall’età. Non deve essere prevista nessuna prova dei mezzi, né devono esistere dei test per provare che i soggetti destinatari del Dividendo Sociale sono impegnati nella ricerca di lavoro; né essi sono obbligati a dimostrare di essere realmente ammalati. I medici possono cessare di rilasciare certificati di malattia e procedere, quindi, a tempo pieno nella cura dei loro ammalati. Gli uffici per l’occupazione possono cessare di preoccuparsi dei disoccupati e impegnarsi maggiormente nell’avviare verso nuove opportunità occupazionali chi si trova involontariamente ad essere disoccupato. Conclusivamente, il Ministero della Sicurezza Sociale può addirittura essere chiuso. I sussidi personali universali concessi incondizionatamente a tutti i cittadini possono prendere il posto dell’intero apparato del sistema di sicurezza sociale esistente.

3.4. La proposta di Lady Juliet Rhys-Williams, secondo Meade, era da condividersi e da preferirsi al sistema di sicurezza sociale costruito sulla base del Rapporto-Beveridge, perché presentava quattro grandi vantaggi: 1. realizzava una semplificazione burocratica nel governo del sistema economico; 2. garantiva una maggiore libertà personale; 3. realizzava una “equalizzazione” dei redditi personali; 4. garantiva un’efficace strumentazione per un più razionale controllo della spesa pubblica. Per tutti questi motivi, secondo Meade, la proposta meritava un’attenta e seria considerazione, in quanto rendeva possibile una razionalizzazione dei metodi correnti di distribuzione del costo della sicurezza sociale.
Negli anni successivi alla sua formulazione, la proposta sarà abbandonata, per via dell’inizio dei “Gloriosi trent’anni” (1945-1975), nell’arco dei quali le economie capitalistiche, rette da sistemi politici democratici, vivranno un periodo di crescita sostenuta che consentirà la realizzazione di welfare State sempre più universali; dopo la crisi monetaria ed energetica e l’instabilità di funzionamento dei sistemi economici degli anni Settanta è insorto il problema della sostenibilità del costo dei sistemi di sicurezza sociale realizzati, anche per via del fatto che le politiche pubbliche finalizzate a regolare il mercato del lavoro, sono diventate sempre meno efficaci per il mantenimento dei livelli occupazionali.
L’occasione per riproporre il dibattito sull’istituzionalizzazione di un reddito incondizionato da corrispondersi a tutti i cittadini (o residenti) sarà offerta dall’evento che nel 1985 ha visto la formazione del Basic Income European Network (BIEN), movimento fondato alla fine della First International Conference on Basic Income, svoltasi all’Università Cattolica di Lovanio. La conferenza ha inaugurato la prima fase di riflessione sull’uso dell’espressione Reddito di Cittadinanza, ma ha anche concorso a consolidarne l’uso nell’analisi economica. La letteratura sull’argomento evidenzia che, nell’anno in cui si è svolta la conferenza, molti economisti inglesi erano ancora propensi ad usare, in luogo dell’espressione Reddito di Cittadinanza, quella di Dividendo Sociale. Alla fine della conferenza del 1986, i suggerimenti per stabilire definitivamente il nome del Network è stato, tra i molti avanzati, quello che, in considerazione della natura bilingue del Paese che ospitava la conferenza, proponeva di associare all’acronimo “BIEN” (che in lingua francese significa anche “bene”) la sua traduzione olandese in “GOED”, corrispondente all’espressione inglese “Great Order for European Dividend”. Tutti così hanno trovato la “pace dei sensi” sul come denominare il movimento a supporto dell’uso del “RdC”, inteso come strumento di politica economica attraverso il quale realizzare un sistema di sicurezza sociale alternativo a quello realizzato.

3.5. Le carenze del sistema di sicurezza sociale esistente erano la conseguenza della premessa originariamente assunta che l’economia operasse in corrispondenza del pieno impiego, o ad un livello molto prossimo al pieno impiego, cosicché una parte delle contribuzioni assicurative della forza lavoro potesse bilanciare le erogazioni previste in suo favore nelle fasi negative del ciclo economico.
Ma il sistema così come era stato concepito è divenuto largamente insufficiente rispetto alla nuova natura della realtà economica e sociale. Il welfare State è stato necessario estenderlo progressivamente per coprire le emergenze conseguenti alla crescente complessità del funzionamento dei sistemi economici; in tal modo, esso è divenuto costoso ed inefficiente a seguito dell’espandersi delle varie forme di sostegno che è stato necessario erogare e dei costi burocratici originati dal suo funzionamento.
Il fallimento delle riforme e delle integrazioni, cui il sistema di sicurezza sociale è stato sottoposto dopo la sua realizzazione, ha orientato l’analisi economica ad assumere, come già si detto, che la sicurezza sociale dovesse avere principalmente lo scopo di assicurare una costante flessibilità del mercato del lavoro attraverso la liberazione dal bisogno della forza lavoro, e non quella di compensare la sua crescente insicurezza reddituale. Il modo per rendere tra loro compatibili, la flessibilità del mercato del lavoro e la sicurezza reddituale individuale nella libertà, da un lato, e l’efficienza del sistema economico, dall’altro, è stato individuato nell’adozione di un nuovo sistema di sicurezza sociale fondato sull’istituzionalizzazione del Reddito di Cittadinanza, sotto il vincolo di poter creare un sistema di sicurezza sociale più efficiente ed ugualitario di quanto non fosse possibile realizzare con il sistema del welfare State esistente.
All’interno del nuovo sistema di sicurezza sociale, lo scopo perseguibile con l’istituzionalizzazione del “RdC” sarebbe consistito, in sostanza, nell’assicurare a tutta la forza lavoro disponibile la possibilità di scegliere tra un più alto reddito/maggior lavoro e un più basso reddito/più tempo libero; ciò nella prospettiva che l’effettuazione di questa scelta avrebbe consentito il cambiamento in positivo della percezione negativa che tradizionalmente la disoccupazione ha sempre avuto sul piano individuale, ma anche su quello sociale. Le conseguenze dell’istituzionalizzazione di un sistema di sicurezza sociale fondato sull’istituzionalizzazione del Reddito di Cittadinanza, secondo chi lo proponeva, sarebbero state diverse e tutte positive sul piano individuale e su quello sociale.
In primo luogo sarebbe stato possibile ridurre il bisogno di attuare programmi pubblici volti ad avviare “attività di cantiere”, al solo fine di creare un alto numero di posti di lavoro fittizi; ciò perché la corresponsione di un reddito incondizionato, alternativo a quello ottenibile attraverso lo svolgimento di attività precarie, avrebbe reso più responsabile, per coloro che lo avessero percepito, la decisione del come impiegare il loro tempo libero.
In secondo luogo, l’erogazione del Reddito di Cittadinanza avrebbe contribuito ad incoraggiare la propensione a svolgere un’attività lavorativa per l’autosostentamento; questa propensione, comportando per la forza lavoro un suo minore inserimento nel mercato del lavoro, avrebbe reso possibile l’innalzamento della qualità del lavoro e quella del risultato di chi lo avesse svolto.

4. Il superamento dell’etica del lavoro.

Nel dibattito sul Reddito di Cittadinanza, coloro che affrontano criticamente il superamento della disoccupazione strutturale e la dissociazione del reddito individuale dal rapporto di lavoro attraverso l’istituzionalizzazione del Reddito di Cittadinanza, tendono a trascurare il problema della necessità di pervenire al superamento dell’etica del lavoro, intesa questa come valore in sé. Per tale motivo, essi finiscono anche col trascurare i limiti sul piano degli effetti delle loro stesse proposte. Così, sin tanto che non sarà rimosso il rapporto che si presume esista tra il lavoro e la stima di sé che porta a considerare il lavoro stesso come diritto (il lavoro è un diritto, perché: “il lavoro è vita”, “il lavoro è partecipazione”, “il lavoro è autonomia”, ecc.), ne consegue che la necessità di creare posti di lavoro continui a costituire una priorità sociale ineludibile; priorità che, come si è detto, nei moderni sistemi economici si sta rivelando quasi impossibile da soddisfare.
Perché il lavoro porti la stima di sé occorre anche che esso produca beni e servizi che possano essere apprezzati dai potenziali consumatori e dai contribuenti; ne consegue, perciò, che il lavoro creato attraverso contribuzioni pubbliche solo perché si ritiene costituisca un diritto potrebbe non servire allo scopo, in quanto avvertito come controproducente. La stima di sé non è un valore che possa essere assicurato con la creazione di un diritto; se il lavoro svolto da un dato soggetto è apprezzato dagli altri, esso, necessariamente, assicurerà stima per chi lo svolge. D’altra parte, se il lavoro non è richiesto, ed è garantito solo perché considerato un diritto, il lavoro stesso non potrà assicurare necessariamente stima per chi lo svolge.
Inoltre, dal punto di vista dei rapporti sociali, la stima di sé connessa al lavoro dipende dal “tipo” di lavoro svolto. Un lavoro temporaneo, ad esempio, non può portare alcuna stima duratura per chi lo svolge; né il lavoro ha implicazioni positive per chi lo esegue allorché i disoccupati sono destinati alla produzione di “servizi socialmente utili”, cioè quando i disoccupati sono impiegati nella produzione di beni e servizi che in un momento particolare sono ritenuti necessari. Infatti, se lo scopo dei “lavori socialmente utili” è quello di impedire il disagio sociale dei disoccupati mediante l’inserimento di questi ultimi nel mercato del lavoro, occorrerebbe che i lavori socialmente utili fossero lavori stabili.
In conclusione, il lavoro come diritto non sembra “strumento” proponibile per rimuovere la disoccupazione strutturale; il lavoro come diritto, inteso come “vita”, “partecipazione” e “libertà” è un residuo ideologico proprio dei sistemi sociali ad economia di mercato afflitti da disoccupazione strutturale irreversibile e da difficoltà di crescita. Occorre, pertanto, flessibilizzare il mercato del lavoro, dissociando il lavoro dal reddito che deve essere corrisposto anche a coloro che non siano inseriti nel mercato del lavoro; ciò consentirà ai soggetti che percepiranno il Reddito di Cittadinanza di ricuperare l’autostima di sé, svolgendo attività lavorative che potranno essere intraprese grazie all’impiego del reddito ricevuto, secondo le scelte che ognuno potrà compiere tra un più alto reddito/maggior lavoro e un più basso reddito/più tempo libero. Il ricevimento di un reddito svincolato da un rapporto di lavoro costituirà, perciò, il ricupero da parte dell’intera forza lavoro della piena stima di sé, rinvenendo la sua “fonte” nella funzione economica, individuale e sociale svolta dal reddito universale e incondizionato ricevuto.
Il ruolo e la funzione del Reddito di Cittadinanza “sganciato” dagli automatismi del mercato saranno, come ripetutamente è stato affermato, strumentali al rilancio che, nel breve periodo, è possibile imprimere alle tre “istituzioni portanti” del processo di crescita e di sviluppo del sistema produttivo: settore delle famiglie, mercato e settore pubblico. Il settore delle famiglie, fruendo dell’opportunità garantita a tutti i membri di ogni famiglia dal Reddito di Cittadinanza indipendentemente dal loro status rispetto al lavoro, potrà concorrere a rendere più flessibile il mercato del levoro; con il sistema economico in espansione, sarà possibile finanziare il progresso tecnologico, aumentare la produzione e la distribuzione dei servizi sostituitivi di quelli tradizionali prodotti e consumati direttamente dalle famiglie. D’altra parte, con l’attuazione di una politica riformatrice dello Stato sociale tradizionale, il mercato del lavoro, dotato di una maggiore flessibilità, sarà anche caratterizzato da una maggiore instabilità, per cui il settore pubblico, con il Reddito di Cittadinanza, potrà garantire alle famiglie un’adeguata protezione sul piano economico e su quello sociale, contro la possibile perdita temporanea di ogni capacità di reddito da lavoro e contro molti altri rischi sociali, quali, ad esempio, la perdita di professionalità, la perdita della capacità di reinserimento nel mercato del lavoro, ecc.

5. Finanziamento del Reddito di Cittadinanza

Un problema assai dibattuto riguardo all’istituzionalizzazione del Reddito di Cittadinanza concerne il suo finanziamento. Un dei meriti di Meade è stata la dimostrazione della possibilità di istituzionalizzare l’introduzione del “RdC” attraverso il suo finanziamento con l’impiego delle risorse utilizzate per il funzionamento del sistema di sicurezza sociale esistente, oppure mediante la distribuzione di un Dividendo Sociale finanziato con le rimunerazioni derivanti dalla vendita sul mercato dei servizi di tutti i fattori produttivi di proprietà collettiva, gestiti dallo Stato mediante la costituzione di un “Fondo Capitale Nazionale”, per conto e nell’interesse di tutti i cittadini.
Al riguardo, è plausibile pensare che, in Paesi come Italia, la “via” del finanziamento del “RdC” tramite la riforma ab imis dell’attuale sistema di sicurezza sociale sia destinata ad essere percepita in assoluto come impercorribile, dati i tempi che sarebbero richiesi e le criticità inevitabili che sarebbe necessario affrontare durante la transizione dall’attuale sistema di sicurezza sociale a quello nuovo, imperniato sull’introduzione del “RdC”. Più facile sembra la “via” della costituzione del Fondo Capitale Nazionale, dal quale derivare le risorse da assegnare sino alla concorrenza delle disponibilità, variabili nel tempo, del “Fondo” ai singoli cittadini. In questo caso, come reperire le risorse necessarie?
Meade ipotizzava che lo stock di capitale costituivo del “Fondo” potesse essere finanziato dai surplus della bilancia internazionale dei pagamenti dei singoli Paesi; si potrebbe però ipotizzare che il finanziamento sia realizzato coi proventi derivanti dalla vendita di determinati beni, come ad esempio avviene in Norvegia, dove la costituzione del “Fondo” è alimentato dai proventi della vendita del petrolio. In Paesi come l’Italia, dove mancano le risorse petrolifere e dove è problematico pensare di trovare risorse alternative per introdurre il Reddito di Cittadinanza attraverso uno dei due possibili modi suggerii da Meade, la soluzione del problema potrebbe essere inserito nella prospettiva delle finalità del cosiddetto “movimento benecomunista”, ovvero del movimento che si prefigge di riordinare i diritti di proprietà all’interno dei moderni sistemi industriali, senza “tagliare la gola” ai capitalisti.
L’idea di riordinare l’istituto della proprietà in funzione dello stato presente del sistema sociale ed economico nazionale può essere derivata dalla teoria economica dei diritti di proprietà, secondo la quale l’esistenza dei diritti di proprietà e la disponibilità di una loro definizione più rispondente alle modalità di funzionamento dei moderni sistemi economici costituirebbero i fattori che consentirebbero di massimizzare la convenienza della persone a “vivere insieme”, per svolgere l’attività utile al perseguimento dei loro progetti di vita, attraverso il meccanismo di produzione, di scambio o di fruizione della ricchezza accumulata.
In questa prospettiva, l’elemento che giustificherebbe la proprietà non sarebbe tanto il valore dei beni in sé e la possibilità di una loro illimitata ed arbitraria utilizzazione, quanto l’insieme delle regole che ne dovessero sottendere la loro fruizione; i beni, perciò, sarebbero svuotati del loro mero significato di oggetti, per dare rilievo alle modalità con cui i costi ed i benefici connessi alle decisioni del loro uso sono suddivisi. In questo contesto, la proprietà privata sarebbe distinta da quella comune, proprio per il diverso grado di disponibilità a titolo individuale dei beni che costituiscono il contenuto sia dell’una forma di proprietà che dell’altra.
Sono gli stravolgimenti della vita sociale imputabili alle modalità di funzionamento dei moderni sistemi economici che giustificherebbero una migliore ridefinizione dei diritti di proprietà; su questa nuova base, diverrebbe possibile costituire un patrimonio collettivo per il finanziamento del “Fondo” da utilizzare per finanziare il “RdC”.

6. Conclusioni

Da quanto sin qui esposto risulta chiaro come il Reddito di Cittadinanza (o Dividendo Sociale), all’origine concepito come forma di reddito sul quale fondare la costruzione di un sistema di sicurezza sociale più efficiente di quello realizzato sulle base del “Rapporto-Beveridge”, esso, successivamente, dopo la First International Conference on Basic Income, svoltasi all’Università Cattolica di Lovanio nel 1985, è stato riferito ad una sfera di applicazione molto più allargata, sino a comprendere la soluzione del problema della disoccupazione tecnologica irreversibile originata dalle modalità di funzionamento dei moderni sistemi industriali capitalistici.
Al Reddito di Cittadinanza, o Dividendo Sociale, o Reddito di Base, oltre che un significato economico, è stata assegnata la funzione di risolvere sul piano sociale i problemi che la sperimentazione del welfare State ha mostrato di non poter risolvere, quali, in particolare, quello di conservare ai lavoratori che hanno perso la stabilità occupazionale la stima di sé e quello di poter garantire una maggiore flessibilità al mercato del lavoro.
Tali obiettivi, con il Reddito di Cittadinanza diventano perseguibili, senza la necessità di realizzare rivoluzioni sociali, ma solo attraverso una responsabile politica riformista, idonea a riproporre, su basi nuove, l’organizzazione dello stato di sicurezza sociale vigente, a porre definitivamente fine all’uso di provvedimenti-tampone per rimediare alle situazioni sociali negative causate dall’insorgenza di possibili crisi economiche, ma anche di promuovere lo svolgimento, da parte dei percettori del Reddito di Cittadinanza, l’avvio di possibili attività produttive autonome gratificanti, perché la fruizione del loro risultato è affrancato dalla natura di “prestazione caritatevole” dei sussidi di sopravvivenza corrisposti dall’assistenza statale.
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Riferimenti bibliografici

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Van Parijs P., Vanderborght Y. (2006), Il reddito Minimo universale, Università Bocconi Editrice, Milano.

Materiali per il Dibattito su Lavoro e Reddito di Cittadinanza

lampadadialadmicromicroGianfranco Sabattini al Convegno sul Lavoro ha rilanciato il dibattito su Lavoro e Reddito di Cittadinanza. Una grande (non semplice) questione da non lasciare alla polemica politica contingente. Da approfondire in tutte le sedi, a partire da quelle accademiche. Al riguardo non sembra che le Università sarde investano in ricerca scientifica e siano impegnate nella relativa divulgazione. Ce ne sarebbe bisogno, eccome! Si può dire che meno male vivono ancora tra di noi i “vecchi professori”! Gli altri, competenti per materia, in servizio o temporaneamente prestati a far danni altrove, sembrano irrimediabilmente conquistati dal neoliberismo purtroppo allo stato egemone.
sabattini-e-co
‘Reddito di cittadinanza’?
Meglio il ‘dividendo sociale’

di Gianfranco Sabattini
Pubblicato il 26-03-2014 su Avanti! on line.

[...]
L’esperienza di molti paesi evidenzia da tempo che quando la gestione del sistema di sicurezza sociale è lasciata all’azione discrezionale della politica, in assenza di un qualche automatismo autoregolatore, è resa possibile una manipolazione dei flussi di reddito, tale da creare uno stock di capitale sociale negativo (somma dei disavanzi correnti del settore pubblico) a spese anche dei cittadini che ancora non hanno raggiunto l’età per votare o che, addirittura, non sono ancora nati; è questa la ragione del perché si impone oggi, all’interno delle società industriali avanzate, ed in particolare all’interno di sistemi come quello italiano che da tempo ha compromesso i propri “fondamentali”, la necessità di una riforma radicale del welfare esistente.

Malgrado l’evidenza, nelle iniziative e nei provvedimenti volti ad assicurare l’accesso al reddito a chi si trova involontariamente in stato di bisogno (come, ad esempio, quelli di recente presentati sotto il nome di “Job Act”) si continua a fare riferimento a “vecchi strumenti” di per sé obsoleti, ad integrazione del sistema di sicurezza sociale esistente, e si continua ad ignorare che il grande economista James Meade, già ai tempi in cui tale sistema veniva adottato, aveva dimostrato i maggiori vantaggi che potevano derivare dall’istituzionalizzazione di un “reddito di cittadinanza”, erogato incondizionatamente a favore di tutti e finanziato con le medesime risorse impegnate nel funzionamento del sistema di sicurezza sociale, l’attuale welfare; oppure mediante la distribuzione di un “dividendo sociale” finanziato con le risorse derivanti dalla vendita sul mercato dei servizi di tutti i fattori produttivi di proprietà collettiva, gestiti dallo Stato, mediante la costituzione di un “Fondo-capitale nazionale”, per conto e nell’interesse di tutti i cittadini.

Può sembrare strano che il grande economista inglese James Edward Meade, nonostante la sua generalizzata disponibilità ad accettare l’espressione reddito di cittadinanza per indicare un sistema di sicurezza sociale alternativo al welfare State, abbia sempre conservato nei suoi lavori l’espressione dividendo sociale. Il suo modello di organizzazione del sistema sociale, formalizzato in “Agathotopia” (luogo dove sarebbe conveniente vivere, illustrato per la prima volta dal premio Nobel alla conferenza organizzata nel 1988 in Italia dalla Lega delle Cooperative e descritto in un piccolo volume pubblicato in lingua italiana nel 1989), è fondato infatti sul pagamento automatico di un dividendo sociale corrisposto incondizionatamente, in una misura identica, a tutti i cittadini individualmente considerati.

La lettura di Agathotopia potrebbe indurre a pensare che James Meade possa avere “scoperto” l’espressione dividendo sociale solo in tempi a noi vicini. Non è così! Secondo i suoi allievi, egli l’ha tratta dal lavoro di Lady Juliet Rhys-Williams, autrice nel 1943 di un libro dal titolo Something to Look Forward Too, in cui veniva proposto un “Nuovo Contratto Sociale”, implicante la corresponsione incondizionata e universale di un reddito sociale alternativo a quello previsto dal Rapporto-Beveridge sulla sicurezza sociale. James Meade, nel 1948, in un suo lavoro, “Planning and the Price Mechanism”, ha presentato l’idea di Lady Rhys-Williams come una stimolante proposta per una riforma strutturale del modello di sicurezza sociale istituzionalizzato alcuni anni prima nel Regno Unito.

Meade ha riassunto come segue la proposta di Lady Juliet Rhys-Williams: ella – ha affermato il Nobel inglese – ha suggerito la corresponsione di un pagamento in moneta o un dividendo sociale ad ogni singolo cittadino, uomo, donna o bambino. La somma pagata deve sostituire tutti i benefici sociali corrisposti sulla base del sistema di sicurezza sociale esistente, quali i sussidi ai disoccupati, il pagamento delle pensioni ai lavoratori collocati a riposo per raggiunti limiti di età, i sussidi per malattia e quelli corrisposti ai minori di età. Ogni uomo, donna o minore deve percepite il dividendo sociale, qualunque sia il proprio stato di salute, sia nel caso di malattia che nel caso si trovino in perfetto stato di salute, sia in caso di occupazione che di disoccupazione e indipendentemente dall’età. Non deve essere prevista nessuna prova dei mezzi, né devono esistere dei test per provare che i soggetti destinatari del dividendo sociale sono impegnati nella ricerca di lavoro, né essi sono obbligati a dimostrare di essere realmente ammalati. I medici possono cessare di rilasciare certificati di malattia e procedere, quindi, a tempo pieno nella cura dei loro ammalati. Gli uffici per l’occupazione possono cessare di preoccuparsi dei disoccupati e impegnarsi maggiormente nell’avviare verso nuove opportunità occupazionali chi si trova involontariamente ad essere disoccupato. Il Ministero della Sicurezza Sociale può addirittura essere chiuso. I sussidi personali universali concessi incondizionatamente a tutti i cittadini possono prendere il posto dell’intero apparato del sistema di sicurezza sociale esistente.

La proposta di Lady Juliet Rhys-Williams, secondo Meade, era da condividersi e da preferirsi, perché presentava quattro grandi vantaggi: 1. realizzava una semplificazione burocratica del sistema economico; 2. garantiva una maggiore libertà personale; 3. realizzava una “equalizzazione” dei redditi personali; 4. garantiva un’efficace strumentazione per un più razionale controllo della spesa pubblica. Per tutti questi motivi, secondo Meade, la proposta meritava un’attenta e seria considerazione, in quanto rendeva possibile una razionalizzazione degli attuali metodi di distribuzione del costo della sicurezza sociale.

La valutazione espressa da Meade della proposta di Lady Juliet Rhys-Williams prefigura inequivocabilmente uno dei modi possibili di finanziare il reddito di cittadinanza o dividendo sociale, come lo stesso Meade lo chiamava; ma esiste anche un altra modalità di finanziamento, forse ancora più avanzata e vicina alle urgenze di un sistema sociale in crisi come quello italiano. Tale modalità alternativa sarà illustrata in un prossimo articolo e consentirà di capire perché Meade, in tutta la sua riflessione sul come migliorare il benessere dell’umanità, abbia sempre preferito l’espressione dividendo sociale in luogo di quella di reddito di cittadinanza, nonostante non esista sul piano dei “contenuti” alcuna differenza tra le due espressioni.

Gianfranco Sabattini

1/continua

Finanziare il Reddito di Cittadinanza con i proventi dell’utilizzo dei “beni comuni”? Una proposta rilanciata da Gianfranco Sabattini

g-sabattini-5-ott-17[...] Un problema assai dibattuto riguardo all’istituzionalizzazione del “Reddito di Cittadinanza” concerne il suo finanziamento. Uno dei meriti di Meade è stato la dimostrazione della possibilità di istituzionalizzarne l’introduzione attraverso il suo finanziamento con l’impiego delle risorse utilizzate per il funzionamento del sistema di sicurezza sociale esistente, oppure mediante la distribuzione di un “Dividendo Sociale” finanziato con le rimunerazioni derivanti dalla vendita sul mercato dei servizi di tutti i fattori produttivi di proprietà collettiva *[nota di aladinews].
Al riguardo, è plausibile pensare che, in Paesi come Italia, la “via” del finanziamento del “RdC” tramite la riforma ab imis dell’attuale sistema di sicurezza sociale sia destinata ad essere percepita in assoluto come impercorribile, dati i tempi che sarebbero richiesi e le criticità inevitabili che sarebbe necessario affrontare durante la transizione dall’attuale sistema di sicurezza sociale a quello nuovo, imperniato sull’introduzione del “RdC”.
Più facile sembra la “via” della costituzione del “Fondo Capitale Collettivo”, dal quale derivare le risorse da assegnare, sino alla concorrenza delle disponibilità. In Paesi come l’Italia, dove è problematico pensare di trovare le risorse necessarie per introdurre il “Reddito di Cittadinanza” attraverso uno dei due possibili modi suggerii da Meade, la soluzione del problema potrebbe essere inserita nella prospettiva delle finalità del cosiddetto “movimento benecomunista”, ovvero del movimento che si prefigge di riordinare i diritti di proprietà all’interno dei moderni sistemi industriali, senza “tagliare la gola” ai capitalisti.
L’idea di riordinare l’istituto della proprietà in funzione dello stato presente del sistema sociale ed economico nazionale può essere derivata dalla “Teoria economica dei diritti di proprietà”, secondo la quale l’esistenza di tali diritti e la disponibilità di una loro definizione più rispondente alle modalità di funzionamento dei moderni sistemi economici potrebbero costituire le precondizioni per la realizzazione di un’organizzazione della società fondata su una distribuzione del prodotto sociale che non ostacoli lo stabile funzionamento del sistema economico e non soffra del costante problema delle ricerca di nuove opportunità di lavoro.
(Gianfranco Sabattini – Dalla relazione al Convegno per il Lavoro 4-5 ottobre 2017, Cagliari)
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alaskaNote
* Con dividendo sociale si intende la proposta di rendere partecipi tutti i membri di una comunità politica di un dividendo calcolato a partire da un fondo sovrano di proprietà della comunità medesima. Una sua prima formulazione è stata data dall’economista James Meade nel suo libro Agatotopia[1], poi ripresa dallo stesso autore in Libertà, egualianza ed efficienza[2].
Come dividendo universale ed incondizionato, questa policy rappresenta una possibile modalità di applicazione dell’idea nota come reddito di base.
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Un dividendo sociale del tipo descritto è in funzione in Alaska dove, oltre a raccogliere una simpatia unanime tra politici e cittadini, è riuscito a diminuire le disuguaglianze e a rendere lo Stato artico l’unico Stato USA in controtendenza rispetto all’allargamento della forbice delle disuguaglianze economiche degli ultimi decenni. Il progetto, attivo dal 1982, è chiamato Alaska Permanent Fund Dividend, e distribuisce una volta all’anno ad ogni cittadino un dividendo calcolato sul rendimento medio del Permanent Fund negli ultimi cinque anni. Il fondo sovrano è stato costituito principalmente – sebbene non esclusivamente – grazie ai proventi dovuto allo Stato per lo sfruttamento privato dei pozzi petroliferi. [Fonte Wikipedia]
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- Altri contributi sul movimento benicomunista.
– Su abcrisparmio.

Oggi venerdì 6 ottobre 2017

locandina-convegno-2copia-di-eu_direct_loc_4-5_ottobre_ok_001-2
Con l’intervento del sociologo Domenico De Masi, intervistato da Fernando Codonesu, si è concluso il Convegno sul Lavoro, tenutosi nei giorni 4 e 5 ottobre con successo per la qualità degli interventi e per la grande partecipazione di pubblico, soprattutto giovanile. Nei prossimi giorni su questo sito saranno pubblicati i contributi dei relatori e ulteriore documentazione prodotta e/o utilizzata nel Convegno.
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democraziaoggi loghettoConvegno sul lavoro: minor occupazione e reddito di cittadinanza
6 Ottobre 2017
Commento su Democraziaoggi.
Ieri pomeriggio col magistrale (e simpatico) intervento del Prof. Domenico De Masi, sociologo di chiara fama, stimolato dai quesiti di Fernando Codonesu, si è conclusa con pieno successo la due giorni di dibattito, relazioni e tavole rotonde del Convegno sul lavoro, organizzato dal Comitato di inziativa costituzionale e statutaria e da Europe Direct – Regione Sardegna.
g-sabattini-5-ott-17Il Comitato pensa di approfondire con altre iniziative i temi più rilevanti emersi dalla discussione e di pubblicare le relazioni più importanti. Ora mettiamo a disposizione dei lettori uno stralcio della bella relazione di Gianfranco Sabattini, autorevole economista del nostro Ateneo, sul reddito di cittadinanza, tema ricorrente nel corso del Convegno
.

(segue)

Convegno per il Lavoro: Cambia Todo Cambia

locandina-convegno-2Cambia Todo Cambiacopia-di-eu_direct_loc_4-5_ottobre_ok_001-2
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Prosegue oggi alle 9 il Convegno sul Lavoro
5 Ottobre 2017

democraziaoggi loghettoAndrea Pubusa su Democraziaoggi.

Si è svolta ieri pomeriggio all’Hotel Regina Margherita la prima giornata del Convegno sul Lavoro, organizzato dal Comitato di inziativa costituzionale e statutaria e da Europe Direct – Regione Sardegna. Con la presidenza di Mariella Montixi e dopo i saluti di Andrea Pubusa e Franco Ventroni, una sala affollata di studenti e di cittadini ha ascoltato la bella relazione introduttiva di Fernando Codonesu sulle problematiche del lavoro oggi; a seguire la tavola rotonda, coordinata da Franco Meloni – con Giuliano Angotzi, Ettore Cannavera, Antonello Caria, Remo Siza, Gisella Trincas, portatori di testimonianze su lavori sociali solidali – poi una efficace e brillante ricostruzione del lavoro nella Costituzione di Tonino Dessì. In chiusura l’intrigante dialogo col filoso della scienza Silvano Tagliagambe, intervistato da Mauro Tuzzolino. Serata faticosa ma di grande livello culturale.
ieri
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Oggi si prosegue alle 9 con una tavola rotonda sul lavoro in Sardegna. Ci saranno poi relazioni di esperti autorevoli come quella di Gianfranco Sabattini dell’Ateneo cagliaritano e di Romano Benini della Sapienza. Dopo la pausa pranzo, alle 15 la parte finale con l’intervento di una autorità sulla materia Domenico De Masi, che risponderà alle domande di Fernando Codonesu.
Ecco ora la presentazione del Convegno svolta ieri da Andrea Pubusa del Comitato.

Come avete letto, questo Convegno è organizzato dal Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria e da Europe Direct – Regione Sardegna. Su quest’ultimo parlerà Franco Ventroni. Io dirà brevemente del primo.
Il Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria nasce dalla trasformazione del Comitato per il NO, dopo la splendida vittoria referendaria del 4 dicembre.
Ci siamo dati un codice di comportamento e un progetto, una missione, come si dice oggi. Il codice di condotta: rimanere comitato, ossia un organismo informale di base, aperto a tutti, senza finalità politco-elettorali. Abbiamo deciso di non fiancheggiare partiti o movimenti, anche perché fin nel Comitato nazionale abbiamo nel nostro seno personalità della più varia estrazione democratica, come Alessandro Pace e Gustavo Zaghrebelsky, per citare i più noti, che non ci seguirebbero in avventure di tipo politico-partitico.
E ci siamo dati una finalità: dopo il 4 dicembre, la Costituzione ci siamo proposti di lavorare per attuarla, nella consapevolezza che la Costituzione materiale, quella reale, è molto diversa da quella formale. E proprio il lavoro mostra questo abisso profondo fra lettera della Carta e realtà. Tanto il lavoro è bistrattato nelle leggi e nella realtà quanto è centrale nella Costituzione. La disoccupazione dilaga, ma la Carta annovera il lavoro fra i diritti-doveri fondamentali. Nella Carta è il lavoro il criterio generale per qualificare il valore sociale della persona e dare unità al nostro ordinamento, secondo la solenne enunciazione dell’art. 1, che pone il lavoro a base della Repubblica.
Se la dichiarazione dell’89 rivoluzionario fra i diritti “naturali e imprescrittibili” poneva la libertà, la sicurezza, la resistenza all’oppressione, nonché la proprietà, mentre il lavoro veniva considerato sotto l’aspetto negativo del divieto di ostacoli alla sua libera esplicazione, nella nostra Carta l’art 1 accoglie ed enuncia una concezione generale di vita secondo la quale deve vedersi nel lavioro la più efficace affermazione della personalità dell’uomo e della donna, perché nel lavoro ciascuno riesce ad esprimere la propria capacità creativa. Il lavoro, dunque, non fine a sé né mero strumento di guadagno, ma mezzo necessario per l’affermazione della persona e per l’adempimento dei suoi fini materiali e spirituali.
E’ questa una concezione del lavoro che accomuna in certo senso la visione cattolica e quella di matrice marxista, egemoni in Assemblea costituente. Papa Francesco ne parla in tutti i suoi discorsi, nell’ansia di vedere un mondo giusto e pacificato. Oggi a questa concezione se ne accompagnano altre. In particolare, c’è chi, non nel lavoro vede la realizzazione della personalità, ma nel possesso di un reddito garantito. Si invoca così un dividendo sociale, reddito di cittadinanza, reddito d’inclusione o altro ancora.
Ecco dunque un nuovo dilemma. Diritto al lavoro o diritto al reddito? Due visioni non collimanti anche se, forse, non antitetiche. Ma anche su questo dilemma, centrale nel dibattito pubblico attuale, il convegno vuole indagare. E’ l’innovazione tecnologica e la robotica a rendere stringente la risposta a questo interrogativo.
Ma – badate – non è un dilemma nuovo e non è estraneo alla cultura del movimento operaio e neanche a quella cattolica. Per la Chiesa la vita senza la fatica del lavoro è irrimediabilmente perduta con la cacciata dal paradiso terrestre, dove si viveva senz< faticare, piacevolmente. Nei pensatori del nascente Movimento operaio invece, la fine della fatica del lavoro o del lavoro tout court è il mondo dell’avvenire. Non devo ricordare a voi, lettori insaziabili, che fu il genero di Karl Marx, Paul Lafargue, a scrivere il Il diritto alla pigrizia o Il diritto all’ozio (Le Droit à la paresse, 1883). E quel testo, scritto dalla cella di prigione (nel 1880), non fu stroncato, anzi fu commentato in modo favorevole da Marx. In esso viene mossa un’aspra critica alla strana follia che si è impossessata di uomini e donne della società moderna: l’amore per il lavoro. Secondo Lafargue, la passione per il lavoro è causa della degenerazione intellettuale tipica delle società capitalistiche, nonché generatrice di miserie individuali e sociali. A sostegno del diritto all’ozio Lafargue porta un pungente ritratto della società lavoratrice del tempo, alienata da ritmi estenuanti e dal paradosso di macchinari sempre più precisi e veloci, ma - ecco il punto - l’impiego di essi non porta però ad una riduzione delle ore di lavoro umano. Al contrario velocizza i ritmi di lavoro quasi a voler mettere l’uomo in competizione con la macchina. Del resto, secondo Paul, “anche i Greci dell’antichità non provavano che disprezzo per il lavoro: solo agli schiavi era permesso lavorare; l’uomo libero conosceva unicamente gli esercizi corporali e i giochi di intelligenza». La tesi non apparì così eterodossa ai circoli socialisti del tempo se nessuna opera di propaganda socialista è stata tradotta in tante lingue quanto Il diritto alla pigrizia, eccettuato, ovviamente, il Manifesto comunista. E quando i pensatori ottocenteschi del nascente Movimento operaio parlavano di estinzione dello Stato e delle classi? Certamente pensavano anche ad una drastica riduzione del lavoro e a tanto tempo libero da trascorrere occupandosi della cosa pubblica o in piacevolezze di vario tipo. La tendenza verso una società dove lavorano le macchine e l’uomo si occupa delle cose piacevoli è auspicabile ed anzi, se mi permettete, è quella sorta di paradiso terrestre che risponde alla vecchia utopia socialista. Ci vuole però tanta cultura, tanta conoscenza, tanta scuola. Credo che nessun sogno negli uomini sia stato più ricorrente di questo: una società di uomni e donne liberi e ugualu, colti, con un buon reddito e tamto tempo libero, da dedicare alla vita pubblica, alle attività sociali, allo svago.. Ora questo sogno pare realizzabile, Ora la robotica, sembra rendere quel sogno realistico. Lavora la macchina e libera l’uomo dalla fatica e dal lavoro.Non possiamo opporci, dunque. Anzi questa è la frontiera della battaglia democratica del futuro: fare in modo che della ricchezza, prodotto sociale, non si approprino gruppi ristretti o una classe in danno delle altre, ma che la distribuzione sia equa, tendenzialmente egualitaria. In questo modo la disoccupazione scompare, si trasforma nel mitico “lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti“, non a caso titolo di questo Convegno. Ma la distribuzione non sarà frutto di automatismi o di benevole concessioni. Non sarà la distribuzione delle pietanze in un pranzo di gala. Sarà il frutto di una lotta asperrima e senza esclusioone di colpi. Si può dire? E’ la lotta di classe del tempo nostro, che è già iniziata e per ora è vinta dai grandi manager e dai grandi finanzieri, che si accapparrano gran parte della richezza sociale. Come vedete, gira, gira, torniamo sempre al punto di partenza, alla lotta per un mondo di liberi ed eguali, a cui si può dare il nome che si vuole, che la Costituzione fonda sul lavoro inteso non più come castigo, ma come valore. Dobbiamo fare in modo ch’esso sia limitato e piacevole e accompagnato da un reddito che consenta una vita libera e dignitosa, come può essere nella società in cui le macchine ci sgraveranno dalla fatica e ci daranno molto tempo libero. Non vi pare che si tratti di un argomento importante e intrigante per il quale vale la pena discutere e battagliare. E’ quanto faremo in questo Convegno, grazie a voi e ai relatori. ------------------------------------------------------- Cambia Todo Cambia
“Cambia lo superficial
cambia también lo profundo
cambia el modo de pensar
cambia todo en este mundo
Cambia el clima con los años
cambia el pastor su rebaño
y así como todo cambia
que yo cambie no es extraño
Cambia el mas fino brillante
de mano en mano su brillo
cambia el nido el pajarillo
cambia el sentir un amante
Cambia el rumbo el caminante
aunque esto le cause daño
y así como todo cambia
que yo cambie no extraño
Cambia todo cambia
cambia todo cambia
cambia todo cambia
cambia todo cambia
Cambia el sol en su carrera
cuando la noche subsiste
cambia la planta y se viste
de verde en la primavera
Cambia el pelaje la fiera
cambia el cabello el anciano
y así como todo cambia
que yo cambie no es extraño
Pero no cambia mi amor
por mas lejos que me encuentre
ni el recuerdo ni el dolor
de mi pueblo y de mi gente
Lo que cambió ayer
tendrá que cambiar mañana
así como cambio yo
en esta tierra lejana
Cambia todo cambia
cambia todo cambia
cambia todo cambia
cambia todo cambia”.
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Segue Traduzione.

Lavoro e prospettive di cambiamento

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Lavoro e prospettive di cambiamento

Relazione di Fernando Codonesu del Comitato di Iniziativa Costituzionale Statutaria

Oggi il Convegno

locandina-convegno-2
copia-di-eu_direct_loc_4-5_ottobre_ok_001-2lampada aladin micromicroOggi 4 a partire dal pomeriggio e giovedì 5 per tutta la giornata si terrà il Convegno per il Lavoro organizzato dal Comitato d’iniziativa Costituzionale e Statutaria e da Europe Direct Regione Sardegna. Nei sei mesi trascorsi sulla nostra News abbiamo dato conto dei lavori di preparazione del Convegno, anche con la pubblicazione di copiosa documentazione pertinente sempre di grande interesse. Di seguito pubblichiamo lo schema della relazione introduttiva che sarà tenuta da Fernando Codonesu a nome del Comitato. La stessa sarà pubblicata integralmente su questa News a partire dalle ore 17. Nel proseguo saranno pubblicati tutti i documenti di cui disporremo.
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Lavoro e prospettive di cambiamento
Schema della relazione introduttiva
(…) Per quanto riguarda l’organizzazione del convegno, è da questo quadro che è nata l’esigenza di organizzare fondamentalmente tre grandi temi di intervento:
- Il primo è l’economia sociale e solidale in quanto paradigma del periodo in cui viviamo, dove diventa sempre più forte l’esigenza di un’economia nota come terzo settore, caratterizzata dall’etica, dal riferimento ai valori umani e non al solo profitto; un’economia anche per gli ultimi, per gli strati sociali più marginali, fragili e indifesi, un’economia per tutta quella pluralità di servizi alla persona in ogni età della vita che vanno pensati, organizzati e gestiti.
- Il secondo è rappresentato dall’interrogativo sul futuro prossimo della Sardegna, con testimonianze dirette di alcuni attori dello sviluppo locale, che parleranno di filiere produttive, imprese, istituzioni, sindacati.
Abbiamo chiamato a testimoniare alcune esperienze significative che vengono svolte in quelle che azioni ascrivibili alle politiche attive del lavoro, ma soprattutto abbiamo dato spazio a una parte di quella Sardegna resistente, adattativa e resiliente su cui contiamo di più e da cui provengono forza, idee e progetti per il nostro futuro.
- Il terzo, infine, che per noi è la pietra di volta di tutto: la scuola, l’istruzione, la formazione, l’università e la ricerca, convinti come siamo che la flessibilità dei tempi attuali possa essere affrontata adeguatamente solo con una formazione larga e alta, una formazione di tipo generale, basata su fondamenta solide, con contenuti delle varie discipline così approfonditi da creare profili di uscita nei vari livelli formativi come cittadini in grado di affrontare ogni problema della vita adulta e ogni possibile occupazione offerta dal mercato del lavoro e con capacità reali di creare impresa e occupazione.

In un convegno di tale importanza non poteva mancare una riflessione più generale, che definiamo alta perché alto è il tema del lavoro, e su questo, tra altri autorevoli interventi, conosceremo e discuteremo gli autorevoli punti di vista del filosofo Silvano Tagliagambe, dell’economista Gianfranco Sabattini e del sociologo Domenico De Masi.
Quando come Comitato di Iniziativa Costituzionale Statutaria abbiamo deciso di organizzare questo convegno abbiamo pensato che dal confronto di variegate posizioni e punti vista sul tema, dalla viva voce degli attori che giorno per giorno si misurano con questo mercato del lavoro, dalla pluralità di idee che si scontrano e si incontrano nel nostro vivere quotidiano possano nascere le migliori condizioni per creare un ecosistema favorevole allo sviluppo del lavoro, in condizioni di equilibrio dinamico con l’ambiente e con le continue trasformazioni della società e del mondo.
E’ perché come esponenti della società civile, come cittadinanza attiva, sganciati da logiche di partito o di appartenenza politica, siamo convinti che non ci possano essere soluzioni individuali ai problemi posti dalla crisi, ma vadano ricercate collettivamente con il confronto delle idee, è per tali motivi che intendiamo concorrere con le nostre energie al processo di creazione di un ecosistema favorevole al lavoro, che abbiamo fortemente voluto questo convegno e abbiamo deciso di dedicarlo in particolare ai giovani che, più di altri, vedono minacciata la propria vita e il proprio futuro.

Viviamo un presente di grandi trasformazioni in atto, un presente in cui si vivono, come sempre nella storia, elementi di futuro e si progettano visioni di futuro, che a loro volta diventeranno il presente di domani. In queste trasformazioni, che possiamo anche vedere come veri e propri sconvolgimenti, bisogna inquadrare i diversi aspetti del lavoro con i relativi punti di vista.
Non si intende in questa sede fare un ragionamento esaustivo anche perché lo si ritiene impossibile, quanto affrontare quegli aspetti che a nostro modo di vedere, sono tra i più rilevanti in questo periodo storico.
Siamo sicuri che parlare di lavoro oggi, compiutamente, significhi avere piena consapevolezza della complessità in cui siamo immersi.

[Di seguito i capitoli della relazione]

1. Il lavoro e l’impresa nella costituzione .

2. Punti di vista, lavoro e dignità, autorealizzazione individuale.

3. Crescita – decrescita, sviluppo, benessere, felicità.

4. L’organizzazione del lavoro attuale, trasformazioni in atto e prospettive a tendere.

5. La crisi è finita?.

6. La formazione come chiave di volta nel cambiamento presente.

7. Lavoro o reddito?.

Conclusione.

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Domani il Convegno

locandina-convegno-2
copia-di-eu_direct_loc_4-5_ottobre_ok_001-2lampada aladin micromicroDomani 4 a partire dal pomeriggio e giovedì 5 per tutta la giornata si terrà il Convegno per il Lavoro organizzato dal Comitato d’iniziativa Costituzionale e Statutaria e da Europe Direct Regione Sardegna. Nei sei mesi trascorsi sulla nostra News abbiamo dato conto dei lavori di preparazione del Convegno, anche con la pubblicazione di copiosa documentazione pertinente sempre di grande interesse. Oggi pubblichiamo lo schema della relazione introduttiva che sarà tenuta da Fernando Codonesu a nome del Comitato. La stessa sarà pubblicata integralmente su questa News a partire dalle ore 17 di domani. Nel proseguo saranno pubblicati tutti i documenti di cui disporremo
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Lavoro e prospettive di cambiamento
Schema della relazione introduttiva
(…) Per quanto riguarda l’organizzazione del convegno, è da questo quadro che è nata l’esigenza di organizzare fondamentalmente tre grandi temi di intervento:
- Il primo è l’economia sociale e solidale in quanto paradigma del periodo in cui viviamo, dove diventa sempre più forte l’esigenza di un’economia nota come terzo settore, caratterizzata dall’etica, dal riferimento ai valori umani e non al solo profitto; un’economia anche per gli ultimi, per gli strati sociali più marginali, fragili e indifesi, un’economia per tutta quella pluralità di servizi alla persona in ogni età della vita che vanno pensati, organizzati e gestiti.
- Il secondo è rappresentato dall’interrogativo sul futuro prossimo della Sardegna, con testimonianze dirette di alcuni attori dello sviluppo locale, che parleranno di filiere produttive, imprese, istituzioni, sindacati.
Abbiamo chiamato a testimoniare alcune esperienze significative che vengono svolte in quelle che azioni ascrivibili alle politiche attive del lavoro, ma soprattutto abbiamo dato spazio a una parte di quella Sardegna resistente, adattativa e resiliente su cui contiamo di più e da cui provengono forza, idee e progetti per il nostro futuro.
- Il terzo, infine, che per noi è la pietra di volta di tutto: la scuola, l’istruzione, la formazione, l’università e la ricerca, convinti come siamo che la flessibilità dei tempi attuali possa essere affrontata adeguatamente solo con una formazione larga e alta, una formazione di tipo generale, basata su fondamenta solide, con contenuti delle varie discipline così approfonditi da creare profili di uscita nei vari livelli formativi come cittadini in grado di affrontare ogni problema della vita adulta e ogni possibile occupazione offerta dal mercato del lavoro e con capacità reali di creare impresa e occupazione.

In un convegno di tale importanza non poteva mancare una riflessione più generale, che definiamo alta perché alto è il tema del lavoro, e su questo, tra altri autorevoli interventi, conosceremo e discuteremo gli autorevoli punti di vista del filosofo Silvano Tagliagambe, dell’economista Gianfranco Sabattini e del sociologo Domenico De Masi.
Quando come Comitato di Iniziativa Costituzionale Statutaria abbiamo deciso di organizzare questo convegno abbiamo pensato che dal confronto di variegate posizioni e punti vista sul tema, dalla viva voce degli attori che giorno per giorno si misurano con questo mercato del lavoro, dalla pluralità di idee che si scontrano e si incontrano nel nostro vivere quotidiano possano nascere le migliori condizioni per creare un ecosistema favorevole allo sviluppo del lavoro, in condizioni di equilibrio dinamico con l’ambiente e con le continue trasformazioni della società e del mondo.
E’ perché come esponenti della società civile, come cittadinanza attiva, sganciati da logiche di partito o di appartenenza politica, siamo convinti che non ci possano essere soluzioni individuali ai problemi posti dalla crisi, ma vadano ricercate collettivamente con il confronto delle idee, è per tali motivi che intendiamo concorrere con le nostre energie al processo di creazione di un ecosistema favorevole al lavoro, che abbiamo fortemente voluto questo convegno e abbiamo deciso di dedicarlo in particolare ai giovani che, più di altri, vedono minacciata la propria vita e il proprio futuro.

Viviamo un presente di grandi trasformazioni in atto, un presente in cui si vivono, come sempre nella storia, elementi di futuro e si progettano visioni di futuro, che a loro volta diventeranno il presente di domani. In queste trasformazioni, che possiamo anche vedere come veri e propri sconvolgimenti, bisogna inquadrare i diversi aspetti del lavoro con i relativi punti di vista.
Non si intende in questa sede fare un ragionamento esaustivo anche perché lo si ritiene impossibile, quanto affrontare quegli aspetti che a nostro modo di vedere, sono tra i più rilevanti in questo periodo storico.
Siamo sicuri che parlare di lavoro oggi, compiutamente, significhi avere piena consapevolezza della complessità in cui siamo immersi.

[Di seguito i capitoli della relazione]

1. Il lavoro e l’impresa nella costituzione .

2. Punti di vista, lavoro e dignità, autorealizzazione individuale.

3. Crescita – decrescita, sviluppo, benessere, felicità.

4. L’organizzazione del lavoro attuale, trasformazioni in atto e prospettive a tendere.

5. La crisi è finita?.

6. La formazione come chiave di volta nel cambiamento presente.

7. Lavoro o reddito?.

Conclusione.

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Verso il Convegno per il Lavoro

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La formazione come chiave di volta nel cambiamento presente
di Fernando Codonesu

Parlare di scuola, università e di formazione quali elemento cardine della flessibilità richiesta nel tempo moderno è per noi imprescindibile, diciamo pure che è dalla scuola che bisognerebbe far partire una strategia vincente sul tema del lavoro per l’oggi e per il domani. Ma, quando si parla di scuola, istruzione, università e ricerca corre l’obbligo di segnalare la scarsa credibilità istituzionale del paese nel suo complesso, se si ricorda che siamo nel pieno scandalo dei concorsi universitari che evidenziano l’attribuzione delle cattedre da professore ordinario o associato non in base al merito ma per appartenenza, figliolanza e nepotismo, che abbiamo avuto un ministro dell’istruzione, Università e Ricerca Scientifica (ahinoi, Mariastella Gelmini), che era convinta che fosse stato costruito un tunnel tra il CERN di Ginevra e il Gran Sasso per il passaggio dei neutrini e il ministro attualmente in carica notoriamente non ha nemmeno la laurea, è chiaro che il paese è istituzionalmente delegittimato e privo di credibilità.
Ma anche con questi personaggi e nonostante loro, è bene pensare ad una scuola dove si insegni, dove gli studenti possano trovare una eccellente formazione generale per potersi specializzare successivamente. Una ottima preparazione di base è il classico “pass partout” per la flessibilità richiesta oggi e domani: bisogna sapere e saper fare molto più di prima perché le nostre attuali società sono molto più competitive rispetto appena a qualche decennio fa. Per tale motivo non crediamo che sia accettabile una visione della scuola come luogo di formazione quasi esclusivamente dedicato ai bisogni dell’impresa. I bisogni delle imprese cambiano continuamente perché prima ci sono i mutamenti continui dei bisogni degli uomini e per tale motivo bisogna avere una preparazione di base ampia e solida su cui poter innestare via via le specializzazioni richieste dai mutamenti sociali e dai conseguenti mutamenti dei vari settori produttivi.
Giova qui ricordare che il successo dell’economia italiana dal secondo dopoguerra fino agli anni ’80 e ’90 era dovuto all’ottima formazione tecnica garantita dall’istruzione secondaria italiana, come ci ricorda Romano Prodi nel suo ultimo volume Il Piano inclinato, edito da Il Mulino. Le aziende italiane, essendo per la maggior parte, caratterizzata da piccole e medie aziende erano gestite da proprietari e manager diplomati nella scuola secondaria, periti industriali e tecnici in generale. Una scuola di alto livello, allora, altrettanto non si può dire oggi a seguito delle ultime riforme che prediligono insegnanti produttori di “report e scartoffie” e una privatizzazione sempre più marcata della formazione, con sottrazione di fondi dalla scuola statale alla scuola privata, peraltro in larga maggioranza di tipo confessionale.
Se guardiamo alla formazione universitaria, ma questi temi saranno toccati meglio nel corso del convegno, qui basti dire che la farsa del “3+2”, con laurea triennale e biennio magistrale è totalmente fallita al punto che il 98% degli studenti che conseguono la laurea triennale prosegue con il biennio successivo. Se si tiene conto che tale riforma era finalizzata a creare competenze finalizzate ad un inserimento immediato nel mondo del lavoro, il fallimento è così evidente che non c’è bisogno di aggiungere altre considerazioni.
La formazione dovrebbe caratterizzare tutta la vita dei cittadini, per questo siamo favorevoli ad una formazione di qualità, che continui in ogni fase della nostra vita e soprattutto pubblica e gratuita per tutti.

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Un ecosistema favorevole allo sviluppo del lavoro

di Fernando Codonesu
Quale lavoro e quali lavori per i giovani e per gli uomini di oggi e di domani?
Si possono rimpiazzare i lavori che si perdono con le nuove tecnologie o una parte crescente della popolazione sarà sempre più espulsa dall’organizzazione del lavoro?
E’ possibile avere un reddito indipendentemente dalla situazione lavorativa?

Quali strumenti, quale organizzazione, quale formazione dobbiamo avere in questo mondo caratterizzato dalle relazioni, dai servizi e dai bit e non più dalla proprietà, dai beni e dagli atomi?
Il convegno intende porsi queste domande con l’obiettivo di fornire alcune risposte.
E se ragioniamo sul diritto del lavoro e sullo spostamento della ricchezza dal capitale alle classi lavoratrici e viceversa, come non osservare che se abbiamo avuto un periodo di circa 40 anni subito dopo la seconda guerra mondiale di redistribuzione della ricchezza a vantaggio delle classi lavoratrici con un miglioramento della salubrità dei luoghi di lavoro e dei diritti dei lavoratori, con l’irrompere della globalizzazione, del libero commercio, della finanziarizzazione dell’economia, dell’intervento massivo delle multinazionali dell’economia digitale, del pensiero unico determinato dal liberismo abbracciato, ahinoi anche da quelli che un tempo erano conosciuti come partiti di sinistra e da alcuni sindacati, i diritti dei lavoratori sono stati attaccati, dimezzati e in taluni casi letteralmente cancellati. Si è fatta passare la precarietà per la flessibilità. Si è precarizzata la vita di un’intera generazione a cui è stato sottratto il futuro e reso impossibile vivere il presente, e di questo si è fatto un racconto come un effetto della modernizzazione della società.
Oggi in tanti settori produttivi, nonostante la conclamata modernità, si hanno contratti di lavoro al limite della semi schiavitù.
E quanto allo spostamento della ricchezza, a partire dagli anni ‘90 del secolo scorso si è avuto uno spostamento di ricchezza dal lavoro al capitale, dai poveri ai ricchi, con un aumento vertiginoso delle disuguaglianze come non si era mai registrato nella storia.
Anche questo è il frutto avvelenato dell’attuale sviluppo della società umana.
Per quanto riguarda l’organizzazione del convegno, è da questo quadro che è nata l’esigenza di organizzare fondamentalmente tre grandi temi di intervento:
- Il primo è l’economia sociale e solidale in quanto paradigma del periodo in cui viviamo, dove diventa sempre più forte l’esigenza di un’economia nota come terzo settore, caratterizzata dall’etica, dal riferimento ai valori umani e non al solo profitto; un’economia anche per gli ultimi, per gli strati sociali più marginali, fragili e indifesi, un’economia per tutta quella pluralità di servizi alla persona in ogni età della vita che vanno pensati, organizzati e gestiti.
- Il secondo è rappresentato dall’interrogativo sul futuro prossimo della Sardegna, con testimonianze dirette di alcuni attori dello sviluppo locale, che parleranno di filiere produttive, imprese, istituzioni, sindacati.
Abbiamo chiamato a testimoniare alcune esperienze significative che vengono svolte in quelle che azioni ascrivibili alle politiche attive del lavoro, ma soprattutto abbiamo dato spazio a una parte di quella Sardegna resistente, adattativa e resiliente su cui contiamo di più e da cui provengono forza, idee e progetti per il nostro futuro.
- Il terzo, infine, che per noi è la chiave di volta di tutto: la scuola, l’istruzione, la formazione, l’università e la ricerca, convinti come siamo che la flessibilità dei tempi attuali possa essere affrontata adeguatamente solo con una formazione larga e alta, una formazione di tipo generale, basata su fondamenta solide, con contenuti delle varie discipline così approfonditi da creare profili di uscita nei vari livelli formativi come cittadini in grado di affrontare ogni problema della vita adulta e ogni possibile occupazione offerta dal mercato del lavoro e con capacità reali di creare impresa e occupazione.
In un convegno di tale importanza non poteva mancare una riflessione più generale, che definiamo alta perché alto è il tema del lavoro, e su questo, tra altri autorevoli interventi, conosceremo e discuteremo gli autorevoli punti di vista del filosofo Silvano Tagliagambe, dell’economista Gianfranco Sabattini e del sociologo Domenico De Masi.
Quando come Comitato di Iniziativa Costituzionale Statutaria abbiamo deciso di organizzare questo convegno abbiamo pensato che dal confronto di variegate posizioni e punti vista sul tema, dalla viva voce degli attori che giorno per giorno si misurano con questo mercato del lavoro, dalla pluralità di idee che si scontrano e si incontrano nel nostro vivere quotidiano possano nascere le migliori condizioni per creare un ecosistema favorevole allo sviluppo del lavoro, in condizioni di equilibrio dinamico con l’ambiente e con le continue trasformazioni della società e del mondo.
E’ perché come esponenti della società civile, come cittadinanza attiva, sganciati da logiche di partito o di appartenenza politica, siamo convinti che non ci possano essere soluzioni individuali ai problemi posti dalla crisi, ma vadano ricercate collettivamente con il confronto delle idee, è per tali motivi che intendiamo concorrere con le nostre energie al processo di creazione di un ecosistema favorevole al lavoro, che abbiamo fortemente voluto questo convegno e abbiamo deciso di dedicarlo in particolare ai giovani che, più di altri, vedono minacciata la propria vita e il proprio futuro.

DIBATTITO su LAVORO e REDDITO GARANTITO. Verso il Convegno sul Lavoro del 4-5 ottobre

lampada aladin micromicroPolitiche attive per il lavoro o Reddito di cittadinanza (nelle diverse denominazioni e varianti)? Sono due impostazioni radicalmente contrapposte, alternative, salvo minime seppure importanti conciliazioni. Se ne discuterà al Convegno sul lavoro del 4-5 ottobre p.v. Le due posizioni * pervadono rispettivamente da una parte l’intervista all’economista Stefano Zamagni (di VALERIA TANCREDI su U! magazine) che privilegia le politiche attive per il lavoro rispetto al reddito garantito, dall’altra il recente articolo di Gianfranco Sabattini (Costituzione vs. Trattati europei) su Democraziaoggi, ripreso da Aladinews.
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theend-copia-di-eu_direct_loc_4-5_ottobre_ok_001-2* Dal documento di presentazione del Convegno sul Lavoro. (…) Se la dichiarazuione dell’89 rivoluzionario fra i diritti “naturali e imprescrittibili” poneva la libertà, la sicurezza, la resistenza all’oppressione, nonché la proprietà, mentre il lavoro veniva considerato sotto l’aspetto negativo del divieto di ostacoli alla sua libera esplicazione, nella nostra Carta l’art 1 accoglie ed enuncia una concezione generale di vita secondo la quale deve vedersi nel lavioro la più efficace affermazione della personalità dell’uomo, perché nel lavoro ciascuno riesce ad esprimere la propria capacità creativa. Il lavoro, dunque, non fine a sé né mero strumento di guadagno, ma mezzo necessario per l’affermazione della persona e per l’adempimento dei suoi fini spirituali.
Oggi a questa concezione se ne accompagna un’altra che non nel lavoro vede la realizzazione della personalità, ma nel possesso di un reddito garantito.
Diritto al lavoro o diritto al reddito? Due visioni non collimanti anche se, forse, non antitetiche. Ma anche su questo dilemma, centrale nel dibattito pubblico attuale, il convegno vuole indagare.

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REDDITO MINIMO, DIGNITA’ ZERO
rg5grega-1Intervista a Stefano Zamagni
di VALERIA TANCREDI u_magazine_positivo-2
– Il discorso pronunciato da Bergoglio all’Ilva di Genova lo scorso maggio ha riaperto il dibattito sul reddito di cittadinanza. Abbiamo intervistato l’economista Stefano Zamagni, che avverte: “si tratta della più bella trovata del pensiero neoliberista, i soldi finirebbero tutti nel girone del consumo e a quel punto le politiche attive per il lavoro verrebbero definitivamente dimenticate”.

Verso il Convegno sul Lavoro promosso dal Comitato d’Iniziativa Sociale Costituzionale Statutaria, 4 e 5 ottobre 2017

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
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Tra i relatori Silvano Tagliagambe (filosofo), Gianfranco Sabattini (economista), Domenico De Masi (sociologo), Maria Tiziana Putzolu Mura (esperta formazione professionale), Romano Benini (giornalista economico), Ettore Cannavera (psicologo e responsabile della Comunità La Collina), Gisella Trincas (presidentessa Asarp)

costat-logo-stef-p-c_2-2Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti.
Il lavoro come fondamento della Repubblica

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Perché il Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria riprende la sua attività con un convegno sul lavoro? Perchè il criterio generale per qualificare il valore sociale della persona e dare unità al nostro ordinamento è il lavoro, secondo la solenne enunciazione dell’art. 1 della Costituzione, che pone il lavoro a base della Repubblica.
Se la dichiarazuione dell’89 rivoluzionario fra i diritti “naturali e imprescrittibili” poneva la libertà, la sicurezza, la resistenza all’oppressione, nonché la proprietà, mentre il lavoro veniva considerato sotto l’aspetto negativo del divieto di ostacoli alla sua libera esplicazione, nella nostra Carta l’art 1 accoglie ed enuncia una concezione generale di vita secondo la quale deve vedersi nel lavioro la più efficace affermazione della personalità dell’uomo, perché nel lavoro ciascuno riesce ad esprimere la propria capacità creativa. Il lavoro, dunque, non fine a sé né mero strumento di guadagno, ma mezzo necessario per l’affermazione della persona e per l’adempimento dei suoi fini spirituali.
Oggi a questa concezione se ne accompagna un’altra che non nel lavoro vede la realizzazione della personalità, ma nel possesso di un reddito garantito.
Diritto al lavoro o diritto al reddito? Due visioni non collimanti anche se, forse, non antitetiche. Ma anche su questo dilemma, centrale nel dibattito pubblico attuale, il convegno vuole indagare. (Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria)
- Segue IL PROGRAMMA

Oggi mercoledì 30 agosto 2017

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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L’economia svilita a “grammatica della politica”
20 agosto 2017
Gianfranco Sabattini su il manifesto sardo, ripreso da aladinews.
Come ogni forma di credo e di culto fatalistico, oggi l’economia è assunta dalla politica come ideologia prescrittiva, che impone vincoli comportamentali ai cittadini destinatari degli effetti delle decisioni politiche, sotto la minaccia di “terribili punizioni”, quando non si dovessero attenere al loro acritico rispetto. L’economia, meglio la scienza economica, è diventata così la “grammatica delle politica”; è questa la tesi che Éloi Laurent, economista francese, sostiene in “Mitologie economiche”, di recente pubblicazione. [...]
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democraziaoggiRisorgimento, la via all’unità nazionale
30 Agosto 2017
Gianni Fresu, su Democraziaoggi.
Gramsci critica l’interpretazione liberale del processo storico.
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linkiesta logoL’Italia si sta suicidando per proteggere la sua mediocrità
Importiamo braccia, esportiamo cervelli: fa male dirlo, ma il declino del Belpaese si fonda su questo scambio. A sua volta indotto dalla nostra incapacità di valorizzare il merito. E dalla nostra difesa a oltranza del parassitismo e delle rendite di posizione
di Michele Boldrin su LinKiesta.
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linkiesta-logoAndrea Garnero: «I robot non ci ruberanno il lavoro. Ma senza formazione saranno comunque guai»
Parla l’economista Ocse: «Più che della distruzione di posti di lavoro, mi preoccupererei della velocità del cambiamento. Reddito di cittadinanza? Meglio una riforma del welfare fatta bene. Il taglio al cuneo fiscale per le nuove assunzioni? Palla in corner all’ultimo minuto»
di Francesco Cancellato su Linkiesta.
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lampadadialadmicromicro13xxxSPOPOLAMENTO: “Nell’arco di cinque anni (2011-2015) la popolazione sarda residente diminuisce di 12.125 individui. L’Isola perde abitanti e, diversamente dal passato, i flussi migratori non riescono a compensare il calo demografico dovuto alla dinamica naturale (nascite e decessi)”. Di questo dobbiamo parlare e non solo parlare. Su Aladinews.
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xxxCITTÀ E TERRITORIO » SOS » SARDEGNA
Sardegna, il governo impugna la legge sull’edilizia
di COSTANTINO COSSU
«Prima vittoria degli ambientalisti, lo stop di Roma renderà più difficile l’approvazione delle nuove regole paesaggistiche della giunta Pigliaru. Ma sono guai per gli operai di Portovesme». il manifesto, 30 agosto 2017 con riferimenti (c.m.c.), su eddyburg.
Approfondimenti: Perché il Governo ha impugnato la legge sarda. Su SardegnSoprattutto.
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