Risultato della ricerca: Vanni Tola

Col naso all’insù osservando la Cometa

Scienza e tecnologia
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sedia-van-gogh4di Vanni Tola

Il prossimo Natale registrerà un cambiamento straordinario nell’evoluzione del pensiero umano e nelle conoscenze scientifiche dell’Umanità. La mitica Stella Cometa che preannuncia l’arrivo dei Re Magi non sarà più un oggetto misterioso e fantastico bensì qualcosa di reale, un oggetto spaziale misurabile, osservabile attraverso le immagini riproposte sui media e del quale conosceremo perfino la composizione chimico-fisica. Il “miracolo” è il risultato di un’impresa scientifica straordinaria, in assoluto la più grande impresa mai realizzata dall’uomo, che manda in archivio perfino lo sbarco dell’uomo sulla luna di circa quarantacinque anni fa e le vicende della Stazione Scientifica Internazionale in orbita intorno alla terra a 450 Km di distanza che ospita da decenni gruppi di astronauti che vivono e lavorano nello spazio per periodi di circa sei mesi. Il miracolo scientifico e tecnologico è stato realizzato dalla navetta spaziale Rosetta e dal suo lander Philae che, alle ore 17 del 12 Novembre 2014, si è posato sulla cometa 67/P Churymov-Gerasimenko cominciando la propria attività di ricerca con l’invio alla Terra di spettacolari immagini del corpo celeste appena raggiunto. Quasi un film di fantascienza realizzato dall’attività della Agenzia Spaziale Europea con un notevole e sostanziale contributo dei ricercatori e della tecnologia italiana. Le tappe principali della missione Rosetta delimitano i confini di una operazione quasi al limite dell’impensabile. La missione Rosetta inizia con il lancio nello spazio del veicolo spaziale il 2 Marzo 2004, ben dieci anni fa. Il veicolo effettua, per due volte, una manovra di “rimbalzo” tra la Terra e Marte per vincere le resistenze fisiche spaziali e realizzare una sorta di “presa di rincorsa” per raggiungere la cometa 67/P dopo essere passata in prossimità degli asteroidi Steins e Lutetia. Il viaggio è lungo, si tratta di percorrere ben 511 milioni di Km, mica una passeggiata. Per facilitare il viaggio e “risparmiare” preziose energie la navetta spaziale, il giorno 8 Giugno 2011, viene posta in una stato di ibernazione, tutti i macchinari e gli apparecchi di bordo spenti. Sul volo vigila soltanto il computer di bordo che governa il viaggio e provvederà poi, il 20 Gennaio del 2014, a riattivare le apparecchiature della navetta una volta arrivati in prossimità della cometa. In questi giorni Rosetta ha raggiunto l’obiettivo in un luogo lontanissimo dello spazio e ha inviato sulla sua superficie il lander Philae, una sofisticata sonda-laboratorio che, dopo l’atterraggio, si è ancorata al suolo. Nelle prossime ore provvederà a prelevare campioni di roccia, ad analizzarne la composizione e ad eseguire una serie di altre importanti rilevazioni. Tutti i dati raccolti dal lander Philae raggiungono la navetta Rosetta rimasta nell’orbita della cometa e, da questa, vengono trasmessi alla Terra dove arriveranno dopo un viaggio di oltre 30 minuti. Meglio, molto meglio di qualunque libro di fantascienza e dei migliori film sullo spazio mai realizzati. Il fatto che le comunicazioni tra Rosetta e la Terra avvengano nel breve termine di trenta minuti non tragga in inganno sulla reale distanza della cometa dal nostro pianeta. Cinquecentoundici milioni di Km corrispondono, grosso modo, a 3,5 Unità Astronomiche. Una Unità Astronomica è l’unità che indica la distanza media tra il pianeta Terra e il Sole cioè circa 150 milioni di Km. Giusto per avere un’idea e per cominciare ad abituare la nostra mente a valutare l’infinitamente grande come già facciamo con l’infinitamente piccolo, potremmo concludere che la nostra fantastica cometa 67/P, con le sue 3,5 Unità Astronomiche di distanza dalla Terra, è molto più lontana del pianeta Marte ( che dista “soltanto” 1,5 U.A.) e molto più vicina alla Terra del pianeta Giove ( cometa dirinnovache invece dista 5,2 U.A.). Concludiamo con una interessanti riflessione di Seneca che nel suo Le naturales quaestiones dedica il VII libro all’osservazione delle comete. Quasi una profezia : “ Il mondo ha movimenti irrevocabili, solo alcuni abbiamo imparato a conoscere. Verrà poi qualcuno a dimostrare in quali regioni del cielo corrano le comete, perché errino separatamente dagli altri corpi celesti, quale sia la loro grandezza e natura (erit qui demonstret aliquando in quibus partibus cometae currant, cur tam seducti a ceteris errent, quanti qualesque sint)”. Poi arrivò Newton.

SISTER GOOD IN CONCERTO

sister Vanni tRassegna “Un concerto, un’idea” a cura dell’Associazione Musicale Laborintus
SISTER GOOD IN CONCERTO
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di Vanni Tola

Sister Good, un concerto che nasce da un’idea progetto di Silvia Pilia, viene riproposto a Sassari nell’ambito della Rassegna “ Un concerto, un’idea”. Il filo conduttore dello spettacolo, l’idea, è quella di rendere omaggio ad alcune figure femminili che hanno caratterizzato la scena musicale nel Novecento con la loro arte ed il loro impegno sociale. Un repertorio di qualità proposto ripercorrendo l’esperienza musicale e di vita di artiste quali Nina Simone, Billie Holiday, Amy Winehouse, Chavela Vargas, Lasha De Sela ed altre ancora. Protagoniste del concerto Denise Fatma Gueye, Claudia Crabuzza e Silvia Pilia accompagnate dai musicisti Andrea Lubino alla batteria, Simone Sassual piano, Angelo Vargiu e Gianpiero carta ai fiati, Lorenzo Sabattini al basso, Antonio Pitzoi e Sabina Sanna alle chitarre. Gli arrangiamenti musicali sono curati dall’Associazione Musicale Laborintus.
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Venerdì 14 Novembre alle ore 21.00, Teatro Civico -Sassari

Spopolamento, desertificazione… Che fare? In una nuova politica di accoglienza una parziale ma importante risposta.

Sagama murale di Pina Monneape-innovativaLo studio sullo spopolamento e sui “Comuni in estinzione” commissionato dalla Regione Sardegna a due studiosi dell’università di Cagliari, il sociologo Gianfranco Bottazzi e il docente di statistica Giuseppe Puggioni di cui ha dato recente notizia La Nuova Sardegna (ma lo studio è di fine 2013 ed è disponibile integrale sul sito della RAS*), ci induce a riproporre la “questione spopolamento” legandola alla politica dell’accoglienza, quest’ultima proprio come una tra le possibili risposte allo spopolamento. E’ necessario che di tutto la Regione si faccia maggiormente carico, a partire dal Consiglio Regionale che potrebbe al riguardo istituire una “commisione di indagine” attraverso un’apposita legge regionale. Ovviamente la questione coinvolge tutti e richiede risposte ampiamente condivise dai sardi e da tutte le organizzazioni che operano in Sardegna. Ci sembra pertinente in questo contesto riproporre un editoriale di Vanni Tola, dell’11 settembre 2014, insieme ad altri contributi sulla stessa tematica pubblicati nel tempo su Aladinews.
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Una nuova operazione “Mare nostrum” per una differente politica dell’accoglienza
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sedia-van-gogh4di Vanni Tola
E’ cronaca di questi giorni. Migranti provenienti da lontani paesi dell’Africa settentrionale, in fuga dalla guerra e dalla miseria, dopo aver attraversato a piedi il deserto e affidato le loro vite agli scafisti e al mare, talvolta trovano temporaneo rifugio in alcuni paesi della nostra isola. Accade però che dopo alcuni giorni di permanenza in questi improvvisati centri di accoglienza, gli ospiti stranieri lasciano spontaneamente i loro nuovi rifugi per cercare fortuna altrove. Cosa c’è che non va nei nostri paesi, a Sadali, a Ottana, a Valledoria, a Lu Bagnu, in riva al mare della Costa Paradiso? La risposta è drammaticamente semplice. Questi luoghi di accoglienza, spesso isolati rispetto ai grandi centri abitati, mal collegati dai trasporti pubblici, non offrono che un alloggio con relativi servizi, piccoli aiuti materiali, un po’ di solidarietà della gente del posto ma anche l’assoluta certezza che difficilmente l’immigrato potrà intravvedere in tali località la possibilità di un reale inserimento sociale, di una valida prospettiva di vita, la possibilità di “mettere radici”. Meglio scappare lontano verso le grandi città. Un’altra considerazione. Più volte ci siamo occupati dell’andamento dei principali indicatori demografici dell’Isola. Dati drammatici, paesi destinati a scomparire nei prossimi decenni per mancanza di abitanti. Comparti produttivi fondamentali per la Sardegna, quale l’agro – pastorizia destinate a non avere un futuro per l’invecchiamento degli attuali addetti al settore e la mancanza di nuova forza lavoro da impiegare a causa del notevole decremento delle nascite. C’è un nesso tra l’arrivo di migranti nell’isola e la condizione di cronico spopolamento della nostra regione? Certamente sì. L’arrivo dei migranti, fenomeno in atto e storicamente irreversibile e l’eccezionale spopolamento della nostra regione, insieme, creano le precondizioni per attivare un differente approccio alla questione dell’accoglienza degli immigrati. Una programmazione organica di flussi immigratori, infatti, potrebbe perfino avere un influsso positivo per la situazione demografica della Sardegna e rappresentare nello stesso tempo una prospettiva di vita accettabile per gran parte dei migranti. Naturalmente a condizione che determini reali possibilità d’integrazione che vadano oltre le pur importanti iniziative di prima accoglienza, finora realizzate. In alcune realtà sono arrivate delle vere e proprie piccole comunità (è il caso delle venti copie di immigrati con bambini) che, se adeguatamente inserite in uno qualsiasi dei nostri paesini con saldo delle nascite negativo, scuole chiuse per mancanza di alunni, centinaia di case abbandonate nei centri storici, avrebbero potuto “fare la differenza”. Avrebbero potuto concorrere a modificare sensibilmente le tendenze demografiche in atto rivitalizzando la comunità ospitante, mantenendo in vita i servizi sociali, e la scuola fra questi, favorendo il recupero dei centri storici abbandonati, rivitalizzando la macro economia locale con l’impiego degli ospiti in lavori utili alla collettività (terre abbandonate, difesa dell’ambiente, ripopolamento aree rurali). Diversi osservatori dei fenomeni demografici, partendo dalla considerazione che in Sardegna si registrano tassi di natalità tra i più bassi al mondo e che i giovani continuano a emigrare, propongono da qualche tempo la necessità e l’urgenza di attivare interventi concreti ed efficaci per invertire la tendenza a un significativo spopolamento della Sardegna e delle zone interne in particolare. La sintesi delle ricerche effettuate ipotizza la realizzare un grande processo di riantropizzazione programmata – come avvenuto in altre aree del mondo con analoghi problemi di spopolamento – utilizzando la possibilità di razionalizzare e migliorare qualitativamente l’attuale politica dell’accoglienza dei migranti. Un progetto di reale inclusione che garantisca progetti di vita validi e accettabili a cominciare dal diritto di cittadinanza per i loro figli. Tali proposte, che potrebbero apparire il parto di fertili menti di sognatori, sono nella realtà saldamente presenti all’interno del dibattito nelle principali istituzioni della Comunità europea. Talmente presenti da essere state tradotte in un piano, il Programma Horizon 2020 per le politiche dell’integrazione che destina milioni di euro (in parte spendibili già dal corrente anno) per le politiche d’integrazione che i paesi comunitari volessero realizzare. Dedicare la dovuta attenzione a questo progetto potrebbe rappresentare per la Sardegna la possibilità di diventare un’area geografica di accoglienza e gestione programmata di flussi migratori che potrebbero, a loro volta, concorrere a rivitalizzare una società tendenzialmente minacciata di estinzione o comunque di un notevole ridimensionamento del proprio ruolo nel mondo. Non è un’operazione di poco conto, è un intervento che implica il superamento di difficoltà considerevoli, anche in termini culturali e di evoluzione del modo comune di pensare la convivenza con altri popoli e altre culture, che è cosa ben diversa dall’aiuto temporaneo e dall’ospitalità. Ma perché non provarci?
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- Horizon2020, per saperne di più
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- Lo studio di Bottazzi/Puggioni sullo spopolamento è stato presentato dalla Ras in un’iniziativa del 23 gennaio 2014.
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Nel primo riquadro: Sagama, murale di Pina Monne, ripreso dalla copertina dello studio di Bottazzi-Puggioni.

L’autunno caldo in Sardegna: il dramma della disoccupazione, gli annunci, le promesse e le speranze. Il dibattito e oltre

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Meridiana 1nov14
di Vanni Tola

Dopo una lunga stagione estiva è arrivato l’autunno. Un autunno caldo come da tradizione. Ed in effetti questo autunno caldo lo sarà per davvero. Guardiamoci un po’ intorno. Milleseicento dipendenti di Meridiana rischiano il licenziamento. La lotta sindacale, ancora in corso, probabilmente riuscirà a limitare il numero di licenziati ma la vicenda si concluderà certamente con un ulteriore incremento della disoccupazione regionale. Altra vicenda. Durante l’estate, una serie di problemi burocratici e procedurali ha fatto correre il rischio alla Sardegna di vedere sfumare uno dei più grandi finanziamenti mai proposti per l’isola. Ci riferiamo naturalmente all’investimento della Quatar Foundation per la realizzazione ad Olbia di un importante centro ospedaliero e di ricerca medica. Un progetto da 1,2 miliardi di euro con una previsione occupazionale di almeno mille unità e la prospettiva di generare attività indotte. La società General Eletric ha già confermato un intervento di 100 milioni per la realizzazione le apparecchiature elettroniche dell’ospedale e la Cisco un investimento per quelle informatiche. Nell’occasione la burocrazia e la lentezza della pubblica amministrazione si sono riconfermate come uno dei principali ostacoli per lo sviluppo. Fortunatamente la vicenda ha avuto esito positivo, il progetto sarà realizzato con i tempi e le modalità dei grandi imprenditori capaci di programmare e gestire grandi investimenti. Il tutto accadrà in cinque o sei mesi in una regione nella quale, per realizzare pochi chilometri di una arteria stradale, si impiegano decenni. Certamente una salutare lezione per la programmazione regionale. Altro tema caldo del nostro caldo autunno, la Chimica Verde. Qualche mese fa abbiamo partecipato alla solenne inaugurazione degli impianti Matrìca di Portotorres. Era presente il ministro Galletti e i maggiori responsabili del progetto. La produzione dell’impianto sarebbe dovuta iniziare dopo qualche mese ma ancora non se ne ha notizia. Molto poche le comunicazioni sulla materia prima da impiegare, quel cardo che è stato oggetto di tante discussioni. Si è saputo soltanto che la sperimentazione della coltivazione si è conclusa positivamente. Tra le righe degli interventi dei relatori abbiamo colto la notizia che, nella fase iniziale della attività produttiva, la materia prima non sarebbe stato il cardo locale ma una sostanza oleaginosa di origine vegetale proveniente dalla Spagna attraverso il mare. In queste settimane si è registrato grande fermento negli ambienti sindacali che lamentano un ritardo da parte dell’Eni nel completamento del progetto e nell’avvio della produzione. Il timore è che l’Eni possa procedere ad un drastico dimensionamento del progetto Chimica Verde in coerenza con la propria strategia industriale che prevede una riduzione del numero degli impianti operanti in Italia. Pronta la smentita del Presidente della Regione Francesco Pigliaru che, in occasione di un recente convegno di studi svoltosi a Sassari, ha dichiarato di aver avuto assicurazione dalla Ad di Matrica Katia Bastioli che l’investimento su Portotorres non avrebbe subito rallentamenti. Intanto però si registra la decisione di Matrìca di non realizzare la centrale a biomasse prevista inizialmente dal progetto e la sua sostituzione con due impianti minori per la produzione di vapore, con buona pace di chi temeva che tale impianto potesse essere trasformato in un inceneritore di rifiuti. La mancata realizzazione della centrale a biomassa, che da sola rappresenta un investimento di ben 230 milioni dei 730 complessivi , é indubbiamente un taglio significativo dell’investimento inizialmente programmato. Un altro dato certo, indicatore di un ridimensionamento del progetto in atto, è rappresentato dal cambio di velocità di Matrica nella realizzazione degli impianti. Gli altri cinque impianti previsti all’interno del progetto “Chimica Verde” infatti non saranno realizzati comunque ma soltanto in relazione alle condizioni di mercato. Il che significa che potrebbero anche non essere realizzati o realizzati soltanto in parte. Meglio attendere ancora un po’ e raccogliere altri elementi prima di trarre conclusioni definitive ma l’allerta è d’obbligo. Noi riteniamo comunque che, a prescindere dalla fondatezza o meno delle notizie relative alla completa realizzazione del progetto Matrìca resti aperta una questione di fondo che chiameremo la “campagna del cardo”. Ancora oggi non è dato sapere infatti quanti ettari di terre marginali siano state coltivate a cardo per alimentare l’impianto della chimica verde, eccezion fatta per i campi sperimentali gestiti direttamente da Matrìca. Attendiamo di sapere che risultati concreti abbia determinato l’accordo Matrìca-Coldiretti per promuovere tra gli agricoltori la coltivazione di cardo. Questo perché è un dato di fatto – e lo si desume da precise ed esplicite affermazioni dei tecnici di Matrìca – che l’operazione chimica verde ha un senso ed una validità economica soltanto in funzione della capacità di reperire la materia prima (cardo) in prossimità degli impianti e in un raggio di poche decine di chilometri. L’approvvigionamento di materia prima da altre aree geografiche (cardo o altre essenze oleaginose) può avere un senso soltanto nella fase iniziale di avvio della produzione ma non può rappresentare la soluzione definitiva. Certo se fosse fallita la “campagna del cardo” e non esistesse una soluzione di ricambio (impiego di altre colture oleaginose disponibili) la situazione sarebbe realmente problematica. Un ultima riflessione. Si registra un crescente interesse da parte di imprenditori stranieri per investire nell’isola i loro capitali. Il Presidente Pigliaru ha dichiarato che “ il 2015 sarà l’anno dell’agricoltura perché il mondo vuole cibo di qualità e i cinesi hanno iniziato a bere latte. E io ho la fila di investitori esteri che vogliono terra, produzione sicura, contratti”. Prospettive di occupazione e ulteriore sviluppo anche in agricoltura? Naturalmente saranno le benvenute. Come pure sarà certamente ben accolto il progetto della svizzera Keelfeld di investire nell’area industriale di Truncu Reale (Portotorres)50 milioni di euro per creare 400 posti di lavoro. L’industria produrrebbe macchinari destinati al settore alimentare. Insomma ci pare di poter affermare che l’autunno sardo sarà un autunno con molta carne al fuoco, con molte proposte in discussione, con molte dinamiche in atto nel comparto industriale. E’ sempre più urgente e necessario che la Regione Sardegna riesca a dotarsi di una razionale, efficiente e realistica politica industriale che sappia orientare, dirigere e controllare le politiche dello sviluppo e per l’occupazione.
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UNGARETTI : SOLDATI

Soldati
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie

Abbassate i manganelli!

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Roma – Cariche e manganellate contro i metalmeccanici. Dura protesta della CGIL e della Fiom. Il Governo invitato a fornire spiegazioni in aula. La ricostruzione dei fatti del Ministro degli Interni Alfano.
sedia-van-gogh4di Vanni Tola

Sulla base degli accertamenti e della documentazione in possesso del Ministero degli interni risulta evidente che i disordini sono stati fomentati da un gruppo di provocatori infiltratisi nel corteo pacifico dei metalmeccanici. Per non farsi riconoscere gli infiltrati hanno evitato accuratamente i soliti travestimenti (casco, passamontagna, bavaglio) ed hanno sfilato a volto scoperto e totalmente disarmati tanto da essere facilmente individuabili come manifestanti pacifici. Relativamente agli episodi di violenza il Ministero ha potuto accertare che i manganelli erano li, tranquilli, nelle mani dei poliziotti, quando i facinorosi si sono improvvisamente mossi in avanti. Procedendo all’indietro per indietreggiare, alcuni poliziotti sono inciampati e, per recuperare l’equilibrio, hanno istintivamente abbassato le mani dall’alto verso il basso andando cosi a colpire, per fatale combinazione, le teste di alcuni operai che si erano incautamente posizionati sotto i manganelli.
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Leopolda e reparti antisommossa sono la controparte
democraziaoggidi Andrea Pubusa su Democraziaoggi

Che senso ha il pestaggio degli operai delle Acciaierie di Terni in lotta per la difesa del lavoro? Sicuramente ha il valore che sempre hanno avuto questa azioni: la repressione della protesta in difesa delle posizioni padronali. Ma qui con Renzi ha un valore più pregnate. Il segretario PD ha celebrato la Leopolda, liquidando come vecchiume (antigoriu, dicono i sardofoni) tutto ciò che è legato alle lotte operaie o è espressione del disagio sociale. Un imprenditore rampante, ospite d’onore, rincarava la dose ventilando l’opportunità di limitare il diritto di sciopero. “Visto che non lo capiscono da sé che è uno strunento del secolo scorso, imponiamoglielo per legge“, questo il succo del discorso. Tanto più che in contemporanea si svolgeva una grande manifestazione dei lavoratori a Roma, che, al di là dei singoli punti della piattaforma, esprimeva, nelle persone e negli slongans, il malessere profondo che attraversa la società italiana , in particolare, i ceti popolari. Ora, è chiaro che si può dissentire su questa o su quella posizione, ma maltrattare quella piazza come ha fatto Renzi e le ragazzotte/i che gli stanno attorno è un manifesto politico: Renzi è contro il mondo del lavoro. Di più e peggio: vuole nasconderne le difficoltà, le necessità della stragrande maggioranza del popolo italiano, aiutato in questo da TV e stampa di regime. La ragione è semplice: quella piazza romana, riempita dalla CGIL, è la faccia vera del Paese, senza quegli imbellettamenti che Renzi e i suoi mettono in campo per nasconderla. Per disegnarne un’altra, spensierata e protesa verso un mondo tutto nuovo, dove la sofferenza sociale è bandita, non è ammessa, benché drammaticamente presente e in estensione.
Molti si chiedono se il pestaggio di Roma è stato ordinato o è scoppiato per incapacità di gestire la piazza da parte degli apparati di polizia. Ma è una domanda oziosa e perfino idiota, perché un pestaggio di quella portata sotto gli occhi del mondo non è e non può essere da addebitare al destino. Al di là di come sono andate le cose nella catena di comando, il pestaggio è il rifiuto di Renzi della realtà così com’è. Una realtà di profonda crisi, di grandi difficoltà, che non tollera risposte in forma di barzellette, battute o frasi ad effetto. Richiede anzitutto una presa d’atto dei veri termini della crisi e poi richiede un’iniziativa seria e instancabile per unire le forze sane, prima di tutto quelle del lavoro, per rimettere nei binari giusti il Paese. Si è fatto così in tanti alri momenti difficili della vita nazionale. Sarebbe stato battuto il terrorismo delle BR senza una unità di fondo delle forze democratiche? Sarebbero state le BR isolate senza la mobilitazione ferma e capillare dei sindacati e dei lavoratori a partire dalle fabbriche? O non è vero che è lì che gli si è fatta terra bruciata? I pesci sono rimasti senza acqua. La sconfitta del terrorismo è stata politica, non militare. Bene, ora l’emergenza è diversa, ma è altrettanto grave, i pericoli per la democrazia sono perfino più seri perché l’attacco è meno rozzo e grossolano, le forze della reazione sono ampie e occupano gran parte delle istituzioni e degli organi di informazione. Ed allora la difesa della democrazia passa anzitutto per il rilancio dei diritti del lavoro, parte dalla piazza romana della CGIL e dalla lotta dei lavoratori di Terni. La Leopolda e i reparti antisommossa sono la controparte. Prima lo si capisce, meglio è.
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Celerini Scelba
di Nicolò Migheli *

La storia non è mai stata maestra di nessuno. Tanto meno per questi giovani rottamatori che hanno scalato il PD come se fosse una qualsiasi azienda quotata in borsa, e di storia a scuola ne hanno studiato poca. Tutti i giorni ci dimostrano la non conoscenza dei fatti. Non sanno ad esempio che lo Statuto dei lavoratori venne scritto e portato in parlamento dal Partito Socialista Italiano, partito di sinistra fino a prova contraria.

Ieri i celerini del ministro di polizia Alfano -prossimo ad entrare nel PD – hanno manganellato duramente gli operai ternani che manifestavano per la chiusura di una delle più antiche fabbriche d’Italia. Dopo gli insulti che l’on. Picierno ha rivolto a Susanna Camusso, lo scrittore Giulio Cavalli ha definito la politica di Renzi come neopaninara. Cambiano gli oggetti caratterizzanti. Ieri piumini e scarpe da barca di note marche, oggi aggeggi telematici di moda. Il mutamento antropologico dell’ex partito della sinistra è compiuto.

Lo descrive molto bene Luciano Gallino sulla Repubblica dove contrappone la Leopolda a Piazza San Giovanni. I giovani di ceto medio alto che si beano delle parole antisciopero del finanziere di riferimento Serra e il popolo sempre più precario e disperato delle fabbriche chiuse, dei contratti di un giorno. Renzi annuncia che vuole la “disintermediazione di un corpo intermedio”, tradotta in parole povere la distruzione dei sindacati. È vero che in questi anni i sindacati confederali hanno fatto molti errori, ma se dovessero sparire ogni lavoratore si troverà a contrattare individualmente la propria posizione. È quel che accade già oggi a milioni di precari.

Invece però di agire perché questa stortura venga eliminata, ci si augura che così sia per tutti. Renzi annuncia che l’epoca del posto fisso è finita, lo dice con un sorriso compiaciuto, senza rendersi conto che un politico di sinistra non può dire cose che portano con sé carichi di angosce profonde senza proporre soluzioni. Un mio caro amico mi chiama e mi confessa di essere disorientato. “Come è – si chiede- che le uniche cose di sinistra ormai le dicano Le Pen in Francia e la Lega e i Fratelli d’Italia qui da noi? Non è che mi sia spostato a destra a mia insaputa?”

Oggi una gran parte di elettori che si definiscono di sinistra non trovano più rappresentanza politica. Una realtà che si annuncia molto pericolosa per l’Italia. Abbandonare i ceti deboli, i colpiti dalla globalizzazione, significa in realtà ridurli a neo servi della gleba. Qualcosa di più: un regime schiavista senza diritto di vitto e alloggio. In politica non esistono vuoti, qualcuno li riempirà. È stato così nel 1919 con la nascita del fascismo. È così in Francia con Le Pen che dà risposte ai ceti popolari abbandonati dalla sinistra tradizionale.

Alain Soral uno dei pensatori di punta della destra francese teorizza il movimento lepenista come “Sinistra del lavoro e destra dei valori.” Il loro programma è improntato alla difesa dello stato sociale, dell’intervento pubblico in economia, del posto fisso. Tutti temi cari alla sinistra di un tempo. Il tutto però accompagnato ad una visione di destra nei valori, unita alla retorica della politica sprecona. Il ritorno di Dio, Patria e Famiglia, da cui sono esclusi i migranti.

Le Monde diplomatique, già un anno fa la definiva una “confusione rosso-bruna” visto che l’FN può contare sull’ingresso nelle sue file di ex militanti del Front de gauche. “Confusione” che ricorda cose tragiche, politiche nazional-socialiste. Non solo la Francia, tutta l’Europa è percorsa da movimenti simili. In Italia la Lega di Salvini, superando il recinto padano si offre come rappresentante del disagio e delle paure dei non garantiti, di chi perde lavoro e status. La Lega non è sola, sente la concorrenza di Fratelli d’Italia e dei partitini di estrema destra come Fronte Nazionale.

Il PD vuole essere l’autore di un simile smottamento? Vuole ancora rincorrere politiche di austerità che si tradurranno in una crisi fortissima della coesione sociale? Non credo, anche perché in quel partito esistono ancora persone con il senso della storia e delle conseguenze del proprio agire. Quanto contino oggi non si sa. Certo però che passare da Gramsci – a proposito chi era costui?- al finanziere Serra un certo effetto lo fa. Alla fine ci si potrebbe chiedere: l’unico leader di sinistra rimasto a Roma è papa Francesco?
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* anche su Sardegnasoprattutto

Giovani contro vecchi?

George Lacombe Le eta della vita
di Gonario Francesco Sedda

Che l’Italia non sia un Paese per i giovani, ma sia fatto per i vecchi è un luogo comune della propaganda orchestrata dagli intellettuali organici del potere. Viene riproposto uno scontro tra generazioni ingigantito dentro una costruzione ideologica concepita da “menti mature” (e persino da “grandi vecchi”) nella quale rimane invischiata una parte non trascurabile degli stessi giovani. Ma come mi è capitato di scrivere altre volte, questo tipo di affermazioni dicono meno di quel che sembra. Il loro punto debole sta nel fatto che le parole vengono usate in chiave evocativa: alludono a qualcosa di vero, ma per andare oltre verso conclusioni che non hanno un rapporto strettamente consequenziale con quel nucleo di verità a cui alludono.
Così, se si pensa che in Italia nel 2014 il tasso di disoccupazione rimane sopra il 40% per i giovani tra i 15 e i 24 anni e che sono tra i due e tre milioni i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano, l’affermazione che l’Italia non sia un Paese per i giovani coglie un nucleo di verità. Ma se a questa insopportabile condizione dei giovani viene contrapposto il mondo dei “vecchi garantiti” e se addirittura si indica come causa della miseria giovanile i privilegi dei vecchi, allora i conti non tornano.
Intanto occupato (a tempo determinato o indeterminato) non coincide con vecchio e viceversa disoccupato non coincide con giovane. Quella parte dei giovani che trovano un lavoro a tempo indeterminato restano giovani (non diventano vecchi) e quella parte dei vecchi che perdono il lavoro e diventano precari non per questo cessano di essere vecchi (non diventano giovani).
Costruendo e esaltando una contrapposizione tra giovani e vecchi, gli ideologi del blocco dominante nascondono le vere responsabilità di chi ha il potere di creare occupazione e di governare la disoccupazione. I lavoratori non creano occupazione: qualunque sia il loro stato contrattuale (schiavi, precari, stabili, privilegiati e non), qualunque sia il loro grado di sindacalizzazione e qualunque sia la qualità del loro lavoro essi non assumono altri lavoratori. Sono le imprese e le istituzioni che creano occupazione e le cause delle crisi vanno cercate nel mondo delle imprese e delle istituzioni. E poiché i capitalisti chiamano capitalistico quel mondo, è nel capitalismo che si devono cercare le cause delle crisi.
Ma cosa vuol dire essere giovane o vecchio? Troppo spesso il confine tra l’uno e l’altro scompare e le parole assumono un generico colore evocativo. Tuttavia un riferimento sembra necessario per evitare che nelle discussioni si parli di cipolle come fossero patate.
L’Istat distingue tre fasce principali di età (dentro le quali si possono fare poi altre distinzioni): 0-14 anni, 15-64 anni, 65 anni e oltre. La fascia centrale rappresenta la parte della popolazione in età lavorativa (attiva di fatto o potenzialmente) e le altre due la parte inattiva. Sulla base di questa tripartizione vengono calcolati l’Indice di vecchiaia, che rappresenta il rapporto percentuale tra il numero degli ultrasessantacinquenni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni; e l’Indice di dipendenza strutturale, che rappresenta il carico sociale ed economico della popolazione non attiva (giovani fino ai 14 anni e ultrasessantacinquenni) su quella attiva (15-64 anni).
In questo quadro è possibile indicare con ragionevole approssimazione un’età in cui si finisce di essere “giovani” per passare alla maturità e poi all’anzianità e alla vecchiaia?
Bisognerà arginare la tendenza a una estensione “politica” del tempo della giovinezza in forza del fatto che se non lavori o non campi pur lavorando, allora sei “ancora” un giovane in cerca di lavoro o un precario invece che un adulto disoccupato o precario.
Garanzia Giovani (Youth Guarantee), il Piano Europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile, si rivolge ai giovani tra i 15 e i 29 anni fino al compimento dei 30.
Coldiretti Giovani riunisce tutti i soci tra i 18 e i 30 anni.
Il portale Giovane Impresa si rivolge a giovani tra i 18 ed i 35 anni.
In Toscana la Legge sull’imprenditoria giovanile e femminile si rivolge a giovani tra i 18 anni (compiuti) e i 40 (non compiuti).
Più in generale capita di sentire o leggere la notizia che è stato investito sulle strisce pedonali un “giovane” di … 48 anni!
Ma la giovinezza estesa fino a 40 anni sembra proprio esagerata. Basta infatti ricordare che nel 2013 l’età media della popolazione italiana era di 43,5 anni. La giovinezza “toscana” arriva dunque poco sotto l’età media degli italiani. Inoltre è anche troppo lontana dall’estremo inferiore della fascia della popolazione attiva che è 15 anni con una distanza di 25.
Il limite di 29 anni fino al compimento dei 30 del Piano europeo sembra più ragionevole, ma non senza una qualche criticità. Vi è infatti da considerare il raggiungimento del massimo contributivo (42 anni) e dell’età pensionabile (ormai oltre i 64 anni). Chi fosse ancora “giovane” disoccupato a 30 anni dovrebbe lavorare fino a 72 per raggiungere il massimo contributivo e la miglior pensione. Altrimenti avrà anche una cattiva vecchiaia dopo aver avuto una cattiva giovinezza. Per me un giovane che si laurea a 25 anni e trova lavoro a 30 è un “adulto rimasto disoccupato per cinque anni” che ha ragione di prendersela non con i vecchi lavoratori, ma con chi può creare occupazione e tuttavia non ha convenienza o non è in grado di crearla. Anche chi comincia a lavorare a 25 anni è già al limite critico perché per raggiungere il massimo contributivo e la miglior pensione deve lavorare sicuramente fino a 67 anni “qualsiasi sia il suo lavoro”.
A questo punto viene fuori il carattere truffaldino anche di un’altra vittoria ottenuta dal blocco dominante facendo leva sull’opposizione generazionale giovani-vecchi: il fortissimo depotenziamento (o forse lo smantellamento) della previdenza a carattere universalistico e a gestione pubblica in favore di una previdenza a capitalizzazione individuale e a gestione in parte pubblica (a costi più bassi) e in parte privatistica (a costi più alti e profittevole soprattutto per il mondo assicurativo).
Alla base di quella opposizione generazionale si è messa (e, quando si torna sull’argomento, ancora si mette) un’idea inconsistente e strampalata: l’idea che i giovani resteranno giovani e non diventeranno vecchi e che i vecchi sono sempre stati vecchi e non sono mai stati giovani. Quindi in questo schema i vecchi sono diventati (e diventano) un peso sulle spalle dei giovani “incomprensibilmente generosi” rispetto alla possibilità di “capitalizzare” le proprie risorse solo per sé stessi, liberamente e in modo personalizzato.
Come se nella scena tutto stesse fermo: i giovani che sopportano il peso “sarebbero sempre gli stessi” e anche i vecchi che sono di peso “sarebbero sempre gli stessi”. Bella operazione ideologica, bel trucco! Ma nella realtà tutto si muove: i giovani di oggi saranno i vecchi di domani e i vecchi di oggi sono stati i giovani di ieri.
Per questo le generazioni si possono rapportare in termini di “mutualità” e non in termini di peso (carico, gravame) dell’una rispetto all’altra.
Eppure l’idea “strampalata” è passata. Sotto una sproporzionata potenza di fuoco dell’apparato ideologico del blocco dominante quell’idea è diventata “senso comune” e poi azione politica vincente.
Non è vero che le bugie hanno sempre le gambe corte. Come diceva Eduardo De Filippo, vi sono bugie che hanno le gambe lunghe. Ve ne sono che corrono da quando è nato il mondo: sono quelle che piacciono al padrone. Sono sempre bugie con le gambe corte i discorsi contro il padrone: a queste lui «spezza ’e gamme e dice ca so’ corte».
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Articolo pubblicato anche su Democraziaoggi
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bandiera SardegnaEuropa La Sardegna ha una propria politica europea ed estera? Rimandiamo la risposta a dopo la missione di Pigliaru a Bruxelles
Questi gli impegni a Bruxelles del presidente Pigliaru, segnalati da L’Unione Sarda di domenica 5 ottobre.
Pigliaru domani sarà a Bruxelles – Missione europea per il Comitato delle Regioni
Trasferta a Bruxelles, domani e martedì, per il governatore Francesco Pigliaru che si insedia al Comitato delle Regioni. Ma per il presidente sono previsti anche numerosi altri appuntamenti istituzionali, sia Ue sia con i sardi che lavorano nelle istituzioni comunitarie… (vedi ulteriori dettagli).

Vedremo se gli esiti di tali incontri daranno conto dell’esistenza di una politica europea ed estera della Sardegna. Se non altro cercheremo di capire se persiste la fragilità dell’impostazione e delle iniziative concrete segnalate dal rapporto presentato dalla Giunta al Consiglio in adempimento della legge regionale 13/2010.
Per aiutarci a rispondere a questi interrogativi, nei prossimi giorni, partiamo dalle riflessioni da noi espresse il 7 aprile 2014, che sotto in parte ripubblichiamo a mo’ di “pro memoria”.

ape-innovativaPigliaru: poca sardità e scarso europeismo
7 Aprile 2014
di Franco Meloni
(…) Le dichiarazioni programmatiche del presidente Pigliaru hanno due “deficit politici”, di fondamentale importanza, che attengono uno alla sardità e l’altro all’europeismo. Tratto queste due questioni in maniera intrecciata, come è giusto che sia. Non è pensabile che il programma del presidente (e della sua coalizione), così come è attualmente formulato, prescinda da una esplicita visione del posizionamento istituzionale della Sardegna, oggi e in prospettiva, in Italia e in Europa. Al riguardo è vero che Pigliaru non poteva sollevare la bandiera dell’indipendentismo o del sovranismo che lo vuole praticare anticipatamente (gli indipendentisti e i sovranisti sono pur sempre una minoranza, seppure importante, della coalizione di centro sinistra), ma la visione che sottende il documento appare francamente riduttiva, niente altro di diverso da un “autonomismo sbiadito”, che non ci porta molto lontano. Pigliaru si guarda bene dal pronunciare parolacce quali indipendentismo e sovranismo e neppure federalismo, utilizza in un passaggio il termine “sovranità” nell’accezione di auto-responsabilità (cito testualmente: “…il principale esercizio di sovranità cui vogliamo dedicare tutta le nostre capacità ed energie, è un’essenziale assunzione di responsabilità verso cui orientiamo la nostra azione di governo”). Non basta certo! Specie nell’attuale momento storico, che ha necessità di una Sardegna rinnovata, anche nelle sue istituzioni, consapevole delle proprie risorse e potenzialità, capace quindi di un suo protagonismo, indispensabile per sopravvivere nel quadro degli attuali rapporti di forza tra entità territoriali (nel confine statuale e in quello europeo). E’ solo in questo quadro, che, come detto, richiede anche una nuova struttura istituzionale della regione, che credo possa iscriversi, come alcuni chiedono: un auspicabile progetto organico di trasformazione e sviluppo, insomma un “nuovo piano di rinascita” della Sardegna. Per fare tutto questo non si può prescindere da una politica sulla lingua sarda, sull’identità sarda, sull’università della Sardegna… in definitiva su chi siamo noi sardi e chi vogliamo o vorremo/vorremmo essere. E, allora: è possibile che Pigliaru non parli della nuova costituente statutaria, a cui siamo tenuti anche in virtù degli esiti referendari sardi? E’ possibile che parli dell’Europa sostanzialmente come vincolo per la nostra economia, come purtroppo è, ma che non necessariamente deve continuare ad essere, o, ancora, come bancomat per prelevare tutte le risorse finanziarie possibili? Importante ma terribilmente riduttivo. E’ possibile che parli d’Europa senza fare cenno all’incredibiie situazione di discriminazione politica dei sardi, impossibilitati, per ottusa e incostituzionale legge italiana (modificabile domani se solo ci fosse la volontà politica dei grandi partiti italiani) ad avere propri rappresentanti nel parlamento europeo? Si chieda Pigliaru se, per fare un esempio, le stesse nostre difficoltà di utilizzare pienamente e con efficacia i fondi europei siano solo problemi organizzativi e di preparazione del personale tecnico, amministrativo e anche politico. Come pur è vero, ma non sono spiegazioni sufficienti a dare conto della situazione. Credo infatti che questo come tanti altri problemi non possano essere disgiunti da uno, più pesante di tutti: l’incapacità della Regione di esercitare un ruolo politico nel quadro europeo, sia nei confronti dell’Italia che s’interpone tra la regione e le istituzioni europee, sia nei confronti dell’istituzioni europee, direttamente, laddove ciò è possibile, anche attualmente, per esempio per incidere, modificandole o integrandole, sulle politiche europee. Ma di tutto quanto detto Pigliaru non si cura, destando il più che legittimo sospetto che per lui bastino l’onestà, la competenza, la tecnica e la razionalità per risolvere i problemi della Sardegna, minimizzando quello che in realtà è soprattutto un problema di Politica. Si dirà che la coalizione del centro sinistra potrà integrare il programma e precisare l’impostazione data dal presidente. Vedremo e vedremmo. Nel mentre parliamo, scriviamo e sottoponiamo i nostri argomenti al presidente, ai politici, ai cittadini sardi…
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Nel primo riquadro: Georges Lacombe, “Le età della vita”

La Sardegna ha una propria politica europea ed estera? Rimandiamo la risposta a dopo la missione di Pigliaru a Bruxelles

bandiera SardegnaEuropaQuesti gli impegni a Bruxelles del presidente Pigliaru, segnalati da L’Unione Sarda di domenica 5 ottobre.
Pigliaru domani sarà a Bruxelles – Missione europea per il Comitato delle Regioni
Trasferta a Bruxelles, domani e martedì, per il governatore Francesco Pigliaru che si insedia al Comitato delle Regioni. Ma per il presidente sono previsti anche numerosi altri appuntamenti istituzionali, sia Ue sia con i sardi che lavorano nelle istituzioni comunitarie… (vedi ulteriori dettagli).

Vedremo se gli esiti di tali incontri daranno conto dell’esistenza di una politica europea ed estera della Sardegna. Se non altro cercheremo di capire se persiste la fragilità dell’impostazione e delle iniziative concrete segnalate dal rapporto presentato dalla Giunta al Consiglio in adempimento della legge regionale 13/2010.
Per aiutarci a rispondere a questi interrogativi, nei prossimi giorni, partiamo dalle riflessioni da noi espresse il 7 aprile 2014, che sotto in parte ripubblichiamo a mo’ di “pro memoria”.

ape-innovativaPigliaru: poca sardità e scarso europeismo
7 Aprile 2014
di Franco Meloni
(…) Le dichiarazioni programmatiche del presidente Pigliaru hanno due “deficit politici”, di fondamentale importanza, che attengono uno alla sardità e l’altro all’europeismo. Tratto queste due questioni in maniera intrecciata, come è giusto che sia. Non è pensabile che il programma del presidente (e della sua coalizione), così come è attualmente formulato, prescinda da una esplicita visione del posizionamento istituzionale della Sardegna, oggi e in prospettiva, in Italia e in Europa. Al riguardo è vero che Pigliaru non poteva sollevare la bandiera dell’indipendentismo o del sovranismo che lo vuole praticare anticipatamente (gli indipendentisti e i sovranisti sono pur sempre una minoranza, seppure importante, della coalizione di centro sinistra), ma la visione che sottende il documento appare francamente riduttiva, niente altro di diverso da un “autonomismo sbiadito”, che non ci porta molto lontano. Pigliaru si guarda bene dal pronunciare parolacce quali indipendentismo e sovranismo e neppure federalismo, utilizza in un passaggio il termine “sovranità” nell’accezione di auto-responsabilità (cito testualmente: “…il principale esercizio di sovranità cui vogliamo dedicare tutta le nostre capacità ed energie, è un’essenziale assunzione di responsabilità verso cui orientiamo la nostra azione di governo”). Non basta certo! Specie nell’attuale momento storico, che ha necessità di una Sardegna rinnovata, anche nelle sue istituzioni, consapevole delle proprie risorse e potenzialità, capace quindi di un suo protagonismo, indispensabile per sopravvivere nel quadro degli attuali rapporti di forza tra entità territoriali (nel confine statuale e in quello europeo). E’ solo in questo quadro, che, come detto, richiede anche una nuova struttura istituzionale della regione, che credo possa iscriversi, come alcuni chiedono: un auspicabile progetto organico di trasformazione e sviluppo, insomma un “nuovo piano di rinascita” della Sardegna. Per fare tutto questo non si può prescindere da una politica sulla lingua sarda, sull’identità sarda, sull’università della Sardegna… in definitiva su chi siamo noi sardi e chi vogliamo o vorremo/vorremmo essere. E, allora: è possibile che Pigliaru non parli della nuova costituente statutaria, a cui siamo tenuti anche in virtù degli esiti referendari sardi? E’ possibile che parli dell’Europa sostanzialmente come vincolo per la nostra economia, come purtroppo è, ma che non necessariamente deve continuare ad essere, o, ancora, come bancomat per prelevare tutte le risorse finanziarie possibili? Importante ma terribilmente riduttivo. E’ possibile che parli d’Europa senza fare cenno all’incredibiie situazione di discriminazione politica dei sardi, impossibilitati, per ottusa e incostituzionale legge italiana (modificabile domani se solo ci fosse la volontà politica dei grandi partiti italiani) ad avere propri rappresentanti nel parlamento europeo? Si chieda Pigliaru se, per fare un esempio, le stesse nostre difficoltà di utilizzare pienamente e con efficacia i fondi europei siano solo problemi organizzativi e di preparazione del personale tecnico, amministrativo e anche politico. Come pur è vero, ma non sono spiegazioni sufficienti a dare conto della situazione. Credo infatti che questo come tanti altri problemi non possano essere disgiunti da uno, più pesante di tutti: l’incapacità della Regione di esercitare un ruolo politico nel quadro europeo, sia nei confronti dell’Italia che s’interpone tra la regione e le istituzioni europee, sia nei confronti dell’istituzioni europee, direttamente, laddove ciò è possibile, anche attualmente, per esempio per incidere, modificandole o integrandole, sulle politiche europee. Ma di tutto quanto detto Pigliaru non si cura, destando il più che legittimo sospetto che per lui bastino l’onestà, la competenza, la tecnica e la razionalità per risolvere i problemi della Sardegna, minimizzando quello che in realtà è soprattutto un problema di Politica. Si dirà che la coalizione del centro sinistra potrà integrare il programma e precisare l’impostazione data dal presidente. Vedremo e vedremmo. Nel mentre parliamo, scriviamo e sottoponiamo i nostri argomenti al presidente, ai politici, ai cittadini sardi…

DRITTO & ROVESCIO. Referendum scozzese: riflessioni… pensando a noi. Intervento di Vanni Tola.

DRITTO E ROVESCIO MARIA LAIbandiera-scozzese-band 4 mori
In Scozia non è andata. Un’occasione per riflettere anche per i Sardi
sedia-van-gogh4di Vanni Tola
In Scozia non è andata. Molti ci speravano, il desiderio d’indipendenza del popolo scozzese sembrava essere, e, di fatto, lo è, un’esigenza molto diffusa. Gli sconfitti hanno raccolto circa il 45% dei consensi ma non è bastato. L’indipendenza era realmente all’ordine del giorno, non era il pensiero di un’elite di pensatori come in altre aree d’Europa. Oltre una diffusa partecipazione di popolo, sono scesi in campo personaggi della cultura, dello sport e del mondo dello spettacolo, perfino Sean Connery, il mitico 007 cinematografico, ma non c’è stato niente da fare. La separazione della Scozia dal Regno di Sua Maestà Britannica è sfumata, forse rinviata a tempi migliori. Il Governo della Regina si è preso un bello spavento al punto che, a pochi giorni dal referendum, ha dovuto promettere una serie di concessioni e liberalità verso la Scozia e le altre regioni del Regno che, se mantenute, rappresenterebbero comunque un bel risultato per gli indipendentisti. Nel merito delle cause che hanno determinato la sconfitta degli indipendentisti, s’interrogheranno a lungo i commentatori politici e gli storici. Immaginiamo ci sia stata anche molta delusione e si siano colti parecchi spunti di riflessione anche tra il gruppo di intellettuali e di organizzazioni indipendentiste della Sardegna che hanno voluto manifestare solidarietà agli indipendentisti scozzesi con l’invio di un documento scaturito da un interessante dibattito promosso dalla Fondazione Sardigna e la presenza in Scozia di due delegazioni (una del psd’az e una delle organizzazioni indipendentiste). Si è forse esagerato un po’ quando si è dichiarato di parlare in nome e per conto del popolo sardo. In effetti, in questi giorni di dibattito sull’indipendenza della Scozia, per le strade della Sardegna non si aveva l’impressione che l’argomento interessasse i sardi molto di più dell’esito delle prime partite del Cagliari di Zeman. - segue -

Omaggio ai pastori sardi e di tutto il mondo

Sardegna-bomeluzo22
di Gabriele D’Annunzio

Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natia
rimanga né cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!

Ora lungh’esso il litoral cammina
La greggia. Senza mutamento è l’aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquio, calpestio, dolci romori.

Ah perché non son io cò miei pastori?

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lampadadialadmicromicro133Settembre, andiamo è tempo di manifestare: martedì i pastori in piazza a Cagliari
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INSISTIAMO
SPOPOLAMENTO, NUOVA POLITICA DI ACCOGLIENZA… UNA LEGGE REGIONALE DI INDAGINE PER POSSIBILI LINEE DI INDIRIZZO E AZIONE
ape-innovativaPosso sbagliarmi, ma non credo vi sia sufficiente e diffusa consapevolezza della questione “spopolamento e desertificazione” di grandi parti della Sardegna. Eppure gli studi degli esperti ne segnalano la gravità e le conseguenze disastrose proiettando i dati sui prossimi (non lontani) anni. Nella convegnistica e nei singoli interventi di intellettuali e politici (pochi) sono state avanzate proposte di intervento, assai differenziate, ma comunque serie e meritevoli di discussione e, una volta trovate quelle migliori, di traduzione operativa. Personalmente sono convinto che tra le risposte debba esserci una diversa “politica di accoglienza e integrazione”, soprattutto dei migranti del nord Africa, che non deve essere connotata come “buonista”, ma inserita in un robusto programma economico, che riguardi soprattutto l’agricoltura (in senso lato, quindi anche pastorizia, allevamento, etc). E’ una problematica complessa e delicata, tuttavia particolarmente urgente da affrontare. Una proposta che mi convince è che il Consiglio regionale affronti di petto la questione, anche attraverso un’apposita legge regionale che istituisca una commissione di indagine su detta problematica, fissando finalità, modalità e tempi precisi di svolgimento (tre mesi prorogabili a sei, per es.). Si dovrebbe cominciare, come d’obbligo, con una rilevazione dello “stato dell’arte”, già ricco di studi e proposte, per poi arrivare a concretizzare linee di intervento, sostenibili, condivise dalla maggioranza delle parti sociali e dalle istituzioni territoriali e, ovviamente, finanziabili, anche con l’utilizzo dei fondi europei (diretti e indiretti) della programmazione 2014-2020. Una legge regionale, così come proposta, costringerebbe il Consiglio a un forte coinvolgimento, come è indispensabile sia, ma la cosa più importante è che la maggioranza dei sardi venga attivamente coinvolta.
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Una nuova operazione “Mare nostrum” per una differente politica dell’accoglienza
Monte-Prama-pugilatore-237x300
sedia-van-gogh4di Vanni Tola
E’ cronaca di questi giorni. Migranti provenienti da lontani paesi dell’Africa settentrionale, in fuga dalla guerra e dalla miseria, dopo aver attraversato a piedi il deserto e affidato le loro vite agli scafisti e al mare, talvolta trovano temporaneo rifugio in alcuni paesi della nostra isola. Accade però che dopo alcuni giorni di permanenza in questi improvvisati centri di accoglienza, gli ospiti stranieri lasciano spontaneamente i loro nuovi rifugi per cercare fortuna altrove. Cosa c’è che non va nei nostri paesi, a Sadali, a Ottana, a Valledoria, a Lu Bagnu, in riva al mare della Costa Paradiso? La risposta è drammaticamente semplice. Questi luoghi di accoglienza, spesso isolati rispetto ai grandi centri abitati, mal collegati dai trasporti pubblici, non offrono che un alloggio con relativi servizi, piccoli aiuti materiali, un po’ di solidarietà della gente del posto ma anche l’assoluta certezza che difficilmente l’immigrato potrà intravvedere in tali località la possibilità di un reale inserimento sociale, di una valida prospettiva di vita, la possibilità di “mettere radici”. Meglio scappare lontano verso le grandi città. Un’altra considerazione. Più volte ci siamo occupati dell’andamento dei principali indicatori demografici dell’Isola. Dati drammatici, paesi destinati a scomparire nei prossimi decenni per mancanza di abitanti. Comparti produttivi fondamentali per la Sardegna, quale l’agro – pastorizia destinate a non avere un futuro per l’invecchiamento degli attuali addetti al settore e la mancanza di nuova forza lavoro da impiegare a causa del notevole decremento delle nascite. C’è un nesso tra l’arrivo di migranti nell’isola e la condizione di cronico spopolamento della nostra regione? Certamente sì. L’arrivo dei migranti, fenomeno in atto e storicamente irreversibile e l’eccezionale spopolamento della nostra regione, insieme, creano le precondizioni per attivare un differente approccio alla questione dell’accoglienza degli immigrati. Una programmazione organica di flussi immigratori, infatti, potrebbe perfino avere un influsso positivo per la situazione demografica della Sardegna e rappresentare nello stesso tempo una prospettiva di vita accettabile per gran parte dei migranti. Naturalmente a condizione che determini reali possibilità d’integrazione che vadano oltre le pur importanti iniziative di prima accoglienza, finora realizzate. In alcune realtà sono arrivate delle vere e proprie piccole comunità (è il caso delle venti copie di immigrati con bambini) che, se adeguatamente inserite in uno qualsiasi dei nostri paesini con saldo delle nascite negativo, scuole chiuse per mancanza di alunni, centinaia di case abbandonate nei centri storici, avrebbero potuto “fare la differenza”. Avrebbero potuto concorrere a modificare sensibilmente le tendenze demografiche in atto rivitalizzando la comunità ospitante, mantenendo in vita i servizi sociali, e la scuola fra questi, favorendo il recupero dei centri storici abbandonati, rivitalizzando la macro economia locale con l’impiego degli ospiti in lavori utili alla collettività (terre abbandonate, difesa dell’ambiente, ripopolamento aree rurali). Diversi osservatori dei fenomeni demografici, partendo dalla considerazione che in Sardegna si registrano tassi di natalità tra i più bassi al mondo e che i giovani continuano a emigrare, propongono da qualche tempo la necessità e l’urgenza di attivare interventi concreti ed efficaci per invertire la tendenza a un significativo spopolamento della Sardegna e delle zone interne in particolare. La sintesi delle ricerche effettuate ipotizza la realizzare un grande processo di riantropizzazione programmata – come avvenuto in altre aree del mondo con analoghi problemi di spopolamento – utilizzando la possibilità di razionalizzare e migliorare qualitativamente l’attuale politica dell’accoglienza dei migranti. Un progetto di reale inclusione che garantisca progetti di vita validi e accettabili a cominciare dal diritto di cittadinanza per i loro figli. Tali proposte, che potrebbero apparire il parto di fertili menti di sognatori, sono nella realtà saldamente presenti all’interno del dibattito nelle principali istituzioni della Comunità europea. Talmente presenti da essere state tradotte in un piano, il Programma Horizon 2020 per le politiche dell’integrazione che destina milioni di euro (in parte spendibili già dal corrente anno) per le politiche d’integrazione che i paesi comunitari volessero realizzare. Dedicare la dovuta attenzione a questo progetto potrebbe rappresentare per la Sardegna la possibilità di diventare un’area geografica di accoglienza e gestione programmata di flussi migratori che potrebbero, a loro volta, concorrere a rivitalizzare una società tendenzialmente minacciata di estinzione o comunque di un notevole ridimensionamento del proprio ruolo nel mondo. Non è un’operazione di poco conto, è un intervento che implica il superamento di difficoltà considerevoli, anche in termini culturali e di evoluzione del modo comune di pensare la convivenza con altri popoli e altre culture, che è cosa ben diversa dall’aiuto temporaneo e dall’ospitalità. Ma perché non provarci?
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- Horizon2020, per saperne di più

Il dibattito sullo spopolamento della Sardegna. Rimedi? Sì, ma occorre avere un’altra idea di Sardegna possibile, sapere rompere gli schemi ed azzardare!

SEMESTENE

Sardegna settembre- “Spopolamento dei piccoli centri, serve una strategia: Pigliaru ce l’ha? Il caso Monteleone Roccadoria”
di Gianni Mura. 17 settembre 2014 alle 11:28, Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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ape-innovativaL’intervento di Gianni Mura, pubblicato oggi sul sito di Vito Biolchini, a cui rimandiamo (e che in ogni caso più sotto riproduciamo integralmente) rilancia un importante e indispensabile dibattito sulla problematica dello spopolamento di parti estese della Sardegna, che impone l’urgente approntamento di una specifica politica, nel quadro della politica più generale ispirata da un’idea di Sardegna proiettata in un possibile futuro migliore. Il dibattito su questa grande questione esiste, ha caratteristiche carsiche: ogni tanto emerge in tutta la sua rilevanza, per poi ri-inabissarsi, quindi ri-emergere e così via. Noi stessi, con la nostra News, ce ne siamo occupati più volte, in ultimo con l’editoriale di Vanni Tola di alcuni giorni fa (Una nuova operazione “Mare nostrum” per una differente politica dell’accoglienza). E’ soprattutto sulle ipotesi di intervento che esiste una grande incertezza. Infatti, per essere chiari, la proposta più efficace per affrontare lo spopolamento senza affidarci a impossibili rimedi della provvidenza, consiste nell’attuare una robusta “politica di accoglienza” che comprende, ovviamente, una capacità di vera integrazione, rivolta in modo particolare ai migranti del paesi del nord Africa, ai quali dare lavoro, abitazioni, servizi sociali, etc. Capiamo che la questione è delicata, come ben ha sottolineato Tonino Dessì in un breve quanto denso commento al citato articolo di Vanni. Ma, appunto perché la questione è complessa e delicata quanto urgente e non più eludibile, dobbiamo discuterne apertamente e trovare soluzioni praticabili. Riciccia quindi inevitabilmente l’interrogativo che opportunamente pone Biolchini: “Serve una strategia: Pigliaru ce l’ha?”. Noi crediamo di no, allo stato, ma questa strategia dobbiamo insieme darcela, con o senza Pigliaru. Meglio sarebbe “con”. Che dobbiamo dire? Francesco (Pigliaru), fatti coraggio e ascolta un altro Francesco (papa) quando ci invita a fare come Dio: a “rompere gli schemi” ed azzardare!

con gli occhiali di Piero…

GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501414ANNIVERSARI. Su Aladinpensiero un anno fa…
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COSIMO AULERI
Notevole figura del ventennio rivoluzionario sardo.
Sassarese, o algherese, seguace di Giovanni Maria Angioy, “dopo la sconfitta dell’Alternos, non si perse d’animo. Il 17 settembre 1796, col notaio Antonio Luigi Petretto, coi figli di questi, Francesco e Ignazio, con Tommaso Pasca, Salvatore Salis e bande di armati, aveva attaccato Sassari col proposito di liberare gli angioiani incarcerati”.
(Federico Francioni, Per una storia segreta della Sardegna, altre volte citato).
Il 18 novembre 1797 sulla sua testa c’è una taglia di 500 scudi (vedi Aladinpensiero, 18 novembre 2013). Negli anni successivi si rifugia in Corsica, esercita la pirateria e il contrabbando tra Corsica e Sardegna,e ancora nel 1802 tiene rapporti epistolari cogli amici sardi nei preparativi dell’insurrezione in Gallura.

Una nuova operazione “Mare nostrum” per una differente politica dell’accoglienza

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sedia-van-gogh4di Vanni Tola
E’ cronaca di questi giorni. Migranti provenienti da lontani paesi dell’Africa settentrionale, in fuga dalla guerra e dalla miseria, dopo aver attraversato a piedi il deserto e affidato le loro vite agli scafisti e al mare, talvolta trovano temporaneo rifugio in alcuni paesi della nostra isola. Accade però che dopo alcuni giorni di permanenza in questi improvvisati centri di accoglienza, gli ospiti stranieri lasciano spontaneamente i loro nuovi rifugi per cercare fortuna altrove. Cosa c’è che non va nei nostri paesi, a Sadali, a Ottana, a Valledoria, a Lu Bagnu, in riva al mare della Costa Paradiso? La risposta è drammaticamente semplice. Questi luoghi di accoglienza, spesso isolati rispetto ai grandi centri abitati, mal collegati dai trasporti pubblici, non offrono che un alloggio con relativi servizi, piccoli aiuti materiali, un po’ di solidarietà della gente del posto ma anche l’assoluta certezza che difficilmente l’immigrato potrà intravvedere in tali località la possibilità di un reale inserimento sociale, di una valida prospettiva di vita, la possibilità di “mettere radici”. Meglio scappare lontano verso le grandi città. Un’altra considerazione. Più volte ci siamo occupati dell’andamento dei principali indicatori demografici dell’Isola. Dati drammatici, paesi destinati a scomparire nei prossimi decenni per mancanza di abitanti. Comparti produttivi fondamentali per la Sardegna, quale l’agro – pastorizia destinate a non avere un futuro per l’invecchiamento degli attuali addetti al settore e la mancanza di nuova forza lavoro da impiegare a causa del notevole decremento delle nascite. C’è un nesso tra l’arrivo di migranti nell’isola e la condizione di cronico spopolamento della nostra regione? Certamente sì. L’arrivo dei migranti, fenomeno in atto e storicamente irreversibile e l’eccezionale spopolamento della nostra regione, insieme, creano le precondizioni per attivare un differente approccio alla questione dell’accoglienza degli immigrati. Una programmazione organica di flussi immigratori, infatti, potrebbe perfino avere un influsso positivo per la situazione demografica della Sardegna e rappresentare nello stesso tempo una prospettiva di vita accettabile per gran parte dei migranti. Naturalmente a condizione che determini reali possibilità d’integrazione che vadano oltre le pur importanti iniziative di prima accoglienza, finora realizzate. In alcune realtà sono arrivate delle vere e proprie piccole comunità (è il caso delle venti copie di immigrati con bambini) che, se adeguatamente inserite in uno qualsiasi dei nostri paesini con saldo delle nascite negativo, scuole chiuse per mancanza di alunni, centinaia di case abbandonate nei centri storici, avrebbero potuto “fare la differenza”. Avrebbero potuto concorrere a modificare sensibilmente le tendenze demografiche in atto rivitalizzando la comunità ospitante, mantenendo in vita i servizi sociali, e la scuola fra questi, favorendo il recupero dei centri storici abbandonati, rivitalizzando la macro economia locale con l’impiego degli ospiti in lavori utili alla collettività (terre abbandonate, difesa dell’ambiente, ripopolamento aree rurali). Diversi osservatori dei fenomeni demografici, partendo dalla considerazione che in Sardegna si registrano tassi di natalità tra i più bassi al mondo e che i giovani continuano a emigrare, propongono da qualche tempo la necessità e l’urgenza di attivare interventi concreti ed efficaci per invertire la tendenza a un significativo spopolamento della Sardegna e delle zone interne in particolare. La sintesi delle ricerche effettuate ipotizza la realizzare un grande processo di riantropizzazione programmata – come avvenuto in altre aree del mondo con analoghi problemi di spopolamento – utilizzando la possibilità di razionalizzare e migliorare qualitativamente l’attuale politica dell’accoglienza dei migranti. Un progetto di reale inclusione che garantisca progetti di vita validi e accettabili a cominciare dal diritto di cittadinanza per i loro figli. Tali proposte, che potrebbero apparire il parto di fertili menti di sognatori, sono nella realtà saldamente presenti all’interno del dibattito nelle principali istituzioni della Comunità europea. Talmente presenti da essere state tradotte in un piano, il Programma Horizon 2020 per le politiche dell’integrazione che destina milioni di euro (in parte spendibili già dal corrente anno) per le politiche d’integrazione che i paesi comunitari volessero realizzare. Dedicare la dovuta attenzione a questo progetto potrebbe rappresentare per la Sardegna la possibilità di diventare un’area geografica di accoglienza e gestione programmata di flussi migratori che potrebbero, a loro volta, concorrere a rivitalizzare una società tendenzialmente minacciata di estinzione o comunque di un notevole ridimensionamento del proprio ruolo nel mondo. Non è un’operazione di poco conto, è un intervento che implica il superamento di difficoltà considerevoli, anche in termini culturali e di evoluzione del modo comune di pensare la convivenza con altri popoli e altre culture, che è cosa ben diversa dall’aiuto temporaneo e dall’ospitalità. Ma perché non provarci?
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con la lampada di aladin…

lampadadialadmicromicro133chimica-verde-Maste-UnissIl DIBATTITO tra CRITICI: su ALADINPENSIERO AGORA’
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- Il DOSSIERALADINEWS sulla CHIMICA VERDE in SARDEGNA

La Fiaba del Santo Raffaele e dell’Emiro

emiro

san-raffele-e-tobiolo-vgreca_2sedia-van-gogh4di Vanni Tola
C’era una volta, al centro del Mediterraneo, un’isola incantata. Un paradiso di spiagge verde smeraldo, coste magnifiche. Era abitata da un popolo di pastori con una cultura millenaria, fieri del loro passato, dei loro commerci con i più importanti popoli del Mediterraneo. Un po’ meno fieri del loro presente. Negli ultimi secoli, infatti, una serie di vicende storiche che sarebbe lungo raccontare, aveva dato vita a una classe politica rivelatasi nel tempo sostanzialmente incapace di garantire sviluppo e benessere al fiero popolo sardo. Due piani di sviluppo mancati, una scelta di modernizzazione industriale rivelatasi fallimentare, crisi dell’agricoltura e della pastorizia, disoccupazione, inquinamento ambientale, burocrazia paralizzante, incapacità di spendere i contributi comunitari. Era questa la condizione dell’Isola nei tempi che vi raccontiamo. Un giorno, non molto lontano, arrivarono nell’isola incantata gli emissari di un ricchissimo signore, un Emiro di un paese lontano che pochi isolani saprebbero indicare sul mappamondo. Gli emissari, arrivati nell’isola, incontrarono subito gli amministratori locali e raccontarono che il loro Emiro aveva in mente di investire nell’isola una somma spropositata, una cifra che mai nessuno aveva investito nell’isola negli ultimi quaranta anni. Ma per fare che, domandarono gli increduli politici isolani. L’Emiro, spiegarono i pazienti emissari, intenderebbe realizzare nell’isola un centro sanitario di eccellenza che dia servizi ai sardi ventiquattro ore al giorno per tutto l’anno. Vuole fare diventare la Sardegna un centro di ricerca internazionale capace di attirare investimenti e cervelli. Trasformare l’isola in una sorta di Sylicon Valley della ricerca nel campo medico e far gravitare intorno a questo centro aziende e ricercatori. I politici ascoltavano increduli, qualcuno di loro già pensava di scendere in piazza al grido di “ a fora, a fora”, altri pensavano di fondare il comitato “ no sanità dell’Emiro, no inceneritore”, qualcuno cercava di capire meglio. “ Ma quanto intenderebbe investire in Sardegna l’Emiro?”. “ Abbastanza”, risposero gli emissari, esattamente 1,2 miliardi di euro, grosso modo quanto un punto di PIL dell’Italia. Soldi che serviranno per comprare e ristrutturare l’edificio ospedaliero esistente a Olbia, sessanta ettari di terreno circostante, apparecchiature mediche per far funzionare la struttura che dovrebbe essere operativa entro il mese di Marzo del 2015 con un’occupazione, escluso l’indotto di circa 1000 unità. Non solo ma il progetto sta già dirottando sull’isola investimenti simili e a esso collegati. La General Elettric sta per annunciare un investimento di 100 milioni di euro, la Cisco, multinazionale di apparecchiature informatiche, investirà a sua volta e altri ancora guardano con interesse a questo polo scientifico sanitario. “Naturalmente si fa a modo nostro, con i nostri tempi, il nostro calendario, altrimenti l’Emiro non ha alcuna difficoltà a trasferire l’investimento altrove”. I nostri politici, i funzionari della regione restarono allibiti. L’idea era ottima e certamente il progetto appariva allettante. “Ma noi che facciamo?” Quale sarà il nostro ruolo? Come ci inseriremo nel progetto centellinando le nostre autorizzazioni, i pareri di conformità e quant’altro? E poi, diciamocelo, dove sta la “convenienza” per noi, insomma fanno tutto loro e a noi nulla? Subito si scatenò un fuoco di sbarramento di domande di chiarimenti, di conteggi, di richiesta di studi esemplificativi, di operazioni di rilascio di pareri di conformità. La macchina burocratica regionale, scavalcata dell’efficienza degli investitori internazionali avvezzi a trattare e realizzare in tempi non biblici grandi operazioni d’investimento, cominciò a perdere la testa e non sapeva che atteggiamento adottare. Ricordava tanto il comportamento delle suocere che, dopo aver concesso il figlio alla nuora, preparano le rappresaglie per renderle difficile la vita alla malcapitata nuora. Perfino gli emissari dell’Emiro, pur con la loro proverbiale e infinita pazienza hanno dovuto constatare l’esasperante lentezza della burocrazia regionale. Prima di perdere la pazienza, gli arabi ne hanno tanta, hanno ricordato ancora una volta che stanno offrendo all’isola “incantata” ….. ma incantata davvero, un progetto unico e irripetibile. Un centro internazionale di ricerca per malattie quali il Diabete, la Sla, la Talassemia. Un centro collegato alle università e alle altre strutture internazionali dell’Emiro che operano nel mondo, una grande struttura riabilitativa per svariate patologie e un centro di ricerca medica e sanitaria di eccellenza. Sempre più ammutoliti, i politici e i burocrati regionali e perfino le caste baronali della nostra povera sanità, non riuscivano a dare segni di vitalità apprezzabili. Fu allora che il capo degli emissari dell’Emiro, dopo aver pronunciato alcune frasi in arabo che non ripetiamo per decenza, decise dare una diplomatica scrollatina all’Apparato regionale. L’annuncio fu molto esplicito: “ Entro il giorno 29 Agosto si deve firmare l’atto definitivo dell’accordo per avviare il piano d’investimento. Noi siamo decisi a investire nell’Isola, ma se non ci vogliono, saremo costretti ad andare altrove”. Gli arabi sono molto diplomatici e pazienti, ma quando si incazzano…! Stretta e la foglia, larga la via, dite la vostra…
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Comune di Sassari e Faradda. Ecco il capolavoro delle “eminenze” grigie dell’opposizione, veri Cavour della ciogga minuda, o anche Richelieu della mirinzana

Candelieri SS“FARADDI LI CANDARERI A FORA… LU SINDAGU”.
sedia-van-gogh4La sedia di Vanni Tola
san-lorenzo sulla graticola -berniniPer i nostri pochi lettori vacanzieri continuiamo a dare conto delle vicende relative all’insediamento della Giunta comunale partendo da dove c’eravamo fermati nella precedente narrazione di questa curiosa vicenda. Mancavano pochi giorni alla tradizionale arrostita in piazza che precede di qualche giorno la “Faradda” dei candelieri, la più importante festa della città di Sassari. La sfilata dei candelieri, come è noto, è chiusa dal Sindaco e dalla Giunta che, dopo il brindisi augurale con i gremianti nel Palazzo di Città, si dispongono alla coda del corteo, tra due ali di folla, per raggiungere la Chiesa di Santa Maria. Raggiunta la chiesa il Sindaco, in nome dalla cittadinanza tutta, scioglie un voto dedicato alla Madonna dell’Assunta per aver allontanato, alcuni secoli fa, una terribile pestilenza dalla città. La prima domanda che molti, e noi fra questi, si ponevano in quei giorni era questa: il Sindaco sarà presente alla cerimonia o i dissidenti, del suo stesso partito, l’avranno già mandato a casa? Perché dobbiamo ricordare che, pochi giorni prima, i dissidenti del Pd (una decina che fanno capo alla componente Spissu, Ganau, Demontis e Lai, la vecchia dirigenza) avevano minacciato di non votare le dichiarazioni programmatiche del Sindaco se questi non avesse provveduto a un consistente rimpasto nella Giunta con differente assegnazioni degli incarichi consiliari. Durante la prima riunione del Consiglio, il Sindaco, per paura di essere sfiduciato da subito, aveva prudenzialmente deciso di rinviare la riunione alla settimana successiva. Sperava certamente di poter raggiungere un onorevole compromesso con i dissidenti. Alla riunione svoltasi nella settimana successiva il compromesso però non c’era ancora quindi, a fare i birichini sono stati questa volta quelli della maggioranza che, Sindaco in testa, hanno disertato la riunione del Consiglio. L’ultima chance, a questo punto, era la seduta straordinaria della Giunta in programma Richelieunel pomeriggio della giornata dedicata alla grande arrostita in piazza. E in questa occasione si è registrato il capolavoro strategico delle “eminenze” grigie dell’opposizione, di questi Cavour della ciogga minuda, di questi Richelieu della mirinzana. Far cadere la Giunta durante la Festha Manna sarebbe stato troppo, meglio continuare a cuocere il Sindaco a fuoco lento. Che hanno fatto quindi? Semplice, al momento della votazione cinque o sei consiglieri della maggioranza si sono ecclissati (chi al bagno, chi altrove, scomparsi). Il risultato è stato che la Giunta ha visto approvate le dichiarazioni programmatiche con un numero risicato di voti, il minimo necessario per evitare il ricorso a nuove elezioni. L’ultimo e definitivo chiarimento è stato quindi rimandato al mese di Settembre quando si svolgerà il congresso del Pd locale. Per molti la panacea, per altri soltanto il luogo fisico nel quale si consolideranno le divergenze interne del maggior partito della coalizione che sostiene il Sindaco se i dirigenti della vecchia guardia non decideranno di fare qualche passo indietro. Per parte sua il Sindaco ha contraccambiato annunciato di sollevare dal loro incarico tre, con tanto di nome e cognome pubblicato sul giornale e i ringraziamenti per il lavoro finora svolto, dopo appena due mesi dalla loro nomina. Apparentemente tutto nella norma, quindi. La Faradda si è svolta regolarmente con la solita grande presenza di cittadini e turisti e il Sindaco ha potuto adempiere Cavur1al proprio ruolo perfino con la lacrimuccia di commozione. Ma i Cavour della ciogga minudda non hanno lasciato niente al caso. Anche la presenza dei consiglieri in coda alla Faradda è stata doverosamente centellinata. Molti dei dissidenti erano infatti assenti contrariamente alla prassi consolidata che solitamente mostra i rappresentanti dei cittadini impegnati a fare di tutto per esporsi alla folla osannante. Come dire “attento a Te, per adesso il Sindaco sei ancora tu ma ricorda che noi ti teniamo per le palle”. Che strateghi!