Risultato della ricerca: Vanni Tola

Prima e dopo Parigi. Siamo tutti chiamati in causa. Che fare?

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di Vanni Tola

L’indignazione per gli atti terroristici compiuti a Parigi dall’estremismo islamico pone una serie di problemi e, tra questi la paura e la rabbia. Richiamano interrogativi inquietanti sul che fare da domani in poi per contrastare la violenza indiscriminata di coloro che, in nome di Dio, predicano e praticano l’eliminazione fisica di chi non la pensa come loro, degli infedeli. Ma è soprattutto la sfera privata di ciascuno di noi a essere chiamata in causa. Non basta indignarsi occorre agire, fare qualcosa, dare il nostro contributo di individui liberi, che vivono in regimi democratici, di componenti di Stati che direttamente o indirettamente hanno comunque grosse responsabilità nell’aver contribuito a generare le condizioni di ingiustizia, di diseguaglianza, di sottosviluppo economico e culturale che caratterizzano il nostro mondo. Torniamo alla sfera privata, personale. Che possiamo fare, qual è il nostro livello di conoscenza della realtà? Che cosa sappiamo dell’Iran e dell’Iraq? Quanti nomi di stati africani siamo in grado di ricordare senza l’aiuto di internet? A poche miglia dalle coste della Sicilia, in Libia, si sta materializzando uno stato islamico, un califfato, alle porte di casa nostra. Ma cos’è uno stato islamico? Esistono luoghi nei quali gli estremisti e integralisti mussulmani compiono azioni raccapriccianti e disumane. Anche l’occidente civilizzato ne ha compiute. Potremmo parlare a lungo dei bombardamenti al napalm in Vietnam, delle stragi in Palestina, dei bombardamenti in varie parti del mondo per “importare la democrazia”. Rimaniamo sull’attualità. Esistono luoghi geografici di quello che – in termini di comunicazione – McLuan definiva “villaggio globale”, del quale non sapremo indicare l’ubicazione neppure con una cartina geografica sotto il naso. Dov’è Maiduguri, capitale dello Stato di Borno? E Potiskum, principale centro economico dello Stato di Yobe, nella parte nord orientale della Nigeria? Cos’è Boko Haram, un profumo orientale, un piatto esotico o un gruppo fondamentalista sunnita che pratica il terrorismo per realizzare lo stato islamico in Africa con una strategia della tensione straordinariamente sanguinaria. Maiduguri e Posiskum sono le città nelle quali alcune giovanissime ragazze sono state costrette a diventare lo strumento di attentati tra la folla. Ragazze alle quali è stato collocato, sotto i vestiti, dell’esplosivo che doveva esplodere attivato da un telecomando. Bambina ridotte a brandelli umani insieme a tanti altri ignari passanti. Sono i luoghi nei quali oltre duecento studentesse vengono rapite in una scuola, colpevoli soltanto di frequentare appunto una scuola. Ragazze adolescenti costrette alla conversione all’Islam davanti ad una telecamera e destinate a essere vendute o donate ai miliziani combattenti come schiave sessuali o, peggio ancora, a essere utilizzate come “pacco bomba “ vivente per gli attentati. Sono ormai numerosi questi episodi, in Nigeria, quindi lontano dalle nostre case, secondo il nostro comune modo di intendere le vicende che non ci coinvolgono direttamente. Ma dopo le vicende di Parigi la prospettiva è cambiata. Nessuno potrà darci la certezza che episodi analoghi non possano accadere anche a casa nostra. Allora che possiamo fare? Non la guerra all’Islam predicata dalla “beata” Oriana Fallaci e prontamente sostenuta da inutili idioti di casa nostra. I nostri riferimenti ideologici, i nostri obiettivi devono essere l’istruzione, il confronto, l’integrazione, l’accoglienza, la lotta alla miseria e alle disuguaglianze che contrappongono a un mondo benestante e sprecone di beni e risorse l’indigenza di miliardi di persone. E quando parlo di istruzione, non mi riferisco soltanto all’istruzione degli altri, al diritto all’istruzione delle donne mussulmane. Parlo anche di noi, del nostro sistema di istruzione che attualmente non trasmette ai giovani le necessarie conoscenze per comprendere e interpretare l’attuale realtà geo-politica. Non sappiamo niente dell’Islam e della religione mussulmana, conosciamo poco delle vicende storiche che hanno condotto all’attuale divisione del mondo, ai conflitti in atto, alle contrapposizioni tra culture apparentemente diverse e lontane che magari hanno anche molti punti di vista comuni. Mandiamo le nostre truppe (e le nostre armi) in luoghi dei quali la maggior parti dei cittadini non conoscono neppure l’esistenza. “Siamo tutti Charlie”, bene. Ma non è soltanto una questione di vignette satiriche, non si tratta soltanto di difendere il sacrosanto diritto alla libertà di espressione e quindi anche di fare satira. Si tratta di cominciare a pensare a un nuovo mondo da costruire intorno ai valori del confronto, della tolleranza, della giustizia e della pace. Un compito immensamente difficile, certamente lungo e faticoso. Una scommessa affascinante per le giovani generazioni.

RIFLESSIONI ATTIVE. E’ nella convergenza fra la lotta per i diritti dei popoli europei e quella dei paesi dell’altra sponda mediterranea che può poggiare una ripresa di valori democratici e di civiltà. Ma chi organizza questo progetto? E in Sardegna?

Il colossoUnion sacrèe coi governi che attaccano i diritti?
democraziaoggidi Andrea Pubusa, su Democraziaoggi

A Parigi domenica si sono riuniti quasi tutti i capi di governo responsabili dell’impoverimento generale dei popoli europei e insieme della insostenibile situazione delle masse del Medio Oriente e dell’Africa. Hanno capeggiato una grande manifestazione a difesa dei valori democratici dell’Occidente, mentre nei loro paesi e nell’UE, sotto la spinta del capitale finanziario, aggrediscono i diritti sociali, frutto delle Costituzioni nate dalla Resistenza al nazifascismo e delle lotte dei decenni successivi. Particolarmente visibile questo attacco sul fronte delle diseguagluanze, che prima si tendeva se non a colmare, almeno a temperare e da due decenni a questa parte hanno ripreso a crescere creando una forbice fra ricchi e poveri che ci riporta indietro più d’un secolo. Il punto di sfondamento è individuabile nel lavoro, il cui oggetto è ormai ridotto a mera merce, cancellando la soggettività, l’umanità di chi la produce, e dunque privando i lavoratori di qualsiasi diritto, anche di quello primario ad un salario che garantisca una vita libera e dignitosa, come dice la nostra Costituzione. Capeggiano questi signori la grande manifestazione in difesa delle libertà, ma disconosconoi la piena soggettività del lavoratore e riducono la massa a mera destinataria non solo dei poteri di governo, ma anche dell’informazione che dicono di voler difendere. Questa torna ad essere formalmente libera, ma nella sostanza è in mano a grandi potentati economici che formano un’opinione che distorce la realtà. Le leggi elettorali truffaldine, che limitano la rappresentanza fino a cancellarla, sono il risvolto di questa realtà a-democartica, dai Comuni al Parlamento. Capeggiano la manifestazione oceanica, ma calpestano la democrazia svuotandola di contenuto.
Quanto è accaduto in Afghanistan, in Irak e poi in Libia è il risvolto internazionale di questa politica. Invasioni violente, con massacri di massa, ammantate dalla missione impossibile di esportare la democrazia, in realtà espressione di una volontà aggressiva volta a far fuori governi, di cui spiace non tanto il carattere autocratico quanto la pretesa di gestione autonoma delle proprie risorse. Non è un caso che “il soccorso democratico” a suon di bombe è disposto solo in paesi ricchi di petrolio o in posizione strategica per il passaggio delle fonti energetiche. Le altre emergenze umanitarie sono dimenticate.
I capi di governo di Parigi sono dunque la faccia principale della dissoluzione dei valori democratici ch’essi hanno imposto a livello interno e internazionale.
La ricomposizione non può dunque passare cementando una union sacrée fra masse e questi capi di governo, così come non può nell’altro versante formarsi attorno a capi integralisti e fascistoidi, che sono specularmente l’altra faccia della medaglia. E’ nella convergenza fra la lotta per i diritti dei popoli europei e quella dei paesi dell’altra sponda mediterranea che può poggiare una ripresa di valori democratici e di civiltà. Ma chi organizza questo progetto? La scomparsa della sinistra in Europa, e, per quanto ci riguarda, in Italia, rende difficile persino pensare ad una lotta di questa portata. Ma da qui bisogna ripartire. Qualche indicazione positiva viene da Syriza in Grecia. Ma in giro di Tsipras non se ne vedono altri. C’è molto da lavorare.
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- Qualche spiegazione per la scelta dell’illustrazione nella pagina fb di Tonino Dessì, che ringraziamo per la riflessione e la ricerca che ci offre.
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ape su sardegnaDistrazioni di massa
di Omar Onnis, su SardegnaMondo

I fatti di Parigi del 7 gennaio scorso hanno scosso l’opinione pubblica anche in Sardegna, com’è inevitabile. Ed anche in Sardegna si è scatenato il delirio anti-islamico e anti-immigrazione. L’episodio sconcertante dell’assessore alla cultura di Bonorva, che lancia proclami di odio via FB, è solo un sintomo. È il sintomo della pessima selezione della nostra classe politica (caso mai avessimo bisogno di conferme) ed anche della facilità con cui è possibile manipolare la percezione delle cose e la stessa emotività di grandi masse di cittadini.

Davanti a fatti così tragici e così simbolici assumere un atteggiamento distaccato è difficile per chiunque. Nondimeno è indispensabile cercare di dipanare la matassa complessa del nostro presente per non farsene soffocare. E che il rischio sia di soffocare è evidente. Soprattutto in un luogo impoverito e indebolito come la Sardegna di oggi.

Nel nostro caso, infatti, la funzione distraente delle narrazioni tendenziose ha una forza e una portata amplificate. L’analfabetismo funzionale di massa, le aspettative decrescenti, la rabbia diffusa sono un materiale facilmente malleabile nelle mani di chi dispone di conoscenze, risorse e obiettivi solidi da perseguire. Sappiamo come va, è già successo. Ci hanno fatto accettare fatti, scelte, condizioni che nessuno, nel pieno possesso delle proprie facoltà, accetterebbe mai. Ma manipolare delle masse è più facile che persuadere una persona singola. Soprattutto quando mancano i riferimenti culturali, quando le formazioni intermedie non solo non fanno da filtro e da aggregatrici di interessi e obiettivi, ma sono sostanzialmente al servizio della nostra sottomissione.

Mentre molti sardi si lasciano trascinare nella ventata d’odio contro i musulmani o contro gli immigrati in generale, i sindacati rilanciano l’idea della chimica verde nel nord dell’isola e delle coltivazioni estensive di canne nel sud. La classe politica amplifica il ricatto occupazionale e, anziché mettersi di buona lena a cercare soluzioni, si mette a disposizione di avventurieri e affaristi per assecondarne i piani. La scuola muore, l’università è in declino (e non certo per colpa dello stato patrigno, o almeno non solo), l’emigrazione riprende a ritmi crescenti, l’inquinamento non diminuisce affatto, l’agricoltura è allo sbando, il mondo della cultura è completamente abbandonato a se stesso. Ammetto che a volte la reazione a tante lamentele si riduce a una domanda: ma voi chi avete votato fin qui? Ma chiaramente non la si può fare così semplice.

Occorre tenere ben desta l’attenzione sulle questioni cruciali, senza farsi distrarre dalle ombre proiettate per confondere le menti. Davanti all’intolleranza e alla violenza, servono maggiore inclusività e compresione. Non integrazionismo a tutti i costi, ma capacità di rispettare gli altri per quello che sono, fintanto che rimangono nei limiti della legalità e della convivenza pacifica al cui rispetto siamo tenuti tutti. Per combattere l’impoverimento culturale, la debolezza economica, la disoccupazione, non servono fughe in avanti fantasiose, ma proposte concrete, investimenti pubblici mirati e ben pianificati, servono maggior istruzione, maggiore conoscenza strutturata, maggior senso di responsabilità verso la sfera pubblica. Prima di tutto da parte della classe politica.

Chi grida contro i musulmani e nel mentre fa spartizioni di sottogoverno, o fa accordi con il Qatar, è un nemico molto più pericoloso di qualsiasi immigrato. In questa fase risultano dunque ancor più inutili, se non strumentali allo status quo, i discorsi di tipo etnocentrico, discriminatorio, nostalgico.

Non è l’immigrazione a costituire un rischio, specie in una terra lanciata verso un futuro prossimo di spopolamento. Non è nemmeno l’islam, in Sardegna largamente minoritario. Evocare a questo proposito la minaccia araba e saracena dei secoli passati è una sciocchezza dovuta non solo al razzismo ma anche all’ignoranza. Se è per quello, ci sono stati nella nostra storia momenti difficili in cui con l’islam i Sardi avevano raggiunto una tregua (e forse anche una alleanza), per esempio tra VIII e IX secolo. Sappiamo bene che qualsiasi problema creato nel corso del tempo dalle scorribande dei mori (spesso guidate da sardi, per altro) è niente in confronto ai guasti prodotti dalle classi dominanti di turno, compresa quella attuale.

La desertificazione culturale e l’ostinazione con cui la si persegue a livello politico non aiutano certo. Non è la cultura, a minacciarci, né la nostra né quella altrui. Caso mai la stupidità. Mi turba molto che in questi giorni in Sardegna vengano evocati maestri di pensiero equivoci come Oriana Fallaci o impresentabili cone Matteo Salvini. Abbiamo bisogno di questo? Di questo deve animarsi il nostro dibattito pubblico? Ricordiamoci che noi, prima di essere partecipi di un discorso razzista e di sopraffazione, ne siamo vittime. Questo dovrebbe esserci chiaro e dovrebbe anche insegnarci qualcosa.

Non c’è una sola ragione al mondo per cui la Sardegna debba essere una terra povera, spopolata e marginale. Se questa è la sua condizione, le cause sono storiche e storicamente determinabili. Se è vero che non esiste alcuna tara congenita, a spiegazione di questo stato di cose, non c’è però neanche una generica minaccia esterna ai nostri danni. Se pensassimo un po’ meno ai falsi bersagli additati da mass media e da gruppi di potere interessati e ci facessimo un bell’esame di coscienza quanto a ricerca di assistenzialismo, o di favori, quanto a noncuranza verso i nostri beni comuni, quanto a ignoranza di noi stessi, forse le cose per noi cambierebbero in meglio, senza bisogno di scomodare l’immigrazione, o l’islam, né Dio o chi per lui.

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shoah museo BerlinoL’importanza della luce quando siamo al buio
sedia-van-gogh4di Vanni Tola

“Se questo è un uomo”, già, se questo è un uomo. Come avrebbe commentato la strage di Parigi lo scrittore Primo Levi? Quali considerazioni avrebbe sviluppato sugli uomini che, in nome di Dio, hanno realizzato una strage di esseri umani per vendicare le offese al loro Profeta, realizzate con vignette satiriche? Se questo è un uomo. Come avrebbe descritto Primo Levi la barbarie di quei combattenti che, in nome della grandezza del loro Dio, hanno ripetutamente violato l’innocenza e l’integrità fisica di una bambina collocandole addosso un ordigno esplosivo per poi mandarla tra persone, anche esse innocenti, e farla esplodere come un pacco bomba, usando un telecomando? Che avranno pensato mentre, lontani dalla scena dell’attentato, la osservavano camminare verso i “nemici”? Che cosa le avranno raccontato per convincerla o indurla a recitare fino in fondo il terribile compito che le era stato assegnato? Che sensazioni avranno provato un attimo prima di attivare il comando elettronico che l’avrebbe ridotta in mille pezzi insieme a tante altre persone? E dopo, dopo, che sensazioni avranno provato? Si saranno sentiti eroi appagati per il loro eroico gesto o si saranno sentiti oppressi dal dubbio di aver compiuto una azione vigliacca quanto inutile e crudele? Non lo sapremo mai Primo Levi non c’è più. Nel cielo volano uccelli scuri, avvoltoi rapaci pronti a raccogliere brandelli di corpi innocenti per dare fiato ai loro propositi di guerre contro i diversi, guerre di “religione”, “guerre di civiltà”. Noi, i buoni, contro gli islamici, i cattivi. Niente di buono all’orizzonte. Dice una diciottenne Pakistana, il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, essa stessa vittima di un vile attentato degli estremisti islamici.
“Tutti ci rendiamo conto dell’importanza della luce quando ci troviamo al buio e tutti ci rendiamo conto dell’importanza della voce quando c`e il silenzio. Non odio neppure il Taliban che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano ed egli mi stesse davanti e stesse per spararmi, io non sparerei. Questa è la compassione che ho appreso da Mohamed, il profeta misericordioso, da Gesù Cristo e dal Buddha. Questo è il lascito che ho ricevuto da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non-violenza che ho appreso da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che la mia anima mi dice: siate in pace e amatevi l’un l’altro. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo. I libri e le matite sono la nostra arma più formidabile, quella che potrà farci vincere la miseria e conquistare la pace”.
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“In Europa, per non dire dell’Italia, in questo momento c’è una deficienza paurosa di personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c’è un’Europa in guerra, ci sono conflitti da disinnescare anche con le armi dell’intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo, difficile, faticoso. Ma non c’è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano proprio i terroristi” (Massimo Cacciari)
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L’ambiguità delle piazze francesi
di Rossana Rossanda, su Sbilanciamoci.it

Non si possono portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista francese, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica

Le sole parole equilibrate nel diluvio di dichiarazioni di orrore e di angoscia anche della stampa italiana per l’assassinio dei disegnatori e del direttore di “Charlie Hebdo” le ha scritte Massimo Cacciari, riportando la questione alla sua dimensione temporale e politica. La grande emozione e protesta che ha subito riempito in modo spontaneo le piazze francesi non è mancata infatti di qualche ambiguità. Si è potuto manifestare legittimamente, e quasi accogliendo l’invito del presidente Holland, il rifiuto del fondamentalismo e la difesa della repubblica e il “no” ai problemi posti dalla grande immigrazione musulmana in Europa.
Facilitata in Francia dal troppo coltivato richiamo alla colonizzazione francese in Africa del Nord e nel Medio Oriente. Da molti decenni si è dimenticato che un accordo fra un alto funzionario inglese, Sykes, e uno francese, Picot, disegnò la spartizione dell’impero ottomano fra Francia e Gran Bretagna. La Gran Bretagna poi ha prevalso e ancora più recentemente hanno prevalso le politiche degli Stati Uniti. Ma le recenti scelte di Holland di intervento nel corno d’Africa e nell’Africa centrale hanno, senza volerlo, ripristinato l’immagine di una gloria coloniale che dà fiato a Marine Le Pen. Ugualmente le parole del presidente Holland subito dopo l’attentato, richiamando tutto il paese all’unità contro il terrorismo, sono parse legittimare la richiesta del Fronte nazionale di partecipare alla grande manifestazione ufficiale antifondamentalista di domenica prossima, che lo ha messo non poco in imbarazzo davanti allo slancio con il quale Marine Le Pen ha annunciato la sua partecipazione. Non si possono infatti portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica.
Lo slogan “Je suis Charlie” manifestava efficacemente un appoggio a un giornale niente affatto di grandissima diffusione, che in generale non fa complimenti al Fronte Nazionale. Si può del resto discutere di un tema già volgarizzato in Italia come l’immunità politica della satira, oggi difesa apparentemente da tutti. Le famose vignette danesi contro Maometto sono state amplificate da Charlie Hebdo in un’accentuazione dell’ateismo fin troppo augurabile ma da non identificare col disprezzo di tutti i credenti: “Nel cesso tutte le religioni”, aveva scritto e pubblicato in prima pagina quel giornale. Alla incapacità della sinistra di portare argomenti laici alla ribalta dell’opinione pubblica, e di rispondere al richiamo oggi esercitato specie da alcuni monoteismi e dal buddismo, sia pure assai diversi, ha corrisposto l’indulgenza a forme facili di caricatura, che sicuramente hanno offeso i milioni di musulmani in Europa. Basti pensare a quale accoglienza avrebbero avuto se quelle vignette si fossero nominativamente applicate a Gesù Cristo. Non penso che sia utile lasciare ai caricaturisti un compito che per loro natura, volendo irridere a tutte le fedi, non possono esercitare: è come se gettassero un fiammifero in un barile di benzina. È proprio la debolezza della sinistra del dopo il 1989 a produrre questa rinascita in forza delle religioni.
Per quanto riguarda quella musulmana, come non chiedersi perché il suo fondamentalismo – che pareva essere escluso da una organizzazione non piramidale delle sue chiese – sia scoppiato in queste forme mortifere, particolarmente oggi. Maometto esiste dal Settimo secolo e da allora in poi l’atteggiamento dell’impero ottomano, per esempio nei confronti degli ebrei, è stato di gran lunga più tollerante e tendente all’assimilazione di quello della chiesa cattolica, che ha voluto le crociate e lo ha investito di maledizioni e improperi, senza che questi portassero a nessuna Jihad, anzi, il famoso “feroce Saladino” era un interessante pacifista. L’estremismo dell’ammazzare tutti i non fedeli al profeta appartiene ai nostri giorni, ed è molto più serio cercarne le origini nelle forme coloniali e non coloniali adottate dall’Occidente che in un passo o l’altro del Corano.
Un fenomeno non meno importante riguarda il fascino che forme estreme di milizia, che arrivano fino al mettere in conto la propria morte per “martirio”, abbiano sui giovanissimi occidentali che raggiungono la Siria o altri luoghi dove possono arruolarsi con i maestri del fondamentalismo. La tanto conclamata fine delle ideologie sembra aver lasciato in piedi soltanto l’assolutismo di alcune minoranze musulmane, come appunto la Jihad e in modo particolare il recente Daesh, cioè lo Stato islamico rappresentato dal cosiddetto Califfato di al Baghdadi.
Da noi già appare la voglia di condannare i rappers che sembrano ispirarsene: errore dal quale bisognerà guardarsi. Insomma, il fascino dell’islamismo radicale corrisponde alla stupidità con la quale la cultura predominante in Occidente sembra trattare il bisogno di un “senso” non riducibile ai soldi che gli aspetti ideologici della globalizzazione hanno tentato di offuscare dalle parti nostre. Grande problema del nostro tempo che è inutile esorcizzare.
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- www.sbilanciamoci.it

- Leggi i commenti; qui ne riportiamo solo uno (di Salvatore Annunziata)
Io vivo in Francia e mi occupo di disagio giovanile ad Avignone. L’articolo di Rossana Rossanda lo considero come il frutto di una persona colta, molto sensibile che legge quanto sta accadendo in Francia da mercoledi scorso con lenti inadeguate. In effetti è verissimo che chi ha decimato la redazione di Charlie Hebdo (che qui è vissuto come il residuo più autentico del maggio ’68) e assalito il supermarcato kascher è il frutto del passato coloniale della Francia e del fatto che la Francia, in quanto sistema paese, non ha acora fatto i conti col proprio passato di potenza coloniale. Potremmo dire che la Francia rapresenta, dal almeno due secoli e forse più, il paradosso già incarnato dalla civilissima ed europeissima Atene di Pericle, vale a dire paladina delle libertà e della democrazia per quelli civilizzati e l’esclusione, la schiavitù, la carità, la messa sotto curatela per quanti (e quante) considerati barbari (i popoli colonizzati) o inferiori (le donne e i minori). Allo stesso tempo però mi sembra che la Rossanda dimentichi un piccolo particolare e cioè che qui in Francia la gente “normale”, come me e qualche milione di persone, rischia di ritrovarsi stretta tra dei fascisti barbuti che non mangiano prodotti derivati da carne di maiale, che abbinano ostracismo verso la musica ma utilizzano internet e i GPS e che si dicono veri seguaci del Profeta e degli altri fascisti per lo più bianchi, che loro invece lo mangiano e lo amano il maiale (al punto di portare in piazza delle teste – vere o finte poco importa – alle manifestazioni), che negano la shoah, che gridano “la France aux français”, che si battono contro l’islamisazione dell’Europa. In breve, se vogliamo utilizzare come paragone quello che è successo nelle terre della morta Federazione Yugoslavia, potremmo dire che qui rischaimo di ritrovarci circondati tra Ustacha e Cetnici.
La grossa sfida che ci attende tutti e tutte, non solo in Francia ma in tutti i paesi europei, è di dare nuova linfa alla democrazia, all’accolgienza, al rispetto dell’alterità propria e altrui. Insomma, ci tocca fare la messa a punto del nostro referenziale culturale avendo come bussola non delle ideologie scollegate dalla vita, dalla storia di ognuno di noi, bensi la dichiarazione universale dei diritti umani secondo cui, art.1, ogni essere umano nasce uguale in diginità e diritti. Ecco i valori che dobbiano, con qualunque mezzo coerente a quest’obiettivo, promuovere e difendere
.
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Strage Charlie Hebdo, Cacciari: “Politica di accoglienza o avremo il conflitto in Europa”
di Rodolfo Sala su Repubblica.it
MILANO – “I fatti orrendi di Parigi dovrebbero imporre a tutti noi di ragionare alla grande, ma in questo clima sono in pochi a ragionare, soprattutto in Italia. Il livello del dibattito è deprimente”. Lo dice il filosofo Massimo Cacciari.

E quale sarebbe, professore, la prima riflessione da fare?
“Negli ultimi venti-trent’anni abbiamo vissuto tutti nell’illusione che la storia potesse in qualche modo cancellare la propria dimensione tragica. Che la nostra Penisola potesse restare fuori dalle trasformazioni epocali che hanno rivoluzionato la geopolitica e prodotto una serie di conflitti (Afghanistan, Iraq, la questione irrisolta dei rapporti tra Israele e palestinesi) che anche per colpa dell’Occidente restano pesantemente irrisolti”.

Risultato?
“Vedo un rischio terribile e concreto. Il rischio di una guerra civile in Europa. Mi spiego: dobbiamo tenere presente che nel 2050 la metà della popolazione del nostro continente sarà di origine extracomunitaria, quindi è impensabile ritenerci in guerra, noi europei, con l’altra parte, con il mondo islamico. Per questo dico che bisogna ragionare alla grande. Il problema è con chi”.

A che cosa allude?
“In Europa, per non dire dell’Italia, in questo momento c’è una deficienza paurosa di personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c’è un’Europa in guerra, ci sono conflitti da disinnescare anche con le armi dell’intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo, difficile, faticoso. Ma non c’è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano proprio i terroristi”.

Le armi dell’intelligenza, lei dice…
“Certo. Se durante il secondo conflitto mondiale ci fosse stato solo il generale Patton, e non anche la lungimiranza di leader come Churchill e Roosevelt, avrebbe vinto Hitler. Affontare il problema solo dal lato della semplice repressione non basta, non può bastare. Anche se questi islamisti hanno compiuto un indiscutibile salto di qualità”.

In che senso?
“Non siamo in presenza del kamikaze solitario, della bomba anonima. Le azioni come quella di Parigi sono programmate con una logica militare che punta, voglio ripeterlo, allo scontro di civiltà”.

Quindi?
“Fino a quando la nostra democrazia non dimostrerà di essere accogliente, e continuerà con le disuguaglianze, questo tipo di terrorismo troverà sempre terreno favorevole. Sullo scenario europeo, ora si pensa di far fuori la Grecia, mentre si allargano i confini dell’Unione alla Lituania: è pazzesco”.

Ma i toni salgono, Salvini dice che siamo in guerra…
“Una battuta che si commenta da sé, sotto il profilo culturale. Sarebbe un errore madornale additare nell’Islam il nemico, il modo per moltiplicare gli jihadisti”.

Aggiunge che il Papa non deve dialogare con l’Islam…
“Figuriamoci che cosa importa al Pontefice delle parole di Salvini. Che insieme alla Le Pen sta facendo di tutto per ostacolare il dialogo. Se si votasse domani la Lega e il Front national prenderebbero una valanga di voti. Sarebbe pericolosissimo, allora sì che saremmo in guerra. Certo, poi occorre realismo “.

E cioè?
“Riconoscere che fino a quando non sarà abbattuto lo Stato islamico dobbiamo aspettarci il peggio. Ma lo si abbatte solo se non si invoca il conflitto di civiltà. Purtroppo quando la storia appare tragica si fa molto fatica a ragionare. È del tutto logico, e porta anche voti: ma è anche pericolosissimo. Bisognerebbe fare un grande sforzo a partire da noi italiani, non credo sia inutile. In fin dei conti, con la storia che abbiamo, dovremmo essere vaccinati. Anche se adesso non pare così”.

Da Repubblica.it

E’ nella convergenza fra la lotta per i diritti dei popoli europei e quella dei paesi dell’altra sponda mediterranea che può poggiare una ripresa di valori democratici e di civiltà. Ma chi organizza questo progetto?

Il colossoUnion sacrèe coi governi che attaccano i diritti?
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A Parigi domenica si sono riuniti quasi tutti i capi di governo responsabili dell’impoverimento generale dei popoli europei e insieme della insostenibile situazione delle masse del Medio Oriente e dell’Africa. Hanno capeggiato una grande manifestazione a difesa dei valori democratici dell’Occidente, mentre nei loro paesi e nell’UE, sotto la spinta del capitale finanziario, aggrediscono i diritti sociali, frutto delle Costituzioni nate dalla Resistenza al nazifascismo e delle lotte dei decenni successivi. Particolarmente visibile questo attacco sul fronte delle diseguagluanze, che prima si tendeva se non a colmare, almeno a temperare e da due decenni a questa parte hanno ripreso a crescere creando una forbice fra ricchi e poveri che ci riporta indietro più d’un secolo. Il punto di sfondamento è individuabile nel lavoro, il cui oggetto è ormai ridotto a mera merce, cancellando la soggettività, l’umanità di chi la produce, e dunque privando i lavoratori di qualsiasi diritto, anche di quello primario ad un salario che garantisca una vita libera e dignitosa, come dice la nostra Costituzione. Capeggiano questi signori la grande manifestazione in difesa delle libertà, ma disconosconoi la piena soggettività del lavoratore e riducono la massa a mera destinataria non solo dei poteri di governo, ma anche dell’informazione che dicono di voler difendere. Questa torna ad essere formalmente libera, ma nella sostanza è in mano a grandi potentati economici che formano un’opinione che distorce la realtà. Le leggi elettorali truffaldine, che limitano la rappresentanza fino a cancellarla, sono il risvolto di questa realtà a-democartica, dai Comuni al Parlamento. Capeggiano la manifestazione oceanica, ma calpestano la democrazia svuotandola di contenuto.
Quanto è accaduto in Afghanistan, in Irak e poi in Libia è il risvolto internazionale di questa politica. Invasioni violente, con massacri di massa, ammantate dalla missione impossibile di esportare la democrazia, in realtà espressione di una volontà aggressiva volta a far fuori governi, di cui spiace non tanto il carattere autocratico quanto la pretesa di gestione autonoma delle proprie risorse. Non è un caso che “il soccorso democratico” a suon di bombe è disposto solo in paesi ricchi di petrolio o in posizione strategica per il passaggio delle fonti energetiche. Le altre emergenze umanitarie sono dimenticate.
I capi di governo di Parigi sono dunque la faccia principale della dissoluzione dei valori democratici ch’essi hanno imposto a livello interno e internazionale.
La ricomposizione non può dunque passare cementando una union sacrée fra masse e questi capi di governo, così come non può nell’altro versante formarsi attorno a capi integralisti e fascistoidi, che sono specularmente l’altra faccia della medaglia. E’ nella convergenza fra la lotta per i diritti dei popoli europei e quella dei paesi dell’altra sponda mediterranea che può poggiare una ripresa di valori democratici e di civiltà. Ma chi organizza questo progetto? La scomparsa della sinistra in Europa, e, per quanto ci riguarda, in Italia, rende difficile persino pensare ad una lotta di questa portata. Ma da qui bisogna ripartire. Qualche indicazione positiva viene da Syriza in Grecia. Ma in giro di Tsipras non se ne vedono altri. C’è molto da lavorare.
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- Qualche spiegazione per la scelta dell’illustrazione nella pagina fb di Tonino Dessì, che ringraziamo per la riflessione e la ricerca che ci offre.
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shoah museo BerlinoL’importanza della luce quando siamo al buio
sedia-van-gogh4di Vanni Tola

“Se questo è un uomo”, già, se questo è un uomo. Come avrebbe commentato la strage di Parigi lo scrittore Primo Levi? Quali considerazioni avrebbe sviluppato sugli uomini che, in nome di Dio, hanno realizzato una strage di esseri umani per vendicare le offese al loro Profeta, realizzate con vignette satiriche? Se questo è un uomo. Come avrebbe descritto Primo Levi la barbarie di quei combattenti che, in nome della grandezza del loro Dio, hanno ripetutamente violato l’innocenza e l’integrità fisica di una bambina collocandole addosso un ordigno esplosivo per poi mandarla tra persone, anche esse innocenti, e farla esplodere come un pacco bomba, usando un telecomando? Che avranno pensato mentre, lontani dalla scena dell’attentato, la osservavano camminare verso i “nemici”? Che cosa le avranno raccontato per convincerla o indurla a recitare fino in fondo il terribile compito che le era stato assegnato? Che sensazioni avranno provato un attimo prima di attivare il comando elettronico che l’avrebbe ridotta in mille pezzi insieme a tante altre persone? E dopo, dopo, che sensazioni avranno provato? Si saranno sentiti eroi appagati per il loro eroico gesto o si saranno sentiti oppressi dal dubbio di aver compiuto una azione vigliacca quanto inutile e crudele? Non lo sapremo mai Primo Levi non c’è più. Nel cielo volano uccelli scuri, avvoltoi rapaci pronti a raccogliere brandelli di corpi innocenti per dare fiato ai loro propositi di guerre contro i diversi, guerre di “religione”, “guerre di civiltà”. Noi, i buoni, contro gli islamici, i cattivi. Niente di buono all’orizzonte. Dice una diciottenne Pakistana, il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, essa stessa vittima di un vile attentato degli estremisti islamici.
“Tutti ci rendiamo conto dell’importanza della luce quando ci troviamo al buio e tutti ci rendiamo conto dell’importanza della voce quando c`e il silenzio. Non odio neppure il Taliban che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano ed egli mi stesse davanti e stesse per spararmi, io non sparerei. Questa è la compassione che ho appreso da Mohamed, il profeta misericordioso, da Gesù Cristo e dal Buddha. Questo è il lascito che ho ricevuto da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non-violenza che ho appreso da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che la mia anima mi dice: siate in pace e amatevi l’un l’altro. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo. I libri e le matite sono la nostra arma più formidabile, quella che potrà farci vincere la miseria e conquistare la pace”.
——————————————————–
“In Europa, per non dire dell’Italia, in questo momento c’è una deficienza paurosa di personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c’è un’Europa in guerra, ci sono conflitti da disinnescare anche con le armi dell’intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo, difficile, faticoso. Ma non c’è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano proprio i terroristi” (Massimo Cacciari)
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L’ambiguità delle piazze francesi
di Rossana Rossanda, su Sbilanciamoci.it

Non si possono portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista francese, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica

Le sole parole equilibrate nel diluvio di dichiarazioni di orrore e di angoscia anche della stampa italiana per l’assassinio dei disegnatori e del direttore di “Charlie Hebdo” le ha scritte Massimo Cacciari, riportando la questione alla sua dimensione temporale e politica. La grande emozione e protesta che ha subito riempito in modo spontaneo le piazze francesi non è mancata infatti di qualche ambiguità. Si è potuto manifestare legittimamente, e quasi accogliendo l’invito del presidente Holland, il rifiuto del fondamentalismo e la difesa della repubblica e il “no” ai problemi posti dalla grande immigrazione musulmana in Europa.
Facilitata in Francia dal troppo coltivato richiamo alla colonizzazione francese in Africa del Nord e nel Medio Oriente. Da molti decenni si è dimenticato che un accordo fra un alto funzionario inglese, Sykes, e uno francese, Picot, disegnò la spartizione dell’impero ottomano fra Francia e Gran Bretagna. La Gran Bretagna poi ha prevalso e ancora più recentemente hanno prevalso le politiche degli Stati Uniti. Ma le recenti scelte di Holland di intervento nel corno d’Africa e nell’Africa centrale hanno, senza volerlo, ripristinato l’immagine di una gloria coloniale che dà fiato a Marine Le Pen. Ugualmente le parole del presidente Holland subito dopo l’attentato, richiamando tutto il paese all’unità contro il terrorismo, sono parse legittimare la richiesta del Fronte nazionale di partecipare alla grande manifestazione ufficiale antifondamentalista di domenica prossima, che lo ha messo non poco in imbarazzo davanti allo slancio con il quale Marine Le Pen ha annunciato la sua partecipazione. Non si possono infatti portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica.
Lo slogan “Je suis Charlie” manifestava efficacemente un appoggio a un giornale niente affatto di grandissima diffusione, che in generale non fa complimenti al Fronte Nazionale. Si può del resto discutere di un tema già volgarizzato in Italia come l’immunità politica della satira, oggi difesa apparentemente da tutti. Le famose vignette danesi contro Maometto sono state amplificate da Charlie Hebdo in un’accentuazione dell’ateismo fin troppo augurabile ma da non identificare col disprezzo di tutti i credenti: “Nel cesso tutte le religioni”, aveva scritto e pubblicato in prima pagina quel giornale. Alla incapacità della sinistra di portare argomenti laici alla ribalta dell’opinione pubblica, e di rispondere al richiamo oggi esercitato specie da alcuni monoteismi e dal buddismo, sia pure assai diversi, ha corrisposto l’indulgenza a forme facili di caricatura, che sicuramente hanno offeso i milioni di musulmani in Europa. Basti pensare a quale accoglienza avrebbero avuto se quelle vignette si fossero nominativamente applicate a Gesù Cristo. Non penso che sia utile lasciare ai caricaturisti un compito che per loro natura, volendo irridere a tutte le fedi, non possono esercitare: è come se gettassero un fiammifero in un barile di benzina. È proprio la debolezza della sinistra del dopo il 1989 a produrre questa rinascita in forza delle religioni.
Per quanto riguarda quella musulmana, come non chiedersi perché il suo fondamentalismo – che pareva essere escluso da una organizzazione non piramidale delle sue chiese – sia scoppiato in queste forme mortifere, particolarmente oggi. Maometto esiste dal Settimo secolo e da allora in poi l’atteggiamento dell’impero ottomano, per esempio nei confronti degli ebrei, è stato di gran lunga più tollerante e tendente all’assimilazione di quello della chiesa cattolica, che ha voluto le crociate e lo ha investito di maledizioni e improperi, senza che questi portassero a nessuna Jihad, anzi, il famoso “feroce Saladino” era un interessante pacifista. L’estremismo dell’ammazzare tutti i non fedeli al profeta appartiene ai nostri giorni, ed è molto più serio cercarne le origini nelle forme coloniali e non coloniali adottate dall’Occidente che in un passo o l’altro del Corano.
Un fenomeno non meno importante riguarda il fascino che forme estreme di milizia, che arrivano fino al mettere in conto la propria morte per “martirio”, abbiano sui giovanissimi occidentali che raggiungono la Siria o altri luoghi dove possono arruolarsi con i maestri del fondamentalismo. La tanto conclamata fine delle ideologie sembra aver lasciato in piedi soltanto l’assolutismo di alcune minoranze musulmane, come appunto la Jihad e in modo particolare il recente Daesh, cioè lo Stato islamico rappresentato dal cosiddetto Califfato di al Baghdadi.
Da noi già appare la voglia di condannare i rappers che sembrano ispirarsene: errore dal quale bisognerà guardarsi. Insomma, il fascino dell’islamismo radicale corrisponde alla stupidità con la quale la cultura predominante in Occidente sembra trattare il bisogno di un “senso” non riducibile ai soldi che gli aspetti ideologici della globalizzazione hanno tentato di offuscare dalle parti nostre. Grande problema del nostro tempo che è inutile esorcizzare.
———————–
- www.sbilanciamoci.it

- Leggi i commenti; qui ne riportiamo solo uno (di Salvatore Annunziata)
Io vivo in Francia e mi occupo di disagio giovanile ad Avignone. L’articolo di Rossana Rossanda lo considero come il frutto di una persona colta, molto sensibile che legge quanto sta accadendo in Francia da mercoledi scorso con lenti inadeguate. In effetti è verissimo che chi ha decimato la redazione di Charlie Hebdo (che qui è vissuto come il residuo più autentico del maggio ’68) e assalito il supermarcato kascher è il frutto del passato coloniale della Francia e del fatto che la Francia, in quanto sistema paese, non ha acora fatto i conti col proprio passato di potenza coloniale. Potremmo dire che la Francia rapresenta, dal almeno due secoli e forse più, il paradosso già incarnato dalla civilissima ed europeissima Atene di Pericle, vale a dire paladina delle libertà e della democrazia per quelli civilizzati e l’esclusione, la schiavitù, la carità, la messa sotto curatela per quanti (e quante) considerati barbari (i popoli colonizzati) o inferiori (le donne e i minori). Allo stesso tempo però mi sembra che la Rossanda dimentichi un piccolo particolare e cioè che qui in Francia la gente “normale”, come me e qualche milione di persone, rischia di ritrovarsi stretta tra dei fascisti barbuti che non mangiano prodotti derivati da carne di maiale, che abbinano ostracismo verso la musica ma utilizzano internet e i GPS e che si dicono veri seguaci del Profeta e degli altri fascisti per lo più bianchi, che loro invece lo mangiano e lo amano il maiale (al punto di portare in piazza delle teste – vere o finte poco importa – alle manifestazioni), che negano la shoah, che gridano “la France aux français”, che si battono contro l’islamisazione dell’Europa. In breve, se vogliamo utilizzare come paragone quello che è successo nelle terre della morta Federazione Yugoslavia, potremmo dire che qui rischaimo di ritrovarci circondati tra Ustacha e Cetnici.
La grossa sfida che ci attende tutti e tutte, non solo in Francia ma in tutti i paesi europei, è di dare nuova linfa alla democrazia, all’accolgienza, al rispetto dell’alterità propria e altrui. Insomma, ci tocca fare la messa a punto del nostro referenziale culturale avendo come bussola non delle ideologie scollegate dalla vita, dalla storia di ognuno di noi, bensi la dichiarazione universale dei diritti umani secondo cui, art.1, ogni essere umano nasce uguale in diginità e diritti. Ecco i valori che dobbiano, con qualunque mezzo coerente a quest’obiettivo, promuovere e difendere
.
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Strage Charlie Hebdo, Cacciari: “Politica di accoglienza o avremo il conflitto in Europa”
di Rodolfo Sala su Repubblica.it
MILANO – “I fatti orrendi di Parigi dovrebbero imporre a tutti noi di ragionare alla grande, ma in questo clima sono in pochi a ragionare, soprattutto in Italia. Il livello del dibattito è deprimente”. Lo dice il filosofo Massimo Cacciari.

E quale sarebbe, professore, la prima riflessione da fare?
“Negli ultimi venti-trent’anni abbiamo vissuto tutti nell’illusione che la storia potesse in qualche modo cancellare la propria dimensione tragica. Che la nostra Penisola potesse restare fuori dalle trasformazioni epocali che hanno rivoluzionato la geopolitica e prodotto una serie di conflitti (Afghanistan, Iraq, la questione irrisolta dei rapporti tra Israele e palestinesi) che anche per colpa dell’Occidente restano pesantemente irrisolti”.

Risultato?
“Vedo un rischio terribile e concreto. Il rischio di una guerra civile in Europa. Mi spiego: dobbiamo tenere presente che nel 2050 la metà della popolazione del nostro continente sarà di origine extracomunitaria, quindi è impensabile ritenerci in guerra, noi europei, con l’altra parte, con il mondo islamico. Per questo dico che bisogna ragionare alla grande. Il problema è con chi”.

A che cosa allude?
“In Europa, per non dire dell’Italia, in questo momento c’è una deficienza paurosa di personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c’è un’Europa in guerra, ci sono conflitti da disinnescare anche con le armi dell’intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo, difficile, faticoso. Ma non c’è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano proprio i terroristi”.

Le armi dell’intelligenza, lei dice…
“Certo. Se durante il secondo conflitto mondiale ci fosse stato solo il generale Patton, e non anche la lungimiranza di leader come Churchill e Roosevelt, avrebbe vinto Hitler. Affontare il problema solo dal lato della semplice repressione non basta, non può bastare. Anche se questi islamisti hanno compiuto un indiscutibile salto di qualità”.

In che senso?
“Non siamo in presenza del kamikaze solitario, della bomba anonima. Le azioni come quella di Parigi sono programmate con una logica militare che punta, voglio ripeterlo, allo scontro di civiltà”.

Quindi?
“Fino a quando la nostra democrazia non dimostrerà di essere accogliente, e continuerà con le disuguaglianze, questo tipo di terrorismo troverà sempre terreno favorevole. Sullo scenario europeo, ora si pensa di far fuori la Grecia, mentre si allargano i confini dell’Unione alla Lituania: è pazzesco”.

Ma i toni salgono, Salvini dice che siamo in guerra…
“Una battuta che si commenta da sé, sotto il profilo culturale. Sarebbe un errore madornale additare nell’Islam il nemico, il modo per moltiplicare gli jihadisti”.

Aggiunge che il Papa non deve dialogare con l’Islam…
“Figuriamoci che cosa importa al Pontefice delle parole di Salvini. Che insieme alla Le Pen sta facendo di tutto per ostacolare il dialogo. Se si votasse domani la Lega e il Front national prenderebbero una valanga di voti. Sarebbe pericolosissimo, allora sì che saremmo in guerra. Certo, poi occorre realismo “.

E cioè?
“Riconoscere che fino a quando non sarà abbattuto lo Stato islamico dobbiamo aspettarci il peggio. Ma lo si abbatte solo se non si invoca il conflitto di civiltà. Purtroppo quando la storia appare tragica si fa molto fatica a ragionare. È del tutto logico, e porta anche voti: ma è anche pericolosissimo. Bisognerebbe fare un grande sforzo a partire da noi italiani, non credo sia inutile. In fin dei conti, con la storia che abbiamo, dovremmo essere vaccinati. Anche se adesso non pare così”.

Da Repubblica.it

“Politica di accoglienza o avremo il conflitto in Europa”

shoah museo BerlinoL’importanza della luce quando siamo al buio
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“Se questo è un uomo”, già, se questo è un uomo. Come avrebbe commentato la strage di Parigi lo scrittore Primo Levi? Quali considerazioni avrebbe sviluppato sugli uomini che, in nome di Dio, hanno realizzato una strage di esseri umani per vendicare le offese al loro Profeta, realizzate con vignette satiriche? Se questo è un uomo. Come avrebbe descritto Primo Levi la barbarie di quei combattenti che, in nome della grandezza del loro Dio, hanno ripetutamente violato l’innocenza e l’integrità fisica di una bambina collocandole addosso un ordigno esplosivo per poi mandarla tra persone, anche esse innocenti, e farla esplodere come un pacco bomba, usando un telecomando? Che avranno pensato mentre, lontani dalla scena dell’attentato, la osservavano camminare verso i “nemici”? Che cosa le avranno raccontato per convincerla o indurla a recitare fino in fondo il terribile compito che le era stato assegnato? Che sensazioni avranno provato un attimo prima di attivare il comando elettronico che l’avrebbe ridotta in mille pezzi insieme a tante altre persone? E dopo, dopo, che sensazioni avranno provato? Si saranno sentiti eroi appagati per il loro eroico gesto o si saranno sentiti oppressi dal dubbio di aver compiuto una azione vigliacca quanto inutile e crudele? Non lo sapremo mai Primo Levi non c’è più. Nel cielo volano uccelli scuri, avvoltoi rapaci pronti a raccogliere brandelli di corpi innocenti per dare fiato ai loro propositi di guerre contro i diversi, guerre di “religione”, “guerre di civiltà”. Noi, i buoni, contro gli islamici, i cattivi. Niente di buono all’orizzonte. Dice una diciottenne Pakistana, il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, essa stessa vittima di un vile attentato degli estremisti islamici.
“Tutti ci rendiamo conto dell’importanza della luce quando ci troviamo al buio e tutti ci rendiamo conto dell’importanza della voce quando c`e il silenzio. Non odio neppure il Taliban che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano ed egli mi stesse davanti e stesse per spararmi, io non sparerei. Questa è la compassione che ho appreso da Mohamed, il profeta misericordioso, da Gesù Cristo e dal Buddha. Questo è il lascito che ho ricevuto da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non-violenza che ho appreso da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che la mia anima mi dice: siate in pace e amatevi l’un l’altro. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo. I libri e le matite sono la nostra arma più formidabile, quella che potrà farci vincere la miseria e conquistare la pace”.
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“In Europa, per non dire dell’Italia, in questo momento c’è una deficienza paurosa di personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c’è un’Europa in guerra, ci sono conflitti da disinnescare anche con le armi dell’intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo, difficile, faticoso. Ma non c’è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano proprio i terroristi” (Massimo Cacciari)
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L’ambiguità delle piazze francesi
di Rossana Rossanda, su Sbilanciamoci.it

Non si possono portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista francese, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica

Le sole parole equilibrate nel diluvio di dichiarazioni di orrore e di angoscia anche della stampa italiana per l’assassinio dei disegnatori e del direttore di “Charlie Hebdo” le ha scritte Massimo Cacciari, riportando la questione alla sua dimensione temporale e politica. La grande emozione e protesta che ha subito riempito in modo spontaneo le piazze francesi non è mancata infatti di qualche ambiguità. Si è potuto manifestare legittimamente, e quasi accogliendo l’invito del presidente Holland, il rifiuto del fondamentalismo e la difesa della repubblica e il “no” ai problemi posti dalla grande immigrazione musulmana in Europa.
Facilitata in Francia dal troppo coltivato richiamo alla colonizzazione francese in Africa del Nord e nel Medio Oriente. Da molti decenni si è dimenticato che un accordo fra un alto funzionario inglese, Sykes, e uno francese, Picot, disegnò la spartizione dell’impero ottomano fra Francia e Gran Bretagna. La Gran Bretagna poi ha prevalso e ancora più recentemente hanno prevalso le politiche degli Stati Uniti. Ma le recenti scelte di Holland di intervento nel corno d’Africa e nell’Africa centrale hanno, senza volerlo, ripristinato l’immagine di una gloria coloniale che dà fiato a Marine Le Pen. Ugualmente le parole del presidente Holland subito dopo l’attentato, richiamando tutto il paese all’unità contro il terrorismo, sono parse legittimare la richiesta del Fronte nazionale di partecipare alla grande manifestazione ufficiale antifondamentalista di domenica prossima, che lo ha messo non poco in imbarazzo davanti allo slancio con il quale Marine Le Pen ha annunciato la sua partecipazione. Non si possono infatti portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica.
Lo slogan “Je suis Charlie” manifestava efficacemente un appoggio a un giornale niente affatto di grandissima diffusione, che in generale non fa complimenti al Fronte Nazionale. Si può del resto discutere di un tema già volgarizzato in Italia come l’immunità politica della satira, oggi difesa apparentemente da tutti. Le famose vignette danesi contro Maometto sono state amplificate da Charlie Hebdo in un’accentuazione dell’ateismo fin troppo augurabile ma da non identificare col disprezzo di tutti i credenti: “Nel cesso tutte le religioni”, aveva scritto e pubblicato in prima pagina quel giornale. Alla incapacità della sinistra di portare argomenti laici alla ribalta dell’opinione pubblica, e di rispondere al richiamo oggi esercitato specie da alcuni monoteismi e dal buddismo, sia pure assai diversi, ha corrisposto l’indulgenza a forme facili di caricatura, che sicuramente hanno offeso i milioni di musulmani in Europa. Basti pensare a quale accoglienza avrebbero avuto se quelle vignette si fossero nominativamente applicate a Gesù Cristo. Non penso che sia utile lasciare ai caricaturisti un compito che per loro natura, volendo irridere a tutte le fedi, non possono esercitare: è come se gettassero un fiammifero in un barile di benzina. È proprio la debolezza della sinistra del dopo il 1989 a produrre questa rinascita in forza delle religioni.
Per quanto riguarda quella musulmana, come non chiedersi perché il suo fondamentalismo – che pareva essere escluso da una organizzazione non piramidale delle sue chiese – sia scoppiato in queste forme mortifere, particolarmente oggi. Maometto esiste dal Settimo secolo e da allora in poi l’atteggiamento dell’impero ottomano, per esempio nei confronti degli ebrei, è stato di gran lunga più tollerante e tendente all’assimilazione di quello della chiesa cattolica, che ha voluto le crociate e lo ha investito di maledizioni e improperi, senza che questi portassero a nessuna Jihad, anzi, il famoso “feroce Saladino” era un interessante pacifista. L’estremismo dell’ammazzare tutti i non fedeli al profeta appartiene ai nostri giorni, ed è molto più serio cercarne le origini nelle forme coloniali e non coloniali adottate dall’Occidente che in un passo o l’altro del Corano.
Un fenomeno non meno importante riguarda il fascino che forme estreme di milizia, che arrivano fino al mettere in conto la propria morte per “martirio”, abbiano sui giovanissimi occidentali che raggiungono la Siria o altri luoghi dove possono arruolarsi con i maestri del fondamentalismo. La tanto conclamata fine delle ideologie sembra aver lasciato in piedi soltanto l’assolutismo di alcune minoranze musulmane, come appunto la Jihad e in modo particolare il recente Daesh, cioè lo Stato islamico rappresentato dal cosiddetto Califfato di al Baghdadi.
Da noi già appare la voglia di condannare i rappers che sembrano ispirarsene: errore dal quale bisognerà guardarsi. Insomma, il fascino dell’islamismo radicale corrisponde alla stupidità con la quale la cultura predominante in Occidente sembra trattare il bisogno di un “senso” non riducibile ai soldi che gli aspetti ideologici della globalizzazione hanno tentato di offuscare dalle parti nostre. Grande problema del nostro tempo che è inutile esorcizzare.
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Io vivo in Francia e mi occupo di disagio giovanile ad Avignone. L’articolo di Rossana Rossanda lo considero come il frutto di una persona colta, molto sensibile che legge quanto sta accadendo in Francia da mercoledi scorso con lenti inadeguate. In effetti è verissimo che chi ha decimato la redazione di Charlie Hebdo (che qui è vissuto come il residuo più autentico del maggio ’68) e assalito il supermarcato kascher è il frutto del passato coloniale della Francia e del fatto che la Francia, in quanto sistema paese, non ha acora fatto i conti col proprio passato di potenza coloniale. Potremmo dire che la Francia rapresenta, dal almeno due secoli e forse più, il paradosso già incarnato dalla civilissima ed europeissima Atene di Pericle, vale a dire paladina delle libertà e della democrazia per quelli civilizzati e l’esclusione, la schiavitù, la carità, la messa sotto curatela per quanti (e quante) considerati barbari (i popoli colonizzati) o inferiori (le donne e i minori). Allo stesso tempo però mi sembra che la Rossanda dimentichi un piccolo particolare e cioè che qui in Francia la gente “normale”, come me e qualche milione di persone, rischia di ritrovarsi stretta tra dei fascisti barbuti che non mangiano prodotti derivati da carne di maiale, che abbinano ostracismo verso la musica ma utilizzano internet e i GPS e che si dicono veri seguaci del Profeta e degli altri fascisti per lo più bianchi, che loro invece lo mangiano e lo amano il maiale (al punto di portare in piazza delle teste – vere o finte poco importa – alle manifestazioni), che negano la shoah, che gridano “la France aux français”, che si battono contro l’islamisazione dell’Europa. In breve, se vogliamo utilizzare come paragone quello che è successo nelle terre della morta Federazione Yugoslavia, potremmo dire che qui rischaimo di ritrovarci circondati tra Ustacha e Cetnici.
La grossa sfida che ci attende tutti e tutte, non solo in Francia ma in tutti i paesi europei, è di dare nuova linfa alla democrazia, all’accolgienza, al rispetto dell’alterità propria e altrui. Insomma, ci tocca fare la messa a punto del nostro referenziale culturale avendo come bussola non delle ideologie scollegate dalla vita, dalla storia di ognuno di noi, bensi la dichiarazione universale dei diritti umani secondo cui, art.1, ogni essere umano nasce uguale in diginità e diritti. Ecco i valori che dobbiano, con qualunque mezzo coerente a quest’obiettivo, promuovere e difendere
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Strage Charlie Hebdo, Cacciari: “Politica di accoglienza o avremo il conflitto in Europa”
di Rodolfo Sala su Repubblica.it
MILANO – “I fatti orrendi di Parigi dovrebbero imporre a tutti noi di ragionare alla grande, ma in questo clima sono in pochi a ragionare, soprattutto in Italia. Il livello del dibattito è deprimente”. Lo dice il filosofo Massimo Cacciari.

E quale sarebbe, professore, la prima riflessione da fare?
“Negli ultimi venti-trent’anni abbiamo vissuto tutti nell’illusione che la storia potesse in qualche modo cancellare la propria dimensione tragica. Che la nostra Penisola potesse restare fuori dalle trasformazioni epocali che hanno rivoluzionato la geopolitica e prodotto una serie di conflitti (Afghanistan, Iraq, la questione irrisolta dei rapporti tra Israele e palestinesi) che anche per colpa dell’Occidente restano pesantemente irrisolti”.

Risultato?
“Vedo un rischio terribile e concreto. Il rischio di una guerra civile in Europa. Mi spiego: dobbiamo tenere presente che nel 2050 la metà della popolazione del nostro continente sarà di origine extracomunitaria, quindi è impensabile ritenerci in guerra, noi europei, con l’altra parte, con il mondo islamico. Per questo dico che bisogna ragionare alla grande. Il problema è con chi”.

A che cosa allude?
“In Europa, per non dire dell’Italia, in questo momento c’è una deficienza paurosa di personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c’è un’Europa in guerra, ci sono conflitti da disinnescare anche con le armi dell’intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo, difficile, faticoso. Ma non c’è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano proprio i terroristi”.

Le armi dell’intelligenza, lei dice…
“Certo. Se durante il secondo conflitto mondiale ci fosse stato solo il generale Patton, e non anche la lungimiranza di leader come Churchill e Roosevelt, avrebbe vinto Hitler. Affontare il problema solo dal lato della semplice repressione non basta, non può bastare. Anche se questi islamisti hanno compiuto un indiscutibile salto di qualità”.

In che senso?
“Non siamo in presenza del kamikaze solitario, della bomba anonima. Le azioni come quella di Parigi sono programmate con una logica militare che punta, voglio ripeterlo, allo scontro di civiltà”.

Quindi?
“Fino a quando la nostra democrazia non dimostrerà di essere accogliente, e continuerà con le disuguaglianze, questo tipo di terrorismo troverà sempre terreno favorevole. Sullo scenario europeo, ora si pensa di far fuori la Grecia, mentre si allargano i confini dell’Unione alla Lituania: è pazzesco”.

Ma i toni salgono, Salvini dice che siamo in guerra…
“Una battuta che si commenta da sé, sotto il profilo culturale. Sarebbe un errore madornale additare nell’Islam il nemico, il modo per moltiplicare gli jihadisti”.

Aggiunge che il Papa non deve dialogare con l’Islam…
“Figuriamoci che cosa importa al Pontefice delle parole di Salvini. Che insieme alla Le Pen sta facendo di tutto per ostacolare il dialogo. Se si votasse domani la Lega e il Front national prenderebbero una valanga di voti. Sarebbe pericolosissimo, allora sì che saremmo in guerra. Certo, poi occorre realismo “.

E cioè?
“Riconoscere che fino a quando non sarà abbattuto lo Stato islamico dobbiamo aspettarci il peggio. Ma lo si abbatte solo se non si invoca il conflitto di civiltà. Purtroppo quando la storia appare tragica si fa molto fatica a ragionare. È del tutto logico, e porta anche voti: ma è anche pericolosissimo. Bisognerebbe fare un grande sforzo a partire da noi italiani, non credo sia inutile. In fin dei conti, con la storia che abbiamo, dovremmo essere vaccinati. Anche se adesso non pare così”.

Da Repubblica.it

L’importanza della luce quando siamo al buio

sedia-van-gogh4di Vanni Tola

“Se questo è un uomo”, già, se questo è un uomo. Come avrebbe commentato la strage di Parigi lo scrittore Primo Levi? Quali considerazioni avrebbe sviluppato sugli uomini che, in nome di Dio, hanno realizzato una strage di esseri umani per vendicare le offese al loro Profeta, realizzate con vignette satiriche? Se questo è un uomo. Come avrebbe descritto Primo Levi la barbarie di quei combattenti che, in nome della grandezza del loro Dio, hanno ripetutamente violato l’innocenza e l’integrità fisica di una bambina collocandole addosso un ordigno esplosivo per poi mandarla tra persone, anche esse innocenti, e farla esplodere come un pacco bomba, usando un telecomando? Che avranno pensato mentre, lontani dalla scena dell’attentato, la osservavano camminare verso i “nemici”? Che cosa le avranno raccontato per convincerla o indurla a recitare fino in fondo il terribile compito che le era stato assegnato? Che sensazioni avranno provato un attimo prima di attivare il comando elettronico che l’avrebbe ridotta in mille pezzi insieme a tante altre persone? E dopo, dopo, che sensazioni avranno provato? Si saranno sentiti eroi appagati per il loro eroico gesto o si saranno sentiti oppressi dal dubbio di aver compiuto una azione vigliacca quanto inutile e crudele? Non lo sapremo mai Primo Levi non c’è più. Nel cielo volano uccelli scuri, avvoltoi rapaci pronti a raccogliere brandelli di corpi innocenti per dare fiato ai loro propositi di guerre contro i diversi, guerre di “religione”, “guerre di civiltà”. Noi, i buoni, contro gli islamici, i cattivi. Niente di buono all’orizzonte. Dice una diciottenne Pakistana, il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, essa stessa vittima di un vile attentato degli estremisti islamici.
“Tutti ci rendiamo conto dell’importanza della luce quando ci troviamo al buio e tutti ci rendiamo conto dell’importanza della voce quando c`e il silenzio. Non odio neppure il Taliban che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano ed egli mi stesse davanti e stesse per spararmi, io non sparerei. Questa è la compassione che ho appreso da Mohamed, il profeta misericordioso, da Gesù Cristo e dal Buddha. Questo è il lascito che ho ricevuto da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non-violenza che ho appreso da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che la mia anima mi dice: siate in pace e amatevi l’un l’altro. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo. I libri e le matite sono la nostra arma più formidabile, quella che potrà farci vincere la miseria e conquistare la pace”.
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scarpete rosse JLussu
C’E’ UN PAIO DI SCARPETTE ROSSE
di Joyce Lussu

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C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald

servivano a far coperte per soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c’è un paio di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald

erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perchè i piedini dei bambini morti non crescono

c’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perchè i piedini dei bambini morti

non consumano le suole.

Un uomo, un libro. Gian Tomaso Marchio, venticinque anni di lotta

di Vanni Tola
Un uomo, un libro. Gian Tomaso Marchio, enticinque anni di lottaGian Tomaso, per gli amici Masino, è un uomo di grande coraggio, protagonista di una lunga lotta personale, sociale e politica. Convive da venticinque anni con una terribile malattia, la Sclerosi Multipla. Una vicenda drammatica che Masino, a differenza di molti altri, ha affrontato e affronta con coraggio e determinazione. Anziché rassegnarsi o, peggio, arrendersi alla propria condizione, Masino ha deciso di combattere, di contrastare la propria malattia denunciandone le caratteristiche, i sintomi, la condizione di chi ne soffre e svolgendo nello stesso tempo un’importante azione d’informazione sulle cause, sulle ricerche in corso, sulle nuove terapie sperimentali, sulla speranza che la ricerca possa, alla fine, trovare il modo di sconfiggere questa terribile patologia. Lo ha fatto dieci anni fa pubblicando un libro dal titolo “la mia vita con la Sclerosi Multipla”, nel quale descrive sedici anni di convivenza con tale patologia. Continuerà a farlo, ora che la sua Sclerosi Multipla compie venticinque anni, con un nuovo libro al quale sta lavorando. Un libro che raccoglierà, oltre le esperienze personali, nuove testimonianze di pazienti, notizie sulla ricerca e le nuove terapie, un quadro dettagliato e realistico della condizione di chi, con la Sclerosi Multipla, deve convivere. Il libro di Gian Tomaso Marchio può essere scaricato gratuitamente dal sito dell’Associazione Sclerosi Multipla della Sardegna della quale Masino è Presidente per la provincia di Sassari. Insieme all’invito alla lettura siamo tutti chiamati dall’autore a inviare domande, suggerimenti e considerazioni sull’argomento che andranno ad arricchire il nuovo libro in lavorazione. Il sito per scaricare il libro è il seguente : http://www.sardegnasm.it/images/documents/La%20mia%20vita%20con%20la%20Sclerosi%20Multipla.pdf

Dai movimenti degli anni settanta alla Sardegna di oggi. Ricordando Riccardo Lai

MANIFESTO11 ric laiRIPENSARE L’OMBRA DELLA SCONFITTA ALLA LUCE DELLE CONQUISTE DEI MOVIMENTI
- In attesa degli atti del Convegno continuiamo con la pubblicazione di alcuni interventi (abbiamo iniziato con quelli di Franco Meloni, di Vanni Tola, di Benedetto Sechi e, oggi, proseguiamo con la relazione di Federico Francioni, pubblicata il 22 scorso sul sito della Fondazione Sardinia. Mano a mano che ci perverranno pubblicheremo anche gli altri e inoltre così come facciamo oggi, daremo conto della pubblicazione delle relazioni in altre news. Avvertiamo che si tratta di interventi che ci sono pervenuti per iscritto e che durante il Convegno sono stati per lo più arricchiti “a braccio”. Abbiamo anche riportato la trascrizione di un intervento inedito di Riccardo Lai, l’ultimo della sua vita di militante impegnato nelle lotte sociali. La Fondazione Sardinia ha comunicato che quanto prima sarà disponibile nel nel suo sito web l’intera registrazione video delle due giornate di lavori dell’evento. ape-innovativa
- La pagina fb dell’evento.

RIPENSARE L’OMBRA DELLA SCONFITTA ALLA LUCE DELLE CONQUISTE DEI MOVIMENTI*
La sconfitta subita dalle lotte degli anni settanta va ripensata, problematizzata, ridefinita, alla luce delle conquiste di quegli anni: la relazione del convegno di Sassari del 29 e 30 novembre 2014.
di Federico Francioni
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LA BOTTEGA DEI SOGNI. “ Tra parole e musica”

LA BOTTEGA DEI SOGNI. Tra parole e musica
sedia-van-gogh4di Vanni Tola

Il 23 Dicembre alle ore 20.30 sul palco del Teatro Civico di Sassari si svolgerà la rappresentazione “La Bottega dei sogni” promossa e organizzata dal Dipartimento di Salute Mentale della ASL di Sassari in collaborazione con l’associazione Paco Mustela e il Comune di Sassari. I protagonisti dell’iniziativa saranno un gruppo di pazienti in cura presso il Dipartimento di salute mentale, diretti dal regista Pierangelo Sanna dell’associazione teatrale Paco Mustela. Con loro si esibiranno il musicista Enzo Favata e il comico Baz.
“La Bottega dei Sogni” è un progetto riabilitativo in atto dal 2011 che impiega l’arte come forma espressiva del disagio, in tutte le sue caratteristiche principali: scrittura, recitazione, canto e pittura.
Attraverso l’utilizzo dell’arte i pazienti riescono a dare vita alla loro energia interiore spesso orientata verso la distruttività e il caos piuttosto che sulla forza creativa e quindi in direzione di una spinta vitale. - segue -

Dai movimenti degli anni settanta alla Sardegna di oggi. Ricordando Riccardo Lai

MANIFESTO11 ric laiI MOVIMENTI TRA IERI E OGGI
- In attesa degli atti del Convegno continuiamo con la pubblicazione di alcuni interventi (abbiamo iniziato con quelli del direttore, di Vanni Tola e, oggi, proseguiamo con la relazione introduttiva al Convegno di Benedetto Sechi. Mano a mano che ci perverranno pubblicheremo anche gli altri e inoltre daremo conto della pubblicazione delle relazioni in altre news. Avvertiamo che si tratta di interventi che ci sono pervenuti per iscritto e che durante il Convegno sono stati per lo più arricchiti “a braccio”. Abbiamo anche riportato la trascrizione di un intervento inedito di Riccardo Lai, l’ultimo della sua vita di militante impegnato nelle lotte sociali. La Fondazione Sardinia ha comunicato che quanto prima sarà disponibile nel nel suo sito web l’intera registrazione video delle due giornate di lavori dell’evento. ape-innovativaLa pagina fb dell’evento.
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Intervento introduttivo di Benedetto Sechi

Ripercorrendo le lotte, di proposta e di protesta dei movimenti giovanili, si comprende quanta strada è stata fatta, quanti rallentamenti, quanti passi avanti e quanti indietro per arrivare fin qui. Buon esercizio per la memoria! Non sono mai stato un buon archivista, ho sempre accumulato a casaccio, anche nella mia testa. Quindi mi sono sorpreso, ricordando i fatti, le immagini, i documenti, gli articoli, a pensare che tanto è cambiato negli strumenti di comunicazione, dal ciclostile a facebook il passo è lungo, molto meno è mutato nelle esigenze, nelle rivendicazioni nel malessere sociale. Solo alcune questioni hanno assunto proporzioni gigantesche: la diffusione delle droghe ad esempio, la violenza sulle donne, quello che oggi con un brutto sillogismo chiamiamo “femminicidio”. Ma due sono i temi irrisolti, in questi trent’anni e più, che scorreranno davanti a noi e che sono rimasti, costantemente, al centro delle proteste e del disagio delle generazioni che si sono avvicendate: La Scuola e il Lavoro! Certo, con alti e bassi, ma in fondo, in tutti questi anni, chi ha governato l’Italia, e la Sardegna, non ha mai saputo progettare e realizzare riforme soddisfacenti. Pensiamo alla riforma Berlinguer sui percorsi universitari, pensiamo all’incapacità di dotarsi di politiche di sviluppo che sapessero metter un freno alla crescente perdita di posti di lavoro e alla creazione di nuovi, cambiando il modello produttivo imposto con l’industria pesante. Facendo questa considerazione non voglio certo dire che le generazioni che si sono susseguite, siano uguali. Le differenze per fortuna ci sono, per le influenze culturali, la musica, l’arte, modi diversi di trascorrere il tempo libero e di rapportarsi tra loro, ma in tanti tratti esse sono simili, proprio perché uguali sono i problemi che devono affrontare.
Prima di addentrarmi in questo viaggio nel tempo, che per la verità un poco temo, vorrei dedicare un pensiero a Riccardo, Riccardone come tutti noi lo chiamavamo. Di lui sono tante le cose che si possono ricordare, lo faremo in questi giorni, lo farà ogni persona che lo ha conosciuto. Riccardo era un uomo di una intelligenza straordinaria, con una capacità innata nel sapersi rapportare con chiunque, in fabbrica, tra noi operai, era amato e i suoi interventi, a nome del movimento degli studenti, non solo erano apprezzati, ma se lui si trovava in sala mensa, erano attesi e richiesti. Ma il mio pensiero va innanzitutto alle sue doti umane alla sua enorme autoironia, a quel non prendersi mai troppo sul serio, elemento distintivo delle grandi persone. Ironia, entusiasmo, fantasia, intelligenza, che egli esprimeva in ogni contesto e in ogni azione.
Nella meta degli anni 70’ la SIR di Rovelli ottiene pareri di conformità per raddoppiare gli impianti di Porto Torres e Assemini, si costruisce anche a Isili e, per non farci mancare niente, lo Stato Italiano, decide che neppure a Ottana ci starebbe male un poco di chimica, c’era da fronteggiare il fenomeno del banditismo e questa sembrava una buona soluzione. Altrettanto fa Ursini con la Liquichimica, così come la Montedison. Insomma mentre Rovelli con le sue scatole cinesi, quasi cento aziende, si impegna per saccheggiare le risorse del Piano di Rinascita, della Legge 268, gli altri non stanno a guardare e in Veneto, in Toscana, in Sicilia, gli impianti che producono chimica di base proliferano.
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Paren faulas. Una favola per adulti

sedia-van-gogh4di Vanni Tola

Fin da bambini siamo stati abituati a sentire le favole, a credere nelle favole, a fantasticare intorno alle vicende che in esse erano raccontate. Poi, diventati grandi, abbiamo imparato a sentire altre favole, diverse da quelle raccontate dalle nonne, favole molto più fantasiose e particolari, tanto da sembrare storie vere. Ma sono favole che lasciano l’amaro in bocca e talvolta molta rabbia dentro al punto che, le nostre menti, ormai adulte, tendono a rimuoverle semplicemente classificandole come cose non vere. “Paren faulas”. Sotto le feste di Natale una di queste favole l’ha raccontata un simpatico tenente dei carabinieri che, per renderla più credibile, l’ha integrata con fotografie tali da fare apparire il racconto molto verosimile. Una fiaba per adulti. Durante un’indagine dei carabinieri, racconta il Tenente, si scopre che i denari e i beni materiali di una società erano utilizzati, da alcuni dipendenti infedeli, per interessi personali, molto personali. Come vedete l’incipit è particolarmente intrigante. Uno dei protagonisti della vicenda, essendo molto maschio, ha non una ma ben due amanti, di una delle quali, la voce narrante comunica perfino nome e cognome anche perché capucetto rosso bomeluzoè, essa stessa, una dipendente infedele della medesima società. Favola di denaro e di sesso, tutti gli ingredienti di base per una vera favola per adulti. Come Cappuccetto Rosso, anche il nostro protagonista amava andare nel bosco per cercare funghi o andare in ristorante in buona compagnia. Lui preferiva i boschi del nuorese, lì i funghi sono più buoni. E anziché andarci a piedi, nel bosco, preferiva arrivarci con un comodo Suv aziendale e con le sue amanti. Non è dato sapere se le amanti le frequentasse una per volta o entrambe contemporaneamente, un pizzico di discrezione, che diamine. Sappiamo soltanto che le due amanti avevano un Suv ciascuna, come il protagonista che però utilizzava il Suv dell’azienda, molto comodo e spazioso. E’ noto che per andare in campagna a cercare i funghi, il fuoristrada è il mezzo migliore. Per il carburante poi nessun problema. Nella società presso la quale lavorava il nostro personaggio, il carburante non mancava mai e, per evitare la scomodità di andarselo a prendere di volta in volta nella ditta, il nostro si era fatto installare un comodo serbatoio personale da 600 litri in prossimità della sua abitazione. Con quello riforniva di carburante il proprio mezzo, i due Suv delle amanti e, occasionalmente, quando capitava lì un amico per prendere un caffè lui gli offriva anche il pieno. Era molto generoso il protagonista di questa favola. Nella ditta presso la quale lavorava, vi era anche grande disponibilità di materiale edile e sapete che ha fatto lui? Si era riservato un angoletto tutto suo nella miniera ormai abbandonata e lo aveva riempito di materiale edile preso in ditta. Naturalmente, all’occorrenza, ne disponeva per usi personali ma anche, essendo lui molto generoso, per distribuirlo gratuitamente agli amici che, un po’ per riconoscenza e un po’ per sdebitarsi, alle elezioni locali votavano per i candidati che lui consigliati. carabiniere ft MinisteroErano tutti felici, vivevano in armonia e in pace con la natura e con la loro coscienza fino a quando non comparve …. il lupo cattivo travestito da carabiniere che, per rovinare la pace e la serenità del nostro protagonista cominciò a impicciarsi dei fatti suoi. Fotografie, appostamenti e pedinamenti, indagini sui movimenti di denaro e il furto di materiale edile, sugli spostamenti delle amanti che andavano con lui a cercare funghi e altro ancora. E, come talvolta accade nelle favole, la storia non fu a lieto fine, almeno per il nostro fantasioso e geniale protagonista. Un detto popolare recita: “Si Deus cheret e sos carabineris lu permittini”. Questa volta sos carabineris …..

DIBATTITO su la Sardegna di oggi e di domani. Verso il baratro ?

lampadadialadmicromicro133Sulle tematiche trattate da Salvatore Cubeddu è in corso un ampio dibattito, che tuttavia riteniamo sia insufficiente e in certa parte paludato. Cerchiamo di dargli respiro e farlo crescere. Salvatore non usa mezze misure per descrivere la situazione dal suo punto di vista. Com’è noto Aladin ha dato spazio a diverse posizioni, per certe parti opposte. Ricordiamo al riguardo i molti articoli pubblicati (che abbiamo rubricato – riduttivamente – come “chimica verde”) e, in particolare, i servizi approfonditi del nostro Vanni Tola. E’ nostro compito precipuo, da piccolo organo di informazione, dare spazio a tutte le argomentazioni per favorire il confronto e illuminare le scelte sull’oggi e sul futuro della Sardegna, chiunque le stia già facendo e le debba fare. E, ovviamente, ci riferiamo anche alle decisioni e comportamenti di chi legittimamente si oppone e indica strade diverse. Di più, allo stato, non possiamo fare, ma per noi è molto.
carta-Sardegna-1354
Si, la Sardegna va verso il baratro! E vi spiego il perché.

di Salvatore Cubeddu *

A Sassari l’hanno chiamata Matrìca, a Carbonia si chiamerà Mossi&Ghisolfi, a Nuoro vorrebbe farlo Clivati, anche per Chilivani è già stato approvato un progetto per la realizzazione di impianto di biogas con materia prima proveniente dall’agricoltura. Neanche se la Sardegna fosse il doppio di quella che è, basterebbe a nutrire questi impianti voraci. Si tratta di notizie riprese negli ultimi giorni. Con una nuova e peggiore, che va loro incontro: non è vero che il governo rinuncia a far pagare l’Imu dei terreni agricoli, ne ha solo spostato a gennaio il versamento.
Mentre noi si viaggia nelle strade per protestare contro l’occupazione militare delle nostre terre e l’arrivo delle scorie nucleari, la conferma del solito meccanismo di sviluppo ci si para davanti agli occhi, in avvio per i prossimi trenta-cinquanta anni. E se, come affermato ieri, pare che il PD di Soru voglia essere partecipe dei movimenti anti-servitù, lo stesso partito risulta il protagonista politico e l’interlocutore sardo dell’invasione delle campagne sarde con le coltivazioni di cardi e di canne, le cui caratteristiche infestanti e consumatrici di acqua e suolo lascio descrivere agli esperti agronomi. Comunque, una tragedia per l’agricoltura e per l’economia sarda.
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La Sardegna e il turismo. Sei testimoni raccontano l’industria delle vacanze

negozio amb 9ago14 villasimiusUn libro di Sandro Ruju

L’industria delle vacanze attraverso il racconto di sei testimoni.
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sedia-van-gogh4di Vanni Tola
Parlare del turismo sardo tra la gente è sempre un’esperienza curiosa e intrigante. Si scopre che, come spesso accade per vicende calcistiche, anche in questo caso tutti diventano ”esperti”. Ciascun sardo ritiene, di essere profondo conoscitore della materia e, naturalmente, il depositario di progetti, piani e valide soluzioni per migliorare il comparto turistico. Tutto ciò deriva dal fatto che la conoscenza del settore è spesso superficiale e talvolta basata su luoghi comuni e credenze popolari diffuse piuttosto che su dati di fatto oggettivi. L’opera che presentiamo, Il libro “La Sardegna e il turismo” dello storico Sandro Ruju ha appunto il grande merito di individuare dei punti fermi per una migliore conoscenza del comparto turistico regionale. Un’indagine molto accurata realizzata intervistando testimoni e protagonisti dell’evoluzione del turismo in Sardegna. Lo storico Manlio Brigaglia, Bruno Asili, per lungo tempo direttore del Centro Regionale di Programmazione e Commissario dell’Esit e dell’Isola, Umberto Giordano anch’egli direttore dell’Esit dopo una lunga carriera trascorsa all’Ente provinciale per il Turismo di Sassari, Antonio Mundula esponente storico dell’imprenditoria alberghiera cagliaritana e, infine, due protagonisti dell’imprenditoria isolana: Pasqua Salis, realizzatrice insieme al marito Peppeddu Palimodde, dell’azienda che ha realizzato il complesso turistico di Su Gologone e Gianfranco Tresoldi che ha vissuto l’esperienza di direttore dell’albergo Pontinental di Platamona. Un albergo che nel 1963, con i suoi 300 posti-letto, era la più grande struttura ricettiva della Sardegna e operava per ben sei mesi l’anno. Attraverso il racconto dei protagonisti intervistati dall’autore, emerge una visione d’insieme del comparto turistico particolarmente interessante che fa giustizia di molti luoghi comuni. Prima degli anni Cinquanta il turismo in Sardegna era quasi inesistente, evidenti limiti locali ne impedivano lo sviluppo (malaria ancora diffusa, rete di trasporti quasi inesistente, assenza di capacità professionali e imprenditorialità di settore). In quegli anni l’isola aveva appena 700 camere d’albergo, di cui solo cinquanta col bagno. Attualmente l’attività ricettiva appare ampia e diversificata. Circa 110 mila posti-letto nei 920 alberghi e quasi altrettanti negli esercizi complementari, campeggi, villaggi e bad and breakfast. Dagli anni Cinquanta a oggi il turismo sarebbe stato, a parere di Manlio Brigaglia, il responsabile di una “catastrofe antropologica” da intendere naturalmente come profondo cambiamento nel modo di vivere e di pensare del popolo sardo. Quindi qualcosa di molto importante per l’Isola. Nell’introduzione del libro, l’autore evidenzia che il turismo locale, dopo una lunga fase di sviluppo, ha attraversato una preoccupante crisi caratterizzata da un considerevole calo delle presenze, particolarmente in Gallura (area che rappresenta circa il 40% dei flussi turistici isolani). Tale crisi ha determinato una consistente contrazione dell’indice di utilizzo delle strutture ricettive e quindi dei bilanci delle aziende operanti nel settore. Una nota positiva è rappresentata da un’inversione di tendenza avviata nel 2013 che ha riportato l’indice di presenza negli alberghi ai valori del 2011, facendo pure registrare un significativo cambiamento della domanda con una maggiore presenza di stranieri, favorita anche dallo sviluppo dei voli aerei low cost. Gli alberghi sardi, in prevalenza di fascia medio – alta, trovano difficoltà a competere sul mercato in termini di costi. Si tende a identificare l’avvio del turismo nella nostra regione con la nascita del Consorzio Costa Smeralda, in realtà, la valorizzazione turistica del nostro territorio ha una storia molto più lunga e ancora in parte da ricostruire. I primi stabilimenti balneari, per esempio, sorsero ad Alghero e a Cagliari nel biennio 1862-63, pochi anni dopo la creazione del più famoso Lido di Venezia. Molto prima della costituzione del Consorzio Costa Smeralda si registrarono nell’isola diversi tentativi di realizzare un’industria turistica. – segue –

La “meglio gioventù” della Scuola Popolare di Is Mirrionis

SP
ape-innovativaMercoledì 3 dicembre promossa dal Circolo culturale Antonio Gramsci e dalla Biblioteca l’Albero del riccio, con la nostra collaborazione, si terrà un’assemblea per ricordare l’esperienza della Scuola Popolare e per richiedere il recupero dell’ex centro sociale che ospitò l’attività della stessa Scuola (1), del Comitato di quartiere e del Circolo culturale di Is Mirrionis. Della Scuola Popolare parla in modo sintetico ma efficace, nell’intervento che segue, Giorgio Seguro, che di quell’esperienza fu protagonista sia come insegnante sia come esponente degli organismi di coordinamento. Non la ricordiamo come compiaciuto “amardord”, anche se questa componente è legittimamente presente, ma soprattutto per cogliervi utili insegnamenti per quanto si può fare oggi a Is Mirrionis come negli altri quartieri della città, periferici o no, ma comunque luoghi di disagio sociale. Lo facciamo per affrontare (e contribuire a risolvere) i drammatici problemi che li segnano: dalla disoccupazione, alla carenza di abitazioni disponibili (nonostante le case sfitte), alla dispersione scolastica (che vede Cagliari al vertice delle statistiche degli abbandoni)… tanto per segnalare importanti odierne emergenze. Siamo sicuri che dall’iniziativa di mercoledì scaturiranno nuove proposte per percorsi di impegno sociale, in parte già intrapresi, ma che richiedono di essere rafforzati e ripensati (con inedite iniziative, anche riprese da “buone pratiche” in ambiti nazionali e internazionali) rispetto al pericoloso acuirsi di quel complesso di problemi che chiamiamo “disagio sociale”. Vedremo quanto saremo in grado di aggregare persone e organizzazioni che per tale finalità ritengono valga la pena di spendersi.
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La “meglio gioventù” della Scuola Popolare di Is Mirrionis
di Giorgio Seguro
La Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis fu un’esperienza autogestita, autofinanziata, profondamente radicata nel quartiere, e finalizzata all’ottenimento della licenza media per quelle persone adulte (lavoratori e disoccupati) finite fuori dal circuito scolastico, comportante un impegno tutte le notti della settimana, con orario, all’incirca, dalle 20.30 alle 23, e che proponeva anche iniziative di respiro culturale e sociale.
Durante i 6 anni di attività furono coinvolti circa 250 lavoratori e 150 insegnanti volontari (per lo più studenti universitari), oltre a diverse decine di persone che si occuparono delle iniziative culturali e sociali nel quartiere. Nel 6°, e ultimo anno, si operò per una trasformazione dell’esperienza in Centro Culturale: come Scuola Popolare ci si dedicò a favorirne l’auto superamento a vantaggio della nascente realtà delle “150 ore”.
La Scuola Popolare rappresentò un’importante esperienza pedagogica che, partita dai programmi scolastici tradizionali, ben presto andò oltre, puntando a costruire percorsi didattici alternativi privilegiando quegli argomenti di storia, geografia, matematica, lingue straniere ecc. che venivano a collegarsi con le storie di vita dei lavoratori-studenti. Il tutto, in un clima di solidarietà, di incontro-confronto, a volte aspro, tra culture, storie, ideologie (marxista, cattolica, liberale ecc.) personali diverse.
Superato il primo, brusco impatto con la scuola tradizionale (il 2° anno di attività sui 59 lavoratori presentatisi all’esame, ben 30, oltre il 50%, furono bocciati!), cercando l’appoggio del quartiere, facendoci conoscere a livello più ampio (anche con un Giornalino), promuovendo la formazione della “Federazione delle Scuole Popolari” (che sorsero nei quartieri di Stampace, Sant’Elia, e nei centri di Bindua-Iglesias, Elmas, Morgongiori, Quartucciu, Villacidro) e trovando risonanza anche a livello nazionale (Convegno a Roma, Stampa continentale), la Scuola Popolare venne a rappresentare un vero laboratorio di costruzione di coscienze critiche e solidali. Non risulta che alcun partecipante all’esperienza abbia poi imboccato strade negative quali droga o terrorismo. Molti, grazie al titolo conseguito, trovarono lavoro o proseguirono gli studi.
In sintesi, l’iniziativa divenne talmente forte che si riuscì ad ottenere da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, in collegamento con analoghe esperienze nazionali, la costituzione di “Commissioni Speciali d’esame”, all’interno delle quali si ottenne che un insegnante della Scuola Popolare fosse inserito nella commissione, che le prove scritte consistessero in programmi alternativi svolti, e che le prove orali fossero espletate in gruppo o individualmente, a scelta del lavoratore-studente. I risultati furono brillanti non solo per l’ottenimento della licenza media, ma anche come esperienza culturale e sopratutto come esperienza umana.
Ho voluto proporre una rapida, e incompleta, sintesi di questa esperienza con l’intento che non si disperda nell’oblio questo pezzo di storia della “meglio gioventù” di Is Mirrionis, di un quartiere che troppo spesso è stato additato come “ghetto malfamato” e affinchè questi locali vengano ristrutturati e resi all’uso culturale e sociale dei cittadini del quartiere (e della città), prendendo il “testimone” della precedente esperienza di Scuola Popolare.
L’auspicio che mi preme fare è che l’Amministrazione Comunale si faccia carico del recupero dei locali che ospitarono la Scuola, oggi in totale rovina, garantendone un uso per iniziative culturali e di aggregazione sociale, intitolando la piazza (ancora senza nome!) ai Lavoratori della Scuola, come si è già richiesto, e, sarebbe bellissimo, dedicando la nuova struttura a Claudio Pilleri, abitante del quartiere, uno dei principali costruttori di quest’esperienza, morto prematuramente nel 2001, e a cui si deve la stesura della Tesi di Laurea in Filosofia sulla Scuola Popolare di Is Mirrionis, relatore il prof. Giulio Angioni, per l’Anno accademico 1981-82.
Da questa tesi sono tratti i dati riportati in questo scritto e in misura meno incompleta nella scheda che sotto si riporta.

(1) L’edificio, ex ISSCAL (oggi proprietà di Area, ex IACP), è stato utilizzato dal 1972 al 1976 come sede della Scuola Popolare del quartiere di Is Mirrionis (dopo che la stessa, sorta nel 1971, nel primo anno di attività, era stata ospitata presso i locali della Parrocchia di Sant’Eusebio).
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SCHEDA della Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis

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Anni di attività:
1) dall’ottobre del 1971 al giugno del 1972 (solo Scuola popolare)
2) dall’ottobre del 1972 al giugno del 1973 (solo Scuola popolare)
3) dall’ottobre del 1973 al giugno del 1974 (solo Scuola popolare)
4) dall’ottobre del 1974 al giugno del 1975 ( + Centro culturale)
5) dall’ottobre del 1975 al giugno del 1976 (+ Centro culturale)
6) dal giugno del 1976: Comitato di Quartiere
Strutture organizzative:
o Commissione didattica
o Collettivo insegnanti
o Assemblea generale
o Commissione di coordinamento
o Commissione programmi e didattica
o Commissioni di corso
Risorse economiche: auto finanziamento

Primo anno: dall’ottobre del 1971 al giugno del 1972
• Locali: presso la Parrocchia di Sant’Eusebio
• Partecipanti: 52 studenti-lavoratori suddivisi in 4 corsi di 13 persone ciascuno. Uno dei corsi è formato esclusivamente da lavoratori turnisti. 27 insegnanti (in maggioranza studenti universitari + qualche giovane lavoratore
• Frequenza: dal lunedì al venerdì dalle 21 alle 23. Il sabato è dedicato alle ore di recupero.
16 aprile 1974. Si costituisce un Comitato promotore del quartiere di Is Mirrionis
Esami di licenza. Si presentano, da privatisti, 29 all’esame per licenza media: 25 vengono promossi; 4 si presentano, e conseguono, la licenza elementare.

Secondo anno: dall’ottobre del 1972 al giugno del 1973
Nel settembre del 1972 viene stampato in ciclostile il primo numero del “Bollettino di quartiere, organo del Comitato di quartiere di Is Mirrionis” che verrà registrato e autorizzato dal Tribunale di Cagliari nel 1973 col nome di “Scuola Popolare”. In esso viene spiegato il perché della costituzione del Comitato di quartiere e contiene delle ricerche fatte all’interno di Is Mirrionis. Dopo la costituzione del Comitato di Quartiere, nel 1976, il giornale cambierà l’intestazione: “Città quartiere”, diventando l’organo di stampa ufficiale del coordinamento dei Comitati e circoli di quartiere di Cagliari.
Locali. Vengono reperiti quelli di via Is Mirrionis 57/D, nell’ex Centro sociale dell’ISSCAL (e ancora prima asilo), ampliati con altri ambienti adiacenti, di proprietà della Parrocchia, fatiscenti e malsani, che vengono risanati dai partecipanti alla Scuola Popolare.
Partecipanti. Si iscrivono 73 lavoratori, suddivisi in 5 corsi, seguiti da 54 insegnanti, di cui 45 sono studenti universitari, 7 lavorano e 5 insegnano nella scuola ufficiale.
Frequenza. Dal lunedì al sabato dalle 20.30 alle 22.30.
Nell’ottobre del 1972 l’on. prof. Giovanni Lilliu presenta in Consiglio Regionale una richiesta di erogazione di contributi (finanziario, materiale didattico, locali) a favore della Scuola popolare. Si continua con l’autofinanziamento.
Nel novembre del 1972 la Scuola decide di trasformarsi, dopo un’assemblea generale, in Associazione culturale con regolare Statuto, basato su 9 “titoli”, registrato presso il Tribunale di Cagliari.
Nel giugno del 1973, nonostante precedenti incontri avuti col preside e gli insegnanti della scuola media “Alagon”, i lavoratori vennero dirottati in scuole medie di altri quartieri cittadini (Cima e Foscolo). Su 59 lavoratori presentatisi agli esami, 30 furono respinti, 24 licenziati. Nel mese di luglio la “strage” fu denunciata, tramite volantinaggio e il giornale della Scuola, all’opinione pubblica e la notizia trovò eco anche nella stampa regionale e nazionale.

Terzo anno : dall’ottobre del 1973 al giugno del 1974
E’ dall’inizio caratterizzato dalla “lotta” per i locali, prima affittati dal Parroco al gestore di un bar e poi, dopo mobilizzazione anche del quartiere, di nuovo concessi alla Scuola Popolare.
Si lavora per un cambiamento dei programmi, puntando alla costruzione di una scuola “alternativa”.
Partecipanti. Si iscrivono 71 lavoratori suddivisi in 5 corsi e seguiti da 61 insegnanti di cui 6 insegnano nella scuola ufficiale.
Eventi:
• A partire da un incontro svoltosi a Guspini nel novembre del 1973, con l’organizzazione della “Società Umanitaria” di Cagliari, si viene a costituire “La federazione delle Scuole Popolari Sarde” cui aderiscono i quartieri cittadini di Is Mirrionis, Stampace, Sant’Elia, e i paesi di Bindua (Iglesias), Elmas, Morgongiori, Quartucciu, Villacidro. Questo organismo portò avanti la vertenza con i Provveditorati agli Studi per l’istituzione delle Commissioni speciali d’esame per i lavoratori-studenti.
• Nel dicembre del 1973 si svolse a Roma un affollato Convegno delle Scuole Popolari nazionali cui partecipò anche Is Mirrionis. In quella occasione si poterono studiare molte altre realtà che già si erano poste il problema di un superamento di quel tipo di esperienza in favore delle 150 ore.
• Nel gennaio del 1974 si apre il dibattito per trasformare la Scuola Popolare in Centro Culturale che abbia il fine di proporre nuovi settori di intervento (ne vengono individuati 5: Quartiere, cui aderiscono 9 persone; Centro Studi, con 10 partecipanti; Attività musicali e teatrali, con 10 partecipanti; Sport e attività ricreative, con 14 aderenti; Scuola), settori che vengono proposti ad altri abitanti del quartiere o ai lavoratori-studenti già licenziati. La Scuola popolare, tuttavia, rimane il principale campo di intervento.
• Nel maggio del 1974 la Scuola Popolare partecipò alla campagna per il riconoscimento del diritto al Divorzio: ottenne dal Comune 300 spazi elettorali per l’affissione di manifesti, emanò un numero speciale del Giornale per spiegare le ragioni del NO al referendum, volantinò nel quartiere. Nel quartiere di Is Mirrionis l’adesione al NO superò il 70% dei voti.
• Grande motivo di orgoglio fu l’ottenimento, da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, delle Commissioni Speciali d’esame, dove fu concesso, per le prove scritte, che il compito di italiano vertesse su un argomento riguardante l’esperienza della Scuola Popolare o su un argomento di attualità; per la lingua straniera, fu proposto un questionario; per la matematica una prova di geometria solida e una di geometria piana. Per le prove orali si propose che gli esami per i lavoratori, qualora lo avessero richiesto, fossero svolti collettivamente e vertessero su argomenti a piacere e non su materie. Ancora, alle prove orali fu ammessa la presenza, nelle commissioni d’esame, di un insegnante della Scuola Popolare non con il fine di “controllare”, ma per poter verificare il lavoro di gruppo svolto durante l’anno. Tutti i lavoratori ottennero la licenza media.

Quarto anno: dall’ottobre del 1974 al giugno del 1975
Si assiste ad un progressivo superamento della mera esperienza di Scuola Popolare da parte del Centro Culturale di cui la Scuola diviene un settore non più predominante. Si accettarono iscrizioni di 32 lavoratori riuniti in un unico corso, di cui 20 giunsero a sostenere l’esame finale di licenza media: furono promossi tutti.
Si lavorò sopratutto per “settori”: oltre a quello della scuola, dove si studiarono soprattutto testi riguardanti i quartieri popolari, con una ricerca specifica su Is Mirrionis; si mise in funzione il settore Quartiere che portò avanti studi insieme al settore Scuola, ma allargando le riflessioni su tematiche più ampie (rapporto culture egemoni e subalterne; ruolo degli intellettuali; ricostruzione della storia di Is Mirrionis; contatti con le famiglie e le forze ‘presenti nel quartiere’, ecc). Altro settore di intervento fu quello relativo al Cineforum, con lo scopo di offrire agli abitanti del quartiere un’opportunità di aggregazione, con gli animatori che parteciparono a corsi formativi organizzati dalla Cineteca Sarda e dalla Società Umanitaria. I film proiettati riguardavano temi di respiro sociale e venivano corredati di presentazione e di dibattiti. Altri settori erano costituiti dal Gruppo Giovani e da un Centro Studi, con aderenti che facevano parte anche del settore Quartiere, mentre nessuno era inserito in quello della Scuola Popolare.

Quinto anno: dall’ottobre del 1975 al giugno del 1976
Nel mese di settembre del 1975 lo IACP sigillò gli ingressi del locali sede del Centro culturale. Fu grazie ad una mobilitazione e ad una controinformazione, anche con il giornale della Scuola Popolare, di tutto il quartiere che si riuscì a costringere lo IACP a riconcedere l’uso dei locali. Nei mesi di agosto e settembre 1975 il centro Culturale si impegnò nella raccolta delle domande di iscrizione dei lavoratori agli istituendi corsi delle 150 ore. La stessa Federazione regionale delle Scuole Popolari si adoperò per la realizzazione dei corsi anche in Sardegna, consapevoli che ciò avrebbe portato al superamento dell’esperienza delle Scuole Popolari come momento volontaristico e alla nascita di una lotta per il riconoscimento reale del diritto allo studio da parte delle masse operaie, come opportunità di riscatto culturale e sociale e realizzato dallo Stato. Le Scuole Popolari si sarebbero invece riproposte come Centri Culturali di quartiere. Prima dei vari corsi nelle scuole pubbliche, nella Scuola popolare si organizzarono dei pre-corsi, preparatori a quelli delle 150 ore e tenuti dagli insegnanti dell’anno precedente. Fu organizzato anche un corso apposito per delle lavoratrici-infermiere di una Clinica privata cittadina (in quanto a queste non era stato riconosciuto il diritto a poter usufruire delle 150 ore), con insegnanti un gruppo di laureande in Medicina. Quell’anno andò avanti ancora il Gruppo Giovani, il gruppo handicappati e il Gruppo cinema. Un comitato cittadino per la formazione dei Consultori, che una legge nazionale del 1975 delegava alle Regioni, venne ospitato nei locali del Centro.
Quell’anno fu caratterizzato sin dal principio dal dibattito fra le 2 anime dei partecipanti: tra coloro che puntavano alla costruzione di una proposta di scuola come momento di aggregazione del quartiere, facendosi promotrice di un altro comitato di quartiere e quelli che individuavano la specificità della scuola in un intervento soprattutto culturale, di formazione politica e sociale degli abitanti del quartiere. Da una parte, quindi, un’iniziativa culturale, il Centro; dall’altra, una politico-rivendicativa, il Comitato di quartiere. Lo scontro fra queste due ipotesi di lavoro, sancito formalmente in una drammatica assemblea generale il 24 gennaio del 1976 e protrattosi tutto l’anno sociale 1975-76, portò alla crisi del Centro e alla nascita del Comitato di quartiere. Si giunse infine ad uno stato di disgregazione delle iniziative sinchè nel maggio del 1976 una parte degli aderenti abbandonò le strutture del Centro Culturale nelle quali si erano impegnati, il che favorì la trasformazione del Centro in Comitato di quartiere che iniziò ufficialmente la sua attività il 5 giugno del 1976.
Iniziava così una nuova fase storica di impegno, più polico-sociale che culturale, nel quartiere di Is Mirrionis e nella città di Cagliari.

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Questi dati sono stati tratti dalla tesi di Laurea in Filosofia, presso l’Università di Cagliari, redatta da Claudio Pilleri, con relatore il prof. Giulio Angioni, nell’anno accademico 1981-82.

Dai movimenti degli anni settanta alla Sardegna di oggi. Ricordando Riccardo Lai

MANIFESTO11 ric laiI MOVIMENTI TRA IERI E OGGI
- In attesa degli atti del Convegno continuiamo con la pubblicazione di alcuni interventi (abbiamo iniziato ieri con quello del direttore oggi ospitiamo quello di Vanni Tola). Mano a mano che ci perverranno pubblicheremo anche gli altri e inoltre daremo conto della pubblicazione delle relazioni in altre news. Avvertiamo che si tratta di interventi che ci sono pervenuti per iscritto e che durante il Convegno sono stati per lo più arricchiti “a braccio”. Salvatore Cubeddu ha comunicato che quanto prima sarà disponibile nel sito della Fondazione Sardinia l’intera registrazione video delle due giornate di lavori del Convegno. ape-innovativa.
- La pagina fb dell’evento.
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Comunicazione di Vanni Tola*

Ricordare Riccardo Lai, il suo operato di giovane militante impegnato, attraverso la rilettura delle caratteristiche e delle peculiarità dei movimenti che lo videro protagonista o partecipe mi pare un’ottima scelta degli organizzatori del convegno.
Lo vorrei ricordare parlando della legge 285 con particolare riferimento alla costituzione di cooperative nelle campagne e al movimento per il recupero produttivo delle terre incolte.

Anni settanta, tre problemi preponderanti nel sistema Sardegna: a) fallisce il piano di industrializzazione per poli petrolchimici, non si realizza quel processo di industrializzazione diffusa che tali insediamenti avrebbero dovuto determinare; b) non decolla, se non parzialmente, la riforma del comparto agro-pastorale e la creazione del monte dei pascoli che avrebbe dovuto rappresentare la risposta alternativa al fallimento dei piani di rinascita; c) cresce la disoccupazione giovanile e riprende l’emigrazione.
Nel 1977 arrivò la legge 285 – provvedimenti per l’occupazione giovanile. Una buona legge (pur con i suoi molti limiti) che meriterebbe una rivisitazione critica per riscoprirne proposte che potrebbero ancora oggi essere considerate valide.
Il provvedimento dedicava grande attenzione al comparto agricolo. Prevedeva l’impiego straordinario di giovani in attività agricole, il finanziamento di programmi regionali di lavoro produttivo per opere e servizi socialmente utili; l’incoraggiamento dell’accesso dei giovani alla coltivazione della terra; attività di formazione professionale con contratti di formazione; la costituzione, presso i comuni, di liste speciali di collocamento per i giovani tra i 15 e i 29 anni.
- segue -

Dai MOVIMENTI degli ANNI ’70 alla SARDEGNA di OGGI, ricordando Riccardo Lai

MANIFESTO11 ric lai Convegno a Sassari, il 29 Novembre ore 16,00: i movimenti tra ieri e oggi e il 30 novembre 2014: ore 9,30 Movimenti, Sindacati e politica.
DAI MOVIMENTI DEGLI ANNI ’70 ALLA SARDEGNA DI OGGI, ricordando Riccardo Lai.
Aula magna del Dipartimento di Chimica e Farmacia, Università di Sassari, via Vienna.
sedia-van-gogh4 di Vanni Tola
L’iniziativa, promossa congiuntamente dalla Legacoop e dalla Fondazione Sardinia ha lo scopo di promuovere la conoscenza ed il dibattito tra i cittadini di Sassari e della Regione su un periodo di svolta nella storia internazionale, portatore di riflessi profondi nel contesto peninsulare e regionale, che, seppur trattato in alcune ricerche, necessita ancora di indagini ed approfondimenti per la sua estrema problematicità. I lavori sono dedicati alla memoria di Riccardo Lai, un giovane sassarese studente e lavoratore, prematuramente scomparso all’inizio degli anni Ottanta. Protagonista molto conosciuto, in città e non solo, del movimento giovanile, vi si era distinto fin da giovanissimo per il suo sincero e generoso impegno civile e politico. L’iniziativa si propone di analizzare l’incidenza sulla società sarda dei movimenti degli anni Settanta – operaio, giovanile, femminista – e di centrare l’attenzione, tra gli altri, sul problema del lavoro giovanile, così come allora, nella incipiente crisi della deindustrializzazione, andava sviluppandosi in Sardegna, ponendo le radici della drammatica situazione attuale.
Tematiche del Convegno in sintesi saranno:
1) I movimenti degli anni Settanta, con particolare riferimento a quello operaio, studentesco, delle donne. Aspettative e punti critici.
2) La Sardegna nella bufera economico-sociale della deindustrializzazione. Le ripercussioni sulla società sarda e nel territorio di Sassari, Alghero, Porto Torres.
3) Specificità dei movimenti sardi. I giovani ed il lavoro che non c’è: l’esperienza delle cooperative L. 285 per l’occupazione giovanile.
4) Fare Memoria, tra reticenze, rimozioni e problematicità.