Risultato della ricerca: Vanni Tola
Appello per la Pace
IMPEDIRE IL RITORNO DELLA GUERRA IN EUROPA
Sono già oltre 400 le firme all’appello promosso dal Cdc, appello evidentemente largamente condiviso da uomini e donne del nostro paese che temono l’esplodere di un nuovo conflitto in Europa.
Per aderire inviare una mail a coord.dem.costituzionale@gmail.com
A questo link il testo dell’appello e le firme in continuo aggiornamento.
http://www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it/2022/02/02/impedire-il-ritorno-della-guerra-in-europa-decine-di-intellettuali-firmano-un-appello-perche-la-ue-non-si-faccia-trascinare-dalla-nato-nel-suo-espansionismo-a-est-perche-litalia-si-opponga/
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Appello
Impedire il ritorno della guerra in Europa
Nel secolo scorso l’Europa è stata dilaniata per ben due volte, nel corso di una generazione, dal flagello della guerra che ha causato sofferenze indicibili ai suoi popoli e una degradazione inconcepibile dell’umanità fino al male assoluto della Shoah.
La profonda aspirazione alla pace, a rendere impossibile di nuovo la guerra fra le nazioni europee è stata a fondamento della nascita della Comunità europea e del percorso che l’ha portata a trasformarsi in Unione Europea.
La caduta del muro di Berlino e lo scioglimento del Patto di Varsavia hanno fatto venire meno le ultime conseguenze della guerra fredda in Europa e creato la possibilità della convivenza pacifica di tutti i suoi popoli, dall’Atlantico agli Urali.
Purtroppo la distensione resa possibile dalla fine della guerra fredda non è stata coltivata; non è bastata la dissoluzione dell’Unione Sovietica per far venir meno lo spirito di contrapposizione dei due blocchi militari, come poteva fare prevedere l’allargamento del G7 alla Russia, capitolo che è stato frettolosamente chiuso.
L’allargamento ad est della NATO, che ha inglobato paesi che facevano parte della ex Unione Sovietica, ha comportato il dispiegamento di un dispositivo militare ostile ai confini della Russia; ciò costituisce obiettivamente una minaccia e come tale è stata percepita.
Questa situazione ha generato una nuova corsa agli armamenti, compreso il riarmo nucleare.
Si sono create, così, le condizioni per un nuovo tipo di guerra fredda molto più pericolosa della precedente, perché non più fondata su una contrapposizione ideologica ma su pulsioni nazionalistiche ancora meno controllabili.
L’esercizio del diritto all’autodeterminazione del popolo ucraino è stato fortemente condizionato dal tentativo della Russia, da un lato, e del blocco occidentale a guida USA, dall’altro, di trascinare questo Paese ognuno nel proprio campo di influenza.
Se la Russia ha occupato la Crimea e in seguito alimentato il conflitto del Donbass, la NATO ha assunto una posizione vissuta come provocazione politica e militare dalla Russia quando si è dichiarata disponibile ad accogliere Ucraina e Georgia nell’alleanza atlantica.
Adesso la tensione politica e militare fra i due schieramenti è arrivata a livelli insostenibili.
Una provocazione può arrivare da qualunque parte sul terreno e fare da detonatore ad un conflitto armato non più controllabile.
E’ assolutamente urgente mobilitarsi per impedire il ritorno della guerra in Europa.
Un conflitto potrebbe avere conseguenze inimmaginabili.
Si deve operare immediatamente per un raffreddamento della tensione politico-militare e l’unica strada percorribile è quella del blocco immediato di ogni escalation militare.
L’Unione Europea non deve farsi trascinare dalla NATO in una insensata corsa all’incremento delle minacce sul campo e ad un rilancio delle spese militari. L’Italia deve dissociarsi da questa politica e deve mandare un segnale chiaro a favore della distensione, che non ha alternative, opponendosi – com’è in suo potere – all’estensione nel territorio dell’Ucraina del dispositivo militare della NATO e al dispiegamento in Europa di nuovi missili e armi nucleari americane. E’ interesse dell’Italia e dell’Unione Europea avviare una trattativa per arrivare a condizioni che garantiscano la Russia dalla preoccupazione di un accerchiamento e consentano all’Ucraina di sviluppare la propria autonomia nazionale, in condizioni di indipendenza dai due blocchi, com’è avvenuto per la Finlandia durante la guerra fredda. Partendo dall’attuazione dell’accordo di Minsk, occorre negoziare una posizione di neutralità per l’Ucraina, non più avamposto militare della NATO ma terra d’incontro fra la civiltà russa e quella occidentale.
Occorre agire adesso prima che sia troppo tardi.
Per aderire coord.dem.costituzionale@gmail.com
Domenico Gallo, Pietro Adami, Mario Agostinelli, Paola Altrui, Cesare Antetomaso, Pietro Antonuccio, Franco Argada, Franco Astengo, Gaetano Azzariti, Donata Bacci, Vittorio Bardi, Fausto Bertinotti, Mauro Beschi, Maria Luisa Boccia, Sergio Caserta, Enrico Calamai, Duccio Campagnoli, Giuseppe Cassini, Aurora D’Agostino, Roberto De Angelis, Claudio De Fiores, Tommaso Di Francesco, Piero Di Siena, Anna Falcone, Luigi Ferrajoli, Chiara Gabrielli, Fausto Gianelli, Alfonso Gianni, Rossella Guadagnini, Elisabetta Grande, Alfiero Grandi, Roberto Lamacchia, Sergio Labate, Raniero La Valle, Alberto Leiss, Citto Leotta, Lidia Lo Schiavo, Federico Losurdo, Silvia Manderino, Antonio Mazzeo, Alberta Milone, Rossella Muroni, Gian Giacomo Migone, Tomaso Montanari, Alberto Negri, Daniela Padoan, Francesco Pallante, Pierluigi Panici, Valentina Pazè, Claudia Pedrotti, Livio Pepino, Giancarlo Piccinni, Carmelo Picciotto, Antonio Pileggi, Bianca Pomeranzi, Jacopo Ricci, Rodolfo Ricci, Marco Romani, Giovanni Russo Spena, Giuseppe Salmè, Lucia Salto, Gianluca Schiavon, Massimo Serafini, Paolo Solimeno, Gianni Tognoni, Fabrizio Tonello, Enrico Tonolo, Aldo Tortorella, Giulio Toscano, Grazia Tuzi, Stefania Tuzi, Nadia Urbinati, Angelo Viglianisi Ferraro, Massimo Villone, Vincenzo Vita, Gianluca Vitale, Mauro Volpi, Antonia Sani, Umberto Franchi, Giuseppe Tadolini, Michelangelo Pietrobuono, Geni Sardo, Maurizio Francesco Giacobbe, Emilio Rossi, Alarico Mariani Marini, Luciano Kovacs, Maria Grazia Minelli, Giuseppe Gallelli, Lucy Pole, Patrizia Gallo, Elena Rampello, Tiziana Migliore, Gianni Alioti, Francesco Di Matteo, Laura Tussi , Alessandro Marescotti, Antonietta Salerno, Maurizio Acerbo, Maria Ricciardi Giannoni, Gianni Castellan, Hans Spinnler, Frida Spinnler, Raffaele Tecce, Francesco Montorio, Gaetano Bucci, Francesco Tanzarella , Haidi Gaggio Giuliani, Flavio Bedini, Silvio Gambino, Augusto Cacopardo, Angelo Cifatte, Giuseppe Bruzzone, Loredana Fasciolo, Caterina Di Francesco, Maria Pia Porta, Stefano Perri, Pietro Cocco, Maria Teresa Fiocchi, Carmen Campesi, Paola Agnello Modica, Consiglia Imputato, Marco Cinque, Daniele Barbieri, Giuliano Campo, Guido Falsirollo, Vittorio Agnoletto, Giovanni Consoletti, Leila Lisa d’Angelo, Silvana Rizzo, Mauro Mergoni, V. Michele Abrusci, Anna Di Sapio, Umberto Franchi, Loris Caldana, Rosario Russo, Adriana Giuliobello, Silvestro Profico, Dora Chiara Leonzio, Clemente Santillo, Mara Valentini, Mariangela Villa, Claudia Baldoli, Milena Confalonieri, Giuseppe Ventura, Luigi Mosca, Maurizio Ferron, Luciano Oliveri, Ester Prestini, Giorgia Ballarani, Marina Premoli, Lele Noferi, Danilo Bruno Storico, Adriana Buffardi, Adriano Querci, Gianluigi Trianni, Pierangelo Monti, Pasqualina Andro, Silvio Colloca, Vittoria Longoni, Gabriel Baravalle, Eleonora Cirant, Luisa Morgantini, Luciano Zambelli, Donatella Esposti, Marco De Luca, Andrea Buiatti, Armando Spataro, Beppe Casales, Gabriella Severino, Giacomo Meloni, Marco Mameli, Crotti Claudio, Cherchi Rita, Caterina Dolcher, Sonia Soldani, Pierluigi Tega, Rosario Grillo, Dante Bedini, Roberto Giuliani, Luisa Albini, Marialuisa Breda, Rina Zardetto, Giuseppe Murolo, Giuliano Albertini, Claudio Bella, Adriano Bracone, Beniamino Ginatempo, Maurizio Maurizi, Alma Biglieri, Giovanna D’Ambrosio, Francesco Lovison, Flavio Pajer, Claudio Natoli, Antonio Peratoner, Laura Cima, Bruno Abati, Serenella Muratori, Rosamaria Maggio, Angelo Grungo, Vincenzo Monaco, Augusto Bianco, Salvatore Consolente, Rossella Guadagnini, Fabrizio Caniglia, Donato Caporalini; Davide Bertok, Eliana Disabella, Alessandra Basilio, Mario Neri, Giovanna Corchia, Lucia Perrone, Isabella Bet, Alessandro Manfridi, Claudio Debetto, Monica Kleinefeld, Giulia Venia, Alessandro Capuzzo, Luigi La Delfa, Carlo Borriello, Tommaso Esposito, Furio Trezzi, Valentina Dovigo, Gabriella Santini, Enzo Beccaceci, Ivo Mattozzi, Luisa Albini, Pierluigi Albini, Maddalena Capezzera, Angelo Gaccione, Andrea Domenici, Giuseppe Barnato, Gianfranco Cammarata, Fausto Del Bene, Bruno Guglieri, Gianmaria Toffi, Fabio Amodio, Eugenia Marchesi, Giacomo De Lorentis, Alessandra Ferraresi, Rita Didomenica, Giancarlo Onor, Loretta Mussi, Rosario Giuè, Antonio Stupiggia, Paolo Fumagalli, Fanio Giannetto, Adriana Giussani, Bruno Vanetti Carlo, Maurizio Portaluri, Maria Rita Grazioso, Pietro Pertici, Emilio Vanoni, Roberto Collodel, Rita Angelastri, Massimo Iurino, Graziano Sampò, Maria Rosaria Bortolone, Agnese Priante, Angela Dogliotti, Fiora Pezzoli, Moreno Biagioni, Mariuccia Larocchia, Domenico Cifù, Valeria Volpe, Claudia Mazzilli, Rita Campioni, Nino Ferraiuolo, Giuseppe Natale, Clementina Mazzucco, Giuseppe Vitiello, Gianfranco Gamberini, Eleonora Zamboni, Bruno Zilio, Paolo Bertinat, Adele Pontiroli, Gianni Tasselli, Anna Maria Rizzi, Cinzia Spaolonzi, Lucia Gallo, Mario Albrigoni, Graziella Bassani, Donato Perreca, Mauro Conti, Germano Zanzi, Sergio Falcone, Ivan Morini, Renato Sala, Ivan Morini, Maria Paola Patuelli, Maria Conversano, Stefano Kegljevic, Fiorella Ercoli, Enzo Jorfida, Vito Capano, Piergiorgio Bortolotti, Giovanni Mottura, Massimiliano Galanti, Antonia Bufano, Freweini Bortolan, Franco Argada, Piera Nobili, Simone Del Corno, Maria Teresa Pietrantoni, Ilaria Cioffo, Alessia Di Grazia, Rosanna Carrera, Mirella Cerasa, Antonella Trocino, Marina Mannucci, Alberto Rebucci, Melania Rigon, Antonella Baccarini, Adelaide Castellucci, Pierpaolo Loi, Amelia Narciso, Gianni Manco, Renzo Laporta, Enzo Cabiddu, Angela Manna, Silvia Serra, Luciano Vecchi, Luisa Muston, Lucia Formenti, Maria Fraccaroli, Bruno Formenti, Ilaria Cioffo, Anna Cristina Meinardi, Gaetano Maculan, Alda Rizzo, Walter Tucci, Giulia Mariani, Augusto Cacopardo, Rosario Patane, Claudia Lazzaro, Marco Modena, Carmelo Labate, Aldo Sbrana, Luigia Oberrauch Madella, Mariella Urzì, Luciana Scognamiglio, Mariarosa Cami, Rosina Tallarico, Sergio Mondoni, Tiberio Tanzini, Alfredo Scognamiglio, Massimo Gallina, Eros Cozzari, Mauro Valiani, Marta Ghezzi, Laura Barile, Francesco Lucat, Rosanna Patrizi, Giulia Schiavo, Corrado Aprile, Carmelina Aprile, Maria Chiara Alba, Alvise Alba, Piero Murineddu, Daniela Nesi, Aurora Frigerio, Felice Scalia, Vania Valoriani, Stanislao Natali, Giuliano Valeriani, Giuseppe Longo, Manuela Galli, Licia Godeassi, Marzenka Matas, Mariagrazia Campari, Vanna Trevisan, Marinella Martucci, Gigi Lecci, Santino Marchiselli, Augusta Rossi, Anna Somenzi, Antonio Locoteta, Daniela Caramel, Martina Camarda, Giovanni Tarditi, Giuliana Martirani, Giancarlo Penazzi, Paolo Modesti, Silvana Pisa, Alberto Cacopardo, Filippo Lunesu, Claudio Morciano, Mario Martini, Cristina Quintavalla, Vittorio Pallotti, Lucia Davico, Augusto Dalmasso, Saverio Di Bella, Gabriele Serio, Paola Blasucci, Giuliano Muolo, Anna Tripoli Signore, Simone Del Corno, Giovanni Maniscalco, Maurizio Palmieri, Eleonora Fornai, Alberto Gandini, Paolo Pieroni, Silvia Lelli, Leonardo Grassi, Pietro Doneddu, Andrea Pubusa, Carlo Gubitosa, Maurizio Mastrogiovanni, Luciano Corradini, Dario Guastini, V. Cannici, Franco Meloni, Carlo Boi …
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Iniziativa della CSS Le tensioni politico militari sulla questione UCRAINA sono ormai arrivate a livelli insostenibili. È urgente mobilitarsi per PREPARARE LA PACE. Martedì 15 febbraio 2022 alle ore 18,00, presso la sede della Confederazione Sindacale Sarda in Via Marche, 9 a Cagliari si terrà un incontro per concordare una giornata di mobilitazione alla quale sei invitato ad intervenire. I primi promotori, Giacomo Meloni, Marco Mameli, Roberto Congia, Riccardo Piras, Mauro Zedda, Antonello Pranteddu. Siete invitati se concordate di aggiungere i vostri nomi tra i promotori. Saluti.
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Sinodo
di Enrico Peyretti.
Questo sinodo è chiamato ad essere una verifica di Chiesa intera, cioè non solo gerarchica, come è un concilio di vescovi; e una verifica particolarmente sincera, a causa del senso di crisi che la Chiesa vive: crisi sotto diversi aspetti, non solo per la pandemia, ma anche per gli abusi clericali, per problemi della gestione economica, e per quella «esculturazione» del cristianesimo dalla cultura sociale vastamente prevalente.
Questo sinodo ha da essere non solo una consultazione, più o meno utilizzata davvero, come in precedenti occasioni, ma una vera espressione di Chiesa, dell’intero Popolo di Dio consapevole. [segue]
Percorrendo il cammino sinodale
Sostenuti dallo Spirito, in attuazione del Concilio.
Nei cammini sinodali, in ascolto e partecipi delle sfide e dei cambiamenti del mondo.
Alcune riflessioni e proposte per la Chiesa e la Società sarda.*
di Franco Meloni
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Il Concilio ecumenico Vaticano II, convocato da Giovanni XXIII e cominciato l’11 ottobre 1962, chiuso da Paolo VI l’8 dicembre 1965, fu indubbiamente un avvenimento grandioso per la Chiesa, che si affermava sempre più cattolica, nel significato di universalità, e per il Mondo.
Allora io ero molto giovane e nonostante militante della Gioventù di azione cattolica (Giac) nell’associazione Giuseppe Toniolo della parrocchia S.Anna di Cagliari, poco avvertii la portata del Concilio, se non per gli aspetti di innovazione nella liturgia. Certo, insieme con gli amici della mia e vicine generazioni avvertimmo il vento del cambiamento, ma senza capirne il profondo significato, ignorando quanto il Concilio aveva sancito nelle sue costituzioni e negli altri documenti. Solo alcuni anni più tardi cominciammo a prenderne consapevolezza, quando con la presidenza diocesana della Giac organizzammo momenti di riflessione e confronto in ambito studentesco (di frequente a La Madonnina di Cuglieri). Su quell’onda cominciammo a collegarci con le esperienze di comunità ecumeniche (Taize’, S.Paolo fuori le mura a Roma, Isolotto a Firenze; e anche in Sardegna: S.Rocco e S.Elia a Cagliari, Bindua). E a frequentare appuntamenti sulle grandi tematiche di rilievo della fase storica (Convegni giovani promossi dalla Pro Civitate Christiana di Assisi). Furono per noi le premesse culturali dell’impegno nel sociale, soprattutto nei quartieri urbani, contemporaneamente coinvolti nei Movimenti contestativi del ‘68. Circostanze che segnarono un accentuarsi delle difficoltà di rapporti con la Chiesa istituzionale da cui gradualmente in molti ci staccammo. Poteva andare diversamente, ma di sicuro non sentimmo il sostegno della Chiesa nelle nostre scelte esistenziali e vivemmo progressivamente il post Concilio come un “tornare indietro” rispetto alle attese dei primi tempi. Insomma non il Concilio ma la sua concreta attuazione fu per noi e per molti altri una delusione, o perlomeno una “mancata opportunità”, una “grande incompiuta”. Senza per questo disconoscerne i grandi frutti prodotti – come non dimenticare che uno di questi fu proprio la creazione della Caritas, ad opera di Paolo VI (1) – ma sicuramente non nella misura in cui il suo potenziale avrebbe consentito e ci saremo aspettati. È ora giunto il momento di riprendere quel cammino interrotto per noi e per molti. Sarà anche questo un frutto del Sinodo. Lo speriamo e sappiamo che molto dipende da ciascuno di noi.
Ho narrato di una personale esperienza, che non pretende di assurgere ad analisi generale, perché mi pare scorgervi un’assonanza con considerazioni di altre persone, tra cui quelle autorevoli di mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, l’ultimo vescovo vivente che ha partecipato al Concilio Vaticano II. In una recente intervista (2) così rispondeva alla domanda su quale sia la principale eredità del Concilio: «L’impegno ad attuarlo compiutamente, affidandolo alla responsabilità personale di ciascuno». E su cosa in particolare, debba essere ancora attuato: «Il riconoscimento del popolo di Dio. Noi siamo stati abituati come gerarchia ad agire e chiedere l’obbedienza dei fedeli: questa responsabilità della gerarchia rimane, ma dopo aver ascoltato, dobbiamo maturare insieme col popolo di Dio. L’importante compito che hanno i laici è di portare le sensibilità, le mentalità, i problemi del mondo d’oggi per poter tutti insieme preparare la decisione finale della gerarchia. (…) Quindi è importante questo spirito di dialogo, di comunione, di incoraggiamento all’interno della Chiesa, affinché la gerarchia sia in grado di dire l’ultima parola (…) Pertanto non credo serva un nuovo Concilio perché dobbiamo ancora attuare quello passato e il rischio sarebbe di tornare indietro invece che andare avanti. Purtroppo se guardiamo alla liturgia, al clericalismo… ancora tanto c’è da fare. Fortunatamente però il Signore ci ha donato un Papa come Francesco che, pur non avendo vissuto i giorni del Concilio, lo sta mettendo in pratica».
La vera continuità del Concilio sta dunque nel Sinodo, attraverso i percorsi sinodali intrapresi dalla Chiesa universale e dalle Chiese particolari, affidati al protagonismo di tutto il popolo di Dio, assistito dallo Spirito santo.
Come è noto i percorsi sinodali avviati nel 2021 sono due, che ovviamente si intrecciano: il “Sinodo 2021-2023” della Chiesa universale, intitolato «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione», che si è aperto il 9-10 ottobre in Vaticano e il 17 ottobre in tutte le diocesi del mondo (3); l’altro è il cammino sinodale italiano, ufficialmente aperto dall’Assemblea della CEI dello scorso giugno, che si snoderà fino al 2025 nel solco delle indicazioni emerse dal Convegno ecclesiale di Firenze del 2015 (4).
In questo scritto focalizziamo le nostre riflessioni soprattutto sulla missione apostolica della Chiesa, in particolare con riferimento alla Chiesa italiana, in ascolto e partecipi delle sfide e dei cambiamenti del mondo contemporaneo. Lo facciamo in sintonia con le indicazioni della Chiesa italiana, formulate attraverso la CEI, con particolare attenzione alle problematiche della nostra Regione.
Dai tanti documenti esplicativi dei percorsi sinodali, pubblicati nei siti web dedicati, riprendiamo solo alcuni spunti, utili per i nostri ragionamenti (5).
“Nell’intraprendere questo cammino, la Chiesa di Dio che è in Italia non parte da zero, ma raccoglie e rilancia la ricchezza degli orientamenti pastorali decennali della CEI, elaborati fin dagli anni ’70 del secolo scorso, i quali, in un fecondo intreccio con il magistero dei Pontefici, da Paolo VI a Francesco, costituiscono una mappa articolata e sempre valida per la vita delle nostre comunità. Nel suo documento programmatico Evangelii Gaudium, Papa Francesco ha rilanciato con parole nuove e vigorose la dimensione missionaria dell’esperienza cristiana, disegnando piste coraggiose per l’intera Chiesa, provocandola a mettersi più decisamente in cammino insieme alle donne e agli uomini del nostro tempo; quel documento, dispiegatosi poi sempre più chiaramente nei gesti, nelle scelte e negli insegnamenti del Papa, costituisce un’eccezionale spinta a dare carne e sangue all’ispirato inizio della Costituzione conciliare Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (6):
“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia”.
E’ una missione che la Chiesa svolge da sempre, ma ovviamente noi pensiamo soprattutto al Mondo di oggi, con tutti i suoi problemi, ai quali corrisponde con la sua presenza, le sue opere e le sue sollecitazioni pastorali. E con il suo respiro universale, guidato da Papa Francesco, purtroppo “in solitudine” o perlomeno con pochi “compagni di strada” nelle realtà delle compagini umane (7). Se ci riferiamo agli ultimi tempi i capisaldi del messaggio evangelico della Chiesa sono le ultime due encicliche sociali di Papa Francesco, Laudato sì’ e Fratelli tutti. Verrebbe da dire che l’Umanità “chiama e invoca aiuto” anche quando il suo lamento non è precisamene indirizzato. La Chiesa comunque risponde, proponendo non le soluzioni, ma le condizioni perchè queste vengano costruite, rivolgendosi a tutto il popolo di Dio, che si allarga a tutti gli uomini e donne di buona volontà, in ultima analisi a tutta l’Umanità. Come non trovare in questa azione della Chiesa l’anelito alla fratellanza, all’eguaglianza, alla solidarietà, alla libertà di tutto il genere umano nella salvaguardia della Terra, la nostra casa comune.
Commenta mirabilmente la CEI l’incipit della Gaudium et Spes (6):
“In queste righe è racchiuso il significato del cammino sinodale, perché vi è concentrata la natura della Chiesa: non una comunità che affianca il mondo o lo sorvola, ma donne e uomini che abitano la storia, guardando nella fede a Gesù come il salvatore di tutti (cf. Lumen Gentium 9) e pellegrinando insieme agli altri con la guida dello Spirito, verso la meta comune che è il regno del Padre. La Chiesa è stata concepita in movimento, nel viaggio di Abramo da Ur dei Caldei (cfr. Gen 11,31) e nelle chiamate di Gesù ai discepoli sul lago e sulle strade (cfr. Mt 4,18‐23); la Chiesa è popolo pellegrino, che non percorre sentieri privilegiati e corsie preferenziali, ma vie comuni a tutti; la Chiesa non è fatta per stabilirsi, ma per camminare. La Chiesa è Sinodo (syn‐odòs), cammino‐con: con Dio, con Gesù, con l’umanità”.
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Ma per venire a “cose da fare”, dando atto delle numerose iniziative avviate nella nostra Diocesi, come anche riportate sul sito dedicato (3), scegliamo di dare un nostro contributo che pensiamo contribuisca ad integrare e arricchire le attività già in atto e quelle programmate, per i primi due anni del cammino sinodale. Proposte che si rivolgono anche a quanti poco o niente oggi frequentano la Chiesa e che ci sembra corrispondano all’impostazione data dall’Arcivescovo di Cagliari, di cui alla nota del Vicario generale (8), laddove è detto:
“Il Cammino Sinodale vuole contribuire a mettere in movimento le nostre comunità e suscitare una rinnovata consapevolezza del senso profondo del nostro essere Chiesa; la sinodalità vuole costituire anche l’occasione per un impulso alla missionarietà delle nostre comunità.
I primi due anni, costituiti da una prima fase narrativa, saranno caratterizzati dal mettersi all’ascolto di “ciò che lo Spirito dice alle Chiese”; sarà pertanto necessario il coinvolgimento, il più ampio possibile, degli organismi pastorali, consigli pastorali parrocchiali, consigli per gli affari economici, movimenti, gruppi di catechesi, senza dimenticare che «può essere significativo interpellare anche chi guarda alla Chiesa dall’esterno, per provare ad ascoltare quel che hanno da dirci e da chiedere. Confrontarsi con la percezione che della comunità ecclesiale e delle sue dinamiche interne ha la gente comune, con ciò che le persone si attendono. Questo può sicuramente contribuire a fare acquisire quel metodo che la carta d’intenti del Sinodo della Chiesa in Italia definisce “dal basso”, anche in rapporto al contesto» (cfr CEI, Prima bozza di esempio di percorso sinodale, Roma, 27-29 settembre 2021).
Non andrebbero esclusi dal Cammino Sinodale anche i luoghi della fragilità e della cura, i luoghi della cultura e dell’arte, i luoghi del lavoro e dell’economia, i luoghi della cittadinanza e della politica. Come da questi luoghi si percepisce la comunità ecclesiale?”
Il nostro contributo mira proprio a facilitare tale coinvolgimento, calato nella realtà della nostra regione, la quale vive oggi una situazione di estremo disagio.
Accumunati a molte altre realtà in Italia e nel Mondo, la Sardegna ha molti problemi, che l’epidemia del Covid ha aggravato e aggrava ogni giorno che passa. Non vogliamo qui farne ulteriore elenco. Chi lo volesse non ha che da sfogliare i quotidiani locali o consultare le News online di informazione politica. E neppure vogliamo parlare delle ricette per risolvere o perlomeno affrontare questi problemi. Anche queste le troviamo ogni giorno esposte, più o meno bene, negli stessi media.
Qui vogliamo semplicemente lanciare un messaggio e proporre una riflessione su che cosa possono fare i cattolici insieme con tutte le persone di buona volontà disposte a fare un percorso di comune impegno. Il messaggio è il seguente: la Sardegna ha soprattutto bisogno di fiducia. Innanzitutto della fiducia dei sardi verso se stessi, che è la condizione perché gli altri abbiano fiducia nei sardi. Dobbiamo pertanto impegnarci tutti a creare quel clima di fiducia che ci consenta di affrontare i problemi e di impegnarci a risolverli mettendo a frutto le capacità personali e delle comunità di appartenenza. Tutto ciò sembra banale, ma non lo è affatto. Sicuramente è difficile. Pensate cosa significa creare fiducia nel mondo della politica. Significa praticare rapporti di scambio tra persone che nella ricerca del bene comune, anche nel confronto e nello scontro dialettico, arrivino a soluzioni ottimali. La condizione è che si pratichi l’ascolto reciproco, come prevede il cammino sinodale, che si persegua l’obbiettivo della massima partecipazione. Cosa abbastanza diversa da quanto accade oggi, laddove la politica tende a selezionare le idee e le scelte sulla base degli interessi dei gruppi prevalenti e la partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica è sempre più ristretta. Allora, se si vuole invertire la rotta, occorre allargare gli spazi di partecipazione democratica sia per quanto riguarda l’accesso alle rappresentanze istituzionali (riforma delle leggi elettorali), sia per la promozione della cittadinanza attiva, sia per la valorizzazione delle competenze che devono prevalere sulle appartenenze.
Se dunque è la “partecipazione” la chiave giusta per ridare speranze di rinascita al popolo sardo, occorrono impegni concreti per favorirla, avendo come chiaro e virtuoso riferimento l’art. 3 della nostra Costituzione, laddove al comma 2 recita: “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Insomma, c’è da dibattere e lavorare, nella consapevolezza che occorre maggiore dinamismo e disponibilità all’incontro esattamente come previsto dai percorsi sinodali, ovviamente sorretti da spirito evangelico e da correlato ottimismo della volontà! Ci sarebbe molto da discutere a tutto tondo sull’impegno dei cattolici in Politica, che, come ci ha insegnato Paolo VI, costituisce la più alta forma dell’esercizio della Carità. Ma in questo contributo scegliamo di soffermarci in prevalenza su quella parte della Politica che attiene alle questioni sociali, a sottolinearne urgenze e priorità, anche per quanto argomentiamo di seguito.
Siamo convinti che la situazione attuale della nostra società migliorerebbe fortemente se si sviluppasse un impegno politico che consentisse di rendere più incisivo e produttivo il poderoso lavoro che sul piano dell’impegno sociale fanno i volontari nelle diverse organizzazioni cattoliche e laiche al servizio della gente, in modo particolare degli ultimi. Innanzitutto ai volontari è richiesto che diano un aiuto alla Politica, anche se la stessa non la chiede. Al riguardo condividiamo in toto un invito formulato da Walter Tocci in un recente convegno della Caritas romana (9).
In questa sede avanziamo alcune proposte autonomamente elaborate o che riprendiamo da altri – una in particolare da uno scritto di Enzo Bianchi (fondatore della Comunità di Bose) (10) – che riecheggiano le riflessioni del “Patto per la Sardegna” lanciato nel novembre 2020 da un gruppo di intellettuali cattolici sardi (11).
1. Moltiplicare gli spazi di partecipazione, ascolto, confronto, discernimento.
In piena sintonia con l’impostazione dei cammini sinodali, si tratta di dare vita nelle chiese locali, diocesane e regionale, e in tutte le diverse realtà parrocchiali e di altra natura di appositi spazi nei quali “tutti i cattolici che si sentono responsabili nella vita ecclesiale e nella società possano essere convocati e quindi partecipare: incontri realmente aperti a tutti, che sappiano convocare uomini e donne muniti solo della vita di fede, della comunione ecclesiale, della consapevole collocazione nella compagnia umana”. Si tratta di chiamare tutte e tutti a “esprimersi in merito a una lettura della vita sociale, delle urgenze che emergono, occasioni di confronto in cui si esaminano i problemi che si affacciano sempre nuovi nella vita del paese e si cerca di discernere insieme alla luce degli insegnamenti del Vangelo. Da questo ascolto reciproco, da questo confronto, possono emergere convergenze pre-politiche, pre-economiche, pre-giuridiche che confermano l’unità della fede ma lasciano la libertà della loro realizzazione plurale insieme ad altri soggetti politici nella società”. Spazi pubblici reali in cui “pastori e popolo di Dio insieme, in una vera sinodalità, ascoltino ciò che lo Spirito dice alle chiese e facciano discernimento per trarre indicazioni e vie di testimonianza, di edificazione della polis e della convivenza buona nella giustizia e nella pace”. È in questi spazi che si possono “delineare le istanze evangeliche irrinunciabili, che poi i singoli cattolici con competenza e responsabilità tradurranno in impegni e azioni diverse a livello economico, politico, giuridico”.
Da queste attività si può partire per ulteriori indispensabili interlocuzioni con il “resto del mondo” per comuni percorsi nel perseguire il bene comune. Ovviamente il coinvolgimento di appartenenti ad altre confessioni religiose e anche di non credenti sarebbe possibile è auspicabile fin da subito, decidendosi caso per caso le modalità di apertura.
2. Cattedra dei non credenti e Cortile dei Gentili: esperienze da proporre, opportunamente adattate, anche nella nostra realtà sarda.
Un’altra proposta, che s’iscrive nell’esortazione a «interpellare anche chi guarda alla Chiesa dall’esterno, per provare ad ascoltare quel che hanno da dirci e da chiedere» è quella di ripercorrere le orme della «Cattedra dei non credenti», del grande uomo di chiesa cardinale Carlo Maria Martini (12), cogliendone l’essenzialità, anche se in forme attuative diverse dall’esperienza originale. Forse avvicinandosi a quella tuttora viva e di largo seguito del «Cortile dei Gentili», animata dal cardinale Gianfranco Ravasi (13). Ovviamente anche qui in programmi e modalità corrispondenti alle energie che persone di buona volontà vogliono mettere in campo, risorse che non mancano anche dalle nostre parti.
3. L’ascolto nell’esperienza della Caritas (14)
Quantunque presi dalla frenesia di fare cose nuove o proporre iniziative collaudate in altri ambienti che per noi avrebbero il gusto dell’inedito, non possiamo certo dimenticare quanto di buono già si fa dalle nostre parti, magari con la voglia di migliorare. Con questo intento, ripercorriamo in particolare, anche come esemplificazione, le iniziative di “ascolto” della nostra Caritas.
In tale ambito un’iniziativa pastorale di rilievo concerne il rafforzamento del Centro di Ascolto Giovani. Esso offre le seguenti forme concrete di aiuto: sostegno emotivo, ossia tutte quelle attività che permettono di prendersi cura dei ragazzi per le loro fragilità relazionali, sociali e psicologiche e sostegno strumentale, per assistere i giovani nelle operazioni di natura burocratica e per affrontare la condizione di disoccupazione.
In sinergia con il Centro di Ascolto Diocesano, si segnala l’implementazione di un servizio di supporto psicologico gratuito, fondamentale per i giovani, specie nelle situazioni di disagio emotivo ed esistenziale in momenti critici della vita. Il servizio di supporto psicologico mira a promuovere lo sviluppo e la valorizzazione delle risorse personali, facilitare le capacità decisionali dei giovani per sviluppare una migliore consapevolezza del proprio agire nell’affrontare problematiche di carattere personale e/o professionale. In sinergia con gli interventi istituzionali, in gran parte sostenuti dall’Unione Europea, dallo Stato e dalla Regione Sarda, il Centro di Ascolto Giovani svolge un ruolo di informazione e di formazione, in cui gli operatori accolgono i ragazzi, anche aiutandoli negli adempimenti di natura burocratica, per intraprendere la strada della propria vocazione professionale. In tale ambito se un giovane ha un’idea imprenditoriale meritevole di supporto, il Centro di Ascolto Giovani può mettere a disposizione un’ampia rete di professionisti per assisterlo con competenza nella realizzazione del suo progetto, utilizzando le numerose opportunità fornite dai soggetti istituzionali, tra le quali quelle che si iscrivono nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) (15) e nei Fondi strutturali europei di coesione sociale territoriale.
Di tale rete fa parte anche il Progetto Policoro, realtà condivisa tra Caritas, Pastorale Sociale e del Lavoro e Pastorale Giovanile che ha come missione i giovani, il Vangelo ed il lavoro. Il servizio del Centro di Ascolto Giovani è esteso alle persone dai 15 ai 40 anni di età. Un Centro di Ascolto “a tutto tondo”: uno spazio di libertà, in cui i giovani possano sentirsi accolti, ascoltati e compresi nelle loro importanti esigenze per costruire insieme progetti di vita piena e finalizzati alla loro autonomia.
Per tutto ciò, si rimarca la necessità di agire nella prospettiva di percorsi sinodali di ampio respiro capaci di intessere reti, alleanze ed occasioni di corresponsabilità nella consapevolezza che è fondamentale operare insieme nella direzione della giustizia sociale e del bene comune.
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Queste proposte, che ci sembrano collimino con le posizioni di tanti altri partecipanti al dibattito, in certa misura già in attuazione, appaiono ulteriormente migliorabili e percorribili nei cammini sinodali.
Infine una considerazione: la Chiesa propone e pratica concretamente un metodo, quello sinodale ispirato dal Vangelo, che può costituire un decisivo aiuto per rafforzare le democrazie contemporanee che in tutto il mondo stanno attraversando fasi di crisi, in talune realtà fino al pericolo della propria sopravvivenza. Anche su questo versante, nel rispetto dei diversi ambiti, si può camminare insieme con tutti gli uomini e le donne di buona volontà e con le tante e diverse organizzazioni di impegno sociale e culturale che animano le nostre società, verso la Salvezza dell’Umanità e di tutto il Creato.
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Note [segue]
ChiesadituttiChiesadeipoveri
Newsletter n. 241 del 15 dicembre 2021
L’ATTESA E IL POTERE
Care amiche ed amici,
se c’è un periodo dell’anno, almeno fino a quando resti una sopravvivenza di memorie cristiane, contrassegnato da un senso di attesa, questo è il tempo di Avvento che stiamo vivendo: un tempo liturgico tradizionalmente esteso alla stagione civile, in cui si parla della venuta di qualcuno, dell’accadere di qualcosa, da cui il futuro sarà modificato. Si tratta del Natale, di cui qualcuno dice che non si dovrebbe neanche parlare, per alludere invece a più generiche “feste”.
L’attesa che quest’anno attraversa tutto il mondo è per la fine della pandemia, ma essa per un verso è legata a fattori imprevedibili, per un altro verso è legata alla sola cosa che sarebbe risolutiva e che non vogliamo fare, cioè la soppressione dei brevetti sui vaccini e i farmaci salvavita , la vaccinazione universale e drastiche riforme per rendere salubre l’aria che respiriamo come abbiamo reso potabile nei tubi l’acqua che beviamo.
L’altra attesa che domina oggi in Italia i discorsi della politica è quella dell’elezione del presidente della Repubblica, a cui sembra che tutto drammaticamente sia sospeso, compresa la durata della legislatura, mentre dovrebbe essere un evento ordinario della vita democratica. Draghi ne approfitta per ignorare i sindacati, la destra la enfatizza come il passaggio cruciale della sua acquisizione definitiva del potere: Renzi, che non ne possiede affatto le chiavi, ha già regalato la presidenza alla destra come se le toccasse per diritto di successione, la Meloni la rivendica come sua, ne fa l’architrave della “casa dei conservatori”, la ordina al presidenzialismo e la riserva a un “patriota” che nella sua semantica sembra parola molto affine a “fascista” e lo fa come se non fosse per Costituzione dovere non solo di un presidente ma di ogni titolare di funzioni pubbliche adempierle con disciplina ed onore, cioè per la “patria”.
Quello che si dimentica, e proprio nel momento in cui si fa appello a una millantata identità liberale e cristiana, è che se il potere è mitigato dalla tradizione liberale esso è addirittura rovesciato nel suo contrario dalla tradizione cristiana; c’è scritto nel Vangelo che Pilato non avrebbe nessun potere se non gli fosse dato dall’alto, che essere re vuol dire stare nel mondo per dare testimonianza alla verità, sta scritto nelle lettere di san Paolo che il Verbo di Dio svuotò se stesso e che la forma di Dio ha preso la forma del servo; mentre a conclusione del suo “Funzioni e ordinamento dello Stato moderno” Giuseppe Dossetti sottolineò che secondo il greco della “Lettera ai Romani” coloro che esigono i tributi devono essere considerati come “liturghi di Dio”. Il rovesciamento del potere in diaconia, in testimonianza, in martirio e dono di sé è l’apice del paradosso cristiano, mentre l’ideologia machiavelliana che fa del potere un idolo ne è la massima contraddizione; all’opposto i controlli, i limiti e le garanzie nei confronti del potere sono il massimo inveramento che le Costituzioni moderne e soprattutto il costituzionalismo postbellico, che ora vogliamo proiettare verso una Costituzione mondiale, realizzano di una rivoluzione non più solo religiosa e politica, ma antropologica.
Contro questa conversione del potere assistiamo alle sfide più dure. Su tutti i fronti la destra è all’attacco per dare perennità ai poteri esistenti, potere del denaro sulla politica, potere dei padroni sui servi, potere delle cose sull’uomo, potere dei cittadini sugli stranieri. Secondo il quotidiano britannico “Guardian” il 6 gennaio scorso ci sarebbe stato un piano che avrebbe dovuto consentire a Trump di perpetuare il suo potere invalidando l’elezione di Biden, quando esplose l’attacco dei “patrioti” al Campidoglio; sui collegi elettorali americani il sistema sta lavorando per configurarli in modo che ne sia scontata l’assegnazione alla destra; in Inghilterra un tribunale decide l’estradizione di Assange per bollare come delitto lo svelamento dei crimini del potere, mentre come ha denunciato il papa all’Angelus le statistiche dicono che quest’anno si sono fatte più armi dell’anno scorso, ultima istanza di un potere incondizionato.
È contro questo dilagare inarginato del potere che le risorse dell’etica, della politica, del costituzionalismo e del diritto devono essere mobilitate perché la democrazia resti nell’attesa dei futuro.
Con i più cordiali saluti,
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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una Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola
Newsletter n. 55 del 1 dicembre 2021
SE IL GENERALE SCENDEVA
Carissimi tutti,
il progetto di una Costituzione della Terra ha avuto una sorta di battesimo il 24 novembre scorso, nel quadro delle ricchissime iniziative del Festival della pace di Brescia, che promosso dal Comune e dalla Provincia di quella città, ha tra i suoi meriti anche quello di promuovere l’adesione dell’Italia al Trattato per la interdizione delle armi nucleari. Nell’Incontro, in cui il prof. Ferrajoli ha illustrato l’iniziativa costituente e Tecla Mazzarese i relativi “materiali” pubblicati dall’editore Giappichelli, il presidente del Consiglio comunale, Roberto Cammarata, che lo moderava, ha anche letto il possibile “Incipit” di una Costituzione della Terra che potrebbe dire così: “Noi abitanti della Terra che veniamo da immense gioie e indicibili sofferenze, decidiamo di vivere insieme, nessuno escluso, in pace, senza armi d’offesa, senza fame omicida, senza muri violenti, e volendo salvare la Terra ci diamo la seguente Costituzione:…”.
Hanno partecipato al dibattito anche i professori Francesco Pallante, Fabrizio Sciacca e Franco Ippolito; non disponiamo dei testi degli interventi ma sulle origini del progetto costituente nella storia politica e culturale del Novecento si può trovare nel sito l’intervento di Raniero La Valle. In particolare vi è citata come precedente la proposta di un mondo libero dalle armi nucleari e non violento, che Mikhail Gorbaciov e Rajiv Gandhi, come laeders politici di un quinto dell’umanità del tempo, avanzarono con la “dichiarazione di Nuova Delhi” del 27 novembre 1986, fondata su dieci principi fondamentali di cui i primi tre recitavano:
“1. La coesistenza pacifica deve diventare una norma universale dei rapporti internazionali:
nell’era nucleare è indispensabile ristrutturare le relazioni internazionali, affinché il confronto sia soppiantato dalla cooperazione e le situazioni di conflitto siano risolte con mezzi politici pacifici e senza ricorrere alle armi.
“2. La vita umana dev’essere considerata il valore supremo:
il progresso e lo sviluppo della civiltà umana possono essere assicurati in condizioni di pace e soltanto dal genio creativo dell’uomo.
“3. La nonviolenza dev’essere alla base della vita della comunità umana:
la filosofia e la politica fondate sulla violenza e sull’intimidazione, sulla disuguaglianza e sull’oppressione, sulla discriminazione di razza, di fede religiosa o di colore della pelle sono immorali e inammissibili. Esse sprigionano uno spirito di intolleranza, sono deleterie per le nobili aspirazioni dell’uomo e negano tutti i valori umani”.
Quell’antica proposta dimostra come un mondo così può essere pensato in sede politica e perseguito da poteri responsabili. Purtroppo i protagonisti di allora, a cominciare dagli antagonisti occidentali dell’Unione Sovietica, non erano disponibili a realizzarla, come fu dimostrato tre anni dopo dalla miope reazione alla decisione politica di Gorbaciov di far venir meno il muro di Berlino e di passare dalla guerra fredda alla pace; nell’intervento citato si racconta di una visita scoraggiante di parlamentari italiani al Dipartimento di Stato e al Pentagono proprio l’8 novembre dell’89 e poi della risposta del generale americano che volava 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno sui cieli dell’America per essere pronto in ogni evenienza a scatenare l’ecatombe nucleare; a chi lo incitava lietamente in un collegamento da terra a scendere perché la guerra ormai era finita, rispondeva che la guerra doveva restare sempre pronta all’esercizio. Se invece davvero quel generale fosse sceso e si fosse creduto alla pace, tutto il corso della storia successiva sarebbe stato diverso. La guerra del Golfo era vicina.
Nel sito labibliotecadialessandria, tra “I precedenti”, pubblichiamo la “lettera ai comunisti italiani” del 24 gennaio 1986.
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Vi informiamo da ultimo che l’assemblea annuale di Costituente Terra è convocata per il 27 gennaio 2022 alla Biblioteca Vallicelliana, ci auguriamo in presenza o in ogni caso a distanza e con il relativo link. All’o.d.g. l’approvazione del bilancio 2021, l’elezione del presidente e degli organi statutari e lo sviluppo delle attività, a cominciare da un più largo coinvolgimento di tutti nel processo costituente. Tutti gli iscritti vecchi e nuovi sono invitati a partecipare. Per le quote resta stabilito quanto indicato nell’appello istitutivo: “La quota annua di iscrizione è libera, e sarà comunque gradita. Per i meno poveri, per quanti vogliano e possano contribuire a finanziare la Scuola, eventuali borse di studio e il processo costituente, la quota è stata fissata nella misura significativa di 100 euro, con l’intenzione di sottolineare che la politica, sia a pensarla che a farla, è cosa tanto degna da meritare da chi vi si impegna che ne sostenga i costi, contro ogni tornaconto e corruzione. Naturalmente però è inteso che ognuno, a cominciare dai giovani, sia libero di pagare la quota che crede, minore o maggiore che sia, con modalità diverse, secondo le possibilità e le decisioni di ciascuno”. Per i versamenti, benvenuti fin d’ora per sostenere la gestione dei siti e le spese ordinarie, si prega di usare l’IBAN IT94X0100503206000000002788 (dall’estero BIC BNLIITRR), intestato a “Costituente Terra”.
Con i più cordiali saluti
www.costituenteterra.it
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QUALCHE PRECEDENTE NELLA STORIA DEL ‘900
1 DICEMBRE 2021 / COSTITUENTE TERRA / IL PROCESSO COSTITUENTE /
Dalle Nazioni Unite alla guerra fredda alla dichiarazione di Nuova Delhi alla rimozione del muro di Berlino: una lunga gestazione nella vicenda del 900
Raniero La Valle
Si è tenuto il 24 novembre 2021 nel quadro delle iniziative del Festival della pace di Brescia un Incontro, moderato da Roberto Cammarata, per la presentazione del progetto di una Costituzione della Terra e dei relativi “Materiali” pubblicati nella collana dell’Editore Giappichelli. Relatori al Convegno sono stati Luigi Ferrajoli, Raniero La Valle, Tecla Mazzarese, Francesco Pallante, Fabrizio Sciacca e Franco Ippolito. Su qualche precedente nella vicenda politica e culturale del Novecento si è svolto il secondo intervento che qui riprendiamo.
Nel Novecento, dopo la catastrofe della guerra, della Shoà, della bomba atomica, il mondo si è reso conto del fatto che la cultura che lo aveva portato fin lì non era in grado di assicurare la continuità della storia, bisognava fondare il mondo su nuove basi, bisognava ripudiare la cultura della guerra, gli imperialismi, le colonie, l’ideologia delle sovranità assolute, avviare un multilateralismo che permettesse di affrontare le nuove sfide. Furono fondate le Nazioni Unite, la prima Convenzione che venne adottata fu quella contro il genocidio, fu proclamata almeno a parole l’eguaglianza, non solo delle persone, ma anche delle Nazioni grandi e piccole, si tentò di mettere su delle istituzioni per introdurre qualche rimedio all’anarchia dell’economia selvaggia.
La politica non fu però coerente con questa conversione del pensiero, gli Imperi non cadono senza resistere, le colonie non finiscono senza lotte di liberazione, l’economia confligge con la politica e le resiste, e la rivoluzione non c’è stata. C’è stata invece la guerra fredda e la politica del terrore ha dettato il nuovo ordine del mondo.
A ciò si è aggiunto un fattore prima sconosciuto, l’onnipotenza e l’autoreferenzialità della tecnica che suscitava in uno dei maggiori filosofi del Novecento, Martin Heidegger, la domanda se ormai solo un Dio ci potesse salvare. Ma al di là di questo estremo si era fatta strada la percezione negli osservatori più illuminati che non solo questo o quel regime politico economico e sociale fosse in crisi, ma che l’intero corso storico fosse giunto con la modernità a una crisi senza uscita per la quale senza un cambiamento radicale non si potesse evitare la rovina e la pace non potesse essere costruita.
In che consisteva questa crisi? Secondo un grande economista e filosofo nostro, Claudio Napoleoni, essa consisteva nella perdita dell’uomo come soggetto; il capitalismo, con il suo primato del momento economico era riuscito ad assorbire tutta la realtà rendendo tutti, padroni ed operai, ricchi e poveri meccanismi e figure di una macchina produttiva a cui erano assoggettati e in cui tutti erano inclusi. Era, in una forma particolarmente inclusiva, l’alienazione diagnosticata dal marxismo, anche se senza una risposta ideologicamente e politicamente adeguata.
Il Club di Roma poneva nel 1971 il problema dei limiti dello sviluppo: finivano le risorse, la Terra non è un sistema incondizionato, occorreva rovesciare i paradigmi dello sfruttamento dell’ambiente.
Negli anni 80 dopo il delitto Moro (1978) il PCI apriva un dibattito sulla sua funzione come partito, unico in Italia, che aveva tenuto aperta, sia pure a fatica, l’istanza rivoluzionaria.
In vista del congresso di questo partito, convocato per l’aprile 1986, Claudio Napoleoni ed io, insieme a molti esponenti della cultura e della politica, prevalentemente cattolici, scrivemmo una lettera ai comunisti; tra i firmatari c’erano padre Balducci, Eleonora Moro, Adriano Ossicini, Mario Gozzini, Italo Mancini e molte realtà di base (la si può trovare ora nella prima sala del sito http://labibliotecadialessandria.costituenteterra.it/sala-i-il-processo-costituente/#i-precedenti ).
L’appello rivolto ai comunisti – ed era una bella pretesa – era che il partito comunista cambiasse per così dire la sua ragione sociale, che questa non fosse, dogmaticamente, l’uscita dal capitalismo, ma fosse in modo più esigente l’uscita dal sistema di guerra. Per discuterne i firmatari convocarono a Cortona per l’11e 12 ottobre 1986 un convegno la cui relazione introduttiva fu tenuta da Claudio Napoleoni. La diagnosi era impietosa; la gravità della crisi stava nel fatto che la guerra non era più solo un evento possibile, catastrofico e addirittura finale della convivenza umana, dopo la bomba atomica, le armi spaziali e tutto il resto che gli uomini avevano imparato dell’ “arte della guerra”, ma era diventata una funzione costituente dell’intera società, in qualche modo la sua costituzione materiale, intorno alla quale tutto il sistema politico e sociale era strutturato. In tal modo il sistema di guerra era diventato il culmine e la garanzia di un sistema di dominio, che non era solo il dominio degli uni sugli altri, di popoli su altri popoli, ma era il dominio del sistema di produzione capitalistico su tutti gli uomini, per cui tutti erano assoggettati alle cose, tutti alienati, i padroni come gli operai, le donne come gli uomini, vittime di un sistema in cui tutti perdevano la loro soggettività, in cui tutti erano inclusi come figure e maschere di un meccanismo in cui la realtà era manipolata e la tecnica fine a se stessa. Dunque, come lo definimmo, era un sistema di dominio e di guerra; e il compito era di recuperare le soggettività perdute e di mettere in moto un opposto e virtuoso processo costituente, tant’è che il titolo della rivista che pubblicò gli atti del convegno. “Bozze 86”, recitava: Costituente pace.
Si può pensare che quello fosse un libro dei sogni. Ma per un’imprevista coincidenza negli stessi giorni del convegno di Cortona si teneva a Reykjavik in Islanda, un incontro tra Gorbaciov e il presidente Reagan in cui veniva ripudiata la guerra fredda ed avviata la distensione; ma la vera novità che faceva risuonare un linguaggio mai sentito prima nei rapporti tra le Potenze interveniva poco più di un mese dopo, il 27 novembre 1986 nella “Dichiarazione di Nuova Delhi” lanciata come proposta al mondo da Gorbaciov e da Rajiv Gandhi, leader dell’India e figlio di Indira. Si trattava di uno straordinario progetto di unità del mondo, a partire da un totale rovesciamento della politica di guerra e dal licenziamento della guerra come coronamento della sovranità e struttura costituente della politica degli Stati e dei loro rapporti internazionali; si postulava la costruzione di “un mondo libero dalle armi nucleari e non violento”, in cui la vita umana fosse considerata il valore supremo; e il realismo di questo programma politico era esplicitamente fondato sul fatto di essere avanzato legittimamente a nome dell’India e dell’Unione Sovietica i cui popoli – uomini donne e bambini – comprendevano oltre un miliardo di persone e un quinto dell’intera umanità di allora; una vera Costituzione mondiale mai pensata prima a partire da 10 principi e obiettivi fondamentali puntualmente indicati.
Paradossalmente la proposta di Cortona, che i comunisti italiani avevano lasciato cadere ed era certo ignota ai due leaders lontani, dimostrava di non essere irrealistica se un grande esponente del comunismo, e anzi allora il suo capo anche come capo dell’URSS, la rivolgeva a tutto il mondo in altre forme e nelle modalità a lui proprie. Un mondo così poteva essere pensato!
Ma il mondo politico e giornalistico di allora era così refrattario a una simile proposta che la scelta unanime fu di ignorare la Dichiarazione di Nuova Dehli e di seppellirla nel silenzio, opponendole una censura ferrea che non ne permise nemmeno la pubblicazione in Occidente, tant’è che essa è ancora ignorata come se non fosse mai esistita; oggi la si può trovare, non a caso, nel nostro sito http://labibliotecadialessandria.costituenteterra.it/, (Il processo costituente) come precedente del progetto di una Costituzione della Terra.
Fu quello il momento magico di ideazione di un nuovo ordine di rapporti umani (per riprendere un’espressione usata qualche decennio prima da papa Giovanni, che era stato il primo ad assumere la pace sulla terra, la “pacem in terris”, come struttura costituente della comunità mondiale).
Ma la cosa non finì lì. Come sviluppo di quell’impegno politico meno di tre anni dopo, il 9 novembre 1989 Gorbaciov prendeva la decisione politica dell’apertura del muro di Berlino, maldestramente attuata dal governo dell’Est tedesco dell’epoca, presieduto da Honecker che si era dimesso qualche settimana prima. Fu l’evento cruciale dell’89 e del secolo, che è passato alla storia come “caduta del muro di Berlino” e che invece in realtà fu la rimozione per via politica del Muro e la proclamazione universale che la guerra era finita.
Ma è a questo punto che, in contrario, c’è stato un catastrofico arresto storico, che ha interrotto il percorso di uscita dalla grande distruzione che il genere umano era arrivato a produrre nel Novecento, arresto storico frutto anch’esso di una decisione politica e di una rovinosa paralisi culturale.
Io conservo un’immagine plastica di questo sbarramento opposto al futuro, di questa caduta di Icaro nel novembre dell’89. In quei giorni ci trovavamo in America con una delegazione della Commissione Difesa della Camera dei deputati, che vi si era recata per un viaggio di scambio tra i Parlamenti, di informazione e di studio. Nel giorno della rimozione del Muro avemmo incontri al Dipartimento di Stato e al Pentagono, dove ci fu espressa tutta la diffidenza e incredulità del governo e dell’apparato militare americano che non erano affatto preparati a quell’evento. [segue]
Che succede?
L’INTESA ITALIA-FRANCIA. VERSO UNA LEGGE SUL FINE VITA
26 Novembre 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
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Sinodo e cammini sinodali
una Chiesa sinodale
L a R if o rm a d i p a p a F r a n c e s c o
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La lotta di ambulanti, giostrai, operatori dello spettacolo viaggiante e torronai
COMUNICATO STAMPA
ESITO MANIFESTAZIONE DEL 4 NOVEMBRE 2021
Alle ore 14 di oggi 4 novembre 2021 è terminato l’incontro della delegazione degli ambulanti, giostrai, operatori dello spettacolo viaggiante e torronai con il Vice Presidente on. le Giovanni Antonio Satta e tutti gli on.li Capigruppo del Consiglio Regionale alla presenza dell’Assessore Reg. le al Bilancio dottor Giuseppe Fasolino, accompagnato dai funzionari del proprio Assessorato e da quelli dell’Assessorato Reg. le Commercio e Turismo, compente per materia.
Che succede?
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VINCE LA VOGLIA DI LAVORARE. INEDITO DI BOBBIO. NODI: REDDITO, ANZIANI, SALARIO MINIMO, FISCO, PATRIMONIALE
17 Ottobre 2021 su C3dem.
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Norberto Bobbio, “La mia idea sulla rivoluzione” (testo inedito di una lezione del 1979 – La Stampa)
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LA QUESTIONE POLACCA E IL DESTINO DELLA UE
17 Ottobre 2021 su C3dem.
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Nucleare: un dibattito mal (ripro)posto che ci riporta indietro. Ma oltre alla Fissione esiste la Fusione: di questa dobbiamo parlare.
La sedia
di Vanni Tola
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Dibattito sul nucleare? No grazie. Non caschiamo nella trappola, l’argomento non è all’ordine del giorno. Per lo meno nei termini nei quali la questione è proposta.
Il dibattito sul nucleare che sembra accendere l’attenzione delle forze politiche e della popolazione è un dibattito virtuale, fasullo, figlio di una fake news abilmente manipolata per scopi elettorali. Tutto nasce dalla notizia fasulla e infondata che il ministro della transizione ecologica Cingolani avrebbe manifestato interesse per il nucleare. Il ministro ha spiegato più volte e con tutti i mezzi di non aver mai manifestato alcun proposito di un ritorno alla produzione di energia con la tecnologia nucleare.
Mentre esponeva i propri programmi sulla transizione energetica il ministro ha semplicemente indicato, elencando gli studi in corso, la possibilità che da tali ricerche potessero emergere nuove tecnologie utili e convenienti per la produzione pulita di energia affermando, mi pare legittimamente, che, ove ciò fosse accaduto, se ne sarebbe dovuto tenere conto in un futuro neppure tanto immediato. Questo è bastato per scatenare un acceso e violento dibattito oltre che tra i cittadini sempre pronti a partecipare a nuove battaglie, anche tra i partiti e perfino le associazioni per l’ambiente che, da qualche tempo non vanno oltre le vecchie analisi che ruotavano intorno allo slogan “No al nucleare” e “Nucleare? No grazie”. [segue]
Ferrovia e Trasporti. Che fare in Sardegna?
Quando è stata resa pubblica la ripartizione fra le regioni dei primi fondi destinati a trasporti e mobilità, del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (Pnrr), il presidente Solinas e il suo mega staff hanno capito che alla Sardegna sarebbero spettate soltanto le briciole del finanziamento e, come da consolidata tradizione, hanno cominciato a protestare contro il governo che non concedeva all’isola finanziamenti adeguati ai bisogni e alle necessità. Sulla stessa lunghezza d’onda si sono levate le proteste, stavolta unitarie, dei parlamentari sardi, anch’essi convinti della discriminazione subita dalla Sardegna nella ripartizione dei fondi europei.
Le nuove ferrovie italiane che saranno ristrutturate con i fondi del Pnrr vedranno ridursi il tempo medio di viaggio in treno del 17%, aumentare il passaggio dal trasporto su gomma a quello ferroviario, aumentare i passeggeri trasportati dal 6 al 10% e le merci dall’11 al 16%.
Tutto ciò però non riguarderà per niente la Sardegna. Nell’isola arriveranno soltanto 300 milioni per due vecchi progetti appena avviati e assimilati ai progetti Pnrr: un primo step del raddoppio della Decimomannu-Villamassargia e il collegamento dell’aeroporto di Olbia con la rete ferroviaria. La Sardegna si è fatta cogliere ancora una volta impreparata, non aveva progetti pronti da far finanziare con gli investimenti europei.
Soltanto nel 2015 ha cominciato a circolare nell’isola l’ipotesi di predisporre alcuni interventi per connettere aeroporti e stazioni con la rete ferroviaria. Idee, soltanto idee che non si sono mai concretizzate in progetti.
Il presidente Solinas si è reso conto di quel che stava per accadere quando i tempi per intervenire erano ormai ridotti al minimo. Ha tentato di rimediare inventandosi la penosa bugia dei 305 progetti inviati al Governo per inserirli nel piano nazionale del Pnrr accompagnati da una richiesta di finanziamenti per circa 7 miliardi. Progetti che, per la cronaca, nessuno ha mai visto e dei quali non risultava traccia neppure presso l’ufficio di protocollo della regione Sardegna e nelle segreterie dei ministeri. Probabilmente una raccolta di idee e proponimenti, ben altro rispetto ai progetti concreti e realizzabili che sarebbero stati utili e necessari.
Appare evidente quindi che alla base di quanto accade relativamente al sistema trasporti, sta l’inadeguatezza programmatoria delle giunte regionali del passato e di quella in carica che hanno condannato l’Isola alla non partecipazione alle azioni del Pnrr.
Non ci sono stati finanziamenti del Pnrr perché non c’erano e non ci sono adeguati progetti. Con le sole idee, generiche e senza un’ipotesi strategica di sviluppo, non si ”canta messa” e ci si lega sempre più al sottosviluppo, alla marginalizzazione e all’assistenzialismo degli eventuali interventi statali.
Nessun complotto quindi, nessuna discriminazione contro l’Isola. La regione Sardegna, negli ultimi 25 anni non ha mostrato la ben che minima capacità di progettazione di opere e progetti infrastrutturali che potessero rientrare nelle indicazioni specifiche predisposte dall’Unione Europea per la presentazione dei progetti e l’erogazione dei fondi.
Certamente il problema dei trasporti è e resta strategico per lo sviluppo della Sardegna ma il Pnrr non può rappresentare la risoluzione dei problemi in assenza di una progettualità e di strategie di sviluppo in sintonia con le indicazioni del Recovery Plein e delle altre politiche di sviluppo nazionali e comunitarie.
Tutte le forze politiche presenti in regione sembrano concordare sull’importanza di realizzare nuove ferrovie. Il problema è che a tutt’oggi nessuno si sta preoccupando di progettarle e poco e niente è stato fatto per rafforzare la capacità progettuale e di spesa della regione. La conseguenza fin troppo facilmente prevedibile è che i miliardi del Pnrr che saranno indirizzati verso le altre regioni non faranno altro che allargare il divario esistente tra la rete ferroviaria sarda e quella nazionale.
Occorre un radicale cambio di mentalità, violare radicati tabù, battere la rassegnazione e il pessimismo cronico. E’ assolutamente necessario, direi imprescindibile, ricostruire la rete ferroviaria sarda secondo criteri e modalità adeguati ai tempi e alle necessità, con buona pace del compianto ing Benjamin Piercy che nell’ottocento realizzò l’attuale rete ferroviaria isolana, un’opera apprezzabile per quei tempi e per larga parte ancora non modificata. Lo stesso ingegnere Piercy, se fosse ancora tra noi, sarebbe il primo a dirci che il binario unico, i tratti ferroviari a scartamento ridotto, i percorsi inadeguati per incrementare la velocità dei nuovi treni, la mancata elettrificazione delle linee ferroviarie, non sono più compatibili con le necessità attuali della regione. Ci si deve convincere che la riforma dei trasporti è assolutamente necessaria e che la si può e la si deve realizzare. Purtroppo non la si potrà realizzare con la prima quota di finanziamenti europei erogati in queste settimane che , come è noto, dovranno avere attuazione entro il 2026. Abbiamo perso “il treno” e altri ne perderemo se non cambierà la capacità propositiva dell’attuale Giunta.
Occorre osare di più, fare un investimento strutturale per rifare la rete ferroviaria come intervento prioritario per avviare un nuovo sviluppo del sistema Sardegna.
Vediamo intanto che si può fare dopo aver preso atto che non si potrà fare affidamento sulla prima quota di finanziamenti del Pnrr. Il Governo Draghi, per bocca del ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, assicura che altre consistenti risorse saranno disponibili per finanziare progetti in Sardegna. Il Pnrr e il Fondo complementare non sono l’unica fonte finanziaria disponibile. Ci sono anche il Fondo Sviluppo e Coesione, gli 80 miliardi dei fondi europei 2021-2027 destinati all’Italia e i fondi pluriennali per gli investimenti. Il tema, quindi, non è ciò che al momento non si potrà fare il Pnrr, ma come si può usare al meglio il quadro finanziario complessivo disponibile.
Per tale motivo il governo proporrà ai presidenti di regione l’apertura di tavoli territoriali e regionali per affrontare in modo sistemico la programmazione delle infrastrutture e dei trasporti dei prossimi anni. Naturalmente una parte dei fondi sarà decisa dalle Regioni, una parte dallo Stato ma resta di vitale importanza che ci sia una progettualità coordinata e complementare in modo da rafforzare gli interventi.
Sarà pure necessario avviare una seria riflessione sugli indirizzi programmatici da privilegiare compiendo scelte oculate. Per esempio, ha ancora senso pensare alla elettrificazione delle linee ferroviarie se, dietro l’angolo, si affaccia la prospettiva dei treni alimentati a idrogeno? Non c’è il rischio di spendere quasi inutilmente delle risorse per l’elettrificazione pur sapendo che tale pratica sarà presto desueta per l’arrivo dei treni alimentati con l’idrogeno? Per questo il presidente Draghi, nel colloquio dei giorni scorsi col presidente Solinas, ha posto l’accento sull’attenzione che il governo riserverà per la Sardegna.
Il tema delle ferrovie è certamente rilevante, ma lo è anche quello della manutenzione delle strade. Per questo entro settembre si procederà al commissariamento di 10 interventi sulla rete stradale della Sardegna per complessivi 1,8 miliardi di euro. Il commissario straordinario sarà probabilmente lo stesso presidente Solinas. Personalmente considererei tale eventualità abbastanza discutibile. Non si può mettere la volpe a fare la guardia al pollaio.
Per dieci opere di particolare importanza e urgenza per i trasporti stradale è previsto un percorso istruttorio super rapido che passa dal Consiglio superiore dei lavori pubblici in cui siederanno i rappresentanti dei vari ministeri per dare tutte le autorizzazioni richieste. La velocizzazione riguarderà tutte le fasi della realizzazione e tra queste la capacità delle Regioni e dei Comuni di procedere, ad esempio, alla preparazione dei bandi. Ciò che è accaduto finora nella predisposizione dei progetti non dovrà ripetersi in futuro.
La carenza di risorse umane competenti è spesso indicata come una delle cause dei ritardi. Negli accordi sottoscritti a luglio e agosto, in sede di conferenza Stato-Regioni sono stati già ripartiti 9 miliardi del Pnrr e soprattutto del fondo complementare. Ad agosto sono stati firmati i vari decreti e ora il concreto utilizzo delle risorse spetta di competenza alle Regioni e ai Comuni. Il governo monitorerà il processo e curerà, con concorsi già banditi, l’assunzione di personale qualificato da assegnare alle amministrazioni territoriali. Questo modo innovativo di procedere rappresenta una rivoluzione rispetto al passato che non riguarda solo il Governo, ma dovrà estendersi tutte le pubbliche amministrazioni.
Ma il problema principale, giova ripeterlo, resta comunque la capacità di progettazione della Regione che finora ha clamorosamente mancato gli obiettivi in termini di visione prospettica dello sviluppo e in termini di progettazione. Ora serve un’azione politica ben definita e immediata. Lo Stato deve riconoscere subito il gap infrastrutturale della Sardegna e deve fare diventare una priorità la progettazione di una nuova rete ferroviaria per l’isola. L’esempio del ponte Morandi ha dimostrato che anche l’Italia, quando si creano le condizioni necessarie sa essere efficiente e rapida nella progettazione ed esecuzione delle grandi opere. L’emergenza trasporti della Sardegna non è inferiore a quella della ricostruzione del ponte Morandi. Perché senza una rete moderna ed ecologica di trasporti l’isola è destinata a rimanere ai margini dei programmi di sviluppo.
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Per correlazione.
Nel riportare il quadro fosco della situazione dei trasporti in Sardegna, con particolare riferimento alle Ferrovie, confermando il vuoto di progettualità che marca il governo regionale, particolarmente grave nella circostanza dell’opportunità dei finanziamenti PNRR (inesorabilmente perduta?), ci sembra importante dare rilievo a una significativa eccezione costituita dal progetto del “Comitato spontaneo Trenitalia nuorese”, supportato dal docente universitario Gianfranco Fancello, ben sintetizzato nell’articolo de La Nuova Sardegna del 14 agosto 2021, che sotto segnaliamo. Sconsolatamente constatiamo che nel Pnrr non c’è nemmeno un euro stanziato neppure per questo progetto rivoluzionario. Con una buona dose di pessimismo lasciamo tuttavia uno spazietto all’ottimismo del prof. Gianfranco Fancello: «Siamo ancora in tempo. Serve una forte mobilitazione di natura politica e delle parti sociali. Questo è un progetto che va sostenuto perché rilancia globalmente il sistema sardo e mette le coste occidentale e orientale in collegamento tra loro, ed entra nelle zone interne dando una possibilità di sviluppo».
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Nuoro-Olbia: la scheda c’è, i soldi no.
Su La Nuova Sardegna del 14 agosto 2021.
Omaggio a Gino Strada
Un santo, laico.
di Gianfranco Fancello, su fb.
Per descrivere la grandezza di Gino Strada non servono grandi discorsi, ma sono sufficienti due parole: santo laico.
Perché non può che essere definito così chi, come lui, ha letteralmente salvato dalla morte migliaia di vite umane mettendo, ogni volta, a repentaglio la propria. Lo ha fatto sotto le bombe, in mezzo al mare, fra le mine antiuomo. Lo ha fatto perché, da ateo (quale si professava), aveva un altissimo concetto di sacralità dell’uomo che, in quanto tale, in quanto persona, in quanto essere vivente, doveva essere sempre protetto e tutelato, indipendentemente dal colore della pelle, dal credo religioso, dall’etnia, dalla condizione economica. Sempre protetto, accolto, difeso. Sempre. A costo, anche della vita, la propria.
Dove c’era bisogno di soccorso, lui c’era. Dove c’era bisogno di aiuto, lui c’era. Dove c’era bisogno di medici, di ospedali, di chirurghi, lui c’era. Un santo, appunto.
Mi sono spesso interrogato sul suo ateismo che, lo confesso, un po’ mi sorprendeva. In realtà l’ho sempre considerato (è così continuo a farlo) un ateismo militante: infatti ho sempre visto Gino Strada molto più vicino a Dio di tanti “falsi” credenti, che si dichiarano tali per convenienza, per abitudine, o, peggio ancora (e gli esempi non mancano) per spudorato interesse personale: questi in realtà, basano il proprio credo sull’egoismo, sull’arroganza, sulla centralità della persona, la propria. Esattamente il contrario di Gino Strada, che, da ateo, ci ha mostrato una strada (ops… ma guarda un po’…) di fratellanza, di solidarietà, di amore per il prossimo, per il diverso, per il debole, per il ferito, molto spirituale e di forte impronta morale.
Forse il suo ateismo era frutto delle sue tante vite, passate negli angoli sperduti del mondo, a curare le ferite di cristiani, mussulmani, induisti, buddisti, pagani, non credenti; con ognuno di loro entrava in empatia, ad ognuno di loro apriva il suo cuore, soprattutto per sanare le cicatrici dell’anima. Con ognuno di loro parlava lo stesso linguaggio, quello della pace, del rifiuto della guerra, della concordia, linguaggio trasversale fra le religioni e quindi universalmente valido. Ateismo quindi non come rifiuto, ma come somma di pluralità, come incapacità di scelta di un credo a scapito degli altri.
Cosa ci lascia in eredità? Tante cose: un’associazione umanitaria fra le più grandi al mondo, diversi ospedali localizzati in zone difficili e dì frontiera, tanti medici, infermieri ed operatori che si spendono in prima persona in condizioni di difficoltà e di disagio.
Ma soprattutto un grande insegnamento morale, quello della solidarietà a prescindere, di lotta alla discriminazione, di amore e fratellanza per il diverso. Tutti insegnamenti degni di un santo. Laico, ma sempre santo.
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Gino Strada, laico ma sempre santo. E titolare della “cattedra dei non credenti”.
Nel condividere le riflessioni di Gianfranco Fancello sulla figura di Gino Strada, per il quale propone l’attribuzione della qualità di “santo laico” scopro che nella sostanza poco differirebbe dalla qualità di “santo religioso” secondo quanto prevede la Chiesa cattolica, prescindendo per un momento da quanto differenzia i credenti dai non credenti. Leggo su Wikipedia alla voce “santo”:
“Per i cattolici, il santo è colui che pienamente risponde alla chiamata di Dio a essere così come Egli lo ha pensato e creato, frammento nel quotidiano del suo amore per l’umanità. La fede cattolica insegna che Dio ha per ogni persona un’idea particolare, e assegna a ognuno un posto preciso nella comunità dei credenti. Non esistono dunque caratteristiche univoche di santità, ma nella teologia cattolica, ognuno ha una santità particolare da scoprire e porre in atto. Santo, per la fede cattolica, può e deve essere chiunque, senza la necessità di particolari doni o capacità. (…) Il santo viene proposto come modello a tutti i fedeli e agli uomini di buona volontà non tanto per quanto ha fatto o detto, ma poiché si è messo in ascolto e a disposizione di Dio accettando, nella fede, che fosse Lui a dirigere attraverso l’opera dello Spirito Santo la sua vita. Per la Chiesa cattolica, dunque, a dover essere imitato è soprattutto l’atteggiamento di obbedienza a Dio e l’amore per il prossimo che ogni santo ha reso reale nei modi più diversi”. La vita di Gino Strada corrisponde proprio alla chiamata di Dio perché si ponesse a totale servizio dell’umanità (frammento nel quotidiano del suo amore per l’umanità), come davvero ha fatto. Certo Gino non credeva che questa sua missione provenisse da una chiamata divina. Ma, all’atto pratico, che ci importa? Avessimo tanti Gino Strada credenti o non credenti, o diversamente credenti!
Un’altra riflessione. Per connessione pensando a Gino Strada mi è venuta in mente l’esperienza della “Cattedra dei non credenti” inventata e praticata dal card. Carlo Maria Martini negli anni 1987-2002 durante il suo episcopato nella Diocesi di Milano, che sarebbe bene riproporre, aggiornata in metodi e contenuti ma mantenendo motivazioni e impostazione (ne riparleremo). Si trattava di una proposta insolita “non solo ascoltare i non credenti o dialogare con loro, ma metterli ‘in cattedra’, per farsi interrogare da loro e dalla dinamica generata dal confronto”. Di questa cattedra sicuramente Gino ne sarebbe stato uno dei degni titolari. E nel tempo che verrà, se come auspichiamo l’iniziativa verrà riproposta, lo sarà, attraverso le testimonianze che ci ha lasciato (scritti, video) e con la presenza dei suoi continuatori della missione di Emergency.
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Riportiamo di seguito l’intervista che Gino Strada rilasciò nel 2019 al Corriere della Sera, che ci sembra utile segnalare, soprattutto in alcuni passaggi, anche in relazione alle riflessioni che precedono di Gianfranco Fancello e Franco Meloni.
Gino Strada: intervista al Corriere [2019]
Venerdì 13 agosto, è scomparso Gino Strada. Aveva 73 anni. Medico, filantropo, attivista, nel 1994, insieme alla moglie Teresa Sarti, Strada ha fondato la ong umanitaria Emergency. Riproponiamo qui l’intervista che ha concesso al Corriere nel 2019, in occasione del 25esimo anniversario della fondazione di Emergency.
Emergency fa 25 anni. Che cosa si regala?
«Un ospedale in Uganda, disegnato gratis da Renzo Piano. Costruito con terra di scavo. Poi andremo a farne uno in Yemen».
Altro bel posto complicato…
«Il peggio è la Somalia. Ci ho provato per dieci anni: con gli Shabaab non si parla. Idem in Cecenia, rien à faire. Tirano su il muro. A un certo punto, devi rassegnarti».
Ma come fa, Gino Strada, a entrare in questi posti?
«Non ho ricette. In Sudan, ci chiese d’intervenire il governo. In Iraq, andammo alla ventura con tre macchine da Milano. Prima di partire si parla con tutte le parti: guardate che non c’entriamo con la vostra guerra… Mai avuto un morto, facendo le corna. Ma la gestione della sicurezza dev’essere precisa».
Come fu la prima riunione, nel 1994?
«A casa mia a Milano, fino a ore tarde. Carlo Garbagnati, una ventina d’amici, non tanti medici (erano scettici). E la mia adorata Teresa, che sarebbe diventata insostituibile. Ci fu una cena al Tempio d’Oro, in viale Monza. Raccogliemmo 12 milioni di lire, ma volevamo cominciare dal genocidio in Ruanda e non bastavano. Ne servivano 250. Io dissi: beh, ragazzi, firmiamo 10 milioni di cambiali a testa… Per fortuna venni invitato da Costanzo e, puf, la tv è questa cosa qui: in un paio di mesi, arrivarono 850 milioni. Gente che mi suonava al campanello di casa, ricordo una busta con dentro duemila lire spillate».
È vero che litigò con la Croce rossa?
«Quella italiana non esiste. Ma della Croce rossa di Ginevra ho gran stima. Avevo girato per loro, dall’Etiopia al Perù. Solo che a un certo punto s’erano disimpegnati dalla chirurgia di guerra. Che è difficile, costosa, rischiosa».
E il nome?
«Lo scelsi io. Era l’aggettivo all’inizio d’Emergency-Life Support for Civilian War Victims. Troppo lungo: l’aggettivo diventò sostantivo».
Settantanove progetti in sette Paesi, 120 dipendenti, 9 milioni di persone curate. Questa nuova sede vicino a Sant’Eustorgio…
«È la chiesa più antica di Milano, sa che non ho ancora avuto il tempo di visitarla? Nessuno pensava a dimensioni simili. Anni lunghi, faticosi. Siamo cresciuti con la solidarietà della gente. Anche ora che le Ong sono criminalizzate. Quel procuratore di Catania, Zuccaro, ci ha provato e non è uscito niente. Quando ammetterà che era tutta una balla?».
Volevano la tassa sulla bontà per colpire chi s’arricchisce…
«Anche noi avevamo una nave per salvare i migranti, ma costava troppo: 150mila euro al mese. È verosimile che certi meccanismi lascino spazio a comportamenti illegali. Ma non cambi la tassazione delle Ong solo perché tre sono poco chiare: indaghi su quelle tre!».
Vi sentite danneggiati?
«Han creato sfiducia nella gente. Dal 2011 abbiamo raddoppiato il budget, ma i progetti sono tanti. Un ospedale è un debito continuo, ogni anno i ricoveri aumentano del 30%. In Afghanistan, il sistema sanitario siamo noi».
Un caso che non dimentica?
«Un ragazzino, Soran, operato in Iraq. Aveva una gamba amputata da una mina. Qualche anno fa è venuto a trovarmi. Fa l’avvocato».
Il giorno più duro?
«Quando rapirono i nostri in Afghanistan e in Sudan. Anche nel caso Mastrogiacomo rischiai. Mi chiedevo: ha senso mediare? Sì, perché c’era un uomo che rischiava più di me».
Ha lavorato con Christiaan Barnard…
«Elegantissimo, con la sua Mercedes, ma ormai operava poco per l’artrosi alle mani. I miei modelli furono Staudacher e Parenzan».
E la chirurgia di guerra chi gliela insegnò?
«Era un’attività di nicchia. La faceva la Croce rossa. E i militari, che però erano proprio un altro mondo. Nel ’91, guerra del Golfo, i militari chiesero a Ginevra d’andare in Bahrein. Avevano allestito un ospedale da 5mila posti letto. Vuoto. Mandammo 101 chirurghi inglesi. Ma fecero un solo intervento: a un mignolo».
Il mondo umanitario a volte è pura rivalità. In Sierra Leone, i medici olandesi e francesi di Msf nemmeno si parlavano…
«C’è anche molto dilettantismo, favorito dai grandi donatori. In Kurdistan, vidi un palazzo per la posta aerea pagato dall’Ue. Gli aeroplanini dipinti, la scritta Air Mail. Inutile, costava un’enormità. Lo usavano come hotel».
Libia, Palestina… Perché state alla larga?
«I libici sono tosti, chiudemmo perché non arrivavano feriti di guerra, solo delinquenti locali. E ci pigliavano a sassate. Coi palestinesi ci ho provato, un ospedale a Ramallah. Andai dal ministro. Mi disse: “Ma voi avete 5 milioni da spendere? Sa, un posto letto vale 100mila dollari”. Arrivederci… Ho sempre pensato che una parte d’aiuti alla Palestina finisca altrove».
Paesi nel cuore?
«L’Afghanistan. E il Sudan: non ci credeva nessuno che si potesse fare cardiochirurgia in uno Stato canaglia. C’era una rivista di sinistra, Aprile, con un solone della Cooperazione che mi spiegava di che cosa c’era davvero bisogno in Sudan… Perché? Gli africani non hanno bisogno d’essere operati al cuore? La salute non è solo un diritto degli europei. Qui hai la tac e la risonanza magnetica, lì due aspirine e vai? L’eguaglianza dev’essere nei contenuti, non solo nelle idee».
Trattate col dittatore Bashir…
«Se un regime è oppressivo, la gente sta male. E noi ci andiamo. Quelli che noi chiamiamo dittatori, in Africa sono presidenti. E loro come dovrebbero chiamare i nostri “presidenti” Orbàn o Erdogan?».
Quando pecunia olet?
«Quando arriva dal crimine. E chi dona, pretende di decidere chi devi operare e chi no».
Le amicizie d’una vita?
«De André, Eco, Chomsky. Adesso, Renzo Piano. Quando morì Teresa, mi scrisse una lettera splendida. Gli telefonai a Parigi per ringraziarlo. Ci siamo chiamati per quattro anni senza vederci. Amicissimi, ma non sapevo nemmeno che faccia avesse».
Dio?
«Non ne sento alcun bisogno. Penso che il significato delle cose stia nelle cose stesse, non al di fuori o al di sopra. Questo non m’ha precluso l’amicizia con don Gallo, Alex Zanotelli, don Ciotti, a parte qualche bestemmia che ogni tanto mi scappava. Mi piacerebbe incontrare Papa Bergoglio, parlare dell’abolizione della guerra. Una volta era un tema, oggi è dimenticato».
Dicono che lei sia un pacifista utopista…
«Utopista va bene: secoli fa, era utopia abolire la schiavitù. Pacifista, no: lo sono anche i parlamentari che poi votano per le guerre».
Sergio Romano scrisse: Emergency fa del bene, ma non è neutrale.
«Nessuno può essere neutrale. Non puoi esserlo, su un treno in corsa. Come fai a esserlo in Iraq? Però non siamo neanche di sinistra: scegliamo la vita, la giustizia, l’uguaglianza».
Aveva simpatie per Ingroia, per Tsipras…
«Quelle sono cose che ti appiccicano addosso. Certo, trovo Prodi una persona ragionevole, anche se polemizzammo sull’Afghanistan (credo che oggi saremmo più in sintonia). E trovo Salvini razzista. Io poi sono di Sesto San Giovanni e ieri ho firmato una petizione perché apre Casa Pound. Quest’idea imbecille d’una società violenta e rancorosa, che ti spinge a trovare chi sta peggio di te e a dargli la colpa dei tuoi guai. Mai uno di loro che punti il dito su quelli che stanno meglio, eh?».
In Italia, avete 13 progetti.
«Un’Italia sconosciuta. Castel Volturno, Polistena, questi bei posticini. Povertà, degrado, schiavismo, situazioni che non ho mai visto neanche in Sudan. Quando abbiamo aperto a Marghera, pensavamo d’essere nel ricco Nord Est e d’avere solo stranieri. Invece il primo paziente fu uno di Mestre, un bell’uomo. Era stato un campione italiano alle Olimpiadi. Ma poi aveva perso il lavoro e i denti, mangiava male. E non poteva pagarsi una protesi».
Se i grillini l’avessero candidata al Quirinale, come volevano, sarebbe diventato il capo delle Forze armate. Che cosa avrebbe fatto?
«Ritiro dalle missioni all’estero. Smantellamento degli arsenali stranieri in Italia. Riduzione degli armamenti. Ma era una boutade, non ci ho pensato neanche un momento».
L’hanno candidata al Nobel per la pace…
«Accade ogni anno. Ci sono delle regole, il candidato non sa mai chi lo candida. Accettarlo? Mah, l’hanno talmente svilito: Obama l’ebbe per un semplice discorso, Kissinger con tutti i golpe che ha organizzato, l’Ue che tira su muri e nei Balcani fece una guerra tra le più sanguinose del secolo…».
Sua figlia Cecilia tornerà in Emergency?
«Non lo so. Non discutiamo più delle vicende che l’hanno spinta ad andarsene. Ma abbiamo ancora un buon rapporto».
Che padre è stato? Cecilia raccontò una volta che all’asilo le mandava le cartoline dal mondo, da adolescente lei le vietava la discoteca, da adulta ha imparato la sua ironia…
«L’ironia e la discoteca, è vero. Ma non le mandavo solo cartoline dal mondo. C’inventavamo giochi, letture. All’asilo, sono andato anche a fare il buffone».
Si sente stanco?
«Purtroppo ho 70 anni e sono afflitto da una malattia inguaribile, la vecchiaia. Non so come faccia Renzo Piano, 12 ore d’aereo e subito altre otto in cantiere. Forse la vita del chirurgo è molto usurante e ha ragione Woody Allen: non conta l’età, conta il chilometraggio. In alcuni posti ho lasciato la salute. L’anno in Sierra Leone è stato devastante, perché ebola non è diverso dalla guerra: il nemico non lo vedi, ma ogni passo che fai potrebbe essere l’ultimo».
Hanno dato il suo nome a un asteroide, il 248908 Gino Strada…
«Una volta ho fatto i conti sulla superficie: potrebbe venirci fuori un bilocale. Un buon rifugio per il weekend. Però è a otto milioni di anni luce, un po’ lunga: ho ancora troppo da fare, qui».
Chi sono i Protestanti?
Si avvia il cammino sinodale.
IL POLIEDRO
protestanti
di Brunetto Salvarani su Rocca.
[segue]