Risultato della ricerca: CARAVAGGIO
Idee per la Fiera Internazionale della Sardegna: la mostra impossibile di Caravaggio
Un’aladinidea fissa!
Il sito web delle mostre impossibili
Idee impossibili per mostre impossibili? Ma il motto di Aladin è “tutto ciò che immagini vividamente, ardentemente desideri, credi sinceramente e persegui con entusiasmo deve inevitabilmente verificarsi”.
Dunque: un’idea possibile per una mostra possibile anche a Cagliari! Ne avevamo parlato il 24 ottobre 2013.
- Un’idea fissa! CARAVAGGIO su Aladinews
Caravaggio
(Dalla pagina fb del Gruppo su Caravaggio, Umberto Giordano) Caravaggio – Particolare di San Francesco in preghiera o San Francesco in meditazione – olio su tela 130 x 90 cm, realizzato tra il 1605 ed il 1606 – Pinacoteca del Museo civico Ala Ponzone di Cremona.
Il dipinto, che ritrae un momento particolarmente intenso della agiografia francescana, ha una storia critica recente, in quanto fu messo in relazione al Caravaggio dallo storico dell’arte Roberto Longhi nel 1943, come probabile opera di un imitatore di qualità, se non una copia fedele di un originale.
Nel 1951 fu inserito nel catalogo della mostra di Palazzo Reale, e in quella occasione, Danis Mahon affermò che si trattava di un originale databile al 1606, ovvero una delle prime opere del periodo napoletano del pittore.
L’attribuzione al Caravaggio convinse nel corso degli anni sempre di più gli studiosi, fino alla pulitura del 1986, che mettendo in evidenza la qualità tecnica, cancellò quasi ogni dubbio attributivo.
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L’immagine è reperibile in rete
Pace, Felicità, Vita… per tutti e per ogni giorno
“Puoi aver difetti, essere ansioso e vivere qualche volta irritato, ma non dimenticare che la tua vita è la più grande azienda al mondo. Solo tu puoi impedirle che vada in declino. In molti ti apprezzano, ti ammirano e ti amano. Mi piacerebbe che ricordassi che essere felice, non è avere un cielo senza tempeste, una strada senza incidenti stradali, lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni.
Essere felici è trovare forza nel perdono, speranza nelle battaglie, sicurezza sul palcoscenico della paura, amore nei disaccordi.
Essere felici non è solo apprezzare il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza. Non è solo celebrare i successi, ma apprendere lezioni dai fallimenti. Non è solo sentirsi allegri con gli applausi, ma essere allegri nell’anonimato.Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide, incomprensioni e periodi di crisi.Essere felici non è una fatalità del destino, ma una conquista per coloro che sono in grado viaggiare dentro il proprio essere.
Essere felici è smettere di sentirsi vittima dei problemi e diventare attore della propria storia.È attraversare deserti fuori di sé, ma essere in grado di trovare un’oasi nei recessi della nostra anima.
È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita. Essere felici non è avere paura dei propri sentimenti.
È saper parlare di sé.
È aver coraggio per ascoltare un “No”.
È sentirsi sicuri nel ricevere una critica, anche se ingiusta.
È baciare i figli, coccolare i genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche se ci feriscono.
Essere felici è lasciar vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice.
È aver la maturità per poter dire: “Mi sono sbagliato”.
È avere il coraggio di dire: “Perdonami”.
È avere la sensibilità per esprimere: “Ho bisogno di te”.
È avere la capacità di dire: “Ti amo”.
Che la tua vita diventi un giardino di opportunità per essere felice …
Che nelle tue primavere sii amante della gioia.
Che nei tuoi inverni sii amico della saggezza.
E che quando sbagli strada, inizi tutto daccapo.
Poiché così sarai più appassionato per la vita.
E scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta. Ma usare le lacrime per irrigare la tolleranza.
Utilizzare le perdite per affinare la pazienza.
Utilizzare gli errori per scolpire la serenità.
Utilizzare il dolore per lapidare il piacere.
Utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell’intelligenza.
Non mollare mai ….
Non rinunciare mai alle persone che ami.
Non rinunciare mai alla felicità, poiché la vita è uno spettacolo incredibile!”
AUGURO A TUTTI VOI DI VIVERE UN FELICE 2016
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di ALBIO TIBULLO. Elegiae. L’amore per la pace (I, 10)
Chi fu colui, che per primo inventò le terribili armi?
Quanto malvagio e feroce quello fu!
Allora nacquero le stragi a danno del genere umano, allora sorsero le guerre, allora venne aperta una via più breve alla terribile morte.
Eppure quell’infelice non ebbe alcuna colpa, noi abbiamo volto a nostro danno quello, che egli ci aveva dato contro le bestie feroci.
Questo è colpa del ricco oro, e non vi furono guerre finché una tazza di legno di faggio era posta davanti ai banchetti.
Non vi erano fortezze, non bastioni, e il pastore si addormentava senza preoccupazione tra pecore di vari colori.
Dolce sarebbe stata allora per me la vita, Valgio, e non avrei conosciuto le funeste armi, né avrei udito la tromba con il cuore palpitante.
Ora sono trascinato a forza a combattere, e già forse qualche nemico produce dei dardi destinati a configgersi nel mio corpo.
Ma patri Lari proteggetemi e salvatemi: voi stessi mi avete allevato, quando ancora bambino correvo qua e là.
E non abbiate vergogna di essere fatti di antico legno: così voi abitaste le sedi dell’antico avo.
Allora con più sincerità (gli uomini) mantenevano la parola data, quando con scarso ornamento il dio stava in una modesta nicchietta.
Questo era soddisfatto, sia che qualcuno avesse fatto libagioni con uva sia che qualcuno avesse offerto una corona di spighe alla santa chioma: e colui che è padrone di qualcosa offriva delle focacce dietro di lui come compagna la piccola figlia offriva un favo intatto.
Tenete lontano da noi, Lari, i dardi di bronzo e avrete come rustica vittima una scrofa del mio porcile pieno.
Io stesso col capo cinto di mirto accompagni questa con una veste disadorna e porti canestri ornati di mirto.
Così io possa piacere a voi: sia pure un altro valoroso nelle armi, e atterri col favore di Marte i comandanti avversari, in modo che mentre sto bevendo un soldato possa raccontarmi le sue imprese e disegnare col vino gli accampamenti sulla mensa.
Che pazzia è mai quella di chiamare a sé con la guerra la nera morte?
La morte ci sta sopra e segretamente arriva con passo silenzioso.
Non campo coltivato v’è nel mondo sotterraneo, non vigna, ma l’audace Cerbero e il turpe nocchiero delle acque dello Stige: ivi una pallida turba con le gote dilaniate e i capelli arsi erra presso le nere paludi.
In quanto è più da lodarsi colui che coglie la sua tarda vecchiaia nella sua umile capanna in mezzo ai suoi figli!
Egli stesso conduce al pascolo le pecore, il figlio invece gli agnelli, e la moglie prepara l’acqua calda al marito stanco.
Possa anch’io esser così e mi sia concesso veder sul capo divenir bianchi i miei capelli e vecchio raccontare i fatti della giovinezza.
Frattanto la Pace coltivi i canti. La Pace ha insegnato a condurre sotto i gioghi ricurvi i buoi per arare: la Pace ha sostentato le viti e ripose il succo d’uva, perché l’anfora di terracotta del padre versasse il vino puro: durante la pace brillano il bidente e il vomere, la ruggine ricopre le funeste armi dell’insensibile soldato nei nascondigli.
Orsù vieni a noi, benefica Pace, e terrai una spiga
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Quis fuit, horrendos primus qui protulit enses?
Quam ferus et vere ferreus ille fuit!
Tum caedes hominum generi, tum proelia nata,
Tum brevior dirae mortis aperta via est.
An nihil ille miser meruit, nos ad mala nostra
Vertimus, in saevas quod dedit ille feras?
Divitis hoc vitium est auri, nec bella fuerunt,
Faginus astabat cum scyphus ante dapes.
Non arces, non vallus erat, somnumque petebat
Securus varias dux gregis inter oves.
Tunc mihi vita foret, Valgi, nec tristia nossem
Arma nec audissem corde micante tubam.
Nunc ad bella trahor, et iam quis forsitan hostis
Haesura in nostro tela gerit latere.
Sed patrii servate Lares: aluistis et idem,
Cursarem vestros cum tener ante pedes.
Neu pudeat prisco vos esse e stipite factos:
Sic veteris sedes incoluistis avi.
Tunc melius tenuere fidem, cum paupere cultu
Stabat in exigua ligneus aede deus.
Hic placatus erat, seu quis libaverat uvam
Seu dederat sanctae spicea serta comae:
Atque aliquis voti compos liba ipse ferebat
Postque comes purum filia parva favum.
At nobis aerata, Lares, depellite tela,
Hostiaque e plena rustica porcus hara.
Hanc pura cum veste sequar myrtoque canistra
Vincta geram, myrto vinctus et ispe caput.
Sic placeam vobis: alius sit fortis in armis,
Sternat et adversos Marte favente duces,
Ut mihi potanti possit sua dicere facta
Miles et in mensa pingere castra mero.
Quis furor est atram bellis accersere Mortem?
Imminet et tacito clam venit illa pede.
Non seges est infra, non vinea culta, sed audax
Cerberus et Stygiae navita turpis aquae:
Illic peresisque genis ustoque capillo
Errat ad obscuros pallida turba lacus.
Quin potius laudandus hic est quem prole parata
Occupat in parva pigra senecta casa!
Ipse suas sectatur oves, at filius agnos,
Et calidam fesso comparat uxor aquam.
Sic ego sim, liceatque caput candescere canis
Temporis et prisci facta referre senem.
Interea Pax arva colat. Pax candida primum
Duxit araturos sub iuga curva boves:
Pax aluit vites et sucos condidit uvae,
Funderet ut nato testa paterna merum:
Pace bidens vomerque nitent, at tristia duri
Militis in tenebris occupat arma situs.
At nobis, Pax alma, veni spicamque teneto,
Profluat et promis candidus ante sinus.
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Chi fu colui, che per primo inventò le terribili armi?
Quanto malvagio e feroce quello fu!
Allora nacquero le stragi a danno del genere umano, allora sorsero le guerre,
allora venne aperta una via più breve alla terribile morte.
Eppure quell’infelice non ebbe alcuna colpa, noi abbiamo volto a nostro danno quello,
che egli ci aveva dato contro le bestie feroci.
Questo è colpa del ricco oro, e non vi furono guerre
finché una tazza di legno di faggio era posta davanti ai banchetti.
Non vi erano fortezze, non bastioni,
e il pastore si addormentava senza preoccupazione tra pecore di vari colori.
Dolce sarebbe stata allora per me la vita, Valgio, e non avrei conosciuto
le funeste armi, né avrei udito la tromba con il cuore palpitante.
Ora sono trascinato a forza a combattere, e già forse qualche nemico
produce dei dardi destinati a configgersi nel mio corpo.
Ma patri Lari proteggetemi e salvatemi: voi stessi mi avete allevato,
quando ancora bambino correvo qua e là.
E non abbiate vergogna di essere fatti di antico legno:
così voi abitaste le sedi dell’antico avo.
Allora con più sincerità (gli uomini) mantenevano la parola data, quando con scarso ornamento
il dio stava in una modesta nicchietta.
Questo era soddisfatto, sia che qualcuno avesse fatto libagioni con uva
sia che qualcuno avesse offerto una corona di spighe alla santa chioma:
e colui che è padrone di qualcosa offriva delle focacce
dietro di lui come compagna la piccola figlia offriva un favo intatto.
Tenete lontano da noi, Lari, i dardi di bronzo
e avrete come rustica vittima una scrofa del mio porcile pieno.
Io stesso col capo cinto di mirto accompagni questa con una veste disadorna
e porti canestri ornati di mirto.
Così io possa piacere a voi: sia pure un altro valoroso nelle armi,
e atterri col favore di Marte i comandanti avversari,
in modo che mentre sto bevendo un soldato possa raccontarmi le sue imprese
e disegnare col vino gli accampamenti sulla mensa.
Che pazzia è mai quella di chiamare a sé con la guerra la nera morte?
La morte ci sta sopra e segretamente arriva con passo silenzioso.
Non campo coltivato v’è nel mondo sotterraneo, non vigna, ma l’audace
Cerbero e il turpe nocchiero delle acque dello Stige:
ivi una pallida turba con le gote dilaniate e i capelli arsi
erra presso le nere paludi.
In quanto è più da lodarsi colui che coglie la sua tarda vecchiaia
nella sua umile capanna in mezzo ai suoi figli!
Egli stesso conduce al pascolo le pecore, il figlio invece gli agnelli,
e la moglie prepara l’acqua calda al marito stanco.
Possa anch’io esser così e mi sia concesso veder sul capo divenir bianchi i miei capelli
e vecchio raccontare i fatti della giovinezza.
Frattanto la Pace coltivi i canti. La Pace ha insegnato
a condurre sotto i gioghi ricurvi i buoi per arare:
la Pace ha sostentato le viti e ripose il succo d’uva,
perché l’anfora di terracotta del padre versasse il vino puro:
durante la pace brillano il bidente e il vomere, la ruggine
ricopre le funeste armi dell’insensibile soldato nei nascondigli.
Orsù vieni a noi, benefica Pace, e terrai una spiga
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Tempo di Presepio
La Natività secondo Carlo Maratta (1625-1713).
Uno dei grandi esponenti della seconda metà del ’600,
nell’ ambito della pittura italiana. Nel forte luminismo dell’ immagine, si può riscontrare l’ influenza del Caravaggio e il gusto per i “notturni” tipico della pittura fiamminga post-caravaggesca. (LL)
La Natività secondo il Caravaggio
con gli occhiali di Piero…
AMEDEO NAZZARI
Muore a Roma il 6 novembre 1979 l’attore Amedeo Nazzari.
Cagliaritano, nato il 10 dicembre 1907, all’anagrafe Amedeo Buffa, adottò il nome del nonno materno come nome d’arte. Prima infanzia a Cagliari poi a Roma dopo la morte del padre Salvatore, quando ha sei anni.
Esordisce in teatro a vent’anni, poi nel cinema dal 1935.
Nel 1941 è premiato a Venezia per la sua interpretazione in “Caravaggio, il pittore maledetto”, film di recente ritrovato dalla Rai e che però ancora non si riesce di vedere. Il trionfo arriva con “La cena delle beffe” di Blasetti, dall’opera di Sem Benelli, film “cult” per diverse ragioni (non solo per la celebre battuta “chi non beve con me peste lo colga”), che rifece per la televisione 25 anni dopo, con la stessa energia fisica e interpretativa.
Seguirono i drammi popolari diretti da Matarazzo: Catene, Tormento, ecc.,
lavorò inoltre con registi quali Lattuada, Castellani, Camerini, Germi, Monicelli, Fellini.
Sposato con l’attrice Irene Genna, la loro figlia Maria Evelina è anch’essa attrice di teatro e autrice del libro “Amedeo Buffa in arte Nazzari”.
I simpatici amici sardi di Bareggio-Cornaredo, provincia di Milano, hanno intitolato il loro circolo ad “Amedeo Nazzari”,
Oggi domenica 18 ottobre 2015
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Caravaggio, Narciso alla fonte, 1597-1599. Olio su tela, cm 112 x 92 cm. Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini, Roma.
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E sono 450 i giorni di attesa!
Francesco
IL SANTO DI OGGI. San Francesco d’Assisi.
(“San Francesco in estasi” secondo il Caravaggio, 1594-1595).
Il dipinto è ad Hartford (Connecticut, al Wadsworth Atheneum).
AUGURI a TUTTE le FRANCESCHE e i FRANCESCHI.
Elogio di Bacco
Caravaggio e i caravaggeschi in mostra a Sassari
Dal 26 giugno nella sala Duce rinnovata decine di quadri e la “Medusa”
di Paolo Curreli, su La Nuova Sardegna
La testa di Medusa detta “Rotella…
Caravaggio
L’ affresco con Giove, Nettuno, Plutone è l’ unico realizzato, in tutta la sua carriera. L’ Artista, come noto, preferiva la pittura a olio su cavalletto.
Questo dipinto si trova a Villa Ludovisi, Roma; venne eseguito per il cardinale Del Monte nella stanza che era destinata agli esperimenti alchemici.
La difficile, virtuosistica ed acrobatica “prospettiva dal basso” mette in evidenza le tre figure, che si stagliano contro un cielo nuvoloso, in cui campeggia una sfera argentea che, in trasparenza, mostra alcuni segni zodiacali; più il cane Cerbero con tre teste simbolo di Plutone, che rappresentano rispettivamente: Giove, lo zolfo e l’aria; Nettuno, il mercurio e l’acqua; Plutone, il cloruro e la terra.
Secondo la tradizione Cerbero avrebbe la testa di Cornacchia, il cane del Caravaggio, sempre con lui, fino alla morte. (LL)
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Caravaggio. Il dipinto di Villa Ludovisi. Dipinto dal significato, in parte, misterioso: perchè Giove è quasi nascosto? Perchè Nettuno è nudo e mostra i genitali ?
Secondo la tradizione (Bellori), il Caravaggio fece questo dipinto per accontentare il suo amico e mecenate cardinal Del Monte il quale, certamente, gli suggerì il tema e dettò l’ iconografia. Particolare curioso è che le tre divinità sono tre immagini dello
stesso pittore che, per ottenere l’ arditissimo scorcio, sarebbe salito, nudo, su di uno specchio. Il volto di Nettuno, il più visibile, conferma la tradizione.
Caravaggio. La tavolozza e la spada: il Caravaggio di Milo Manara.
- Il Caravaggio di Manara. Milo Manara: “Ecco il mio Caravaggio”.
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RepTv News, Milo Manara: “Ecco il mio Caravaggio, ha la faccia di Andrea Pazienza”
Dopo anni di studio e lavoro arriva il primo volume della vita di Caravaggio disegnata da Milo Manara (Caravaggio – La tavolozza e la spada, Panini Comics). Non mancano naturalmente l’erotismo e una grande attenzione alle architetture di una Roma maestosa: “Quando passeggiavo a Massenzio o Caracalla con il mio amico Fellini, – ricorda Manara – Federico mi diceva: non ti sembrano dinosauri che dormono? Caravaggio deve aver provato lo stesso stupore”. L’artista lombardo ritratto da Manara ha una forte somiglianza fisica con Andrea Pazienza: “Tutti e due si sono buttati nella loro vita senza fare calcoli. Erano come una fiaccola che arde da entrambe le estremità: dura meno, ma fa molta più luce…”
Caravaggio
Ed ecco, invece, la “Caduta” più famosa… (sempre di Saulo-Paolo, sempre di Caravaggio), quella della Cappella Cerasi di S.Maria del Popolo, a Roma.
Non ci crederete ma qualche problema ci fu anche per questa: per esempio, si domandarono i committenti, “perchè tanta importanza al cavallo, che occupa quasi tutto lo spazio visivo ? E lo scorcio prospettico del santo, non sarà troppo audace ?”. Credo, però, che alla seconda, il Caravaggio abbia detto, più o meno : “Adesso basta. O la prendete così o ciccia”. La presero. (Per fortuna).
(licialisei).
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