Risultato della ricerca: chimica verde
La Sardegna e la bioeconomy: i biocarburanti e la chimica verde
di Vanni Tola
Con questo articolo completiamo l’analisi delle comunicazioni presentate nel convegno “Il Nord Sardegna polo europeo della chimica verde” organizzato a Sassari, nello scorso mese di Settembre, dal Consorzio Provinciale Industriali e dal Dipartimento di Chimica e Farmacia dell’Università.
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La Sardegna e la bioeconomy: i biocarburanti e la chimica verde
di Vanni Tola
Con questo articolo completiamo l’analisi delle comunicazioni presentate nel convegno “Il Nord Sardegna polo europeo della chimica verde” organizzato a Sassari, nello scorso mese di Settembre, dal Consorzio Provinciale Industriali e dal Dipartimento di Chimica e Farmacia dell’Università.
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La Sardegna e la bioeconomy: i biocarburanti e la chimica verde
di Vanni Tola
Con questo articolo completiamo l’analisi delle comunicazioni presentate nel convegno “Il Nord Sardegna polo europeo della chimica verde” organizzato a Sassari, nello scorso mese di Settembre, dal Consorzio Provinciale Industriali e dal Dipartimento di Chimica e Farmacia dell’Università. Esamineremo la relazione “Biocarburanti e Biochimica: opportunità e criticità” presentata dal Dott. Guido Ghisolfi presidente della Biochemtex, la società di ingegneria e ricerca del Mossi Ghisolfi Group. La Biochemtex è il secondo gruppo chimico italiano, dopo la Versalis, con un fatturato di tre miliardi e mezzo di dollari. E’ presente negli Usa, in Messico, in Brasile e in altre parti del mondo. Nella Biochemtex operano 250 addetti tra ingegneri, biochimici, agronomi e ricercatori. Nel periodo 2006-2013, la società ha investito in ricerca 250 milioni di euro dei quali 25 destinati allo studio della sostenibilità della filiera agricola nel mondo e alla ricerca e sperimentazione di prodotti agricoli per la biochimica. In Italia la Biochemtex opera unitamente alla Betarenewables con un impianto industriale che si trova a Crescentino (VC). L’impianto è il primo al mondo per la produzione di Etanolo di seconda generazione con una produzione di 40.000 ktpa ricavati da paglia, canna, paglia di riso, pioppo ed eucalipto. Il bioetanolo si produce da cereali, da canna da zucchero o da biomassa cellulosica. Quando si parla di bioetanolo, il pensiero corre immediatamente alla produzione del biodiesel da vegetali solitamente destinati all’alimentazione umana e ai problemi a esso connessi, in particolare alla concorrenza spietata che tale produzione ha determinato nei confronti delle produzioni food in molte aree del mondo. Attualmente le aree dedicate alla produzione del biodiesel sono state ormai individuate e coltivate e non si prevede che possano aumentare. Il Bioetanolo di Prima Generazione, infatti, non “cresce” ulteriormente per motivi di natura economica e per normative che ne limitano la produzione e ne fanno quindi regredire l’importanza. Il Bioetanolo di Seconda Generazione, invece, non compete con terreni dedicati ad alimentazione umana o animale perché viene prodotto da residui o da piante coltivate su terreni marginali abbandonati (il cardo ma anche molte altre). (segue)
Bioeconomy e Chimica verde in Sardegna: per decidere informati nell’interesse dei sardi
Noi della news Aladin riteniamo necessario approfondire la questione della bioeconomy nel momento in cui può costituire un importante positivo investimento per l’economia della Sardegna. Sappiamo quali sono i rischi in termini di consumo del territorio e salvaguardia dell’ambiente. Tutto va valutato e rigorosamente misurato in termini di costi e benefici, fatto salvo il principio che nessuna concessione può essere accettata rispetto alla salvaguardia della salute dei cittadini. A noi sembra che sussistano le condizioni perchè le scelte vengano fatte nella misura e nei termini accettabili, purchè, ed è questo il punto, tutto sia sotto il controllo sociale, che si esercita in diversi modi, ma soprattutto con il potere sovraordinato delle Istituzioni rappresentative. Informarsi e approfondire per decidere informati, con l’aiuto determinante della comunità scientifica, rappresentata in massima parte dall’Università, la quale ultima deve essere assolutamente indipendente nel rilascio delle sue valutazioni e certificazioni. Con questo spirito “laico” abbiamo intrapreso e continuiamo il nostro lavoro, affidato come coordinamento al nostro redattore Vanni Tola, giornalista ed esperto in materia ambientale. Ovviamente siamo disponibili ad accogliere e diffondere qualsiasi contributo, anche radicalmente critico, purchè nello spirito del confronto democratico.
Tutti i contributi su bioeconomy e chimica verde apparsi su Aladinews sono recuperabiii nel link sottoindicato:
https://www.aladinpensiero.it/?s=La+Sardegna+e+la+bioeconomy
La Sardegna e la bioeconomy: i primi passi della chimica verde
di Vanni Tola
Prosegue l’analisi delle comunicazioni presentate nel convegno “Il Nord Sardegna polo europeo della chimica verde” organizzato a Sassari, nello scorso mese di Settembre, dal Consorzio provinciale industriali e dal Dipartimento di Chimica e Farmacia dell’Università. Ci soffermeremo, questa volta, su alcune relazioni che hanno descritto significative attività riguardanti l’impiego delle bioplastiche. La Ecozema è una società di Vicenza creata circa duecento anni fa. Originariamente lavorava il legno per produrre mollette per il bucato, in seguito, con l’introduzione delle materie plastiche, si è riconvertita verso la produzione di mollette per bucato di plastica. In questo periodo – lo racconta il responsabile commerciale Mauro Apostolo – è in atto un processo di riconversione dell’Ecozema alle produzioni della chimica verde. Questa operazione, realizzata in collaborazione con Novamont, pone al centro l’impiego di un prodotto principe della chimica verde, il Mater-bi. Il Mater-Bi è un prodotto biodegradabile e compostabile che si ricava da componenti vegetali come l’amido di mais e polimeri biodegradabili ottenuti sia da materie prime di origine rinnovabile che da materie prime di origine fossile. Si presenta in forma di granulo e può essere lavorato secondo le più comuni tecnologie di trasformazione, per realizzare prodotti dalle caratteristiche analoghe o migliori rispetto alle plastiche tradizionali, ma perfettamente biodegradabili e compostabili. L’impatto ambientale di questi prodotti è minimo e si riduce la quantità di rifiuti post consumo. Nel caso specifico della società Ecozema il Mater-bi è utilizzato per la produzione di posate e altri oggetti per la ristorazione.
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La Ecozema è stata protagonista dei Giochi Olimpici di Londra 2012 nel settore dell’alimentazione di massa. Ha prodotto circa 13 milioni di pezzi di posate di plastica per ristorazione utilizzando 70 tonnellate di Mater-bi, che, come abbiamo ricordato, è un prodotto interamente compostabile. Ciò ha comportato un risparmio di emissioni di CO2 in atmosfera stimato in circa 20 tonnellate ed evidenti effetti positivi nella raccolta e nello smaltimento dei rifiuti nella regione londinese in occasione di questo grande evento internazionale. Un esempio concreto che indica quanto potrebbe essere realizzato, per esempio, in Sardegna applicando progetti analoghi alla ristorazione alberghiera, a quella ospedaliera e a quella delle grandi comunità. In Sardegna le applicazioni della chimica verde muovono i primi passi. Antonio Madau, Amministratore Unico Stemaplast Srl – Paulilatino (OR), ha presentato l’esperienza produttiva della propria azienda. La storia della Stemaplast inizia negli anni Novanta con la commercializzazione di imballaggi flessibili nell’isola. Nel 1998 l’azienda inizia la produzione e la trasformazione di materie plastiche diventando uno dei maggiori fornitori per il mercato regionale. Attualmente Stemaplast occupa 29 dipendenti ed è leader nel mercato regionale per la produzione di imballaggi flessibili, in polietilene di Alta e Bassa Densità, per l’alimentazione e per l’uso industriale e biopolimeri. I principali prodotti sono:
• Imballaggi flessibili per asporto merci (Shoppers Biodegradabili, compostabili in Mater-Bi e riutilizzabili PSV L.28/12);
• Sacchetti e Fogli Neutri per alimenti;
• Sacchi per la raccolta differenziata dei rifiuti (frazione secca e umida);
• Film estensibile per pallets;
• Film in bobina per uso alimentare e industriale .
La Stemaplast lavora annualmente 3600 tonnellate di prodotto con un impiego di 500/600 Tonnellate/ annue di Mater-Bi, circa 12.000 Kg al giorno. La Stemaplast è licenziataria Novamont (Lic. 021), e possiede oltre al marchio Mater-Bi, anche quello Ok-Compost che certifica l’effettiva compostabilità del prodotto ed è in fase di ottenimento del marchio CIC (Consorzio Italiano Compostatori.)
Interessante anche l’esperienza della Turris Sleeve S.c. ARL di Porto Torres che sta realizzando un impianto per la produzione di film termoretraibile per imballaggi speciali. L’impianto in progetto è destinato alla produzione di film per l’applicazione “SLEEVE”.
Lo “SLEEVE” termoretraibile è una manichetta o fascetta di film plastico saldata a tubo che, andando a ricoprire un oggetto di qualsiasi forma, lo riveste di una pellicola che può servire da imballaggio, da etichetta, da sigillo di garanzia. Questo film, debitamente riscaldato, si “ritira”, va cioè a seguire la silouette dell’oggetto che si vuol rivestire. Lo sleeve può essere stampato con immagini e testi, anche a colori, arrivando sino alla resa fotografica. Con questa tecnica è possibile personalizzare e impreziosire in modo semplice una confezione laddove sarebbe tecnicamente ed economicamente difficile ottenere analogo risultato con sistemi tradizionali. L’applicazione di “SLEEVE” ha un vastissimo utilizzo nel mercato italiano e in quello mondiale attualmente in forte espansione.
Le possibilità di impiego sono multi settoriali, dall’alimentare al farmaceutico, dalle bevande ai cosmetici, dai casalinghi ai giocattoli, dall’edilizia ai beni di largo consumo. Essendo facilmente stampabile può diventare marchio, imballaggio, testo d’istruzione d’uso, groupage, sigillo di garanzia del prodotto, oppure una qualsiasi combinazione degli stessi, secondo le esigenze. Lo sleeve si propone oltretutto con un ottimo impatto ecologico perché aderendo all’oggetto da rivestire grazie alle sue proprietà di termoretraibilità, non fa uso di collanti chimici per l’accoppiamento, cosa che, in fase di riciclaggio dei contenitori, comporterebbe ulteriori costose operazioni per rispettare le normative che ne regolano lo smaltimento. Da notare inoltre che l’incremento di mercato dello sleeve in Europa e negli Stati Uniti è stimato attorno al 15-20%.
La società Turris Sleeve S.c. ARL di Porto Torres intende produrre film in OPS in attesa di testare i nuovi prodotti della chimica verde (Mater-Bi® e derivati) con la prospettiva di svolgere un ruolo importante in un mercato con ottime prospettive di sviluppo.
Le esperienze descritte sono una piccola parte delle numerose attività di indotto che potrebbero operare in Sardegna per la lavorazione dei prodotti della bioraffineria di Matrìca. Le potenzialità dei prodotti di Matrìca, la buona disponibilità di terreni nell’area industriale di Porto Torres e la capacità di generare, intorno alla bioraffineria, l’insediamento di nuove attività di trasformazione dei prodotti di base della chimica verde, rappresentano la scommessa sul futuro di quel che resta del vecchio sito petrolchimico nel Golfo dell’Asinara.
La Sardegna e la bioeconomy: i primi passi della chimica verde
di Vanni Tola
Prosegue l’analisi delle comunicazioni presentate nel convegno “Il Nord Sardegna polo europeo della chimica verde” organizzato a Sassari, nello scorso mese di Settembre, dal Consorzio provinciale industriali e dal Dipartimento di Chimica e Farmacia dell’Università. Ci soffermeremo, questa volta, su alcune relazioni che hanno descritto significative attività riguardanti l’impiego delle bioplastiche. La Ecozema è una società di Vicenza creata circa duecento anni fa. Originariamente lavorava il legno per produrre mollette per il bucato, in seguito, con l’introduzione delle materie plastiche, si è riconvertita verso la produzione di mollette per bucato di plastica. In questo periodo – lo racconta il responsabile commerciale Mauro Apostolo – è in atto un processo di riconversione dell’Ecozema alle produzioni della chimica verde. Questa operazione, realizzata in collaborazione con Novamont, pone al centro l’impiego di un prodotto principe della chimica verde, il Mater-bi. Il Mater-Bi è un prodotto biodegradabile e compostabile che si ricava da componenti vegetali come l’amido di mais e polimeri biodegradabili ottenuti sia da materie prime di origine rinnovabile che da materie prime di origine fossile. Si presenta in forma di granulo e può essere lavorato secondo le più comuni tecnologie di trasformazione, per realizzare prodotti dalle caratteristiche analoghe o migliori rispetto alle plastiche tradizionali, ma perfettamente biodegradabili e compostabili. L’impatto ambientale di questi prodotti è minimo e si riduce la quantità di rifiuti post consumo. Nel caso specifico della società Ecozema il Mater-bi è utilizzato per la produzione di posate e altri oggetti per la ristorazione.
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La Sardegna e la bioeconomy: la chimica verde
di Vanni Tola
Prosegue la nostra analisi delle comunicazioni presentate nel convegno “ Il Nord Sardegna polo europeo della chimica verde” organizzato a Sassari, nello scorso mese di Settembre, dal Consorzio provinciale industriali e dal Dipartimento di Chimica e Farmacia dell’Università. Ci soffermeremo, questa volta, sull’analisi sviluppata da Gianni Girotti, direttore ricerca e sviluppo della società Versalis, la più grande azienda chimica italiana. La società è attiva nella produzione di quasi tutte le plastiche tradizionali e dei monomeri di partenza e opera con tredici siti produttivi localizzati in Italia e in Europa. Da qualche anno Versalis è impegnata in una radicale trasformazione caratterizzata da tre direttrici fondamentali:
- Una forte internazionalizzazione dell’impresa con la creazione di joint venture con partner in Asia per creare, in quell’area, grandi complessi petrolchimici per la produzione di elastomeri operando con tecnologie proprietarie;
- La realizzazione di consistenti investimenti finanziari negli impianti europei finalizzati principalmente al recupero dell’efficienza e alla riduzione dei consumi energetici;
- L’intervento nella chimica verde.
Per comprendere le trasformazioni in atto nel comparto chimico è necessario confrontare una raffineria tradizionale con una bioraffineria. La differenza principale, quella maggiormente evidente, è rappresentata dal fatto che la raffineria tradizionale opera con materie prime sostanzialmente composte da carbonio e idrogeno mentre la bioraffineria opera con materie prime che contengono, oltre carbonio e idrogeno, anche l’ossigeno. In un impianto petrolchimico si opera con materie prime caratterizzate da un determinato livello di complessità molecolare. Le molecole complesse vengono distrutte completamente per essere scomposte in piccoli “mattoncini” che sono poi ricombinati per creare nuove strutture molecolari molto complesse. Un procedimento molto lungo, in termini di consumo energetico. La bioraffineria invece si caratterizza per il fatto che si parte da materie prime che hanno una complessità sicuramente superiore a quelle utilizzate nel ciclo tradizionale le quali, però, non subiscono un processo di distruzione o scomposizione totale ma soltanto parziale. Cosi facendo si salva una parte consistente del valore energetico contenuto nelle molecole di partenza utilizzate per produrre i materiali biologici. Questo concetto, esposto in estrema sintesi, sta alla base del procedimento della nuova chimica e apre la strada alla necessità di sviluppare un’altra mentalità produttiva nel settore e una differente piattaforma tecnologica. Un’innovazione di grande portata con la quale si stanno misurando ricercatori di tutto il mondo e che modificherà radicalmente il concetto stesso di “fare chimica”. Va pure ricordato che quando si parla di bioraffineria ci si riferisce a una tecnologia che muove i primi passi. Esistono già una serie di esempi produttivi indicativi ma siamo certamente nella fase tecnologica ascendente del nuovo processo tecnologico. Non esiste a tutt’oggi una bioraffineria che produca prodotti chimici da una biomassa utilizzando tutte le potenzialità della materia prima impiegata, cioè completando l’intero ciclo produttivo. Molto opportunamente la Comunità europea ha colto la necessità di destinare consistenti interventi per il sostegno e lo sviluppo della bioeconomy e della chimica verde.
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SARDEGNA e BIOECONOMY: un dibattito aperto sul futuro dell’isola
di Vanni Tola
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LA SARDEGNA E LA BIOECONOMY
di Vanni Tola
Sassari – Il Consorzio provinciale industriali ed il Dipartimento di Chimica e Farmacia dell’Università di Sassari hanno promosso un convegno avente per tema: “Il Nord Sardegna polo europeo della chimica verde” al quale hanno partecipato esperti internazionali. I temi principali, la chimica verde e la bioeconomy, sono stati sviluppati dai relatori con approcci differenti ma decisamente molto interessanti. Si è parlato di bioeconomia come prospettiva di sviluppo sostenibile, della filiera della trasformazione delle bioplastiche, della filiera della chimica fine applicata agli estratti vegetali, dello sviluppo delle tecnologie ambientali e della filiera dei biocarburanti. Alcuni relatori locali hanno poi illustrato importanti iniziative industriali avviate in Sardegna relativamente alle nuove metodologie ed alle tecnologie della bioeconomy. Riteniamo utile riportare in sintesi i contenuti di alcuni interventi per favorire una migliore conoscenza del dibattito in corso relativamente alla riconversione dei sistemi produttivi locali e internazionali. Cominciamo con l’analisi dell’intervento della Dott.ssa Giulia Gregori, esperta di politiche europee e responsabile della pianificazione strategica di Novamont, che ha svolto una relazione sul tema: “La bioeconomy, una prospettiva di sviluppo sostenibile”. Con il previsto aumento della popolazione mondiale fino a sfiorare 9 miliardi di abitanti nel 2050 e l’esaurimento delle risorse naturali, il nostro continente ha bisogno di risorse biologiche rinnovabili per produrre alimenti e mangimi sicuri e sani ma anche materiali, energia e altri prodotti. Il termine Bioeconomy indica una teoria economica proposta da Nicholas Georgescu-Roegen per realizzare un’economia ecologicamente e socialmente sostenibile. Parlare di bioeconomia significa quindi riferirsi a un’economia che si fonda su risorse biologiche provenienti della terra e dal mare e dai rifiuti, che fungono da combustibili per la produzione industriale ed energetica e di materia prima per la produzione di alimenti e mangimi. Significa anche parlare dell’impiego di processi di produzione fondati su bioprodotti per un comparto industriale sostenibile. L’Europa deve passare a un’economia ‘post-petrolio’ e ad un maggiore utilizzo di fonti rinnovabili. Non è più soltanto una scelta ma una necessità. L’obiettivo è quello di promuovere il passaggio a una società fondata su basi biologiche invece che fossili, utilizzando i motori della ricerca e dell’innovazione. La Commissione Europea ha adottato, da qualche tempo, azioni strategiche per indirizzare l’economia verso un più ampio e sostenibile impiego delle risorse rinnovabili. “L’innovazione per una crescita sostenibile: una bioeconomia per l’Europa” è una strategia della Commissione Europea che prevede un piano d’azione basato su un approccio interdisciplinare, intersettoriale e coerente al problema. L’obiettivo è creare una società più innovatrice e un’economia a emissioni ridotte, conciliando l’esigenza di un’agricoltura e una pesca sostenibili e della sicurezza alimentare con l’uso sostenibile delle risorse biologiche rinnovabili per fini industriali, tutelando allo stesso tempo la biodiversità e l’ambiente. Il piano europeo per la bioeconomia si basa pertanto su tre aspetti fondamentali:
- Sviluppare tecnologie e processi produttivi nuovi destinati alla bioeconomia;
- Sviluppare mercati e competitività nei diversi settori della bioeconomia;
- Stimolare una maggiore collaborazione tra i responsabili politici e le parti interessate.
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20 e 21 a Sassari la prima conferenza internazionale sulla chimica verde
Oggi 20 e domani 21 settembre a Sassari il “Sardinian Green Days”, la prima conferenza internazionale sulla chimica verde.
Dipartimento di Chimica e Farmacia, Aula Magna A (via Vienna, 2) dell’Università di Sassari – Sassari. Il convegno segna la conclusione del Master Internazionale di II livello “CHIMICA VERDE: Produzioni chimiche e nuovi materiali da fonti rinnovabili”.
Parteciperanno alcuni dei maggiori esperti mondiali del settore.
Nei prossimi giorni le nostre valutazioni a cura di Vanni Tola. Precedenti su Aladinews.
Il blog dell’evento
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(Nota stampa Aladinews) Sassari 20 Settembre – Un importante convegno con scienziati e manager di fama mondiale conclude oggi a Sassari il Master Internazionale di II Livello “CHIMICA VERDE: Produzioni chimiche e nuovi materiali da fonti rinnovabili”. L’iniziativa, realizzata dal Dipartimento di Chimica e Farmacia dell’Università e dal Consorzio Industriale di Sassari, ha per tema: “ Il Nord Sardegna polo europeo della chimica verde”. Il convegno prevede, al mattino, la partecipazione di Paul Anastas considerato dalla comunità scientifica uno dei principali esperti mondiali di chimica verde. Nel pomeriggio invece si parlerà di bioeconomy come prospettiva di sviluppo sostenibile, della filiera della trasformazione delle bioplastiche, della filiera della chimica fine applicata agli estratti vegetali, dello sviluppo delle tecnologie ambientali, ricerca e impresa e della filiera dei biocarburanti. Tra i relatori Giulia Gregori, esperta di politiche europee di Novamont, Gianni Girotti, direttore Ricerca e Sviluppo Versalis, Marco Versari, responsabile Affari Istituzionali Novamont, Mauro Apostolo, responsabile commerciale Ecozema di Schio. E ancora Antonio Madau amministratore unico Stemplast di Paulilatino, Tonino Tanda, presidente Turris Steeve Porto Torres, Walter Cabri, direttore ricerca e sviluppo Indena di Milano, Elisabetta Gavini, Dipartimento di Chimica Università di Sassari, Paolo Boldoni, amministratore delegato Garbace Service Ancona, Pietro Delogu, amministratore delegato Serichim di Udine, Guido Ghisolfi, presidente Biochemtex e Ceo di Beta Renewables. Aladinews seguirà i lavori del convegno, nei prossimi giorni le nostre valutazioni e commenti.
La lotta degli operai della centrale elettrica di Fiume Santo contro la multinazionale E.On
di Vanni Tola
Si intensifica la lotta degli operai della centrale elettrica di Fiume Santo con la proclamazione di uno sciopero che, nei giorni 22 e 23 Luglio, interesserà i diversi gruppi produttivi dell’impianto con probabili difficoltà nella fornitura di energia elettrica dell’intera Sardegna. Una vertenza lunga e complessa, innescata qualche mese fa con l’annuncio della E.On di un consistente taglio occupazionale da realizzare nel 2013 e nel 2014. In realtà la perdita di 120 posti di lavoro è soltanto la punta dell’iceberg di una storia molto più complessa e articolata. Nel 2008, dopo una complessa trattativa, la multinazionale E.On acquisisce dall’Endesa il controllo della centrale di Fiume Santo confermando alla regione Sardegna e al Governo di volere mantenere gli impegni assunti da Endesa e, principalmente, l’impegno a costruire un nuovo gruppo a carbone da 410 Megawatt per un investimento di 500 milioni di euro, in sostituzione dei due gruppi a olio esistenti, i gruppi 1 e 2, molto inquinanti e che devono essere chiusi, per motivi ambientali, entro la fine del 2013. La centrale termoelettrica di Fiume Santo, di complessivi 1040 MW, è la più grande della Sardegna e svolge un ruolo fondamentale per il sistema elettrico dell’isola. Dal sito stesso della centrale parte il cavo elettrico SAPEI da 1000 MW che è stato realizzato recentemente da Terna con un investimento di circa 700milioni di euro per collegare la Sardegna con la penisola italiana con una prospettiva di crescente esportazione di energia elettrica che sarebbe supportata, principalmente, dalla realizzazione del quinto gruppo a carbone da 410 Megawatt. Un matrimonio per interesse che produce subito i primi contrasti. Da subito E.On manifesta riserve sull’opportunità di mantenere fino in fondo gli impegni assunti ma trova comprensione e accondiscendenza da parte della Regione Sardegna che, in seguito alla richiesta della multinazionale, accetta di modificare in misura sostanziale i contenuti economici dell’accordo sottoscritto nel 2007, ritenuto troppo oneroso dalla multinazionale tedesca. Non finisce qui, nel 2010 la Regione, con l’intesa degli enti locali interessati, stipula con E.On un nuovo accordo che, oltre a affermare l’interesse per la realizzazione del nuovo gruppo a carbone, favorisce le nuove iniziative della multinazionale nel campo della produzione di energia dal fotovoltaico nelle aree circostanti la centrale generosamente incentivate con denaro pubblico dal Conto Energia. Un mare di pannelli fotovoltaici ricopre centinaia di ettari lungo la strada che da Porto Torres conduce a Stintino. Nonostante ciò nel 2010 la multinazionale tedesca continua a manifestare la volontà di non volere mantenere gli impegni assunti abbandonando le attività di ingegneria per la realizzazione del quinto gruppo a carbone e non realizzando le previste attività di bonifica delle aree interessate alla realizzazione del nuovo impianto. La produzione elettrica continua quindi con deroghe delle autorità locali che consentono l’utilizzo dei gruppi 1 e 2 da 160 Megawatt ciascuno, alimentati a olio combustibile, molto inquinanti e fuori norma e con i gruppi 3 e 4 da 320 Megawatt ciascuno, alimentati a carbone che, ormai vecchi di 20 anni, cominciano a manifestare segni di cedimento. E arriviamo alla cronaca di questi ultimi mesi quando la multinazionale tedesca, per meglio garantire i propri azionisti, vara un drastico piano di riduzione dei costi del personale (in Sardegna 120 unità), taglia gli investimenti nei paesi europei per destinarli ad altri lidi quali Brasile e Turchia inseguendo il basso costo del personale e non pare neppure determinata a completare l’investimento di 100 Megawatt del fotovoltaico. Non per crisi del settore o mancanza di profitti ma soltanto con la prospettiva di profitti ancora maggiori. Nel 2012 E.On realizza, infatti, un utile netto di 280 milioni di euro al quale la centrale di Fiume Santo ha concorso con un guadagno di 78 milioni di euro. L’obiettivo di abbandonare la centrale di Porto Torres avviene quindi in un momento economicamente positivo. Con una tonnellata di carbone (che costa intorno ai 75 dollari) si producono 2,5 Megawatt di energia con un guadagno di 225 euro a Megawatt venduto. Quando poi, per richieste straordinarie di fornitura di energia, la Rete nazionale (Terna) chiede altri megawatt da vendere nel libero mercato, il guadagno diventa di 400 euro a Megawatt. Un esempio eclatante d’intervento industriale “corsaro” finalizzato esclusivamente al massimo profitto e del tutto slegato da qualunque logica di razionale programmazione di politiche per la crescita e sviluppo del territorio che mette in luce, ancora una volta, la totale incapacità di una classe politica che non riesce minimamente a governare i processi industriali e produttivi in atto che sono conseguentemente ”delegati” ai soli imprenditori corsari e predatori. Un’ultima connotazione riguarda poi la tutela della salute e dell’ambiente. Porto Torres è una delle aree maggiormente inquinate del paese, circolano da qualche tempo dati attendibilissimi che lo dimostrano. La mobilitazione per le bonifiche dei siti industriali, per uno sviluppo sostenibile cresce e si manifesta costantemente, principalmente con riferimento al progetto chimica verde. Nonostante ciò però, due gruppi della centrale di Fiume Santo, dichiarati fuorilegge, continuano a bruciare olio combustibile nell’atmosfera, altri due gruppi della stessa centrale funzionano alimentate a carbone con immaginabili effetti ambientali. E la proposta principale nelle strategie sindacali e nelle scelte delle amministrazioni locali sembra essere quella della realizzazione di un altro gruppo produttivo della centrale alimentato ancora col carbone. E’ evidente quindi che la contraddizione tra l’esigenza di sviluppo dell’occupazione e difesa della salute, lungi dall’essere risolta, continua a proporsi in tutta la sua drammaticità.
La SEDIA di VANNI
La filiera del cardo prossima ventura
di Vanni Tola
Firmato a Porto Torres, sotto un pittoresco gazebo collocato davanti a un campo sperimentale di cardo, un protocollo d’intesa tra Matrìca e Coldiretti per lo sviluppo della filiera agricola al servizio della chimica verde. Questa è la notizia che, naturalmente, non sorprende più di tanto ed era certamente attesa. Ciò che colpisce immediatamente invece è l’introduzione alla nota che annuncia l’avvenuto accordo. Testualmente recita: “Dopo aver preso atto delle informazioni ricevute da Matrìca durante il primo anno di sperimentazione e aver visitato i campi relativi al secondo anno di sperimentazione, Coldiretti ritiene che l’investimento sulla chimica verde possa rappresentare un’importante opportunità d’integrazione al reddito delle imprese agricole del territorio”. Un noto detto popolare, per sottolineare l’ovvietà e la scarsa produttività di determinati comportamenti recita “è come chiedere all’oste se il vino è buono” lasciando intendere che la risposta sarà comunque affermativa. La Coldiretti stipula un protocollo d’intesa per l’avvio della filiera del cardo esclusivamente sulla base delle informazioni ricevute da Matrìca relative al primo anno di sperimentazione e sulla base di una pittoresca “scampagnata” per vedere i campi di cardo sperimentali esistenti. In pratica a scatola chiusa, senza attendere le sperimentazioni di altri soggetti, per esempio la Facoltà di Agraria di Sassari, sulle reali possibilità di avviare la filiera del cardo in modo produttivo e realmente conveniente per i produttori e il territorio. Delega in bianco quindi alla “sapienza” dell’Eni e alla bontà dei suoi centri studi e dei suoi sperimentatori. I termini dell’accordo in sé non sono una novità, se ne parlava da qualche tempo. Il protocollo d’intesa rispecchia lo schema classico degli accordi di filiera agricola (es. quello annuale per la produzione e conferimento del pomodoro all’industria alimentare). Emergono invece ulteriori particolari su come sarà articolata la filiera del cardo. Vediamone alcuni.
Le non rimandabili scelte dei sardi: dalla “pentola bucata” alla “pentola scoperchiata”
Rumundu, alla ricerca di un sapere glocale per l’intera Sardegna
di Fabrizio Palazzari
Agli inizi degli anni Ottanta l’economista Paolo Savona paragona l’economia della Sardegna a una “pentola bucata” a causa dei segnali di una crisi del modello di sviluppo imboccato a partire dagli anni Sessanta. Un modello che oggi appare irreversibilmente concluso.
La teoria della “pentola bucata” fotografa da una prospettiva macroeconomica i risultati di un modello di sviluppo, basato sull’industrializzazione ad alta intensità di capitale pubblico e sul potenziamento della nascente industria turistica, che determinò profonde e radicali trasformazioni culturali e sociali della società sarda accompagnate dall’abbandono di modelli economici consolidati, soprattutto in campo agricolo e pastorale, in virtu di modelli ritenuti più moderni.
Spesso il “non sapere”, il fatto che non si possedessero gli strumenti culturali e analitici per valutare la portata globale di quei modelli, giustificò l’accettazione degli stessi. In realtà alcuni sapevano e cercarono, con straordinaria capacità di analisi, di animare un dibattito. Come nel caso, per esempio, degli scritti di Antonio Simon Mossa relativi all’industrializzazione della piana di Ottana o alla nascente industria turistica della Costa Smeralda. Il problema è che quel sapere non divenne mai un sapere generalizzato e condiviso.
Oggi quel mondo sta venendo meno. Dall’ultimo rapporto Istat 2013, emerge che il tasso di inattività sardo è pari al 40.3% ( in altri termini ci sono 456mila persone , in età lavorativa, con le braccia incrociate). Non solo, con la ripresa dell’emigrazione e la fuga dei cervelli, l’effetto della “pentola bucata” è aggravato dai costi sociali ed economici dell’investimento in capitale umano perso per l’espatrio delle giovani generazioni.
Pertanto è diventato comune guardare a quella stagione mettendone in luce solo gli aspetti più deteriori senza evidenziarne alcuni importanti meriti, come quello di aver determinato un miglioramento basato sul reddito delle condizioni di vita materiali e, parallelamente, di aver così sostenuto una scolarizzazione di massa capace di aumentare la dotazione di capitale intellettuale e relazionale dell’intera regione.
Non solo, dietro la promessa della creazione di nuovi posti di lavoro, continuano ad essere proposti modelli di sviluppo antiteci rispetto alla vocazione dell’isola, come testimoniato di recente dalla vicenda del Qatar e degli stazzi galluresi, dai tentativi della Saras di estrarre metano nel Campidano o della Matrica di impiantare colture di cardo per alimentare la cosiddetta “chimica verde”.
Sebbene la protesta e la nascita di movimenti spontanei dal basso testimonino oggi una sensibilità e un’attenzione diffusa da parte delle popolazioni interessate rimane, in termini più generali, una forte predisposizione verso l’accettazione di questi modelli. Perchè?
Il vero dramma
Perchè il vero dramma del nostro tempo è non solo nel lascito di quel mondo che oggi ci appare non in grado di garantire continuità tra passato, presente e futuro, quanto nella nostra incapacità di rimuovere tutte quelle barriere che impediscono di valorizzare pienamente il capitale intellettuale e relazionale esistente dei sardi residenti e di quelli che vivono oltremare.
Un capitale alimentante una domanda crescente di partecipazione che però troppo spesso rimane latente, inespressa e che solo in pochi casi riesce a diventare progettualità, fare e agire concreto capace di incidere sulla realtà e sulla nostra capacità di elaborare e condividere modelli di sviluppo sostenibili e rispettosi del territorio, dell’ambiente e delle persone.
A questo proposito, il riflettere sulle barriere che impediscono l’attivazione di questa “riserva” inesplorata di capitale sociale, potrebbe aiutarci a capire quali potrebbero essere oggi i meccanismi di valorizzazione della stessa.
Una prima barriera può essere individuata nella tendenza all’autoreferenzialità delle istituzioni oggi delegate a questa elaborazione. Un ulteriore limite è rappresentato dall’inerzia della politica e dell’amministrazione regionale. Infine, la terza, e probabilmente la più importante barriera, è che la nostra straordinaria capacità di analisi e di interpretazione della realtà non è sostenuta da una piena fiducia nei nostri mezzi. Rimaniamo insicuri, costantemente in attesa che siano gli “altri” a legittimarci.
In questo scenario il progetto Rumundu appare non soltanto paradigmatico ma metafora di una Sardegna che non si rassegna ma viaggia, si apre al mondo e da questo mondo vuole riportare un sapere condiviso, che sia globale ma allo stesso tempo locale, in una parola “glocale”.
Nato da un’idea di Stefano Cucca, un trentaquattrenne di Sorso, consulente aziendale di professione e ciclista per passione, il progetto “Rumundu” consiste in un viaggio in bicicletta intorno al mondo alla ricerca di storie e stili di vita per dare voce a una community fatta di persone, storie, situazioni, micro mondi, momenti e stili di vita sostenibili che non senza difficoltà, si muovono in controtendenza rispetto a un’impostazione della nostra società fortemente legata ai consumi.
Stefano è partito da Sorso la mattina dell’8 giugno 2013, ha attraversato l’intera Sardegna, la Sicilia e adesso sta risalendo lungo la penisola italiana. Attraverserà l’Europa, l’Islanda, il Nord America, l’Asia, l’Oceania per poi, dopo aver raggiunto il Madagascar, spostarsi dal Sudafrica alla volta del Medio Oriente e infine fare rientro a Sorso nel giugno del 2014.
Strada facendo, raccoglierà spunti, consigli, racconti, foto, suoni e sensazioni provenienti dalla rete che verranno veicolati nel sito e nei social network per dare vita alla comunità Rumundu. Alla fine avrà percorso, dopo 365 giorni di viaggio e 9.000.000 di pedalate, 30.000 Km suddivisi in 300 tappe.
Al di là dei numeri quello che più colpisce è la staordinaria capacità di questo progetto di popolare il nostro immaginario collettivo di freschezza, energia ed entusiamo e di indicarci una delle tante vie alternative per superare le barriere che impediscono una piena valorizzazione del nostro capitale intellettuale e relazionale.
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Il presente contributo viene pubblicato anche in altri siti/blog, nell’ambito di un accordo tra diverse persone (tutte impegnate nel movimento culturale “In sardu”), le quali dispongono di detti spazi virtuali che mettono a disposizione per favorire la circolazione di idee (e l’organizzazione di iniziative di carattere politico-culturale) sulle problematiche della Sardegna, senza limiti di argomenti e nel pieno rispetto delle diverse opinioni e impostazioni politiche e culturali, ovviamente nella condivisione dello spirito e dei comportamenti democratici. I contributi saranno pubblicati in italiano e/o in sardo.
Ecco i siti/blog (a cui nel tempo se ne aggiungeranno altri, auspicabilmente) :
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Il primo intervento di Salvatore Cubeddu
Il secondo intervento di Fabrizio Palazzari
Il terzo intervento di Nicolò Migheli
Il quarto intervento di Vito Biolchini
La SEDIA di VANNI: ascoltiamo di chimica verde e di bonifiche…
L’antropologo Bachisio Bandinu e il regista/filosofo/agricoltore Tore Cubeddu ogni settimana si confrontano sui grandi temi della modernità in una trasmissione di Radio Rai Sardegna. Nella prima puntata del nuovo ciclo si parla di comunicazione e WEB. Nella puntata che segnaliamo (n.4/2013, registrata il 3 giugno 2013) si parla in modo appropriato soprattutto di CHIMICA VERDE. In trasmissione interviene anche il dott. Vincenzo Migaleddu, radiologo, esperto e impegnato ambientalista (esponente dell’Isde Sardegna – Associazione dei Medici per l’Ambiente).
(Nelle foto. Foto 1: Bachisimo Bandinu e Tore Cubeddu con Giovanni Sanna, al centro, che aveva collaborato al primo ciclo della trasmissione. Foto 2: Vincenzo Migaleddu)
Deciderinformati. Area industriale Portotorres: subito le bonifiche
Si è svolta a Sassari una riunione della Commissione ambiente del Comune aperta alle Associazioni che chiedono l’immediato avvio delle bonifiche del territorio dell’area industriale e dell’ambiente come priorità assoluta rispetto a qualunque altro intervento di reindustrializzazione del territorio. Pubblichiamo di seguito il documento presentato alla Commissione dalle Associazioni che hanno dato vita alla manifestazione ripreso dal sito http://csoapangea.blogspot.it/2013/06/iniziamo-dalle-bonifiche.html . (V.T.)
- Il documento ripreso da ALADINEWS: Bonifiche una priorità
DECIDERINFORMATI sulla chimica verde
- Chimica verde: i contributi ad oggi su Aladinews
Come la pensa Legambiente sul progetto Matrìca e dintorni (da La Nuova Sardegna, ripreso da Aladinews blog)