Risultato della ricerca: utopia
Per la Pace, ostinatamente. Ripudiare la Guerra: come? Il Dibattito
La guerra è spesso usata come metafora della malattia – la prevenzione della malattia, invece, non è usata come metafora per la prevenzione della guerra. Ma la guerra è una questione di salute planetaria e, come mostra Paolo Vineis, i modelli di prevenzione derivati dalle politiche di promozione della salute potrebbero essere utili per affrontare la guerra. nelle sue diverse fasi e prevenirla. [Paolo Vineis*] Ma come si previene principalmente la guerra? Questo è il campo della diplomazia, che non affronto non essendo un esperto. Tuttavia, la diplomazia può probabilmente imparare dalla prevenzione primaria delle malattie: come per avviare quest’ultima si raccolgono prove scientifiche, in particolare sull’efficacia dei diversi approcci. Da Scienza in rete, diffuso anche da Sbilanciamoci!
Prevenire la guerra? Ci vorrebbe una scienza
di Paolo Vineis*
PACE
La guerra è stata spesso usata come metafora della salute e della malattia, come quando si parla della “guerra al cancro”. A mia conoscenza, invece, non è vero il contrario: le modalità di prevenzione della malattia non sono usate come fonte di metafore per prevenire la guerra. In questo breve articolo sostengo che i modelli di prevenzione derivati dalle politiche di promozione della salute possono essere utili per affrontare la guerra nelle sue diverse fasi, e per prevenirla.
Voglio iniziare con un’affermazione forte, cioè che la guerra è intrinsecamente immorale e lo è diventata ancora di più se consideriamo i massicci investimenti in armi estremamente potenti. Tali armi hanno aumentato enormemente il numero di vittime tra i civili. Le armi dovrebbero essere trattate come entità tossiche, proprio come la chemioterapia, che è necessaria in certe circostanze ma è intrinsecamente tossica. Rifiutare la chemioterapia quando sarebbe benefica per un malato di cancro è irrazionale; allo stesso modo, ci sono circostanze in cui le armi diventano inevitabili, ma la tossicità intrinseca non dovrebbe mai essere dimenticata.
Una questione di salute planetaria
La guerra è una questione di salute planetaria: mette in pericolo la salute umana e animale, ma anche le risorse del pianeta, per esempio rispedendoci indietro all’approvvigionamento di energia dai combustibili fossili.
La prevenzione delle malattie si suddivide in tre fasi: primaria, secondaria e terziaria. Recentemente è stata aggiunta un’altra fase, la cosiddetta prevenzione primordiale, volta a rimuovere le cause dell’esposizione a fattori di rischio.
Partiamo dalla prevenzione terziaria perché questa è la situazione che stiamo vivendo ora con l’Ucraina. I tentativi di prevenire la guerra non hanno avuto successo e il mondo si trova nella situazione di dover limitare i danni.
La prevenzione terziaria delle malattie consiste in tutti gli interventi che mirano a prevenire le sequele di una malattia già diagnosticata, comprese le ricadute, le metastasi nel caso del cancro, o la disabilità. La prevenzione terziaria include la cura e la riabilitazione e spesso interviene troppo tardi per essere veramente efficace. Ci sono molte ragioni per cui altre forme di prevenzione sono preferibili alla terziaria: 1) il trattamento può non essere efficace; 2) in generale, più la diagnosi è tardiva, meno i trattamenti sono efficaci; 3) quasi tutte le terapie hanno effetti collaterali di un tipo o di un altro; 4) il trattamento è molto specifico per la malattia (addirittura personalizzato), mentre altre forme di prevenzione hanno uno spettro più ampio. Anche nel caso della guerra la prevenzione terziaria è la meno efficace: si traduce nel prevenire il più possibile i danni ai civili e ha gravi effetti collaterali. Anche nei casi in cui la “cura” è personalizzata (si pensi all’uccisione dei terroristi) è comunque improbabile che non abbia effetti collaterali, per esempio le ritorsioni che si protraggono nel tempo.
E la prevenzione secondaria, che in sanità è la diagnosi precoce e lo screening delle malattie latenti o dei loro precursori? Il presupposto della prevenzione secondaria – non sempre rispettato – è che il trattamento è più efficace se usato nelle prime fasi della malattia. Ma ci sono degli svantaggi anche nella prevenzione secondaria, per esempio i tassi di falsi positivi e falsi negativi che sono intrinseci nei test di screening in uso. I falsi negativi significano false rassicurazioni, mentre i falsi positivi significano ansia e trattamenti inutili.
Nel caso della guerra tutte le nazioni e le entità sovranazionali (come la Nato) hanno le loro ampie e potenti reti di intelligence per cogliere i primi segni di un potenziale conflitto. L’invasione dell’Ucraina, per esempio, è stata preceduta da avvertimenti precoci e ripetuti, nonostante le rassicurazioni di Putin che si trattasse solo di esercitazioni. Tuttavia, è estremamente delicato stabilire se un segnale precoce debba essere considerato un vero positivo o un falso positivo: le conseguenze, in quest’ultimo caso, possono essere immense. Si pensi, per esempio, a un falso allarme nucleare.
La prevenzione secondaria è probabilmente migliore di quella terziaria, ma ha dei limiti e la sua efficacia deve essere dimostrata caso per caso. Uno dei rischi è quello che in medicina chiamiamo “medicalizzazione”, cioè la moltiplicazione dei test e degli esami, molti dei quali hanno i loro falsi positivi. Nel caso della prevenzione della guerra, questo può portare a un controllo esteso della società, per esempio attraverso i social media (pericolo che si è evocato riguardo alla lotta al terrorismo).
La prevenzione primaria opera ad ampio spettro
Inutile dire a questo punto che prevenire è meglio che curare. Questo è letteralmente vero sia per le malattie che per la guerra, ma il parallelo va oltre questa ovvia affermazione. Per esempio, lo screening ha successo per il cancro alla cervice uterina, al seno o al colon-retto, ma è un disastro per il cancro alla tiroide, portando a un gran numero di diagnosi di condizioni benigne che non progredirebbero in patologie maligne clinicamente evidenti.
Perché la prevenzione primaria è migliore di quella secondaria e terziaria? Non solo per la banale ragione che una terapia può non esistere o non essere efficace, o perché la diagnosi precoce non è fattibile. Ci sono altre ottime ragioni. In primo luogo, la prevenzione primaria delle malattie ha un ampio spettro: i fattori di rischio per il cancro sono in gran parte in comune con le malattie cardiovascolari, il diabete o le malattie neurologiche: con singole iniziative preventive come le campagne antifumo o l’attività fisica si prevengono numerose malattie. In secondo luogo, gli effetti della prevenzione durano nel tempo: mentre le terapie devono essere rinnovate a ogni nuova generazione di pazienti (con i relativi costi ed effetti collaterali), contrastare il fumo o le cattive abitudini alimentari e migliorare l’ambiente hanno un effetto duraturo. Il lato negativo di questo impatto ampio e duraturo della prevenzione sta nel fatto che non è immediatamente visibile, proprio perché impedisce l’insorgere delle malattie. Per questo motivo la prevenzione primaria non è molto attraente per i politici: un ospedale è più facilmente visibile di una malattia che non si è verificata. Ma con la guerra può essere diverso: la gente ama sicuramente la pace, e un politico che assicura una pace duratura senza militarizzare la società può avere successo, tanto più se questo implica la riduzione del budget per le armi, che può essere reinvestito in attività più produttive.
Sradicare le cause del rischio
Ma come si previene principalmente la guerra? Questo è il campo della diplomazia, che non affronto non essendo un esperto. Tuttavia, la diplomazia può probabilmente imparare dalla prevenzione primaria delle malattie: come per avviare quest’ultima si raccolgono prove scientifiche, in particolare sull’efficacia dei diversi approcci (educazione sanitaria, tassazione, incentivi, promozione dei comportamenti virtuosi, ecc.), anche la diplomazia può essere più sistematica nell’indagare i modi più efficaci di prevenire la guerra, con studi sul campo e forse piccoli esperimenti.
Tuttavia, la prevenzione primaria basata sull’educazione sanitaria e sulla politica dei cosiddetti “nudges”, “i gentili suggerimenti”, è largamente inefficace in un mondo in cui le persone sono esposte a forti pressioni per consumare, con comportamenti differenziati a seconda della classe sociale: nel caso del cibo, per esempio, c’è una chiara relazione tra basso costo di quello che si mangia, bassa qualità, bassa classe sociale e propensione all’obesità. La prevenzione primaria è inefficace senza lo sradicamento delle condizioni che portano all’esposizione ai fattori di rischio, tra cui la povertà, le disuguaglianze sociali e la pressione dei mercati (le “cause delle cause”). Nel caso della guerra, il vero enigma è se e in che misura siamo in grado di fermare la proliferazione delle armi. Come ci ha ricordato più volte Papa Francesco, il livello di questa proliferazione è insopportabile e crea una situazione di pericolo costante. La questione è se l’umanità e i suoi leader sono abbastanza saggi da percepire che limitare sostanzialmente (“totalmente” è utopia?) lo stock di armi sarebbe una scelta win-win: meno pericolo per tutti, minore necessità di prevenzione secondaria, più fondi disponibili per investimenti migliori e più produttivi.
L’emergenza Covid-19 ha portato molti a capire l’importanza della prevenzione. Considerato che ci sono migliaia di virus in agguato, che non possiamo semplicemente contrastare con i mezzi di diagnosi e terapia, mettere in atto la prevenzione primordiale significa fermare la deforestazione e l’allevamento estensivo di animali che creano grandi serbatoi di patogeni e aumentano il contatto con la specie umana.
È pensabile che l’invasione dell’Ucraina ci apra gli occhi sulla necessità di avviare rapidamente non solo la risposta abituale in termini di prevenzione terziaria e secondaria, ma anche quella primaria e la primordiale? Il motto romano Si vis pacem para bellum (“se vuoi la pace prepara la guerra”) è stato estremamente fuorviante per secoli, corrispondendo a una soluzione lose-lose, in cui tutti perdono. La prevenzione primordiale dovrebbe essere attuata in tempo di pace. In tempo di guerra le scelte diventano drammatiche, e non restano molte alternative, come ha sottolineato Jeffrey Sachs in una recente intervista, ricordando: «all’indomani della prima guerra mondiale, invece di imporre al popolo tedesco il pagamento di dure riparazioni, Europa e Stati Uniti avrebbero dovuto impegnarsi nella cooperazione per una ripresa di tutta l’Europa, che avrebbe contribuito a prevenire l’ascesa del nazismo». Ma arrivati a un certo punto – cioè in assenza della prevenzione – per combattere il nazismo non restava che la guerra, compresa quella partigiana.
Infine, la prevenzione primordiale e primaria comprendono l’educazione. Non si fa abbastanza nelle scuole per contrastare la cultura della violenza, che è endemica in certe zone del mondo. L’odio contro le minoranze e le nazioni adiacenti dovrebbe essere fortemente contrastato con programmi educativi efficaci. Il risorgere del nazionalismo e del pregiudizio etnico sono particolarmente preoccupanti in aree calde come l’ex Jugoslavia. Questa non è solo la responsabilità delle singole nazioni ma della comunità internazionale.
La traduzione inglese di questo articolo è in corso di pubblicazione in Frontiers Policy Labs.
Per chi vuole commentare l’articolo può sottoporre un testo alla mail info@scienzainrete.it
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Un commento di Pirous Fateh-Moghadam
Paolo Vineis fa precedere la sua riflessione da una importante premessa affermando che secondo lui “la guerra è intrinsecamente immorale”. Nel ragionamento che segue non mi sembra, però, che tragga le conclusioni logiche da questa affermazione impegnativa. Propone invece una serie di metafore e paragoni sanitari che a mio parere rischiano di essere fuorvianti e in contraddizione con la sua affermazione iniziale. La chemioterapia, che menziona in analogia alla guerra, è un trattamento farmacologico con elevata tossicità, ma non ha nulla di “intrinsecamente immorale”. Altri potevano essere paragoni più appropriati: le sperimentazioni cliniche su persone senza il loro consenso, per fare un solo esempio. Si pensi al Tuskegee Study, nell’ambito del quale negli USA fino al 1972 uomini di colore affetti da sifilide non furono curati per studiare l’evoluzione naturale della malattia. Questo, non la chemioterapia, rappresenta un esempio di intervento medico “intrinsecamente immorale” e quindi inammissibile. Utilizzando paragoni medici appropriati diventa chiaro che se si considera la guerra “intrinsecamente immorale”, sul piano logico non c’è altra scelta che aderire ad una posizione di rifiuto categorico e quindi di pacifismo assoluto.
Il concetto si chiarisce ulteriormente provando a sostituire nel testo di Vineis la parola “guerra” con altre pratiche senza dubbio da considerare “intrinsecamente immorali”, per esempio la schiavitù oppure la tortura. Insomma, risulta evidente che si rischia di assumere una posizione di cinismo puro e semplice definendo una pratica “intrinsecamente immorale” e dichiarare subito dopo che all’occorrenza se ne ammette l’uso.
Solo partendo dal presupposto che la guerra non sia intrinsecamente immorale diventa lecito ragionare su come fare per valutare se possa essere considerata una scelta non solo legittima ma anche quella migliore nel contesto dato. Si tratta quindi di individuare dei criteri di valutazione e di applicarli alla realtà dei fatti. Ho cercato di fare un tentativo in questa direzione, pubblicato sulla rivista Epidemiologia & Prevenzione, dal quale risulta che i due approcci, quello pacifista assoluto e quello pragmatico “possibilista”, portano al medesimo risultato di rifiuto della guerra (almeno nella sua forma istituzionalizzata con ricorso a moderni eserciti).
Conviene inoltre tenere presente il ragionamento sui mezzi e fini che Hannah Arendt fa nel suo saggio Sulla violenza. “Dato che il fine dell’azione umana (…) non può mai essere previsto in modo attendibile, i mezzi usati per raggiungere degli obiettivi politici il più delle volte risultano più importanti, per il mondo futuro, degli obiettivi perseguiti”.
Un ulteriore elemento critico nell’articolo di Vineis è l’affermazione che l’Ucraina rappresenti un caso in cui ormai si possa fare solo della prevenzione terziaria, vale a dire cercare di gestire al meglio le conseguenze della guerra. Una guerra che a questo punto deve essere accettata come un fatto compiuto e non più modificabile. La necessità della prevenzione di un’ulteriore escalation del conflitto e il compito di fermare una guerra in atto scompaiono quindi completamente dalle considerazioni di Vineis. Mentre a mio avviso fermare un conflitto ed evitare l’escalation, non sono solo dei compiti importanti, ma vanno anche inquadrati come una forma di prevenzione primaria o almeno in un’area molto più vicina alla prevenzione primaria che alle altre forme di prevenzione .
Sulla prevenzione primordiale (eliminare i fattori determinanti delle guerre, gli armamenti ecc) Vineis fa delle considerazioni ottime e largamente condivisibili, ma poi sottolinea che questi tipo di prevenzione può essere realizzato solo in tempo di pace. Insomma, al primo colpo di cannone il pacifismo dovrebbe capire che la sua esistenza non ha più molto senso. In ultima analisi si tratta quindi di un invito alla rassegnazione, al silenzio, al pensiero TINA (there is no alternative) e quindi alla delega a quello che Papa Francesco ha chiamato il “potere economico-tecnocratico-militare”. Un invito a posticipare l’impegno antimilitarista a favore del disarmo a tempi migliori (che di questo passo non arrivano mai), mantenendolo però a parole. Un invito già accolto con favore da molti.
Ultima considerazione per proporre un’area di possibile convergenza. Possiamo avere opinioni diverse su molti aspetti ma credo che su un punto possiamo tutti concordare: siamo ancora in tempo per mettere in atto la prevenzione primaria di una guerra nucleare che sarebbe devastante per l’intera umanità. Per raggiungere questo obiettivo la comunità internazionale ha a disposizione uno strumento formidabile: il Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW). Come gruppo di lavoro di promozione della pace dell’Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE), insieme al Consiglio direttivo dell’AIE, abbiamo scritto una lettera aperta nella quale esortiamo il Governo italiano a garantire la propria presenza alla prima riunione internazionale sul TPNW, che si svolgerà a Vienna dal 21 al 23 giugno 2022, con il fine ultimo di firmare e ratificare il trattato . Scienza in rete ha pubblicato un podcast che illustra nel dettaglio le ragioni e gli obiettivi dell’iniziativa. Confido sul fatto che questa lettera aperta incontri l’interesse, l’approvazione e il sostegno attivo anche di Paolo Vineis e di chi non trova convincenti le mie argomentazioni sugli altri punti affrontati in questo commento.
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*Paolo Vineis
È professore ordinario di Epidemiologia Ambientale presso l’Imperial College di Londra e responsabile dell’Unità di Epidemiologia Molecolare ed Esposomica presso l’Italian Institute for Genomic Medicine – IIGM (Torino). Svolge ricerca nel campo dell’epidemiologia molecolare e le sue attività più recenti si concentrano sull’analisi di biomarcatori di rischio di malattia, su esposizioni complesse e su marcatori intermedi derivati dall’uso di piattaforme omiche in ampi studi epidemiologici. Tra le sue attività si annoverano anche ricerche sull’effetto del cambiamento climatico sulle malattie non trasmissibili in Bangladesh. È coordinatore di due grandi progetti finanziati dalla Commissione europea: Exposomics (sugli effetti molecolari dell’inquinamento atmosferico) e Lifepath (H2020, su disuguaglianze socioeconomiche ed invecchiamento), entrambi basati sull’utilizzo di tecnologie omiche; è inoltre coordinatore o co-investigator in altri progetti internazionali. Ha al suo attivo più di 950 pubblicazioni su riviste come Nature, Science, Lancet e Lancet Oncology (H-index 121), nonché autore del libro : “Health without Borders. Epidemics in the Era of Globalization” (Springer ed, 2017).
Per la Pace in Ucraina e nel Mondo. Nulla di intentato!
Dalla chat whatsapp del Patto per la Sardegna, riportiamo due contributi al dibattito sulla Pace in Ucraina e nel Mondo che riteniamo di generale interesse
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[Angelo] Cari amici,
mentre sono chiuso a casa per via del Covid, rifletto sulle posizioni sull’ Ucraina: armi si, armi no, disarmo incondizionato, responsabilità della NATO, manifestazioni pacifiste, raccolta firme a sostegno del disarmo ecc. Devo confessare di essere abbastanza frastornato e confuso (e non solo per il Covid) a differenza di molti di voi che (beati voi) avete solo certezze ed abbondanza di iniziative conseguenti. Si afferma che le armi portano solo ulteriori morti e si invitano i contendenti ad una pace immediata che mi pare al momento assai poco verosimile anche col generoso sostegno di alcuni di noi.
Mi chiedo, al di là delle belle parole, che alternative concrete diamo al Popolo Ucraino, brutalmente e pretestualmente invaso: senza le “nostre” armi potrebbe certo arrendersi, ma a quali condizioni e con quali perdite di vite umane e di territori (la vicenda israelo-palestinese dovrebbe quanto meno farci riflettere) e poi, in ogni caso, è una decisione che spetta a loro, a noi nel caso resterebbe il rimorso per un pacifismo sterile che non tiene conto delle vittime e che davanti alla violenta sopraffazione “ sta a guardare “ e quindi la incoraggia o tutt’ al più indice qualche marcia o conferenza.
Certo in un mondo ideale le armi andrebbero bandite e le dispute regolate presso organismi internazionali che, se ancora esistono, sono di fatto ostaggio di veti incrociati, vuotate di ogni potere. Ma il mondo non è (ancora) affatto ideale e pieno di tagliagole.
Putin dice che la Russia si sente minacciata dalla NATO, ma la corsa dei Paesi ex Patto di Varsavia verso la NATO, anche quelli tradizionalmente neutrali, dimostra invece che sono questi paesi a sentirsi minacciati dalla Russia e loro sanno, per passate esperienze, cosa questo voglia dire.
Su queste problematiche mi piacerebbe sentire altri punti di vista “non ideologici” ma liberi e non conformisti. Chiedo troppo ? Un caro saluto.
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[Franco] Caro Angelo e cari amici e compagni. Intanto auguri di pronta guarigione a Angelo, e grazie per le sue riflessioni che portano elementi al vivace dibattito in corso in molte sedi (tra cui le nostre chat, blog e pagine fb). Dico la mia. Credo che tutti noi dobbiamo concordare sull’obbiettivo di fondo, sulla finalità, cioè la Pace tra i popoli e la scelta di sostituire sempre le trattative e i negoziati alla guerra. Pertanto attuando per quanto poco possiamo e richiedendo che si attuino le indicazioni/prescrizioni delle vigenti Carte internazionali e ovviamente ridando spazio, vitalità, potere alle Nazioni Unite. Sappiamo tutti in quale stato di debolezza si trovano l’Onu e gli altri organismi mondiali di gestione della Terra. Il nostro impegno va quindi nella direzione di rafforzarli, anche se allo stato appare un’Utopia. Ma questa Utopia, io penso, sia quanto di più realistico oggi ci possa essere e per cui dobbiamo combattere, sapendo che siamo tornati maledettamente indietro rispetto al dopoguerra. Al riguardo io ho come riferimento il movimento Costituzione della Terra, fondato da Raniero La Valle, Luigi Ferrajoli e altri (https://www.costituenteterra.it). Sulla finalità che credo debba unificarci (credenti, non credenti e altrimenti credenti, come amiamo definire la nostra aggregazione) mi sembra utile riportare alcune considerazioni di Mario Capanna sul perseguire l’abolizione della guerra, facendone un tabù, come è riuscita a fare l’Umanità per tanti altri terribili comportamenti umani (cannibalismo, incesto, schiavitù, …). A mio parere Capanna, che comunque apprezzo nel bilanciamento complessivo della sua storia e personalità, non sempre dice cose condivisibili, ma in questo caso sì, anche perchè si muove nella linea di illustri pensatori e operatori di pace (Capitini, Dolci, Moravia, Cassola, Pasolini, Sciascia, Strada…, per citare solo intellettuali italiani) [rif. Capanna: https://www.radiondadurto.org/2022/05/11/mario-capanna-vicini-a-una-sorta-di-terza-guerra-mondiale-inviare-armi-significa-piu-morti/?fbclid=IwAR2DcOYVPGCww3ydsiqlUCkOKLiqTu7b2N0ZFebdMn-Uyl4Lkbn03CvMYlA] Veniamo invece alla vexata quaestio: gli ucraini si devono difendere, dunque armi sì o armi no? Io credo che gli ucraini debbano difendersi dalla brutale e ingiustificata aggressione russa, come già fanno, e per questo vanno aiutati. Ma come? Con l’invio di armi, le più efficaci, sofisticate, micidiali possibili, come sta facendo la Nato e come stanno facendo direttamente Usa, Gb, Turchia, e i diversi paesi UE? Comunque la pensiamo – io personalmente sono contrario all’invio di armi – davanti al proseguire della guerra con spaventose distruzioni, morti e feriti (soprattutto tra i civili) e al suo allargarsi, fino al possibile conflitto nucleare mondiale, occorre imporre, per quanto possibile il CESSATE IL FUOCO e costringere le parti da subito, anche in corso di combattimenti, a sedersi intorno a un Tavolo permanente per mettere fine al conflitto armato e accordarsi su intese pacifiche e sostenibili. Le parti quali? Presto detto: Russia e Ucraina, Usa, Ue, Cina e altre eventuali (Turchia) con la presenza dell’Onu. In realtà questo Tavolo, più o meno completo, già esiste, ma il confronto avviene molto sottobanco con evidenza pubblica solo di sparate defatigatorie e/o propagandiste. Occorre invece che il Tavolo sia il più possibile formale e visibile, con il massimo di impegno a valorizzarlo, attraverso il sostegno dei grandi (i presidenti in persona e il segretario generale Onu). Tutto questo va sostenuto in tutti i modi possibili e nelle diverse forme tradizionali e/o nuove: marce, appelli, raccolta di firme, sit-in, flash mob… Non lasciamo niente di intentato. Noi dobbiamo fare la nostra parte, per quanto piccola. Come sappiamo, da sempre, il popolo, i popoli nella stragrande maggioranza delle persone vogliono la PACE. I governanti si muovono con altre priorità (spesso, per non dire quasi sempre, non nobili e inconfessabili). Non possiamo nella gran parte dei casi delegittimarli, ma far sentire la nostra voce sì, perchè si muovano positivamente di conseguenza nell’interesse dei popoli che rappresentano. Per ultimo, per noi credenti, ma anche per quanti comunque lo vogliano: dobbiamo pregare per la PACE, pregare perchè gli uomini (l’Umanità) si ritrovino ad essere e comportarsi come fratelli e sorelle e chiedano a Dio di essere aiutati a salvare se stessi e la Terra. Così ci invita a fare anche Papa Francesco, di cui ammiriamo e sosteniamo l’alto magistero. Salute e saluti!
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo
e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)
Trad. it. di Aurelia Martelli
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Oggi lunedì 9 maggio 2022
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UNIONE EUROPEA: Romano Prodi, “Questa Europa indebolita dal sistema dell’unanimità” (Messaggero). Sergio Fabbrini, “Come uscire dalla trappola dell’unanimità” (Sole 24 ore). Enzo Moavero Milanesi, “L’Europa ritrovi lo slancio e la concretezza di Schuman” (Corriere della sera). Ferdinando Adornato, “Che cosa significa il 9 maggio per l’Europa” (Messaggero).
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Il mancato accordo dell’Europa sul VI pacchetto di sanzioni alla Russia
9 Maggio 2022
Fernando Codonesu su Democraziaoggi.
In un mio intervento sulle sanzioni dell’occidente alla Russia pubblicato il 14 aprile su questo blog sostenevo “Prima del 24 febbraio per comprare un dollaro si spendevano 76 rubli, un valore più o meno equivalente a quello osservato in tutto il 2021 …”, intendendo dire che l’effetto immediato delle sanzioni dell’Occidente […]
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Il Giorno della Vittoria e la perdita della memoria
9 Maggio 2022 su Democraziaoggi.
75 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, un evento quasi dimenticato nel mondo occidentale
di Guido Guerrini in […]
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L’OSSESSIONE DI PUTIN. L’UE E LA TRAPPOLA DELL’UNANIMITÀ. IL “FATTORE Z” NELLA POLITICA ITALIANA
8 Maggio 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
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Ostinatamente
ABOLIRE LA GUERRA UNICA SPERANZA PER L’UMANITÀ
Il discorso pronunciato da Gino Strada, chirurgo e fondatore di EMERGENCY, nel corso della cerimonia di consegna del “Right Livelihood Award 2015″, il “premio Nobel alternativo”
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Ostinatamente impegnati per la Pace in Ucraina e nel Mondo
COMMENTI
La maledizione di Ramstein
06-05-2022 – di Domenico Gallo su Volerelaluna.
Una maledizione grava sulla base NATO di Ramstein in Germania. Da quando il 28 agosto 1988 durante l’Airshow Flugtag ’88, nel corso di un’esibizione della pattuglia acrobatica italiana, si verificò una collisione fra i tre Aermacchi MB 339 delle frecce tricolori, uno dei quali cadde sulla folla causando 67 vittime e 346 feriti tra gli spettatori. Morirono anche i tre piloti, uno dei quali, il tenente colonnello Ivo Nutarelli, era un testimone chiave della strage di Ustica perché la sera del 27 giugno 1980 si trovava in volo sul Tirreno meridionale e aveva assistito alla battaglia aerea che aveva portato all’abbattimento del DC9 in volo da Bologna a Palermo. Il caso ha voluto togliere di mezzo un testimone, ma difficilmente si potevano ipotizzare circostanze più tragiche.
Dopo 34 anni la maledizione di Ramstein ha colpito di nuovo, ma questa volta le conseguenze sono imprevedibili ed enormemente più gravi. Il 26 aprile, su invito degli Stati Uniti, si sono incontrati nella base statunitense di Ramstein, i ministri della Difesa di 40 Paesi per un vertice straordinario sull’Ucraina. Non solo i paesi della NATO, ma anche, fra gli altri, Svezia, Finlandia, Australia, Nuova Zelanda. In apertura del summit il segretario della Difesa statunitense Lloyd Austin ha dichiarato: «Oggi siamo qui riuniti per aiutare l’Ucraina a vincere la battaglia contro la Russia. La battaglia di Kiev entrerà nei libri di storia. Ma ora dobbiamo capire di cosa ha bisogno l’Ucraina per combattere […]. Vogliamo rendere più difficile per la Russia minacciare i suoi vicini e indebolirla in questo senso». Quindi ha ribadito: «Vogliamo essere sicuri che non abbiano più le capacità per bullizzare i loro vicini, quelle che avevano prima che iniziasse il conflitto in Ucraina». Austin, inoltre, ha paragonato la resistenza del popolo ucraino contro i russi a quella degli europei e degli americani contro i nazisti, aggiungendo che proprio quella resistenza «ha ispirato tutto il mondo libero, e ha portato grande determinazione alla NATO e gloria all’Ucraina».
A Ramstein è stata stipulata una sorta di Santa Alleanza dei paesi dell’Occidente con l’obiettivo di fornire una poderosa assistenza militare in grado di consentire all’Ucraina di sconfiggere la Russia e di metterla in condizione di non nuocere per il futuro, costi quel che costi in termini di distruzioni e morti. Contemporaneamente il Presidente Biden ha annunciato lo stanziamento di 20 miliardi di dollari in armamenti, mentre il premier inglese Boris Johnson ha incoraggiato l’Ucraina a esportare la guerra in Russia, dichiarando di considerare «interamente legittimo» l’uso da parte ucraina di armi fornite dal Regno Unito per prendere di mira obiettivi all’interno del territorio della Russia. Poiché la sconfitta di una superpotenza militare come la Russia non è una cosa facile, il segretario della NATO Stoltenberg ha dichiarato al summit della Gioventù della NATO, il 28 aprile, che «questa guerra potrebbe trascinarsi e prolungarsi per mesi o anni».
A questo punto è ormai innegabile che la guerra in corso non è più solo un conflitto fra Russia e Ucraina, ma si è trasformata in una guerra per procura di USA, GB e NATO contro la Russia e che l’obiettivo non è un negoziato con concessioni reciproche per porre fine alla guerra, ma la sconfitta militare della Russia. Cosa intende Kiev per sconfitta della Russia ce lo dice Kirill Budanov, capo del Kgb ucraino, citato da Domenico Quirico (La stampa del 5 maggio): «la disintegrazione della Russia o la rimozione di Putin con una sopravvivenza relativa della Russia».
In un intervista pubblicata dal Corriere della Sera del 1° maggio l’economista americano Jeffrey Sachs, docente della Columbia University, ha dichiarato: «La mia ipotesi è che gli Stati Uniti siano più riluttanti della Russia a una pace negoziata. La Russia vuole un’Ucraina neutrale e l’accesso ai suoi mercati e risorse. Alcuni di questi obiettivi sono inaccettabili ma sono comunque chiari. Gli Stati Uniti e l’Ucraina invece non hanno mai dichiarato i loro termini per trattare. Gli Stati Uniti vogliono un’Ucraina nel campo euro-americano in termini militari, politici ed economici. Qui è la ragione principale di questa guerra. Gli Stati Uniti non hanno mai dato un segno di compromesso né prima che la guerra scoppiasse né dopo. […] Quando Zelensky ha lanciato l’idea della neutralità, l’Amministrazione americana ha mantenuto un silenzio di tomba. Ogni giorno setaccio i media per trovare almeno un caso di un esponente statunitense che approvi l’obiettivo di negoziare un accordo. Non ho visto una sola dichiarazione». Purtroppo più si alza il tono dello scontro e più cresce il rischio di estensione del conflitto, che si avvita in una spirale di violenza della quale non è possibile prevedere l’esito. Nell’intervista citata Jeffrey Sachs mette il dito nella piaga: «Il grande errore è credere che la NATO sconfiggerà la Russia, tipica arroganza e miopia americana. Difficile capire cosa significhi sconfiggere la Russia dato che Vladimir Putin controlla migliaia di testate nucleari. I politici americani hanno un desiderio di morte? Conosco bene il mio paese, i leader sono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino. Meglio fare la pace che distruggere l’Ucraina in nome della sconfitta di Putin».
Dopo Ramstein ci troviamo di fronte a una svolta della guerra e forse della storia. La Santa Alleanza ci porta dritti all’inferno. Per favore niente vittoria, preferiamo la pace!
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CONTROCANTO
Fermiamo i padroni della Terra!
05-05-2022 – di Tomaso Montanari su Volerelaluna.
«Padroni della Terra, / vi scrivo queste righe / che forse leggerete / se tempo avrete mai. […] / Lontano me ne andrò; / sul mare e sulla terra, / per dire no alla guerra / a quelli che vedrò. / E li convincerò / che c’è un nemico solo: / la fame che nel mondo / ha gente come noi». È così che, nel 1962, Luigi Tenco traduce la canzone di Boris Vian dedicata al disertore. La versione originale, cui è fedele la traduzione più recente di Ivano Fossati, si indirizza a un «signor presidente». Ma la versione di Tenco è, purtroppo, ancor più aderente alla realtà di oggi: «Padroni della terra».
Già, perché questa guerra che le nostre democrazie occidentali dicono di stare combattendo – per procura, «fino all’ultimo ucraino» – «in difesa della democrazia» è una guerra di padroni, di potenti. Gli stessi che distruggono il clima e condannano a morte il pianeta.
Il capo del governo dei migliori ci ha detto che siamo entrati in una economia di guerra. Bontà sua, che ce l’ha detto. Che siamo entrati in guerra con la Russia, quello no, non ce l’ha detto.
E il Parlamento? Siamo sull’orlo dell’olocausto nucleare, e la nostra Repubblica – che dovrebbe ripudiare la guerra, e cedere sovranità solo in condizioni di parità e per costruire giustizia e pace – è una delle potenze che corrono verso la guerra atomica. Ma il Parlamento non ne discute, il Governo non parla alla nazione: ci dicono che siamo in guerra per la democrazia: ma dov’è la nostra democrazia?
Il papa ha chiesto a tutti noi, di qualunque fede siamo, di continuare a «manifestare che la pace è possibile». E ha supplicato: «I leader politici, per favore, ascoltino la voce della gente, che vuole la pace, non una escalation del conflitto». Ma chi ascolta, nelle nostre famose democrazie, la voce della gente? I padroni della terra decidono, la povera gente muore. Gli ucraini, invasi da un despota sanguinario. I soldati russi, mandati al macello da quel despota.
È sempre stato così, lo sappiamo, in ogni guerra. «Il potere di aprire e far cessare le ostilità è esclusivamente nelle mani di coloro che non combattono», ha scritto Simone Weil. E Trilussa, nella sua Ninna nanna del 1914, ci diceva già che: «domani / rivedremo li sovrani (i padroni della terra: Biden, Putin, ndr) / che se scambieno la stima, / boni amici come prima. / E riuniti fra de loro / senza l’ombra d’un rimorso, / ce faranno un ber discorso / su la Pace e sul Lavoro / pe quer popolo cojone / risparmiato dar cannone!». Ma oggi ci chiediamo: ci sarà un domani? Qualcuno sarà risparmiato?
Tra potenze nucleari non ci sono guerre giuste: perché non ci possono essere vincitori, solo macerie radioattive. E nessuno a piantarci una bandiera sopra.
Nel 1965, don Lorenzo Milani scriveva (nel suo discorso in difesa dell’obiezione di coscienza) che, di fronte alla minaccia nucleare, «la guerra difensiva non esiste più. Allora non esiste più una “guerra giusta” né per la Chiesa né per la Costituzione». E, nel 2020, papa Francesco dice, in Fratelli tutti, che di fronte «allo sviluppo delle armi atomiche, chimiche, biologiche, […] non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”».
Noi diciamo: l’unica guerra giusta è quella che non si fa. Fermatevi! Oggi, tutti noi gridiamo ai pochi maschi, anziani e ricchi, che sono padroni della terra: fermatevi! Non siamo organizzati, non abbiamo rappresentanza, non abbiamo democrazia: ma sappiamo di essere l’intera umanità.
Ricordate il film Don’t look up? I potenti della terra ci dicono che la cometa non arriverà: ma è già sopra di noi. E quella cometa è la guerra atomica. Fermiamo i padroni della terra, i signori della guerra! Fermiamoli, finché è possibile.
Intervento letto all’iniziativa “Pace Proibita” promossa da Michele Santoro il 2 maggio 2022 a Roma –
Ninna nanna di Trilussa contro la guerra: https://www.youtube.com/watch?v=TUb37MlJw9A&ab_channel=Rai
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La soluzione non è militare, ma solo politica
Giulio Marcon
4 Maggio 2022 | Sezione: Editoriale, Politica su Sbilanciamoci!
Si continua a pensare – nei circoli occidentali – che la soluzione alla guerra in corso sia militare (la sconfitta sul campo di Putin), mentre può essere solo politica: intanto la ricerca di un accordo per il “cessate il fuoco”. L’invio delle armi invece prolunga la guerra e rischia di estenderla e di renderla più […]
Ci stiamo avvicinando alla fine del terzo mese di guerra e le cose in questo periodo non hanno fatto che peggiorare. All’intensificazione criminale della aggressione di Putin ha corrisposto un demenziale atteggiamento dei paesi occidentali e della NATO tutto rivolto a conseguire la “vittoria militare” sull’aggressore piuttosto che a raggiungere un “cessate il fuoco” per un compromesso accettabile da tutti.
Si continua a pensare – nei circoli occidentali – che la soluzione alla guerra in corso sia militare (la sconfitta sul campo di Putin), mentre può essere solo politica: la ricerca di un accordo per il “cessate il fuoco” sulla base del quale costruire le condizioni di una pace possibile che dia stabilità e sicurezza all’intera regione. L’invio delle armi invece non accelera la fine della guerra, ma la prolunga, rischia di estenderla e di renderla più feroce.
Ora, gran parte dell’opinione pubblica condivide queste preoccupazioni – come dimostrano alcuni recenti sondaggi – e vuole evitare l’aggravamento e l’estensione della guerra che porterebbe ulteriori sofferenze, distruzioni, perdita di vite umane. Come ricordiamo sempre, e come ha fatto Mauro Biani con l’illustrazione al nostro ebook I pacifisti e l’Ucraina, non si tratta di vincere la guerra, ma di vincere la pace. Con la logica della “guerra giusta” ci sarebbero (dopo 50 anni) ancora combattimenti a Cipro e (dopo 30) in Bosnia: forse gli accordi di pace che hanno messo fine a quelle guerre sono equi e soddisfacenti? Cipro (soprattutto) e la Bosnia Erzegovina sono ancora divise, come volevano gli aggressori, eppure abbiamo condiviso l’impegno a porre fine a quelle guerre e fermare gli eccidi. Meglio una pace ingiusta (gli accordi di pace non sono mai giusti, purtroppo) che una guerra classificata come giusta, ma che è solo un crimine, un massacro di povera gente.
Evitiamo la retorica e il delirio (militarista) di chi vorrebbe continuare la guerra sulla pelle degli altri. Troppi errori ha fatto l’occidente dopo la caduta del muro di Berlino, alimentando i nazionalismi (violenti) ad est, impedendo che si costruissero con il multilateralismo le condizioni di assetti delle relazioni internazionali fondati sulla sicurezza condivisa, alimentando la logica minacciosa delle alleanze militari e dell’unipolarismo.
Evitiamo l’ennesimo errore, che potrebbe essere fatale. La strada – difficile e impervia- è quella della ricerca del negoziato e di una soluzione politica. Quella militare, invece, ci porta verso il baratro.
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L’OSSESSIONE DI PUTIN. L’UE E LA TRAPPOLA DELL’UNANIMITÀ. IL “FATTORE Z” NELLA POLITICA ITALIANA
8 Maggio 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
Maurizio Molinari, “Biden-Draghi, un’agenda contro le autocrazie” (Repubblica). IL PUNTO SULLA GUERRA : Lucio Caracciolo mette a fuoco la sua analisi: “L’ossessione imperiale di Putin: evitare alla Russia la fine dell’Urss” (La Stampa). Ferdinando Nelli Feroci, “Putin ha fallito ed è più minaccioso. Ora potrebbe allargare il conflitto” (intervista a Qn). Francesca Mannocchi, “Controffensiva ucraina” (La Stampa). Il punto in due articoli di Giuseppe Sarcina: “Mosca: gli Usa sono in guerra” e “Fin dove si spingerà l’aiuto a Zelensky?” (Corriere della sera). Igor Volobuev (già dirigente di Gazprom): “Così fabbricavamo fake news agli ordini del Cremlino” (intervista a Repubblica). Jens Stoltenberg spiega perché “Gli alleati non accetteranno mai di dare la Crimea ai russi” (intervista tradotta da Repubblica). Sigmund Ginzberg, “Perché alla Cina non conviene la guerra di Putin” (Foglio). Nello Scavo, “La guerra affama il mondo. L’Onu: riaprite i porti. Putin risponde coi razzi su Odessa” (Avvenire). Andres Fogh Rasmussen (ex segretario Nato): “L’embargo al petrolio non basta. E’ il momento di colpire il gas” (intervista a La Stampa). Sergio Romano, “La neutralità mancata di Kiev e i troppi che sfruttano il conflitto” (Corriere della sera). L’utopia di Raniero La Valle: “Liberarci dal ‘warshow’ per poi salvare noi stessi” (Il Fatto). Alberto Melloni, “La pace prima della vittoria” (Repubblica) UNIONE EUROPEA: Romano Prodi, “Questa Europa indebolita dal sistema dell’unanimità” (Messaggero). Sergio Fabbrini, “Come uscire dalla trappola dell’unanimità” (Sole 24 ore). Enzo Moavero Milanesi, “L’Europa ritrovi lo slancio e la concretezza di Schuman” (Corriere della sera). Ferdinando Adornato, “Che cosa significa il 9 maggio per l’Europa” (Messaggero). ITALIA: Antonio Polito, “Il ‘fattore Z’ nella politica italiana” (Corriere della sera). Marcello Sorgi, “Gli sgambetti dell’avvocato del popolo” (La Stampa). Non così la pensano Eugenio Fatigante, “Il dibattito da non rinviare” (Avvenire) e Giovanni Valentini, “Conte, leader laico. 5 punti per vincere” (Il Fatto). Stefano Lepri, “Lo spread oltre quota 200 e il nodo dello scostamento” (La Stampa). INOLTRE: Giuliano Battiston, “Guerra talebana alle donne: burka o restate a casa” (Manifesto). Enrico Franceschini, “L’Irlanda riunita è più vicina ” (Repubblica).
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È possibile ripudiare la guerra? Solo una bella utopia?
GUERRA, sempre? PACE, mai?
Maria Paola Patuelli
20 aprile 2022 Democrazia costituzionale.
Poco dopo l’inizio della guerra, mi è stato chiesto di condurre un dialogo fra voci diverse. Chiesi di aprire con una mia personale riflessione dettata dalla cultura femminista che da tempo mi sta facendo rileggere la storia del mondo da un altro punto di vista, il più radicale da me trovato. Sono passate ormai settimane, la guerra continua in forme sempre più tragiche. Riprendo in mano gli appunti stesi in quell’occasione. Il mio addolorato spaesamento continua, e aggiungo considerazioni lunari. Meglio, lunatiche.
Un punto di vista non neutro, il mio, come il maschile che si presume universale. In genere si associa il neutro alla mancanza di estremi. La guerra è l’opposto del neutro, è un estremo, è torrida. E calda lo era anche nei decenni in cui fu definita fredda. Fredda per chi, poi? Per noi casualmente nati in Europa o negli USA. Fredda non lo fu in Corea, anche per molti giovani americani che vi lasciarono la vita. Non fu fredda nel Vietnam, una guerra che coinvolse le passioni di molte e molti giovani della mia generazione. Molti furono i fronti caldi, pure in un mondo che pareva regolato da un ordine bipolare chiaro. In quel tempo non avevo chiavi di lettura femministe. E mi collocavo nella parte che mi pareva la migliore.
Il neutro universale mi fa pensare, oggi, all’estremo abissale di una cultura maschile, radicata fin dall’inizio della storia umana. Spiegherò questo maschile nel corso della riflessione.
In apertura dell’incontro a più voci, sono partita da un libro del 1974, che fu per me di grande nutrimento, La storia. Uno scandalo che dura da diecimila anni, di Elsa Morante. Quale è lo scandalo? La guerra. Non a caso, pensai allora, quando comparve la parola di Gesù, fu considerata uno scandalo ribaltante, perché bandiva la guerra, considerata al tempo di Gesù naturale come la grandine. Fu messa in croce la predicazione della pace. Predicazione presto rimossa. E molte potenze cristiane, anche di cristianesimi fra loro diversi, nel passato e nel presente, guerreggiano. E’ naturale?
Come comincia il racconto di Elsa Morante? Con un soldato ubriaco che stupra una donna. Maschio casualmente tedesco, donna casualmente italiana.
Donne estranee alla guerra, fuori dalla storia per tempi immemorabili, estraniate. Volute fuori, estranee, perché impegnate doverosamente in altri compiti sociali. Ma tracce di estraniamento critico compaiono, quasi dal sen fuggite. Nell’Iliade, Cassandra, Ecuba, Andromaca, tragicamente estranee, lontane dal coraggio dei loro maschi, meglio morire da eroi che essere sconfitti. Simone Weil scrisse L’Iliade le poème de la force, opera fondativa dell’immaginario maschile occidentale ben più dei Vangeli. Omero vince su Gesù. Normale? Guerra, fra forza violenta e maschile piacere, brividi di piacere lungo la schiena, forti emozioni. Christa Woolf, comunista e femminista, in Cassandra fa esplodere il suo urlo femminista. Fossero così pacifiche le esplosioni causate dall’invenzione della polvere da sparo, che ha segnato la nostra storia non meno dell’invenzione della stampa, due invenzioni cinesi arrivate quasi simultaneamente in Europa. E tutto cambiò seppure non con la velocità del tempo presente. Per restare in Grecia, punto di partenza della nostra civiltà, Aristofane ci prende in giro, in Lisistrata, raccontando di donne stanche di guerra che minacciano lo sciopero del sesso. Evidentemente sotto traccia qualcosa ribolliva nel sentire delle donne ateniesi e non solo.
Faccio un salto di millenni, ma in mezzo c’è stata sempre la stessa musica, guerre, donne merce di scambio, stupri. Ed eroi coraggiosi, costi quel che costi.
Virginia Woolf, in Le tre Ghinee, denuncia in modo netto, indiscutibile, il legame fra sistema patriarcale, militarismo, regimi totalitari e il nesso stretto fra potere nella sfera pubblica e nella sfera privata.
Le sue parole.
Il modo migliore di aiutarvi a prevenire una guerra non è ripetere le vostre parole e i vostri metodi, ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi.
Io in quanto donna non ho patria. In quanto donna, la mia patria è il mondo intero.
Cara sorella Virginia, sorella non perché abbiamo lo stesso sesso, ma perché la pensiamo allo stesso modo. Le tue parole raggiungono, indietro nel tempo, il cosmopolitismo dell’ateo e materialista Democrito – a me fratello – e il radicale pacifismo del cristiano Erasmo da Rotterdam, che, prima che avesse inizio la rivoluzione luterana, scrisse Il Lamento della pace. Dove spiegò, con parole le più radicali, dopo quelle di fratello Francesco – del Duecento – che la guerra non è solo crudele. E’ inutile e stupida. Quello che sta ogni giorno dicendo Francesco, il Papa di oggi. Ascoltato da pacifisti, uomini e donne, quegli ingenui – ma dove vivono? – e da femministe. Ben diverso da Papi del passato, alcuni anche in armi, e da varie chiese, che benedivano armi amiche. Got Mit Uns. La riedizione di un Olimpo patriarcale, un Dio per ogni diverso esercito.
L’unico modo per spiegare la guerra, la vergogna umana per eccellenza, è porsi al di fuori, farsi, almeno per qualche istante, apolidi, guardare la terra dalla luna. Non è un caso, forse, se spesso le donne strane sono definite lunatiche. Virginia Woolf, lunatica, vide le divisioni all’interno dei movimenti pacifisti del suo tempo, e ne fu addolorata. Senza dimenticare che lei stessa fu vittima di guerra. Vedendo, da lontano, i bombardamenti sulla sua amata Londra, decise che al mondo non voleva più starci. E se ne andò.
Sia chiaro. Le donne non sono nate pacifiche e i maschi bellicosi. La spiegazione è nella storia, nella cultura. Disperazione e speranza. Speranza che non avremmo, se fosse faccenda di natura. Se i maschi fossero bellicosi per natura, nulla di buono vedremmo, come possibilità, davanti a noi. Le donne sono pacifiche per natura? Ci sono state regine, all’interno di una cultura patrircale pienamente accolta, che hanno esercitato il potere con guerre – anche donne capo di stato recenti – e, stando ai giorni nostri, vediamo donne che scelgono il mestiere delle armi, un esito della emancipazione che ben poco mi piace. In Irak abbiamo visto donne che partecipavano a torture per umiliare il nemico sconfitto. Arduo spiegare a un eventuale abitante della luna perché gli irakeni fossero nemici di nate e nati in Usa. Lessi, poi, che una di loro era, in quel momento, incinta. Naturale? Quando furono aperte alle donne le porte degli eserciti, non molto tempo fa, pensai che ogni porta chiusa viene prima o poi aperta. Ma cosa sperai? Che le donne dicessero, no, grazie. E invitassero i maschi a fare altrettanto.
Rientro lentamente – in quanto lunatica -, e con fatica, nel mondo comune.
Le stesse analisi di Virginia Woolf le ho trovate in un libro recente di Giorgia Serughetti Il vento conservatore. La destra populista all’attacco della democrazia, uscito prima della guerra. Giorgia Serughetti indica le stesse connessioni: Dio, Patria, Famiglia, da Trump a Putin, passando per Salvini. Una vasta geopolitica. Tutta destra populista, una internazionale di destra, una ferita per me che ho alle spalle una gioventù dove l’internazionalismo era sicuramente di sinistra. O, almeno, così sentivo. La stessa analisi di Virginia in Le Tre Ghinee. La sacra alleanza, fra Putin e Kirill, il patriarca di tutte le Russie. Trono e altare. Vecchia storia. Nostalgia dell’Impero che fu, da riprendere, costi quel che costi. Femmine al loro posto e maschi al loro superiore posto. Minoranze sessuali? Che orrore! Ma c’è una matassa ancora più difficile da districare. Trump disse che non voleva più occuparsi delle disgrazie degli altri popoli. Biden, nello spazio di un mattino si ritira dall’Afganistan. Io, lunare, pensai. Cha abbiano capito che le guerre è inutile farle? Che sia diventato più saggio di Putin, che bombarda in Siria? La democrazia liberale fa un passo in avanti? Invece, cosa scopro, in questi giorni? Che l’Ucraina, martoriata, è stata riempita da tempo di armi occidentali, tantissime, e di ogni tipo. Perché? Che la Cia opera da tempo in Ucraina. Perché? Non ricordo chi, nel passato, disse. L’Orso russo è difficile da stanare dalla sua tana. Ma quando ne è uscito, ancora più difficile è farlo rientrare. Allora chiedo ai grandi esperti di mondo e di guerre. Siete impreparati, non fate bene il vostro mestiere, o vi piace proprio il mestiere della guerra? L’orso lo avete voluto stanare? E l’orso si è fatto stanare e intrappolare? Tutti molto bravi, non c’è che dire, i professionisti del potere e della guerra. Non dico della politica. Perché qui dall’alto, sulla Luna, dove mi trovo, non vedo la politica. Chissà dove si è nascosta. Così come vedo un’Europa che si restringe sempre più, come un tessuto lavato a temperature troppo altre, brucianti.
Io, lunare, pensavo che era la cultura dei diritti umani – la parte migliore della storia europea – che l’Est post sovietico voleva, non le armi e i servizi segreti occidentali. Di nuovo ha ragione Virginia. Se si resta dentro lo stesso schema non di gioco, ma di guerra, le dinamiche sono sempre le stesse. In Occidente, in Oriente, nelle democrazie liberali, nei regimi ancora comunisti (quali?) e post comunisti. Vanno inventate nuove idee, nuove parole, nuovi metodi. Che non trovo né nei filo Putin né nei filo Zelenski. Né a Ovest, né a Est.
Sono equidistante? No, sono sulla Luna.
Femministe, donne e uomini pacifisti hanno manifestato, correndo grande pericolo, contro la guerra, a Pietroburgo, a Mosca. Giorgia Serughetti ha recentemente ricordato le attiviste russe della Feminist anti-war resistans. Generazioni, generi e culture plurali, inedite, si affacciano all’orizzonte. Qui mi ritrovo non più lunare. In un mondo che ancora non c’è.
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo
e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)
Trad. it. di Aurelia Martelli
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Fermare la guerra oggi per abolirla domani
Fermare la guerra oggi per abolirla domani
di Fulvio De Giorgi
8 Aprile 2022 by c3dem_admin | su C3dem.
D’intesa con l’autore e con la direzione di “Appunti di cultura e politica”, rivista edita dall’associazione Città dell’uomo, anticipiamo questa riflessione sul drammatico problema della guerra in Ucraina. Il testo uscirà in seguito come editoriale del fascicolo n. 2/2022 della rivista.
Si tratta di un testo che merita di essere discusso per la ricchezza dei riferimenti, dell’argomentazione e del pathos che lo pervade (di schietta tensione cristiana). La tesi che sostiene è, insieme, impolitica e densa di una politicità tutta da pensare e da costruire
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Che succede?
LE ARMI, FRANCESCO E LE SCELTE DEL GOVERNO
29 Marzo 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem
Che succede?
una Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola
Newsletter n. 66 del 5 marzo 2022
TRATTARE, TRATTARE, TRATTARE
Care amiche ed amici,
«È un dovere della comunità internazionale fermare la guerra a qualunque costo. La sola cosa che conta è la cessazione del fuoco e della strage degli innocenti. È necessario trattare, trattare, trattare per giungere alla pace. Oggetto di questa trattativa non può non essere l’assicurazione che l’Ucraina non entrerà nella NATO, la cessazione delle sanzioni economiche, l’accettazione della Crimea russa e, nel rispetto del diritto dei popoli all’autodeterminazione, il riconoscimento, sulla base di un voto popolare, dell’autonomia delle piccole regioni secessioniste russofone o russofile.
Il dovere di trattare è in questo caso assolutamente urgente, anche perché la guerra può degenerare e allargarsi all’intera Europa. Non dimentichiamo che chi ha iniziato a sparare è un autocrate che dispone di armamenti nucleari, e che proprio l’insensatezza imprevedibile e imprevista della sua iniziativa, rende possibili gli scenari più spaventosi di una possibile terza guerra mondiale. I soggetti e la sede della trattativa devono essere anzitutto gli organi dell’ONU che hanno come compito istituzionale di garantire la pace e fronteggiare le minacce di guerra: dunque l’Assemblea generale e, soprattutto, il Consiglio di Sicurezza. Il dovere di questa iniziativa ricade su tutti gli Stati direttamente coinvolti nella crisi. L’Italia stessa potrebbe proporre l’avvio di questa trattativa.
Costituente Terra vede in questa guerra, dopo la pandemia, l’ennesima drammatica conferma della necessità che a sfide e a catastrofi globali vengano date risposte politiche globali alla loro altezza: la rifondazione del patto di convivenza pacifica che fu stipulato con la Carta dell’ONU, e poi con le tante Carte dei diritti umani, attraverso la stipulazione di una Costituzione della Terra che, oltre ad affrontare i problemi del riscaldamento globale e della crescita delle diseguaglianze, metta al bando le armi e gli eserciti. Naturalmente non ci illudiamo che la ragione prevalga fino a questo punto. Ci auguriamo tuttavia, considerato che il mondo si trova già sul baratro di una terza guerra mondiale, che venga quanto meno sottoscritto da tutti il Trattato sul disarmo nucleare del 7 luglio 2017, votato da ben 122 Paesi, cioè dai due terzi dei membri dell’ONU, il quale fa divieto di “sviluppare, testare, produrre, acquisire o possedere armi nucleari”, nonché di trasferirle a qualsiasi destinatario e perfino di “consentire qualsiasi dislocazione, istallazione o diffusione di armi nucleari sul proprio territorio”. Sarebbe un primo passo verso la convivenza pacifica e civile dell’umanità».
Questo è l’appello diffuso oggi da “Costituente Terra” alla manifestazione per la pace di Roma.
Nel sito pubblichiamo un articolo di Jonathan Ng Truthout sul tripudio delle industrie delle armi per le guerre in corso, un articolo di Domenico Gallo contro la partecipazione dell’Italia alla guerra mediante l’invio di armi, un articolo di Rafael Poch sui morti lasciati sul terreno da tutti gli Imperi in declino e la relazione “Guerra e Costituzione” tenuta giovedì 3 marzo al Comitato direttivo di “Costituente Terra” dal suo presidente Raniero La Valle.
Con i più cordiali saluti
www.costituenteterra.it
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Newsletter n. 251 del 5 marzo 2022
I “SE” ED I “MA” DELLA GUERRA
Carissimi,
l’invasione russa dell’Ucraina ha suscitato una condanna senza se e senza ma, cosa giustissima perché come aveva detto Giovanni XXIII nella “Pacem in Terris” è “fuori della ragione che in questa età, che si gloria della potenza atomica (vi atomica gloriatur), la guerra sia atta a risarcire i diritti violati”. E la Carta dell’ONU vieta l’uso della forza contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di qualsiasi Stato.
Ma se non per la guerra stessa, i “se” possono essere invocati riguardo ai suoi precedenti e i “ma” riguardo ai modi con cui ad essa si è risposto.
Riguardo ai precedenti è chiaro che non ci sarebbe stata guerra se non si fosse negata qualsiasi alternativa all’ingresso dell’Ucraina nella NATO. In effetti non erano in gioco gli interessi vitali di nessuno, perciò sarebbe bastato un accordo sulla sicurezza senza far entrare la NATO in Ucraina. Se poi questo era, come suonano le accuse, solo un pretesto colto da Putin per assecondare le sue pulsioni neoimperiali, sfogare la sua fobia antiamericana, ricostituire l’Unione Sovietica e restaurare addirittura il millenario impero di Pietro il grande e di san Pietroburgo, allora perché non metterlo alla prova togliendogli tale pretesto?
D’altra parte gli Stati Uniti prima hanno spinto l’Ucraina fino alla linea del fuoco, e poi dichiarato che nemmeno un soldato americano sarebbe andato sul suo suolo per difenderla nella guerra da loro provocata.
In tal modo l’Ucraina è stata presa dagli uni e dagli altri come vittima sacrificale, e come spesso accade con la vittima sacrificale, almeno secondo l’analisi di René Girard (fatta eccezione di Gesù che ne ha smascherato il meccanismo) l’Ucraina stessa ha provocato il suo sacrificio attraverso un’insensata e letale politica di intransigenza.
Riguardo alle risposte alla crisi, alla Russia sono state irrogate sanzioni capaci di provocare al suo popolo il massimo dolore, di metterla fuori del sistema monetario e del commercio mondiale, e in sintesi di precipitarla nella condizione di paria. Tutto ciò letteralmente annunciato da Biden, e poi fatto proprio dal corteggio dell’Europa e di tutto l’Occidente.
Ora, a parte l’efficacia e l’autolesionismo di queste sanzioni, sottrarre a qualcuno l’uso del denaro e del commercio può sembrare una misura non militare e moderna, ma è in realtà una misura apocalittica ed antica. Nell’apocalisse di Giovanni si descrive infatti la guerra finale nella quale la bestia che raffigura i poteri mondani mette sulle mani e sulla fronte di tutti, “piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi” un marchio che per così dire li accredita, in modo che nessuno che non abbia tale marchio possa “comprare e vendere”, cioè possa vivere. Dunque se la guerra è una realtà apocalittica, la messa al bando e l’esclusione dal circuito del denaro è l’altra faccia della violenza apocalittica. Il messaggio che in tal modo era mandato alla Russia, insieme alla cacciata dal Consiglio d’Europa, dalle competizione sportive e tutto il resto era che la Russia deve sparire dalla faccia della terra.
In tal modo si è fatto il tragico errore di non lasciare a Putin, preso per pazzo e come nemico assoluto, altra via d’uscita che la guerra.
È un miracolo che di azione in reazione non si sia arrivati alla guerra nucleare, ma tutto ciò dimostra la catastroficità della politica e dell’attuale ordine globale del mondo che ci hanno portato fin qui. È tutto questo che dobbiamo cambiare.
Nel sito pubblichiamo le parole del Papa all’Angelus, con la citazione dell’art.11 della Costituzione italiana, e un lungo articolo sul tripudio delle industrie delle armi per il dilagare delle guerre e la distruzione dei popoli in corso.
Con i più cordiali saluti
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L’ITALIA RIPUDIA LA GUERRA, L’ITALIA SPOSA LA TERRA
5 MARZO 2022 / COSTITUENTE TERRA / LA CONVERSIONE DEL PENSIERO /
RELAZIONE DEL PRESIDENTE
AL COMITATO DIRETTIVO DI “COSTITUENTE TERRA” SUL CONFLITTO IN UCRAINA
Pubblichiamo la relazione sul conflitto in Ucraina tenuta il 3 marzo 2022 da Raniero La Valle al Comitato Direttivo di “Costituente Terra” dal titolo “Guerra e Costituzioni”
NOI ABBIAMO SBAGLIATO quando prendendo posizione nelle newsletter e nei nostri siti non abbiamo creduto alla guerra che ogni giorno i dirigenti politici e la stampa di tutto il mondo davano per imminente o già iniziata. La domenica davano la guerra per martedì, come se avessero fretta di vedere confermate le proprie previsioni.
NOI ABBIAMO SBAGLIATO e ce ne scusiamo con coloro che abbiamo criticato e deplorato.
Abbiamo sbagliato perché ritenevamo inverosimile che la Russia, conoscendo la protervia dei propri antagonisti, avrebbe assunto il rischio di provocare una guerra che poteva degenerare in una guerra mondiale.
Abbiamo sbagliato nonostante che tutte le motivazioni della guerra fossero già note, e non perché questa notitia criminis fosse ossessivamente amplificata dai Servizi segreti, ma perché bastava leggere i giornali.
Né esiste per noi l’alibi che la politica internazionale sia di difficile interpretazione. Lo aveva detto proprio Putin nella lunga intervista del 2015 al regista americano Olivier Stone: “la logica che guida le dinamiche del mondo sono sotto gli occhi di tutti. Non è necessario accedere a documenti segreti. Se la gente seguisse regolarmente quanto succede nel mondo – aveva aggiunto – non sarebbe facile manipolarla e confonderla”.
E poiché i giornali, e non solo, hanno personalizzato questa guerra facendone la guerra di Putin, additandolo come il nuovo Hitler, sarebbe bastato tenere conto della psicologia di Putin per sapere come si sarebbe comportato. Lui stesso l’aveva rivelato in quell’intervista a Olivier Stone, quando aveva raccontato la storia del topo. Aveva detto che quando era ragazzo aveva attaccato un topo con un bastone, e quello aveva cercato di saltargli addosso. Allora lui era scappato, e benché fosse piccolo correva più veloce del topo. Allora scese la scale, il pianerottolo e ancora scale. E il topo cosa fece? Saltò dritto da una rampa di scale all’altra. L’aveva fatto proprio arrabbiare, commentò Stone. Ma la morale che lui ne ha tratto è che non bisogna mai intrappolare un topo in un angolo. Ed è esattamente – ha detto Putin – quello che avevo fatto io. Ed ha concluso: nessuno deve essere messo all’angolo. Nessuno deve essere portato fino al punto in cui non ha più vie d’uscita.
Ora, nella valutazione di Putin la NATO, estendendosi fino comprendere l’Ucraina, aveva messo la Russia nell’angolo. I missili nucleari schierati in Ucraina sarebbero a 30 secondi da Mosca, e da Mosca l’Ucraina è considerata la porta di casa della Russia, e anzi la Russia stessa, così come da Washington l’America Latina è considerata il cortile di casa degli Stati Uniti, se non gli Stati Uniti stessi.
Con la NATO in Ucraina si sarebbe chiuso l’accerchiamento della Russia perché a Ovest la NATO si era già allargata inglobando la Romania, la Bulgaria, la Polonia, la Repubblica ceca, la Slovacchia, l’Ungheria, l’Albania, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, oltre naturalmente l’ex Germania dell’Est, Paesi tutti che erano stati membri del Patto di Varsavia; a Nord e ad Est incrociano poi le flotte nucleari, sottomarine e di superfice, dell’Oceano Artico e del Pacifico; solo a Sud il cerchio non si chiude. Lo ha fatto vedere nella trasmissione “Atlantide” Andrea Purgatori che aveva preso l’iniziativa di riproporre, sia pure con la precauzione di prenderne le dovute distanze, l’intervista di Putin a Stone, offrendo elementi di giudizio pur nel quadro dell’unanime condanna senza se e senza ma indirizzate alla Russia da tutta la classe politica e dalla stampa italiane.
Indubbiamente essa si merita questa condanna senza se e senza ma, condanna che non deve trovare eccezione per alcuna guerra, che in nessun modo può essere considerata giusta. Semplicemente la Russia di Putin non avrebbe dovuto ricorrere alla guerra per farsi giustizia da sé; è “fuori della ragione”, come aveva detto Giovanni XXIII nella “Pacem in Terris” (n. 67), che “in questa età, che si gloria della potenza atomica (vi atomica gloriatur), la guerra sia atta a risarcire i diritti violati”. Abbandonando il sistema di sicurezza collettiva e tornando al vecchio sistema della sicurezza degli uni al prezzo della rovina degli altri, la Russia è uscita dalla legalità internazionale. Come ha scritto subito Domenico Gallo “l’intervento militare della Russia contro l’Ucraina non costituisce un’azione legittima di difesa delle due Repubbliche del Donbass” (questa ne è stata solo la motivazione formale) “ma costituisce una violazione del divieto dell’uso della forza contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, interdetta dall’art. 2 comma 4 della Carta dell’ONU. Quali che siano le controversie tra gli Stati, e quali che siano le ragioni dell’uno o dell’altro, queste non possono essere risolte affidandosi al giudizio delle armi”.
Ma invadendo l’Ucraina Putin oltre che un crimine di diritto internazionale ha commesso un gravissimo errore, passando dalla parte del torto e cambiando nemico, non più identificato con la NATO ma divenuto l’Ucraina. Ma se la NATO era un nemico plausibile, non così l’Ucraina, ridotta dagli uni e dagli altri al rango di vittima.
La NATO non è una semplice entità politica, ma è una forza militare sovrana, Ferrajoli la chiamerebbe una persona artificiale, che ha infatti direttamente condotto la guerra contro la Jugoslavia a sostegno del Kossovo, riuscendo a disgregarla e distruggerla. È una cosa che ho vissuto personalmente quando, con una delegazione del “Ponte per” (l’antico “Ponte per Bagdad”) con cui mi ero recato a Belgrado per portarvi degli aiuti, siamo scampati per miracolo al bombardamento degli aerei della NATO la notte in cui distrussero la torre della televisione jugoslava (in tutte le guerre si distruggono le torri della TV) e investirono con i missili l’ambasciata cinese e l’albergo Jugoslavia che avevamo appena lasciato. Fu la povertà che allora ci salvò, perché avevamo trovato che l’albergo Jugoslavia era troppo caro per noi ed eravamo andati a dormire altrove. Ma la Russia non è la Jugoslavia e avrebbe meritato una diversa considerazione strategica, almeno nell’interesse dello stesso Occidente.
Ciò detto si deve però anche dire, contro l’opinione comune, che i “se” possono essere invocati riguardo ai precedenti e allo scoppio stesso della guerra, ed i “ma” riguardo a quanto ne è seguito e ai modi con cui ad essa si è dato risposta.
Quanto ai “se”, non ci sarebbe stata guerra se non si fosse negata qualsiasi alternativa all’ingresso dell’Ucraina nella NATO. In effetti non erano in gioco gli interessi vitali di nessuno, perciò sarebbe bastato un accordo sulla sicurezza senza far entrare la NATO in Ucraina. Se poi questo era, come suonano le accuse, solo un pretesto colto da Putin per assecondare le sue pulsioni neoimperiali, sfogare la sua fobia antiamericana, ricostituire l’Unione Sovietica e restaurare addirittura il millenario impero di Pietro il grande e di san Pietroburgo, allora perché non metterlo alla prova togliendogli tale pretesto?
Quanto ai “ma”, gli Stati Uniti prima hanno spinto l’Ucraina fino alla linea del fuoco, e poi dichiarato che nemmeno un soldato americano sarebbe andato sul suo suolo per difenderla nella guerra da loro provocata, come del resto era prevedibile già prima.
La decisione americana di non intervento è stata naturalmente giustissima sia per il rischio estremo di una guerra mondiale e addirittura nucleare che sarebbe stato provocato da uno scontro dei grandi eserciti nel cuore dell’Europa, sia per lo spettro delle precedenti guerre sbagliate e perdute.
Questo però ha fatto sì che l’Ucraina si sentisse tradita e abbandonata dal principale alleato e perciò in credito verso di esso, mentre nel contempo veniva attaccata dalla sua ex madrepatria da cui veniva usata come ultimo baluardo e messa alla prova della propria sicurezza.
In tal modo l’Ucraina è stata presa dagli uni e dagli altri come vittima sacrificale, e come spesso accade con la vittima sacrificale, almeno secondo l’analisi di René Girard (fatta eccezione di Gesù che ne ha smascherato il meccanismo) l’Ucraina stessa ha provocato il suo sacrificio attraverso l’insensata e letale politica della sua classe dirigente golpista.
Poi alla Russia sono state irrogate sanzioni capaci di provocare al suo popolo il massimo dolore, di metterla fuori del sistema monetario e del commercio mondiale, e in sintesi di precipitarla nella condizione di paria. Tutto ciò letteralmente annunciato da Biden, e poi fatto proprio dal corteggio dell’Europa e di tutto l’Occidente.
Ora, a parte l’efficacia e l’autolesionismo di queste sanzioni, sottrarre a qualcuno l’uso del denaro e del commercio può sembrare una misura non bellicosa e moderna, ma è in realtà una misura apocalittica ed antica. Nell’apocalisse di Giovanni si descrive infatti la guerra finale nella quale la bestia che raffigura i poteri mondani mette sulle mani e sulla fronte di tutti, “piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi” un marchio che per così dire li accredita, in modo che nessuno che non abbia tale marchio possa “comprare e vendere”, cioè possa vivere. Dunque se la guerra è una realtà apocalittica (si ricordi il film di Coppola sulla guerra del Vietnam, non a caso intitolato “Apocalypse now) la messa al bando e l’esclusione dal circuito del denaro è l’altra faccia della violenza apocalittica. Il messaggio che in tal modo era mandato alla Russia, insieme alla cacciata dal Consiglio d’Europa, dalle competizione sportive e tutto il resto era che la Russia deve sparire dalla faccia della terra, sicché non ci si può meravigliare che dalla Russia sia poi arrivato il messaggio uguale e contrario della messa in allerta dell’arma nucleare, monito però tanto poco plausibile che nessuno, a cominciare dal Pentagono, l’ha preso sul serio. [segue]
Che succede?
DAVID SASSOLI, ANCORA TESTIMONIANZE. QUIRINALE, LE TRAPPOLE
13 Gennaio 2022 su C3dem.
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È online Rocca ventiquattro/2021.
Radici cristiane?
di Mariano Borgognoni, direttore di Rocca.
Dove nasce quest’anno Gesù?
Dov’è il campo dei pastori? Dei reietti? Degli impuri? Forse lì, ai confini dell’umanità, nella foresta di Bialowieza o in cento altri muri del pianto dell’Europa ‘cristiana’.
Ricordate? Correvano gli anni intorno al 2000 e ci si accapigliava sul nominare o no le radici cristiane nella Costituzione europea, poi abortita. Quale migliore occasione per mostrarle oggi queste radici. Perché avere radici cristiane che non siano marcite non può che voler dire accoglienza, solidarietà, cura. Riconoscere Cristo nell’affamato, nell’assetato, nel profugo, nel bambino appoggiato tra i cespugli gocciolanti e in quello sepolto nel ventre caldo di questa rigida foresta patrimonio mondiale dell’umanità. Quale paradosso! Intendiamoci le lanterne verdi testimoniano che c’è ancora qualcosa di prezioso nel ‘gregge’ cristiano, un resto che veglia, che resiste alla ‘globalizzazione dell’indifferenza’. Ma ci vogliono pastori che, in questa notte, veglino. Fortunatamente almeno a Roma uno ce n’è, altrove si agitano crocefissi come randelli. Nella notte illuminata dalla luce artificiale dei blindati polacchi rischiano di morire i valori fondanti dell’Europa. Non solo quelli cristiani. Per essi bisogna ricondursi all’unico fondamento non negoziabile di cui ci parla il Natale: i poveri, gli anonimi, i dimenticati, i migranti sono il luogo da cui Dio riparte sempre. In loro rinasce sempre, spesso rimuore. E risorge non solo per assicurarci la vita eterna ma perché eterna non sia la sorte di chi è stato ferito dall’ingiustizia o dalla sciagura. Nessuna giustizia infatti potrebbe mai esserci passando sopra la sorte degli umiliati e degli offesi: estrema ed estremistica speranza contro ogni resa. Ripartire dall’autorità di coloro che soffrono, questa è la vera differenza cristiana, quella che è bene non sia assorbita nel tritasassi omologante del globalismo. Oserei dire che questo per i cristiani viene perfino prima della politica. Anche se la politica è decisiva: quella che accoglie in un modo solidale e intelligente e quella che sostiene la lotta contro il saccheggio della natura e delle risorse dei paesi poveri e contro le classi dirigenti corrotte e fellone che sovente li governano con l’appoggio delle potenze dominanti del mondo. Anche perché la possibilità e il diritto a rimanere sia l’altra faccia della disponibilità ad accogliere chi cerca altrove, come un tempo noi italiani a milioni, una speranza di vita e di futuro.
Chiudiamo quest’anno in un crescendo di segnali preoccupanti. I brani evangelici dell’Avvento sembrano scritti per noi anche se, purtroppo, hanno parlato al cuore di tutte le generazioni. Tornano a dirci di attendere, cioè fare ed aspettare. Saper attendere anche quando intorno a noi tutto sembra dirci che non c’è tempo per perdere tempo. Riprende la pandemia, con più della metà del mondo povero non vaccinato e bigfarma che accumula denaro nei suoi arsenali. Che ha da perdere dalla lunga durata dell’epidemia? Ma la politica? Dov’è la politica? Glasgow che non cava un ragno dal buco e i mutamenti climatici minacciano le condizioni di vita del Pianeta e con ogni evidenza indurranno migrazioni da far impallidire quelle attuali. L’agenda 2030 approvata dall’Onu giace quasi esanime mentre più dell’80% del fabbisogno energetico è ancora fondato sui combustibili fossili. La cosiddetta utopia sostenibile per ora lascia campo al business as ususal. Malgrado Greta e la sua generazione: altre lanterne verdi. E del nostro Paese che dire? Se si fa una riformina fiscale si cominci almeno dal basso, dai redditi del lavoro impoverito. Se vogliamo una società che non si sbricioli bisogna cambiare verso.
Ho fatto tre esempi, tra i tanti possibili di come vanno le cose. Mancano soggetti forti che organizzino la speranza e si battano per un paradigma economico, sociale e politico nuovo. Farsi prendere da un po’ di nostalgia è quasi comprensibile ma bisogna evitare quello che Bauman chiamava retrotopia, ricercare la soluzione nelle soluzioni del passato.
«Alzate la testa, perché la vostra liberazione è vicina». È una chiamata non solo a resistere e attendere quella speranza ultima e decisiva, ma ad assumerci la responsabilità che spetta a ognuno di noi. Se ciò che è ultimo non è nelle nostre mani, interamente in esse sono le cose penultime.
Noi siamo una rivista che non si è fatta mai cadere le braccia e siamo convinti che oggi più che mai ci sia bisogno di dare alimento ad un pensiero radicale e a un agire accorto e realistico. Tenere insieme questi due fili della radicalità e del realismo continuerà ad essere la nostra scommessa e il nostro impegno dopo questo intenso anno di rinnovamento. Nell’augurarvi, care lettrici e cari lettori, un buon Natale, continuiamo a contare sul vostro sostegno. E voi contate sulla nostra libertà.
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Sinodo
Chiesa e Sinodo: ora, è il momento di cambiare
30 Novembre 2021 by c3dem_admin | su C3dem.
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Documentazione: Evangelii gaudium
Evangelii gaudium
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CAPITOLO SECONDO
NELLA CRISI DELL’IMPEGNO COMUNITARIO
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