Risultato della ricerca: chimica verde
in giro con la lampada di aladin
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Sardegna 2014, Ferragosto di lotta (ma con poca speranza).
di Vito Biolchini*
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Lo striscione esposto a Sassari contro le mancate bonifiche dell’Eni: una iniziativa del Comitato No Chimica Verde/No Inceneritore, Comitato Nurra Dentro-Riprendiamocil’Agro, Collettivo artistico Aznamusnart Idee al Pascolo e C.S.O.A. Pangea Porto Torres.
Ferragosto di lotta in Sardegna. A Sassari uno striscione di 25 metri è stato esposto durante la discesa dei Candelieri: “A fora li vel-Eni”. Se il tema che ha dominato nell’opinione pubblica sarda negli anni ’90 e 2000 è stato quello della tutela delle coste (risultando determinante per l’elezione nel 1994 di Federico Palomba e nel 2004 di Renato Soru) oggi l’argomento discriminante è quello dell’inquinamento e delle bonifiche. Discriminante ma non nuovo, giacché l’immagine del vagone ferroviario contenente rifiuti tossici che apriva il saggio di Salvatore Mannuzzu “Finis Sardinia” (nel volume Einaudi “la Sardegna”) è ancora tristemente vivo; ma, appunto, non attuale. Perché adesso l’inquinamento non viene dal mare: ora l’inquinamento siamo noi. Psicanaliticamente, c’è una bella differenza.
Tutto ruota ancora intorno al modello di sviluppo: quello che ha consentito alla Sardegna di uscire tra mille contraddizioni dai secoli della malaria e basato sullo stravolgimento delle campagne e su un carico ambientale impressionante, oggi non è più sostenibile né accettabile. Eppure anche questo esecutivo di centrosinistra e sovranista sembra voler proseguire sulla stessa strada di sempre. La chimica degli anni ’60 è diventata “verde” e per vivere ha la necessità di stravolgere l’agricoltura isolana coltivando a cardo migliaia di ettari. Ministri italiani magnificano il progetto, nel silenzio dell’assessore regionale all’agricoltura e del suo partito, quello che la parola “sovranista” si vanta perfino di averla inventata.
I poligoni militari (e tutti noi sappiamo quanto nel 2003, dopo decenni di manifestazioni, le dichiarazioni di Renato Soru contro la presenza americana a La Maddalena galvanizzarono l’opinione pubblica di sinistra: ma oggi Soru dov’è?) si apprestano a diventare altro pur rimanendo sempre quello che sono: ampi tratti di aria, di terra e di mare dove gli eserciti di tutto il mondo sparano, bombardano e inquinano.
In realtà sarebbe più giusto dire “inquinavano” vista la decisione della Camera di equiparare i limiti tollerati nelle aree militari a quelli, molto più alti, fissati per le aree industriali. Uno scandalo gigantesco (che ha avuto il via libera anche dei parlamentari sardi del Pd Emanuele Cani, Caterina Pes, Giovanna Sanna, Romina Mura, Giampiero Scanu, Siro Marroccu e Francesco Sanna, da quello dei Riformatori Pierpaolo Vargiu e da Roberto Capelli del Centro Democratico) a cui la giunta Pigliaru si è opposta blandamente, delegando all’assessore all’Ambiente Donatella Spano a fare la voce grossa: “La posizione della Regione era stata espressa anche con una nota inviata a tutti i parlamentari sardi” ha dichiarato dopo il voto alla Camera. E ancora: “Non mancheranno interlocuzioni forti con il Governo per arrivare a una soluzione quantomeno accettabile per la nostra Regione”. Perché questa è la giunta del “quantomeno accettabile”. E infatti i poligoni non verranno chiusi ma, come chiedono i militari, cambieranno semplicemente denominazione.
Così come molto difficilmente ci saranno le tanto attese bonifiche. Troppo costose per un paese come l’Italia che ormai non sa più a che buffone affidarsi pur di far finta di ignorare le terrificanti ricadute del fiscal compact. In grande, proprio quel pareggio di bilancio che, pintato da grande conquista, il presidente Pigliaru ha riportato in Sardegna dopo un viaggio a Roma da cui doveva tornare semplicemente con un po’ di soldi nostri. Un trionfo del “quantomeno accettabile”: per il governo italiano, non certo per l’isola.
Il passato non passa. Perfino le miniere di carbone si avviano ad un nuovo futuro di inopinato splendore, grazie al solito “centro d’eccellenza” sulle “energie pulite” (e cos’altro, d’altronde?), un polo “di ricerca avanzata” nelle miniere di Serbariu e di Carbonia dove verranno studiate e applicate “ tecnologie per l’uso sostenibile di combustibili fossili, l’efficienza energetica nell’edilizia, lo sviluppo delle fonti rinnovabili con sistemi di accumulo e la valorizzazione energetica dei rifiuti e degli scarti della chimica verde”. Trenta milioni di euro per un clamoroso ritorno al passato, grazie ad un’intesa firmata dalla Regione con Ministero dello Sviluppo Economico, Enea e Sotacarbo.
Eppure c’è ancora chi alla logica del ”quantomeno accettabile” si ribella e lo striscione di Sassari lo dimostra. L’isola è un pullulare di comitati e di gruppi che dal basso si oppongono allo sfruttamento del territorio, che chiedono un modello di sviluppo diverso e un cambio di rotta deciso.
Ma allora, se c’è tutta questa mobilitazione, perché questo è un Ferragosto di lotta e di poca speranza? Perché tutte queste lotte stentano a trovare una sintesi politica, una bandiera che le raccolga in maniera decisa e autorevole. Questo esecutivo fatica o non vuole proprio interpretare le istanze di rinnovamento deciso che arrivano dalla società sarda. E anche i sovranisti, che soprattutto del Pd dovevano essere un forte contraltare, al momento devono portarsi a casa in silenzio l’accusa di volere “uno Stato sardo per il futuro, la dipendenza solita per il presente” (come ha scritto oggi sull’Unione Sarda Alessandro Mongili).
Ci vorrà un lungo lavoro per creare le condizioni necessarie per far sì che cento teste mettano tutte la stessa berritta. Ma è l’unica battaglia politica che oggi in Sardegna merita di essere combattuta (magari a partire dalla manifestazione contro le servitù militari il prossimo 13 settembre a Capo Frasca).
Buon Ferragosto a tutti.
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* Sardegna 2014, Ferragosto di lotta (ma con poca speranza). Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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Per connessione
Fernando Codonesu. Servitù militari modello di sviluppo e sovranità in Sardegna
in giro con la lampada di aladin…
- In risposta al Prof. Saba
di Angelino Olmeo su sardegnasoprattutto.
la lampada di aladin sull’economia della Sardegna…
Matrìca nel Cluster SPRING
Chimica verde e Bioeconomy in Europa – Per comprendere meglio alcuni processi di trasformazione dell’apparato industriale in atto può essere utile conoscere il Cluster SPRING. Il Cluster Tecnologico Nazionale della “Chimica Verde” denominato SPRING – Sustainable Processes and Resources for Innovation and National Growth. Un megaprogetto, sottoscritto anche dalla Regione Sardegna (partecipa con Matrìca), che si pone l’obiettivo di incoraggiare lo sviluppo delle bioindustrie in Italia attraverso un approccio organico all’innovazione, per rilanciare la chimica italiana sotto il segno della sostenibilità ambientale, sociale ed economica, con riferimento ai più recenti orientamenti dell’Unione Europea nel campo della bioeconomy. Maggiori informazioni su www.aladinpensiero.it articolo “I cluster, questi sconosciuti” (V.T)
Matrìca parte: bene, con attenzione e vigilanza. E subito anche le bonifiche!
di Vanni Tola
Portotorres 16/06/2014 – Oggi diventerà realtà il progetto chimica verde di Matrìca. Presenti il ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti, il presidente di Matrìca Daniele Ferrari, l’amministratrice delegata Catia Bastioli, i rappresentanti delle istituzioni locali e regionali, sarà inaugurato, a Portotorres, il primo impianto di monomeri biobased, un avvenimento che rappresenta un segno tangibile della riconversione dell’area industriale dal petrolchimico alla chimica verde. L’impianto che sarà inaugurato oggi è impiegato per la produzione di monomeri intermedi ed esteri biobased indispensabili per la sintesi di bioplastiche Mater-Bi di terza generazione. La produzione a Porto Torres sarà concentrata sull’acido azelaico, appartenente alla famiglia degli acidi dicarbossilici che, oltre ad entrare nella formulazione del Mater-Bi, costituisce la base per plastificanti speciali, esteri ad alta viscosità e basso punto di scorrimento per il settore della lubrificazione. Entro la fine dell’anno, l’impianto inaugurato oggi dovrà essere affiancato da altri due impianti della prima parte del piano di riconversione che produrranno additivi per polimeri ed esterificazione. Una volta completata questa prima fase di investimenti, le tre unità di Matrìca produrranno nella zona industriale acido azelaico, una miscela meno pregiata di acido palmitico e stearico, acido perlagonico ed esteri C5 e C9 con relative glicerine. Si apre cosi il nuovo capitolo della chimica verde che, nonostante l’opposizione di alcuni gruppi, diventa realtà. Un progetto che persegue l’obiettivo di realizzare, nell’area industriale turritana, il più grande polo europeo della chimica verde con un investimento complessivo che dovrebbe raggiungere il mezzo miliardo di euro. I dati tecnici del progetto evidenziano che quello di Porto Torres è «il primo impianto al mondo che impiega la tecnologia di scissione ossidativa a basso impatto ambientale». L’impianto ha una capacità produttiva di circa 32mila tonnellate l’anno. Finora Matrica ha investito sul progetto 180 milioni di euro e una volta completato, si parla del pieno regime entro il 2016, darà lavoro a circa 700 persone, senza considerare le imprese dell’indotto. Un progetto rivoluzionario, hanno sempre assicurato i vertici di Novamont ed Eni, che si integra con il territorio, visto che la materia prima per le produzioni, il cardo selvatico, sarà coltivata in Sardegna. Quello che sarà inaugurato oggi non è soltanto il primo impianto di una “fabbrica di bioplastiche”: i vertici di Matrica parlano di “una bioraffineria integrata di terza generazione che, partendo dall’utilizzo di materie prime agricole e di scarti vegetali, produrrà una gamma di prodotti chimici (biochemicals, biointermedi, basi per biolubrificanti e bioadditivi per gomme) attraverso processi innovativi e a basso impatto”. La creazione di una bioraffineria integrata nel territorio, dedicata a una serie di prodotti innovativi in ottica di filiera, porterà a Porto Torres nuove produzioni chimiche a basso impatto ambientale, ponendo le basi per una reindustrializzazione che avrà effetti positivi non solo nel comparto, ma anche in tutta l’industria a valle e sull’agricoltura. I promotori del progetto parlano di una vera e propria “bioeconomia di filiera”, nel rispetto della biodiversità locale e un’opportunità per l’Italia di rilanciare, in particolare nei siti storicamente meno competitivi, un settore industriale strategico come quello chimico.
I PROBLEMI APERTI
I problemi aperti relativamente al progetto della chimica verde non sono pochi e attendono risposte certe, credibili e verificabili. – segue -
I Cluster, questi sconosciuti
Dopo il Cluster CL.A.N Agrifood per l’agricoltura, decolla SPRING per la bioeconomy e la chimica verde.
di Vanni Tola
In un precedente articolo Aladinews si è occupato del Cluster CL.A.N. (Cluster Tecnologico Nazionale) AGRIFOOD presentato qualche mese fa nella sede della Società Porto Conte Ricerche. Un progetto importante per lo sviluppo del comparto agroalimentare isolano, realizzato con riferimento alle direttrici della politica comunitaria e in sintonia con le richieste e le caratteristiche dell’economia della globalizzazione. Descriviamo oggi un altro Cluster, che pure interessa la Sardegna, riguardo al progetto Matrìca per la riconversione del polo chimico dell’area industriale di Portotorres. Il Cluster Tecnologico Nazionale della “Chimica Verde” denominato SPRING – Sustainable Processes and Resources for Innovation and National Growth. Un megaprogetto che si pone l’obiettivo di incoraggiare lo sviluppo delle bioindustrie in Italia attraverso un approccio organico all’innovazione, per rilanciare la chimica italiana sotto il segno della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Facendo riferimento ai più recenti orientamenti dell’Unione Europea nel campo della bioeconomy, il Cluster Spring persegue lo scopo di stimolare la ricerca e gli investimenti in nuove tecnologie, con un costante dialogo con gli operatori economici del territorio. Le aziende promotrici del Cluster Spring sono Biochemtex, Novamont e Versalis - tre realtà industriali leader nello sviluppo di tecnologie e processi molto innovativi e nella messa a punto di materiali e prodotti da fonti rinnovabili – e Federchimica, che rappresenta l’industria chimica italiana nel suo complesso. Al Cluster aderiscono diverse imprese che operano nell’ambito della bioeconomy e rappresentano l’intera filiera italiana della chimica verde. Dalle imprese agricole a quelle impegnate nella ricerca di prodotti chimici da fonti rinnovabile e nelle biotecnologie industriali, comprese quelle che operano nella realizzazione di materiali e bioprodotti e nella trasformazione e lo smaltimento di materiali. Si contano al momento già 130 adesioni, tra aziende (45%), centri di ricerca (29%), enti locali (7%) e associazioni (19%) Un insieme di soggetti uniti da un progetto e una strategia di sviluppo comune per il comparto chimico. Otto Regioni italiane e, tra queste la Sardegna, si sono impegnate a sostenere l’attività del Cluster riaffermando la coerenza e la funzionalità delle loro strategie di programmazione e di sviluppo con gli obiettivi dell’iniziativa e impegnandosi a sostenere attività di supporto per lo sviluppo del progetto. Il Cluster Spring – con una rete di cooperazione fra le Amministrazioni interessate – persegue l’obiettivo di determinare ricadute positive nei territori con strategie di sviluppo coordinate a livello nazionale e locale. Il risultato di tali azioni dovrebbe favorire la crescita e lo sviluppo della bioindustria italiana attraverso l’innovazione e il rilancio della nuova industria chimica che dovrà essere caratterizzata da sostenibilità ambientale, sociale ed economica. - segue -
Sardegna, a ciascuno il suo silenzio
(Pigliaru non spiega: almeno ascolterà?)
di Vito Biolchini *
E all’improvviso scese il silenzio. Se nei sette mesi che hanno preceduto il voto una febbre aveva colpito la Sardegna, scuotendola quotidianamente con migliaia di post riguardanti la campagna elettorale e i suoi principali candidati, parole rilanciate sui siti, sui blog e sui social network in maniera quasi compulsiva, dall’elezione di Francesco Pigliaru tutto questo si è arrestato.
La politica è tornata ad essere argomento di pochi e per pochi. Nessuna riflessione pubblica. Lo spettacolo è finito, i macchinisti hanno smontato le scenografie e al posto dei riflettori, ad illuminare là dove prima era la scena, ora c’è solo in lampione, con la sua luce tremolante, a levare dal buio ad intermittenza pezzi di realtà.
Forse ai cittadini-tifosi interessava solo la gara: si levano gli striscioni dalle curve, chi ha vinto si gode il trionfo, gli altri vanno a leccarsi le ferite in silenzio. Ma la politica è (ma a questo punto sarebbe giusto dire “dovrebbe essere”) un’altra cosa. Perché proprio adesso viene venire il bello, e adesso ci sarebbe bisogno di controllo, di stimolo, di idee, di dibattito e di confronto.
Le dichiarazioni programmatiche del presidente non hanno suscitato alcun tipo di commento nel due quotidiani isolani: niente di niente. Pigrizia, inadeguatezza, prudenza, accondiscendenza eccessiva nei confronti dei nuovi potenti? Chissà.
Tace la chiesa, parlano il meno possibile i sindacati, si defilano gli accademici: a ciascuno il suo silenzio. C’è quello dei sudditi e quello degli ignavi, quello degli interessati e quello degli impauriti (parlare di politica è facile, ragionare sulla politica è diverso e comporta dei rischi evidenti).
Per fortuna che altrove, nel mondo della rete (spesso vituperato: ma per fortuna che esiste) a chi si è permesso di far notare i limiti (evidenti) di un ragionamento scarno di spunti politici e colpevolmente omissivo su temi centrali quali l’agricoltura, l’energia, la cultura, la lingua sarda, le servitù militari, il rapporto con lo Stato e la riforma del Titolo V (e qui ci fermiamo), l’obiezione è arrivata secca: “L’avete votato? Adesso tenetevelo, e peggio per voi”. Come se il consenso dato col voto fosse per sempre e l’azione politica non fosse invece il frutto dialettico del confronto tra istituzioni, partiti, opinione pubblica e soggetti portatori di interessi.
Forse che anche in Sardegna il voto è inteso come un bagno purificatore che sana tutte le contraddizioni e le incongruenze della politica e dei suoi rappresentanti? Che sia morto quello che una volta si chiamava “controllo democratico”?
Sono tante le emergenze e i limiti dell’isola, ma fra i più gravi c’è questa afasia che ci prende quando bisogna seriamente parlare di politica, ovvero di cose serie.
Eppure pretendere che la Sardegna esca dalla sua crisi nel silenzio è come sperare che un bambino cresca sano senza che nessuno mai gli rivolga la parola, è come credere che una famiglia risolva i suoi problemi senza mai riunirsi per discuterne.
La solitudine della politica è amplificata dalla debolezza delle nostre strutture informative e da una opinione pubblica fragile. Servono più luoghi di confronto, più liberi e più aperti. Perché la politica cresce nella discussione, nel confronto anche aspro, nella dialettica (qui invece le categorie di “politico” e “personale” coincidono, e al critico impenitente alla fine il candidato toglie perfino il saluto)
In Sardegna non esiste una “società politica”, forse è presente non in maniera embrionale oppure ha un ruolo marginale, una vita sotterranea. Ci mancano tante cose in Sardegna, ma ci mancano soprattutto le parole: senza le quali i famosi “fatti” evidentemente non arriveranno mai.
È chiaro però che c’è anche chi parla: vox clamans in deserto, quasi sempre. Parole che cadono nel vuoto, che non si fanno azione per le difficoltà oggettive in cui versano le strutture del consenso organizzato.
Anche perché bisogna fare i conti con la nuova politica, quella del decisionismo fine a se stesso. In cui non ascoltare è sinonimo di “tenere la schiena dritta”, di non “farsi condizionare”. La turris eburnea come simbolo della virtù: per stare lontano dai partiti (sempre cattivi), lontano i sindacati (per carità), lontano dalla burocrazia (il diavolo). L’esecutore politico deve restare puro, incorrotto. Senza occhi e senza orecchie: solo cervello. Ragione pura che si diffonde nella società, salvandola.
Ecco allora che forse si spiega questo silenzio di una parte della Sardegna davanti a questa nuova stagione politica. E il silenzio di chi ha perso la voce, di ritiene che non sarà ascoltato. Perché troppo spesso così è stato, anche in un passato recente (brucia ancora l’esperienza Soru e si consuma a Cagliari il percorso del sindaco Zedda, insensibile ai richiami di chi lo avverte del burrone che gli sta sempre pericolosamente a lato).
Ma la politica ha comunque il compito di ascoltare. Pigliaru, chi ascolterà? Chi c’è, oltre al mondo dei partiti e dell’università delle professioni e delle banche (tutte abbondantemente ben rappresentate in giunta), che lui vorrà consultare? E come? E con quale spirito lo farà?
Le voci dei cittadini organizzati, della cultura non accademica, dei movimenti nel territorio, del volontariato, talvolta sono flebili, è vero: ma chi non è sordo le sente lo stesso. E se vuole può persino ascoltarle. Per decidere un percorso comune e aggiustare la rotta se e quando serve. Essere eletti non basta, far parte degli organi dirigenti di un partito neppure. Oggi la Sardegna sta anche altrove.
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* L’articolo di Vito Biolchini viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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Le parole sono importanti, anche quelle che mancano. E che aspettiamo.
di Vanni Tola
Non è facile commentare con una sintesi le dichiarazioni programmatiche del Presidente Pigliaru che, naturalmente, analizzano un’articolata serie di problemi. E non lo faremo. Certo le dichiarazioni programmatiche, come le letterine a Gesù Bambino della nostra infanzia, non vanno al di la di una infinita serie di buoni proponimenti, tutti da verificare nella realtà quotidiana. Non è questo il caso. A dire il vero le dichiarazioni del Presidente evidenziano una ricerca concreta di cambiamento della politica regionale, un forte desiderio di semplificare le procedure legislative, di riformare profondamente l’apparato burocratico della regione, una certa determinazione nel voler liberare la nostra regione dalla crisi e dai ritardi nello sviluppo che stanno alla base dei principali problemi della comunità isolana. Ciò detto, si avverte pure una indeterminatezza generale, una non ben definita ipotesi complessiva, l’assenza di una scelta strategica principale per lo sviluppo dell’isola, che appare come elemento di continuità con le precedenti fallimentari Amministrazioni regionali. Si e portati a pensare che la nuova Giunta non finisca poi con l’operare rincorrendo i problemi e le questioni aperte piuttosto che con l’obiettivo di realizzare un progetto organico di trasformazione e sviluppo che ci piace definire “nuovo piano di rinascita”. Alcuni esempi per rendere maggiormente comprensibile il ragionamento. Si parla nelle dichiarazioni del Presidente di crisi delle produzioni industriali e dell’occupazione ma non emerge un’ipotesi ben definita di sviluppo industriale alternativa alle precedenti. La Sardegna crede ancora nell’industria o si considera il comparto industriale tradizionale una sorta di comparto “da liquidare” per concentrare risorse ed energie principalmente su agropastorale e industria turistica? Scommetterà la Regione sulla possibilità di costituire a Porto Torres un grande polo europeo per i prodotti di base della chimica verde e la realizzazione di un apparato industriale indotto, riconvertendo ciò che rimane dell’industria petrolchimica o si ritiene, come molti sardi pensano, che la possibilità di attivare nell’isola una moderna industria chimica e biochimica debba essere considerata definitivamente conclusa? L’idea che la Sardegna possa svilupparsi esclusivamente valorizzando l’agro-industria e l’industria turistica con una forte protezione dell’integrità ambientale e paesaggistica è molto più diffusa di quanto si pensi e non è certamente priva di un qualche fondamento. Resta però aperta la questione se la Sardegna debba o no disporre anche di un apparato industriale e tecnologico innovativo (ricerche su nuovi materiali, nanotecnologie, bioingegneria, genetica, attività aerospaziali) come in tante altre realtà. Un ulteriore aspetto che appare poco evidenziato nelle dichiarazioni programmatiche del Presidente Pigliaru riguarda poi l’insieme di problemi, fra loro strettamente interconnessi, quali salute, inquinamento ambientale, aree di grave emergenza sanitaria, bonifiche di suoli, acque e aria. Porto Torres è uno dei siti ambientali d’interesse nazionale per un elevatissimo livello d’inquinamento che ha fatto rilevare dati molto preoccupanti (qualcuno dice perfino superiori a quelli di Taranto), un incremento di patologie tumorali e respiratorie da vera emergenza sanitaria. A Ottana un esponente di un Comitato di cittadini ha denunciato l’avvenuto decesso per tumore di oltre quaranta operai che hanno lavorato nel medesimo impianto industriale. Per non parlare poi delle aree con servitù militari e di tutte le altre realtà interessate da situazioni di gravissima emergenza sanitaria e ambientale. Ci saremmo aspettati dal Presidente l’annuncio un piano straordinario, prioritario e urgente, insomma, qualcosa di più di generici riferimenti alla difesa del diritto alla salute e all’integrità ambientale. E infine, per quanto riguarda i piani di settore dei principali comparti produttivi isolani, Pigliaru si limita a rimandare al programma generale della coalizione per esaminare nel merito i proponimenti della Giunta. Certamente lo faremo con attenzione e interesse ma resta forte la sensazione, lo ribadiamo ancora una volta in chiusura, che non si abbia la capacità, la volontà, la lungimiranza di lavorare intorno ad un’unica e ben definita ipotesi strategica di sviluppo alla quale rapportare e finalizzare le diverse azioni e gli interventi della nuova Giunta.
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Daniele da Volterra, detto il braghettone, Arameo.
[NdD] Il dipinto di Volterra non c’entra… o forse sì
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Le parole sono importanti. Anche quelle che mancano. E che aspettiamo.
I due deficit politici del presidente
di Franco Meloni
Per Francesco Pigliaru le parole sono importanti. Ricordo una mattina di alcuni anni fa quando chiuse rapidamente una riunione all’Università (di cui era pro rettore alla Ricerca scientifica) perchè, ci disse, doveva terminare di scrivere, immagino rivedere attentamente, un articolo per La Nuova Sardegna del giorno dopo. Dunque occorreva essere precisi e dedicarvi tutto il tempo necessario. E’ sicuramente con lo stesso scrupolo che ha redatto il documento delle sue dichiarazioni programmatiche da presidente della regione, sicuramente soppesando ogni singola parola scritta. Pertanto prendiamo sul serio ogni parola e analizzeremo con attenzione e commenteremo il contenuto del documento, come già abbiamo cominciato a fare con l’editoriale di Vanni. Il documento, anche tenendo conto dell’analisi di Vanni, è totalmente condivisibile e anch’io lo sottoscrivo: per quanto dice, ma ci riserviamo di esprimere valutazioni e giudizi successi per quanto è allo stato troppo generico e indeterminato e di capire e dare le nostre valutazioni e giudizi su quanto ancora non detto e che è necessario dire quanto prima. Anche su questo versante Vanni è stato precisamente esigente! Voglio ora esprimere un mio parere di carattere generale: le dichiarazioni programmatiche del presidente Pigliaru hanno due “deficit politici”, di fondamentale importanza, che attengono uno alla sardità e l’altro all’europeismo. Tratto queste due questioni in maniera intrecciata, come è giusto che sia. Non è pensabile che il programma del presidente (e della sua coalizione), così come è attualmente formulato, prescinda da una esplicita visione del posizionamento istituzionale della Sardegna, oggi e in prospettiva, in Italia e in Europa. Al riguardo è vero che Pigliaru non poteva sollevare la bandiera dell’indipendentismo o del sovranismo che lo vuole praticare anticipatamente (gli indipendentisti e i sovranisti sono pur sempre una minoranza, seppure importante, della coalizione di centro sinistra), ma la visione che sottende il documento appare francamente riduttiva, niente altro di diverso da un “autonomismo sbiadito”, che non ci porta molto lontano. Pigliaru si guarda bene dal pronunciare parolacce quali indipendentismo e sovranismo e neppure federalismo, utilizza in un passaggio il termine “sovranità” nell’accezione di auto-responsabilità (cito testualmente: “…il principale esercizio di sovranità cui vogliamo dedicare tutta le nostre capacità ed energie, è un’essenziale assunzione di responsabilità verso cui orientiamo la nostra azione di governo”). Non basta certo! Specie nell’attuale momento storico, che ha necessità di una Sardegna rinnovata, anche nelle sue istituzioni, consapevole delle proprie risorse e potenzialità, capace quindi di un suo protagonismo, indispensabile per sopravvivere nel quadro degli attuali rapporti di forza tra entità territoriali (nel confine statuale e in quello europeo). E’ solo in questo quadro, che, come detto, richiede anche una nuova struttura istituzionale della regione, che credo possa iscriversi, citando Vanni: un auspicabile progetto organico di trasformazione e sviluppo che ci piace definire “nuovo piano di rinascita”. Per fare tutto questo non si può prescindere da una politica sulla lingua sarda, sull’identità sarda, sull’università della Sardegna… in definitiva su chi siamo noi sardi e chi vogliamo o vorremo/vorremmo essere. E, allora: è possibile che Pigliaru non parli della nuova costituente statutaria, a cui siamo tenuti anche in virtù degli esiti referendari sardi? E’ possibile che parli dell’Europa sostanzialmente come vincolo per la nostra economia, come purtroppo è, ma che non necessariamente deve continuare ad essere, o, ancora, come bancomat per prelevare tutte le risorse finanziarie possibili? Importante ma terribilmente riduttivo. E’ possibile che parli d’Europa senza fare cenno all’incredibiie situazione di discriminazione politica dei sardi, impossibilitati, per ottusa e incostituzionale legge italiana (modificabile domani se solo ci fosse la volontà politica dei grandi partiti italiani) ad avere propri rappresentanti nel parlamento europeo? Si chieda Pigliaru se, per fare un esempio, le stesse nostre difficoltà di utilizzare pienamente e con efficacia i fondi europei siano solo problemi organizzativi e di preparazione del personale tecnico, amministrativo e anche politico. Come pur è vero, ma non sono spiegazioni sufficienti a dare conto della situazione. Credo infatti che questo come tanti altri problemi non possano essere disgiunti da uno, più pesante di tutti: l’incapacità della Regione di esercitare un ruolo politico nel quadro europeo, sia nei confronti dell’Italia che s’interpone tra la regione e le istituzioni europee, sia nei confronti dell’istituzioni europee, direttamente, laddove ciò è possibile, anche attualmente, per esempio per incidere, modificandole o integrandole, sulle politiche europee. Ma di tutto quanto detto Pigliaru non si cura, destando il più che legittimo sospetto che per lui bastino l’onestà, la competenza, la tecnica e la razionalità per risolvere i problemi della Sardegna, minimizzando quello che in realtà è soprattutto un problema di Politica. Si dirà che la coalizione del centro sinistra potrà integrare il programma e precisare l’impostazione data dal presidente. Vedremo e vedremmo. Nel mentre parliamo, scriviamo e sottoponiamo i nostri argomenti al presidente, ai politici, ai cittadini sardi…
Per ora chiudo qui, con un’informazione/richiesta. Segnaliamo che dopo il dibattito, attualmente in corso in Consiglio regionale, vi saranno a breve due primi importanti appuntamenti laddove il presidente è chiamato ad esporre le sue idee, possibilmente “aggiornando” il programma: 1) l’inaugurazione della Fiera internazionale della Sardegna, prevista nella tarda mattinata del 25 aprile, dove in un passato non troppo recente il presidente della regione faceva il punto sulla situazione economica della regione e sulle prospettive future; 2) sa die de sa Sardinia, con specifico riferimento alla seduta aperta del Consiglio regionale, prevista la mattina del 28 aprile.
Sulle dichiarazioni programmatiche di Francesco Pigliaru. Le parole sono importanti, anche quelle che mancano
Le parole sono importanti, anche quelle che mancano. E che aspettiamo.
di Vanni Tola
Non è facile commentare con una sintesi le dichiarazioni programmatiche del Presidente Pigliaru che, naturalmente, analizzano un’articolata serie di problemi. E non lo faremo. Certo le dichiarazioni programmatiche, come le letterine a Gesù Bambino della nostra infanzia, non vanno al di la di una infinita serie di buoni proponimenti, tutti da verificare nella realtà quotidiana. Non è questo il caso. A dire il vero le dichiarazioni del Presidente evidenziano una ricerca concreta di cambiamento della politica regionale, un forte desiderio di semplificare le procedure legislative, di riformare profondamente l’apparato burocratico della regione, una certa determinazione nel voler liberare la nostra regione dalla crisi e dai ritardi nello sviluppo che stanno alla base dei principali problemi della comunità isolana. Ciò detto, si avverte pure una indeterminatezza generale, una non ben definita ipotesi complessiva, l’assenza di una scelta strategica principale per lo sviluppo dell’isola, che appare come elemento di continuità con le precedenti fallimentari Amministrazioni regionali. Si e portati a pensare che la nuova Giunta non finisca poi con l’operare rincorrendo i problemi e le questioni aperte piuttosto che con l’obiettivo di realizzare un progetto organico di trasformazione e sviluppo che ci piace definire “nuovo piano di rinascita”. Alcuni esempi per rendere maggiormente comprensibile il ragionamento. Si parla nelle dichiarazioni del Presidente di crisi delle produzioni industriali e dell’occupazione ma non emerge un’ipotesi ben definita di sviluppo industriale alternativa alle precedenti. La Sardegna crede ancora nell’industria o si considera il comparto industriale tradizionale una sorta di comparto “da liquidare” per concentrare risorse ed energie principalmente su agropastorale e industria turistica? Scommetterà la Regione sulla possibilità di costituire a Porto Torres un grande polo europeo per i prodotti di base della chimica verde e la realizzazione di un apparato industriale indotto, riconvertendo ciò che rimane dell’industria petrolchimica o si ritiene, come molti sardi pensano, che la possibilità di attivare nell’isola una moderna industria chimica e biochimica debba essere considerata definitivamente conclusa? L’idea che la Sardegna possa svilupparsi esclusivamente valorizzando l’agro-industria e l’industria turistica con una forte protezione dell’integrità ambientale e paesaggistica è molto più diffusa di quanto si pensi e non è certamente priva di un qualche fondamento. Resta però aperta la questione se la Sardegna debba o no disporre anche di un apparato industriale e tecnologico innovativo (ricerche su nuovi materiali, nanotecnologie, bioingegneria, genetica, attività aerospaziali) come in tante altre realtà. Un ulteriore aspetto che appare poco evidenziato nelle dichiarazioni programmatiche del Presidente Pigliaru riguarda poi l’insieme di problemi, fra loro strettamente interconnessi, quali salute, inquinamento ambientale, aree di grave emergenza sanitaria, bonifiche di suoli, acque e aria. Porto Torres è uno dei siti ambientali d’interesse nazionale per un elevatissimo livello d’inquinamento che ha fatto rilevare dati molto preoccupanti (qualcuno dice perfino superiori a quelli di Taranto), un incremento di patologie tumorali e respiratorie da vera emergenza sanitaria. A Ottana un esponente di un Comitato di cittadini ha denunciato l’avvenuto decesso per tumore di oltre quaranta operai che hanno lavorato nel medesimo impianto industriale. Per non parlare poi delle aree con servitù militari e di tutte le altre realtà interessate da situazioni di gravissima emergenza sanitaria e ambientale. Ci saremmo aspettati dal Presidente l’annuncio un piano straordinario, prioritario e urgente, insomma, qualcosa di più di generici riferimenti alla difesa del diritto alla salute e all’integrità ambientale. E infine, per quanto riguarda i piani di settore dei principali comparti produttivi isolani, Pigliaru si limita a rimandare al programma generale della coalizione per esaminare nel merito i proponimenti della Giunta. Certamente lo faremo con attenzione e interesse ma resta forte la sensazione, lo ribadiamo ancora una volta in chiusura, che non si abbia la capacità, la volontà, la lungimiranza di lavorare intorno ad un’unica e ben definita ipotesi strategica di sviluppo alla quale rapportare e finalizzare le diverse azioni e gli interventi della nuova Giunta.
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Daniele da Volterra, detto il braghettone, Arameo.
[NdD] Il dipinto di Volterra non c’entra… o forse sì
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Le parole sono importanti. Anche quelle che mancano. E che aspettiamo.
I due deficit politici del presidente
di Franco Meloni
Per Francesco Pigliaru le parole sono importanti. Ricordo una mattina di alcuni anni fa quando chiuse rapidamente una riunione all’Università (di cui era pro rettore alla Ricerca scientifica) perchè, ci disse, doveva terminare di scrivere, immagino rivedere attentamente, un articolo per La Nuova Sardegna del giorno dopo. Dunque occorreva essere precisi e dedicarvi tutto il tempo necessario. E’ sicuramente con lo stesso scrupolo che ha redatto il documento delle sue dichiarazioni programmatiche da presidente della regione, sicuramente soppesando ogni singola parola scritta. Pertanto prendiamo sul serio ogni parola e analizzeremo con attenzione e commenteremo il contenuto del documento, come già abbiamo cominciato a fare con l’editoriale di Vanni. Il documento, anche tenendo conto dell’analisi di Vanni, è totalmente condivisibile e anch’io lo sottoscrivo: per quanto dice, ma ci riserviamo di esprimere valutazioni e giudizi successi per quanto è allo stato troppo generico e indeterminato e di capire e dare le nostre valutazioni e giudizi su quanto ancora non detto e che è necessario dire quanto prima. Anche su questo versante Vanni è stato precisamente esigente! Voglio ora esprimere un mio parere di carattere generale: le dichiarazioni programmatiche del presidente Pigliaru hanno due “deficit politici”, di fondamentale importanza, che attengono uno alla sardità e l’altro all’europeismo. Tratto queste due questioni in maniera intrecciata, come è giusto che sia. Non è pensabile che il programma del presidente (e della sua coalizione), così come è attualmente formulato, prescinda da una esplicita visione del posizionamento istituzionale della Sardegna, oggi e in prospettiva, in Italia e in Europa. Al riguardo è vero che Pigliaru non poteva sollevare la bandiera dell’indipendentismo o del sovranismo che lo vuole praticare anticipatamente (gli indipendentisti e i sovranisti sono pur sempre una minoranza, seppure importante, della coalizione di centro sinistra), ma la visione che sottende il documento appare francamente riduttiva, niente altro di diverso da un “autonomismo sbiadito”, che non ci porta molto lontano. Pigliaru si guarda bene dal pronunciare parolacce quali indipendentismo e sovranismo e neppure federalismo, utilizza in un passaggio il termine “sovranità” nell’accezione di auto-responsabilità (cito testualmente: “…il principale esercizio di sovranità cui vogliamo dedicare tutta le nostre capacità ed energie, è un’essenziale assunzione di responsabilità verso cui orientiamo la nostra azione di governo”). Non basta certo! Specie nell’attuale momento storico, che ha necessità di una Sardegna rinnovata, anche nelle sue istituzioni, consapevole delle proprie risorse e potenzialità, capace quindi di un suo protagonismo, indispensabile per sopravvivere nel quadro degli attuali rapporti di forza tra entità territoriali (nel confine statuale e in quello europeo). E’ solo in questo quadro, che, come detto, richiede anche una nuova struttura istituzionale della regione, che credo possa iscriversi, citando Vanni: un auspicabile progetto organico di trasformazione e sviluppo che ci piace definire “nuovo piano di rinascita”. Per fare tutto questo non si può prescindere da una politica sulla lingua sarda, sull’identità sarda, sull’università della Sardegna… in definitiva su chi siamo noi sardi e chi vogliamo o vorremo/vorremmo essere. E, allora: è possibile che Pigliaru non parli della nuova costituente statutaria, a cui siamo tenuti anche in virtù degli esiti referendari sardi? E’ possibile che parli dell’Europa sostanzialmente come vincolo per la nostra economia, come purtroppo è, ma che non necessariamente deve continuare ad essere, o, ancora, come bancomat per prelevare tutte le risorse finanziarie possibili? Importante ma terribilmente riduttivo. E’ possibile che parli d’Europa senza fare cenno all’incredibiie situazione di discriminazione politica dei sardi, impossibilitati, per ottusa e incostituzionale legge italiana (modificabile domani se solo ci fosse la volontà politica dei grandi partiti italiani) ad avere propri rappresentanti nel parlamento europeo? Si chieda Pigliaru se, per fare un esempio, le stesse nostre difficoltà di utilizzare pienamente e con efficacia i fondi europei siano solo problemi organizzativi e di preparazione del personale tecnico, amministrativo e anche politico. Come pur è vero, ma non sono spiegazioni sufficienti a dare conto della situazione. Credo infatti che questo come tanti altri problemi non possano essere disgiunti da uno, più pesante di tutti: l’incapacità della Regione di esercitare un ruolo politico nel quadro europeo, sia nei confronti dell’Italia che s’interpone tra la regione e le istituzioni europee, sia nei confronti dell’istituzioni europee, direttamente, laddove ciò è possibile, anche attualmente, per esempio per incidere, modificandole o integrandole, sulle politiche europee. Ma di tutto quanto detto Pigliaru non si cura, destando il più che legittimo sospetto che per lui bastino l’onesta, la competenza, la tecnica e la razionalità per risolvere i problemi della Sardegna, minimizzando quello che in realtà è soprattutto un problema di Politica. Si dirà che la coalizione del centro sinistra potrà integrare il programma e precisare l’impostazione data dal presidente. Vedremo e vedremmo. Nel mentre parliamo, scriviamo e sottoponiamo i nostri argomenti al presidente, ai politici, ai cittadini sardi…
Per ora chiudo qui, con un’informazione/richiesta. Segnaliamo che dopo il dibattito, attualmente in corso in Consiglio regionale, vi saranno a breve due primi importanti appuntamenti laddove il presidente è chiamato ad esporre le sue idee, possibilmente “aggiornando” il programma: 1) l’inaugurazione della Fiera internazionale della Sardegna, prevista nella tarda mattinata del 25 aprile, dove in un passato non troppo recente il presidente della regione faceva il punto sulla situazione economica della regione e sulle prospettive future; 2) sa die de sa Sardinia, con specifico riferimento alla seduta aperta del Consiglio regionale, prevista la mattina del 28 aprile.
Nell’agenda del Presidente…
Nuovi orizzonti per le istituzioni della Sardegna
di Salvatore Cubeddu
Mentre il nuovo governo sardo festeggiava con il Consiglio regionale l’entrata nei ruoli che cambierà in tanti sensi la vita dei loro componenti, le istituzioni italiane si sono fatte vive negando ancora una volta ai Sardi la presenza in Europa (i siciliani continueranno a gestirsi i nostri voti) e rifiutando una qualche convenienza alla presenza della Saras a Sarroch (le accise). Su entrambi i punti Pigliaru tace, mentre Paci concorda con Roma. Tra qualche giorno la relazione programmatica del Presidente comunicherà al Consiglio le proprie intenzioni per i prossimi cinque anni e, forse, ne sapremo di più.
Altre notizie da Terramanna (il Continente): al referendum per l’indipendenza del Veneto hanno votato più di un milione di elettori – evidentemente concordandovi – mentre Matteo Renzi annuncia per questo venerdì l’inizio del dibattito sulla trasformazione del senato della repubblica. Se tutto andasse bene, nelle sue intenzioni, tra due/tre mesi le riforme istituzionali sarebbero cosa (quasi) fatta. Va da sé che anche i Lumbard partiranno con il loro referendum, probabilmente seguiti da ulteriori imitatori.
Ovviamente… dai nostri . Il PSd’Az promuove anche per i Sardi il referendum per la loro indipendenza, proprio in contemporanea con un convegno del PD, a Cagliari, che spiega le riforme istituzionali… italiane.
Che ne sarà di tutte le proposte venute in campo a partire dall’inizio (1978) della lunga crisi delle istituzioni della prima autonomia?
Le risposte risultano evidentemente urgenti e toccherà a Pigliaru dirci se a questi tema intenda offrire un indirizzo di governo o, invece, voglia lasciare l’argomento del tutto in mano al Consiglio. La Sardegna riparte da zero, i problemi si accumulano. Cito Vito Biolchini, che esprimeva qualche giorno fa i seguenti interrogativi: “il Pps di Cappellacci verrà ritenuto nullo? E il piano per l’energia? Il progetto della chimica verde avrà il via libera? Quando verrà convocata l’assemblea costituente (a riguardo i sardi si sono espressi con un referendum)? Che rapporto avrà la Regione con il Qatar e il suo progetto? E le servitù militari? E il bilinguismo? E la difesa della specialità dall’attacco del governo Renzi?”.
Appunto: la risposta all’autonomia speciale della Sardegna si aggiunge, per Renzi, ad altrettante urgenze portate, con ben altra forza e decisione, in altre parti d’Italia.
Negli anni ’80, trent’anni fa, erano i sardisti ed i leghisti a porre quegli interrogativi cui la sinistra rispose rinnovando il titolo V della Costituzione, quello che l’accordo Renzi/Berlusconi vorrebbe mutare (presumibilmente) in chiave centralista. Al contrario, il senato delle regioni, a composizione paritetica come negli USA, veniva individuata allora come l’istituzione in grado di offrire un nuovo senso ad uno stato italiano coerentemente federale. Riuscirà, la fretta di Renzi, a bruciare questo possibile sbocco al ritorno delle ‘indipendenze regionali italiane’?
In Sardegna la situazione dovrebbe essere diversa, altrimenti motivata, più matura. Anche se l’esperienza e le prime timidezze starebbero lì a dirci che al governo della Regione è andata la classe dirigente più tiepida rispetto a questi temi e più disponibile a farsi carico delle compatibilità centralistiche romane. Pigliaru ha indicato in una nuova e immediata vertenza/entrate il terreno di confronto con il governo ‘amico’. Non gli sarà facile ottenere risultati. Ma, congiuntamente alla messa in discussione del patto di stabilità, tutti dobbiamo considerare nostra questa battaglia di cui il Presidente è il legittimo capo e stratega.
Il Consiglio regionale deve mettersi a lavorare con lena sul tema delle nuove istituzioni della Sardegna. Attraverso i propri organismi, coinvolgendo il Consiglio delle autonomie, investendo direttamente il Popolo sardo. Non c’è più tempo da perdere, occorre muoversi nella direzione del referendum per l’indipendenza della Sardegna e per l’elezione dell’Assemblea costituente del Popolo sardo.
Sa die de sa Sardigna del 2014 deve rappresentare l’occasione di riconoscimento e di mobilitazione del nostro Popolo.
Cagliari, 23 marzo 2014
Salvatore Cubeddu
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* L’articolo di Salvatore Cubeddu viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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Buon lavoro Presidente
di Vanni Tola
Il presidente Pigliaru prepara le dichiarazioni programmatiche della nuova Giunta. Grande attesa e curiosità perché le linee programmatiche certamente sveleranno gli orientamenti e gli indirizzi operativi della compagine di governo finora racchiusi nella sintesi dei programmi elettorali. Naturalmente la tentazione di domandare, proporre o suggerire questa o quella priorità al Presidente è molto forte, la eviteremo. Preferiamo attendere programmi e dichiarazioni prima di esprimere giudizi. Ci limitiamo soltanto a indicare una diffusa attesa di chiarezza riguardante un tema particolarmente importante, richiamato recentemente all’attenzione dell’opinione pubblica anche da un articolo del direttore del quotidiano l’Unione Sarda. La chimica verde. In estrema sintesi la questione si pone in questi termini. Una parte consistente del mondo politico regionale e i maggiori sindacati sostengono la necessità, l’opportunità e l’urgenza di avviare, realizzare o completare il progetto Matrìca per la realizzazione a Portotorres del più grande impianto europeo per la produzione della materia prima necessaria per avviare una diversificata serie di produzioni di materiali plastici e prodotti chimici ricavati da sostanze biologiche anziché da fossile (leggi petrolio e derivati). Naturalmente insieme al risanamento e alla bonifica delle aree industriali inquinate e prefigurando considerevoli ricadute occupazionali e lo sviluppo di un modo nuovo e moderno di “fare chimica”. Di tutt’altra opinione i numerosi Comitati di base che, insieme con un nutrito gruppo di intellettuali, di opinionisti e di esperti con rilevanti competenze tecnico-scientifiche si oppongono al progetto Matrìca per una infinita serie di motivi. La principale considerazione contraria può essere riassunta con l’inopportunità di realizzare una centrale a biomassa in un’area già fortemente e drammaticamente inquinata dall’attività dell’industria petrolchimica e in considerazione del fatto che non vi è alcuna certezza che le produzioni “ verdi” siano necessariamente anche pulite, cioè accettabilmente compatibili con una corretta gestione dell’ambiente e la tutela della salute delle popolazioni. Sembrerebbe il contrario. Esistono, infatti, una infinita serie di studi e ricerche che dimostrerebbero perfino una maggiore pericolosità per la salute e l’ambiente delle centrali a biomasse che produrrebbero una serie di sostanze particolarmente nocive per gli individui e l’ambiente e difficilmente controllabili da sistemi di filtraggio, in grado di superare le barriere naturali dell’individuo e di produrre gravissime patologie. Per necessità di sintesi non entreremo nel merito degli aspetti particolari della vicenda, ci riserviamo di farlo interpellando i protagonisti e gli esperti. Ci limitiamo a esprimere una considerazione conclusiva. E’ necessario comprendere prioritariamente e urgentemente se il progetto chimica verde di Matrìca – lungi dal rappresentare un ulteriore grave minaccia per la salute della popolazione e per l’ambiente – può e deve essere completato per avviare un capitolo nuovo della politica industriale dell’isola o se, come molti affermano, la nuova attività industriale in avanzata fase di realizzazione nell’area petrolchimica di Portotorres, non rappresenti una sorta di nuova “bomba” ecologica, per un’area territoriale con tassi di inquinamento ambientali elevatissimi. Siamo certi che il Presidente, con le dichiarazioni programmatiche, saprà fornire ai sardi ulteriori elementi di conoscenza e valutazione nel merito.
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Chimica verde su Aladinews
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Quale domani è già cominciato con la “chimica verde”?
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Buon lavoro Presidente
di Vanni Tola
Il presidente Pigliaru prepara le dichiarazioni programmatiche della nuova Giunta. Grande attesa e curiosità perché le linee programmatiche certamente sveleranno gli orientamenti e gli indirizzi operativi della compagine di governo finora racchiusi nella sintesi dei programmi elettorali. Naturalmente la tentazione di domandare, proporre o suggerire questa o quella priorità al Presidente è molto forte, la eviteremo. Preferiamo attendere programmi e dichiarazioni prima di esprimere giudizi. Ci limitiamo soltanto a indicare una diffusa attesa di chiarezza riguardante un tema particolarmente importante, richiamato recentemente all’attenzione dell’opinione pubblica anche da un articolo del direttore del quotidiano l’Unione Sarda. La chimica verde. In estrema sintesi la questione si pone in questi termini. Una parte consistente del mondo politico regionale e i maggiori sindacati sostengono la necessità, l’opportunità e l’urgenza di avviare, realizzare o completare il progetto Matrìca per la realizzazione a Portotorres del più grande impianto europeo per la produzione della materia prima necessaria per avviare una diversificata serie di produzioni di materiali plastici e prodotti chimici ricavati da sostanze biologiche anziché da fossile (leggi petrolio e derivati). Naturalmente insieme al risanamento e alla bonifica delle aree industriali inquinate e prefigurando considerevoli ricadute occupazionali e lo sviluppo di un modo nuovo e moderno di “fare chimica”. Di tutt’altra opinione i numerosi Comitati di base che, insieme con un nutrito gruppo di intellettuali, di opinionisti e di esperti con rilevanti competenze tecnico-scientifiche si oppongono al progetto Matrìca per una infinita serie di motivi. La principale considerazione contraria può essere riassunta con l’inopportunità di realizzare una centrale a biomassa in un’area già fortemente e drammaticamente inquinata dall’attività dell’industria petrolchimica e in considerazione del fatto che non vi è alcuna certezza che le produzioni “ verdi” siano necessariamente anche pulite, cioè accettabilmente compatibili con una corretta gestione dell’ambiente e la tutela della salute delle popolazioni. Sembrerebbe il contrario. Esistono, infatti, una infinita serie di studi e ricerche che dimostrerebbero perfino una maggiore pericolosità per la salute e l’ambiente delle centrali a biomasse che produrrebbero una serie di sostanze particolarmente nocive per gli individui e l’ambiente e difficilmente controllabili da sistemi di filtraggio, in grado di superare le barriere naturali dell’individuo e di produrre gravissime patologie. Per necessità di sintesi non entreremo nel merito degli aspetti particolari della vicenda, ci riserviamo di farlo interpellando i protagonisti e gli esperti. Ci limitiamo a esprimere una considerazione conclusiva. E’ necessario comprendere prioritariamente e urgentemente se il progetto chimica verde di Matrìca – lungi dal rappresentare un ulteriore grave minaccia per la salute della popolazione e per l’ambiente – può e deve essere completato per avviare un capitolo nuovo della politica industriale dell’isola o se, come molti affermano, la nuova attività industriale in avanzata fase di realizzazione nell’area petrolchimica di Portotorres, non rappresenti una sorta di nuova “bomba” ecologica, per un’area territoriale con tassi di inquinamento ambientali elevatissimi. Siamo certi che il Presidente, con le dichiarazioni programmatiche, saprà fornire ai sardi ulteriori elementi di conoscenza e valutazione nel merito.
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Chimica verde su Aladinews
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Sardegna: che fare?
di Vanni Tola
Una campagna elettorale molto breve e fortemente segnata dalle polemiche interne ai partiti, dalla frammentazione delle forze politiche e dall’affannosa individuazione dei candidati alla Presidenza, penalizzerà certamente il confronto preelettorale sui programmi e sulle idee, limitandolo fortemente. Ciò nonostante alcuni temi centrali del confronto politico finiranno con l’occupare comunque la scena e avranno un ruolo fondamentale nelle scelte degli elettori. I principali problemi dalla Sardegna sono sostanzialmente noti. Una gravissima crisi dell’apparato produttivo industriale con conseguenze drammatiche sull’occupazionale. La necessità di ripensare un nuovo modello di sviluppo industriale che permetta alla nostra isola di avere uno spazio e un ruolo nella nuova riorganizzazione internazionale del lavoro e della produzione che i processi di globalizzazione stanno mettendo in evidenza. Un problema che impone un confronto sul nuovo modo di produrre prodotti chimici (es. chimica verde, biochimica) e, più in generale, sulle prospettive offerte dalla green economy che è strettamente connesso con la questione dell’approvvigionamento energetico e delle energie alternative e con i problemi di tutela della salute e dell’integrità dell’ambiente. Occorre poi confrontarsi nel merito delle problematiche riguardanti lo sviluppo e la valorizzazione delle più importanti risorse locali dell’isola, agricoltura e turismo in primo luogo, ma anche la pesca, la risorsa ambiente, i trasporti interni ed esterni, le comunicazioni.
-segue-
Voliamo alto
Aladinpensiero e le campagne elettorali
di Franco Meloni, direttore
Qual’è la posizione di Aladinpensiero nella campagna elettorale? Credo emerga da quanto scriviamo e diffondiamo in questi giorni e da quando siamo in rete: nel nostro piccolo ci sentiamo al servizio dei sardi e della Sardegna e di quanti, persone e organizzazioni, riteniamo seriamente impegnati in questa stessa direzione. Lo saremo quindi anche in questa campagna elettorale e così faremo nella prossima campagna per il rinnovo del parlamento europeo (di cui siamo tra i pochi a parlare). In questo ambito politico daremo spazio alle formazioni del vasto campo a cui apparteniamo, quello progressista e di sinistra, che comprende anche l’area indipendentista/sovranista; pertanto alle formazioni del centro sinistra e dei suoi alleati – tradizionali e del mondo indipendentista e sovranista – (che sostengono Francesco Pigliaru candidato presidente), nonchè delle liste di Sardegna Possibile (che sostengono Michela Murgia candidato presidente). Daremo anche spazio alle altre liste delle formazioni del resto dell’arcipelago indipendentista, per le quali abbiamo espresso un giudizio negativo rispetto alla loro frammentazione e insistenza su posizioni isolazioniste. Non crediamo siano tempi di sola testimonianza o, almeno, non ci si presenta alle elezioni solo per testimoniare le proprie posizioni di “duri e puri”. Si va incontro ai soliti insuccessi, rendendo più complicato il perseguimento degli obbiettivi della propria linea politica di indipendentisti e sovranisti. Ma non stiamo a giudicare ulteriormente: ognuno faccia ciò che più ritiene giusto.
E’ evidente che il nostro impegno di informazione e comunicazione sarà centrato sulla parte programmatica e sul dare conto della capacità (o incapacità) dei candidati e delle organizzazioni politiche di sostenere con coerenza le posizioni/linee politiche che professano a parole.
Qualcuno ci ha detto che la nostra è una impostazione ecumenica. Non riteniamo tale giudizio né un’offesa né un rimprovero. Adattando il termine ecumenismo (l’enciclopedia ci dice che la parola deriva dal termine greco oikouméne, che indica in origine la parte abitata della Terra) alle vicende terrene della politica rispetto a quelle della Chiesa universale, possiamo sostenere che la la scelta indica una sorta di indirizzo nella ricerca di una sempre più stretta collaborazione e comunione tra le varie chiese terrene che abitano il mondo della politica, per il perseguimento di obbiettivi virtuosi – di sinistra, diciamo noi -: la pace, il lavoro, l’istruzione, la solidarietà… Nella contingenza si tratta di partecipare a una vera guerra di liberazione della Sardegna dal centro destra che l’ha sgovernata in questi ultimi cinque anni, ma anche di partecipare alla guerra di liberazione da quanti in tutti i settori istituzionali e no opprimono la Sardegna, per consegnarla a onesti e competenti, dando spazio e potere agli attuali esclusi, specie appartenenti alle giovani generazioni.
Voliamo alto? Voliamo alto. E dunque camminiamo su questa strada già tracciata dai molti grandi che ci hanno preceduto e dai molti o pochi che ancora ci accompagnano, facendo quanto possiamo con i mezzi a nostra disposizione.
Ci preme infine dichiarare il diritto di ciascun redattore e collaboratore di Aladin di fare al riguardo proprie scelte personali, che possono prevedere anche l’astensione dal voto. Di tali scelte non chiediamo alcuna pubblicità, salvo per quanto ciascuno voglia rivelare o anche propagandare. Il voto di ciascuno di noi conta uno. Molto più importante svolgere un servizio di chiarificazione delle linee politiche su cui si eserciterà la scelta dei cittadini sardi.
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Sardegna: che fare?
di Vanni Tola
Una campagna elettorale molto breve e fortemente segnata dalle polemiche interne ai partiti, dalla frammentazione delle forze politiche e dall’affannosa individuazione dei candidati alla Presidenza, penalizzerà certamente il confronto preelettorale sui programmi e sulle idee, limitandolo fortemente. Ciò nonostante alcuni temi centrali del confronto politico finiranno con l’occupare comunque la scena e avranno un ruolo fondamentale nelle scelte degli elettori. I principali problemi dalla Sardegna sono sostanzialmente noti. Una gravissima crisi dell’apparato produttivo industriale con conseguenze drammatiche sull’occupazionale. La necessità di ripensare un nuovo modello di sviluppo industriale che permetta alla nostra isola di avere uno spazio e un ruolo nella nuova riorganizzazione internazionale del lavoro e della produzione che i processi di globalizzazione stanno mettendo in evidenza. Un problema che impone un confronto sul nuovo modo di produrre prodotti chimici (es. chimica verde, biochimica) e, più in generale, sulle prospettive offerte dalla green economy che è strettamente connesso con la questione dell’approvvigionamento energetico e delle energie alternative e con i problemi di tutela della salute e dell’integrità dell’ambiente. Occorre poi confrontarsi nel merito delle problematiche riguardanti lo sviluppo e la valorizzazione delle più importanti risorse locali dell’isola, agricoltura e turismo in primo luogo, ma anche la pesca, la risorsa ambiente, i trasporti interni ed esterni, le comunicazioni. Temi che non possono e non devono essere estranei o marginali, nel confronto elettorale. Problematiche che riassumono ed evidenziano il sostanziale fallimento dei diversi Piani di Rinascita e dei differenti interventi di riforma dei comparti produttivi, che tanta parte hanno avuto nel dibattito politico degli ultimi decenni e che tante risorse finanziarie e umane hanno assorbito. La Rinascita sarda, più volte evocata, è sostanzialmente mancata. Il modello di sviluppo praticato si è rivelato fallimentare ed ha penalizzato, nel tempo, quelle che potevano essere le vere risorse locali, sacrificandole alla chimera dell’industria petrolchimica di base. La discussione intorno ad un nuovo Piano di Rinascita – da definire riflettendo sugli errori del passato e tenendo conto delle rivoluzioni economiche e sociali in atto – è quanto mai attuale. Qualunque altra proposta di modifiche o riforme di questo o quel comparto produttivo del sistema Sardegna sarebbe velleitaria e destinata a sicuro fallimento se non inserita in una visione d’insieme del sistema regionale con una prospettiva di sviluppo e programmazione proiettata nel lungo periodo. E’ questo il compito che attende le forze politiche che si candidano al governo della Regione e a rappresentarla in ambito Comunitario. Un’ultima questione non meno importante delle altre. Recenti ricerche sull’andamento demografico della regione indicano, per i prossimi decenni, una consistente diminuzione della popolazione. Centinaia di paesi di modeste dimensioni tendono a scomparire per mancanza di abitanti nell’arco di qualche decennio. L’agricoltura e la pastorizia, pur con qualche segnale che sembra andare in controtendenza, sono ora praticate da operatori anziani che alla fine usciranno dal mercato del lavoro compromettendo irrimediabilmente il già precario equilibrio del comparto. Un preoccupante decremento della popolazione che modificherà, nei prossimi decenni, le caratteristiche stesse del sistema Sardegna. E’ evidente che qualunque ipotesi di sviluppo, di valorizzazione delle risorse, e perfino di mantenimento di attività quali l’agricoltura e la pastorizia, non potrà prescindere da precise scelte che vadano nella direzione dell’incremento demografico della popolazione. Non sappiamo quanto e in quale misura i temi richiamati entreranno a far parte del dibattito preelettorale e dei programmi dei partiti, noi ci auguriamo che ciò accada con l’attenzione che tali questioni meritano. Anche perché gli elettori attendono risposte, prospettive, indicazioni credibili e non pochi manifestano sfiducia e impazienza che potrebbero tradursi in un ulteriore incremento dell’astensionismo elettorale e del sempre più diffuso disinteresse per la politica.
Per una Sardegna nuova. Cando si tenet su bentu est prezisu bentulare
di Salvatore Cubeddu, Fondazione Sardinia
La situazione drammatica dell’economia, della condizione sociale e della fragilità culturale invoca, oggi in Sardegna, politiche nuove, esige intelligenza progettuale e capacità creativa.
E’ il momento storico a dirci che non c’è posto per una politica di sopravvivenza, per l’ordinaria amministrazione e neppure per un progressismo moderato. Si tocca con mano lo stato di depressione e ancora peggio la chiusura di ogni orizzonte, che ci fa dire: “non ce la facciamo, non ne usciamo, non c’è nulla da fare”. Troppe cose in Sardegna sono accadute senza ideazione e senza progetto, così si è offuscata persino la speranza di progettare, è stata cancellata la prospettiva del futuro, è stato tolto il diritto di sognare. Nell’idea di Sardegna manca l’amore della speranza perché non c’è tensione desiderante, capace di creatività.
Eppure proprio la situazione di stallo può diventare un fattore propulsivo e rivoluzionario, stimolo per un nuovo modo di dire e di fare e per un nuovo modo di rappresentare la Sardegna a noi stessi e agli altri. Paradossalmente la situazione drammatica attuale diventa il dispositivo per il rilancio di una nuova costruzione. Per noi la Sardegna non è oggetto della mancanza e del fallimento se davanti a noi poniamo l’impresa, il progetto e il programma. Ciò che è crisi diventa dispositivo d’opera e d’invenzione. Siamo convinti che dinanzi a noi c’è l’avvenire che non viene da sé e che si compie nel fare. A patto che la politica diventi invenzione, come l’economia, come la cultura. Niente scene del negativo, abbiamo cose da raccontare e da produrre: tutto da vivere, tutto da fare. L’identità sarda si costruisce nell’itinerario della produzione materiale e della produzione di senso.
Da queste riflessioni è sorta nella Fondazione Sardinia una serie di incontri e di dibattiti che sono provvisoriamente confluiti in questa proposta di Sardegna nuova.
Si tratta, nell’aspetto economico, di un programma di concrete opere pubbliche, non di un vero e proprio nuovo modello di sviluppo. Le linee di questo restano, piuttosto, sullo sfondo, sottintese e richieste. Ma l’innovazione riguarda tutti gli aspetti della realtà sarda.
Al di là di ogni schieramento e di ogni appartenenza politica, vogliamo fare partecipi di questa nostra riflessione quanti, tra i Sardi ed i loro estimatori, intendono impegnarsi per un contributo di arricchimento e di elaborazione, nella prospettiva di una diffusione più ampia e con il proposito di farne partecipi il popolo sardo.
“Quando tira vento, c’è
chi alza muri per difendersi
e chi costruisce mulini a vento”
(M. de Cervantes).
SARDIGNA NO(V)A
Un NEW DEAL per la SARDEGNA del terzo millennio: appunti per un nuovo inizio.
SOMMARIO: 1. le nuove drammaticità sarde. 2. Le urgenze dell’ora. 3. Un progetto inevitabile. 3.1. il risanamento dei territori; 3.2. Le pianure irrigate per la sovranità alimentare; 3.3. l’energia, della Sardegna, per i Sardi, dei Sardi. 3.4. L’emergenza linguistica. 4. Investimenti per il lavoro e per costruire una Sardegna nuova. 5. La riforma delle istituzioni: la nuova Olbia, Sassari- Cagliari- Nuoro- Oristano con vecchie e nuove funzioni, Città di Sardegna, una burocrazia redistribuita e rinnovata, un altro destino per i paesi. 6. Provvisorie osservazioni conclusive.
1. Le nuove drammaticità sarde. Per due settimane nelle case e nelle campagne dei 60 comuni si è lavorato ad uscire dal fango. Il lavoro sarà lungo.
Il diluvio scende dalle alture alle coste e travolge gli arenili scarsi dell’immensa ciambella in costruzione. Siamo all’ultimo aggiornamento, ma il fenomeno si ripete ad intervalli sempre più brevi. La natura segue il suo corso, indipendentemente dall’insipienza dei nostri ostacoli.
Tra sette – otto mesi, nel nostro interno in abbandono potrebbe riproporsi il pericolo di sempre, il fuoco distruttore. Nel centro Sardegna, sempre più abbandonato, l’inselvaticamento della natura finirà per annientare gli antidoti di un’agricoltura millenaria ormai in estinzione.
Intanto è costante l’aria inquinata portata dai venti: da Sarrock e P. Torres verso Cagliari e Sassari, da P. Vesme nella direzione di S. Antioco, Carbonia ed Iglesias, da Macomer e Ottana nei quattro quadranti della Sardegna centrale. Laddove i fumaioli si sono spenti, il loro fumo ha lasciato sul suolo tracce forse imperiture.
Siamo alla fine del nostro mondo, gli uomini hanno avviato l’apocalisse. Possiamo cercare un’altra ‘rivelazione’? Siamo disponibili a pensare alla risoluzione dei problemi facendo fronte con finanziamenti, con progetti, con l’organizzazione e i tempi necessari? La responsabilità è nelle nostre mani. Per quello che è stato (se non altro per non averlo impedito) e per quello che sarà. Quello che è non può essere più accettato.
Dobbiamo cambiare, noi innanzitutto. I sardi sono la vera risorsa per se stessi. Se essi rinunciano, nessuno può portare loro la salvezza. Neanche se continuasse – e non può a lungo proseguire (né sarebbe corretto pretenderla!) – la straordinaria solidarietà che ci arriva dal Continente, dagli Italiani per una volta finalmente solidali con i Sardi. Anche al nostro interno, la solidarietà di queste settimane segnerà a lungo positivamente i giorni che ci aspettano. Perciò osiamo sognare. Per offrire un seguito a ciò che vediamo, per promuovere a progetto ciò che è positiva reazione all’emergenza, per darci la realizzabile immagine di una Sardegna nuova.
E la natura domanda la fine di certi comportamenti e la promozione di nuovi. Le istituzioni cercano da decenni un’ altra legittimazione. La società vede giovani ed operai in giro per le strade ad elemosinare il tozzo di pane dell’assistenza in attesa che qualcuno costruisca il lavoro. Ma, quale lavoro si creerebbe se pure ci fossero i finanziamenti? Come spenderemmo i miliardi se, per una qualche benefica resipiscenza dello Stato italiano, ci venisse restituito il mal tolto degli ultimi decenni? Come spenderemmo i soldi pubblici nel creare lavoro: per fare che cosa? Chi agirebbe? Secondo quale nuova idea di Sardegna?
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2. Le urgenze dell’ora. Otto province da abolire e nuove aggregazioni dei comuni da organizzare in vista dell’inevitabile necessità dell’ente intermedio: davvero, da Cagliari, è possibile guidare il territorio della Sardegna senza aspettarsi una ribellione a un centralismo già oggi denunciato come invadente? Cagliari, da sola, versus 376 comuni: esperimento già fallito con il feudalesimo. Non per i feudatari, ma sì per i Sardi. E’ invece indispensabile restituire un forte senso ai capoluoghi delle province storiche: Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano.
Città e paesi da ricostruire, ad iniziare da Olbia, secondo comune per numero di abitanti e primo in quanto capoluogo del turismo. E’possibile profittare del presente disastro per rimodellare l’urbanistica della città correggendone storture e valorizzandone le risorse? Olbia da rimodellare quale città del futuro. Lanciare una nuova idea di città gallurese – una città di mare in simbiosi con i bellissimi monti del Limbara, non in contrasto – fruendo delle presenze, delle amicizie, degli interessi internazionali, intelligentemente e accortamente orientati da una società locale che ora va facendo un’esperienza così amara degli errori commessi?
Trecento piccoli comuni sono in decadenza per il crollo demografico e per la fuga degli abitanti (sempre nella direzione di Cagliari ed Olbia): anche a loro bisogna restituire un senso. Un hinterland cagliaritano da bloccare nell’insana crescita demografica ristabilendo la funzione della città, il suo significato ed i limiti nei confronti dell’insieme del territorio isolano.
Cagliari come città dell’economia moderna, delle telecomunicazioni e della ricerca, del commercio e degli scambi, Cagliari città vedetta della Sardegna nei confronti delle numerose ‘capitali’ del Mediterraneo? Cagliari ha le potenzialità di diventare per la Sardegna quella che Milano è per l’Italia, New York per gli USA (pur essendo Washington la capitale), Rio de Janeiro per il Brasile (con Brasilia costruita ex novo). Non più rinserrata in un castello dove racchiudersi e difendersi, ma città guida nella prosperità, nella cultura e nell’arte.
Una cultura da riorganizzare, nei suoi aspetti istituzionali/scolastici e nella sua dimensione politica/identitaria. Cresce la pressione dei ministeri romani per l’unificazione delle due università di Cagliari e di Sassari, proprio mentre Nuoro ed Oristano insistono per mantenere i loro recenti insediamenti. Il processo, non facile né breve, domanderà un vero campus per un’Università della Sardegna. Dove, come, chi si assumerà la responsabilità di accelerare intelligentemente il processo?
Un progetto di opere pubbliche che alleggerisca la fame di lavoro domanda finanziamenti destinati a rispondere a questo non semplice carico di problemi che si impongono alla comunità sarda.
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3. Un progetto inevitabile. Si sente e si legge dappertutto: la prima cosa che manca in Sardegna è il lavoro. Eppure, anche se avessimo i finanziamenti – ad esempio, i soldi che lo Stato dovrebbe darci indietro, perché nostri (quanti? Mettiamo un miliardo di euro?) – non sapremmo quali opere pubbliche sarebbero in grado di occupare, mettiamo, diecimila lavoratori nel breve periodo per un’operazione da new deal.
Eppure la Sardegna è tutta da rifare, non solo avendo davanti la presente catastrofe, ma pure a partire dal risanamento dell’ambiente nelle zone industriali, alla rifondazione di un’agricoltura che si affianchi alla pastorizia, alla decisione sul riequilibrio demografico nel territorio, al ruolo delle due città (Cagliari ed Olbia) che divorano la popolazione dei paesi, al destino delle province, alla qualificazione complessiva dell’istruzione e della cultura.
Osservando con serietà la condizione dei Sardi, dobbiamo recuperare la lungimiranza e il coraggio di assumere decisioni che ci proiettino nell’arco dei prossimi 20/50 anni per la definizione delle decisioni economiche, istituzionali, culturali.
3.1. Le migliaia di lavoratori in cassa integrazione devono essere utilizzati per il risanamento dei territori di Macchiareddu, Porto Torres, Porto Vesme, Ottana, Arbatax. Dato che l’esigenza dell’assistenza è destinata a permanere (ma non altrettanto facile sarà garantire le necessarie risorse sine termine) , essa deve essere finalizzata a chiedere un contraccambio, a tempo totale o parziale (adeguandovi il salario), al personale uscito senza possibilità di rientro dal processo produttivo. Chi non venisse impiegato nel risanamento ambientale dovrebbe venire organizzato per altri lavori socialmente utili.
3.2. Le pianure irrigate dovrebbero venire solamente destinate alle coltivazioni che garantiscano la sovranità alimentare del popolo sardo. In nessun modo debbono essere messe a disposizione di Matrica o di altre società intenzionate a profittare delle presenti difficoltà dell’agricoltura per utilizzare le nostre terre e per produrre materia prima in vista del processo produttivo della cosiddetta chimica verde. Andrebbe anche verificata fino in fondo l’eventuale disponibilità di terreni marginali. Si ha la chiara impressione che in molti stiano barando per farci trovare tutti in condizioni di non ritorno, a livello governativo e locale, nel mondo imprenditoriale, associativo e sindacale. Tarda, purtroppo, a partire un movimento di opinione che chieda conto in anticipo di scelte che ci stanno sovrastando. La situazione appare straordinariamente simile alla segretezza delle decisioni che ci hanno portato fuori dall’obiettivo 1 dell’Unione Europea e, prima ancora, al grande inganno che riversò in Sardegna la grande industria di base petrolchimica e metallurgica.
3.3. La Regione sarda ha riavuto nella sua dotazione e in suo potere l’energia elettrica delle dighe. Si tratta di un dato importante, che però viene tenuto riservato e che non viene fatto rientrare nel presente dibattito sull’energia ‘verde’. Essa, invece, si aggiungerebbe alle energie rinnovabili per rendere l’Isola totalmente autonoma dalle energie fossili inquinanti e dispendiose. La Regione deve riprendere in considerazione l’esperienza della società sarda dell’elettricità (Ersae), per confermarne l’attualità e rimodernarne l’organizzazione.
3.4. L’emergenza linguistica rappresenta la realtà e la metafora della presente condizione del popolo sardo. Esiste un parallelo indiscutibile e impressionante tra la perdita della lingua e la perdita della nostra economia, tra l’espropriazione culturale e l’espropriazione delle nostre risorse, tra il lasser faire nella cura della nostra anima più profonda e la leggerezza con cui lasciamo che invadano di cardi e di eucaliptus le nostre pianure dopo che per cinquant’anni hanno avvelenato con la petrolchimica alcuni dei nostri migliori litorali. Parallelismi della nostra irresponsabilità voluta ed accettata.
4. Investimenti per il lavoro e per costruire una Sardegna nuova. Bisogna avere il coraggio politico e la capacità finanziaria e organizzativa di proporre un grande progetto di opere pubbliche, che abbia quale punto fermo quello di evitare la funzione/ciambella dello sviluppo urbanistico intorno alle coste e di promuovere la continuità della distribuzione della popolazione nei paesi della Sardegna. Inevitabile agire su Olbia e Cagliari, attuali punti di attrazione a motivo dell’espletamento della funzione turistica (Olbia) e della concentrazione burocratica (Cagliari).
Ad Olbia bisogna risanare, riqualificare, cancellare. Alla città bisognerebbe offrire l’opportunità di rinascere come città d’eccellenza. E’ inutile mettere pezze a situazioni irrecuperabili. Bisogna ripensare la città, secondo la legge e la qualità del vivere. Olbia ha molti amici potenti e qualificati, che sarebbero interessati a collaborare ad operazioni ambiziose e di prospettiva.
A Cagliari ancora si va avanti ad occhi chiusi, in assoluto isolamento rispetto agli interessi della Sardegna, ubriachi di un’espansione demografica che ora troverebbe spazio solo nella cinta dei comuni dell’hinterland. Su Stangioni era uno stagno, procedere nel percorso verso la sua urbanizzazione è una follia, ambientale, urbanistica e demografica. Basta, con l’accettare la crescita del polo urbano a svantaggio degli altri comuni della Sardegna. Si pensi: quante famiglie ospiterebbe l’urbanizzazione di una SS 554 trasformata in semplice strada comunale? Resterebbero dei sardi al di fuori del promontorio e della costa intorno al Golfo degli Angeli? A Cagliari e nel suo hinterland bisogna migliorare quello che c’è, non estenderlo.
A Sassari, Oristano e Nuoro, una volta retrocesse dal loro ruolo di ente provinciale, cosa resterebbe per impedire al loro interno una crescita esponenziale di risentimento nei confronti della città ora capitale, già a ragione accusata di centralismo, sempre ma soprattutto nel quinquennio della presente amministrazione regionale di centrodestra?
5. La riforma delle istituzioni resta oggi elemento determinante anche negli aspetti economici, politici e culturali. E’ da considerare troppo tranchant l’abolizione totale delle province. Non regge una Sardegna dove il potere è concentrato tutto su Cagliari, diventando le unioni dei comuni nient’altro che decentramenti funzionali e burocratici, senza vera identità istituzionale (che è fatta di valori storici, economici, etc. ). Per questo è necessario ripensare la redistribuzione dei ruoli istituzionali tra i capoluoghi storici della Sardegna in modo che vi sia funzionalità delle città rispetto ai comuni circostanti, potenziale parità di opportunità tra gli ex capoluoghi di provincia, rispetto delle vocazioni storiche e culturali di tutte le città sarde.
La proposta: a) Sassari e Cagliari restano capoluoghi di provincia, e si dividerebbero il territorio sardo.
b) I presìdi attualmenti aperti dalle due università sarde a Nuoro dovranno progressivamente allargarsi fino a costituire l’Università della Sardegna. Gradualmente si arriverebbe alla loro unificazione e, nel tempo (richiesto dal procedere dei grandi lavori di costruzione del campus, a partire dalla città ed allargandosi nei boschi e nei giardini, nell’Ortobene ed oltre), verrebbero spostate e unificate le facoltà in modo da riqualificare il capoluogo barbaricino nel segno dell’istruzione e della cultura (sarebbe la Cambridge sarda!). Non è difficile immaginare la grande massa di risorse e di occupazione necessarie nel corso delle differenti fasi del processo e nella successiva situazione operativa della grande Università della Sardegna. (L’idea, in fondo, non è originale: la Corsica, appena avute le istituzioni autonomistiche, ha fondato la propria università a Corte, l’antico capoluogo in mezzo alle montagne).
c) Non lontano da Oristano – e fruendo del suo porto, potenziando il suo aeroporto (offrendo, finalmente, a loro un senso), presso le le colline e nei boschi alle pendici del monte Arci (il monte sacro dell’età neolitica!) – dovrebbe costruirsi ex novo un Capitol delle nuove istituzioni della Sardigna No(v)a, esso pure pensato come un campus istituzionale – con le moderne condizioni dell’ospitalità – e non una nuova città della burocrazia. Nella nuova Città di Sardegna risiederebbe la sola dirigenza al servizio delle grandi istituzioni della Sardegna: consiglio, governo, apici degli assessorati; i segni della cultura (il rettorato) e dei valori universali (una chiesa cattedrale? Una sede monumentali a carattere interreligioso?).
Gli impiegati della nuova regione sarda sarebbero gradualmente individuati tra i giovani, e meno giovani, abitanti nei comuni di tutta la Sardegna, collegati tra loro e con i loro dirigenti del ‘Capitol’ tramite il telelavoro. Ovviamente, pensato nella prospettiva dei decenni, il processo di progressiva redistribuzione nel territorio del personale, attualmente concentrato in poche città, andrebbe curato sia nelle capacità professionali e sia attraverso un’apposita contrattazione di funzioni e riconoscimenti normativi ed economici. Questa soluzione, nel mentre alleggerisce la pressione demografica delle città, offrirebbe una chance di permanenza e di nuova prospettiva ai tanti comuni in via di chiusura, consentendo elementi di nuova qualità della vita ai lavoratori dell’impiego pubblico.
Anche il sistema stradale riceverebbe nuovi effetti benefici nell’indirizzare le sue direttrici verso il centro geomorfologico dell’Isola. Nessun amministratore comunale sarebbe più distante di centocinquanta chilometri dalla nuova capitale istituzionale della Sardegna.
6. Provvisorie osservazioni conclusive. Alla facile osservazione di utopia rispondo con la richiesta di altrettante soluzioni alternative alla elencazione dei problemi inizialmente esposti. Alla preoccupazione sulla scarsità dei finanziamenti c’è l’esperienza del new deal degli anni trenta, non solo in America: la scelta dei lavori pubblici viene fatta appunto nei tempi di crisi. Sulla questione della classe dirigente dico: noi tutti siamo classe dirigente, diamoci da fare, lasciateci immaginare e realizzare, noi saremmo in grado di avviare, dirigere, portare a compimento il processo, andando anche oltre la presente generazione.
Anche chi vuole l’indipendenza della Sardegna non vuole solo agitare una bandiera: vuole soprattutto far stare meglio i propri cittadini e rendere migliore la propria terra.
(Questo documento è stato redatto da Salvatore Cubeddu ed ha avuto una prima fase di discussione tra i soci della Fondazione Sardinia il 7 e il 9 dicembre 2013).
Cagliari 11.12.13
Tre temi, uno italiano e due sardi, un ‘no’ e due ‘sì’, tutti impegnativi
La Sardegna del futuro è già programmata. E a nosusu ita si lassanta?
di Salvatore Cubeddu
Alle elezioni sarde non mancano neanche tre mesi. Saranno importanti, anche perché sembrano in arrivo riforme sulle quali da tempo riflettiamo. Il governo Letta vorrà decidere sul futuro istituzionale dell’Italia. Che ne sarà dei nostri discorsi sul futuro dell’autonomia? Non se ne parla, come se ci restasse chi sa quanto tempo per una nostra scelta. E’ impressionante questo silenzio. Regna la frammentazione, in tutti gli schieramenti, sia in quelli a dipendenza italiana e sia nel pulviscolo delle liste autonomo/sovrano/indipendentiste. I ‘dipendenti’ attendono che si chiudano le vicende centrali: chi smetterà e chi inizierà a comandare nella politica italiana? Perché i nostri stanno indietro, compatti per Berlusconi nella destra, divisi alle primarie nella sinistra. Anche per i grillini vale l’ovvia domanda per gli altri schieramenti ‘dipendenti’: quanto conta la Sardegna in questo loro separarsi? Gli ‘indipendenti’ si suddividono a loro volta con una certa maggiore intensità (e nostro danno), inseguendo altre categorie, ma con l’assillo della sopravvivenza elettorale. Latita il dibattito sui programmi, quelli espliciti. (segue)
La LAMPADA di ALADIN
- E’ in preparazione un DOSSIER su Bioeconomy e Chimica verde, coordinato da Vanni Tola. In attesa, poichè ci è stato richiesto di disporre subito in forma unitaria degli articoli di Vanni Tola, già pubblicati dalla nostra news in quattro puntate, ne abbiamo confezionato uno utilizzando un nostro blog dedicato ad attività formative per gli operatori dell’agricoltura, a cui vi rinviamo.
OGGI GIOVEDI’ 14 TRE INIZIATIVE CHE MERITANO: SCEGLIETE VOI!