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Guerra o Pace?

b8d4f079-0a9d-4306-b131-9b630a570a4ecostituente-terra-logo Costituente Terra Newsletter n. 124 del 5 luglio 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n. 304 del 5 luglio 2023

IL DIRITTO E LA STRAGE

Cari amici,
un appello al governo perché la smetta di inviare armi e imbocchi invece la via della pace è stato fatto da quanti hanno partecipato a un incontro su “Guerra o pace?”- da Domenico Gallo ad Alfiero Grandi, da Barbara Spinelli al generale Fabio Mini, dall’ex ambasciatore Cassini alla vice-presidente del Senato Mariolina Castellone – tenutosi il 30 giugno alla Biblioteca del Senato. Nello stesso tempo “la Repubblica” pubblica oggi “a caratteri di scatola”, come si diceva una volta: “Bombe italiane per Kiev”.
Ma qui nasce un problema. Qual è la natura di queste bombe? E come si definisce il fatto di mandarle? Trattandosi di bombe e proiettili, e non di armi antiaeree, si tratta di arnesi non ordinati a sventare una minaccia, ma di armi di combattimento, intese all’annientamento, alla ritorsione o vendetta sul nemico. Il loro scopo è ovviamente di distruggere e uccidere. E come si qualifica questa azione? Non poniamo qui la questione sul piano morale, estraneo purtroppo all’attuale discorso comune, ma sul piano fattuale e giuridico.
Sul piano fattuale si tratta ovviamente di una violenza indiscriminata, comunque motivata, contro cose e persone. Sul piano giuridico, fino alla Carta dell’ONU che ha messo fuori legge la guerra, era un’azione perfettamente legittima, perché il distruggere e l’uccidere – a parte gli eccessi configurabili come crimini di guerra, di cui però non sempre si tiene conto, come per esempio fu a Hiroshima e Nagasaki – era giustificato e promosso dallo stesso diritto di guerra. Ma anche oggi molti Stati si comportano come se quel diritto ancora esistesse e considerano le guerre che fanno come legittime, eroiche e salutari, e su loro istigazione anche le opinioni pubbliche purtroppo se ne fanno persuase. Tuttavia perché questo distruggere e uccidere possa ancora essere pensato come eroico e legittimo, bisogna che la guerra ci sia, che vi si sia effettivamente e pubblicamente coinvolti, se non addirittura che sia “dichiarata”. Altrimenti, come è stabilito fin dalla nascita del diritto pubblico e dello Stato moderno, l’uso non autorizzato della violenza e della forza è un crimine, un reato di lesioni, di omicidio o di strage. Dunque è una ignominia e un peccato grave anche se commesso da persone giustissime e miti, di cui la guerra è il grande lavacro. È così che lo racconta Joseph De Maistre, il mistico della guerra: “al primo segnale, il giovane più amabile, educato all’orrore per la violenza e per il sangue, lascia la casa paterna e corre, armi alla mano, a cercare sul campo di battaglia colui che egli chiama ‘nemico’, senza neppur sapere cos’è un nemico. Il giorno prima si sarebbe sentito in colpa se avesse schiacciato per caso il canarino della sorella; il giorno dopo lo vedete salire su un mucchio di cadaveri ‘per vedere più lontano’, come diceva Charron. Il sangue che sgorga da ogni parte gli serve da sprone per spargere il suo e quello altrui, egli si infiamma gradatamente fino a raggiungere ‘l’entusiasmo per il massacro’”. Per questa ragione i soldati americani che combatterono in Vietnam, anche se autori della strage di Mỹ Lai sono circonfusi di gloria e sepolti nel cimitero di Arlington, mentre i ragazzi che comprano il fucile e uccidono nel cortile della scuola sono assassini, e Biden si indigna perché il congresso non proibisce che si vendano loro le armi.
Dunque è la guerra che “giustifica”. Ma l’Italia non è in guerra, anzi, secondo il politicamente corretto “la Russia non è il nemico”. Dunque se mandiamo le armi per uccidere siamo mandanti di omicidio e di strage, ai sensi del diritto vigente, come i capomafia che ordinano i delitti a distanza. Certo, la nostra presidente del Consiglio, nonostante qualche tono alto, non ha entusiasmo per il massacro, ma l’Italia e mezzo mondo che senza guerra concorrono alle reciproche stragi in Ucraina (si parla già di 330.000 morti, 200.000 russi e 130.000 ucraini) anche senza entusiasmo il massacro lo fanno.
Se poi si dice che a legittimare il massacro, anche senza guerra, è la politica (o una maggioranza eletta in buona e debita forma) vuol dire che non c’è più differenza tra guerra e politica, non si può più distinguere tra tempo di pace e tempo di guerra; ma allora è tutto il mondo sbagliato, e anzi gloriosamente perverso.
Nel sito pubblichiamo l’appello del Convegno romano su “Guerra o pace?”, e un intervento sui protagonisti del conflitto in Ucraina pronunciato in tale convegno [anche di seguito su Aladinpensiero online].
Con i più cordiali saluti,
Chiesadituttichiesadeipoveri
Costituente Terra (Raniero La Valle)
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Pubblichiamo di seguito la relazione di Raniero La Valle al Convegno “Guerra o Pace”.
AL SENATO
di Raniero La Valle
Posta l’alternativa “Guerra o pace?” è molto importante cercare di capire qual è la vera natura di questa guerra. Sempre più appare che essa non è un accadimento circoscritto, ma un capitolo di una guerra costituente che investe tutto l’ordine internazionale e lo struttura come un sistema di dominio e di guerra, i cui effetti sono imprevedibili e possono essere devastanti per tutti i soggetti della comunità mondiale.
Presa in se stessa, questa d’Ucraina è una guerra quanto mai stupida. La guerra infatti non solo può essere dulce inexpertis, non solo può essere aliena a ratione, non solo è contro il diritto, non solo è efferata, ma può essere anche estremamente stupida. E questa lo è. Non ci voleva niente a evitarla, e poteva ben presto finire, 15 giorni dopo, con gli accordi di Antalya subito ricusati dalla NATO.
Dato che questo non è successo, vediamo quali sono i ruoli che nella guerra hanno giocato i diversi protagonisti: lo sfidante, il nemico, la vittima, i vincitori, gli sconfitti.
1. Gli sfidanti sono gli Stati Uniti che dopo la rimozione del muro di Berlino, si sono prefissi di instaurare un ordine mondiale fatto a loro immagine e misura e conformato a un unico dominio. Secondo i documenti strategici dell’amministrazione americana -Casa Bianca e Pentagono – (gli ultimi dell’ottobre scorso) dovrebbe trattarsi di un ordine fondato sui tre pilastri della democrazia, della libertà e della libera impresa e dovrebbe realizzarsi entro questo decennio con l’eliminazione della Russia e la sfida finale con la Cina. Pertanto la guerra d’Ucraina si è presentata come una buona occasione per cominciare col liquidare la Russia, senza nemmeno dover combattere. Secondo Biden bisognava ridurre la Russia alla condizione di paria, ed eliminarla dalla competizione strategica per il dominio globale. Questo dice qual è l’alternativa reale per cui si combatte in questa guerra: o un mondo unipolare e monocratico uniformato a un solo modello culturale e politico, o un mondo pluralistico ma in pace con tutte le sue diversità e le sue dialettiche. E questa è anche la vera scelta che è posta davanti a noi.
2. Il Nemico è naturalmente la Russia. In lei l’Occidente ha ritrovato Il nemico che aveva perduto grazie alla rimozione gorbaciovana del muro di Berlino. L’Occidente ne aveva bisogno perché senza nemico non si può recuperare lo strumento della guerra, come invece, finita la deterrenza, si è affrettato a fare con la guerra del Golfo; ne aveva bisogno perché senza nemico ad Est non può stare in piedi la NATO ad Ovest, e perché senza la coppia amico-nemico secondo la nostra cultura viene meno anche la politica, il “criterio” del politico. La Russia ci ha messo del suo a farsi prendere per nemico, si è offerta alla recriminazione universale, perché mentre aveva ragione nell’opporsi alla NATO in Ucraina e alla repressione nel Donbass, muovendo guerra è precipitata nel torto e ha dato un alibi alla frenesia antirussa imperante in Occidente. Tuttavia la Russia di Putin ha tenuto sotto controllo la sua forza, scegliendo di condurre una guerra circoscritta e a bassa intensità, invece di invadere tutta l’Ucraina e occupare Kiev, come avrebbe potuto fare data la disparità delle forze in campo. Non lo ha fatto non perché non ci è riuscita a causa della sua impreparazione militare, ma perché la posta in gioco non è l’Ucraina, ma l’ordine del mondo.

E un uso controllato della forza ha fatto Putin anche nei confronti della rivolta della Wagner; avrebbe potuto sparare e fermare così la marcia verso Mosca, e non l’ha fatto, scegliendo una soluzione politica (con i terroristi dunque si tratta, al contrario dell’ortodossia corrente in Italia!) e scongiurando una guerra civile.

3. La vittima, come sempre dice il Papa, è la martoriata Ucraina (oltre alle popolazioni povere di mezzo mondo colpite dalla crisi alimentare e energetica). Ma questa vittima ucraina è stata immolata non da uno solo, ma da molti officianti del sacrificio. Putin per primo l’ha individuata come il fulcro della contraddizione e causa della violenza e l’ha gettata nella guerra, ma gli amici e alleati dell’Ucraina l’hanno subito assunta come vittima da innalzare per una soluzione salvifica della crisi, e hanno fatto di Zelensky l’eroe sacrificato ai valori e all’identità dell’Occidente; Europa America e NATO hanno d’incanto raggiunto la loro unità, stabilendo la loro comunione nelle armi inviate alla vittima e nell’affidare alla sua morte sacrificale, spacciata come vittoria, i propri sogni di gloria; si è così stabilita intorno all’Ucraina un’unanimità violenta, che ha accomunato amici e nemici. A sua volta l’Ucraina ingannata dagli Alleati che le hanno promesso la vittoria sulla Russia, si è offerta essa stessa come vittima espiatoria con la decisione di bandire il negoziato, e di non ammettere altro esito che il recupero delle terre perdute, fino alla Crimea; ci sono pagine inquietanti di René Girard, il grande rivelatore dell’ideologia sacrificale, che hanno mostrato come molto spesso la vittima stessa si faccia complice della propria immolazione; e in Zelensky il sacrificatore si è fatto sacrilego perché sacra è la carne del suo popolo gettato nella fornace: anche a costo di restare in guerra per anni, come ha detto, intervistato a “Otto e mezzo”, il ministro degli esteri ucraino Kuleba. Nella logica del potere, come ha mostrato lo stesso Girard, le istituzioni dissimulano la loro propria violenza proiettandola su sempre nuove vittime.
4. I vincitori di questa guerra sono senza dubbio quei fabbricanti americani di armi che tra il 1996 e il 1998 investirono 51 milioni di dollari (94 milioni di oggi) in attività di lobbying per convincere congressisti e Casa Bianca a estendere verso Est la NATO, per espandere il mercato delle armi; come ha detto l’arcivescovo Delpini nel duomo di Milano in morte di Silvio Berlusconi, quando si fanno affari si guarda ai numeri e si dimenticano i criteri. Dimenticati i criteri, la guerra in Ucraina è venuta ed ha ripagato ad usura quell’investimento, dato che già 100 miliardi di dollari dagli Stati Uniti sono andati in armi e profitti per sostenerla.
5. E chi è lo sconfitto? Sconfitto è il progetto di un mondo tutto assorbito nel nuovo secolo americano, perché il mondo non ci sta ad essere ridotto a un unico Impero. Il mondo non è un’entità amorfa, primitiva, disponibile al dominio. È stata questa l’hybris dell’Occidente, la sua scalata al cielo. Mentre fiorivano altre civiltà, a lungo abbiamo creduto che il mondo fosse tutto compreso nella koiné greco-romana, poi lo abbiamo costituito in cristianità, e ora lo chiamiamo Occidente. Ma questa guerra segna la fine dell’Occidente, la sconfitta della sua pretesa di intestarsi la storia del mondo, di ricapitolarne tutti i valori.
Qual è stato il peccato capitale dell’Occidente? L’Occidente non ha riconosciuto l’altro, lo straniero, non lo ha considerato pari a sé. Nonostante il rovesciamento del cristianesimo e di san Paolo, l’Occidente si è portato dietro un’antropologia della diseguaglianza che da Aristotele, dalla società di signori e servi, di cittadini e meteci, di schiavi e liberi, è arrivata fino ad Hegel ed a Croce, passando attraverso la scoperta dell’America; solo questa è costata la scomparsa di 100 milioni di Indiani, di cui anche teologi dell’Occidente dubitavano che avessero l’anima. L’attuale paura della sostituzione etnica, la lotta ai migranti che vengono dal Sud, non a quelli che vengono dall’Ucraina, i porti chiusi, Cutro, sono figli di questa cultura della selezione e dell’esclusione. Non passa lo straniero! Ma, come dice Carl Schmitt, nel senso più estremo lo straniero non è solo l’altro, l’estraneo, ma è il nemico. E il nemico non è necessariamente il malvagio, il nemico è semplicemente l’altro da me; e in fin dei conti, come dirà poi lo stesso Schmitt alla fine della sua vita, grazie alla “sapienza della cella” in cui era rinchiuso per i suoi trascorsi col nazismo, il nemico è “colui che mette in questione me stesso”; in un certo senso dunque il nemico è qualcosa che sta dentro di noi, perché noi stessi siamo continuamente questione a noi stessi; ma ciò vuol dire che se l’Occidente non riconosce l’altro, non lo accoglie come un altro uguale a sé, lo rifiuta come prossimo, non conosce neanche se stesso, è diviso anche in se stesso, è nemico a se stesso.
Qualche giorno fa il Corriere della Sera, pubblicando un editoriale di Angelo Panebianco sullo stato del mondo, titolava così: “L’Occidente e il resto del mondo”. No, non c’è un Occidente che è il mondo, e un resto che è ciò che avanza del mondo, il residuo, lo scarto. Il mondo è uno, ma non per dominarlo come un Impero solo, e nemmeno per dargli un unico diritto, un unico Nomos. Non è questa l’universalità. L’Occidente ha avuto la vocazione alla vera universalità, ha generato messianismi e profezie, ha concepito una koiné che nell’armonia di ricchezze diverse si estendesse fino ai confini della Terra. È questa universalità che l’Occidente ha tradito. Ma non è mai troppo tardi per riafferrare il kairòs mentre fugge, e riaprire il futuro.
Sarebbe tempo che l’Occidente recuperasse la sua vocazione, scongiurasse la fine e che insieme a tutti gli altri si mettesse in gioco per un’altra concezione del mondo, per salvare la Terra.
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CESSATE-IL-FUOCO: LA PAROLA ALLA DIPLOMAZIA
1. Dal convegno “Guerra o pace?”, svoltosi in una sala del Senato il 30 giugno scorso, sono emerse le conclusioni riflesse in questo documento, con il quale si intende contribuire a dare rappresentanza sociale e politica ai sentimenti di pace che percorrono l’opinione pubblica e raccogliere le adesioni di coloro che ne condividano il contenuto.
2. Nel perdurare del conflitto in Ucraina, ci rivolgiamo ai parlamentari italiani per promuovere un cessate-il-fuoco presidiato da forze dell’ONU con la supervisione dell’OSCE, e il simultaneo avvio di negoziati per una conferenza di pace e sicurezza in Europa. Il protrarsi della guerra, infatti, rischia di aggravarsi fino al confronto nucleare, alla possibile destabilizzazione della Russia e alla caduta in mani incontrollabili del suo arsenale atomico. L’opzione proposta scongiurerebbe tali rischi, affronterebbe con gli strumenti della diplomazia le spine all’origine del conflitto, aprirebbe la via a nuove architetture di sicurezza nel nostro continente e permetterebbe di riportare la Russia nel consesso europeo in un quadro di collaborazione che eviti futuri confronti e prevenga il consolidarsi di sentimenti antioccidentali. Inoltre, offrirebbe all’Europa l’opportunità di farsi capofila della propria sicurezza, nella lealtà atlantica e con la dovuta attenzione alle azioni in corso da parte del Vaticano e di altri importanti interlocutori internazionali.
3. È urgente, quindi, dar luogo a un’iniziativa parlamentare che ispiri il Governo italiano, e gradualmente tutti i membri dell’Unione Europea e dell’Alleanza, a una visione lungimirante per l’Europa, in modo da non distogliere energie dai temi planetari della nostra epoca e scongiurare l’infausta prospettiva di lasciare alle giovani generazioni un mondo devastato dall’odio. L’avvio di un negoziato – e di una visione – di pace si avvarrebbe di cultura e strumenti già disponibili e praticati in passato: i principi di Helsinki; le regole fondative dell’OSCE; le iniziative di cooperazione emerse dagli anni Novanta in poi nella stessa Alleanza Atlantica. Lo scopo finale sarebbe la costruzione, in Europa, di un sistema di garanzie reciproche che nessuno avrebbe interesse a scardinare. La ricostruzione dell’Ucraina farebbe ovviamente parte del progetto.
4. Questo documento si propone di tradurre in iniziativa politica il diffuso e crescente desiderio di pace che attraversa l’Italia e l’Europa. Attorno a esso intendiamo raccogliere componenti del Parlamento e della politica, al fine di indirizzare un chiaro messaggio all’Italia, all’Europa e agli Stati Uniti per la stabilità del nostro continente. Anche perché senza ampi correttivi da mettere subito in atto, le nuove adesioni alla NATO apportano ben pochi vantaggi; anzi, irrigidiscono ancor più il confronto globale. Perciò auspichiamo che nel prossimo Vertice di Vilnius non siano adottate precipitose decisioni sul futuro status dell’Ucraina che priverebbero il negoziato di un importante elemento di trattativa.
5. Chiediamo a chi condivida questo documento di aderire e rendersi disponibile a un coordinamento interparlamentare per gli obiettivi indicati. Non sarà un cammino facile, né breve. Tuttavia, è il solo che appare ragionevole, nel generale interesse.
Roma, 7 luglio 2023
Giorgio Maria Baroncelli, Diplomatico A/R
Elena Basile, Diplomatica A/R
Mauro Beschi, Presidenza Coordinamento Democrazia Costituzionale Mario Boffo, Diplomatico A/R
Rocco Cangelosi, Diplomatico A/R
Giuseppe Cassini, Diplomatico A/R
Guido Cerboni, Diplomatico A/R
Enrico De Maio, Diplomatico A/R
Tommaso di Francesco, Giornalista
Biagio Di Grazia, Generale
Domenico Gallo, Presidenza Coordinamento Democrazia Costituzionale Giovanni Germano, Diplomatico A/R
Alfonso Gianni, Direttore di Alternative per il Socialismo
Alfiero Grandi, Vicepresidente vicario Coordinamento Democrazia Costituzionale Raniero La Valle, Giornalista
Silvia Manderino, Vicepresidente Coordinamento Democrazia Costituzionale Roberto Mazzotta, Diplomatico A/R
Gian Giacomo Migone, Presidente Commissione Esteri Senato 1994-2001 Fabio Mini, Generale
Enrico Nardi, Diplomatico A/R
Alberto Negri, Giornalista
Angelo Persiani, Diplomatico A/R
Antonio Pileggi, Presidenza Coordinamento Democrazia Costituzionale Michelangelo Pipan, Diplomatico A/R
Armando Sanguini, Diplomatico A/R
Barbara Spinelli, Giornalista
Massimo Spinetti, Diplomatico A/R
Vittorio Tedeschi, Diplomatico A/R
Massimo Villone, Presidente Coordinamento Democrazia Costituzionale Vincenzo Vita, Presidente Associazione Rinnovamento della Sinistra
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È online Rocca 14/2023
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Lo Zar resiste

b8d4f079-0a9d-4306-b131-9b630a570a4ecostituente-terra-logo Costituente Terra Newsletter n. 123 del 28 giugno 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n. 303 del 28 giugno 2023
LA GUERRA COME PRODOTTO

Cari amici,
L’ammutinamento della Wagner in Russia si è concluso in negativo per il soldataccio Prigozhin e per i Servizi occidentali che, se era vera la vanteria che sapessero tutto già prima, non hanno saputo come muoversi e che fare; si è risolta invece in positivo per Putin che avrebbe potuto fermare a cannonate il convoglio mercenario sull’autostrada per Mosca, e ha invece ben calcolato i rischi preferendo la soluzione politica (con i terroristi dunque si tratta!) ed evitando la guerra civile. Contro le gioiose profezie di un collasso della Russia e di una sua débacle militare, la controffensiva ucraina non ha tratto dalla crisi alcun vantaggio e la guerra è continuata tale e quale.
Piuttosto l’avventura della Wagner ha acceso i riflettori sulla piaga degli eserciti mercenari e dei “contractors” che hanno integrato o addirittura sostituito gli eserciti di leva. Il pacifismo in Occidente ha salutato come una sua vittoria la rinunzia degli Stati alla coscrizione obbligatoria, ma in realtà è stata la vittoria dei guerrafondai che, scottati dall’esperienza del Vietnam (le cartoline precetto bruciate nei campus universitari) e dalla legittimazione dell’obiezione di coscienza, hanno realizzato che non potevano più fidarsi dell’esercito di popolo e del suo gratuito amore per la Patria e hanno optato per la prostituzione alla guerra e all’acquisto delle prestazioni militari per denaro. In tal modo sempre più alla guerra sono venuti meno gli alibi ideali (e i comportamenti sognati dalle Convenzioni di Ginevra) e sempre più essa si è resa intrinseca al denaro; come tutta la realtà assoggettata dal capitalismo, e prima ancora dal Nomos dell’Occidente, alla legge della cosa, la guerra è diventata un prodotto e gli uomini e le donne alle armi sono diventati il producibile, non solo a profitto delle industrie e del mercato delle armi, ma anche delle guerre da fare e del bottino e dei morti da scambiare tra le parti in conflitto.
Il sistema di dominio e di guerra a cui, a partire dal grande evento politico della rimozione del muro di Berlino, è stato conformato l’ordine internazionale e resa schiava la stessa condizione umana sulla Terra (ricordiamo il ministro che durante la guerra del Golfo spiegò alla Camera che ormai non si poteva più distinguere il tempo di guerra dal tempo di pace), si è così istituzionalizzato e dotato di tutte le garanzie per non essere messo in discussione e contestato in democrazia sulle singole guerre da fare.
Paradossalmente se oggi si vuole lottare per la pace e il ripudio del sistema di guerra, bisognerebbe lottare per il ripristino del servizio militare obbligatorio, tale però da essere finalizzato alla creazione di eserciti atti a difendere, in molti modi, non uno solo ma molti beni comuni di cui constano le Patrie; e potrebbero queste Forze Armate non essere sempre con le armi al piede, come fu per la missione militare italiana che alla caduta di Hoxha si recò senza armi in soccorso all’Albania e non per caso fu chiamata “Pellicano”. E con la coscrizione obbligatoria potrebbe perfino tornare l’obiezione di coscienza che in Italia, unico Paese al mondo, la legge riformata che fu elaborata in Parlamento dal Gruppo Interparlamentare (e interpartitico) per la Pace (GIP) chiama, in positivo, “obbedienza alla coscienza”.
Nel sito [ripreso anche da Aladinpensiero di seguito] pubblichiamo un articolo di Domenico Gallo su come è stata impedita la pace in Ucraina e in Europa dopo i primi negoziati seguiti all’inizio della guerra.
Con i più cordiali saluti,

Chiesa Chiesadituttichiesadeipoveri- Costituente Terra (Raniero La Valle)
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968958b9-f372-49d5-b0be-f796a1d73e66Ucraina: chi ha stracciato una pace possibile?
23-06-2023 – di Domenico Gallo

Nell’era della comunicazione, in cui siamo interconnessi con tutto il mondo e possiamo ricevere qualunque notizia in tempo reale, ancora una volta viene fuori che le Cancellerie delle grandi potenze agiscono nel modo più occulto possibile e tengono rigorosamente nascoste le loro scelte di guerra che passano sulla testa dei popoli.

Credevamo che la diplomazia segreta, intessuta sulla pelle dei popoli appartenesse al passato, come avvenuto durante la Prima guerra mondiale quando, attraverso un Trattato segreto stipulato a Londra il 26 aprile 1915, un piccolo re concordò, all’insaputa del Parlamento e dell’opinione pubblica, l’entrata in guerra dell’Italia, ben sapendo che avrebbe determinato la morte di centinaia di migliaia di suoi sudditi. Invece adesso viene fuori che le Cancellerie dei principali paesi occidentali si sono mosse occultamente per sventare la pace, cioè per evitare che la sciagurata impresa bellica intrapresa dalla Russia si potesse rapidamente concludere con un accordo di pace, che ponesse le basi per la convivenza pacifica fra le due Nazioni. In verità il 16 marzo 2022 il Financial Times svelava un piano di pace in 15 punti, fondato sulla conciliazione dei diversi interessi in campo, che le parti avevano concordato nel corso dei negoziati russo-ucraini in Turchia. Si trattava di una anticipazione giornalistica, che non venne confermata dalle parti in causa. Però se ne potevano dedurre delle tracce dalle dichiarazioni di Zelensky e dei suoi più stretti consiglieri che, in più occasioni, riconobbero che l’Ucraina poteva rinunziare all’ingresso nella NATO e accettare uno status di neutralità. Già all’epoca, gli osservatori più attenti, come Jeffrey Sachs (intervista al Corriere della Sera del 1° maggio 2022) osservarono con sospetto che, a fronte di queste proposte di pace, l’Amministrazione USA aveva mantenuto un silenzio di tomba. In realtà non solo l’Amministrazione USA, ma anche la Gran Bretagna, i vertici dell’Unione Europea e le Cancellerie dei principali paesi europei hanno mantenuto un silenzio di tomba, in ciò aiutati dall’atteggiamento omertoso di quasi tutta la stampa che non ha mai posto domande che potessero disturbare il manovratore.

Adesso sappiamo che le indiscrezioni del Financial Time erano più che fondate: l’accordo di pace era stato raggiunto. Il 17 giugno, ricevendo la delegazione dei leader africani, guidata dal Sudafrica, il presidente russo Vladimir Putin ha reso noto che durante le trattative tra le delegazioni ucraina e russa svoltesi a Istanbul a fine marzo 2022, si era raggiunto un accordo molto dettagliato che prevedeva come punto centrale la neutralità dell’Ucraina e che, a seguito del ritiro delle truppe russe che circondavano Kiev, la guerra sarebbe finita. Putin ha mostrato il documento con la firma del capodelegazione dell’Ucraina. Subito dopo l’avvenuto ritiro delle truppe da Kiev e Charkiv, secondo Putin, l’accordo è stato stracciato dagli ucraini e gettato “nella pattumiera della storia”. Il documento, in 18 articoli, era denominato “Trattato sulla neutralità permanente e sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina”. L’accordo non si limitava a petizioni di principio, ma conteneva un allegato dettagliato con clausole specifiche, fino alle unità di equipaggiamento da combattimento e al personale delle Forze armate. Si trattava, pertanto, di un accordo specifico, concreto, del tutto idoneo a porre fine alla guerra.

Un indizio è la prova di un fatto ignoto che si desume da un fatto noto. Qui il fatto noto è l’esistenza di un trattato di pace che avrebbe posto fine alla guerra. Da questo fatto, non più contestabile, si deduce che vi è stata un’attività segreta, che si è sviluppata sulla pelle del popolo ucraino e degli altri popoli europei per sventare la pace. I principali indiziati sono gli USA e la Gran Bretagna, in quanto principali fornitori di armi all’Ucraina. L’accordo non è stato attuato perché evidentemente Biden e Johnson hanno posto il veto, assicurando a Zelensky che gli avrebbero fornito una tale potenza di fuoco da rovesciare le sorti del conflitto.

L’accordo non poteva essere sconosciuto agli Stati indicati come garanti della protezione dell’Ucraina neutrale da ogni aggressione, fra cui Francia, Germania, Stati Uniti, Regno Unito, Turchia; di conseguenza anche i vertici dell’Unione Europea ne dovevano essere a conoscenza. Essendo a conoscenza dell’accordo questi Stati e i vertici UE dovevano necessariamente essere a conoscenza anche delle manovre poste in essere per sventare la pace. Eppure hanno taciuto, hanno conservato un silenzio di tomba, evidentemente condividendo quelle condotte che hanno istigato l’Ucraina a stracciare l’accordo che i suoi stessi negoziatori avevano firmato. Quando si fanno dei misfatti occorre tenerli rigorosamente nascosti per poter conseguire lo scopo.

Lo scopo di inserire l’Ucraina nella grande “famiglia atlantica”, evidentemente, valeva centinaia di migliaia di morti, l’ecocidio dell’ambiente, sofferenze inenarrabili per le popolazioni coinvolte. Nascondendo questa verità, che la guerra poteva essere fermata dopo poche settimane dal suo scoppio evitando infiniti lutti, è stato compiuto un tradimento in danno di tutti i popoli europei. Per completare l’opera, anche adesso la notizia dell’accordo di pace sventolato da Putin è stata tenuta rigorosamente segreta da TV, giornali ed agenzie di stampa. Ma noi non possiamo tacere e la urliamo sui tetti.
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Guerra continua

968958b9-f372-49d5-b0be-f796a1d73e66Ucraina: chi ha stracciato una pace possibile?
23-06-2023 – di Domenico Gallo

Nell’era della comunicazione, in cui siamo interconnessi con tutto il mondo e possiamo ricevere qualunque notizia in tempo reale, ancora una volta viene fuori che le Cancellerie delle grandi potenze agiscono nel modo più occulto possibile e tengono rigorosamente nascoste le loro scelte di guerra che passano sulla testa dei popoli.

Credevamo che la diplomazia segreta, intessuta sulla pelle dei popoli appartenesse al passato, come avvenuto durante la Prima guerra mondiale quando, attraverso un Trattato segreto stipulato a Londra il 26 aprile 1915, un piccolo re concordò, all’insaputa del Parlamento e dell’opinione pubblica, l’entrata in guerra dell’Italia, ben sapendo che avrebbe determinato la morte di centinaia di migliaia di suoi sudditi. Invece adesso viene fuori che le Cancellerie dei principali paesi occidentali si sono mosse occultamente per sventare la pace, cioè per evitare che la sciagurata impresa bellica intrapresa dalla Russia si potesse rapidamente concludere con un accordo di pace, che ponesse le basi per la convivenza pacifica fra le due Nazioni. In verità il 16 marzo 2022 il Financial Times svelava un piano di pace in 15 punti, fondato sulla conciliazione dei diversi interessi in campo, che le parti avevano concordato nel corso dei negoziati russo-ucraini in Turchia. Si trattava di una anticipazione giornalistica, che non venne confermata dalle parti in causa. Però se ne potevano dedurre delle tracce dalle dichiarazioni di Zelensky e dei suoi più stretti consiglieri che, in più occasioni, riconobbero che l’Ucraina poteva rinunziare all’ingresso nella NATO e accettare uno status di neutralità. Già all’epoca, gli osservatori più attenti, come Jeffrey Sachs (intervista al Corriere della Sera del 1° maggio 2022) osservarono con sospetto che, a fronte di queste proposte di pace, l’Amministrazione USA aveva mantenuto un silenzio di tomba. In realtà non solo l’Amministrazione USA, ma anche la Gran Bretagna, i vertici dell’Unione Europea e le Cancellerie dei principali paesi europei hanno mantenuto un silenzio di tomba, in ciò aiutati dall’atteggiamento omertoso di quasi tutta la stampa che non ha mai posto domande che potessero disturbare il manovratore.

Adesso sappiamo che le indiscrezioni del Financial Time erano più che fondate: l’accordo di pace era stato raggiunto. Il 17 giugno, ricevendo la delegazione dei leader africani, guidata dal Sudafrica, il presidente russo Vladimir Putin ha reso noto che durante le trattative tra le delegazioni ucraina e russa svoltesi a Istanbul a fine marzo 2022, si era raggiunto un accordo molto dettagliato che prevedeva come punto centrale la neutralità dell’Ucraina e che, a seguito del ritiro delle truppe russe che circondavano Kiev, la guerra sarebbe finita. Putin ha mostrato il documento con la firma del capodelegazione dell’Ucraina. Subito dopo l’avvenuto ritiro delle truppe da Kiev e Charkiv, secondo Putin, l’accordo è stato stracciato dagli ucraini e gettato “nella pattumiera della storia”. Il documento, in 18 articoli, era denominato “Trattato sulla neutralità permanente e sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina”. L’accordo non si limitava a petizioni di principio, ma conteneva un allegato dettagliato con clausole specifiche, fino alle unità di equipaggiamento da combattimento e al personale delle Forze armate. Si trattava, pertanto, di un accordo specifico, concreto, del tutto idoneo a porre fine alla guerra.

Un indizio è la prova di un fatto ignoto che si desume da un fatto noto. Qui il fatto noto è l’esistenza di un trattato di pace che avrebbe posto fine alla guerra. Da questo fatto, non più contestabile, si deduce che vi è stata un’attività segreta, che si è sviluppata sulla pelle del popolo ucraino e degli altri popoli europei per sventare la pace. I principali indiziati sono gli USA e la Gran Bretagna, in quanto principali fornitori di armi all’Ucraina. L’accordo non è stato attuato perché evidentemente Biden e Johnson hanno posto il veto, assicurando a Zelensky che gli avrebbero fornito una tale potenza di fuoco da rovesciare le sorti del conflitto.

L’accordo non poteva essere sconosciuto agli Stati indicati come garanti della protezione dell’Ucraina neutrale da ogni aggressione, fra cui Francia, Germania, Stati Uniti, Regno Unito, Turchia; di conseguenza anche i vertici dell’Unione Europea ne dovevano essere a conoscenza. Essendo a conoscenza dell’accordo questi Stati e i vertici UE dovevano necessariamente essere a conoscenza anche delle manovre poste in essere per sventare la pace. Eppure hanno taciuto, hanno conservato un silenzio di tomba, evidentemente condividendo quelle condotte che hanno istigato l’Ucraina a stracciare l’accordo che i suoi stessi negoziatori avevano firmato. Quando si fanno dei misfatti occorre tenerli rigorosamente nascosti per poter conseguire lo scopo.

Lo scopo di inserire l’Ucraina nella grande “famiglia atlantica”, evidentemente, valeva centinaia di migliaia di morti, l’ecocidio dell’ambiente, sofferenze inenarrabili per le popolazioni coinvolte. Nascondendo questa verità, che la guerra poteva essere fermata dopo poche settimane dal suo scoppio evitando infiniti lutti, è stato compiuto un tradimento in danno di tutti i popoli europei. Per completare l’opera, anche adesso la notizia dell’accordo di pace sventolato da Putin è stata tenuta rigorosamente segreta da TV, giornali ed agenzie di stampa. Ma noi non possiamo tacere e la urliamo sui tetti.
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La guerra infinita

b8d4f079-0a9d-4306-b131-9b630a570a4ecostituente-terra-logo Costituente Terra Newsletter n. 121 del 17 giugno 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n. 301 del 17 giugno 2023
BASSA INTENSITÀ?

Cari amici,
ha detto Putin, parlando a un incontro sull’economia internazionale a San Pietroburgo, che la Russia è in grado di colpire qualsiasi edificio a Kiev. Perché non lo fa? Con la sua potenza militare se avesse voluto avrebbe potuto già da tempo vincere la guerra con l’Ucraina. Non lo fa per tener fermo il punto, enunciato fin dall’inizio, che da parte russa questa non è una guerra, ma un’”operazione militare speciale”, cosa che è stata considerata da noi, in Occidente, come un’affermazione edificante e puramente propagandistica.
In realtà la linea seguita finora da Mosca sul campo è quella di una “guerra a bassa intensità” le cui ragioni sono evocate in un articolo di Alessandro Valentini in una analisi che, pur muovendo da una visione di parte, merita di essere presa in considerazione. La tesi che ne emerge è che la guerra si prolunga perché la posta in gioco non è l’Ucraina ma il conflitto tra due visioni dell’ordine mondiale.
In effetti, ma non solo da ora, bensì a partire dalla fine della contrapposizione tra i blocchi, si è delineato un conflitto tra un ordine unipolare e monocratico, presidiato da un unico potere militare e politico, che è la visione proposta e argomentata ufficialmente dagli Stati Uniti e acriticamente condivisa dal complesso dei loro alleati e partners, e un ordine multipolare e pluralistico che è rivendicato dalla Russia, dalla Cina e da molti Paesi del sud del mondo e del resto del mondo.
Secondo i documenti ufficiali dell’amministrazione americana, l’esito della “competizione strategica” tra queste due alternative, cioè tra queste due parti del mondo, sarà deciso entro questo decennio con o senza la guerra; guerra che, in tale prospettiva, sarebbe inevitabilmente una guerra universale, se pure non atomica. Per il momento la guerra d’Ucraina, che ne rappresenta la prima fase ed ha per obiettivo l’eliminazione della Russia, continua nonostante ogni possibile negoziato, perché il vero negoziato dovrebbe risolvere il contrasto tra queste due concezioni del mondo. Stretta tra questi vasi di ferro, l’Ucraina è offerta, e si offre, in sacrificio.
Essa è vittima dell’inganno, ordito nei suoi confronti, dagli Stati Uniti e dall’Occidente, che le hanno fatto credere di poter vincere la guerra con la Russia, nonostante l’evidente sproporzione delle forze. Ma la guerra della quale era promessa all’Ucraina la vittoria non era in realtà la sua guerra, ma quella degli Stati Uniti e del loro mondo unipolare, che per di più sarebbe stata vinta senza essere combattuta. Purtroppo l’Ucraina è caduta nella pania, prima sprezzando i moniti a non insistere per l’ingresso nella NATO, nonostante l’avvertimento russo che ciò sarebbe stato causa di guerra, poi, a guerra iniziata, precipitandosi nell’illusione della vittoria propiziata dalla bulimia delle armi, spensieratamente fornitele in regalo dall’Occidente. Zelensky, mettendoci del suo ogni energia, è caduto nella voragine che gli era stata allestita in quanto, personaggio della TV, era digiuno di scienze storiche, ignaro del diritto, inesperto di rapporti internazionali e non immune dalle mitologie dei nazionalismi novecenteschi; ed è per questo che, in una intervista a Nbc News, mettendo in guardia sulle conseguenze di un’eventuale sconfitta di Kiev ha sostenuto che gli Stati Uniti dovrebbero scegliere tra “entrare in guerra con la Russia” o “il collasso della NATO”. È questo il contesto dell’attuale disastro dal quale l’unico modo per uscire è agire perché prevalga un’altra visione del mondo.
Sulla morte di Berlusconi pubblichiamo nel sito una riflessione dal titolo “Arcitaliano?”
Con i più cordiali saluti,
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PERCHÉ UNA GUERRA A BASSA INTENSITÀ
17 GIUGNO 2023 / COSTITUENTE TERRA / DISIMPARARE L’ARTE DELLA GUERRA / su Costituente Terra
La vera posta in gioco della guerra in Ucraina è l’alternativa tra un mondo unipolare e monocratico e un mondo multipolare e pluralista. Perciò non si intravvedono spazi per vere trattative. Quale pacifismo

Alessandro Valentini

La guerra tra Russia e Ucraina, e in termini più complessivi tra Russia, Nato e Stati Uniti, viene spesso presentata come un ritorno alla “guerra fredda”. Il paragone però è fuorviante, non regge. Nella “guerra fredda” vi erano due sistemi, politici, economici e sociali ben definiti: da una parte il capitalismo, dall’altra parte il socialismo realizzato. Tutta la diplomazia e le relazioni internazionali ruotavano attorno a questa realtà, anche i numerosi Paesi cosiddetti non allineati, come la Jugoslavia, l’India e la stessa Cina, si muovevano dentro questo contesto. E pure le strategie militari, compresa la corsa al riarmo delle due superpotenze, Usa e Urss, non prescindevano dai rapporti di forza usciti dalla Seconda Guerra Mondiale. Tant’è che, nonostante la contrapposizione tra blocchi, vi erano spazi, per una serie di Paesi, anche europei, per poter condurre iniziative diplomatiche in parte autonome, che comportavano anche scambi commerciali e relazioni economiche. Si pensi all’azione delle socialdemocrazie, in primis di quelle tedesche e scandinave, o ai rapporti economici fruttuosi che i governi italiani di centro-sinistra stabilivano con l’Unione Sovietica e gli altri Paesi socialisti. Nessuno statista occidentale, in quegli anni, fece mai dichiarazioni bellicose nei confronti dell’Urss o tentò di praticare una linea volta a smembrarla. Unica eccezione fu Churchill, che subito dopo il ’45, sconfitta la Germania nazista, si avventurò in dichiarazioni forti di aggressione militare all’Urss di Stalin, che non aveva ancora la bomba atomica, ma rimase una voce isolata e non fu ascoltato, per fortuna, dagli statunitensi. Tutti gli Stati di entrambi i blocchi si muovevano all’interno di quanto stabilito dagli accordi di Yalta che sancivano la presenza di due sfere di influenza, quella degli Usa e quella dell’Urss.

Senza infrangere gli accordi di Yalta le due superpotenze si garantivano dei margini di interpretazione autonoma di quanto stabilito. Da parte sovietica si avanzava la strategia della “coesistenza pacifica”, realizzando la quale si sarebbero aperti molti spazi per le forze progressiste in Occidente, per nuovi processi di decolonizzazione del Terzo Mondo e per le lotte di liberazione nazionali. Tra l’altro la guerra coreana era stata una lezione per tutti: su quella strada si rischiava di giungere a un nuovo e più drammatico conflitto mondiale, con conseguenze catastrofiche per l’intera umanità. Da parte Usa invece si praticava la politica di contenimento dell’influenza sovietica, facendo ricorso alle armi e anche ai golpe militari, se necessario, in quei Paesi che formalmente non erano militarmente loro alleati o non erano parte integrante del sistema economico imperialistico. Mai dalla Casa Bianca però fu attuata una politica di aggressione militare diretta e frontale al campo socialista. La crisi di Cuba fu risolta dopo che Kennedy decise di ritirare i missili con testate nucleari dalla Turchia e di conseguenza Krusciov rinunciò a installare armi dello stesso tipo a Cuba.

Questo atteggiamento simile delle due superpotenze apriva enormi spazi politici, non solo, come ho già detto, alle forze progressiste e di sinistra in Occidente e ai movimenti di liberazione, ma anche al movimento della pace, che si affermò con l’enorme contributo anche dei cattolici, e negli Usa della sinistra liberal, che fece suoi gli orientamenti emergenti dalle nuove generazioni, molto coinvolte da fermenti culturali e di costume che caratterizzarono quegli anni. Si pensi a proposito all’influenza della musica rock, della poesia e della letteratura della Beat Generation. Dunque, la “guerra fredda” era una situazione derivata da Yalta ma non determinava il congelamento dei processi mondiali. Dentro al contesto della “guerra fredda” vi erano ampie brecce che consentivano ai movimenti di massa di pesare e di condizionare la politica e persino la geopolitica. La lezione del Vietnam è stata anche tutto questo!

Mi pare invece di poter dire che gli scenari attuali poco o nulla hanno a che fare con la “guerra fredda”. Torno sinteticamente sulle ragioni che hanno condotto Putin ad avviare l’”operazione militare speciale”: l’estensione della Nato fino ai confini della Russia; l’aggressione al Donbass e alle regioni di lingua russa da parte di Kiev, con bombardamenti aerei che in otto anni di guerra hanno provocato 14.000 morti, molti dei quali civili, tra cui donne e bambini; il boicottaggio sistematico dell’Ucraina degli accordi di Minsk; l’integrazione delle milizie naziste e degli ultra nazionalisti nell’esercito regolare ucraino dopo il colpo di Stato, voluto, sostenuto, finanziato e guidato dagli Usa, che già erano presenti attivamente da anni nell’ex Repubblica Sovietica attraverso la Nato, la Cia e una serie di laboratori segreti per produrre armi biologiche di sterminio di massa; la persecuzione della etnia russa con vessazioni e metodi razzisti; la messa al bando di ben 11 partiti e dei mezzi di informazione dell’opposizione, con arresti e uccisione di politici, sindacalisti e giornalisti; la persecuzione della Chiesa Ortodossa che ha nel Patriarca di Mosca il suo punto di riferimento. Ho citato tutte queste ragioni che da sole sono già sufficienti per giustificare un intervento militare russo, che tra l’altro ha anticipato quello del governo ucraino, che stava ammassando un grosso esercito ai confini delle due Repubbliche del Donbass.

È mia convinzione però, che la ragione principale che ha spinto Mosca a mettere in atto l’“operazione militare speciale”, pur non sottovalutando l’insieme delle ragioni citate precedentemente, sia squisitamente politica, o se si vuole geopolitica. Il riferimento alla “guerra fredda”, fatto all’inizio di questa trattazione, serve come pietra di paragone per mettere in evidenza che dopo il dissolvimento del campo socialista e della stessa Unione Sovietica, gli Usa hanno radicalmente modificato il loro atteggiamento sulla “questione russa”. Da una politica di contenimento dell’influenza mondiale dell’Urss sono passati a una politica di vera e propria aggressione alla Russia, nutrendo la speranza che fosse possibile non solo disarticolare l’ex Unione Sovietica, ma la stessa Russia. Ricordo che la Russia ha un immenso territorio di 17.100.000 km² che comprende la Siberia all’interno della quale si trova circa il 50 per cento delle risorse strategiche del pianeta. Questo cambio di linea fu provocato da due novità che si erano determinate alla fine del secolo scorso.

La prima riguarda lo scioglimento dell’Urss, dopo il quale l’Occidente credeva, o si illudeva, che si sarebbe andati verso la costruzione di un mondo unipolare, dominato dagli Usa. Dunque, finalmente le diverse centrali imperialistiche avrebbero avuto mano libera per saccheggiare e depredare tutti i Paesi che prima, in qualche modo, erano stati tutelati dall’Urss e contemporaneamente gli Usa e i loro alleati avrebbero potuto presentarsi al Sud del mondo come quelli che dettavano ancor di più le regole. Questa convinzione è all’origine di una serie di guerre, a iniziare dallo smembramento della Jugoslavia Paese leader dei non allineati, senza porsi troppi problemi nel bombardare la Serbia. E in seguito le guerre contro l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, lo Yemen, la Somalia, tanto per citarne alcune. Ciò era reso possibile da una Russia troppo debole per svolgere un ruolo di contrappeso, e tra l’altro molto impegnata in guerre alle porte di casa in Georgia e in Cecenia, e dalla Cina che non era ancora quella grande potenza che è oggi. Sul piano politico si pensava di realizzare l’unipolarismo attraverso le “rivoluzioni colorate” e i colpi di mano per costituire, con il pretesto di portare libertà e democrazia, governi fantoccio legati all’Occidente, in particolare agli Usa o ad alcune potenze europee.

La seconda novità fa riferimento al passaggio dal capitalismo al dominio incontrastato del capitale finanziario, che proprio in quegli anni in Occidente, maturava in tutta la sua enorme portata. Il processo affonda le sue radici nel passato, quando Nixon impose la messa in discussione degli accordi di Bretton Wood e la fine della convertibilità del dollaro in oro, determinando un sistema in cui la moneta non è più alla base dello scambio delle merci, ma diviene essa stessa merce ed è sempre meno connessa ai processi produttivi. È ovvio che un sistema geopolitico unipolare, basato sulla potenza militare statunitense, fosse funzionale alle attività speculative e di finanziarizzazione dell’economia da parte delle oligarchie finanziarie. E la loro globalizzazione, oggi in crisi, ha prevalentemente questa finalità. Si tratta di una globalizzazione finanziaria ben diversa da come si intende in altri Paesi, in particolare la Cina, cioè grande mobilità e circolazione di denaro – merci – forza lavoro (possibilmente qualificata e specializzata) per lo sviluppo della produzione e per creare nuova ricchezza.

Spesso però «il diavolo fa le pentole ma non i coperchi». La fase unipolare è stata breve, non ha retto ai processi in atto. Anche in questo caso cito alcune cause, le più importanti.

– Si è sottovalutato l’imponente sviluppo economico della Cina e la sua capacità di passare da una produzione di quantità a una produzione di qualità affermandosi come primo Paese nella produzione tecnologica.

– In Occidente si sono colti solo tardivamente i processi politici che hanno portato la Russia da Eltsin a Putin, con un conseguente risveglio politico, economico, culturale e militare della nazione.

– Il dominio in Occidente del capitale finanziario ha portato a un forte ridimensionamento del ruolo dello Stato come soggetto principale nel pianificare gli interventi per lo sviluppo produttivo, per grandi opere infrastrutturali, per estendere, migliorare e qualificare il welfare, per attuare politiche monetarie. Dove il capitale finanziario esercita incontrastato il suo dominio, cioè in buona parte dell’Occidente, il tema della programmazione è totalmente rimosso e al suo posto sono subentrate le privatizzazioni selvagge a favore di ristrette élite finanziarie. L’azione dei governi è ridotta a gestire un po’ di spesa corrente e a favorire l’introduzione di nuove e sempre più pesanti privatizzazioni (soprattutto dei beni comuni) e l’esternazione dei servizi. E si assiste anche ad uno scenario nel quale i governi sono al servizio di multinazionali e grandi gruppi finanziari, come si è visto in modo molto chiaro nel caso dei vaccini per contrastare la pandemia, ma anche riguardo alla nuova frontiera dell’intelligenza artificiale e al complesso militare industriale. Tutto ciò mette anche in discussione i livelli di democrazia esistenti. Infatti, l’Occidente (basta guardare al funzionamento della UE) è sempre più caratterizzato da sistemi politici a-democratici, dominati appunto dal capitale finanziario.

– Il mondo non è tutto dominato dal capitale finanziario. Ci sono Paesi come la Cina, la Russia e tanti Paesi del Sud del mondo nei quali lo Stato esercita e svolge le sue funzioni, soprattutto stabilendo modalità e obiettivi degli indirizzi economici. Il Sud è un insieme complesso di Paesi con diverse espressioni politiche e diversi sistemi economici e sociali. Vi sono Paesi socialisti o a orientamento socialista, Paesi in via di sviluppo ma ricchi di materie prime, Paesi con forme di capitalismo monopolistico di Stato, sia pur molto diversificate. Sono questi gli Stati dove vengono attuate forme di pianificazione e politiche più o meno di natura neokeynesiana per migliorare le condizioni materiali di vita e tutelare la sovranità nazionale. Nel frattempo, in Occidente si deve constatare la morte del riformismo, a tal proposito basta riflettere su cosa sono diventati i Paesi scandinavi, un tempo additati come esempio più significativo del modello riformista. In Italia questa involuzione è dimostrata dall’Emilia Romagna e dalla Toscana che hanno smesso di essere esempi del buon governo del centro-sinistra. Gli Stati del Sud del mondo rappresentano oltre i due terzi della popolazione mondiale e sempre meno vogliono stare alle regole dettate da una visione unipolare e prepotente dei rapporti internazionali, una visione che è tutt’uno con gli interessi e le attività del capitale finanziario e dei principali poli imperialisti mondiali. E’ proprio sulla questione di un ruolo forte dello Stato per affrontare e risolvere i grandi problemi dell’umanità che in questi anni si è determinata una frattura che ha creato due veri e propri campi distinti. Accordi internazionali, come il Brics (che raggruppa Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), per citare il più importante, vanno appunto nella direzione di rafforzare quella idea di globalizzazione e di circolazione di denaro-merci-forza lavoro sulla base del reciproco interesse respingendo la concezione di una globalizzazione finanziaria, speculativa e di rapina. Non c’è allora da stupirsi se sono già una ventina i Paesi che hanno chiesto di voler entrare a far parte del Brics.

– Il consolidamento dell’asse strategico tra Russia e Cina che si rafforza proprio nella lotta per contenere l’azione devastatrice del capitale finanziario e la sua visione unipolare. L’intesa tra queste due grandi potenze trascina tutto il Sud del mondo e gli conferisce il coraggio necessario per alzare la testa, per essere coprotagonista di un mondo che cambia, che va nella direzione di una pratica multipolare nei rapporti internazionali, per contrastare e contenere l’azione distruttiva del capitale finanziario. Un Sud del mondo che forse per la prima volta nella sua storia è consapevole di poter riscattare oltre quattro secoli di colonialismo e di imperialismo imposto dagli europei, dai nord americani e dal Giappone.

La veemenza politica, spinta fino all’uso di matrice nazista della russofobia – sentimento di paura e di ostilità verso il popolo, la politica e la cultura russa – non ha mai caratterizzato la “guerra fredda”, anche nei momenti di crisi più acuta. Allora, con la divisione del mondo in due blocchi nessuna delle due superpotenze nucleari è mai intervenuta militarmente né mai ha disposto l’applicazione di sanzioni economiche se l’altra parte calpestava la sovranità, i diritti e le aspirazioni di un Paese che, pur facendo parte integrante di uno dei due campi, cercava una via autonoma per il suo futuro. La partita, anche a livello militare, si giocava in quelle zone del mondo non decisamente posizionate in una delle due aree di influenza. Ha ragione Xi Jinping quando sostiene che siamo protagonisti di cambiamenti che non si vedevano da cento anni. Siamo a un grande tornante della storia, come fu quello della Rivoluzione Francese o della Rivoluzione d’Ottobre. Non si tratta quindi di un ritorno alla “guerra fredda”.

A proposito della Cina vorrei sottolineare che forse, almeno all’inizio, non condivideva in pieno la scelta di Putin di intraprendere un’operazione militare, per una serie articolata di ragioni. La prima preoccupazione dei cinesi era legata al fatto che si sarebbe prodotta una instabilità nel commercio globale; la seconda che temevano una reazione molto aggressiva degli Usa e della Nato, inoltre non erano sicuri che il contingente militare russo, circa 160.000 militari, fosse sufficiente contro l’esercito ucraino, forte di quasi 400.000 soldati con il supporto dei corpi di élite ben addestrati dalla Nato; infine non vi era la certezza che il Sud del mondo si sarebbe schierato con la Russia. Ma ciò che ha convinto Xi Jinping e il gruppo dirigente cinese è stata l’impostazione della operazione militare data da Putin. Tra le ragioni dei russi – alcune rammentate anche da Papa Franceso (“la Nato che abbaia ai confini della Russia”) – giuste o errate che siano, ce n’è però una fondamentale, vitale, che ovviamente i cinesi non possono ignorare: la battaglia per realizzare un ordine mondiale multipolare che corrisponde al modo della Cina di interpretare strategicamente le relazioni internazionali al fine di sviluppare il socialismo con caratteristiche cinesi. In scala ridotta un processo di graduale e sempre più convinta adesione e sostegno alla Russia vi è stato anche da parte di settori, pur molto minoritari, della sinistra rivoluzionaria europea. Da questa riflessione ne deriva un’altra che occorre sottolineare. La Russia, con l’operazione militare, non è stata fagocitata dalla Cina come certi nostrani esperti geopolitici liberal sostengono. La Cina indubbiamente è una potenza economica ben più importante della Russia, però quest’ultima ha enormi riserve di materie prime e un potente arsenale militare (e nucleare) molto più forte di quello cinese, ma soprattutto il Cremlino ha saputo condurre una iniziativa politica e diplomatica che l’ha portata di fatto a essere leader dei Paesi del Sud del mondo. Insomma, le due potenze hanno bisogno l’una dell’altra e insieme prospettano al Sud del mondo la vittoria nella battaglia per un nuovo ordine mondiale. Occorre inoltre sottolineare che sono tre i Paesi fondamentali del processo di integrazione economico e commerciale asiatico. Troppo spesso ci si dimentica dell’India il cui ruolo per molti aspetti è quello di mantenere un equilibrio dello sviluppo stabile in Asia.

Questa è la vera posta in gioco della guerra in Ucraina, lo sanno bene entrambi i campi. Ecco perché è difficilissimo mettere in piedi uno straccio di negoziato. La Russia, oltre a voler raggiungere tutti i suoi obiettivi esplicitamente dichiarati vuole, insieme con la Cina, che gli Usa e l’Occidente abbandonino l’unipolarismo per il multipolarismo, ma l’Occidente è totalmente prigioniero dell’immenso potere che ha il capitale finanziario che non intende assolutamente rinunciare a questa sua visione. Pertanto, la posizione egemone è che l’unica pace giusta sia quella che preveda non solo il ritiro della Russia da tutti i territori occupati, compresa la Crimea, ma anche la sua umiliazione; solo mettendola in ginocchio si pensa di poter scongiurare la minaccia per il bel “giardino” occidentale, realizzato con secoli di sfruttamento e di rapina del Terzo Mondo. E i più oltranzisti giungono a teorizzare che se la Russia sarà smembrata sarà ancora meglio.

Spazi dunque per trattative non ce ne sono, per ora non si intravvedono. Per questo la strategia militare dei russi consiste nel condurre una guerra a bassa intensità puntando non solo alla disfatta di Kiev ma anche al logoramento dell’Occidente. L’uso della forza militare applicata selettivamente e in modo limitato ha anche lo scopo di evitare che alcuni Paesi confinanti con la Russia si allarmino oltre il dovuto fino a un allargamento del conflitto. Questa tipologia di guerra localmente circoscritta è tesa inoltre al logoramento dell’Occidente, e segnali in questo senso se ne vedono un po’ dappertutto in Occidente, non solo negli Usa, ma anche in Europa, nella Gran Bretagna, in Francia, in Germania, in Spagna come in Italia, per citare solo i Paesi più importanti. Una conduzione militare, perciò, funzionale all’intensa attività politica e diplomatica dei russi e dei cinesi, volta al consolidamento dei loro rapporti di amicizia con il Sud del mondo. Il risultato è che non è la Russia ad essere isolata ma è l’Occidente che è sotto assedio. Un dato questo del tutto evidente nella partita delle sanzioni economiche in cui l’Europa è la prima a farne le spese. Chi avrebbe detto solo due anni fa che la Germania sarebbe entrata in recessione?

Mi si potrebbe criticare dicendo che sottovaluto il rischio di una guerra nucleare che causerebbe una catastrofe per tutta l’umanità. È senz’altro vero che se non ci fossero le armi nucleari la terza guerra mondiale sarebbe già scoppiata, quindi, rovesciando la questione, risulta evidente che le armi nucleari rappresentano oggi un deterrente molto forte, maggiore di quello che si è avuto nel passato, proprio perché non ci sarebbero né vinti né vincitori. Le grandi potenze lo sanno molto bene. Anche la possibilità di una guerra nucleare tattica in Europa è solo una trovata giornalistica: la risposta a una bomba nucleare tattica sarebbe una guerra nucleare mondiale che coinvolgerebbe anche gli Stati Uniti. Il primo missile nucleare russo non sarebbe lanciato sulle capitali europee ma su New York, e questo il Pentagono lo sa molto bene. Il rischio di una guerra nucleare non è quindi del tutto scongiurato ma resta un’opzione molto remota, poco probabile. Ecco perché la sconfitta militare della Russia, come del resto quella degli Stati Uniti, non può essere contemplata. Ecco perché i russi conducono in Ucraina una guerra a bassa intensità. Ecco perché gli Usa rispondono tentando di armare fino ai denti l’Ucraina in questa loro sporca guerra ibrida. Tutta la partita si gioca su tempi medio-lunghi, cioè si scommette su chi si logora per primo permettendo così di creare le condizioni per un cambiamento radicale di orientamenti politici nelle file dell’altro campo, anche se spesso si confonde questo terreno di duro confronto con quello della dialettica politica, anche molto vivace, che inevitabilmente si manifesta all’interno di ogni principale protagonista del conflitto.

Le premesse che hanno portato a un nuovo tornante della storia sono maturate negli ultimi vent’anni. Ne ricordo alcune.

– Gli esiti della cosiddetta Primavera araba, in particolare in Egitto e in Algeria con la nascita di governi, che dopo un iniziale sbandamento, si sono sempre più allontanati dall’Occidente e in forme diverse sono diventati alleati della Russia.

– Il fallimento del tentativo di destabilizzazione della Siria concluso con la riammissione della Lega Araba, con vivo disappunto degli Usa. Nell’intervento militare russo a sostegno di Damasco si evidenzia forse l’inizio della controffensiva russa.

– Il ruolo predominante che stanno assumendo in Medio Oriente potenze regionali come l’Iran e la Turchia, e in Asia l’India, l’Indonesia e il Pakistan.

– La situazione del tutto nuova determinatasi in America Latina in Paesi strategici per il Continente e nell’ Africa Equatoriale.

– Il tentativo di “rivoluzione colorata” in Bielorussia miseramente fallito.

– La crisi profonda del sistema politico, sociale e culturale statunitense che ha favorito l’affermarsi di una “anomalia” come Trump.

Ai fatti citati, che hanno fatto da presupposto a un cambiamento epocale, si devono aggiungere, non sottovalutandole, le ricorrenti crisi che si sono determinate in questo ventennio per effetto delle contraddizioni insanabili del capitale finanziario e la messa in discussione dell’Opec, in particolare da parte dell’Arabia Saudita, del sistema del petrodollaro su cui gli Usa per anni hanno fatto leva, dopo la messa in discussione degli accordi di Bretton Wood voluta da Nixon, per riaffermare l’egemonia della loro moneta (sempre più carta straccia, senza nessun valore) a livello globale. Tra l’altro oggi è proprio la Russia, che lavora in forte intesa con i Paesi arabi, con i sauditi in primo luogo, ad esercitare un ruolo guida dell’Opec.

Nuovo tragedia nel Mediterraneo

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LA STRAGE INFINITA DI PROFUGHI E MIGRANTI
di Vanni Tola

Facciamo parlare i numeri. Settecentocinquanta persone naufragate, di cui, al momento, 79 cadaveri recuperati e 104 persone salvate. Mancano all’appello almeno 500 persone, quasi certamente decedute. L’orrore continua, aumenta nella sua dimensione numerica, diventa sempre più una vicenda della quale l’Italia e l’Europa dovrebbero vergognarsi.
Sarà la magistratura ad accertare le cause del naufragio, l’indignazione delle persone perbene crescerà ma non sarà tale da generare inversioni di rotta nelle scelte politiche del governo di destra di Giorgia Meloni e del suo entourage e nelle direttive politiche dell’Unione Europea.

Ha che punto la guerra: “(…) In ogni caso siamo all’avvelenamento dei pozzi, al “muoia Sansone con tutti i Filistei”, ai pozzi di petrolio incendiati dagli iracheni sconfitti nell’abbandonare il Kuwait nel 1991 (…)”.

b8d4f079-0a9d-4306-b131-9b630a570a4ecostituente-terra-logo Costituente Terra Newsletter n. 119 del 7 giugno 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n. 300 del 7 giugno 2023
L’ALGORITMO

Cari amici,
è saltata la diga sul Dnepr. La rovina che ne è derivata da un lato potrebbe ostacolare la controffensiva ucraina nella zona di Kherson, dall’altro potrà togliere l’acqua potabile alla Crimea russa, assetandola. Non si può dire perciò a chi giovi questa catastrofe, mentre essa colpisce tutti e due, come nel giudizio di Salomone fare a pezzi il bambino voleva dire toglierlo a tutte e due le madri. In ogni caso siamo all’avvelenamento dei pozzi, al “muoia Sansone con tutti i Filistei”, ai pozzi di petrolio incendiati dagli iracheni sconfitti nell’abbandonare il Kuwait nel 1991. Chi è stato? Zelensky, la Nato, quasi tutto l’Occidente dicono che sono stati i russi, i cui soldati peraltro sono stati i primi ad essere travolti sulla riva orientale del fiume; la Russia dice che sono stati gli ucraini; il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e il segretario generale dell’ONU, Gutierrez, dicono che non si sa, che bisogna indagare.
Tutti concordano però nel dire che è stato un atto di terrorismo. Pertanto, se mancano le notizie, per capire che cosa è successo bisogna interrogare la storia e la ragione. Esse dicono che il terrorismo è l’arma dei deboli e degli sconfitti, non dei vincitori e dei potenti che non ne hanno bisogno, essi dispongono del terrore istituzionalizzato, hanno le armi e fanno la guerra. A Hiroshima e Nagasaki fu terrore, non terrorismo, nella guerra fredda le grandi Potenze giocarono terrore contro terrore, ma sconfessarono il terrorismo. Non è nemmeno detto che tutti i terroristi siano dei criminali e dei folli, vi ricorrono anche uomini illustri; alla fine del mandato britannico in Palestina Menachem Begin, che diverrà poi primo ministro d’Israele, si mise a capo dell’organizzazione terroristica dell’Irgum, e fece saltare in aria l’ambasciata inglese a Roma e l’albergo King David a Gerusalemme. Poi furono i palestinesi, per disperazione, a ricorrere al terrorismo dirottando gli aerei e le navi da turismo, poi con quattro temperini sugli aerei di linea gli arabi per sfidare gli Stati Uniti distrussero le Due Torri di New York; e in questa guerra c’è già stato il sabotaggio agli oleodotti del Mar Baltico, che secondo il “Washington Post”, avvalsosi di fonti dell’ “Intelligence”, è stato organizzato dagli ucraini per bloccare l’esportazione del petrolio russo in Europa, già insidiata dalle sanzioni, mentre già dentro il territorio della Russia, a conferma del pericolo di avere la NATO ai confini, si esercita un terrorismo antirusso con armi della NATO a beneficio dell’Ucraina. In questo finale della guerra russo-ucraina è l’Ucraina la parte più debole, nonostante la retorica della vittoria che le sarebbe stata procurata dalle armi inviatele da mezzo mondo, ed è l’Ucraina che sente l’imminenza della sconfitta, a meno che non si passi alla guerra generale.
Ma è appunto la guerra, in ogni caso, la vera matrice di questo atto di terrorismo. Sicché la colpa è di chi la guerra l’ha iniziata, ed è stato Putin, e di chi non ha voluto che finisse, e sono stati molti, a cominciare dalla NATO, quando già nei primi giorni si era avviato un promettente negoziato ad Ankara. Ed è responsabilità di chi ancora non vuole che finisca. Al G7 di Hiroshima il Giappone aveva invitato il Brasile, l’India e l’Indonesia che si erano illusi di poter discutere piani di pace per l’Ucraina, e invece i Grandi non fecero che rilanciare sanzioni e guerra; poi alla conferenza sulla sicurezza dell’Indo Pacifico a Singapore, il ministro indonesiano della Difesa ha proposto un piano assai ragionevole di ritiro dei due eserciti di 15 chilometri per parte, di un cessate il fuoco, di un intervento delle forze di pace dell’ONU nella zona così smilitarizzata, e poi di un referendum indetto dalle stesse Nazioni Unite per far decidere alle popolazioni dei territori contesi con chi vogliono restare. L’ autodeterminazione dei popoli! Ma subito gli hanno detto di no, a cominciare dall’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’Unione Europea, secondo il quale non è questa “la pace che l’Europa vuole”. Ma che pace vuole l’Europa, e con quale diritto lo ha detto, senza un mandato della Commissione, del Parlamento europeo, dei governi di tutta l’Europa? E dunque chi rappresenta il Rappresentante?
Poi Zelensky ha detto che non è il momento di trattare, ma è quello della controffensiva, grazie a cui saranno liberati i territori perduti, anche se ciò vorrà dire che molti soldati ucraini saranno uccisi. Territori invece della vita. Poi è arrivato il cardinale Zuppi; glielo ha mandato papa Francesco prima di andare all’ospedale per una rischiosa operazione, nonostante il rifiuto già ricevuto a Roma; glielo ha mandato per tentare l’impossibile, e mostrare che un cristiano non chiede la pace solo a parole, ma ci mette tutto se stesso, fino al dono della vita. E Zelensky ha risposto di nuovo di non aver bisogno di mediatori, e che l’Ucraina decide della sua guerra, e che “può essere solo ucraino l’algoritmo per farla finire”. Il problema è che l’algoritmo dà la sua risposta scegliendo tra una infinita quantità di varianti, mentre Zelensky ne considera una sola, la vittoria. Solo che da questo algoritmo non dipende solo la sorte di un governante, ma di tutto un popolo, il suo, di molti altri popoli, e forse del mondo intero.
Nel sito troverete un testo che viene dall’America su “

Il mondo che chiede la pace

”, un articolo di Léo Matarasso sul diritto dei popoli e il racconto di un incontro tra Agnese Moro e il terrorista Bonisoli “Quale giustizia?”
Con i più cordiali saluti,

Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri
Costituente Terra
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È online Rocca
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La Costituzione afferma che la salute è un fondamentale diritto delle persone. In questi decenni la riduzione dei finanziamenti, i contesti regionali, le politiche sanitarie differenti, le diseguaglianze sociali, gli squilibri territoriali hanno minato questo diritto.
Questa mutazione inaccettabile è conseguenza della crescente privatizzazione della sanità pubblica.
Il diritto alla salute ha bisogno di un servizio sanitario nazionale pubblico che garantisca assistenza e cura gratuite, finanziate dallo Stato, uniformi in tutta l’Italia, per tutte e tutti, senza alcuna distinzione.
Dopo la pandemia il SSN è drammaticamente peggiorato a causa di privatizzazioni, aumento dei costi per i cittadini, chiusura di strutture ospedaliere e territoriali, fuga verso il privato del personale pubblico, tempi di attesa inaccettabili per prestazioni diagnostiche e terapeutiche, pesante ritardo delle strategie di prevenzione.
Questo governo punta a definanziare il SSN (DEF), mentre ne andrebbero sviluppate tutte le potenzialità.
I tagli lineari, i tetti alla spesa, le politiche fiscali che non garantiscono finanziamenti certi e adeguati per incrementare il Fondo Sanitario Nazionale rendono difficile perfino mantenere il livello attuale dei servizi.
Per questo occorrono:
- piano di assunzioni del personale socio-sanitario, che abolisca la precarietà;
- piano per bloccare la “fuga” di medici, dirigenti sanitari e personale del comparto e una rapida conclusione dei contratti nazionali, con adeguamento economico e riconoscimento del ruolo degli operatori;
- adeguamento dell’assistenza socio-sanitaria territoriale e realizzazione di una rete uniforme di servizi decentrati;
- potenziamento della Medicina di emergenza e di quella generale attraverso assunzioni, qualificazione ed incentivazione dei medici;
- gestione pubblica dell’assistenza domiciliare e dei servizi per i non autosufficienti.
Per un finanziamento adeguato della sanità pubblica occorre superare la spesa storica puntando al superamento dei costi del privato a carico dello Stato, superando incongruenze tra servizi e lo stato di crisi in cui lavorano i pronto soccorsi.
La valorizzazione delle professionalità è il capitale della sanità pubblica su cui investire.
Rivendichiamo un sostanzioso rifinanziamento del SSN, superando storture e scelte politiche sbagliate del passato.
L’autonomia regionale differenziata, oltre a minare l’unità e l’indivisibilità della Repubblica (art.5), porterebbe a negare il diritto universale alla salute e alla costituzione di 21 servizi sanitari regionali, accentuando il divario tra regioni ricche e regioni povere, favorendo la migrazione sanitaria sud/nord arrivata a 800.000 persone/anno.
La legge delega fiscale in contrasto con i principi di equità e progressività fiscale (art 53) rischia di ridurre ulteriormente il finanziamento del SSN.
La manifestazione del 24 giugno deve essere l’inizio di una mobilitazione per riaffermare la centralità pubblica nel rilancio del Servizio Sanitario Nazionale.

​​​​​La Presidenza del Coordinamento per
​​​​​Democrazia Costituzionale

8 giugno 2023
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La guerra sempre più europea sempre più mondiale

f7186f23-aa17-47cd-af69-66f402df157fPiù cannoni e meno diritti!
30-05-2023 – di: Domenico Gallo

Il coinvolgimento dell’Unione Europea nella guerra prosegue a pieno regime. Dopo il Consiglio Europeo del 23 marzo, che si è posto l’obiettivo di fornire all’Ucraina «entro i prossimi dodici mesi, un milione di munizioni di artiglieria nell’ambito di uno sforzo congiunto», adesso la Commissione ha formulato la proposta di un atto legislativo, indicato con l’acronimo di Asap (Act to Support Ammunition Production). Secondo il commissario europeo Thierry Breton, si tratta di un piano «mirato a sostenere direttamente, con i fondi UE, lo sviluppo dell’industria della difesa, per l’Ucraina e per la nostra sicurezza». Una produzione, di straordinaria necessità e urgenza, che deve essere velocizzata al punto da consentire deroghe alla legislazione ordinaria perché le fabbriche di armi e munizioni possano funzionare giorno e notte, sette giorni su sette, entrando in «modalità economia di guerra». In pratica, per sostenere le imprese della difesa nella produzione di munizioni e missili destinati all’Ucraina, il provvedimento in questione preveda la possibilità di disapplicare le norme in materia ambientale, di tutela della salute umana e della sicurezza sul luogo di lavoro. Per il finanziamento di questa missione bellica, l’Asap permette agli Stati membri di utilizzare il Fondo di coesione, il Fondo sociale europeo e il Pnrr.

In verità il Trattato sull’Unione Europea esclude che, in materia di politica estera e di sicurezza comune si possano adottare atti legislativi, ed esclude la competenza della Corte di Giustizia dell’Unione, trattandosi di un settore di collaborazione intergovernativa, in cui le eventuali decisioni possono essere adottate solo dal Consiglio europeo e dal Consiglio, che deliberano all’unanimità (art. 21 TUE). Il Fondo Europeo di coesione, il Fondo sociale europeo e i fondi stanziati per il Pnrr sono destinati a finalità sociali per incrementare il benessere dei popoli europei, non possono essere distratti per la guerra o, nella migliore delle ipotesi, per incrementare i profitti dell’industria bellica. Senonché, come dicono i francesi: À la guerre comme à la guerre! Quando siamo coinvolti in una guerra, non si può andare troppo per il sottile, bisogna stringersi a Corte. Le regole del diritto sono le prime ad essere calpestate, i diritti sociali possono, anzi debbono essere sacrificati alle esigenze della produzione bellica, non ci si può preoccupare di tutelare l’ambiente o la salute dei lavoratori: più cannoni e meno diritti. E non si può neanche protestare senza il rischio di essere linciati come antinazionali.

Il Parlamento Europeo ha condiviso l’esigenza di fare presto (As soon as possible) e ha votato il 9 maggio per adottare, con procedure d’urgenza, l’atto legislativo (inammissibile secondo il TUE), con 518 voti a favore, 59 contrari e 31 astenuti. Secondo le cronache, fra gli italiani hanno votato contro solo i deputati del Movimento 5 stelle e l’on. Massimiliano Smeriglio del PD, in dissenso dal suo Gruppo. Per effetto della procedura d’urgenza, il Parlamento Europeo voterà sul disegno di legge durante la prossima sessione, che si terrà dal 31 maggio al 1° giugno a Bruxelles. Questo voto del Parlamento europeo sarà l’ulteriore certificazione che l’Unione Europea e tutti i suoi paesi membri sono coinvolti a pieno titolo nella guerra e sono pienamente impegnati ad alimentarla e a proseguirla, fino alla vittoria finale, come pretende Zelensky (https://volerelaluna.it/mondo/2023/05/22/vincere-il-sinistro-ritornello-di-zelensky/).

In un documento pubblicato dal New York Times del 16 maggio, firmato da 15 esperti – analisti, docenti, ex diplomatici, ex consiglieri per la sicurezza nazionale e soprattutto ex militari di grado elevato – viene rivolto un pressante appello al Presidente degli Stati Uniti e al Congresso perché si ponga fine al più presto alla guerra con la diplomazia. I firmatari denunciano «il disastro assoluto della guerra russo-ucraina», con «centinaia di migliaia di persone uccise o ferite, milioni di sfollati, incalcolabili distruzioni dell’ambiente e dell’economia» e il rischio di «devastazioni esponenzialmente più grandi dal momento che le potenze si avvicinano a una guerra aperta». Ricordano l’osservazione di John F. Kennedy, 60 anni fa: «Le potenze nucleari devono evitare un confronto che dia all’avversario la scelta fra ritirarsi umiliato o usare le armi nucleari. Sarebbe il fallimento della nostra politica e la morte collettiva». Della saggezza di Kennedy non è trapelato nulla nella zucca dei leaders politici europei. Per costoro la guerra non è un disastro assoluto, che bisogna fermare al più presto. La pretesa di realizzare la pace attraverso la vittoria punta proprio a quello che Kennedy voleva evitare, cioè mettere l’avversario dinanzi alla scelta di ritirarsi umiliato o di usare le armi nucleari (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/05/08/ripudiare-la-pace-e-giocare-a-scacchi-con-la-morte/).

Se oggi ci troviamo di fronte a un’urgenza indifferibile, questa non è velocizzare la produzione delle bombe. Come sostengono i firmatari dell’appello americano, l’impegno genuino deve essere quello a «un immediato cessate il fuoco e negoziati senza precondizioni squalificanti e proibitive. Provocazioni deliberate hanno portato alla guerra Russia-Ucraina. Allo stesso modo, una deliberata diplomazia può porvi fine».
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Rocca ha un nuovo sito web:
Benvenuti sul nuovo sito di Rocca

di Mariano Borgognoni
31 Maggio 2023

Carissime amiche e carissimi amici,

come vedete è attivo il nuovo sito della nostra Rivista.

Con la sua attivazione ed il suo progressivo arricchimento e “aggiustamento” vogliamo mettere a disposizione di voi tutti uno strumento dove siano contenute più notizie e riflessioni, offrire una modalità di lettura più agevole e dare la possibilità di definire online abbonamenti o acquisto di libri ed altri materiali.
Presto troverete anche uno spazio che ospiterà lettere, considerazioni e suggerimenti da parte di abbonati, lettori e naviganti in cerca di un luogo di confronto libero e critico.
Siamo consapevoli che Rocca cartaceo è assolutamente fondamentale ma che ad esso sia bene affiancare uno spazio di comunicazione che faccia vivere quotidianamente il nostro modo di leggere il mondo, la società, le dinamiche ecclesiali con una visione laica di ispirazione cristiana.
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Appelli. Per un uso di pace dei fondi del Recovery Plan. Insieme per la Costituzione.

img_9731La resilienza non è economia di guerra

al Parlamento Europeo
al Consiglio dell’Unione
al Parlamento italiano

Negli ultimi anni si è rafforzato un processo di militarizzazione dell’Unione europea, con scelte che hanno portato all’istituzione di un Fondo europeo per la Difesa e di uno Strumento “per la Pace” che in realtà è funzionale all’invio di armamenti e alla cooperazione di natura militare, senza un coinvolgimento del Parlamento e dei cittadini europei su una questione tanto delicata e che tocca le fondamenta dello stesso Trattato di Lisbona.

Per la prima volta dalla sua fondazione come percorso di pace, l’UE ha destinato miliardi di euro – mascherati da linee di finanziamento industriali e con meccanismi decisionali e di controllo opachi fin dai progetti preparatori – al sostegno dell’industria militare, senza un dibattito serio sulla propria politica estera e di difesa. E con il rischio, in parte già concretizzato, sia di distogliere risorse a interventi di natura sociale e cooperativa più utili sia di alimentare una pericolosa corsa agli armamenti.

La recente proposta della Commissione europea di permettere agli Stati membri di utilizzare il Fondo di coesione UE e il PNRR per sostenere le imprese della difesa nella produzione di munizioni e missili destinati all’Ucraina mostra la volontà di trasformare la tragedia della guerra in Europa in occasione di profitto per le multinazionali delle armi e, al tempo stesso – con una base giuridica più che dubbia – propone di rimettere in discussione il senso originario del Recovery fund, concepito specificamente per tre principali azioni: la transizione verde, la transizione digitale e la resilienza dopo la pandemia.

L’Act to Support Ammunition Production (ASAP), nelle parole del commissario europeo Thierry Breton, è un piano «mirato a sostenere direttamente, con i fondi UE, lo sviluppo dell’industria della difesa, per l’Ucraina e per la nostra sicurezza», da velocizzare al punto da chiedere deroghe perché le fabbriche di armi e munizioni possano funzionare giorno e notte, sette giorni su sette, entrando in «modalità economia di guerra».

Questa nuova misura – non diversamente da quella già all’esame del Parlamento europeo, relativa agli acquisti coordinati per la difesa – è strumentale alla realizzazione di strategie in materia di difesa, elaborate senza la partecipazione del Parlamento europeo e con un intervento quanto meno dubbio dei Parlamenti nazionali. Anche dopo Lisbona, i Trattati riservano alle politiche di difesa un regime speciale che esclude il ruolo decisionale del Parlamento europeo, impedisce il ricorso a strumenti legislativi, non garantisce un pieno rispetto dei diritti fondamentali e limita il ruolo della Corte di Giustizia.

Il testo viene presentato come una proposta di politica industriale e mercato interno, mentre persegue di fatto obiettivi collegati alla sicurezza dell’UE, per la quale il Trattato non ammette l’adozione di misure legislative. Davanti alla sfida rappresentata dalla guerra in Ucraina, la risposta del Parlamento europeo e della Commissione deve tener conto dei rischi che l’escalation militare può produrre e delle conseguenze che la scelta del sostegno militare, anziché la scelta del negoziato, possono costituire per il futuro dell’Europa.

La strada deve essere quella di una democratizzazione della politica di difesa europea, nella volontà di condizionarla al rispetto dello Stato di diritto, non quella della strumentalizzazione delle politiche europee e delle risorse dei contribuenti dell’Unione. Consideriamo ingiustificato il fatto che il provvedimento in questione preveda la possibilità di disapplicare le norme in materia ambientale, di tutela della salute umana e della sicurezza sul luogo di lavoro.

Chiediamo che il Parlamento europeo, che ne discuterà a Bruxelles il prossimo 31 maggio, non accetti di rimettere in discussione le misure di solidarietà già decise attraverso il PNRR, affermando che, in materia di difesa, i nuovi fondi possono essere utilizzati solo con il ruolo determinante del Parlamento, nel rispetto dei valori e dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della Carta delle Nazioni Unite. Non bisogna ripetere gli errori commessi sugli altri fondi legati all’industria militare, per i quali il Parlamento europeo ha rinunciato nella pratica alle proprie prerogative di controllo in piena trasparenza.

Chiediamo perciò che nell’ambito delle iniziative dell’Unione sulle politiche di finanza sostenibile, le armi controverse – oggetto di convenzioni internazionali che ne vietano lo sviluppo, la produzione, lo stoccaggio, l’impiego, il trasferimento e la fornitura – siano considerate incompatibili con la sostenibilità sociale.

Chiediamo che il settore sia soggetto a un rigoroso controllo normativo da parte degli Stati membri per quanto riguarda il trasferimento e l’esportazione di prodotti militari e a duplice uso. Chiediamo la creazione di un comitato di collegamento tra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali, nel quadro delle loro competenze ai sensi dell’art. 12 del TUE per il monitoraggio della messa in opera di queste disposizioni.

Chiediamo di vigilare affinché l’industria bellica non possa esercitare un’influenza indebita – come invece già avvenuto fin dall’istituzione dei programmi precursori del Fondo europeo per la Difesa – sulle agende politiche nazionali in materia di difesa e sicurezza e perché, nel rischio di un progressivo scivolamento verso un’“Europa delle Patrie”, l’industria bellica non diventi un mostruoso “motore di crescita”, cinica declinazione dei concetti di “ripresa” e “resilienza”.

23 maggio 2023
Libertà e Giustizia
Rete Italiana Pace e Disarmo
ANPI
ARCI

Pubblicato 2 giorni fa su il manifesto
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Insieme per la Costituzione
Ambiente Diritti Lavoro Salute Pace. Difendiamo la Costituzione che va attuata e non stravolta
La Costituzione italiana – nata dalla Resistenza – delinea un modello di democrazia e di società che pone alla base della Repubblica il lavoro, l’uguaglianza di tutte le persone, i diritti civili e sociali fondamentali che lo Stato, nella sua articolazione istituzionale unitaria, ha il dovere primario di promuovere attivamente rimuovendo “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Per questo rivendichiamo che i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione tornino ad essere pienamente riconosciuti e siano resi concretamente esigibili ad ogni latitudine del Paese (da nord a sud, dalle grandi città alle periferie, dai centri urbani alle aree interne), a partire da:
• il diritto al lavoro stabile, libero, di qualità – fulcro di un modello di sviluppo sostenibile – superando la precarietà dilagante, contrastando il lavoro povero e sfruttato, aumentando i salari e le pensioni.
• il diritto alla salute e un Servizio Sanitario Nazionale e un sistema socio sanitario – pubblico, solidale e universale – a cui garantire le necessarie risorse economiche, umane e organizzative, per contrastare il continuo indebolimento della sanità pubblica, recuperare i divari nell’assistenza effettivamente erogata, a partire da quella territoriale, e valorizzare il lavoro di cura; investimento sul personale con un piano straordinario pluriennale di assunzioni che vada oltre le stabilizzazioni e il turnover, superi la precarietà e valorizzi le professionalità; sostegno alle persone non autosufficienti; tutela della salute e sicurezza sul lavoro, rilanciando il ruolo della prevenzione.
• il diritto all’istruzione, dall’infanzia ai più alti gradi, e alla formazione permanente e continua, perché il diritto all’apprendimento sia garantito a tutti e tutte e per tutto l’arco della vita.
• il contrasto a povertà e diseguaglianze e la promozione della giustizia sociale, garantendo il diritto all’abitare e un reddito per una vita dignitosa.
• il diritto a un ambiente sano e sicuro in cui vengono tutelati acqua, suolo, biodiversità ed ecosistemi.
• una politica di pace intesa come ripudio della guerra e con la costruzione di un sistema di difesa integrato con la dimensione
civile e nonviolenta.
Questi diritti possono essere riaffermati e rafforzati solo attraverso una redistribuzione delle risorse e della ricchezza che chieda di più a chi ha di più per garantire a tutti e a tutte un sistema di welfare pubblico e universalistico che protegga e liberi dai bisogni, a cominciare da una riforma fiscale basata sui principi di equità, generalità e progressività che sono oggi negati tanto da interventi regressivi – come, ad esempio, la flat tax – quanto da una evasione fiscale sempre più insostenibile. Inoltre, giustizia sociale e giustizia ambientale e climatica devono andare di pari passo nella costruzione di un modello sociale che sia “nell’interesse delle future generazioni”, come recita l’art. 9 della nostra Costituzione.
Questo modello sociale – fondato su uguaglianza, solidarietà e partecipazione – costituisce l’antitesi del modello che vuole realizzare l’attuale maggioranza di Governo con le prime scelte che ha già compiuto e, soprattutto, con le misure che si appresta a varare, a partire da quelle che – se non fermate – sono destinate a scardinare le fondamenta stesse dell’impianto della Repubblica, come:
• l’autonomia differenziata, rilanciata con il DDL Calderoli, che porterà alla definitiva disarticolazione di un sistema unitario di diritti e di politiche pubbliche volte a promuovere lo sviluppo di tutti i territori;
• il superamento del modello di Repubblica parlamentare attraverso l’elezione diretta del capo dell’esecutivo (presidenzialismo, semi-presidenzialismo o premierato che sia) che ridurrà ulteriormente gli spazi di democrazia, partecipazione e mediazione istituzionale, politica e sociale, rompendo irrimediabilmente l’equilibrio tra rappresentanza e governabilità.
La Costituzione antifascista nata dalla Resistenza – nel riconoscere il lavoro come elemento fondativo, la sovranità del popolo, la responsabilità delle istituzioni pubbliche di garantire l’uguaglianza sostanziale delle persone, i diritti delle donne, il dovere della solidarietà, la centralità della tutela dell’ambiente e degli ecosistemi, il ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali – ha delineato un assetto istituzionale che, attraverso la centralità del Parlamento, fosse il più idoneo ad assicurare questi principi costitutivi e a realizzare un rapporto tra cittadini/e e istituzioni che non si esaurisce nel solo esercizio periodico del voto ma si sviluppa quotidianamente nella dialettica democratica e nella costante partecipazione collettiva della rappresentanza in tutte le sue declinazioni politiche, sociali e civili.
Per contrastare la deriva in corso e riaffermare la necessità di un modello sociale e di sviluppo che riparta dall’attuazione della Costituzione, non dal suo stravolgimento, ci impegniamo in un percorso di confronto, iniziativa e mobilitazione comune che – a partire dai territori e nel pieno rispetto delle prerogative di ciascuno – rimetta al centro la necessità di garantire a tutte le persone e in tutto il Paese i diritti fondamentali e di salvaguardare la centralità del Parlamento contro ogni deriva di natura plebiscitaria fondata sull’uomo o sulla donna soli al comando.
Per queste ragioni, ci impegniamo a realizzare:
• il 24 giugno una grande manifestazione nazionale a Roma in difesa del diritto alla salute delle persone e nei luoghi di lavoro e per la difesa e rilancio del Servizio Sanitario Nazionale, pubblico e universale.
• Il 30 settembre una grande manifestazione nazionale a Roma per il lavoro, contro la precarietà, per la difesa e l’attuazione della Costituzione, contro l’autonomia differenziata e lo stravolgimento della nostra Repubblica parlamentare.
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Per la Pace… ostinatamente

eventi-01 manifesto_marcia_2023VIENI ANCHE TU!
La guerra continua ma non ci possiamo rassegnare. Rischiamo l’autodistruzione! Per questo, domenica 21 maggio ti invitiamo a marciare per la pace da Perugia ad Assisi.

COSTRUIAMO ASSIEME
UN MONDO PIÙ UMANO

CESSATE-IL-FUOCO

La guerra è la madre di tutti i crimini, cancella la vita, distrugge tutto quello che intere generazioni hanno costruito, devasta ciò che la natura ha generato. Per questo l’Italia ripudia la guerra. Per questo è nata l’Unione Europea. Per questo sono state create le Nazioni Unite. Grazie a queste conquiste, abbiamo potuto crescere in pace. Non permettiamo che tutto questo venga cancellato!

La continuazione della guerra e l’assurda pretesa di vincerla con le armi si stanno anche mangiando i soldi che servono per prenderci cura di noi tutti e del nostro pianeta, per fermare il cambiamento climatico e accelerare la conversione ecologica, per affrontare e soccorrere le vittime delle guerre e delle catastrofi ambientali, per liberare gli impoveriti dalla schiavitù della miseria, per creare nuovo lavoro dignitoso, per ridurre le disuguaglianze e i conflitti che generano. Fermiamo questa follia!

LA PACE È ANCORA POSSIBILE. È SEMPRE POSSIBILE!

Con il semplice gesto del camminare assieme, segno di solidarietà e vicinanza alla povera gente in fuga dal terrore e dalla miseria, noi possiamo rompere lo “schema della guerra”, dare voce alle vittime di tutte queste sofferenze, denunciare le mostruosità che si susseguono e i pericoli enormi che incombono, difendere i valori e le carte fondamentali su cui sono cresciuti il nostro benessere e le nostre istituzioni democratiche, lottare per l’attuazione della nostra Costituzione e del Diritto Internazionale dei Diritti Umani, rinnovare i nostri legami di solidarietà e fratellanza universale, dare un corpo nuovo alla domanda di cambiamento, trasformare il futuro.

DOMENICA 21 MAGGIO 2023
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Per la Pace

eventi-01 manifesto_marcia_2023VIENI ANCHE TU!
La guerra continua ma non ci possiamo rassegnare. Rischiamo l’autodistruzione! Per questo, domenica 21 maggio ti invitiamo a marciare per la pace da Perugia ad Assisi.

COSTRUIAMO ASSIEME
UN MONDO PIÙ UMANO

CESSATE-IL-FUOCO

La guerra è la madre di tutti i crimini, cancella la vita, distrugge tutto quello che intere generazioni hanno costruito, devasta ciò che la natura ha generato. Per questo l’Italia ripudia la guerra. Per questo è nata l’Unione Europea. Per questo sono state create le Nazioni Unite. Grazie a queste conquiste, abbiamo potuto crescere in pace. Non permettiamo che tutto questo venga cancellato!

La continuazione della guerra e l’assurda pretesa di vincerla con le armi si stanno anche mangiando i soldi che servono per prenderci cura di noi tutti e del nostro pianeta, per fermare il cambiamento climatico e accelerare la conversione ecologica, per affrontare e soccorrere le vittime delle guerre e delle catastrofi ambientali, per liberare gli impoveriti dalla schiavitù della miseria, per creare nuovo lavoro dignitoso, per ridurre le disuguaglianze e i conflitti che generano. Fermiamo questa follia!

LA PACE È ANCORA POSSIBILE. È SEMPRE POSSIBILE!

Con il semplice gesto del camminare assieme, segno di solidarietà e vicinanza alla povera gente in fuga dal terrore e dalla miseria, noi possiamo rompere lo “schema della guerra”, dare voce alle vittime di tutte queste sofferenze, denunciare le mostruosità che si susseguono e i pericoli enormi che incombono, difendere i valori e le carte fondamentali su cui sono cresciuti il nostro benessere e le nostre istituzioni democratiche, lottare per l’attuazione della nostra Costituzione e del Diritto Internazionale dei Diritti Umani, rinnovare i nostri legami di solidarietà e fratellanza universale, dare un corpo nuovo alla domanda di cambiamento, trasformare il futuro.

DOMENICA 21 MAGGIO 2023
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Che succede?

b8d4f079-0a9d-4306-b131-9b630a570a4ecostituente-terra-logo Costituente Terra Newsletter n. 116 del 10 maggio 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n. 297 del 10 maggio 2023

SAGGEZZA DI UN AMBASCIATORE

Cari amici,
ci sono alcune importanti notizie da raccogliere.
Il “Corriere della Sera” dell’8 maggio, forse con qualche imbarazzo, ha pubblicato un clamoroso articolo dell’ex ambasciatore a Mosca Sergio Romano in cui si chiede lo scioglimento della NATO, oggi priva delle ragioni per cui è nata. L’articolo dell’autorevole esperto di politica internazionale dice infatti così: “L’Alleanza atlantica ha avuto una parte utile e rispettabile. Ma la Guerra fredda è finita, il comunismo è sepolto, gli Stati Uniti hanno avuto un presidente come Trump e sarebbe giunto il momento di fare a meno di un’istituzione, la Nato, che ha ormai perduto le ragioni della sua esistenza”. L’accenno a Trump sembra dire che gli Stati Uniti non sono più affidabili, Per giungere a tale conclusione l’articolo richiama l’accordo “fondatore” Nato-Russia del 27 maggio 1997 in cui era scritto che “Nato e Russia non si considerano nemiche e intendono lavorare insieme per contribuire a instaurare in Europa una sicurezza comune e globale in conformità ai principi dell’ONU” . Invece è accaduto il contrario: facendo proprie le parole dello storico Giovanni Buccianti, l’ambasciatore ricorda che “in seguito all’implosione dell’URSS (e non alla vittoria degli Usa nella Guerra Fredda) la NATO prese a svolgere una costosa campagna acquisti di tanti Paesi portandoli tutti a giocare contro la Russia e arrivando ai confini del suo territorio. Possibile che nessuno abbia ancora detto che così facendo si stava favorendo lo scoppio della Terza guerra mondiale?”. Così Sergio Romano e il “Corriere della sera”. Ma allora chi ha aggredito chi?
La Siria è stata riammessa nella Lega Araba. Ciò, insieme alla rappacificazione tra Iran e Arabia Saudita mediata dalla diplomazia cinese, sta cambiando gli equilibri mondiali. Gli Stati Uniti che perseguono altri progetti , e l’Unione Europea, “continuano ad opporsi – scrive lo stesso “Corriere della Sera” – a qualsiasi regolarizzazione dei rapporti”. L’idea sembra essere che alla guerra non si può rinunziare.
In Texas ci sono state altre due stragi, che hanno provocato in tutto 16 morti. Dall’inizio dell’anno ce ne sono state più di 200, cioè più di una al giorno, mentre nel Paese in mani private ci sono più armi (393,3 milioni) che Americani. Questi corpi del reato in mano a tutti i cittadini sono protetti dal secondo emendamento della Costituzione americana. Biden ha detto: “perché continuare con questa carneficina?”. Già, perché continuare? Il problema è che a garantire che dalla “Libera Impresa” – uno dei tre cardini del modello di società che gli Stati Uniti vogliono installare in tutto il mondo – non sia escluso il business delle armi, non c’è solo la Costituzione, ma soprattutto la cultura del Paese. Questa è ancora quella del West, del “chi spara per primo”, ma è anche la cultura che discende dal potere, e che lo stesso Biden e i governi degli Stati Uniti adottano nei rapporti col resto del mondo. È in forza di questa cultura che, riguardo al nucleare, gli Stati Uniti hanno deciso di passare alla dottrina del “first use”: la vecchia concezione basata sulla deterrenza e sulla risposta a un eventuale attacco altrui, non funziona più. Questa opzione non si può più fare, sta scritto, perché non si può lasciare che i nemici colpiscano per primi. La miglior difesa è l’offesa. Quindi è prevista, di fronte a una minaccia, l’azione preventiva.
Sono partite con una fittizia consultazione delle opposizioni le riforme costituzionali. Giorgia Meloni, benché affermi di voler instaurare un sistema che dia più stabilità ed efficienza al sistema, si dice indifferente alla scelta tra presidenzialismo e premierato elettivo, anche se c’è una grande differenza tra le due ipotesi: le basta che ci sia qualcuno eletto al comando. Ciò rivela la ragione personalissima per cui la presidente del Consiglio intraprenda con tale urgenza la via delle riforme costituzionali. Il suo governo è scaturito da un’elezione estiva, con la complicità di una cattiva legge elettorale, di un forte astensionismo e della sbadataggine dei partiti oggi all’opposizione. È molto difficile, se non impossibile, che queste condizioni abbiano a ripetersi. Volendo perpetuare il suo potere oltre gli anni di questa legislatura, l’unica strada per lei è l’elezione popolare diretta, non importa a quale delle due cariche, nell’idea che il favore degli attuali sondaggi ad personam si traducano in un voto plebiscitario a suo favore. Si tratta di un’illusione, quando il Paese, a parte l’establishment, non è affatto di destra. Né si fida di una “destra costituente”, anche per le prove che su questo versante la destra sta dando di sé.
I riformatori costituzionali, di ieri e di oggi, non capiscono che il Paese ama le sue istituzioni; il meno amato è proprio il governo. Da quando Mussolini ha detto che voleva fare della Camera un bivacco di manipoli, il Parlamento è il bene da difendere, non si può profanare. Ora, su regia del suo presidente La Russa, l’aula del Senato è stata trasformata, come scrive “Critica liberale”, in un “bivacco pop”, per far «cantare a Gianni Morandi “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte” e altre canzonette da discoteca di paese». La Russa si è anche fatto dare dall’Archivio di Stato l’originale della Costituzione che è inserito negli atti ufficiali delle leggi della Repubblica. Tomaso Montanari se ne indigna, ma nota che una profanazione ben maggiore della Costituzione si sta preparando “con la manovra a tenaglia del presidenzialismo e dell’autonomia differenziata, due armi letali che se sommate diventano una bomba nucleare capace di annichilire la Repubblica disegnata dai costituenti”.
Nel sito pubblichiamo l’articolo dell’ambasciatore Romano e un articolo in lode dell’artigiano di Beppe Manni. Vi segnaliamo, nel sito Costituente Terra, il testo del discorso di Putin sulla Piazza Rossa nella ricorrenza del 9 maggio, che non è stato fruibile sulla stampa d’informazione. Se è un nemico, perché non sapere quello che dice? Come sostiene il papa: “ Credo che la pace si faccia sempre aprendo canali, mai si può fare una pace con la chiusura. Invito tutti ad aprire rapporti, canali di amicizia”.
Ricordiamo che si può firmare scrivendo a Ripudio della Guerra l’appello “Per un’alternativa all’impero”.
Con i più cordiali saluti,

Raniero La Valle

Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri
Costituente Terra
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PER UN’ALTERNATIVA ALL’IMPERO
3 MAGGIO 2023 / COSTITUENTE TERRA / LA CONVERSIONE DEL PENSIERO /
Gli ultimi avvenimenti hanno aperto due visioni del mondo: un dominio universale o una pace nelle differenze. Un appello

La guerra in Ucraina è giunta ormai ad essere una guerra suicida: il Regno Unito combatte contro se stesso e la propria stessa immagine annunciando apertamente l’invio di proiettili anticarro ad uranio impoverito, l’Ucraina vuole riconquistare il Donbass grazie a queste armi con componenti nucleari capaci di contaminare l’ambiente per migliaia di anni e di intossicare chi lo inala o chi lo ingerisce: “si sospetta – spiega il pur simpatizzante Corriere della Sera – che arrivi a modificare il DNA, causando linfomi, leucemie e malformazioni dei feti”, tutto ciò a danno delle stesse popolazioni di cui si rivendica l’appartenenza all’Ucraina; la Russia sfida l’esecrazione universale minacciando per tutta risposta di schierare atomiche tattiche in Bielorussia.

A sua volta, dopo una debole tergiversazione, e con la spinta determinante del presidente Biden, il cancelliere tedesco Sholz ha dato il via libera alla distribuzione di carri armati tedeschi a tutti i fornitori di armamenti a Zelenski che insistentemente li chiede. In tal modo settant’anni dopo l’”Operazione Barbarossa” vediamo di nuovo i Panzer tedeschi avanzare nella pianura d’Ucraina per sconfiggere la Russia non più sovietica.

Questa volta però la regia è americana, gli attori ucraini, mentre ogni negoziato è escluso per legge dallo stesso Zelensky.

È difficile ignorare l’impatto emotivo di questa svolta. Si può avere la memoria corta e il cuore indurito, ma nelle viscere della terra corre un sussulto dinanzi al ritorno dei carri tedeschi proiettati a combattere contro i russi nel cuore dell’Europa, quando quell’evento fu al centro della seconda guerra mondiale e ne precedette di poco l’esito con la tragedia della bomba atomica, l’ingresso dell’umanità tutta nell’età del nucleare genocida, l’adozione di un rapporto internazionale postbellico temerariamente fondato sulla “reciproca distruzione assicurata”, fino alle attuali strategie di guerre preventive e di minacciato ricorso all’arma assoluta.

In tal modo va in scena il sempre esorcizzato e incombente conflitto tra la NATO e la Russia in Europa. E dopo? Potrà ancora sussistere l’ONU, quando gli alleati di ieri, diventati i nemici di oggi, dovrebbero stare insieme come Membri Permanenti del Consiglio di Sicurezza per salvaguardare la pace e la sicurezza del mondo, e invece sono intenti a distruggerle? Non a caso l’Ucraina contesta già oggi la presidenza russa pro-tempore del Consiglio di Sicurezza. E siamo sicuri che questa volta, per non scomparire, la Russia invece di versare nell’olocausto 26 milioni e 600.000 morti, non sarà indotta alla scelta disperata di difendersi col “primo uso” dell’arma nucleare?

E tutto ciò accade quando il mondo ha distolto lo sguardo dalla vera priorità, che è salvare la Terra dal disastro ecologico, e anzi va allo scontro proprio sul gas, l’energia. I beni vitali e la reciproca deterrenza nucleare.

È chiaro che la priorità è cercare le vie d’uscita dalla crisi in Ucraina. Se ne sarebbe potuto trovare la soluzione, se non fosse stata sacrificata a interessi estranei all’Europa, fino al 24 febbraio 2022, quando l’assalto militare russo ha gettato tutto nella fornace dello scontro armato; e forse all’inizio un negoziato sarebbe stato risolutivo. E ora ci sono di mezzo centinaia di migliaia di caduti, orfani, vedove, città distrutte, odi implacabili e l’accecamento, nella perdita di ogni verità, della maggior parte dei protagonisti, degli ispiratori, osservatori e narratori del conflitto. Però non possiamo non dire che giunti a questo livello di rischio, i protagonisti palesi od occulti della guerra la devono immediatamente fermare, anche contro ogni irredentismo territoriale: il negoziato è necessario e possibile, la ragione e il cuore hanno sempre la possibilità di risorgere.

Quale visione del mondo?

Qui però vogliamo interrogarci soprattutto sulle due visioni del mondo che gli ultimi avvenimenti hanno aperto davanti a noi, e che ci pongono davanti a scelte da cui dipende un lungo futuro, e forse la possibilità stessa di un futuro. Non si tratta infatti di dettagli, ma di un crinale a cui siamo giunti, da cui si potrebbe cadere in un precipizio senza rimedio, quel crinale che il vecchio La Pira, negli anni più paurosi della guerra fredda, chiamava il “crinale apocalittico della storia”, intendendo col termine “apocalittico” non la fine stessa della storia, ma lo svelamento dell’alternativa radicale cui essa era pervenuta mettendo la guerra come principio e signore di tutte le cose, e nello stesso tempo invitava i sindaci delle città opposte a Firenze.

Qual è la nostra visione del mondo, stando noi su questo crinale?

La visione del mondo che ci viene proposta con grande insistenza, e che ci viene attribuita come connaturale alla nostra civiltà e alla nostra storia, è la visione del mondo propria dell’Occidente, anzi dell’“Occidente allargato”, che ha oggi il suo centro in America, la sua potenza militare negli Stati Uniti e nella Nato, la vocazione a estendersi fino agli estremi confini della terra.

È in nome dei suoi valori che siamo chiamati alle armi, per “mettere il nostro mondo saldamente sulla strada di un domani più luminoso e pieno di speranza”, come promette oggi il presidente Biden nell’illustrare la “Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti”.

Di fronte a noi abbiamo però, gravemente inquietanti, due documenti fondativi che propugnano e illustrano questa visione del mondo e la assumono come normativa. Si tratta dei due documenti programmatici in cui, in piena guerra d’Ucraina, il 12 e 27 ottobre 2022, la leadership americana ha enunciato le due strategie fondamentali degli Stati Uniti: il primo è per l’appunto la “National Security Strategy” (october 2022 – The White House Washington) del Presidente Biden (in sigla NSS), il secondo ne è la pianificazione operativa sul piano militare, ed è la “National Defense Strategy of The United States of America 2022” (in sigla NDS) del capo del Pentagono Lloyd Austin, corredata da un dettagliato aggiornamento della “postura” o visione nucleare americana. Questa visione o “postura” ribadisce la decisione di non adottare la politica del “Non Primo Uso” dell’arma nucleare perché essa “comporterebbe un livello di rischio inaccettabile alla luce della gamma di capacità anche non-nucleari degli avversari che potrebbero infliggere danni di natura strategica agli Stati Uniti e ai loro alleati e partners”. È la conferma di quanto era già stato deciso dopo l’attacco alle Torri gemelle: la vecchia concezione basata sulla deterrenza e sulla risposta a un eventuale attacco altrui, non funziona più. Questa opzione non si può più fare perché non si può lasciare che i nemici colpiscano per primi. La miglior difesa è l’offesa. Quindi è prevista, di fronte a una minaccia, l’azione preventiva; la nuova strategia è di ricorrere se necessario per primi all’arma nucleare. scudo al cui riparo si possono condurre senza rischi per gli Stati Uniti le guerre convenzionali necessarie. E questa nuova dottrina, adottata ormai anche dalla Russia, fa sì che dietro questo scudo si pensa che si possnoa combattere tutte le guerre convenzionali, come si è sempre fatto in tutto il corso della storia.

Due documenti programmatici

Per quanto strettamente americani, questi due documenti, di fatto ignorati in Occidente, riguardano tutti, perchè investono non solo l’una o l’altra regione del globo, ma il destino del mondo come tale. E ciò è dimostrato dal fatto che di questo mondo gli Stati Uniti rivendicano globalmente la leadership, che vi installano le loro basi militari da per tutto, e che intendono disporne con l’affermazione che “non c’è nulla che vada oltre le nostre capacità: possiamo farcela, per il nostro futuro e per il mondo”; la posta in gioco sarebbe “di rispondere alle sfide comuni e affrontare le questioni che hanno un impatto diretto sulla vita di miliardi di persone. Se i genitori non possono nutrire i propri figli – specifica Biden – nient’altro conta. Quando i Paesi sono ripetutamente devastati da disastri climatici, interi futuri vengono spazzati via. E come tutti abbiamo sperimentato, quando le malattie pandemiche proliferano e si diffondono, possono aggravare le disuguaglianze e portare il mondo intero al collasso”. Sarebbe questa la preoccupazione degli Stati Uniti, la giusta ragione del loro intervento ma anche il motivo per cui il raggio d’azione entro cui la loro impresa, politica e militare, si deve esercitare è senza limiti territoriali: “Abbiamo approfondito le nostre alleanze principali in Europa e nell’Indo-Pacifico. La NATO è più forte e unita che mai, stiamo facendo di più per collegare i nostri partner e le nostre strategie nelle varie regioni attraverso iniziative come il nostro partenariato di sicurezza con l’Australia e il Regno Unito (AUKUS). E stiamo forgiando nuovi modi creativi per lavorare in comune con i partner su questioni di interesse condiviso, come con l’Unione Europea, il Quadrilatero Indo-Pacifico, il Quadro economico Indo-Pacifico e il Partenariato per la prosperità economica delle Americhe”; e da lì lo sguardo si spinge fino all’Artico.

Si postula dunque un unico potere che si protende alla totalità del mondo, nella presunzione che questo debba avere un unico ordinamento politico, economico e sociale, corrispondere a un unico modello di convivenza umana; e questo è un presupposto che da tempo gli Stati Uniti avevano posto a base della loro relazione col mondo, da quando, dopo l’11 settembre 2001 e lo shock dell’attacco alle Due Torri, avevano enunciato l’ideologia a cui doveva essere conformato l’assetto del mondo, perché questo corrispondesse agli interessi e alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America. Secondo quella ideologia il solo modello valido per ogni nazione sarebbe riassumibile in tre termini: Libertà, Democrazia e Libera Impresa; dunque un modello che mette insieme una definizione antropologica, una indicazione di regime politico ed una forma obbligatoria di organizzazione economico-sociale, e questo composto era dichiarato come normativo per tutti, sulla scia del “progetto”, pubblicato nell’ottobre del 2000, del “nuovo secolo americano”. Dunque non venivano contemplati tanti possibili regimi politici, economici e sociali, corrispondenti eventualmente a diverse teorie. Ce ne sarebbe uno solo che comporta un modello umano, quello dell’individualismo liberale, un modello politico, quello della democrazia occidentale, ed un modello economico, quello del capitalismo d’impresa. Altri modelli non sono ammessi e compito degli Stati Uniti sarebbe di diffondere questo modello in tutto il mondo.

Si potrebbe dire, fin qui, che non possiamo fare obiezioni: ognuno può avere la propria visione del mondo e auspicare e operare perché si realizzi.

Una chiamata alle armi anche per noi

Il problema è però che gli Stati Uniti vogliono fare tutto questo non per conto loro, ma coinvolgendo “l’impareggiabile rete di alleanze e partnership dell’America”. Questi partners nello stabilire l’ordine del mondo sono chiamati in causa 167 volte nei due documenti del presidente Biden e del Pentagono e attraverso la NATO in questa chiamata alle armi siamo coinvolti anche noi.

Dunque la cosa ci riguarda; e da partners e alleati, e non da sudditi o “vassalli”, come ha detto Macron, dobbiamo decidere se questa è la visione del mondo che abbiamo anche noi, se questo è il mondo che vogliamo costruire e qual è la nostra idea dello “stato del mondo” in cui ci troviamo ad operare.

La supremazia americana

La premessa da cui parte Biden e su cui tutta la strategia americana è fondata, “la nostra visione nel tempo”, come egli la definisce, è che “l’era post-Guerra Fredda è definitivamente finita”. Sarebbe una buona notizia se annunziasse la fine della guerra come tale. Purtroppo invece non è così: essa sancisce solo la fine della sua modalità come “guerra fredda”, cioè come una guerra sempre minacciata e mai combattuta, con armi sempre pronte all’uso ma accumulate e tenute ferme negli arsenali. Paradossalmente invece quella che ne deriva è una guerra liberata, non più trattenuta dai rischi di uno scontro nucleare, tornata ad essere libera all’esercizio, come non lo era stata all’epoca della competizione tra I blocchi, fino alla rimozione del muro di Berlino, e poi subito era stata recuperata come necessaria, buona e giusta e persino umanitaria con la prima guerra del Golfo, già nel 1991.

La seconda premessa è che liberato dai vincoli della guerra fredda, l’ovvio modo degli Stati, anzi delle maggiori Potenze, di relazionarsi tra loro, debba essere e sia quello di “una competizione strategica per plasmare il futuro dell’ordine internazionale” e, per gli Stati Uniti, quello di “far avanzare gli interessi vitali dell’America, posizionare gli Stati Uniti per superare i concorrenti geopolitici, affrontare le sfide comuni. Non lasceremo il nostro futuro vulnerabile ai capricci di chi non condivide la nostra visione di un mondo libero, aperto, prospero e sicuro”, dice Biden. Dovranno essere pertanto gli Stati Uniti a vincere in questa competizione: “Essi guideranno con i nostri valori”, “nessuna nazione è meglio posizionata degli Stati Uniti per avere successo”, naturalmente col corteo dei loro seguaci, di “tutti coloro che condividono i nostri interessi”: dunque si parte vincenti e lo spazio di tempo in cui ciò deve avvenire è “il prossimo decennio”, che il documento programmatico del presidente Biden definisce come “decisivo” e che poi nella programmazione della Difesa di Lloyd Austin si estende a comprendere “due decenni” destinati peraltro a prolungarsi nei decenni successivi. Dunque è un testo sul futuro del mondo.

La sfida culminante: la Cina

Questo è il mondo come è visto nel tempo, ma come è visto nello spazio, come viene proposto al nostro sguardo (e alle nostre decisioni) di oggi? Esso è un mondo di cui una parte (peraltro minore) si identifica con la democrazia, ed è contro l’altra, quella delle autocrazie, considerate costitutivamente minacciose e aggressive.

Nel documento del ministro della Difesa Lloyd Austin, esso è considerato come “l’ambito di sicurezza” in cui deve operare l’insieme delle Forze Armate americane (Joint Force), ovvero è il mondo come gli Stati Uniti se lo immaginano e vogliono che sia. È un mondo diviso tra quattro grandi soggetti considerati come contrapposti e in lotta fra loro: 1) Gli Stati Uniti e i loro alleati e partners; 2); la Cina; 3) la Russia, la Corea del Nord e le organizzazioni violente e estremiste, cioè il terrorismo; 4) la “zona grigia” che non è integrata in nessuno dei tre campi suddetti. L’Europa è aggregata al primo mondo, attraverso la NATO.

E subito, sia nel documento della Casa Bianca, sia in quello del Pentagono, vengono designati I due “competitori strategici”, quelli con cui dovrebbe disputarsi il dominio del mondo: e il maggiore non è, a sorpresa, il nemico tradizionale degli Stati Uniti, l’altra grande Potenza della seconda Guerra mondiale, la Russia, i cui “limiti strategici – sostiene Biden – sono stati messi in luce dopo la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina”; ora il vero nemico è la Cina. “La Russia – dice Biden – rappresenta una minaccia immediata e continua all’ordine di sicurezza regionale in Europa ed è una fonte di disturbo e instabilità a livello globale, ma non ha le capacità trasversali della Repubblica Popolare Cinese”.

Pertanto è la Cina a rappresentare la “sfida culminante” (pacing challenge) nel prossimo decennio e nei decenni successivi, a causa della sua intenzione e capacità di “rimodellare l’ordine internazionale a favore di un ordine che inclini il campo di gioco globale a suo vantaggio”. È questa la ragione per cui il piano di pace presentato da Xi Jinping per l’Ucraina, non è stato preso in considerazione.

È singolare che mentre per la Russia Biden abbia buon gioco nell’attribuirle “una minaccia immediata al sistema internazionale libero e aperto come ha dimostrato la sua brutale guerra di aggressione contro l’Ucraina”, ragione per cui essa doveva essere ridotta per punizione alla condizione di “paria” (che nel sistema indiano delle caste significa essere gettati fuori dall’umanità e dalla storia) per la Cina non c’è alcuna motivazione che sia addotta per doverla combattere, se non il fatto che essa sarebbe “l’unico concorrente che ha l’intenzione di rimodellare l’ordine internazionale e, sempre più spesso, ha il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per perseguire tale obiettivo”.

Sulla scia di questa “damnatio” pronunciata da Biden, pochi giorni dopo, il 27 ottobre, il documento operativo sulla “Strategia della Difesa Nazionale degli Stati Uniti” pubblicato dal Segretario alla Difesa Lloyd Austin, illustrava in che modo l’immenso potenziale americano sarebbe stato predisposto a sostenere con la deterrenza questa sfida con la Repubblica Popolare Cinese e a “scoraggiare l’aggressione”; esso sosteneva bensì che il conflitto con la Cina non è “né inevitabile né auspicabile” ma anche che gli Stati Uniti sono pronti, se la deterrenza fallisce, “a prevalere nel conflitto”, come del resto in ogni altro conflitto che si trovino a combattere.

Verso il baratro – Difendiamo la Costituzione

f7186f23-aa17-47cd-af69-66f402df157fRipudiare la pace e giocare a scacchi con la morte
08-05-2023 – Domenico Gallo su Volerelaluna.
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L’annunzio di pace della Resistenza è stato fatto proprio dai Costituenti che, con votazione quasi unanime, hanno decretato la cancellazione dello jus ad bellum dalle prerogative della sovranità espellendo la guerra, non dalla storia (non avrebbero potuto), ma almeno dall’ordinamento giuridico. Qui la Costituzione opera un’innovazione decisiva rispetto allo Statuto albertino, invadendo il campo della politica estera, che le Costituzioni dell’Ottocento avevano sempre considerato dominio riservato del sovrano. E lo fa gettando sul piatto il peso di valori e princìpi (il ripudio della guerra e la costruzione della pace e la giustizia fra le Nazioni) di grande spessore politico e morale, attraverso i quali viene costruita l’identità della Repubblica, il volto dell’Italia nelle relazioni internazionali. Non a caso nel testo dell’art. 11 compare il termine “Italia”, per indicare che il ripudio della guerra è un bene originario che appartiene allo Stato-comunità, di cui lo Stato-apparato non può disporre. L’apertura alla Comunità internazionale viene sancita stabilendo la supremazia del diritto internazionale generale sull’ordinamento interno («L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute» art. 10) e consentendo le limitazioni di sovranità necessarie «ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni» (art. 11). È stato proprio questo principio che ha costituito la porta attraverso la quale l’Italia è entrata in Europa e l’Europa è entrata in Italia attraverso la costruzione della Comunità/Unione Europea. Tuttavia le limitazioni di sovranità, anche se possono raggiungere livelli molto intensi, espropriando il Parlamento del potere di adottare le norme di legge riservate alla legislazione comunitaria, non possono scalfire il nucleo duro della Costituzione, quello che non può essere neppure sottoposto al potere di revisione costituzionale, vale a dire i princìpi fondamentali e i diritti inalienabili della persona umana (Corte costituzionale, 19 novembre 1987, n. 399). Il ripudio della guerra è riconosciuto dalla dottrina giuridica come uno dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale ed è quindi annoverabile tra quelli che prevalgono su ogni eventuale vincolo internazionale, da qualsiasi fonte provenga (trattato, decisione di organi internazionali di cui facciamo parte, Comunità europea). Come tale dovrebbe se del caso essere garantito, se violato, dalla giurisdizione costituzionale e non può essere oggetto di revisione costituzionale.

L’art. 11 della Costituzione è una disposizione complessa: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». È formata da tre proposizioni collegate all’interno dello stesso periodo. Essa contiene una norma di scopo (che vincola la Repubblica italiana a perseguire la pace e la giustizia fra le Nazioni) e tre norme strumentali (il ripudio della guerra, l’accettazione di limitazioni di sovranità finalizzate alla pace e alla giustizia e il favore per le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo). Il ripudio della guerra, come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, non è separabile dall’impegno per la pace e la giustizia fra le Nazioni, o meglio la costruzione di un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni presuppone il ripudio della guerra, in conformità allo Statuto delle Nazioni Unite che obbliga gli Stati membri ad astenersi dall’uso e dalla minaccia dell’uso della forza.

Sebbene sia intimamente legato all’identità dell’Italia, il principio pacifista di cui all’art. 11 è andato incontro a un progressivo deperimento, di pari passo con il progressivo imbarbarimento delle relazioni internazionali. Seguendo una naturale tendenza a giustificare i fatti e ad allinearsi alle scelte prevalse per opera dei poteri reali, scrittori, politici e giuristi hanno banalizzato sempre di più il principio pacifista, fino ad ipotizzare la “decostituzionalizzazione” delle norme sulle relazioni internazionali (Motzo). Con la prima guerra del Golfo (1991) si è cominciato a separare il ripudio della guerra dal resto della disposizione, leggendo il fine di favorire le organizzazioni internazionali come prevalente sul ripudio della guerra, e la guerra stessa è stata mascherata come operazione di “polizia internazionale”. Dopo lo scoppio della guerra, iniziata il 24 febbraio dello scorso anno con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, è stato tirato in ballo il principio pacifista, letto alla luce dell’art. 51 dello Statuto ONU, che riconosce il diritto naturale di autotutela, individuale e collettiva, nel caso in cui abbia luogo un attacco armato contro uno Stato, e dell’art. 52 della Costituzione, che pone la difesa della Patria come unica eccezione al ripudio della guerra. Quando l’Italia ha deciso di rompere la neutralità e inviare le armi all’Ucraina, molti giuristi, come l’ex Presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato, si sono levati per darci l’interpretazione giusta del principio pacifista e spiegarci che la partecipazione indiretta dell’Italia alla guerra è consentita, se non costituisce addirittura un obbligo costituzionale. Peccato che quando la NATO ha aggredito l’ex Jugoslavia nel 1999, bombardandola per 78 giorni, coloro che adesso impugnano l’art. 11 per legittimare le armi italiane, sono rimasti assolutamente silenti, hanno steso un velo pietoso sul principio pacifista, dimenticandosi persino della sua esistenza nel dibattito pubblico. Del resto, il Governo dell’epoca ha nascosto accuratamente la partecipazione dell’Italia alle missioni di bombardamento sulla Serbia. Soltanto qualche anno dopo il Ministro della Difesa dell’epoca, ci ha informato del contributo del nostro paese alla guerra. L’Italia ha partecipato ai bombardamenti con l’utilizzo di 50 velivoli dell’aeronautica militare che hanno impiegato «115 missili Harm, 517 bombe GB MK82, 39 bombe a guida IR Opher, 79 bombe a guida laser GBU 16» (così Carlo Scognamiglio Pasini, La guerra del Kosovo, Rizzoli 2002). Peccato che un rapporto così dettagliato abbia omesso di indicare quanti morti sono stati provocati dalle nostre bombe umanitarie e quanti da quelle dei nostri alleati.

Da quando è iniziata la tragedia della guerra il 24 febbraio, non è esploso soltanto un conflitto fondato sulla violenza delle armi, è dilagato in tutt’Europa lo spirito nefasto della guerra, si è materializzata l’immagine del nemico ed è iniziata una mobilitazione bellica della comunicazione, della cultura, delle coscienze. Dalla condanna unanime, secca e senza appello dell’aggressione russa all’Ucraina, si è passati velocemente all’acritica accettazione della logica della guerra. Di fronte a questo disastro, segno tangibile del fallimento della politica di sicurezza e cooperazione in Europa, le principali forze politiche, non solo in Italia, con il conforto del fuoco di sbarramento unanime dei mass media, hanno assunto il linguaggio della guerra e si sono esercitate in una guerra delle parole contro il nemico. Lo spirito di guerra comporta una divisione manichea dell’umanità, per cui tutto il male sta dalla parte del nemico e tutto il bene dall’altra. Il dissenso non è tollerato perché giova al nemico. La narrazione ufficiale della guerra, imposta come pensiero unico è quella dello scontro di civiltà, dei regimi autocratici che odiano la democrazia e vogliono distruggerla.

La guerra non si combatte solo con le armi, da noi si combatte soprattutto con le parole della politica e dei media. Così l’ANPI, Associazione italiana dei partigiani, colpevole di non essersi accodata al coro bellico, viene tradotta dal Corriere della Sera in Associazione Nazionale Putiniani d’Italia. L’ANPI è fastidiosa perché tramanda il patrimonio morale della resistenza, ci ricorda il principio costituzionale del ripudio della guerra, una petizione di principio che Galli della Loggia non sapeva se qualificare «più bizzarra o più patetica», osservando sul primo numero di Limes (1993) che la norma sul ripudio della guerra: «cerca di cancellare il dato storico di ovvia evidenza che vede da sempre la guerra come il fuoco concettuale e pratico della politica internazionale […]. È come dire l’Italia ripudia l’esistenza dell’ossigeno». La favola della guerra come scontro fra la Democrazia e l’Autocrazia, ha come posta l’obiettivo di sdoganare la guerra come strumento ordinario e necessario della politica e quindi di ripudiare il ripudio della guerra: la guerra come ossigeno dei popoli, secondo Galli della Loggia.

Ovviamente non possiamo ignorare, il «diritto naturale di autotutela nel caso abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite», riconosciuto dall’art. 51 della Carta dell’ONU. Lo Statuto dell’ONU riconosce il diritto di resistenza con le armi a fronte di un’aggressione in atto, ma ciò non legittima una guerra senza fine e senza limiti. Infatti il diritto di resistenza è valido «fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale». In questo caso, in mancanza di un intervento autoritativo del Consiglio di Sicurezza, tutti gli attori internazionali, a cominciare dai contendenti, devono attivarsi per restaurare la pace, poiché la guerra – secondo il Preambolo della Carta – resta, pur sempre un flagello che procura indicibili afflizioni all’umanità. Invece noi sappiamo (l’ha rivelato l’ex premier israeliano Bennet) che, dopo nemmeno due settimane dall’inizio del conflitto, il 5 marzo le parti stavano per concludere un accordo di pace. Tant’è vero che il 16 marzo 2022 il Financial Times svelava il piano di pace in 15 punti che le parti avevano concordato nel corso dei negoziati russo-ucraini in Turchia. Ebbene quella possibilità di restaurare la pace nella regione è stata sventata dal veto di Biden e Johnson, che hanno istigato l’Ucraina a respingere ogni mediazione, incoraggiandola a puntare sulla sconfitta militare della Russia, realizzabile con il massiccio sostegno finanziario, militare e di intelligence di USA, GB, UE e di altri paesi occidentali.

Dal 17 marzo 2022, il conflitto ha perso la natura di una resistenza legittima dell’Ucraina a un’aggressione altrui, ed è diventata una guerra in cui un’alleanza di oltre 30 Stati cerca di infliggere una batosta militare alla Russia, utilizzando il sangue degli ucraini. Una resistenza militare a un’aggressione si è trasformata in una guerra di posizione, come la Prima guerra mondiale, in cui i belligeranti cercano di distruggersi a vicenda. Eppure la Prima guerra mondiale dovrebbe averci insegnato che, a fronte di un conflitto così violento, spietato e prolungato nel tempo, non esiste la “vittoria”, perché una tale guerra è un male in sé, è un evento diabolico che produce sofferenze indicibili a tutte le parti in conflitto, che nessun obiettivo politico può giustificare. La pretesa della NATO, dell’UE e degli altri paesi della Santa alleanza occidentale di fornire un crescendo di aiuti militari all’Ucraina per consentirle di vincere rapidamente la guerra ha come unico sbocco la continuazione di una strage insensata e senza fine. Ciononostante ci stiamo muovendo verso un’intensificazione dello scontro militare. Gli ucraini prevedono il lancio di una controffensiva di primavera con l’obiettivo di travolgere le forze d’occupazione russe e di recuperare tutti i territori persi nel 2014, ivi compresa la Crimea, che da 9 anni è una Repubblica autonoma inserita nella Federazione russa. Stiamo fornendo l’Ucraina di sistemi d’arma sempre più performanti, ma se le forze armate ucraine dovessero dilagare in Crimea, insidiando la base della marina russa a Sebastopoli, chi ci può assicurare che la Russia si arrenderà, e accetterà di essere smembrata, senza porre mano all’arsenale nucleare? Pretendere di sconfiggere ed umiliare una superpotenza dotata di 6.000 testate nucleari è come giocare a scacchi con la morte. Senza volerlo e senza rendercene conto ci stiamo avviando sulla via per Harmageddon. Secondo l’Apocalisse gli spiriti maligni partoriti dalla Bestia andarono dai Re di tutta la terra per radunarli «per la battaglia del gran giorno del Dio onnipotente». Essi radunarono i Re nel luogo che in ebraico si chiama Harmageddon (Apocalisse, 16,1). L’apocalisse segnerà la fine della storia, ma noi vogliamo fermamente che la storia continui. Per arrestare questa marcia verso Harmageddon, la cosa più urgente è fermare il conflitto in Ucraina, spegnere l’incendio prima che si estenda al resto del mondo.
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CHE FARE?
Dopo il 25 aprile in difesa della Costituzione. Un appello

08-05-2023 – Su Volerelaluna.

Il 78° anniversario della Liberazione dal nazifascismo si è svolto, quest’anno, a sei mesi di distanza dall’insediamento del governo più di destra della storia dell’Italia repubblicana. Il Governo Meloni, pur non rappresentando la maggioranza degli italiani (ma solo il 43% dei votanti e il 26% degli elettori), si è legittimamente insediato alla guida del nostro Paese grazie alla combinazione perversa di due fattori: un fattore istituzionale, rappresentato dall’iniqua quota maggioritaria prevista dalla pessima legge elettorale vigente, e un fattore politico, determinato dalla divisione e dalle ambiguità del cosiddetto “campo progressista” a fronte di una sostanziale unità del “campo reazionario”.

Tutti i primi atti del Governo Meloni e della maggioranza parlamentare che lo sostiene rivelano – pur tra pasticci e correzioni successive, dovute a dilettantismo, contraddizioni interne alla maggioranza o a veti europei – un disegno di restaurazione autoritaria sul piano socio-economico, istituzionale e culturale, che punta, più o meno esplicitamente, a stravolgere la nostra Costituzione: dalla scelta dei Presidenti di Camera e Senato, ai discorsi programmatici della Presidente del Consiglio e alle continue indifendibili esternazioni dei ministri Valditara, Piantedosi, Lollobrigida e del Presidente La Russa; dal decreto di regolamentazione delle ONG per ostacolarne le attività di salvataggio dei migranti alle mai chiarite responsabilità del drammatico naufragio di Cutro e al successivo decreto che, lungi dal prevenire analoghe tragedie e dal colpire i veri trafficanti, punta a restringere i criteri di assegnazione della protezione speciale; dal decreto anti-rave alla dichiarazione dello stato di emergenza per gli sbarchi; dalla manovra di bilancio al Documento di Economia e Finanza (DEF), che riducono la spesa per la sanità e per l’istruzione.

La Presidente del Consiglio ha ribadito più volte come obiettivo prioritario di questa legislatura una forma di presidenzialismo plebiscitario, che per sua natura tende a subordinare al potere esecutivo il potere del Parlamento e il potere giudiziario. Non a caso la riforma della giustizia prefigurata dal ministro Carlo Nordio tende a smantellare le garanzie di autonomia e indipendenza della magistratura, per non parlare del grave abbassamento della guardia sul contrasto alla mafia e alla corruzione, conseguente al ridimensionamento delle intercettazioni, al nuovo codice degli appalti, alla disincentivazione dei collaboratori di giustizia e alla cancellazione dei reati commessi dai colletti bianchi, a riprova di un falso “garantismo” utilizzato strumentalmente in difesa delle classi dirigenti. Le norme antimafia, conquistate negli anni a caro prezzo, dopo gli omicidi e le stragi mafiose dei nostri martiri, vanno difese e applicate nel rispetto dell’art. 27 della Costituzione («Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»), e qualsiasi riforma della giustizia non deve intaccare il delicato equilibrio previsto nel titolo IV della Costituzione, che nel complesso garantisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere e lo svolgimento di un “giusto processo”. D’altra parte la riforma fiscale prefigurata dalla flat tax contraddice il principio costituzionale di progressività del sistema tributario, esasperando le già crescenti disuguaglianze sociali, acuite dall’irragionevole cancellazione del “reddito di cittadinanza” e dagli incentivi all’evasione fiscale (condoni e innalzamento del tetto all’uso del contante); mentre il regionalismo differenziato che chiede maggiori risorse e maggiori poteri per le regioni più ricche e più forti, accentua le disuguaglianze territoriali tra Nord e Sud del Paese, rompe il modello universalistico e solidaristico del welfare, che secondo il dettato costituzionale dovrebbe garantire “pari dignità sociale” (sanità, istruzione, lavoro, sicurezza sociale) per tutti i cittadini.

Inoltre le suddette politiche sull’immigrazione stravolgono anche i diritti umani fondamentali, quindi non solo dei cittadini italiani ma anche degli stranieri e dei migranti, per i quali la Costituzione prevede «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», oltre che il rispetto delle norme e dei trattati internazionali. A completare il quadro, il progetto meloniano di un “europeismo conservatore”, condizionato, per un verso, dal sovranismo nazionalista condiviso con i suoi alleati del Gruppo di Visegrad (il sostegno italiano all’Ungheria che discrimina le persone Lgbtq ne è un indicatore), e, per l’altro, dalla totale subordinazione al Patto Atlantico e agli USA, contraddice lo spirito della Costituzione, che «ripudia la guerra» e «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo» (cioè tipo l’ONU e l’UE, ma non tipo la NATO). Ma sul punto, per la verità, non si può non rilevare che il problema della dubbia compatibilità con l’art. 11 della Costituzione della partecipazione dell’Italia agli “interventi armati a fini umanitari” (Kosovo, 1999), alle guerre di difesa “globale” (Afghanistan, 2001) o “preventiva” (Irak, 2003), ed oggi all’invio di armi all’Ucraina (che si difende legittimamente dall’aggressione russa), non riguarda certamente solo l’attuale governo di destra, ma anche quelli di diverso colore politico che l’hanno preceduto.

Questo disegno complessivo di stravolgimento della Costituzione mette in pericolo la nostra democrazia. Il rischio non ci pare quello di un ritorno al fascismo storico, anche se Giorgia Meloni ed altri esponenti di spicco di Fratelli d’Italia – partito che rivendica l’eredità del MSI – non sembrano aver fatto, fino in fondo, i conti con la storia di quel partito e con i suoi intrecci col neofascismo eversivo, che ha indiscutibilmente svolto un ruolo importante in quel magma di servizi deviati italiani e stranieri, massoneria, mafie e referenti istituzionali e politici che ha dato vita alla “strategia della tensione” che ha insanguinato l’Italia, con il precedente di Portella della Ginestra nel 1947, da piazza Fontana fino alle stragi del ’92-’93. Ma il rischio concreto che corriamo oggi è quello di una trasformazione strisciante del nostro sistema democratico in senso autoritario, in una “democratura” simile a quella polacca o ungherese. Come ha scritto il costituzionalista Gaetano Azzariti, «la destra al potere dà seguito alla sua storia e l’accoppiata elezione diretta del Presidente della Repubblica (obiettivo perseguito sin dal tempo del MSI) e autonomia differenziata (versione temperata delle tendenze secessioniste della originaria Lega bossiana) rappresenta il naturale e decisivo traguardo».

Per queste ragioni riteniamo che le forze democratiche e progressiste, già da tempo divise e in crisi identitaria, debbano convergere nella battaglia di opposizione a questo disegno. L’elezione diretta di un uomo o di una donna solo/a al comando, sia nella versione presidenzialista (USA) che in quella semipresidenzialista (Francia), ha già dimostrato la sua fragilità democratica di fronte alle tendenze populiste e nazionaliste del “trumpismo” o del “lepenismo”. Così come l’idea che l’obiettivo della governabilità e della stabilità dei governi possa essere raggiunto, secondo i sistemi elettorali maggioritari, a scapito della rappresentatività dei parlamenti, si è già rivelata fallimentare non solo nell’ormai lunga transizione italiana, successiva alla crisi della “prima repubblica”, ma persino nel consolidato “modello Westminster” britannico. Se a queste considerazioni di merito, aggiungiamo il fatto che il governo Meloni vorrebbe fare dei cambiamenti così importanti della Costituzione, quali la forma di governo e la forma di Stato, in un Parlamento così poco rappresentativo, magari con l’appoggio di qualche pezzo dell’opposizione (la proposta del Sindaco d’Italia di Azione-Italia Viva già lo prefigura), per tentare di raccattare la maggioranza dei due terzi ed evitare il ricorso al referendum popolare, l’allarme non dovrebbe essere sottovalutato da nessun sincero democratico.

Ma è importante sottolineare che non si tratta di una battaglia puramente difensiva. Nello scorso settembre, durante la campagna elettorale, nella Lettera aperta ai delusi dalla politica della sinistra si auspicava che «le forze progressiste, nonostante le attuali divisioni, dovranno combattere una battaglia comune non solo per la difesa della Costituzione ma per una sua piena attuazione, per lo sviluppo di una democrazia progressiva che rimuovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale consenta la realizzazione di un’effettiva uguaglianza dei cittadini». Anche noi riteniamo, come ha detto Liliana Segre nel discorso del 13 ottobre al Senato, che «la Costituzione è perfettibile e può essere emendata (come essa stessa prevede all’art. 138), ma […] se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione – peraltro con risultati modesti e talora peggiorativi – fossero state invece impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice». E condividiamo l’appello rivolto dopo la sconfitta elettorale a tutte le forze di sinistra e di progresso, da un gruppo di elettrici ed elettori di differenti culture, storie politiche e civili (tra cui Rosy Bindi, Vannino Chiti, Domenico De Masi, Gad Lerner, Tomaso Montanari, Giulia Rodano ecc.) per proporre di «assumere quale comune stella polare, ideale e programmatica, l’ancoraggio ai valori della Costituzione, la dignità del lavoro, la giustizia sociale e ambientale, la pace e il disarmo, la lotta contro le disuguaglianze, la cittadinanza dei ‘nuovi italiani’. Convinti come siamo che astensione ed esito del voto sono frutto di un divario profondo tra la vivacità del paese e la sua traduzione nella politica organizzata, consideriamo urgente fornire un solido riferimento politico alle istanze serie e radicali di cambiamento che vengono espresse da tante realtà civiche e sociali, in particolare delle donne e dei giovani».

Per tutte queste ragioni, da semplici cittadini, il 25 aprile abbiamo manifestato con l’ANPI, l’ARCI e la CGIL per la difesa e l’attuazione della nostra Costituzione nata dalla resistenza antifascista. E, adesso, vogliamo rivolgere un appello a tutti coloro che condividono lo spirito e i contenuti di questo documento perché contribuiscano alla realizzazione di momenti di confronto e convergenza tra tutte le espressioni dell’associazionismo e del volontariato laico e religioso, che già operano nei territori, per attuare concretamente i valori della Carta. Crediamo, infatti, che questa battaglia non potrà svolgersi soltanto nelle istituzioni, ma dovrà essere sostenuta da una partecipazione dal basso, dal conflitto sociale indispensabile a mantenere e sviluppare quel modello di democrazia progressiva configurato dalla nostra Costituzione, per farla vivere nei territori, partendo dalle “esperienze esemplari”, dalle “buone pratiche” già esistenti per diffonderle e generalizzarle ovunque sia possibile.

Palermo, maggio 2023

Giovanni Abbagnato, Leo Alagna, Riccardo Alessandro, Marina Allotta, Mario Azzolini Tommaso Baris, Giovanni Bellia, Augusto Cavadi, Beppe Cipolla, Gaetano Cipolla, Maria Adele Cipolla, Enrico Colajanni, Mari D’Agostino, Raffaella De Pasquale, Alessandra Dino, Vincenzo Gervasi, Filippo Grippi, Antonella Leto, Jesse Marsh, Ernesto Melluso, Giancarlo Minaldi, Francesco Petruzzella, Antonio Riolo, Claudio Riolo, Rosana Rizzo, Pippo Russo, Gaetano Sabatino, Alessandra Sciurba, Bonaventura Zizzo

Prime adesioni: Enzo Abbinanti, Monica Bacchi, Giuseppe Cabibbo, Rosanna Cataldo, Salvatore Cavaleri, Salvatore Cernigliaro, Rosanna Cataldo, Saverio Cipriano, Amalia Collisani, Giacomo Costadura, Andrea Cozzo, Clara Denaro, Pippo Di Falco, Daniela Dioguardi, Gabriella Filippazzo, Marina Gaziano, Maximo Ismael Ghioldi, Alfonso Maurizio Iacono, Fabio Lanfranca, Anna Leone, Renato Li Donni, Santo Lombino, Liborio Martorana, Alfio Mastropaolo, Calogero Messina, Clara Monroy, Daniela Musumeci, Giuseppe Nicolaci, Katia Orlando, Leoluca Orlando, Antonina Palazzotto, Manoela Patti, Dino Paternostro, Leonardo Aldo Penna, Vincenzo Pinello, Carmelo Piparo, Marco Pomar, Anna Puglisi, Rosario Rappa, Rossella Reyes, Giuseppe Riccio, Mario Ridulfo, Elio Rindone, Maria Concetta Rindone, Francesca Riolo, Francesco Paolo Riolo, Umberto Santino, Salvatore Saporito, Gioacchino Scaduto, Adele Sciacca, Giuseppe Silvestri, Nicola Sinopoli, Armando Sorrentino, Dario Sulis, Sandra Teroni, Pino Toro, Chiara Venturella, Roberto Zampardi, Franco Meloni.

Per sottoscrivere il documento inviare una mail a difesaattuazionecostituzione9@gmail.com
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Che succede in Ucraina e nel Mondo

b8d4f079-0a9d-4306-b131-9b630a570a4ecostituente-terra-logo Costituente Terra Newsletter n. 115 del 3 maggio 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n.296 del 3 maggio 2023

SCONFIGGERE LA RUSSIA?

Cari amici,
pubblichiamo sia nel sito di “CostituenteTerra” sia in quello di “ChiesadituttiChiesadeipoveri”, un appello “Per un’alternativa all’Impero – Le guerre promesse” proposto da Raniero La Valle e Domenico Gallo, insieme a Mario Agostinelli di “Laudato Sì’”. Esso apre uno sguardo sullo stato del mondo, quale oggi è nell’attuale distretta di guerra e di crisi ecologica, e quale potrebbe essere se attraverso uno straordinario impegno di forze politicamente ed eticamente responsabili si riuscisse a controllare i poteri selvaggi e a mettere al riparo il futuro.
L’attuale situazione è caratterizzata dal fatto che l’imminente controffensiva militare ucraina, più volte annunciata, ha per obiettivo, oltre il Donbass, la conquista della terra irredenta della Crimea, che la Russia considera parte del suo territorio anche in forza del referendum popolare del 2014 che ha sancito il suo ritorno alla Russia, benché non riconosciuto come legittimo dall’Occidente.
La riconquista della Crimea è considerata dall’Ucraina come il suggello della sua vittoria nella guerra in corso, e della corrispondente sconfitta della Russia. Essa è incoraggiata dalla Potenze euro-atlantiche che si sono fatte protagoniste e arbitre della guerra, dagli Stati Uniti col loro imponente sostegno finanziario, militare e di intelligence, al Regno Unito con munizioni ad uranio impoverito, alla Germania con i Panzer ammodernati rispetto a quelli impiegati nell’invasione della Russia durante la seconda guerra mondiale, alla Francia pur dichiaratasi contraria a farsi vassalla dell’America, all’Unione europea con la NATO che hanno assicurato il rifornimento di un milione di proiettili, all’Italia con armi rimaste ignote non avendone il governo voluto rivelare il segreto. Tutto ciò farebbe della eventuale sconfitta della Russia non una sconfitta provocata dalla piccola Ucraina attaccata, ma dalla grande coalizione degli Stati Uniti e dei loro “partners” ed alleati. Si tratta di una coalizione non occasionale e contingente ma sistemica: negli ultimi due documenti della Casa Bianca e del Pentagono sulle strategie “della sicurezza” e della “difesa nazionale degli Stati Uniti”, di cui si dà ampio conto nel nostro scritto citato all’inizio, questi alleati, e dunque anche noi, sono chiamati in causa 153 volte come partecipi del progetto americano di dominio mondiale.
La domanda riguardante il prossimo futuro è se la Russia accetterebbe una tale sconfitta, che secondo il piano annunciato da Biden le sarebbe inflitta per radiarla dalla comunità internazionale e ridurla alla condizione di paria, un disegno a cui il resto del mondo invece si oppone. Intanto per gli Stati Uniti, disfatta la Russia, “la sfida culminante” da vincere, se necessario anche con la guerra, nel secondo e ultimo tempo della “competizione strategica” per l’egemonia mondiale, sarebbe quella con la Cina, benché essa non abbia fatto ancora niente per meritarselo. Tale piano peraltro è già in via di esecuzione, come anche il tentativo di assuefarvi l’opinione pubblica: domenica scorsa ad esempio l’editoriale de “la Repubblica” illustrava “il timore per la Cina” e spiegava che il governo italiano, su richiesta del G7, ha già “liquidato come una carta morta” l’intesa firmata da Conte con Pechino sulla “Nuova Via della Seta”, per poi “rinunciarvi” a fine anno.
L’incognita del futuro, che è il futuro anche nostro, è come la Russia risponderebbe all’invasione della Crimea, non meno aggressiva per lei di quanto sia stata per l’Ucraina l’invasione del Donbass, stante la volontà di mettere in gioco la sua sopravvivenza. Se un simile pericolo minacciasse gli Stati Uniti, sappiamo quale ne sarebbe la reazione, anche con l’arma nucleare, come è ribadito nel documento sulla Difesa Nazionale del 28 ottobre scorso: gli Stati Uniti non adottano la politica del “Non Primo Uso” dell’arma nucleare perché essa “comporterebbe un livello di rischio inaccettabile alla luce della gamma di capacità non-nucleari degli avversari che potrebbero infliggere danni di natura strategica agli Stati Uniti e ai loro alleati e partners”; così anche nella dottrina russa sul ricorso all’arma nucleare è previsto un suo uso preventivo quando ne risultasse a rischio l’esistenza stessa dello Stato, come è appunto nelle intenzioni dell’Occidente. La Russia non è l’Afghanistan o l’Iraq alla mercè dei suoi nemici; nella seconda guerra mondiale ha versato 26,6 milioni di morti per sopravvivere e, nonostante le sue attuali defaillances militari, è difficile pensare che le sue forze armate siano oggi inferiori a quelle di allora. È questa la guerra che si sta fomentando?
L’appello pubblicato nel sito si può firmare scrivendo a: ripudiosovrano@gmail.com . Pubblichiamo anche un articolo di Francesca Catalano su “Adolescenti a rischio e scenari da incubo” in relazione alle nuove tecnologie sull’umano.
Per partecipare invece alla “staffetta dell’umanità” per la pace del 7 maggio promossa da “servizio Pubblico” si può telefonare: WhatsApp +39 3420191578 comunicando nome e cognome, numero di telefono e residenza.

Con i più cordiali saluti,

Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri – Costituente Terra
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PER UN’ALTERNATIVA ALL’IMPERO
3 MAGGIO 2023 / COSTITUENTE TERRA / LA CONVERSIONE DEL PENSIERO /
Gli ultimi avvenimenti hanno aperto due visioni del mondo: un dominio universale o una pace nelle differenze. Un appello

La guerra in Ucraina è giunta ormai ad essere una guerra suicida: il Regno Unito combatte contro se stesso e la propria stessa immagine annunciando apertamente l’invio di proiettili anticarro ad uranio impoverito, l’Ucraina vuole riconquistare il Donbass grazie a queste armi con componenti nucleari capaci di contaminare l’ambiente per migliaia di anni e di intossicare chi lo inala o chi lo ingerisce: “si sospetta – spiega il pur simpatizzante Corriere della Sera – che arrivi a modificare il DNA, causando linfomi, leucemie e malformazioni dei feti”, tutto ciò a danno delle stesse popolazioni di cui si rivendica l’appartenenza all’Ucraina; la Russia sfida l’esecrazione universale minacciando per tutta risposta di schierare atomiche tattiche in Bielorussia.

A sua volta, dopo una debole tergiversazione, e con la spinta determinante del presidente Biden, il cancelliere tedesco Sholz ha dato il via libera alla distribuzione di carri armati tedeschi a tutti i fornitori di armamenti a Zelenski che insistentemente li chiede. In tal modo settant’anni dopo l’”Operazione Barbarossa” vediamo di nuovo i Panzer tedeschi avanzare nella pianura d’Ucraina per sconfiggere la Russia non più sovietica.

Questa volta però la regia è americana, gli attori ucraini, mentre ogni negoziato è escluso per legge dallo stesso Zelensky.

È difficile ignorare l’impatto emotivo di questa svolta. Si può avere la memoria corta e il cuore indurito, ma nelle viscere della terra corre un sussulto dinanzi al ritorno dei carri tedeschi proiettati a combattere contro i russi nel cuore dell’Europa, quando quell’evento fu al centro della seconda guerra mondiale e ne precedette di poco l’esito con la tragedia della bomba atomica, l’ingresso dell’umanità tutta nell’età del nucleare genocida, l’adozione di un rapporto internazionale postbellico temerariamente fondato sulla “reciproca distruzione assicurata”, fino alle attuali strategie di guerre preventive e di minacciato ricorso all’arma assoluta.

In tal modo va in scena il sempre esorcizzato e incombente conflitto tra la NATO e la Russia in Europa. E dopo? Potrà ancora sussistere l’ONU, quando gli alleati di ieri, diventati i nemici di oggi, dovrebbero stare insieme come Membri Permanenti del Consiglio di Sicurezza per salvaguardare la pace e la sicurezza del mondo, e invece sono intenti a distruggerle? Non a caso l’Ucraina contesta già oggi la presidenza russa pro-tempore del Consiglio di Sicurezza. E siamo sicuri che questa volta, per non scomparire, la Russia invece di versare nell’olocausto 26 milioni e 600.000 morti, non sarà indotta alla scelta disperata di difendersi col “primo uso” dell’arma nucleare?

E tutto ciò accade quando il mondo ha distolto lo sguardo dalla vera priorità, che è salvare la Terra dal disastro ecologico, e anzi va allo scontro proprio sul gas, l’energia. I beni vitali e la reciproca deterrenza nucleare.

È chiaro che la priorità è cercare le vie d’uscita dalla crisi in Ucraina. Se ne sarebbe potuto trovare la soluzione, se non fosse stata sacrificata a interessi estranei all’Europa, fino al 24 febbraio 2022, quando l’assalto militare russo ha gettato tutto nella fornace dello scontro armato; e forse all’inizio un negoziato sarebbe stato risolutivo. E ora ci sono di mezzo centinaia di migliaia di caduti, orfani, vedove, città distrutte, odi implacabili e l’accecamento, nella perdita di ogni verità, della maggior parte dei protagonisti, degli ispiratori, osservatori e narratori del conflitto. Però non possiamo non dire che giunti a questo livello di rischio, i protagonisti palesi od occulti della guerra la devono immediatamente fermare, anche contro ogni irredentismo territoriale: il negoziato è necessario e possibile, la ragione e il cuore hanno sempre la possibilità di risorgere.

Quale visione del mondo?

Qui però vogliamo interrogarci soprattutto sulle due visioni del mondo che gli ultimi avvenimenti hanno aperto davanti a noi, e che ci pongono davanti a scelte da cui dipende un lungo futuro, e forse la possibilità stessa di un futuro. Non si tratta infatti di dettagli, ma di un crinale a cui siamo giunti, da cui si potrebbe cadere in un precipizio senza rimedio, quel crinale che il vecchio La Pira, negli anni più paurosi della guerra fredda, chiamava il “crinale apocalittico della storia”, intendendo col termine “apocalittico” non la fine stessa della storia, ma lo svelamento dell’alternativa radicale cui essa era pervenuta mettendo la guerra come principio e signore di tutte le cose, e nello stesso tempo invitava i sindaci delle città opposte a Firenze.

Qual è la nostra visione del mondo, stando noi su questo crinale?

La visione del mondo che ci viene proposta con grande insistenza, e che ci viene attribuita come connaturale alla nostra civiltà e alla nostra storia, è la visione del mondo propria dell’Occidente, anzi dell’“Occidente allargato”, che ha oggi il suo centro in America, la sua potenza militare negli Stati Uniti e nella Nato, la vocazione a estendersi fino agli estremi confini della terra.

È in nome dei suoi valori che siamo chiamati alle armi, per “mettere il nostro mondo saldamente sulla strada di un domani più luminoso e pieno di speranza”, come promette oggi il presidente Biden nell’illustrare la “Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti”.

Di fronte a noi abbiamo però, gravemente inquietanti, due documenti fondativi che propugnano e illustrano questa visione del mondo e la assumono come normativa. Si tratta dei due documenti programmatici in cui, in piena guerra d’Ucraina, il 12 e 27 ottobre 2022, la leadership americana ha enunciato le due strategie fondamentali degli Stati Uniti: il primo è per l’appunto la “National Security Strategy” (october 2022 – The White House Washington) del Presidente Biden (in sigla NSS), il secondo ne è la pianificazione operativa sul piano militare, ed è la “National Defense Strategy of The United States of America 2022” (in sigla NDS) del capo del Pentagono Lloyd Austin, corredata da un dettagliato aggiornamento della “postura” o visione nucleare americana. Questa visione o “postura” ribadisce la decisione di non adottare la politica del “Non Primo Uso” dell’arma nucleare perché essa “comporterebbe un livello di rischio inaccettabile alla luce della gamma di capacità anche non-nucleari degli avversari che potrebbero infliggere danni di natura strategica agli Stati Uniti e ai loro alleati e partners”. È la conferma di quanto era già stato deciso dopo l’attacco alle Torri gemelle: la vecchia concezione basata sulla deterrenza e sulla risposta a un eventuale attacco altrui, non funziona più. Questa opzione non si può più fare perché non si può lasciare che i nemici colpiscano per primi. La miglior difesa è l’offesa. Quindi è prevista, di fronte a una minaccia, l’azione preventiva; la nuova strategia è di ricorrere se necessario per primi all’arma nucleare. scudo al cui riparo si possono condurre senza rischi per gli Stati Uniti le guerre convenzionali necessarie. E questa nuova dottrina, adottata ormai anche dalla Russia, fa sì che dietro questo scudo si pensa che si possnoa combattere tutte le guerre convenzionali, come si è sempre fatto in tutto il corso della storia.

Due documenti programmatici

Per quanto strettamente americani, questi due documenti, di fatto ignorati in Occidente, riguardano tutti, perchè investono non solo l’una o l’altra regione del globo, ma il destino del mondo come tale. E ciò è dimostrato dal fatto che di questo mondo gli Stati Uniti rivendicano globalmente la leadership, che vi installano le loro basi militari da per tutto, e che intendono disporne con l’affermazione che “non c’è nulla che vada oltre le nostre capacità: possiamo farcela, per il nostro futuro e per il mondo”; la posta in gioco sarebbe “di rispondere alle sfide comuni e affrontare le questioni che hanno un impatto diretto sulla vita di miliardi di persone. Se i genitori non possono nutrire i propri figli – specifica Biden – nient’altro conta. Quando i Paesi sono ripetutamente devastati da disastri climatici, interi futuri vengono spazzati via. E come tutti abbiamo sperimentato, quando le malattie pandemiche proliferano e si diffondono, possono aggravare le disuguaglianze e portare il mondo intero al collasso”. Sarebbe questa la preoccupazione degli Stati Uniti, la giusta ragione del loro intervento ma anche il motivo per cui il raggio d’azione entro cui la loro impresa, politica e militare, si deve esercitare è senza limiti territoriali: “Abbiamo approfondito le nostre alleanze principali in Europa e nell’Indo-Pacifico. La NATO è più forte e unita che mai, stiamo facendo di più per collegare i nostri partner e le nostre strategie nelle varie regioni attraverso iniziative come il nostro partenariato di sicurezza con l’Australia e il Regno Unito (AUKUS). E stiamo forgiando nuovi modi creativi per lavorare in comune con i partner su questioni di interesse condiviso, come con l’Unione Europea, il Quadrilatero Indo-Pacifico, il Quadro economico Indo-Pacifico e il Partenariato per la prosperità economica delle Americhe”; e da lì lo sguardo si spinge fino all’Artico.

Si postula dunque un unico potere che si protende alla totalità del mondo, nella presunzione che questo debba avere un unico ordinamento politico, economico e sociale, corrispondere a un unico modello di convivenza umana; e questo è un presupposto che da tempo gli Stati Uniti avevano posto a base della loro relazione col mondo, da quando, dopo l’11 settembre 2001 e lo shock dell’attacco alle Due Torri, avevano enunciato l’ideologia a cui doveva essere conformato l’assetto del mondo, perché questo corrispondesse agli interessi e alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America. Secondo quella ideologia il solo modello valido per ogni nazione sarebbe riassumibile in tre termini: Libertà, Democrazia e Libera Impresa; dunque un modello che mette insieme una definizione antropologica, una indicazione di regime politico ed una forma obbligatoria di organizzazione economico-sociale, e questo composto era dichiarato come normativo per tutti, sulla scia del “progetto”, pubblicato nell’ottobre del 2000, del “nuovo secolo americano”. Dunque non venivano contemplati tanti possibili regimi politici, economici e sociali, corrispondenti eventualmente a diverse teorie. Ce ne sarebbe uno solo che comporta un modello umano, quello dell’individualismo liberale, un modello politico, quello della democrazia occidentale, ed un modello economico, quello del capitalismo d’impresa. Altri modelli non sono ammessi e compito degli Stati Uniti sarebbe di diffondere questo modello in tutto il mondo.

Si potrebbe dire, fin qui, che non possiamo fare obiezioni: ognuno può avere la propria visione del mondo e auspicare e operare perché si realizzi.

Una chiamata alle armi anche per noi

Il problema è però che gli Stati Uniti vogliono fare tutto questo non per conto loro, ma coinvolgendo “l’impareggiabile rete di alleanze e partnership dell’America”. Questi partners nello stabilire l’ordine del mondo sono chiamati in causa 167 volte nei due documenti del presidente Biden e del Pentagono e attraverso la NATO in questa chiamata alle armi siamo coinvolti anche noi.

Dunque la cosa ci riguarda; e da partners e alleati, e non da sudditi o “vassalli”, come ha detto Macron, dobbiamo decidere se questa è la visione del mondo che abbiamo anche noi, se questo è il mondo che vogliamo costruire e qual è la nostra idea dello “stato del mondo” in cui ci troviamo ad operare.

La supremazia americana

La premessa da cui parte Biden e su cui tutta la strategia americana è fondata, “la nostra visione nel tempo”, come egli la definisce, è che “l’era post-Guerra Fredda è definitivamente finita”. Sarebbe una buona notizia se annunziasse la fine della guerra come tale. Purtroppo invece non è così: essa sancisce solo la fine della sua modalità come “guerra fredda”, cioè come una guerra sempre minacciata e mai combattuta, con armi sempre pronte all’uso ma accumulate e tenute ferme negli arsenali. Paradossalmente invece quella che ne deriva è una guerra liberata, non più trattenuta dai rischi di uno scontro nucleare, tornata ad essere libera all’esercizio, come non lo era stata all’epoca della competizione tra I blocchi, fino alla rimozione del muro di Berlino, e poi subito era stata recuperata come necessaria, buona e giusta e persino umanitaria con la prima guerra del Golfo, già nel 1991.

La seconda premessa è che liberato dai vincoli della guerra fredda, l’ovvio modo degli Stati, anzi delle maggiori Potenze, di relazionarsi tra loro, debba essere e sia quello di “una competizione strategica per plasmare il futuro dell’ordine internazionale” e, per gli Stati Uniti, quello di “far avanzare gli interessi vitali dell’America, posizionare gli Stati Uniti per superare i concorrenti geopolitici, affrontare le sfide comuni. Non lasceremo il nostro futuro vulnerabile ai capricci di chi non condivide la nostra visione di un mondo libero, aperto, prospero e sicuro”, dice Biden. Dovranno essere pertanto gli Stati Uniti a vincere in questa competizione: “Essi guideranno con i nostri valori”, “nessuna nazione è meglio posizionata degli Stati Uniti per avere successo”, naturalmente col corteo dei loro seguaci, di “tutti coloro che condividono i nostri interessi”: dunque si parte vincenti e lo spazio di tempo in cui ciò deve avvenire è “il prossimo decennio”, che il documento programmatico del presidente Biden definisce come “decisivo” e che poi nella programmazione della Difesa di Lloyd Austin si estende a comprendere “due decenni” destinati peraltro a prolungarsi nei decenni successivi. Dunque è un testo sul futuro del mondo.

La sfida culminante: la Cina

Questo è il mondo come è visto nel tempo, ma come è visto nello spazio, come viene proposto al nostro sguardo (e alle nostre decisioni) di oggi? Esso è un mondo di cui una parte (peraltro minore) si identifica con la democrazia, ed è contro l’altra, quella delle autocrazie, considerate costitutivamente minacciose e aggressive.

Nel documento del ministro della Difesa Lloyd Austin, esso è considerato come “l’ambito di sicurezza” in cui deve operare l’insieme delle Forze Armate americane (Joint Force), ovvero è il mondo come gli Stati Uniti se lo immaginano e vogliono che sia. È un mondo diviso tra quattro grandi soggetti considerati come contrapposti e in lotta fra loro: 1) Gli Stati Uniti e i loro alleati e partners; 2); la Cina; 3) la Russia, la Corea del Nord e le organizzazioni violente e estremiste, cioè il terrorismo; 4) la “zona grigia” che non è integrata in nessuno dei tre campi suddetti. L’Europa è aggregata al primo mondo, attraverso la NATO.

E subito, sia nel documento della Casa Bianca, sia in quello del Pentagono, vengono designati I due “competitori strategici”, quelli con cui dovrebbe disputarsi il dominio del mondo: e il maggiore non è, a sorpresa, il nemico tradizionale degli Stati Uniti, l’altra grande Potenza della seconda Guerra mondiale, la Russia, i cui “limiti strategici – sostiene Biden – sono stati messi in luce dopo la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina”; ora il vero nemico è la Cina. “La Russia – dice Biden – rappresenta una minaccia immediata e continua all’ordine di sicurezza regionale in Europa ed è una fonte di disturbo e instabilità a livello globale, ma non ha le capacità trasversali della Repubblica Popolare Cinese”.

Pertanto è la Cina a rappresentare la “sfida culminante” (pacing challenge) nel prossimo decennio e nei decenni successivi, a causa della sua intenzione e capacità di “rimodellare l’ordine internazionale a favore di un ordine che inclini il campo di gioco globale a suo vantaggio”. È questa la ragione per cui il piano di pace presentato da Xi Jinping per l’Ucraina, non è stato preso in considerazione.

È singolare che mentre per la Russia Biden abbia buon gioco nell’attribuirle “una minaccia immediata al sistema internazionale libero e aperto come ha dimostrato la sua brutale guerra di aggressione contro l’Ucraina”, ragione per cui essa doveva essere ridotta per punizione alla condizione di “paria” (che nel sistema indiano delle caste significa essere gettati fuori dall’umanità e dalla storia) per la Cina non c’è alcuna motivazione che sia addotta per doverla combattere, se non il fatto che essa sarebbe “l’unico concorrente che ha l’intenzione di rimodellare l’ordine internazionale e, sempre più spesso, ha il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per perseguire tale obiettivo”.

Sulla scia di questa “damnatio” pronunciata da Biden, pochi giorni dopo, il 27 ottobre, il documento operativo sulla “Strategia della Difesa Nazionale degli Stati Uniti” pubblicato dal Segretario alla Difesa Lloyd Austin, illustrava in che modo l’immenso potenziale americano sarebbe stato predisposto a sostenere con la deterrenza questa sfida con la Repubblica Popolare Cinese e a “scoraggiare l’aggressione”; esso sosteneva bensì che il conflitto con la Cina non è “né inevitabile né auspicabile” ma anche che gli Stati Uniti sono pronti, se la deterrenza fallisce, “a prevalere nel conflitto”, come del resto in ogni altro conflitto che si trovino a combattere.

Costituente Terra – Chiesadituttichiesadeipoveri

b8d4f079-0a9d-4306-b131-9b630a570a4ecostituente-terra-logo Costituente Terra Newsletter n. 115 del 3 maggio 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n.296 del 3 maggio 2023

SCONFIGGERE LA RUSSIA?

Cari amici,
pubblichiamo sia nel sito di “CostituenteTerra” sia in quello di “ChiesadituttiChiesadeipoveri”, un appello “Per un’alternativa all’Impero – Le guerre promesse” proposto da Raniero La Valle e Domenico Gallo, insieme a Mario Agostinelli di “Laudato Sì’”. Esso apre uno sguardo sullo stato del mondo, quale oggi è nell’attuale distretta di guerra e di crisi ecologica, e quale potrebbe essere se attraverso uno straordinario impegno di forze politicamente ed eticamente responsabili si riuscisse a controllare i poteri selvaggi e a mettere al riparo il futuro.

Guerra e Pace

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ALIENUM EST A RATIONE, la libertà ripudia le guerre

di Giancarla Codrignani

Dall’Osservatore Romano del 18 aprile: “In Svezia esercitazioni militari con Ucraina e altri dodici Paesi. Sono “le più grandi” da venticinque anni. “Insieme con le forze armate svedesi e ucraine ci saranno inoltre quelle di altri 12 Paesi: StatiUniti, Regno Unito, Finlandia, Polonia, Norvegia, Estonia,Lettonia, Lituania, Danimarca, Austria, Germania e Francia. I militari impegnati nelle esercitazioni saranno 26.000. Lo scopo è quello di migliorare il potenziale delle truppe nel contrastare un eventuale attacco armato al Paese. Le esercitazioni, che vedranno il coinvolgimento di forze di terra, aria e mare e che si concluderanno a maggio, si terranno in varie parti della Svezia e coinvolgeranno Esercito, Aeronautica, Marina e guardia nazionale svedese”.

Avevo scritto Se non mi persuadete, non ci sto: questa mi sembra una risposta. Che la guerra è una follia l’ha detto da qualche secolo Erasmo da Rotterdam che ben conosceva la diversità culturale tra Oriente e Occidente le cui chiese, detentrici del messaggio di pace cristiano, nelle loro divisioni, avevano mantenuto la relazione almeno formale, oggi malauguratamente interrotto all’interno dell’ortodossia. Tuttavia per amore di libertà, nei paesi democratici, si può accettare perfino una guerra.

Assolutamente no trovarcisi dentro ignorandone non solo le ragioni, ma le modalità che appaiono dettate da incoscienza o impotenza. La Nato non è schierata in campo, anche se le dichiarazioni di Stoltenberg non lo escludono e può bastare un passo falso della Polonia, il paese più affidabile – ospita un milione e mezzo di profughi e ha già dichiarato la disponibilità a fornire all’Ucraina i MiG 29 in suo possesso – perché la Nato diventi operativa. I governi membri sono d’accordo whatever it takes senza parere previo dei loro Parlamenti?

Come individua sto soffrendo il disastro degli ucraini per una guerra che sono costretta a credere “scoppiata” il 24 febbraio 2022 a causa dell’aggressione della Russia che ha deliberatamente varcato i confini con truppe che nessun sistema di controllo aveva intravisto in tempo per attivare la diplomazia. Dopo un anno e qualche mi è cresciuta la preoccupazione: alienum a ratione non è più la guerra, ma la regressione alla legge del taglione, la divulgazione della paura, la reticenza a esplicitare gli obiettivi che si perseguono di una strategia destinata a pesare nel futuro dell’intera Europa.

Non possiamo accusare la Nato se l’Europa non ha una Difesa comune. Tuttavia la Nato comprende 26 paesi, tutti europei, tranne il Canada e gli Usa, e tutti sono alleati nel Patto Atlantico. Non è un patto tra uguali: pazienza, anche questo non è nuovo. L’Europa è debitrice agli Stati Uniti della liberazione dal mostro nazifascista e del rientro nel sistema democratico dei valori e dei diritti della sua tradizione occidentale. Ma non può valere l’interpretazione che nel 1946 ne dava il cardinale Spellman: “non è per difendere la mia fede che io condanno il comunismo ateo, ma in quanto americano io difendo il mio paese; perché essendo un nemico del cattolicesimo, il comunismo è una provocazione rivolta a tutti coloro che credono nell’America e in Dio”. America first, ma non in Europa. Gli europei sanno distinguere la democrazia occidentale dal dispotismo russo e non intendono difendere i diritti del popolo ucraino con una guerra a tempo indeterminato per delega, perché assumono il rischio di un allargamento della conflittualità e perfino del ricorso al nucleare.

Infatti nel coacervo culturale dell’impero ex-zarista ed ex-sovietico, oggi Federazione Russa governata da Putin, albergano lingue e tradizioni diverse con tatari e calmucchi ancora memori del Tamerlano e Gengiskan: l’Azerbaijan potrà aver voglia di autonomia, le tensioni balcaniche sono sempre attive e il Kosovo non è tranquillo, mentre gli un tempo sconosciuti Nagorno Karabak, Abcazia, Ossezia del sud (Georgia) e Transnistria rimandano all’Armenia, alla Georgia e alla Moldova (ex Bessarabia).

Mentre nel 1932 era in corso a Ginevra una conferenza sul disarmo per evitare altre guerre in Europa, una conferenza di Dietrich Bonhoeffer ricordava che “le relazioni tra due popoli hanno una profonda analogia con le relazioni tra due singole persone”. Ma nel caso di danni o violenze tra persone, la civiltà dei rapporti sposta il conflitto al tribunale, sostituto universale della voglia di farsi giustizia da sé, mentre tra Paesi l’onore offeso richiede il tributo del sangue “a prescindere”. Eppure i morti non risorgono, le spese in armamenti vengono sottratte al welfare: oggi sullo sfondo le Banche Nazionali navigano a vista e Janet Yellin, segretaria al tesoro americano cerca rapporti tranquilli con la Cina nonostante Taipei, mentre Biden, per contrappeso alle ingenti spese militari per l’Ucraina, ha varato l’Inflation Reduction Act (370 mld.) a sostegno di imprese e lavoratori senza tagliare né Medicare né pensioni e promuove il buy made in Usa. A danno dell’Europa che dovrà farsi carico della ricostruzione, risarcimento dovuto dopo la solidarietà armata, rinascita produttiva e temuta corruzione (la ‘ndrangheta deve già essere sul posto).

Bisogna riconoscere che i costi di una guerra, dopo la grave pandemia, danneggiano l’Europa – in campagna elettorale per il nuovo Parlamento – sia sul campo dell’Unione dove l’onda populista ha prodotto tensioni identitarie nazionaliste e sovraniste che attentano allo Stato di diritto, sia perché ritardano la crescita politica dell’Unione, che, mentre stava decollando in autorevolezza e potere, rischia il declassamento. Piero Calamandrei, temeva che un’alleanza atlantica di cui si parlavaritardasse la più necessaria “Federazione occidentale europea, politicamente e militarmente unita e indipendente, né alleata né ostile, ma mediatrice tra i due blocchi trasformando gli Stati europei in satelliti di uno dei due blocchi”.

La situazione si è fatta ancor più pericolosa, se è vero che la Nato si interessa troppo del Sudest asiatico: il presidente del Giappone Kishida è venuto due volte in Europa, mentre il segretario Stoltenberg si recava in Corea e Giappone. Se a qualcuno piacesse “liberare Taiwan”, i fatti precederanno un’altra volta le informazioni? Infatti è dai tempi della Corea che le guerre non si dichiarano più: avvengono. E avvengono in modo strano: non in tutti i posti in cui la libertà e la democrazia vengono offese, ma random, dove “piace”, un like. I paesi “che non contano” e sono disastrati (o occupati, vedi i curdi) oggi si chiamano Siria, Sudan, Birmania. Di altri governati da dispoti – Libia, Egitto (Giulio Regeni) o l’Arabia Saudita (Khashoggy) – detentori di gas e petrolio sostitutivi delle forniture russe, apprezzate fino al 24 febbraio o della Turchia (che si avvale di iniziative mediatorie che potevano essere prese perfino dall’Italia) o dell’Afganistan, già assistito da Usa e Nato e improvvisamente abbandonato ai talebani, ci riferiamo ai loro diritti?

Si aggiunge la considerazione sull’evidenza dei limiti delle “Due Grandi Potenze”, in vista dell’avanzata senza fretta de “La Cina”, la terza temuta unica. Non fanno più troppo rumore le accuse di comunismo: per la Cina come niente fosse, in Russia Putin l’ha rinnegato e rimpiange di non aver aderito alla Nato nel 2007. La globalizzazione poteva – se non fosse stata condannata ad essere solo finanziaria – far capire che siamo già diventati cittadini del mondo e per questo nessuno vorrebbe vedere un’altra guerra mondiale: diventerebbe mondiale in senso proprio perché collegherebbe i frammenti di quella già in corso secondo papa Francesco.

Cerchiamo di non dare altre preoccupazioni al Pentagono: i generali che conoscono bene le guerre ormai temono soprattutto le scelte dei politici.

Anche perché Macron – la Francia è potenza nucleare e fa bene a prendersi cura dello stato delle cose – è stato in Cina per mantenere relazioni pacifiche dichiarando che i francesi non intendono essere eterodiretti. Come dire: se la Cina aggredire Taiwan, Xi Jinping è un nemico come Putin? Eppure Macron è stato sgridato.

Chi ha sperimentato la seconda guerra mondiale non può dimenticare che il fascismo e il nazismo sono andati al potere, nonostante ideologie razziste e necrofile, per regolari elezioni democratiche; ma sa bene che gli italiani non potevano combatterla da soldati da soldati della Repubblica Sociale, bensì solo da partigiani: Tina Anselmi obbligata con la scuola ad assistere all’impiccagione di 31 arrestati fece la sua scelta. Gli alleati – inglesi e americani democratici insieme con russi comunisti (totalitari, ma secondo l’ideologia finalizzata alla liberazione dei lavoratori dall’oppressione di classe) – condannarono la Germania sconfitta a subire l’occupazione, risparmiata all’Italia ugualmente sconfitta, perché i partigiani ne avevano salvato la dignità. Ma proprio perché quella catastrofe ha dimostrato che si possono perdere, il valore dello stato democratico e il possesso della pace vanno difesi “prima” dalla buona politica: nazionale, europea e internazionale. La condivisione dello Stato di diritto è l’antidoto alla guerra, che non va mai legittimata in quanto tale. Sono state tante le esperienze – in Vietnam, in America Latina, in Iraq e Iran, in Sudafrica, a Srebrenica – che hanno reso “necessari” massacri, stragi, distruzioni di paesi lasciati cinicamente soli. Di conseguenza è legittima la domanda: che senso ha avuto aiutare paesi poveri in difficoltà con le “missioni militari” e le armi, quando le tensioni e le violenze interne – ben note – andavano prevenute (perché previste) con tempestivi aiuti alimentari e non con governi delegati a mantenere l’ordine? A ben considerare ancora una volta problema vero non è la contrapposizione Est/Ovest, ma quella Nord/Sud, i ricchi contro i poveri. Nel 2023 sostenere con le armi l’autodeterminazione del popolo ucraino contro un despota al potere (da vent’anni!) con cui l’Europa – e la stessa Ucraina – manteneva reciprocità di interessi, conferma il criterio arcaico della guerra: giusta o non giusta, intanto prevalgono gravissime offese ai diritti umani, non partono i cereali da spedire al Sud del mondo dal Mar Nero minato, le Marine nordiche e russe mantengono l’allerta nel Mare Artico, ignare di stare correndo nel frattempo più rischi nel Mediterraneo: prevediamo di scivolare nel conflitto, pur di non assumerci la difesa dei diritti prima che vengano lesi? Non è che anche i nordici vivrebbero meglio se si occupassero dell’Africa?

Ormai sono ben altri gli interessi che premono, anticipo di scontri da non risolvere militarmente: l’ambiente esige che tutti cooperino insieme a salvare il pianeta. La guerra non solo è il più grande inquinante fisico (e morale), ma distrae dall’urgenza di risolvere le priorità di un impegno colossale con metodi da gestire necessariamente in comune. Eppure tutti si stanno riarmando (l’annuario Sipri è scandalizzato dagli aumenti 2022) e la ricerca tecno-scientifica produrrà armi “autonome” ancor più sofisticate e il caccia Tempest – un velivolo che è un intero sistema – sostituirà l’F35, che sostituiva l’Eurofighter a sua volta sostituto del Mrca: non disponibile oggi, si propone per la prossima volta. Ormai si è aggiunta l’arma elettronica, una strategia in più che può creare il caos nelle retrovie nemiche e paralizzare banche, ferrovie, istituzioni. Potrebbe essere l’unica arma. Devasterebbe la casa del nemico, ma non verserebbe sangue. E l’uomo, invece, “vuole” deliberatamente il sangue.

Pochi anni fa l’aspirazione universale delle libertà occidentali aveva fatto immaginare addirittura la fine della storia e sognare una liberaldemocrazia estesa al sistema-mondo nel benessere della pace. La fine della storia come metafora era simbolo di un’umanità desiderosa di vivere in pace. Ma il fare giustizia ha ri pristinato la solita volontà di guerra: come quando la Crimea si ribellò al suo zar e Cavour mandò La Marmora con 15.000 soldati piemontesi, oggi Zelinsky dice che la Crimea è sua, ucraina. Per quanto si possa far durare la guerra, alla fine ci sarà solo un tavolo con gli stessi due contendenti. E, dopo il conteggio delle vittime, le decisioni sui confini e le indipendenze, i grandi dicano ai piccoli quale guerra dobbiamo temere.

° docente, politologa, giornalista, già-parlamentare

Il 25 aprile 2023, nel segno di un antifascismo che riconosce la sovranità e l’autonomia di ciascuno, la bellezza del dovere politico consapevole è il diritto dei popoli alla cura della pace da parte delle istituzioni.
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ALIENUM EST A RATIONE, la libertà ripudia le guerre
di editor 26 Aprile 2023 su Smips.

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Eventi in programma
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Dal primo al quattro maggio 2023
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Mercoledì 3 maggio 2023
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“Alienum est a ratione”. Significa: “È fuori dalla ragione”, “fuori di testa “, “roba da persone disturbate mentalmente”. È un’espressione usata dal Papa San Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in Terris (1963), nella quale viene detto che ritenere che le guerre possano portare alla pace è appunto “alienum est a ratione”.