Risultato della ricerca: chimica verde
Non vogliamo le scorie nucleari in Sardegna
APPELLO AGLI INTELLETTUALI SARDI
La probabile scelta della Sardegna come sito e deposito nazionale della scorie nucleari pone inquietanti e drammatici interrogativi e problemi
La nostra Isola, per decenni è stata utilizzata come stazione di servizio per industrie nere e inquinanti che hanno devastato il territorio, inquinato l’ambiente e sconvolto antropologicamente la popolazione sarda. Senza peraltro apprezzabili “ritorni” dal punto di vista occupazionale ed economico, perché “Issos si pigant su ranu e a nois lassant sa palla”.
Ancora oggi è base e servitù militare per operazioni che niente hanno a che spartire con gli interessi e i bisogni dei Sardi: anzi, la loro presenza – che sequestra cospicue porzioni del nostro territorio, sottraendolo a usi civili e produttivi – inquina e minaccia la nostra vita e la nostra salute.
Aggiungere alla Sardegna una ulteriore servitù con il deposito di scorie nucleari sarebbe un colpo definitivo e in ogni caso mortale alla possibilità che l’Isola imbocchi la rotta della prosperità e del benessere attraverso uno sviluppo ecocompatibile, endogeno e identitario, che rompa finalmente con la spirale del sottosviluppo e del malessere.
Per questo invito gli intellettuali, gli scrittori, i giornalisti, gli artisti sardi liberi, perché si oppongano a questo disegno insano e ingiusto del Governo italiano, mobilitandosi e partecipando attivamente alle iniziative del Comitato no scorie e a tutte le lotte in grado di bloccarlo.
Francesco Casula
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GLI EDITORIALI PIU’ RECENTI
DISCORSO DELLA LUNA
di Antonio Dessì
Va bene. Sono laico (anche ateo, ma questo non c’entra: dipende soprattutto dal fatto che una volta morto non vorrei più rotture di palle in qualsivoglia Altromondo). Valuto la Chiesa cattolica secondo parametri storici e ne conosco i tanti errori, alcuni perduranti. Sono pacifista e nonviolento (questa seconda qualità l’ho acquisita, spero, definitivamente, anche se talvolta mi si mette fin troppo alla prova). JesuisCharlie quel tanto che basta per non apprezzare che Giuliano Ferrara apra dibattiti sull’Islam nella prima pagina di un quotidiano isolano. Ma quando Papa Bergoglio dice che se a uno gli cercano la madre è istintivo che reagisca quantomeno tirando un cazzotto in faccia a chi gliel’ha cercata, rilevo che ha tradotto perfettamente un tipico modo di pensare sardo. Forse glielo ha suggerito proprio la Madonna di Bonaria, patrona della Sardegna e madrina onomastica della capitale argentina. E mi è più simpatico lui dei saccentoni e dei teologi mediatici vari che stanno imperversando in queste ore. Almeno, che bisogna dichiarare guerra all’Islam, chiudere le moschee in Italia, cacciare gli immigrati dal Paese, lasciare che due imprudenti ragazze restino prigioniere di qualche predone fanatico, lui non lo ha detto e non lo pensa.
Anzi, mi è venuto da immaginare Papa Francesco affacciarsi alla finestra dell’Angelus e parafrasare il “Discorso della Luna” di Papa Giovanni XXIII: “Questa sera, quando tornate a casa vostra, date un cazzotto a Salvini. Ditegli che è il cazzotto del Papa!”.
Sulle restanti questioni politiche lascio il commento alle vignette. Parce sepultis.
Ad amiche e amici buon pomeriggio e fin d’ora buon week end.
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Prima e dopo Parigi. Siamo tutti chiamati in causa. Che fare?
di Vanni Tola
L’indignazione per gli atti terroristici compiuti a Parigi dall’estremismo islamico pone una serie di problemi e, tra questi la paura e la rabbia. Richiamano interrogativi inquietanti sul che fare da domani in poi per contrastare la violenza indiscriminata di coloro che, in nome di Dio, predicano e praticano l’eliminazione fisica di chi non la pensa come loro, degli infedeli. Ma è soprattutto la sfera privata di ciascuno di noi a essere chiamata in causa. Non basta indignarsi occorre agire, fare qualcosa, dare il nostro contributo di individui liberi, che vivono in regimi democratici, di componenti di Stati che direttamente o indirettamente hanno comunque grosse responsabilità nell’aver contribuito a generare le condizioni di ingiustizia, di diseguaglianza, di sottosviluppo economico e culturale che caratterizzano il nostro mondo. Torniamo alla sfera privata, personale. Che possiamo fare, qual è il nostro livello di conoscenza della realtà? Che cosa sappiamo dell’Iran e dell’Iraq? Quanti nomi di stati africani siamo in grado di ricordare senza l’aiuto di internet? A poche miglia dalle coste della Sicilia, in Libia, si sta materializzando uno stato islamico, un califfato, alle porte di casa nostra. Ma cos’è uno stato islamico? Esistono luoghi nei quali gli estremisti e integralisti mussulmani compiono azioni raccapriccianti e disumane. Anche l’occidente civilizzato ne ha compiute. Potremmo parlare a lungo dei bombardamenti al napalm in Vietnam, delle stragi in Palestina, dei bombardamenti in varie parti del mondo per “importare la democrazia”. Rimaniamo sull’attualità. Esistono luoghi geografici di quello che – in termini di comunicazione – McLuan definiva “villaggio globale”, del quale non sapremo indicare l’ubicazione neppure con una cartina geografica sotto il naso. Dov’è Maiduguri, capitale dello Stato di Borno? E Potiskum, principale centro economico dello Stato di Yobe, nella parte nord orientale della Nigeria? Cos’è Boko Haram, un profumo orientale, un piatto esotico o un gruppo fondamentalista sunnita che pratica il terrorismo per realizzare lo stato islamico in Africa con una strategia della tensione straordinariamente sanguinaria. Maiduguri e Posiskum sono le città nelle quali alcune giovanissime ragazze sono state costrette a diventare lo strumento di attentati tra la folla. Ragazze alle quali è stato collocato, sotto i vestiti, dell’esplosivo che doveva esplodere attivato da un telecomando. Bambina ridotte a brandelli umani insieme a tanti altri ignari passanti. Sono i luoghi nei quali oltre duecento studentesse vengono rapite in una scuola, colpevoli soltanto di frequentare appunto una scuola. Ragazze adolescenti costrette alla conversione all’Islam davanti ad una telecamera e destinate a essere vendute o donate ai miliziani combattenti come schiave sessuali o, peggio ancora, a essere utilizzate come “pacco bomba “ vivente per gli attentati. Sono ormai numerosi questi episodi, in Nigeria, quindi lontano dalle nostre case, secondo il nostro comune modo di intendere le vicende che non ci coinvolgono direttamente. Ma dopo le vicende di Parigi la prospettiva è cambiata. Nessuno potrà darci la certezza che episodi analoghi non possano accadere anche a casa nostra. Allora che possiamo fare? Non la guerra all’Islam predicata dalla “beata” Oriana Fallaci e prontamente sostenuta da inutili idioti di casa nostra. I nostri riferimenti ideologici, i nostri obiettivi devono essere l’istruzione, il confronto, l’integrazione, l’accoglienza, la lotta alla miseria e alle disuguaglianze che contrappongono a un mondo benestante e sprecone di beni e risorse l’indigenza di miliardi di persone. E quando parlo di istruzione, non mi riferisco soltanto all’istruzione degli altri, al diritto all’istruzione delle donne mussulmane. Parlo anche di noi, del nostro sistema di istruzione che attualmente non trasmette ai giovani le necessarie conoscenze per comprendere e interpretare l’attuale realtà geo-politica. Non sappiamo niente dell’Islam e della religione mussulmana, conosciamo poco delle vicende storiche che hanno condotto all’attuale divisione del mondo, ai conflitti in atto, alle contrapposizioni tra culture apparentemente diverse e lontane che magari hanno anche molti punti di vista comuni. Mandiamo le nostre truppe (e le nostre armi) in luoghi dei quali la maggior parti dei cittadini non conoscono neppure l’esistenza. “Siamo tutti Charlie”, bene. Ma non è soltanto una questione di vignette satiriche, non si tratta soltanto di difendere il sacrosanto diritto alla libertà di espressione e quindi anche di fare satira. Si tratta di cominciare a pensare a un nuovo mondo da costruire intorno ai valori del confronto, della tolleranza, della giustizia e della pace. Un compito immensamente difficile, certamente lungo e faticoso. Una scommessa affascinante per le giovani generazioni.
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Union sacrèe coi governi che attaccano i diritti?
di Andrea Pubusa, su Democraziaoggi
A Parigi domenica si sono riuniti quasi tutti i capi di governo responsabili dell’impoverimento generale dei popoli europei e insieme della insostenibile situazione delle masse del Medio Oriente e dell’Africa. Hanno capeggiato una grande manifestazione a difesa dei valori democratici dell’Occidente, mentre nei loro paesi e nell’UE, sotto la spinta del capitale finanziario, aggrediscono i diritti sociali, frutto delle Costituzioni nate dalla Resistenza al nazifascismo e delle lotte dei decenni successivi. Particolarmente visibile questo attacco sul fronte delle diseguagluanze, che prima si tendeva se non a colmare, almeno a temperare e da due decenni a questa parte hanno ripreso a crescere creando una forbice fra ricchi e poveri che ci riporta indietro più d’un secolo. Il punto di sfondamento è individuabile nel lavoro, il cui oggetto è ormai ridotto a mera merce, cancellando la soggettività, l’umanità di chi la produce, e dunque privando i lavoratori di qualsiasi diritto, anche di quello primario ad un salario che garantisca una vita libera e dignitosa, come dice la nostra Costituzione. Capeggiano questi signori la grande manifestazione in difesa delle libertà, ma disconosconoi la piena soggettività del lavoratore e riducono la massa a mera destinataria non solo dei poteri di governo, ma anche dell’informazione che dicono di voler difendere. Questa torna ad essere formalmente libera, ma nella sostanza è in mano a grandi potentati economici che formano un’opinione che distorce la realtà. Le leggi elettorali truffaldine, che limitano la rappresentanza fino a cancellarla, sono il risvolto di questa realtà a-democartica, dai Comuni al Parlamento. Capeggiano la manifestazione oceanica, ma calpestano la democrazia svuotandola di contenuto.
Quanto è accaduto in Afghanistan, in Irak e poi in Libia è il risvolto internazionale di questa politica. Invasioni violente, con massacri di massa, ammantate dalla missione impossibile di esportare la democrazia, in realtà espressione di una volontà aggressiva volta a far fuori governi, di cui spiace non tanto il carattere autocratico quanto la pretesa di gestione autonoma delle proprie risorse. Non è un caso che “il soccorso democratico” a suon di bombe è disposto solo in paesi ricchi di petrolio o in posizione strategica per il passaggio delle fonti energetiche. Le altre emergenze umanitarie sono dimenticate.
I capi di governo di Parigi sono dunque la faccia principale della dissoluzione dei valori democratici ch’essi hanno imposto a livello interno e internazionale.
La ricomposizione non può dunque passare cementando una union sacrée fra masse e questi capi di governo, così come non può nell’altro versante formarsi attorno a capi integralisti e fascistoidi, che sono specularmente l’altra faccia della medaglia. E’ nella convergenza fra la lotta per i diritti dei popoli europei e quella dei paesi dell’altra sponda mediterranea che può poggiare una ripresa di valori democratici e di civiltà. Ma chi organizza questo progetto? La scomparsa della sinistra in Europa, e, per quanto ci riguarda, in Italia, rende difficile persino pensare ad una lotta di questa portata. Ma da qui bisogna ripartire. Qualche indicazione positiva viene da Syriza in Grecia. Ma in giro di Tsipras non se ne vedono altri. C’è molto da lavorare.
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- Qualche spiegazione per la scelta dell’illustrazione nella pagina fb di Tonino Dessì, che ringraziamo per la riflessione e la ricerca che ci offre.
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Distrazioni di massa
di Omar Onnis, su SardegnaMondo
I fatti di Parigi del 7 gennaio scorso hanno scosso l’opinione pubblica anche in Sardegna, com’è inevitabile. Ed anche in Sardegna si è scatenato il delirio anti-islamico e anti-immigrazione. L’episodio sconcertante dell’assessore alla cultura di Bonorva, che lancia proclami di odio via FB, è solo un sintomo. È il sintomo della pessima selezione della nostra classe politica (caso mai avessimo bisogno di conferme) ed anche della facilità con cui è possibile manipolare la percezione delle cose e la stessa emotività di grandi masse di cittadini.
Davanti a fatti così tragici e così simbolici assumere un atteggiamento distaccato è difficile per chiunque. Nondimeno è indispensabile cercare di dipanare la matassa complessa del nostro presente per non farsene soffocare. E che il rischio sia di soffocare è evidente. Soprattutto in un luogo impoverito e indebolito come la Sardegna di oggi.
Nel nostro caso, infatti, la funzione distraente delle narrazioni tendenziose ha una forza e una portata amplificate. L’analfabetismo funzionale di massa, le aspettative decrescenti, la rabbia diffusa sono un materiale facilmente malleabile nelle mani di chi dispone di conoscenze, risorse e obiettivi solidi da perseguire. Sappiamo come va, è già successo. Ci hanno fatto accettare fatti, scelte, condizioni che nessuno, nel pieno possesso delle proprie facoltà, accetterebbe mai. Ma manipolare delle masse è più facile che persuadere una persona singola. Soprattutto quando mancano i riferimenti culturali, quando le formazioni intermedie non solo non fanno da filtro e da aggregatrici di interessi e obiettivi, ma sono sostanzialmente al servizio della nostra sottomissione.
Mentre molti sardi si lasciano trascinare nella ventata d’odio contro i musulmani o contro gli immigrati in generale, i sindacati rilanciano l’idea della chimica verde nel nord dell’isola e delle coltivazioni estensive di canne nel sud. La classe politica amplifica il ricatto occupazionale e, anziché mettersi di buona lena a cercare soluzioni, si mette a disposizione di avventurieri e affaristi per assecondarne i piani. La scuola muore, l’università è in declino (e non certo per colpa dello stato patrigno, o almeno non solo), l’emigrazione riprende a ritmi crescenti, l’inquinamento non diminuisce affatto, l’agricoltura è allo sbando, il mondo della cultura è completamente abbandonato a se stesso. Ammetto che a volte la reazione a tante lamentele si riduce a una domanda: ma voi chi avete votato fin qui? Ma chiaramente non la si può fare così semplice.
Occorre tenere ben desta l’attenzione sulle questioni cruciali, senza farsi distrarre dalle ombre proiettate per confondere le menti. Davanti all’intolleranza e alla violenza, servono maggiore inclusività e compresione. Non integrazionismo a tutti i costi, ma capacità di rispettare gli altri per quello che sono, fintanto che rimangono nei limiti della legalità e della convivenza pacifica al cui rispetto siamo tenuti tutti. Per combattere l’impoverimento culturale, la debolezza economica, la disoccupazione, non servono fughe in avanti fantasiose, ma proposte concrete, investimenti pubblici mirati e ben pianificati, servono maggior istruzione, maggiore conoscenza strutturata, maggior senso di responsabilità verso la sfera pubblica. Prima di tutto da parte della classe politica.
Chi grida contro i musulmani e nel mentre fa spartizioni di sottogoverno, o fa accordi con il Qatar, è un nemico molto più pericoloso di qualsiasi immigrato. In questa fase risultano dunque ancor più inutili, se non strumentali allo status quo, i discorsi di tipo etnocentrico, discriminatorio, nostalgico.
Non è l’immigrazione a costituire un rischio, specie in una terra lanciata verso un futuro prossimo di spopolamento. Non è nemmeno l’islam, in Sardegna largamente minoritario. Evocare a questo proposito la minaccia araba e saracena dei secoli passati è una sciocchezza dovuta non solo al razzismo ma anche all’ignoranza. Se è per quello, ci sono stati nella nostra storia momenti difficili in cui con l’islam i Sardi avevano raggiunto una tregua (e forse anche una alleanza), per esempio tra VIII e IX secolo. Sappiamo bene che qualsiasi problema creato nel corso del tempo dalle scorribande dei mori (spesso guidate da sardi, per altro) è niente in confronto ai guasti prodotti dalle classi dominanti di turno, compresa quella attuale.
La desertificazione culturale e l’ostinazione con cui la si persegue a livello politico non aiutano certo. Non è la cultura, a minacciarci, né la nostra né quella altrui. Caso mai la stupidità. Mi turba molto che in questi giorni in Sardegna vengano evocati maestri di pensiero equivoci come Oriana Fallaci o impresentabili cone Matteo Salvini. Abbiamo bisogno di questo? Di questo deve animarsi il nostro dibattito pubblico? Ricordiamoci che noi, prima di essere partecipi di un discorso razzista e di sopraffazione, ne siamo vittime. Questo dovrebbe esserci chiaro e dovrebbe anche insegnarci qualcosa.
Non c’è una sola ragione al mondo per cui la Sardegna debba essere una terra povera, spopolata e marginale. Se questa è la sua condizione, le cause sono storiche e storicamente determinabili. Se è vero che non esiste alcuna tara congenita, a spiegazione di questo stato di cose, non c’è però neanche una generica minaccia esterna ai nostri danni. Se pensassimo un po’ meno ai falsi bersagli additati da mass media e da gruppi di potere interessati e ci facessimo un bell’esame di coscienza quanto a ricerca di assistenzialismo, o di favori, quanto a noncuranza verso i nostri beni comuni, quanto a ignoranza di noi stessi, forse le cose per noi cambierebbero in meglio, senza bisogno di scomodare l’immigrazione, o l’islam, né Dio o chi per lui.
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L’importanza della luce quando siamo al buio
di Vanni Tola
“Se questo è un uomo”, già, se questo è un uomo. Come avrebbe commentato la strage di Parigi lo scrittore Primo Levi? Quali considerazioni avrebbe sviluppato sugli uomini che, in nome di Dio, hanno realizzato una strage di esseri umani per vendicare le offese al loro Profeta, realizzate con vignette satiriche? Se questo è un uomo. Come avrebbe descritto Primo Levi la barbarie di quei combattenti che, in nome della grandezza del loro Dio, hanno ripetutamente violato l’innocenza e l’integrità fisica di una bambina collocandole addosso un ordigno esplosivo per poi mandarla tra persone, anche esse innocenti, e farla esplodere come un pacco bomba, usando un telecomando? Che avranno pensato mentre, lontani dalla scena dell’attentato, la osservavano camminare verso i “nemici”? Che cosa le avranno raccontato per convincerla o indurla a recitare fino in fondo il terribile compito che le era stato assegnato? Che sensazioni avranno provato un attimo prima di attivare il comando elettronico che l’avrebbe ridotta in mille pezzi insieme a tante altre persone? E dopo, dopo, che sensazioni avranno provato? Si saranno sentiti eroi appagati per il loro eroico gesto o si saranno sentiti oppressi dal dubbio di aver compiuto una azione vigliacca quanto inutile e crudele? Non lo sapremo mai Primo Levi non c’è più. Nel cielo volano uccelli scuri, avvoltoi rapaci pronti a raccogliere brandelli di corpi innocenti per dare fiato ai loro propositi di guerre contro i diversi, guerre di “religione”, “guerre di civiltà”. Noi, i buoni, contro gli islamici, i cattivi. Niente di buono all’orizzonte. Dice una diciottenne Pakistana, il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, essa stessa vittima di un vile attentato degli estremisti islamici.
“Tutti ci rendiamo conto dell’importanza della luce quando ci troviamo al buio e tutti ci rendiamo conto dell’importanza della voce quando c`e il silenzio. Non odio neppure il Taliban che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano ed egli mi stesse davanti e stesse per spararmi, io non sparerei. Questa è la compassione che ho appreso da Mohamed, il profeta misericordioso, da Gesù Cristo e dal Buddha. Questo è il lascito che ho ricevuto da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non-violenza che ho appreso da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che la mia anima mi dice: siate in pace e amatevi l’un l’altro. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo. I libri e le matite sono la nostra arma più formidabile, quella che potrà farci vincere la miseria e conquistare la pace”.
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“In Europa, per non dire dell’Italia, in questo momento c’è una deficienza paurosa di personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c’è un’Europa in guerra, ci sono conflitti da disinnescare anche con le armi dell’intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo, difficile, faticoso. Ma non c’è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano proprio i terroristi” (Massimo Cacciari)
L’ambiguità delle piazze francesi
di Rossana Rossanda, su Sbilanciamoci.it
Non si possono portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista francese, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica
Le sole parole equilibrate nel diluvio di dichiarazioni di orrore e di angoscia anche della stampa italiana per l’assassinio dei disegnatori e del direttore di “Charlie Hebdo” le ha scritte Massimo Cacciari, riportando la questione alla sua dimensione temporale e politica. La grande emozione e protesta che ha subito riempito in modo spontaneo le piazze francesi non è mancata infatti di qualche ambiguità. Si è potuto manifestare legittimamente, e quasi accogliendo l’invito del presidente Holland, il rifiuto del fondamentalismo e la difesa della repubblica e il “no” ai problemi posti dalla grande immigrazione musulmana in Europa.
Facilitata in Francia dal troppo coltivato richiamo alla colonizzazione francese in Africa del Nord e nel Medio Oriente. Da molti decenni si è dimenticato che un accordo fra un alto funzionario inglese, Sykes, e uno francese, Picot, disegnò la spartizione dell’impero ottomano fra Francia e Gran Bretagna. La Gran Bretagna poi ha prevalso e ancora più recentemente hanno prevalso le politiche degli Stati Uniti. Ma le recenti scelte di Holland di intervento nel corno d’Africa e nell’Africa centrale hanno, senza volerlo, ripristinato l’immagine di una gloria coloniale che dà fiato a Marine Le Pen. Ugualmente le parole del presidente Holland subito dopo l’attentato, richiamando tutto il paese all’unità contro il terrorismo, sono parse legittimare la richiesta del Fronte nazionale di partecipare alla grande manifestazione ufficiale antifondamentalista di domenica prossima, che lo ha messo non poco in imbarazzo davanti allo slancio con il quale Marine Le Pen ha annunciato la sua partecipazione. Non si possono infatti portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica.
Lo slogan “Je suis Charlie” manifestava efficacemente un appoggio a un giornale niente affatto di grandissima diffusione, che in generale non fa complimenti al Fronte Nazionale. Si può del resto discutere di un tema già volgarizzato in Italia come l’immunità politica della satira, oggi difesa apparentemente da tutti. Le famose vignette danesi contro Maometto sono state amplificate da Charlie Hebdo in un’accentuazione dell’ateismo fin troppo augurabile ma da non identificare col disprezzo di tutti i credenti: “Nel cesso tutte le religioni”, aveva scritto e pubblicato in prima pagina quel giornale. Alla incapacità della sinistra di portare argomenti laici alla ribalta dell’opinione pubblica, e di rispondere al richiamo oggi esercitato specie da alcuni monoteismi e dal buddismo, sia pure assai diversi, ha corrisposto l’indulgenza a forme facili di caricatura, che sicuramente hanno offeso i milioni di musulmani in Europa. Basti pensare a quale accoglienza avrebbero avuto se quelle vignette si fossero nominativamente applicate a Gesù Cristo. Non penso che sia utile lasciare ai caricaturisti un compito che per loro natura, volendo irridere a tutte le fedi, non possono esercitare: è come se gettassero un fiammifero in un barile di benzina. È proprio la debolezza della sinistra del dopo il 1989 a produrre questa rinascita in forza delle religioni.
Per quanto riguarda quella musulmana, come non chiedersi perché il suo fondamentalismo – che pareva essere escluso da una organizzazione non piramidale delle sue chiese – sia scoppiato in queste forme mortifere, particolarmente oggi. Maometto esiste dal Settimo secolo e da allora in poi l’atteggiamento dell’impero ottomano, per esempio nei confronti degli ebrei, è stato di gran lunga più tollerante e tendente all’assimilazione di quello della chiesa cattolica, che ha voluto le crociate e lo ha investito di maledizioni e improperi, senza che questi portassero a nessuna Jihad, anzi, il famoso “feroce Saladino” era un interessante pacifista. L’estremismo dell’ammazzare tutti i non fedeli al profeta appartiene ai nostri giorni, ed è molto più serio cercarne le origini nelle forme coloniali e non coloniali adottate dall’Occidente che in un passo o l’altro del Corano.
Un fenomeno non meno importante riguarda il fascino che forme estreme di milizia, che arrivano fino al mettere in conto la propria morte per “martirio”, abbiano sui giovanissimi occidentali che raggiungono la Siria o altri luoghi dove possono arruolarsi con i maestri del fondamentalismo. La tanto conclamata fine delle ideologie sembra aver lasciato in piedi soltanto l’assolutismo di alcune minoranze musulmane, come appunto la Jihad e in modo particolare il recente Daesh, cioè lo Stato islamico rappresentato dal cosiddetto Califfato di al Baghdadi.
Da noi già appare la voglia di condannare i rappers che sembrano ispirarsene: errore dal quale bisognerà guardarsi. Insomma, il fascino dell’islamismo radicale corrisponde alla stupidità con la quale la cultura predominante in Occidente sembra trattare il bisogno di un “senso” non riducibile ai soldi che gli aspetti ideologici della globalizzazione hanno tentato di offuscare dalle parti nostre. Grande problema del nostro tempo che è inutile esorcizzare.
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- www.sbilanciamoci.it
- Leggi i commenti; qui ne riportiamo solo uno (di Salvatore Annunziata)
Io vivo in Francia e mi occupo di disagio giovanile ad Avignone. L’articolo di Rossana Rossanda lo considero come il frutto di una persona colta, molto sensibile che legge quanto sta accadendo in Francia da mercoledi scorso con lenti inadeguate. In effetti è verissimo che chi ha decimato la redazione di Charlie Hebdo (che qui è vissuto come il residuo più autentico del maggio ’68) e assalito il supermarcato kascher è il frutto del passato coloniale della Francia e del fatto che la Francia, in quanto sistema paese, non ha acora fatto i conti col proprio passato di potenza coloniale. Potremmo dire che la Francia rapresenta, dal almeno due secoli e forse più, il paradosso già incarnato dalla civilissima ed europeissima Atene di Pericle, vale a dire paladina delle libertà e della democrazia per quelli civilizzati e l’esclusione, la schiavitù, la carità, la messa sotto curatela per quanti (e quante) considerati barbari (i popoli colonizzati) o inferiori (le donne e i minori). Allo stesso tempo però mi sembra che la Rossanda dimentichi un piccolo particolare e cioè che qui in Francia la gente “normale”, come me e qualche milione di persone, rischia di ritrovarsi stretta tra dei fascisti barbuti che non mangiano prodotti derivati da carne di maiale, che abbinano ostracismo verso la musica ma utilizzano internet e i GPS e che si dicono veri seguaci del Profeta e degli altri fascisti per lo più bianchi, che loro invece lo mangiano e lo amano il maiale (al punto di portare in piazza delle teste – vere o finte poco importa – alle manifestazioni), che negano la shoah, che gridano “la France aux français”, che si battono contro l’islamisazione dell’Europa. In breve, se vogliamo utilizzare come paragone quello che è successo nelle terre della morta Federazione Yugoslavia, potremmo dire che qui rischaimo di ritrovarci circondati tra Ustacha e Cetnici.
La grossa sfida che ci attende tutti e tutte, non solo in Francia ma in tutti i paesi europei, è di dare nuova linfa alla democrazia, all’accolgienza, al rispetto dell’alterità propria e altrui. Insomma, ci tocca fare la messa a punto del nostro referenziale culturale avendo come bussola non delle ideologie scollegate dalla vita, dalla storia di ognuno di noi, bensi la dichiarazione universale dei diritti umani secondo cui, art.1, ogni essere umano nasce uguale in diginità e diritti. Ecco i valori che dobbiano, con qualunque mezzo coerente a quest’obiettivo, promuovere e difendere.
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Strage Charlie Hebdo, Cacciari: “Politica di accoglienza o avremo il conflitto in Europa”
di Rodolfo Sala su Repubblica.it
MILANO – “I fatti orrendi di Parigi dovrebbero imporre a tutti noi di ragionare alla grande, ma in questo clima sono in pochi a ragionare, soprattutto in Italia. Il livello del dibattito è deprimente”. Lo dice il filosofo Massimo Cacciari.
E quale sarebbe, professore, la prima riflessione da fare?
“Negli ultimi venti-trent’anni abbiamo vissuto tutti nell’illusione che la storia potesse in qualche modo cancellare la propria dimensione tragica. Che la nostra Penisola potesse restare fuori dalle trasformazioni epocali che hanno rivoluzionato la geopolitica e prodotto una serie di conflitti (Afghanistan, Iraq, la questione irrisolta dei rapporti tra Israele e palestinesi) che anche per colpa dell’Occidente restano pesantemente irrisolti”.
Risultato?
“Vedo un rischio terribile e concreto. Il rischio di una guerra civile in Europa. Mi spiego: dobbiamo tenere presente che nel 2050 la metà della popolazione del nostro continente sarà di origine extracomunitaria, quindi è impensabile ritenerci in guerra, noi europei, con l’altra parte, con il mondo islamico. Per questo dico che bisogna ragionare alla grande. Il problema è con chi”.
A che cosa allude?
“In Europa, per non dire dell’Italia, in questo momento c’è una deficienza paurosa di personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c’è un’Europa in guerra, ci sono conflitti da disinnescare anche con le armi dell’intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo, difficile, faticoso. Ma non c’è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano proprio i terroristi”.
Le armi dell’intelligenza, lei dice…
“Certo. Se durante il secondo conflitto mondiale ci fosse stato solo il generale Patton, e non anche la lungimiranza di leader come Churchill e Roosevelt, avrebbe vinto Hitler. Affontare il problema solo dal lato della semplice repressione non basta, non può bastare. Anche se questi islamisti hanno compiuto un indiscutibile salto di qualità”.
In che senso?
“Non siamo in presenza del kamikaze solitario, della bomba anonima. Le azioni come quella di Parigi sono programmate con una logica militare che punta, voglio ripeterlo, allo scontro di civiltà”.
Quindi?
“Fino a quando la nostra democrazia non dimostrerà di essere accogliente, e continuerà con le disuguaglianze, questo tipo di terrorismo troverà sempre terreno favorevole. Sullo scenario europeo, ora si pensa di far fuori la Grecia, mentre si allargano i confini dell’Unione alla Lituania: è pazzesco”.
Ma i toni salgono, Salvini dice che siamo in guerra…
“Una battuta che si commenta da sé, sotto il profilo culturale. Sarebbe un errore madornale additare nell’Islam il nemico, il modo per moltiplicare gli jihadisti”.
Aggiunge che il Papa non deve dialogare con l’Islam…
“Figuriamoci che cosa importa al Pontefice delle parole di Salvini. Che insieme alla Le Pen sta facendo di tutto per ostacolare il dialogo. Se si votasse domani la Lega e il Front national prenderebbero una valanga di voti. Sarebbe pericolosissimo, allora sì che saremmo in guerra. Certo, poi occorre realismo “.
E cioè?
“Riconoscere che fino a quando non sarà abbattuto lo Stato islamico dobbiamo aspettarci il peggio. Ma lo si abbatte solo se non si invoca il conflitto di civiltà. Purtroppo quando la storia appare tragica si fa molto fatica a ragionare. È del tutto logico, e porta anche voti: ma è anche pericolosissimo. Bisognerebbe fare un grande sforzo a partire da noi italiani, non credo sia inutile. In fin dei conti, con la storia che abbiamo, dovremmo essere vaccinati. Anche se adesso non pare così”.
Discorso della luna
di Antonio Dessì
Va bene. Sono laico (anche ateo, ma questo non c’entra: dipende soprattutto dal fatto che una volta morto non vorrei più rotture di palle in qualsivoglia Altromondo). Valuto la Chiesa cattolica secondo parametri storici e ne conosco i tanti errori, alcuni perduranti. Sono pacifista e nonviolento (questa seconda qualità l’ho acquisita, spero, definitivamente, anche se talvolta mi si mette fin troppo alla prova). JesuisCharlie quel tanto che basta per non apprezzare che Giuliano Ferrara apra dibattiti sull’Islam nella prima pagina di un quotidiano isolano. Ma quando Papa Bergoglio dice che se a uno gli cercano la madre è istintivo che reagisca quantomeno tirando un cazzotto in faccia a chi gliel’ha cercata, rilevo che ha tradotto perfettamente un tipico modo di pensare sardo. Forse glielo ha suggerito proprio la Madonna di Bonaria, patrona della Sardegna e madrina onomastica della capitale argentina. E mi è più simpatico lui dei saccentoni e dei teologi mediatici vari che stanno imperversando in queste ore. Almeno, che bisogna dichiarare guerra all’Islam, chiudere le moschee in Italia, cacciare gli immigrati dal Paese, lasciare che due imprudenti ragazze restino prigioniere di qualche predone fanatico, lui non lo ha detto e non lo pensa.
Anzi, mi è venuto da immaginare Papa Francesco affacciarsi alla finestra dell’Angelus e parafrasare il “Discorso della Luna” di Papa Giovanni XXIII: “Questa sera, quando tornate a casa vostra, date un cazzotto a Salvini. Ditegli che è il cazzotto del Papa!”.
Sulle restanti questioni politiche lascio il commento alle vignette. Parce sepultis.
Ad amiche e amici buon pomeriggio e fin d’ora buon week end.
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Prima e dopo Parigi. Siamo tutti chiamati in causa. Che fare?
di Vanni Tola
L’indignazione per gli atti terroristici compiuti a Parigi dall’estremismo islamico pone una serie di problemi e, tra questi la paura e la rabbia. Richiamano interrogativi inquietanti sul che fare da domani in poi per contrastare la violenza indiscriminata di coloro che, in nome di Dio, predicano e praticano l’eliminazione fisica di chi non la pensa come loro, degli infedeli. Ma è soprattutto la sfera privata di ciascuno di noi a essere chiamata in causa. Non basta indignarsi occorre agire, fare qualcosa, dare il nostro contributo di individui liberi, che vivono in regimi democratici, di componenti di Stati che direttamente o indirettamente hanno comunque grosse responsabilità nell’aver contribuito a generare le condizioni di ingiustizia, di diseguaglianza, di sottosviluppo economico e culturale che caratterizzano il nostro mondo. Torniamo alla sfera privata, personale. Che possiamo fare, qual è il nostro livello di conoscenza della realtà? Che cosa sappiamo dell’Iran e dell’Iraq? Quanti nomi di stati africani siamo in grado di ricordare senza l’aiuto di internet? A poche miglia dalle coste della Sicilia, in Libia, si sta materializzando uno stato islamico, un califfato, alle porte di casa nostra. Ma cos’è uno stato islamico? Esistono luoghi nei quali gli estremisti e integralisti mussulmani compiono azioni raccapriccianti e disumane. Anche l’occidente civilizzato ne ha compiute. Potremmo parlare a lungo dei bombardamenti al napalm in Vietnam, delle stragi in Palestina, dei bombardamenti in varie parti del mondo per “importare la democrazia”. Rimaniamo sull’attualità. Esistono luoghi geografici di quello che – in termini di comunicazione – McLuan definiva “villaggio globale”, del quale non sapremo indicare l’ubicazione neppure con una cartina geografica sotto il naso. Dov’è Maiduguri, capitale dello Stato di Borno? E Potiskum, principale centro economico dello Stato di Yobe, nella parte nord orientale della Nigeria? Cos’è Boko Haram, un profumo orientale, un piatto esotico o un gruppo fondamentalista sunnita che pratica il terrorismo per realizzare lo stato islamico in Africa con una strategia della tensione straordinariamente sanguinaria. Maiduguri e Posiskum sono le città nelle quali alcune giovanissime ragazze sono state costrette a diventare lo strumento di attentati tra la folla. Ragazze alle quali è stato collocato, sotto i vestiti, dell’esplosivo che doveva esplodere attivato da un telecomando. Bambina ridotte a brandelli umani insieme a tanti altri ignari passanti. Sono i luoghi nei quali oltre duecento studentesse vengono rapite in una scuola, colpevoli soltanto di frequentare appunto una scuola. Ragazze adolescenti costrette alla conversione all’Islam davanti ad una telecamera e destinate a essere vendute o donate ai miliziani combattenti come schiave sessuali o, peggio ancora, a essere utilizzate come “pacco bomba “ vivente per gli attentati. Sono ormai numerosi questi episodi, in Nigeria, quindi lontano dalle nostre case, secondo il nostro comune modo di intendere le vicende che non ci coinvolgono direttamente. Ma dopo le vicende di Parigi la prospettiva è cambiata. Nessuno potrà darci la certezza che episodi analoghi non possano accadere anche a casa nostra. Allora che possiamo fare? Non la guerra all’Islam predicata dalla “beata” Oriana Fallaci e prontamente sostenuta da inutili idioti di casa nostra. I nostri riferimenti ideologici, i nostri obiettivi devono essere l’istruzione, il confronto, l’integrazione, l’accoglienza, la lotta alla miseria e alle disuguaglianze che contrappongono a un mondo benestante e sprecone di beni e risorse l’indigenza di miliardi di persone. E quando parlo di istruzione, non mi riferisco soltanto all’istruzione degli altri, al diritto all’istruzione delle donne mussulmane. Parlo anche di noi, del nostro sistema di istruzione che attualmente non trasmette ai giovani le necessarie conoscenze per comprendere e interpretare l’attuale realtà geo-politica. Non sappiamo niente dell’Islam e della religione mussulmana, conosciamo poco delle vicende storiche che hanno condotto all’attuale divisione del mondo, ai conflitti in atto, alle contrapposizioni tra culture apparentemente diverse e lontane che magari hanno anche molti punti di vista comuni. Mandiamo le nostre truppe (e le nostre armi) in luoghi dei quali la maggior parti dei cittadini non conoscono neppure l’esistenza. “Siamo tutti Charlie”, bene. Ma non è soltanto una questione di vignette satiriche, non si tratta soltanto di difendere il sacrosanto diritto alla libertà di espressione e quindi anche di fare satira. Si tratta di cominciare a pensare a un nuovo mondo da costruire intorno ai valori del confronto, della tolleranza, della giustizia e della pace. Un compito immensamente difficile, certamente lungo e faticoso. Una scommessa affascinante per le giovani generazioni.
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Union sacrèe coi governi che attaccano i diritti?
di Andrea Pubusa, su Democraziaoggi
A Parigi domenica si sono riuniti quasi tutti i capi di governo responsabili dell’impoverimento generale dei popoli europei e insieme della insostenibile situazione delle masse del Medio Oriente e dell’Africa. Hanno capeggiato una grande manifestazione a difesa dei valori democratici dell’Occidente, mentre nei loro paesi e nell’UE, sotto la spinta del capitale finanziario, aggrediscono i diritti sociali, frutto delle Costituzioni nate dalla Resistenza al nazifascismo e delle lotte dei decenni successivi. Particolarmente visibile questo attacco sul fronte delle diseguagluanze, che prima si tendeva se non a colmare, almeno a temperare e da due decenni a questa parte hanno ripreso a crescere creando una forbice fra ricchi e poveri che ci riporta indietro più d’un secolo. Il punto di sfondamento è individuabile nel lavoro, il cui oggetto è ormai ridotto a mera merce, cancellando la soggettività, l’umanità di chi la produce, e dunque privando i lavoratori di qualsiasi diritto, anche di quello primario ad un salario che garantisca una vita libera e dignitosa, come dice la nostra Costituzione. Capeggiano questi signori la grande manifestazione in difesa delle libertà, ma disconosconoi la piena soggettività del lavoratore e riducono la massa a mera destinataria non solo dei poteri di governo, ma anche dell’informazione che dicono di voler difendere. Questa torna ad essere formalmente libera, ma nella sostanza è in mano a grandi potentati economici che formano un’opinione che distorce la realtà. Le leggi elettorali truffaldine, che limitano la rappresentanza fino a cancellarla, sono il risvolto di questa realtà a-democartica, dai Comuni al Parlamento. Capeggiano la manifestazione oceanica, ma calpestano la democrazia svuotandola di contenuto.
Quanto è accaduto in Afghanistan, in Irak e poi in Libia è il risvolto internazionale di questa politica. Invasioni violente, con massacri di massa, ammantate dalla missione impossibile di esportare la democrazia, in realtà espressione di una volontà aggressiva volta a far fuori governi, di cui spiace non tanto il carattere autocratico quanto la pretesa di gestione autonoma delle proprie risorse. Non è un caso che “il soccorso democratico” a suon di bombe è disposto solo in paesi ricchi di petrolio o in posizione strategica per il passaggio delle fonti energetiche. Le altre emergenze umanitarie sono dimenticate.
I capi di governo di Parigi sono dunque la faccia principale della dissoluzione dei valori democratici ch’essi hanno imposto a livello interno e internazionale.
La ricomposizione non può dunque passare cementando una union sacrée fra masse e questi capi di governo, così come non può nell’altro versante formarsi attorno a capi integralisti e fascistoidi, che sono specularmente l’altra faccia della medaglia. E’ nella convergenza fra la lotta per i diritti dei popoli europei e quella dei paesi dell’altra sponda mediterranea che può poggiare una ripresa di valori democratici e di civiltà. Ma chi organizza questo progetto? La scomparsa della sinistra in Europa, e, per quanto ci riguarda, in Italia, rende difficile persino pensare ad una lotta di questa portata. Ma da qui bisogna ripartire. Qualche indicazione positiva viene da Syriza in Grecia. Ma in giro di Tsipras non se ne vedono altri. C’è molto da lavorare.
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- Qualche spiegazione per la scelta dell’illustrazione nella pagina fb di Tonino Dessì, che ringraziamo per la riflessione e la ricerca che ci offre.
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Distrazioni di massa
di Omar Onnis, su SardegnaMondo
I fatti di Parigi del 7 gennaio scorso hanno scosso l’opinione pubblica anche in Sardegna, com’è inevitabile. Ed anche in Sardegna si è scatenato il delirio anti-islamico e anti-immigrazione. L’episodio sconcertante dell’assessore alla cultura di Bonorva, che lancia proclami di odio via FB, è solo un sintomo. È il sintomo della pessima selezione della nostra classe politica (caso mai avessimo bisogno di conferme) ed anche della facilità con cui è possibile manipolare la percezione delle cose e la stessa emotività di grandi masse di cittadini.
Davanti a fatti così tragici e così simbolici assumere un atteggiamento distaccato è difficile per chiunque. Nondimeno è indispensabile cercare di dipanare la matassa complessa del nostro presente per non farsene soffocare. E che il rischio sia di soffocare è evidente. Soprattutto in un luogo impoverito e indebolito come la Sardegna di oggi.
Nel nostro caso, infatti, la funzione distraente delle narrazioni tendenziose ha una forza e una portata amplificate. L’analfabetismo funzionale di massa, le aspettative decrescenti, la rabbia diffusa sono un materiale facilmente malleabile nelle mani di chi dispone di conoscenze, risorse e obiettivi solidi da perseguire. Sappiamo come va, è già successo. Ci hanno fatto accettare fatti, scelte, condizioni che nessuno, nel pieno possesso delle proprie facoltà, accetterebbe mai. Ma manipolare delle masse è più facile che persuadere una persona singola. Soprattutto quando mancano i riferimenti culturali, quando le formazioni intermedie non solo non fanno da filtro e da aggregatrici di interessi e obiettivi, ma sono sostanzialmente al servizio della nostra sottomissione.
Mentre molti sardi si lasciano trascinare nella ventata d’odio contro i musulmani o contro gli immigrati in generale, i sindacati rilanciano l’idea della chimica verde nel nord dell’isola e delle coltivazioni estensive di canne nel sud. La classe politica amplifica il ricatto occupazionale e, anziché mettersi di buona lena a cercare soluzioni, si mette a disposizione di avventurieri e affaristi per assecondarne i piani. La scuola muore, l’università è in declino (e non certo per colpa dello stato patrigno, o almeno non solo), l’emigrazione riprende a ritmi crescenti, l’inquinamento non diminuisce affatto, l’agricoltura è allo sbando, il mondo della cultura è completamente abbandonato a se stesso. Ammetto che a volte la reazione a tante lamentele si riduce a una domanda: ma voi chi avete votato fin qui? Ma chiaramente non la si può fare così semplice.
Occorre tenere ben desta l’attenzione sulle questioni cruciali, senza farsi distrarre dalle ombre proiettate per confondere le menti. Davanti all’intolleranza e alla violenza, servono maggiore inclusività e compresione. Non integrazionismo a tutti i costi, ma capacità di rispettare gli altri per quello che sono, fintanto che rimangono nei limiti della legalità e della convivenza pacifica al cui rispetto siamo tenuti tutti. Per combattere l’impoverimento culturale, la debolezza economica, la disoccupazione, non servono fughe in avanti fantasiose, ma proposte concrete, investimenti pubblici mirati e ben pianificati, servono maggior istruzione, maggiore conoscenza strutturata, maggior senso di responsabilità verso la sfera pubblica. Prima di tutto da parte della classe politica.
Chi grida contro i musulmani e nel mentre fa spartizioni di sottogoverno, o fa accordi con il Qatar, è un nemico molto più pericoloso di qualsiasi immigrato. In questa fase risultano dunque ancor più inutili, se non strumentali allo status quo, i discorsi di tipo etnocentrico, discriminatorio, nostalgico.
Non è l’immigrazione a costituire un rischio, specie in una terra lanciata verso un futuro prossimo di spopolamento. Non è nemmeno l’islam, in Sardegna largamente minoritario. Evocare a questo proposito la minaccia araba e saracena dei secoli passati è una sciocchezza dovuta non solo al razzismo ma anche all’ignoranza. Se è per quello, ci sono stati nella nostra storia momenti difficili in cui con l’islam i Sardi avevano raggiunto una tregua (e forse anche una alleanza), per esempio tra VIII e IX secolo. Sappiamo bene che qualsiasi problema creato nel corso del tempo dalle scorribande dei mori (spesso guidate da sardi, per altro) è niente in confronto ai guasti prodotti dalle classi dominanti di turno, compresa quella attuale.
La desertificazione culturale e l’ostinazione con cui la si persegue a livello politico non aiutano certo. Non è la cultura, a minacciarci, né la nostra né quella altrui. Caso mai la stupidità. Mi turba molto che in questi giorni in Sardegna vengano evocati maestri di pensiero equivoci come Oriana Fallaci o impresentabili cone Matteo Salvini. Abbiamo bisogno di questo? Di questo deve animarsi il nostro dibattito pubblico? Ricordiamoci che noi, prima di essere partecipi di un discorso razzista e di sopraffazione, ne siamo vittime. Questo dovrebbe esserci chiaro e dovrebbe anche insegnarci qualcosa.
Non c’è una sola ragione al mondo per cui la Sardegna debba essere una terra povera, spopolata e marginale. Se questa è la sua condizione, le cause sono storiche e storicamente determinabili. Se è vero che non esiste alcuna tara congenita, a spiegazione di questo stato di cose, non c’è però neanche una generica minaccia esterna ai nostri danni. Se pensassimo un po’ meno ai falsi bersagli additati da mass media e da gruppi di potere interessati e ci facessimo un bell’esame di coscienza quanto a ricerca di assistenzialismo, o di favori, quanto a noncuranza verso i nostri beni comuni, quanto a ignoranza di noi stessi, forse le cose per noi cambierebbero in meglio, senza bisogno di scomodare l’immigrazione, o l’islam, né Dio o chi per lui.
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L’importanza della luce quando siamo al buio
di Vanni Tola
“Se questo è un uomo”, già, se questo è un uomo. Come avrebbe commentato la strage di Parigi lo scrittore Primo Levi? Quali considerazioni avrebbe sviluppato sugli uomini che, in nome di Dio, hanno realizzato una strage di esseri umani per vendicare le offese al loro Profeta, realizzate con vignette satiriche? Se questo è un uomo. Come avrebbe descritto Primo Levi la barbarie di quei combattenti che, in nome della grandezza del loro Dio, hanno ripetutamente violato l’innocenza e l’integrità fisica di una bambina collocandole addosso un ordigno esplosivo per poi mandarla tra persone, anche esse innocenti, e farla esplodere come un pacco bomba, usando un telecomando? Che avranno pensato mentre, lontani dalla scena dell’attentato, la osservavano camminare verso i “nemici”? Che cosa le avranno raccontato per convincerla o indurla a recitare fino in fondo il terribile compito che le era stato assegnato? Che sensazioni avranno provato un attimo prima di attivare il comando elettronico che l’avrebbe ridotta in mille pezzi insieme a tante altre persone? E dopo, dopo, che sensazioni avranno provato? Si saranno sentiti eroi appagati per il loro eroico gesto o si saranno sentiti oppressi dal dubbio di aver compiuto una azione vigliacca quanto inutile e crudele? Non lo sapremo mai Primo Levi non c’è più. Nel cielo volano uccelli scuri, avvoltoi rapaci pronti a raccogliere brandelli di corpi innocenti per dare fiato ai loro propositi di guerre contro i diversi, guerre di “religione”, “guerre di civiltà”. Noi, i buoni, contro gli islamici, i cattivi. Niente di buono all’orizzonte. Dice una diciottenne Pakistana, il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, essa stessa vittima di un vile attentato degli estremisti islamici.
“Tutti ci rendiamo conto dell’importanza della luce quando ci troviamo al buio e tutti ci rendiamo conto dell’importanza della voce quando c`e il silenzio. Non odio neppure il Taliban che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano ed egli mi stesse davanti e stesse per spararmi, io non sparerei. Questa è la compassione che ho appreso da Mohamed, il profeta misericordioso, da Gesù Cristo e dal Buddha. Questo è il lascito che ho ricevuto da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non-violenza che ho appreso da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che la mia anima mi dice: siate in pace e amatevi l’un l’altro. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo. I libri e le matite sono la nostra arma più formidabile, quella che potrà farci vincere la miseria e conquistare la pace”.
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“In Europa, per non dire dell’Italia, in questo momento c’è una deficienza paurosa di personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c’è un’Europa in guerra, ci sono conflitti da disinnescare anche con le armi dell’intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo, difficile, faticoso. Ma non c’è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano proprio i terroristi” (Massimo Cacciari)
L’ambiguità delle piazze francesi
di Rossana Rossanda, su Sbilanciamoci.it
Non si possono portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista francese, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica
Le sole parole equilibrate nel diluvio di dichiarazioni di orrore e di angoscia anche della stampa italiana per l’assassinio dei disegnatori e del direttore di “Charlie Hebdo” le ha scritte Massimo Cacciari, riportando la questione alla sua dimensione temporale e politica. La grande emozione e protesta che ha subito riempito in modo spontaneo le piazze francesi non è mancata infatti di qualche ambiguità. Si è potuto manifestare legittimamente, e quasi accogliendo l’invito del presidente Holland, il rifiuto del fondamentalismo e la difesa della repubblica e il “no” ai problemi posti dalla grande immigrazione musulmana in Europa.
Facilitata in Francia dal troppo coltivato richiamo alla colonizzazione francese in Africa del Nord e nel Medio Oriente. Da molti decenni si è dimenticato che un accordo fra un alto funzionario inglese, Sykes, e uno francese, Picot, disegnò la spartizione dell’impero ottomano fra Francia e Gran Bretagna. La Gran Bretagna poi ha prevalso e ancora più recentemente hanno prevalso le politiche degli Stati Uniti. Ma le recenti scelte di Holland di intervento nel corno d’Africa e nell’Africa centrale hanno, senza volerlo, ripristinato l’immagine di una gloria coloniale che dà fiato a Marine Le Pen. Ugualmente le parole del presidente Holland subito dopo l’attentato, richiamando tutto il paese all’unità contro il terrorismo, sono parse legittimare la richiesta del Fronte nazionale di partecipare alla grande manifestazione ufficiale antifondamentalista di domenica prossima, che lo ha messo non poco in imbarazzo davanti allo slancio con il quale Marine Le Pen ha annunciato la sua partecipazione. Non si possono infatti portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica.
Lo slogan “Je suis Charlie” manifestava efficacemente un appoggio a un giornale niente affatto di grandissima diffusione, che in generale non fa complimenti al Fronte Nazionale. Si può del resto discutere di un tema già volgarizzato in Italia come l’immunità politica della satira, oggi difesa apparentemente da tutti. Le famose vignette danesi contro Maometto sono state amplificate da Charlie Hebdo in un’accentuazione dell’ateismo fin troppo augurabile ma da non identificare col disprezzo di tutti i credenti: “Nel cesso tutte le religioni”, aveva scritto e pubblicato in prima pagina quel giornale. Alla incapacità della sinistra di portare argomenti laici alla ribalta dell’opinione pubblica, e di rispondere al richiamo oggi esercitato specie da alcuni monoteismi e dal buddismo, sia pure assai diversi, ha corrisposto l’indulgenza a forme facili di caricatura, che sicuramente hanno offeso i milioni di musulmani in Europa. Basti pensare a quale accoglienza avrebbero avuto se quelle vignette si fossero nominativamente applicate a Gesù Cristo. Non penso che sia utile lasciare ai caricaturisti un compito che per loro natura, volendo irridere a tutte le fedi, non possono esercitare: è come se gettassero un fiammifero in un barile di benzina. È proprio la debolezza della sinistra del dopo il 1989 a produrre questa rinascita in forza delle religioni.
Per quanto riguarda quella musulmana, come non chiedersi perché il suo fondamentalismo – che pareva essere escluso da una organizzazione non piramidale delle sue chiese – sia scoppiato in queste forme mortifere, particolarmente oggi. Maometto esiste dal Settimo secolo e da allora in poi l’atteggiamento dell’impero ottomano, per esempio nei confronti degli ebrei, è stato di gran lunga più tollerante e tendente all’assimilazione di quello della chiesa cattolica, che ha voluto le crociate e lo ha investito di maledizioni e improperi, senza che questi portassero a nessuna Jihad, anzi, il famoso “feroce Saladino” era un interessante pacifista. L’estremismo dell’ammazzare tutti i non fedeli al profeta appartiene ai nostri giorni, ed è molto più serio cercarne le origini nelle forme coloniali e non coloniali adottate dall’Occidente che in un passo o l’altro del Corano.
Un fenomeno non meno importante riguarda il fascino che forme estreme di milizia, che arrivano fino al mettere in conto la propria morte per “martirio”, abbiano sui giovanissimi occidentali che raggiungono la Siria o altri luoghi dove possono arruolarsi con i maestri del fondamentalismo. La tanto conclamata fine delle ideologie sembra aver lasciato in piedi soltanto l’assolutismo di alcune minoranze musulmane, come appunto la Jihad e in modo particolare il recente Daesh, cioè lo Stato islamico rappresentato dal cosiddetto Califfato di al Baghdadi.
Da noi già appare la voglia di condannare i rappers che sembrano ispirarsene: errore dal quale bisognerà guardarsi. Insomma, il fascino dell’islamismo radicale corrisponde alla stupidità con la quale la cultura predominante in Occidente sembra trattare il bisogno di un “senso” non riducibile ai soldi che gli aspetti ideologici della globalizzazione hanno tentato di offuscare dalle parti nostre. Grande problema del nostro tempo che è inutile esorcizzare.
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- www.sbilanciamoci.it
- Leggi i commenti; qui ne riportiamo solo uno (di Salvatore Annunziata)
Io vivo in Francia e mi occupo di disagio giovanile ad Avignone. L’articolo di Rossana Rossanda lo considero come il frutto di una persona colta, molto sensibile che legge quanto sta accadendo in Francia da mercoledi scorso con lenti inadeguate. In effetti è verissimo che chi ha decimato la redazione di Charlie Hebdo (che qui è vissuto come il residuo più autentico del maggio ’68) e assalito il supermarcato kascher è il frutto del passato coloniale della Francia e del fatto che la Francia, in quanto sistema paese, non ha acora fatto i conti col proprio passato di potenza coloniale. Potremmo dire che la Francia rapresenta, dal almeno due secoli e forse più, il paradosso già incarnato dalla civilissima ed europeissima Atene di Pericle, vale a dire paladina delle libertà e della democrazia per quelli civilizzati e l’esclusione, la schiavitù, la carità, la messa sotto curatela per quanti (e quante) considerati barbari (i popoli colonizzati) o inferiori (le donne e i minori). Allo stesso tempo però mi sembra che la Rossanda dimentichi un piccolo particolare e cioè che qui in Francia la gente “normale”, come me e qualche milione di persone, rischia di ritrovarsi stretta tra dei fascisti barbuti che non mangiano prodotti derivati da carne di maiale, che abbinano ostracismo verso la musica ma utilizzano internet e i GPS e che si dicono veri seguaci del Profeta e degli altri fascisti per lo più bianchi, che loro invece lo mangiano e lo amano il maiale (al punto di portare in piazza delle teste – vere o finte poco importa – alle manifestazioni), che negano la shoah, che gridano “la France aux français”, che si battono contro l’islamisazione dell’Europa. In breve, se vogliamo utilizzare come paragone quello che è successo nelle terre della morta Federazione Yugoslavia, potremmo dire che qui rischaimo di ritrovarci circondati tra Ustacha e Cetnici.
La grossa sfida che ci attende tutti e tutte, non solo in Francia ma in tutti i paesi europei, è di dare nuova linfa alla democrazia, all’accolgienza, al rispetto dell’alterità propria e altrui. Insomma, ci tocca fare la messa a punto del nostro referenziale culturale avendo come bussola non delle ideologie scollegate dalla vita, dalla storia di ognuno di noi, bensi la dichiarazione universale dei diritti umani secondo cui, art.1, ogni essere umano nasce uguale in diginità e diritti. Ecco i valori che dobbiano, con qualunque mezzo coerente a quest’obiettivo, promuovere e difendere.
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Strage Charlie Hebdo, Cacciari: “Politica di accoglienza o avremo il conflitto in Europa”
di Rodolfo Sala su Repubblica.it
MILANO – “I fatti orrendi di Parigi dovrebbero imporre a tutti noi di ragionare alla grande, ma in questo clima sono in pochi a ragionare, soprattutto in Italia. Il livello del dibattito è deprimente”. Lo dice il filosofo Massimo Cacciari.
E quale sarebbe, professore, la prima riflessione da fare?
“Negli ultimi venti-trent’anni abbiamo vissuto tutti nell’illusione che la storia potesse in qualche modo cancellare la propria dimensione tragica. Che la nostra Penisola potesse restare fuori dalle trasformazioni epocali che hanno rivoluzionato la geopolitica e prodotto una serie di conflitti (Afghanistan, Iraq, la questione irrisolta dei rapporti tra Israele e palestinesi) che anche per colpa dell’Occidente restano pesantemente irrisolti”.
Risultato?
“Vedo un rischio terribile e concreto. Il rischio di una guerra civile in Europa. Mi spiego: dobbiamo tenere presente che nel 2050 la metà della popolazione del nostro continente sarà di origine extracomunitaria, quindi è impensabile ritenerci in guerra, noi europei, con l’altra parte, con il mondo islamico. Per questo dico che bisogna ragionare alla grande. Il problema è con chi”.
A che cosa allude?
“In Europa, per non dire dell’Italia, in questo momento c’è una deficienza paurosa di personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c’è un’Europa in guerra, ci sono conflitti da disinnescare anche con le armi dell’intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo, difficile, faticoso. Ma non c’è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano proprio i terroristi”.
Le armi dell’intelligenza, lei dice…
“Certo. Se durante il secondo conflitto mondiale ci fosse stato solo il generale Patton, e non anche la lungimiranza di leader come Churchill e Roosevelt, avrebbe vinto Hitler. Affontare il problema solo dal lato della semplice repressione non basta, non può bastare. Anche se questi islamisti hanno compiuto un indiscutibile salto di qualità”.
In che senso?
“Non siamo in presenza del kamikaze solitario, della bomba anonima. Le azioni come quella di Parigi sono programmate con una logica militare che punta, voglio ripeterlo, allo scontro di civiltà”.
Quindi?
“Fino a quando la nostra democrazia non dimostrerà di essere accogliente, e continuerà con le disuguaglianze, questo tipo di terrorismo troverà sempre terreno favorevole. Sullo scenario europeo, ora si pensa di far fuori la Grecia, mentre si allargano i confini dell’Unione alla Lituania: è pazzesco”.
Ma i toni salgono, Salvini dice che siamo in guerra…
“Una battuta che si commenta da sé, sotto il profilo culturale. Sarebbe un errore madornale additare nell’Islam il nemico, il modo per moltiplicare gli jihadisti”.
Aggiunge che il Papa non deve dialogare con l’Islam…
“Figuriamoci che cosa importa al Pontefice delle parole di Salvini. Che insieme alla Le Pen sta facendo di tutto per ostacolare il dialogo. Se si votasse domani la Lega e il Front national prenderebbero una valanga di voti. Sarebbe pericolosissimo, allora sì che saremmo in guerra. Certo, poi occorre realismo “.
E cioè?
“Riconoscere che fino a quando non sarà abbattuto lo Stato islamico dobbiamo aspettarci il peggio. Ma lo si abbatte solo se non si invoca il conflitto di civiltà. Purtroppo quando la storia appare tragica si fa molto fatica a ragionare. È del tutto logico, e porta anche voti: ma è anche pericolosissimo. Bisognerebbe fare un grande sforzo a partire da noi italiani, non credo sia inutile. In fin dei conti, con la storia che abbiamo, dovremmo essere vaccinati. Anche se adesso non pare così”.
Prima e dopo Parigi. Siamo tutti chiamati in causa. Che fare?
di Vanni Tola
L’indignazione per gli atti terroristici compiuti a Parigi dall’estremismo islamico pone una serie di problemi e, tra questi la paura e la rabbia. Richiamano interrogativi inquietanti sul che fare da domani in poi per contrastare la violenza indiscriminata di coloro che, in nome di Dio, predicano e praticano l’eliminazione fisica di chi non la pensa come loro, degli infedeli. Ma è soprattutto la sfera privata di ciascuno di noi a essere chiamata in causa. Non basta indignarsi occorre agire, fare qualcosa, dare il nostro contributo di individui liberi, che vivono in regimi democratici, di componenti di Stati che direttamente o indirettamente hanno comunque grosse responsabilità nell’aver contribuito a generare le condizioni di ingiustizia, di diseguaglianza, di sottosviluppo economico e culturale che caratterizzano il nostro mondo. Torniamo alla sfera privata, personale. Che possiamo fare, qual è il nostro livello di conoscenza della realtà? Che cosa sappiamo dell’Iran e dell’Iraq? Quanti nomi di stati africani siamo in grado di ricordare senza l’aiuto di internet? A poche miglia dalle coste della Sicilia, in Libia, si sta materializzando uno stato islamico, un califfato, alle porte di casa nostra. Ma cos’è uno stato islamico? Esistono luoghi nei quali gli estremisti e integralisti mussulmani compiono azioni raccapriccianti e disumane. Anche l’occidente civilizzato ne ha compiute. Potremmo parlare a lungo dei bombardamenti al napalm in Vietnam, delle stragi in Palestina, dei bombardamenti in varie parti del mondo per “importare la democrazia”. Rimaniamo sull’attualità. Esistono luoghi geografici di quello che – in termini di comunicazione – McLuan definiva “villaggio globale”, del quale non sapremo indicare l’ubicazione neppure con una cartina geografica sotto il naso. Dov’è Maiduguri, capitale dello Stato di Borno? E Potiskum, principale centro economico dello Stato di Yobe, nella parte nord orientale della Nigeria? Cos’è Boko Haram, un profumo orientale, un piatto esotico o un gruppo fondamentalista sunnita che pratica il terrorismo per realizzare lo stato islamico in Africa con una strategia della tensione straordinariamente sanguinaria. Maiduguri e Posiskum sono le città nelle quali alcune giovanissime ragazze sono state costrette a diventare lo strumento di attentati tra la folla. Ragazze alle quali è stato collocato, sotto i vestiti, dell’esplosivo che doveva esplodere attivato da un telecomando. Bambina ridotte a brandelli umani insieme a tanti altri ignari passanti. Sono i luoghi nei quali oltre duecento studentesse vengono rapite in una scuola, colpevoli soltanto di frequentare appunto una scuola. Ragazze adolescenti costrette alla conversione all’Islam davanti ad una telecamera e destinate a essere vendute o donate ai miliziani combattenti come schiave sessuali o, peggio ancora, a essere utilizzate come “pacco bomba “ vivente per gli attentati. Sono ormai numerosi questi episodi, in Nigeria, quindi lontano dalle nostre case, secondo il nostro comune modo di intendere le vicende che non ci coinvolgono direttamente. Ma dopo le vicende di Parigi la prospettiva è cambiata. Nessuno potrà darci la certezza che episodi analoghi non possano accadere anche a casa nostra. Allora che possiamo fare? Non la guerra all’Islam predicata dalla “beata” Oriana Fallaci e prontamente sostenuta da inutili idioti di casa nostra. I nostri riferimenti ideologici, i nostri obiettivi devono essere l’istruzione, il confronto, l’integrazione, l’accoglienza, la lotta alla miseria e alle disuguaglianze che contrappongono a un mondo benestante e sprecone di beni e risorse l’indigenza di miliardi di persone. E quando parlo di istruzione, non mi riferisco soltanto all’istruzione degli altri, al diritto all’istruzione delle donne mussulmane. Parlo anche di noi, del nostro sistema di istruzione che attualmente non trasmette ai giovani le necessarie conoscenze per comprendere e interpretare l’attuale realtà geo-politica. Non sappiamo niente dell’Islam e della religione mussulmana, conosciamo poco delle vicende storiche che hanno condotto all’attuale divisione del mondo, ai conflitti in atto, alle contrapposizioni tra culture apparentemente diverse e lontane che magari hanno anche molti punti di vista comuni. Mandiamo le nostre truppe (e le nostre armi) in luoghi dei quali la maggior parti dei cittadini non conoscono neppure l’esistenza. “Siamo tutti Charlie”, bene. Ma non è soltanto una questione di vignette satiriche, non si tratta soltanto di difendere il sacrosanto diritto alla libertà di espressione e quindi anche di fare satira. Si tratta di cominciare a pensare a un nuovo mondo da costruire intorno ai valori del confronto, della tolleranza, della giustizia e della pace. Un compito immensamente difficile, certamente lungo e faticoso. Una scommessa affascinante per le giovani generazioni.
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Union sacrèe coi governi che attaccano i diritti?
di Andrea Pubusa, su Democraziaoggi
A Parigi domenica si sono riuniti quasi tutti i capi di governo responsabili dell’impoverimento generale dei popoli europei e insieme della insostenibile situazione delle masse del Medio Oriente e dell’Africa. Hanno capeggiato una grande manifestazione a difesa dei valori democratici dell’Occidente, mentre nei loro paesi e nell’UE, sotto la spinta del capitale finanziario, aggrediscono i diritti sociali, frutto delle Costituzioni nate dalla Resistenza al nazifascismo e delle lotte dei decenni successivi. Particolarmente visibile questo attacco sul fronte delle diseguagluanze, che prima si tendeva se non a colmare, almeno a temperare e da due decenni a questa parte hanno ripreso a crescere creando una forbice fra ricchi e poveri che ci riporta indietro più d’un secolo. Il punto di sfondamento è individuabile nel lavoro, il cui oggetto è ormai ridotto a mera merce, cancellando la soggettività, l’umanità di chi la produce, e dunque privando i lavoratori di qualsiasi diritto, anche di quello primario ad un salario che garantisca una vita libera e dignitosa, come dice la nostra Costituzione. Capeggiano questi signori la grande manifestazione in difesa delle libertà, ma disconosconoi la piena soggettività del lavoratore e riducono la massa a mera destinataria non solo dei poteri di governo, ma anche dell’informazione che dicono di voler difendere. Questa torna ad essere formalmente libera, ma nella sostanza è in mano a grandi potentati economici che formano un’opinione che distorce la realtà. Le leggi elettorali truffaldine, che limitano la rappresentanza fino a cancellarla, sono il risvolto di questa realtà a-democartica, dai Comuni al Parlamento. Capeggiano la manifestazione oceanica, ma calpestano la democrazia svuotandola di contenuto.
Quanto è accaduto in Afghanistan, in Irak e poi in Libia è il risvolto internazionale di questa politica. Invasioni violente, con massacri di massa, ammantate dalla missione impossibile di esportare la democrazia, in realtà espressione di una volontà aggressiva volta a far fuori governi, di cui spiace non tanto il carattere autocratico quanto la pretesa di gestione autonoma delle proprie risorse. Non è un caso che “il soccorso democratico” a suon di bombe è disposto solo in paesi ricchi di petrolio o in posizione strategica per il passaggio delle fonti energetiche. Le altre emergenze umanitarie sono dimenticate.
I capi di governo di Parigi sono dunque la faccia principale della dissoluzione dei valori democratici ch’essi hanno imposto a livello interno e internazionale.
La ricomposizione non può dunque passare cementando una union sacrée fra masse e questi capi di governo, così come non può nell’altro versante formarsi attorno a capi integralisti e fascistoidi, che sono specularmente l’altra faccia della medaglia. E’ nella convergenza fra la lotta per i diritti dei popoli europei e quella dei paesi dell’altra sponda mediterranea che può poggiare una ripresa di valori democratici e di civiltà. Ma chi organizza questo progetto? La scomparsa della sinistra in Europa, e, per quanto ci riguarda, in Italia, rende difficile persino pensare ad una lotta di questa portata. Ma da qui bisogna ripartire. Qualche indicazione positiva viene da Syriza in Grecia. Ma in giro di Tsipras non se ne vedono altri. C’è molto da lavorare.
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- Qualche spiegazione per la scelta dell’illustrazione nella pagina fb di Tonino Dessì, che ringraziamo per la riflessione e la ricerca che ci offre.
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Distrazioni di massa
di Omar Onnis, su SardegnaMondo
I fatti di Parigi del 7 gennaio scorso hanno scosso l’opinione pubblica anche in Sardegna, com’è inevitabile. Ed anche in Sardegna si è scatenato il delirio anti-islamico e anti-immigrazione. L’episodio sconcertante dell’assessore alla cultura di Bonorva, che lancia proclami di odio via FB, è solo un sintomo. È il sintomo della pessima selezione della nostra classe politica (caso mai avessimo bisogno di conferme) ed anche della facilità con cui è possibile manipolare la percezione delle cose e la stessa emotività di grandi masse di cittadini.
Davanti a fatti così tragici e così simbolici assumere un atteggiamento distaccato è difficile per chiunque. Nondimeno è indispensabile cercare di dipanare la matassa complessa del nostro presente per non farsene soffocare. E che il rischio sia di soffocare è evidente. Soprattutto in un luogo impoverito e indebolito come la Sardegna di oggi.
Nel nostro caso, infatti, la funzione distraente delle narrazioni tendenziose ha una forza e una portata amplificate. L’analfabetismo funzionale di massa, le aspettative decrescenti, la rabbia diffusa sono un materiale facilmente malleabile nelle mani di chi dispone di conoscenze, risorse e obiettivi solidi da perseguire. Sappiamo come va, è già successo. Ci hanno fatto accettare fatti, scelte, condizioni che nessuno, nel pieno possesso delle proprie facoltà, accetterebbe mai. Ma manipolare delle masse è più facile che persuadere una persona singola. Soprattutto quando mancano i riferimenti culturali, quando le formazioni intermedie non solo non fanno da filtro e da aggregatrici di interessi e obiettivi, ma sono sostanzialmente al servizio della nostra sottomissione.
Mentre molti sardi si lasciano trascinare nella ventata d’odio contro i musulmani o contro gli immigrati in generale, i sindacati rilanciano l’idea della chimica verde nel nord dell’isola e delle coltivazioni estensive di canne nel sud. La classe politica amplifica il ricatto occupazionale e, anziché mettersi di buona lena a cercare soluzioni, si mette a disposizione di avventurieri e affaristi per assecondarne i piani. La scuola muore, l’università è in declino (e non certo per colpa dello stato patrigno, o almeno non solo), l’emigrazione riprende a ritmi crescenti, l’inquinamento non diminuisce affatto, l’agricoltura è allo sbando, il mondo della cultura è completamente abbandonato a se stesso. Ammetto che a volte la reazione a tante lamentele si riduce a una domanda: ma voi chi avete votato fin qui? Ma chiaramente non la si può fare così semplice.
Occorre tenere ben desta l’attenzione sulle questioni cruciali, senza farsi distrarre dalle ombre proiettate per confondere le menti. Davanti all’intolleranza e alla violenza, servono maggiore inclusività e compresione. Non integrazionismo a tutti i costi, ma capacità di rispettare gli altri per quello che sono, fintanto che rimangono nei limiti della legalità e della convivenza pacifica al cui rispetto siamo tenuti tutti. Per combattere l’impoverimento culturale, la debolezza economica, la disoccupazione, non servono fughe in avanti fantasiose, ma proposte concrete, investimenti pubblici mirati e ben pianificati, servono maggior istruzione, maggiore conoscenza strutturata, maggior senso di responsabilità verso la sfera pubblica. Prima di tutto da parte della classe politica.
Chi grida contro i musulmani e nel mentre fa spartizioni di sottogoverno, o fa accordi con il Qatar, è un nemico molto più pericoloso di qualsiasi immigrato. In questa fase risultano dunque ancor più inutili, se non strumentali allo status quo, i discorsi di tipo etnocentrico, discriminatorio, nostalgico.
Non è l’immigrazione a costituire un rischio, specie in una terra lanciata verso un futuro prossimo di spopolamento. Non è nemmeno l’islam, in Sardegna largamente minoritario. Evocare a questo proposito la minaccia araba e saracena dei secoli passati è una sciocchezza dovuta non solo al razzismo ma anche all’ignoranza. Se è per quello, ci sono stati nella nostra storia momenti difficili in cui con l’islam i Sardi avevano raggiunto una tregua (e forse anche una alleanza), per esempio tra VIII e IX secolo. Sappiamo bene che qualsiasi problema creato nel corso del tempo dalle scorribande dei mori (spesso guidate da sardi, per altro) è niente in confronto ai guasti prodotti dalle classi dominanti di turno, compresa quella attuale.
La desertificazione culturale e l’ostinazione con cui la si persegue a livello politico non aiutano certo. Non è la cultura, a minacciarci, né la nostra né quella altrui. Caso mai la stupidità. Mi turba molto che in questi giorni in Sardegna vengano evocati maestri di pensiero equivoci come Oriana Fallaci o impresentabili cone Matteo Salvini. Abbiamo bisogno di questo? Di questo deve animarsi il nostro dibattito pubblico? Ricordiamoci che noi, prima di essere partecipi di un discorso razzista e di sopraffazione, ne siamo vittime. Questo dovrebbe esserci chiaro e dovrebbe anche insegnarci qualcosa.
Non c’è una sola ragione al mondo per cui la Sardegna debba essere una terra povera, spopolata e marginale. Se questa è la sua condizione, le cause sono storiche e storicamente determinabili. Se è vero che non esiste alcuna tara congenita, a spiegazione di questo stato di cose, non c’è però neanche una generica minaccia esterna ai nostri danni. Se pensassimo un po’ meno ai falsi bersagli additati da mass media e da gruppi di potere interessati e ci facessimo un bell’esame di coscienza quanto a ricerca di assistenzialismo, o di favori, quanto a noncuranza verso i nostri beni comuni, quanto a ignoranza di noi stessi, forse le cose per noi cambierebbero in meglio, senza bisogno di scomodare l’immigrazione, o l’islam, né Dio o chi per lui.
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L’importanza della luce quando siamo al buio
di Vanni Tola
“Se questo è un uomo”, già, se questo è un uomo. Come avrebbe commentato la strage di Parigi lo scrittore Primo Levi? Quali considerazioni avrebbe sviluppato sugli uomini che, in nome di Dio, hanno realizzato una strage di esseri umani per vendicare le offese al loro Profeta, realizzate con vignette satiriche? Se questo è un uomo. Come avrebbe descritto Primo Levi la barbarie di quei combattenti che, in nome della grandezza del loro Dio, hanno ripetutamente violato l’innocenza e l’integrità fisica di una bambina collocandole addosso un ordigno esplosivo per poi mandarla tra persone, anche esse innocenti, e farla esplodere come un pacco bomba, usando un telecomando? Che avranno pensato mentre, lontani dalla scena dell’attentato, la osservavano camminare verso i “nemici”? Che cosa le avranno raccontato per convincerla o indurla a recitare fino in fondo il terribile compito che le era stato assegnato? Che sensazioni avranno provato un attimo prima di attivare il comando elettronico che l’avrebbe ridotta in mille pezzi insieme a tante altre persone? E dopo, dopo, che sensazioni avranno provato? Si saranno sentiti eroi appagati per il loro eroico gesto o si saranno sentiti oppressi dal dubbio di aver compiuto una azione vigliacca quanto inutile e crudele? Non lo sapremo mai Primo Levi non c’è più. Nel cielo volano uccelli scuri, avvoltoi rapaci pronti a raccogliere brandelli di corpi innocenti per dare fiato ai loro propositi di guerre contro i diversi, guerre di “religione”, “guerre di civiltà”. Noi, i buoni, contro gli islamici, i cattivi. Niente di buono all’orizzonte. Dice una diciottenne Pakistana, il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, essa stessa vittima di un vile attentato degli estremisti islamici.
“Tutti ci rendiamo conto dell’importanza della luce quando ci troviamo al buio e tutti ci rendiamo conto dell’importanza della voce quando c`e il silenzio. Non odio neppure il Taliban che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano ed egli mi stesse davanti e stesse per spararmi, io non sparerei. Questa è la compassione che ho appreso da Mohamed, il profeta misericordioso, da Gesù Cristo e dal Buddha. Questo è il lascito che ho ricevuto da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non-violenza che ho appreso da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che la mia anima mi dice: siate in pace e amatevi l’un l’altro. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo. I libri e le matite sono la nostra arma più formidabile, quella che potrà farci vincere la miseria e conquistare la pace”.
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“In Europa, per non dire dell’Italia, in questo momento c’è una deficienza paurosa di personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c’è un’Europa in guerra, ci sono conflitti da disinnescare anche con le armi dell’intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo, difficile, faticoso. Ma non c’è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano proprio i terroristi” (Massimo Cacciari)
L’ambiguità delle piazze francesi
di Rossana Rossanda, su Sbilanciamoci.it
Non si possono portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista francese, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica
Le sole parole equilibrate nel diluvio di dichiarazioni di orrore e di angoscia anche della stampa italiana per l’assassinio dei disegnatori e del direttore di “Charlie Hebdo” le ha scritte Massimo Cacciari, riportando la questione alla sua dimensione temporale e politica. La grande emozione e protesta che ha subito riempito in modo spontaneo le piazze francesi non è mancata infatti di qualche ambiguità. Si è potuto manifestare legittimamente, e quasi accogliendo l’invito del presidente Holland, il rifiuto del fondamentalismo e la difesa della repubblica e il “no” ai problemi posti dalla grande immigrazione musulmana in Europa.
Facilitata in Francia dal troppo coltivato richiamo alla colonizzazione francese in Africa del Nord e nel Medio Oriente. Da molti decenni si è dimenticato che un accordo fra un alto funzionario inglese, Sykes, e uno francese, Picot, disegnò la spartizione dell’impero ottomano fra Francia e Gran Bretagna. La Gran Bretagna poi ha prevalso e ancora più recentemente hanno prevalso le politiche degli Stati Uniti. Ma le recenti scelte di Holland di intervento nel corno d’Africa e nell’Africa centrale hanno, senza volerlo, ripristinato l’immagine di una gloria coloniale che dà fiato a Marine Le Pen. Ugualmente le parole del presidente Holland subito dopo l’attentato, richiamando tutto il paese all’unità contro il terrorismo, sono parse legittimare la richiesta del Fronte nazionale di partecipare alla grande manifestazione ufficiale antifondamentalista di domenica prossima, che lo ha messo non poco in imbarazzo davanti allo slancio con il quale Marine Le Pen ha annunciato la sua partecipazione. Non si possono infatti portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica.
Lo slogan “Je suis Charlie” manifestava efficacemente un appoggio a un giornale niente affatto di grandissima diffusione, che in generale non fa complimenti al Fronte Nazionale. Si può del resto discutere di un tema già volgarizzato in Italia come l’immunità politica della satira, oggi difesa apparentemente da tutti. Le famose vignette danesi contro Maometto sono state amplificate da Charlie Hebdo in un’accentuazione dell’ateismo fin troppo augurabile ma da non identificare col disprezzo di tutti i credenti: “Nel cesso tutte le religioni”, aveva scritto e pubblicato in prima pagina quel giornale. Alla incapacità della sinistra di portare argomenti laici alla ribalta dell’opinione pubblica, e di rispondere al richiamo oggi esercitato specie da alcuni monoteismi e dal buddismo, sia pure assai diversi, ha corrisposto l’indulgenza a forme facili di caricatura, che sicuramente hanno offeso i milioni di musulmani in Europa. Basti pensare a quale accoglienza avrebbero avuto se quelle vignette si fossero nominativamente applicate a Gesù Cristo. Non penso che sia utile lasciare ai caricaturisti un compito che per loro natura, volendo irridere a tutte le fedi, non possono esercitare: è come se gettassero un fiammifero in un barile di benzina. È proprio la debolezza della sinistra del dopo il 1989 a produrre questa rinascita in forza delle religioni.
Per quanto riguarda quella musulmana, come non chiedersi perché il suo fondamentalismo – che pareva essere escluso da una organizzazione non piramidale delle sue chiese – sia scoppiato in queste forme mortifere, particolarmente oggi. Maometto esiste dal Settimo secolo e da allora in poi l’atteggiamento dell’impero ottomano, per esempio nei confronti degli ebrei, è stato di gran lunga più tollerante e tendente all’assimilazione di quello della chiesa cattolica, che ha voluto le crociate e lo ha investito di maledizioni e improperi, senza che questi portassero a nessuna Jihad, anzi, il famoso “feroce Saladino” era un interessante pacifista. L’estremismo dell’ammazzare tutti i non fedeli al profeta appartiene ai nostri giorni, ed è molto più serio cercarne le origini nelle forme coloniali e non coloniali adottate dall’Occidente che in un passo o l’altro del Corano.
Un fenomeno non meno importante riguarda il fascino che forme estreme di milizia, che arrivano fino al mettere in conto la propria morte per “martirio”, abbiano sui giovanissimi occidentali che raggiungono la Siria o altri luoghi dove possono arruolarsi con i maestri del fondamentalismo. La tanto conclamata fine delle ideologie sembra aver lasciato in piedi soltanto l’assolutismo di alcune minoranze musulmane, come appunto la Jihad e in modo particolare il recente Daesh, cioè lo Stato islamico rappresentato dal cosiddetto Califfato di al Baghdadi.
Da noi già appare la voglia di condannare i rappers che sembrano ispirarsene: errore dal quale bisognerà guardarsi. Insomma, il fascino dell’islamismo radicale corrisponde alla stupidità con la quale la cultura predominante in Occidente sembra trattare il bisogno di un “senso” non riducibile ai soldi che gli aspetti ideologici della globalizzazione hanno tentato di offuscare dalle parti nostre. Grande problema del nostro tempo che è inutile esorcizzare.
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- www.sbilanciamoci.it
- Leggi i commenti; qui ne riportiamo solo uno (di Salvatore Annunziata)
Io vivo in Francia e mi occupo di disagio giovanile ad Avignone. L’articolo di Rossana Rossanda lo considero come il frutto di una persona colta, molto sensibile che legge quanto sta accadendo in Francia da mercoledi scorso con lenti inadeguate. In effetti è verissimo che chi ha decimato la redazione di Charlie Hebdo (che qui è vissuto come il residuo più autentico del maggio ’68) e assalito il supermarcato kascher è il frutto del passato coloniale della Francia e del fatto che la Francia, in quanto sistema paese, non ha acora fatto i conti col proprio passato di potenza coloniale. Potremmo dire che la Francia rapresenta, dal almeno due secoli e forse più, il paradosso già incarnato dalla civilissima ed europeissima Atene di Pericle, vale a dire paladina delle libertà e della democrazia per quelli civilizzati e l’esclusione, la schiavitù, la carità, la messa sotto curatela per quanti (e quante) considerati barbari (i popoli colonizzati) o inferiori (le donne e i minori). Allo stesso tempo però mi sembra che la Rossanda dimentichi un piccolo particolare e cioè che qui in Francia la gente “normale”, come me e qualche milione di persone, rischia di ritrovarsi stretta tra dei fascisti barbuti che non mangiano prodotti derivati da carne di maiale, che abbinano ostracismo verso la musica ma utilizzano internet e i GPS e che si dicono veri seguaci del Profeta e degli altri fascisti per lo più bianchi, che loro invece lo mangiano e lo amano il maiale (al punto di portare in piazza delle teste – vere o finte poco importa – alle manifestazioni), che negano la shoah, che gridano “la France aux français”, che si battono contro l’islamisazione dell’Europa. In breve, se vogliamo utilizzare come paragone quello che è successo nelle terre della morta Federazione Yugoslavia, potremmo dire che qui rischaimo di ritrovarci circondati tra Ustacha e Cetnici.
La grossa sfida che ci attende tutti e tutte, non solo in Francia ma in tutti i paesi europei, è di dare nuova linfa alla democrazia, all’accolgienza, al rispetto dell’alterità propria e altrui. Insomma, ci tocca fare la messa a punto del nostro referenziale culturale avendo come bussola non delle ideologie scollegate dalla vita, dalla storia di ognuno di noi, bensi la dichiarazione universale dei diritti umani secondo cui, art.1, ogni essere umano nasce uguale in diginità e diritti. Ecco i valori che dobbiano, con qualunque mezzo coerente a quest’obiettivo, promuovere e difendere.
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Strage Charlie Hebdo, Cacciari: “Politica di accoglienza o avremo il conflitto in Europa”
di Rodolfo Sala su Repubblica.it
MILANO – “I fatti orrendi di Parigi dovrebbero imporre a tutti noi di ragionare alla grande, ma in questo clima sono in pochi a ragionare, soprattutto in Italia. Il livello del dibattito è deprimente”. Lo dice il filosofo Massimo Cacciari.
E quale sarebbe, professore, la prima riflessione da fare?
“Negli ultimi venti-trent’anni abbiamo vissuto tutti nell’illusione che la storia potesse in qualche modo cancellare la propria dimensione tragica. Che la nostra Penisola potesse restare fuori dalle trasformazioni epocali che hanno rivoluzionato la geopolitica e prodotto una serie di conflitti (Afghanistan, Iraq, la questione irrisolta dei rapporti tra Israele e palestinesi) che anche per colpa dell’Occidente restano pesantemente irrisolti”.
Risultato?
“Vedo un rischio terribile e concreto. Il rischio di una guerra civile in Europa. Mi spiego: dobbiamo tenere presente che nel 2050 la metà della popolazione del nostro continente sarà di origine extracomunitaria, quindi è impensabile ritenerci in guerra, noi europei, con l’altra parte, con il mondo islamico. Per questo dico che bisogna ragionare alla grande. Il problema è con chi”.
A che cosa allude?
“In Europa, per non dire dell’Italia, in questo momento c’è una deficienza paurosa di personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c’è un’Europa in guerra, ci sono conflitti da disinnescare anche con le armi dell’intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo, difficile, faticoso. Ma non c’è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano proprio i terroristi”.
Le armi dell’intelligenza, lei dice…
“Certo. Se durante il secondo conflitto mondiale ci fosse stato solo il generale Patton, e non anche la lungimiranza di leader come Churchill e Roosevelt, avrebbe vinto Hitler. Affontare il problema solo dal lato della semplice repressione non basta, non può bastare. Anche se questi islamisti hanno compiuto un indiscutibile salto di qualità”.
In che senso?
“Non siamo in presenza del kamikaze solitario, della bomba anonima. Le azioni come quella di Parigi sono programmate con una logica militare che punta, voglio ripeterlo, allo scontro di civiltà”.
Quindi?
“Fino a quando la nostra democrazia non dimostrerà di essere accogliente, e continuerà con le disuguaglianze, questo tipo di terrorismo troverà sempre terreno favorevole. Sullo scenario europeo, ora si pensa di far fuori la Grecia, mentre si allargano i confini dell’Unione alla Lituania: è pazzesco”.
Ma i toni salgono, Salvini dice che siamo in guerra…
“Una battuta che si commenta da sé, sotto il profilo culturale. Sarebbe un errore madornale additare nell’Islam il nemico, il modo per moltiplicare gli jihadisti”.
Aggiunge che il Papa non deve dialogare con l’Islam…
“Figuriamoci che cosa importa al Pontefice delle parole di Salvini. Che insieme alla Le Pen sta facendo di tutto per ostacolare il dialogo. Se si votasse domani la Lega e il Front national prenderebbero una valanga di voti. Sarebbe pericolosissimo, allora sì che saremmo in guerra. Certo, poi occorre realismo “.
E cioè?
“Riconoscere che fino a quando non sarà abbattuto lo Stato islamico dobbiamo aspettarci il peggio. Ma lo si abbatte solo se non si invoca il conflitto di civiltà. Purtroppo quando la storia appare tragica si fa molto fatica a ragionare. È del tutto logico, e porta anche voti: ma è anche pericolosissimo. Bisognerebbe fare un grande sforzo a partire da noi italiani, non credo sia inutile. In fin dei conti, con la storia che abbiamo, dovremmo essere vaccinati. Anche se adesso non pare così”.
RIFLESSIONI ATTIVE. E’ nella convergenza fra la lotta per i diritti dei popoli europei e quella dei paesi dell’altra sponda mediterranea che può poggiare una ripresa di valori democratici e di civiltà. Ma chi organizza questo progetto? E in Sardegna?
Union sacrèe coi governi che attaccano i diritti?
di Andrea Pubusa, su Democraziaoggi
A Parigi domenica si sono riuniti quasi tutti i capi di governo responsabili dell’impoverimento generale dei popoli europei e insieme della insostenibile situazione delle masse del Medio Oriente e dell’Africa. Hanno capeggiato una grande manifestazione a difesa dei valori democratici dell’Occidente, mentre nei loro paesi e nell’UE, sotto la spinta del capitale finanziario, aggrediscono i diritti sociali, frutto delle Costituzioni nate dalla Resistenza al nazifascismo e delle lotte dei decenni successivi. Particolarmente visibile questo attacco sul fronte delle diseguagluanze, che prima si tendeva se non a colmare, almeno a temperare e da due decenni a questa parte hanno ripreso a crescere creando una forbice fra ricchi e poveri che ci riporta indietro più d’un secolo. Il punto di sfondamento è individuabile nel lavoro, il cui oggetto è ormai ridotto a mera merce, cancellando la soggettività, l’umanità di chi la produce, e dunque privando i lavoratori di qualsiasi diritto, anche di quello primario ad un salario che garantisca una vita libera e dignitosa, come dice la nostra Costituzione. Capeggiano questi signori la grande manifestazione in difesa delle libertà, ma disconosconoi la piena soggettività del lavoratore e riducono la massa a mera destinataria non solo dei poteri di governo, ma anche dell’informazione che dicono di voler difendere. Questa torna ad essere formalmente libera, ma nella sostanza è in mano a grandi potentati economici che formano un’opinione che distorce la realtà. Le leggi elettorali truffaldine, che limitano la rappresentanza fino a cancellarla, sono il risvolto di questa realtà a-democartica, dai Comuni al Parlamento. Capeggiano la manifestazione oceanica, ma calpestano la democrazia svuotandola di contenuto.
Quanto è accaduto in Afghanistan, in Irak e poi in Libia è il risvolto internazionale di questa politica. Invasioni violente, con massacri di massa, ammantate dalla missione impossibile di esportare la democrazia, in realtà espressione di una volontà aggressiva volta a far fuori governi, di cui spiace non tanto il carattere autocratico quanto la pretesa di gestione autonoma delle proprie risorse. Non è un caso che “il soccorso democratico” a suon di bombe è disposto solo in paesi ricchi di petrolio o in posizione strategica per il passaggio delle fonti energetiche. Le altre emergenze umanitarie sono dimenticate.
I capi di governo di Parigi sono dunque la faccia principale della dissoluzione dei valori democratici ch’essi hanno imposto a livello interno e internazionale.
La ricomposizione non può dunque passare cementando una union sacrée fra masse e questi capi di governo, così come non può nell’altro versante formarsi attorno a capi integralisti e fascistoidi, che sono specularmente l’altra faccia della medaglia. E’ nella convergenza fra la lotta per i diritti dei popoli europei e quella dei paesi dell’altra sponda mediterranea che può poggiare una ripresa di valori democratici e di civiltà. Ma chi organizza questo progetto? La scomparsa della sinistra in Europa, e, per quanto ci riguarda, in Italia, rende difficile persino pensare ad una lotta di questa portata. Ma da qui bisogna ripartire. Qualche indicazione positiva viene da Syriza in Grecia. Ma in giro di Tsipras non se ne vedono altri. C’è molto da lavorare.
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- Qualche spiegazione per la scelta dell’illustrazione nella pagina fb di Tonino Dessì, che ringraziamo per la riflessione e la ricerca che ci offre.
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Distrazioni di massa
di Omar Onnis, su SardegnaMondo
I fatti di Parigi del 7 gennaio scorso hanno scosso l’opinione pubblica anche in Sardegna, com’è inevitabile. Ed anche in Sardegna si è scatenato il delirio anti-islamico e anti-immigrazione. L’episodio sconcertante dell’assessore alla cultura di Bonorva, che lancia proclami di odio via FB, è solo un sintomo. È il sintomo della pessima selezione della nostra classe politica (caso mai avessimo bisogno di conferme) ed anche della facilità con cui è possibile manipolare la percezione delle cose e la stessa emotività di grandi masse di cittadini.
Davanti a fatti così tragici e così simbolici assumere un atteggiamento distaccato è difficile per chiunque. Nondimeno è indispensabile cercare di dipanare la matassa complessa del nostro presente per non farsene soffocare. E che il rischio sia di soffocare è evidente. Soprattutto in un luogo impoverito e indebolito come la Sardegna di oggi.
Nel nostro caso, infatti, la funzione distraente delle narrazioni tendenziose ha una forza e una portata amplificate. L’analfabetismo funzionale di massa, le aspettative decrescenti, la rabbia diffusa sono un materiale facilmente malleabile nelle mani di chi dispone di conoscenze, risorse e obiettivi solidi da perseguire. Sappiamo come va, è già successo. Ci hanno fatto accettare fatti, scelte, condizioni che nessuno, nel pieno possesso delle proprie facoltà, accetterebbe mai. Ma manipolare delle masse è più facile che persuadere una persona singola. Soprattutto quando mancano i riferimenti culturali, quando le formazioni intermedie non solo non fanno da filtro e da aggregatrici di interessi e obiettivi, ma sono sostanzialmente al servizio della nostra sottomissione.
Mentre molti sardi si lasciano trascinare nella ventata d’odio contro i musulmani o contro gli immigrati in generale, i sindacati rilanciano l’idea della chimica verde nel nord dell’isola e delle coltivazioni estensive di canne nel sud. La classe politica amplifica il ricatto occupazionale e, anziché mettersi di buona lena a cercare soluzioni, si mette a disposizione di avventurieri e affaristi per assecondarne i piani. La scuola muore, l’università è in declino (e non certo per colpa dello stato patrigno, o almeno non solo), l’emigrazione riprende a ritmi crescenti, l’inquinamento non diminuisce affatto, l’agricoltura è allo sbando, il mondo della cultura è completamente abbandonato a se stesso. Ammetto che a volte la reazione a tante lamentele si riduce a una domanda: ma voi chi avete votato fin qui? Ma chiaramente non la si può fare così semplice.
Occorre tenere ben desta l’attenzione sulle questioni cruciali, senza farsi distrarre dalle ombre proiettate per confondere le menti. Davanti all’intolleranza e alla violenza, servono maggiore inclusività e compresione. Non integrazionismo a tutti i costi, ma capacità di rispettare gli altri per quello che sono, fintanto che rimangono nei limiti della legalità e della convivenza pacifica al cui rispetto siamo tenuti tutti. Per combattere l’impoverimento culturale, la debolezza economica, la disoccupazione, non servono fughe in avanti fantasiose, ma proposte concrete, investimenti pubblici mirati e ben pianificati, servono maggior istruzione, maggiore conoscenza strutturata, maggior senso di responsabilità verso la sfera pubblica. Prima di tutto da parte della classe politica.
Chi grida contro i musulmani e nel mentre fa spartizioni di sottogoverno, o fa accordi con il Qatar, è un nemico molto più pericoloso di qualsiasi immigrato. In questa fase risultano dunque ancor più inutili, se non strumentali allo status quo, i discorsi di tipo etnocentrico, discriminatorio, nostalgico.
Non è l’immigrazione a costituire un rischio, specie in una terra lanciata verso un futuro prossimo di spopolamento. Non è nemmeno l’islam, in Sardegna largamente minoritario. Evocare a questo proposito la minaccia araba e saracena dei secoli passati è una sciocchezza dovuta non solo al razzismo ma anche all’ignoranza. Se è per quello, ci sono stati nella nostra storia momenti difficili in cui con l’islam i Sardi avevano raggiunto una tregua (e forse anche una alleanza), per esempio tra VIII e IX secolo. Sappiamo bene che qualsiasi problema creato nel corso del tempo dalle scorribande dei mori (spesso guidate da sardi, per altro) è niente in confronto ai guasti prodotti dalle classi dominanti di turno, compresa quella attuale.
La desertificazione culturale e l’ostinazione con cui la si persegue a livello politico non aiutano certo. Non è la cultura, a minacciarci, né la nostra né quella altrui. Caso mai la stupidità. Mi turba molto che in questi giorni in Sardegna vengano evocati maestri di pensiero equivoci come Oriana Fallaci o impresentabili cone Matteo Salvini. Abbiamo bisogno di questo? Di questo deve animarsi il nostro dibattito pubblico? Ricordiamoci che noi, prima di essere partecipi di un discorso razzista e di sopraffazione, ne siamo vittime. Questo dovrebbe esserci chiaro e dovrebbe anche insegnarci qualcosa.
Non c’è una sola ragione al mondo per cui la Sardegna debba essere una terra povera, spopolata e marginale. Se questa è la sua condizione, le cause sono storiche e storicamente determinabili. Se è vero che non esiste alcuna tara congenita, a spiegazione di questo stato di cose, non c’è però neanche una generica minaccia esterna ai nostri danni. Se pensassimo un po’ meno ai falsi bersagli additati da mass media e da gruppi di potere interessati e ci facessimo un bell’esame di coscienza quanto a ricerca di assistenzialismo, o di favori, quanto a noncuranza verso i nostri beni comuni, quanto a ignoranza di noi stessi, forse le cose per noi cambierebbero in meglio, senza bisogno di scomodare l’immigrazione, o l’islam, né Dio o chi per lui.
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L’importanza della luce quando siamo al buio
di Vanni Tola
“Se questo è un uomo”, già, se questo è un uomo. Come avrebbe commentato la strage di Parigi lo scrittore Primo Levi? Quali considerazioni avrebbe sviluppato sugli uomini che, in nome di Dio, hanno realizzato una strage di esseri umani per vendicare le offese al loro Profeta, realizzate con vignette satiriche? Se questo è un uomo. Come avrebbe descritto Primo Levi la barbarie di quei combattenti che, in nome della grandezza del loro Dio, hanno ripetutamente violato l’innocenza e l’integrità fisica di una bambina collocandole addosso un ordigno esplosivo per poi mandarla tra persone, anche esse innocenti, e farla esplodere come un pacco bomba, usando un telecomando? Che avranno pensato mentre, lontani dalla scena dell’attentato, la osservavano camminare verso i “nemici”? Che cosa le avranno raccontato per convincerla o indurla a recitare fino in fondo il terribile compito che le era stato assegnato? Che sensazioni avranno provato un attimo prima di attivare il comando elettronico che l’avrebbe ridotta in mille pezzi insieme a tante altre persone? E dopo, dopo, che sensazioni avranno provato? Si saranno sentiti eroi appagati per il loro eroico gesto o si saranno sentiti oppressi dal dubbio di aver compiuto una azione vigliacca quanto inutile e crudele? Non lo sapremo mai Primo Levi non c’è più. Nel cielo volano uccelli scuri, avvoltoi rapaci pronti a raccogliere brandelli di corpi innocenti per dare fiato ai loro propositi di guerre contro i diversi, guerre di “religione”, “guerre di civiltà”. Noi, i buoni, contro gli islamici, i cattivi. Niente di buono all’orizzonte. Dice una diciottenne Pakistana, il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai, essa stessa vittima di un vile attentato degli estremisti islamici.
“Tutti ci rendiamo conto dell’importanza della luce quando ci troviamo al buio e tutti ci rendiamo conto dell’importanza della voce quando c`e il silenzio. Non odio neppure il Taliban che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano ed egli mi stesse davanti e stesse per spararmi, io non sparerei. Questa è la compassione che ho appreso da Mohamed, il profeta misericordioso, da Gesù Cristo e dal Buddha. Questo è il lascito che ho ricevuto da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non-violenza che ho appreso da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che la mia anima mi dice: siate in pace e amatevi l’un l’altro. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo. I libri e le matite sono la nostra arma più formidabile, quella che potrà farci vincere la miseria e conquistare la pace”.
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“In Europa, per non dire dell’Italia, in questo momento c’è una deficienza paurosa di personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c’è un’Europa in guerra, ci sono conflitti da disinnescare anche con le armi dell’intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo, difficile, faticoso. Ma non c’è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano proprio i terroristi” (Massimo Cacciari)
L’ambiguità delle piazze francesi
di Rossana Rossanda, su Sbilanciamoci.it
Non si possono portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista francese, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica
Le sole parole equilibrate nel diluvio di dichiarazioni di orrore e di angoscia anche della stampa italiana per l’assassinio dei disegnatori e del direttore di “Charlie Hebdo” le ha scritte Massimo Cacciari, riportando la questione alla sua dimensione temporale e politica. La grande emozione e protesta che ha subito riempito in modo spontaneo le piazze francesi non è mancata infatti di qualche ambiguità. Si è potuto manifestare legittimamente, e quasi accogliendo l’invito del presidente Holland, il rifiuto del fondamentalismo e la difesa della repubblica e il “no” ai problemi posti dalla grande immigrazione musulmana in Europa.
Facilitata in Francia dal troppo coltivato richiamo alla colonizzazione francese in Africa del Nord e nel Medio Oriente. Da molti decenni si è dimenticato che un accordo fra un alto funzionario inglese, Sykes, e uno francese, Picot, disegnò la spartizione dell’impero ottomano fra Francia e Gran Bretagna. La Gran Bretagna poi ha prevalso e ancora più recentemente hanno prevalso le politiche degli Stati Uniti. Ma le recenti scelte di Holland di intervento nel corno d’Africa e nell’Africa centrale hanno, senza volerlo, ripristinato l’immagine di una gloria coloniale che dà fiato a Marine Le Pen. Ugualmente le parole del presidente Holland subito dopo l’attentato, richiamando tutto il paese all’unità contro il terrorismo, sono parse legittimare la richiesta del Fronte nazionale di partecipare alla grande manifestazione ufficiale antifondamentalista di domenica prossima, che lo ha messo non poco in imbarazzo davanti allo slancio con il quale Marine Le Pen ha annunciato la sua partecipazione. Non si possono infatti portare avanti due politiche opposte – l’accarezzare vecchie e ingiustificabili tendenze coloniali e la difesa dei valori repubblicani – come ha fatto il governo socialista, nel tentativo di mettere in campo un diversivo allo scontento popolare in tema di diritti dei lavoratori e di politica economica.
Lo slogan “Je suis Charlie” manifestava efficacemente un appoggio a un giornale niente affatto di grandissima diffusione, che in generale non fa complimenti al Fronte Nazionale. Si può del resto discutere di un tema già volgarizzato in Italia come l’immunità politica della satira, oggi difesa apparentemente da tutti. Le famose vignette danesi contro Maometto sono state amplificate da Charlie Hebdo in un’accentuazione dell’ateismo fin troppo augurabile ma da non identificare col disprezzo di tutti i credenti: “Nel cesso tutte le religioni”, aveva scritto e pubblicato in prima pagina quel giornale. Alla incapacità della sinistra di portare argomenti laici alla ribalta dell’opinione pubblica, e di rispondere al richiamo oggi esercitato specie da alcuni monoteismi e dal buddismo, sia pure assai diversi, ha corrisposto l’indulgenza a forme facili di caricatura, che sicuramente hanno offeso i milioni di musulmani in Europa. Basti pensare a quale accoglienza avrebbero avuto se quelle vignette si fossero nominativamente applicate a Gesù Cristo. Non penso che sia utile lasciare ai caricaturisti un compito che per loro natura, volendo irridere a tutte le fedi, non possono esercitare: è come se gettassero un fiammifero in un barile di benzina. È proprio la debolezza della sinistra del dopo il 1989 a produrre questa rinascita in forza delle religioni.
Per quanto riguarda quella musulmana, come non chiedersi perché il suo fondamentalismo – che pareva essere escluso da una organizzazione non piramidale delle sue chiese – sia scoppiato in queste forme mortifere, particolarmente oggi. Maometto esiste dal Settimo secolo e da allora in poi l’atteggiamento dell’impero ottomano, per esempio nei confronti degli ebrei, è stato di gran lunga più tollerante e tendente all’assimilazione di quello della chiesa cattolica, che ha voluto le crociate e lo ha investito di maledizioni e improperi, senza che questi portassero a nessuna Jihad, anzi, il famoso “feroce Saladino” era un interessante pacifista. L’estremismo dell’ammazzare tutti i non fedeli al profeta appartiene ai nostri giorni, ed è molto più serio cercarne le origini nelle forme coloniali e non coloniali adottate dall’Occidente che in un passo o l’altro del Corano.
Un fenomeno non meno importante riguarda il fascino che forme estreme di milizia, che arrivano fino al mettere in conto la propria morte per “martirio”, abbiano sui giovanissimi occidentali che raggiungono la Siria o altri luoghi dove possono arruolarsi con i maestri del fondamentalismo. La tanto conclamata fine delle ideologie sembra aver lasciato in piedi soltanto l’assolutismo di alcune minoranze musulmane, come appunto la Jihad e in modo particolare il recente Daesh, cioè lo Stato islamico rappresentato dal cosiddetto Califfato di al Baghdadi.
Da noi già appare la voglia di condannare i rappers che sembrano ispirarsene: errore dal quale bisognerà guardarsi. Insomma, il fascino dell’islamismo radicale corrisponde alla stupidità con la quale la cultura predominante in Occidente sembra trattare il bisogno di un “senso” non riducibile ai soldi che gli aspetti ideologici della globalizzazione hanno tentato di offuscare dalle parti nostre. Grande problema del nostro tempo che è inutile esorcizzare.
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- Leggi i commenti; qui ne riportiamo solo uno (di Salvatore Annunziata)
Io vivo in Francia e mi occupo di disagio giovanile ad Avignone. L’articolo di Rossana Rossanda lo considero come il frutto di una persona colta, molto sensibile che legge quanto sta accadendo in Francia da mercoledi scorso con lenti inadeguate. In effetti è verissimo che chi ha decimato la redazione di Charlie Hebdo (che qui è vissuto come il residuo più autentico del maggio ’68) e assalito il supermarcato kascher è il frutto del passato coloniale della Francia e del fatto che la Francia, in quanto sistema paese, non ha acora fatto i conti col proprio passato di potenza coloniale. Potremmo dire che la Francia rapresenta, dal almeno due secoli e forse più, il paradosso già incarnato dalla civilissima ed europeissima Atene di Pericle, vale a dire paladina delle libertà e della democrazia per quelli civilizzati e l’esclusione, la schiavitù, la carità, la messa sotto curatela per quanti (e quante) considerati barbari (i popoli colonizzati) o inferiori (le donne e i minori). Allo stesso tempo però mi sembra che la Rossanda dimentichi un piccolo particolare e cioè che qui in Francia la gente “normale”, come me e qualche milione di persone, rischia di ritrovarsi stretta tra dei fascisti barbuti che non mangiano prodotti derivati da carne di maiale, che abbinano ostracismo verso la musica ma utilizzano internet e i GPS e che si dicono veri seguaci del Profeta e degli altri fascisti per lo più bianchi, che loro invece lo mangiano e lo amano il maiale (al punto di portare in piazza delle teste – vere o finte poco importa – alle manifestazioni), che negano la shoah, che gridano “la France aux français”, che si battono contro l’islamisazione dell’Europa. In breve, se vogliamo utilizzare come paragone quello che è successo nelle terre della morta Federazione Yugoslavia, potremmo dire che qui rischaimo di ritrovarci circondati tra Ustacha e Cetnici.
La grossa sfida che ci attende tutti e tutte, non solo in Francia ma in tutti i paesi europei, è di dare nuova linfa alla democrazia, all’accolgienza, al rispetto dell’alterità propria e altrui. Insomma, ci tocca fare la messa a punto del nostro referenziale culturale avendo come bussola non delle ideologie scollegate dalla vita, dalla storia di ognuno di noi, bensi la dichiarazione universale dei diritti umani secondo cui, art.1, ogni essere umano nasce uguale in diginità e diritti. Ecco i valori che dobbiano, con qualunque mezzo coerente a quest’obiettivo, promuovere e difendere.
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Strage Charlie Hebdo, Cacciari: “Politica di accoglienza o avremo il conflitto in Europa”
di Rodolfo Sala su Repubblica.it
MILANO – “I fatti orrendi di Parigi dovrebbero imporre a tutti noi di ragionare alla grande, ma in questo clima sono in pochi a ragionare, soprattutto in Italia. Il livello del dibattito è deprimente”. Lo dice il filosofo Massimo Cacciari.
E quale sarebbe, professore, la prima riflessione da fare?
“Negli ultimi venti-trent’anni abbiamo vissuto tutti nell’illusione che la storia potesse in qualche modo cancellare la propria dimensione tragica. Che la nostra Penisola potesse restare fuori dalle trasformazioni epocali che hanno rivoluzionato la geopolitica e prodotto una serie di conflitti (Afghanistan, Iraq, la questione irrisolta dei rapporti tra Israele e palestinesi) che anche per colpa dell’Occidente restano pesantemente irrisolti”.
Risultato?
“Vedo un rischio terribile e concreto. Il rischio di una guerra civile in Europa. Mi spiego: dobbiamo tenere presente che nel 2050 la metà della popolazione del nostro continente sarà di origine extracomunitaria, quindi è impensabile ritenerci in guerra, noi europei, con l’altra parte, con il mondo islamico. Per questo dico che bisogna ragionare alla grande. Il problema è con chi”.
A che cosa allude?
“In Europa, per non dire dell’Italia, in questo momento c’è una deficienza paurosa di personale politico in grado di affrontare il problema. Qui non c’è un’Europa in guerra, ci sono conflitti da disinnescare anche con le armi dell’intelligenza. E con la consapevolezza che si tratta di un processo lungo, difficile, faticoso. Ma non c’è alternativa, altrimenti si va dritti verso quello scontro di civiltà a cui puntano proprio i terroristi”.
Le armi dell’intelligenza, lei dice…
“Certo. Se durante il secondo conflitto mondiale ci fosse stato solo il generale Patton, e non anche la lungimiranza di leader come Churchill e Roosevelt, avrebbe vinto Hitler. Affontare il problema solo dal lato della semplice repressione non basta, non può bastare. Anche se questi islamisti hanno compiuto un indiscutibile salto di qualità”.
In che senso?
“Non siamo in presenza del kamikaze solitario, della bomba anonima. Le azioni come quella di Parigi sono programmate con una logica militare che punta, voglio ripeterlo, allo scontro di civiltà”.
Quindi?
“Fino a quando la nostra democrazia non dimostrerà di essere accogliente, e continuerà con le disuguaglianze, questo tipo di terrorismo troverà sempre terreno favorevole. Sullo scenario europeo, ora si pensa di far fuori la Grecia, mentre si allargano i confini dell’Unione alla Lituania: è pazzesco”.
Ma i toni salgono, Salvini dice che siamo in guerra…
“Una battuta che si commenta da sé, sotto il profilo culturale. Sarebbe un errore madornale additare nell’Islam il nemico, il modo per moltiplicare gli jihadisti”.
Aggiunge che il Papa non deve dialogare con l’Islam…
“Figuriamoci che cosa importa al Pontefice delle parole di Salvini. Che insieme alla Le Pen sta facendo di tutto per ostacolare il dialogo. Se si votasse domani la Lega e il Front national prenderebbero una valanga di voti. Sarebbe pericolosissimo, allora sì che saremmo in guerra. Certo, poi occorre realismo “.
E cioè?
“Riconoscere che fino a quando non sarà abbattuto lo Stato islamico dobbiamo aspettarci il peggio. Ma lo si abbatte solo se non si invoca il conflitto di civiltà. Purtroppo quando la storia appare tragica si fa molto fatica a ragionare. È del tutto logico, e porta anche voti: ma è anche pericolosissimo. Bisognerebbe fare un grande sforzo a partire da noi italiani, non credo sia inutile. In fin dei conti, con la storia che abbiamo, dovremmo essere vaccinati. Anche se adesso non pare così”.
Oggi martedì 13 gennaio 2015
Gli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: sabato 17 a Cagliari Corradino Mineo.
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L’autunno caldo in Sardegna: il dramma della disoccupazione, gli annunci, le promesse e le speranze. Il dibattito e oltre
Dopo una lunga stagione estiva è arrivato l’autunno. Un autunno caldo come da tradizione. Ed in effetti questo autunno caldo lo sarà per davvero. Guardiamoci un po’ intorno. Milleseicento dipendenti di Meridiana rischiano il licenziamento. La lotta sindacale, ancora in corso, probabilmente riuscirà a limitare il numero di licenziati ma la vicenda si concluderà certamente con un ulteriore incremento della disoccupazione regionale. Altra vicenda. Durante l’estate, una serie di problemi burocratici e procedurali ha fatto correre il rischio alla Sardegna di vedere sfumare uno dei più grandi finanziamenti mai proposti per l’isola. Ci riferiamo naturalmente all’investimento della Quatar Foundation per la realizzazione ad Olbia di un importante centro ospedaliero e di ricerca medica. Un progetto da 1,2 miliardi di euro con una previsione occupazionale di almeno mille unità e la prospettiva di generare attività indotte. La società General Eletric ha già confermato un intervento di 100 milioni per la realizzazione le apparecchiature elettroniche dell’ospedale e la Cisco un investimento per quelle informatiche. Nell’occasione la burocrazia e la lentezza della pubblica amministrazione si sono riconfermate come uno dei principali ostacoli per lo sviluppo. Fortunatamente la vicenda ha avuto esito positivo, il progetto sarà realizzato con i tempi e le modalità dei grandi imprenditori capaci di programmare e gestire grandi investimenti. Il tutto accadrà in cinque o sei mesi in una regione nella quale, per realizzare pochi chilometri di una arteria stradale, si impiegano decenni. Certamente una salutare lezione per la programmazione regionale. Altro tema caldo del nostro caldo autunno, la Chimica Verde. Qualche mese fa abbiamo partecipato alla solenne inaugurazione degli impianti Matrìca di Portotorres. Era presente il ministro Galletti e i maggiori responsabili del progetto. La produzione dell’impianto sarebbe dovuta iniziare dopo qualche mese ma ancora non se ne ha notizia. Molto poche le comunicazioni sulla materia prima da impiegare, quel cardo che è stato oggetto di tante discussioni. Si è saputo soltanto che la sperimentazione della coltivazione si è conclusa positivamente. Tra le righe degli interventi dei relatori abbiamo colto la notizia che, nella fase iniziale della attività produttiva, la materia prima non sarebbe stato il cardo locale ma una sostanza oleaginosa di origine vegetale proveniente dalla Spagna attraverso il mare. In queste settimane si è registrato grande fermento negli ambienti sindacali che lamentano un ritardo da parte dell’Eni nel completamento del progetto e nell’avvio della produzione. Il timore è che l’Eni possa procedere ad un drastico dimensionamento del progetto Chimica Verde in coerenza con la propria strategia industriale che prevede una riduzione del numero degli impianti operanti in Italia. Pronta la smentita del Presidente della Regione Francesco Pigliaru che, in occasione di un recente convegno di studi svoltosi a Sassari, ha dichiarato di aver avuto assicurazione dalla Ad di Matrica Katia Bastioli che l’investimento su Portotorres non avrebbe subito rallentamenti. Intanto però si registra la decisione di Matrìca di non realizzare la centrale a biomasse prevista inizialmente dal progetto e la sua sostituzione con due impianti minori per la produzione di vapore, con buona pace di chi temeva che tale impianto potesse essere trasformato in un inceneritore di rifiuti. La mancata realizzazione della centrale a biomassa, che da sola rappresenta un investimento di ben 230 milioni dei 730 complessivi , é indubbiamente un taglio significativo dell’investimento inizialmente programmato. Un altro dato certo, indicatore di un ridimensionamento del progetto in atto, è rappresentato dal cambio di velocità di Matrica nella realizzazione degli impianti. Gli altri cinque impianti previsti all’interno del progetto “Chimica Verde” infatti non saranno realizzati comunque ma soltanto in relazione alle condizioni di mercato. Il che significa che potrebbero anche non essere realizzati o realizzati soltanto in parte. Meglio attendere ancora un po’ e raccogliere altri elementi prima di trarre conclusioni definitive ma l’allerta è d’obbligo. Noi riteniamo comunque che, a prescindere dalla fondatezza o meno delle notizie relative alla completa realizzazione del progetto Matrìca resti aperta una questione di fondo che chiameremo la “campagna del cardo”. Ancora oggi non è dato sapere infatti quanti ettari di terre marginali siano state coltivate a cardo per alimentare l’impianto della chimica verde, eccezion fatta per i campi sperimentali gestiti direttamente da Matrìca. Attendiamo di sapere che risultati concreti abbia determinato l’accordo Matrìca-Coldiretti per promuovere tra gli agricoltori la coltivazione di cardo. Questo perché è un dato di fatto – e lo si desume da precise ed esplicite affermazioni dei tecnici di Matrìca – che l’operazione chimica verde ha un senso ed una validità economica soltanto in funzione della capacità di reperire la materia prima (cardo) in prossimità degli impianti e in un raggio di poche decine di chilometri. L’approvvigionamento di materia prima da altre aree geografiche (cardo o altre essenze oleaginose) può avere un senso soltanto nella fase iniziale di avvio della produzione ma non può rappresentare la soluzione definitiva. Certo se fosse fallita la “campagna del cardo” e non esistesse una soluzione di ricambio (impiego di altre colture oleaginose disponibili) la situazione sarebbe realmente problematica. Un ultima riflessione. Si registra un crescente interesse da parte di imprenditori stranieri per investire nell’isola i loro capitali. Il Presidente Pigliaru ha dichiarato che “ il 2015 sarà l’anno dell’agricoltura perché il mondo vuole cibo di qualità e i cinesi hanno iniziato a bere latte. E io ho la fila di investitori esteri che vogliono terra, produzione sicura, contratti”. Prospettive di occupazione e ulteriore sviluppo anche in agricoltura? Naturalmente saranno le benvenute. Come pure sarà certamente ben accolto il progetto della svizzera Keelfeld di investire nell’area industriale di Truncu Reale (Portotorres)50 milioni di euro per creare 400 posti di lavoro. L’industria produrrebbe macchinari destinati al settore alimentare. Insomma ci pare di poter affermare che l’autunno sardo sarà un autunno con molta carne al fuoco, con molte proposte in discussione, con molte dinamiche in atto nel comparto industriale. E’ sempre più urgente e necessario che la Regione Sardegna riesca a dotarsi di una razionale, efficiente e realistica politica industriale che sappia orientare, dirigere e controllare le politiche dello sviluppo e per l’occupazione.
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UNGARETTI : SOLDATI
Soldati
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie
Settimana di ordinaria servitù
di Salvatore Cubeddu *
Cagliari, sabato 18 ottobre 2014
Si fa in fretta a fare il collegamento: mentre la Banca Popolare dell’Emilia Romagna va completando la sua definitiva presa di possesso delle banche sarde (Banco di Sardegna e Banca di Sassari), ora una cooperativa emiliana andrà a scavare il monumento più vissuto della storia dei Sardi, i giganti di Mont’e Prama: la scoperta archeologica dell’area mediterranea più importante negli ultimi cinquant’anni, nel cuore della civiltà occidentale. Aggiungiamoci il cedimento della giunta Pigliaru agli italo-cinesi di Narbolia nel fotovoltaico, il consenso del tribunale italiano in Sardegna alle esigenze dei militari (italiani) in barba a Pigliaru: avremo così una normale settimana di servitù della Sardegna agli organismi dello stato italiano. (Una parentesi: non è però da considerare un torto fatto ai Sardi la scelta di Matera rispetto a Cagliari. Dei limiti dell’amministrazione di questa nostra città nel campo culturale sarà bene iniziare a porci le domande che urgono da tempo, a costo di affermare delle verità non proprio piacevoli).
Siamo da mesi (anni?) in costante mobilitazione anti/servitù: militare (Capo Frasca, e via elencando); industriale (Matrica e gli emuli di Macchiareddu, P. Vesme, Chilivani e per la chimica verde), energetica (i precedenti, più le incursioni fotovoltaiche promosse e protette dai ministeri romani), territoriale (l’acquisto in corso dei terreni agricoli delle pianure con l’appoggio della Coldiretti), bancaria e culturale (i giganti ‘romagnoli’, non a caso promossi dalla sinistra in entrambi i casi).
C’è la generazione dei post-sessantenni, ormai quasi tutta pensionata, che continua nei modelli comportamentali della sua militanza giovanile e si sposta di qua e di là per l’Isola, accompagnata da non molti giovani volenterosi, senza che la difesa dei diritti dell’oggi diventi una sicura conquista per il domani.
Ma: come ci si muove allorchè un provvisorio armistizio sui poligoni concesso al presidente Pigliaru diventa decisione a favore dei militari da parte del tribunale della stessa Repubblica? E’ possibile andare avanti senza che le nostre conquiste vengano difese da nostre leggi, ad iniziare da quella fondamentale dello Statuto-costituzione della Sardegna?
Dobbiamo approvare una legge dove si dica che sui beni archeologici della Sardegna decidono i sardi, che le terre sarde non si vendono perché sono un bene identitario destinato a restare disponibili per noi, che all’Eni non si concede alcuna fiducia finchè non risana le terre che già ha rovinato, che le banche devono ritornare a essere gestite da e per la Sardegna, che l’energia la produciamo noi e per i nostri interessi. Con tutto il resto che si scrive nelle costituzioni dei popoli.
Il Consiglio regionale, nella sessione estiva dedicata alle riforme istituzionali, ha invece deciso di rimandare tutto. In realtà non ha deciso niente in maniera chiara. Quello che è successo va interpretato. Alla sarda. Perché da noi si parla ancora soprattutto con il silenzio o in suspu, direbbero i barbaricini.
Il Partito Democratico ‘in Sardegna’ (non esistono i ‘democratici sardi’) attenderà le decisioni di Renzi dopo l’approvazione in parlamento delle riforme istituzionali. Allora dovremo adeguarci alle decisioni assunte a Roma. Perché qui la dirigenza del Partito Democratico tende a rappresentare (ed a rappresentarsi in) Roma e non mostra di avere una propria idea del futuro dell’Isola. Se l’avesse, si metterebbe all’opera per formalizzare un proprio progetto sul nostro futuro in un testo a valore costituzionale che, ad iniziare dallo Stato italiano, tutti dovrebbero rispettare.
Questa settimana di ordinaria servitù è stata preceduta da tante altre, e ad essa ne seguiranno sempre di nuove, finchè … Finchè non ci lasceremo guidare come servi?
P.S. Cosa c’entra tutto questo con la nuova Carta di sovranità argomentata recentemente da Franciscu Sedda, segretario del partito dei sardi? C’entra. Ha a che vedere con la questione di fondo: se esistano per i sovranisti/indipendentisti dei punti programmatici irrinunciabili e se il nuovo statuto sia tra di essi. Dovremo tornare su questo punto.
* L’articolo di Salvatore Cubeddu viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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A cura di Aladin
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Hanno ragione quanti, pur dispiaciuti per la mancata nomina di Cagliari a “Capitale europea della cultura per il 2019″, apprezzano il lavoro che ha condotto l’amministrazione comunale, sindaco Zedda e assessore Puggioni in testa, insieme con molti altri, a ottenere comunque un ottimo risultato (essere tra le sei finaliste) e ritengono che occorra ripartire da qui, intanto per cercare di fare quanto ci si era proposti in caso di vittoria, certo con minori mezzi a disposizione; poi si tratta di migliorare il programma da attuare, correggendo gli errori, modificando impostazioni sbagliate o ricercando altre iniziative. A questo punto occorre avviare (anzi riprendere con più vigore) un grande dibattito che, a nostro parere, non può che muoversi per rispondere a questo interrogativo: “Quale è il ruolo di Cagliari rispetto alla Sardegna e, insieme ad essa, all’Europa?” Questo dibattito non può che svilupparsi nella logica del cambiamento. Cioè: “Come deve cambiare Cagliari per giocare un ruolo in e per una Sardegna che deve cambiare per rispondere agli interessi dei sardi. Noi diciamo che questa Sardegna nuova e possibile non possa che realizzarsi come regione d’Europa, di un’Europa che noi vogliamo evidentemente diversa e che pertanto ci impegniamo a cambiare.
Ecco allora una serie di (pochi) appunti per continuare a riflettere e, speriamo, che le idee, le buone idee, si trasformino almeno in buona parte in opere.
Appunti
Il ruolo di Cagliari per una possibile nuova Europa*
Cagliari ha in Sardegna un ruolo decisivo, una funzione fondamentale di guida dell’intera regione, di peso paragonabile a quello dell’Istituzione Regione. Come capita a tutte le capitali di questo mondo, per esercitare questa funzione dispone di risorse specifiche, che al di là delle critiche universalmente rivolte a tutte le capitali del mondo, deve congruamente restituire in benefici non solo ai suoi abitanti ma a tutti i cittadini che gliele hanno affidate. Nel caso di Cagliari a tutti i sardi. La Sardegna e i sardi abbiamo bisogno di praticare nuove politiche di sviluppo attraverso la realizzazione di nuovi modelli sociali ed economici. Siamo proprio in questa fase. Al riguardo è richiesto sopratutto a Cagliari – ovviamente insieme alla Regione e agli altri Enti locali, in modo speciale insieme alle altre città della Sardegna e, pertanto, in primo luogo ai Sindaci di queste città – di cimentarsi in una sfida epocale. Ci sono tanti modi per farlo concretamente. Io credo che la stella polare della ricerca di nuove strade sia l’Europa. Certo non si tratta di accontentarsi dell’attuale Europa, peraltro in crisi perchè troppo chiusa nella cura dei mercati e degli interessi dei mercanti, quanto invece di una nuova Europa che dobbiamo costruire: l’Europa dei popoli. In questo ritornando al passato, alle origini, quando, all’indomani della seconda guerra mondiale, i padri fondatori dell’Europa comunitaria misero le basi della cooperazione economica pensando e preconfigurando come un sogno l’integrazione politica europea. Purtroppo tuttora, dopo tanti decenni, l’integrazione dell’Europa attraverso una vera e propria Confederazione di Stati è solo un sogno, e l’integrazione politica è attuata solo in piccola parte, carenza che costituisce la principale causa dei guai attuali dell’Unione Europea.
Allora Cagliari deve essere città sarda e insieme europea, in grado di tracciare nuove strade per se stessa, per la Sardegna e per l’Europa. Un’impostazione di questo tipo, appena qui tratteggiata, ha moltissimi risvolti pratici, concretizzandosi pertanto anche nelle scelte del quotidiano amministrare. In questo quadro, appena delineato, la stesse “opzione indipendentista” (comunque la vogliamo nominare) per la Sardegna può essere praticata con condivisione maggioritaria, non quindi come concezione separatista minoritaria o scelta estremista, proprio in quanto si può sviluppare con piena cittadinanza e dignità nell’ambito europeo, nella costruzione della possibile nuova Europa che abbiamo prospettato.
* Tratto da un editoriale di Aladinews del 12 marzo 2012
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Tonino Dessì su fb
Diciamoci la verità. Era, quella di Cagliari, un’impresa improvvisata, nella quale pochi cagliaritani sono stati coinvolti e della quale alla più parte dei sardi poco importava. Ora non cominciamo col vittimismo. In un largo immaginario mediatico (e non solo) certi riconoscimenti si conquistano se si è, per storia passata o almeno per vicende recenti, assunti come un simbolo, come qualcosa di emblematico. Piaccia o meno, Matera e i suoi Sassi sono uno degli emblemi del passato dolente del Sud Italia intero e ogni suo progresso un simbolo di un possibile futuro per l’Italia suo insieme. Non possiamo coltivare differenza e alterità senza sapere che si paga un prezzo.
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Nicolò Migheli su fb
Matera ha vinto perché è da anni che lavora per questo risultato. Ha avuto come sponsor Radio 3 con una trasmissione dedicata come Materadio. Ha vinto perché evidentemente aveva il miglior progetto. Cerchiamo di essere un po’ sportivi, non guasta.
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Ferdinando Secchi su fb
A mente fredda, abbiamo partecipato ad una competizione di straordinaria importanza e siamo arrivati ad un passo dalla vittoria. Abbiamo iniziato per ultimi questo percorso mentre Matera ha programmato la sfida nel 2007. Nella prima fase la nostra idea ha battuto cittá di cultura come Aosta, Bergamo, Caserta, Valle di Diano e Cilento con la Campania e il Mezzogiorno, Erice, Grosseto-Maremma, L’Aquila, Mantova, Palermo, Pisa, Reggio Calabria, Siracusa, Taranto-Sudest, Urbino e Venezia-Nordest. “La cosa più importante della sfida vinta da Matera è la straordinaria capacità progettuale d’insieme che hanno messo in campo le 6 città della short list. Il presidente della Commissione Green ieri ha affermato che nessun’altra competizione è mai stata di questo livello qualitativo”. Il ministro dei beni e delle attività culturale e del turismo, Dario Franceschini. Ha dichiarato “Per questo sono importantissime le due norme approvate dal parlamento con decreto Art Bonus. La prima è il programma Europa 2019 che prevede di sostenere la realizzazione del lavoro progettuale anche delle città che non hanno vinto. La seconda è l’introduzione dal 2015 della Capitale Italiana della cultura e sará una opportunità di competizione virtuosa a tutte le città italiane grandi e piccole, in grado di far scattare gli stessi meccanismi positivi e straordinari in termine di progettazione unitaria e creatività che abbiamo visto ora tra le sei città finaliste”. Mi dispiace per le cugurre e i detrattori ad ogni costo, ma Cagliari ha fatto un lavoro stupendo e otterrà lo stesso grandi risultati e poi come dice Francesco Frisco Abate siamo sempre, ogni anno, la Capitale del Piricocco!
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Francesca Ghirra su fb
È stata una sfida bella ed emozionante che ci ha restituito la fiducia e la possibilità di sognare. Sappiamo che uniti siamo capaci di grandi cose. Continuiamo a costruire insieme un futuro migliore per noi e la nostra città. Ce lo meritiamo! #cicreu #Cagliari2019
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- Rimane da vincere la sfida di sempre. Leader vera della Sardegna.. Gianni Filippini su L’Unione Sarda.
Peccato, peccato davvero! Sarebbe stata una gran bella occasione per tirar su la testa e mostrare quell’orgoglio di appartenenza che troppo spesso affoga nel grigiore della quotidianità. Avere il titolo di “Capitale europea della cultura”, poterlo vantare davanti al mondo, sarebbe stata infatti una carta con buone probabilità di essere vincente. E anche un irresistibile e vantaggioso richiamo per milioni di turisti. Di certo avrebbe funzionato da frustino per confermati impegni, rinnovate energie e coinvolgimenti convinti. E più nitida e stimolante sarebbe stata l’apertura di prospettive esaltanti per una crescita socioeconomica promossa e trainata dalla cultura, il potente motore così spesso maltrattato, in generale, da guidatori miopi e da meccanici impreparati. Anche senza il riconoscimento ufficiale, Cagliari può però proporsi – a buon diritto – come città dalle molte, singolari bellezze. Tutte caratteristiche, fra l’altro, che un clima di invidiata mitezza sa esaltare e tradurre in forte attrazione.
I progetti ci sono, bisogna comunque attuarli. Per tentare di vincere la difficile sfida, le cose, bisogna dire, erano state fatte con appassionata determinazione. Le carte presentate dal Comune restano di ottimo livello. Pur con qualche colpevole esclusione, una pattuglia politica e amministrativa ( sindaco Zedda e assessore Puggioni in testa) – con il contributo di qualificati esperti – aveva sottoposto all’esame della giuria un robusto e articolato dossier di idee creative, di buoni programmi, persino di qualche sogno. Insomma, poco o nulla era stato tralasciato per ottenere il prestigioso titolo. Quindi, il verdetto che nega a Cagliari la particolarissima chance non è il frutto di un impegno inadeguato. Perciò, un condivisibile filo di delusione non può prevalere sulla consapevolezza di aver fatto – persino con risorse limitate – il possibile.
Grave e imperdonabile errore sarebbe adesso il progressivo affievolirsi dell’apprezzato entusiasmo. Senza prospettive Cagliari ripiomberebbe nella fastidiosa routine di città che volta le spalle alla propria straordinaria ricchezza per vivere la soffocante normalità di tante piccole e grandi emergenze. La tensione deve invece restare alta, ogni energia va trasferita sulla sfida di sempre: saper essere veramente la capitale della Sardegna.
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Chiasteddu Onlài
17/10/14
La Chiapitale della Cultura è Mattera: ma noi tanto ci riproviamo l’anno prossimo
Alla fine no ce l’abbiamo fatta, nonostante ghe no c’è più Ciellino ma Giuliano alla fine il Chiagliari non è la capitale Europea della cultura. Stitzia si coddidi.
Alla fine su youtub hanno deciso ched’è Mattera, sempre ched’esiste e molti già urlano al gomblotto.
Cosa c’è a Mattera alla fine? I sassi, ma là ghe forse non hanno capito che di perdigoni ce n’abbiamo talmente tanti anche noi ghe Calamosca e Calafighera Massi li aveva chiusi a marolla appunto ghe erano fisso arrumbullonando perdigoni sopra la gente.
Dispiaciutissimo Massi ghe però assicura ghe anche se il Cagliari non è diventato Capitale Europea della Cultura gli aperitivini tattici promessi già si faranno l’ostesso, tanto l’ordinanza anticasini della Marina è finita e quindi Mattera ghe la marina manco cel’ha può tranquillamente cagarsi in mano e prendersi a schchiaffi.
Alla fine l’occhialino tattico di Massi non è bastato ad arrettare i livelli di cultura a Chiagliari, ghe comunque rimane sempre la Chiapittale del Mediterranio e quindi tutte le altre possono tranquille tirare in casino.
Ma poi, la verità? La-verità-la-verità? A sfreggio noi ci ritentiamo l’anno prossimo!
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- Per correlazione. Intervento di Franco Meloni su Cagliari e nuove strategie di sviluppo
in giro con la lampada di aladin…
- Il miraggio del lavoro e la Sardegna svenduta agli speculatori. Athony Muroni su L’Unione Sarda (ripreso da SardegnaSoprattutto).
- Zedda, tre ostacoli in 17 giorni per la ricandidatura a sindaco di Cagliari. Ce la farà a superarli?. Vito Biolchini su vitobiolchini,it
- ll jobs act è un manifesto della malafede. Su Democraziaoggi
Servitù militari: 13 settembre manifestazione a Capo Frasca
Sabato 13 settembre a Capo Frasca è stata organizzata da diverse associazioni e movimenti politici una grande manifestazione contro “l’occupazione militare della Sardegna”.
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Manifestada natzionale contra a s’ocupatzione militare
S’ocupatzione militare de sa Sardigna est un’abusu chi durat dae sessanta annos e chi non podimus suportare prus. Sa terra nostra l’ant fata diventare unu campu de isperimentatzione militare in ue est permissu cale si siat livellu de incuinamentu e in ue benint testadas unu muntone de tècnicas pro bochire sa gente. Prus est passende su tempus e prus s’istadu italianu est ismanniende su nùmeru e su pesu de sas esercitatziones militares. S’ocupatzione militare est sa negatzione prus ladina de sa soberania natzionale nostra e impedit a su pòpulu nostru de àere un’isvilupu sòtziu-econòmicu indipendente, cundennende sa Sardigna a s’impreu infame de àrea de servìtziu de sa gherra. Cherimus chi sa Sardigna siat un’ìsula de paghe e chi su territòriu suo non bèngiat impreadu prus pro sas esercitatziones de gherra de cale si siat esèrtzitu (su italianu cantu a sos àteros) e siat vietada in Sardigna cale si siat atividade o presèntzia de sos chi impreant sa gherra contra a sos àteros pòpulos o pro crìmines contra a sos tziviles bombardende ispidales, iscolas, domos e gente innotzente. Cherimus chi sa Sardigna siat vietada deretu e pro semper a s’aeronàutica militare israeliana.
TZERRIAMUS TOTU SU POPULU SARDU, IS ASSOTZIOS, IS PARTIDOS E IS COMITADOS A ADERIRE E LEARE PARTE A SA MANIFESTADA CHI B’AT A ESSERE IN CAPO FRASCA SU 13 DE CABUDANNI, PRO NARRERE A BOGHE MANNA CHI CHERIMUS:
- Firmare deretu totu sas esercitatziones militares.
- Serrare totu sas servitù, sas bases e sos polìgonos militares cun sa bonìfica e sa ricunversione de is àreas interessadas.
FINAS A CUSTU MAMENTU ANT ADERIDU A SA MANIFESTADA
A Manca pro s’Indipendentzia – PTS, Sardigna Natzione Indipendentzia, Comitato Sardo Gettiamo le Basi, Comitato Su Giassu, Comitato Civico Su Sentidu, Comitato No Radar Capo S.Marco, Comitato Sulcis In Lotta, Fronte Indipendentista Unidu, C.U.A. (Collettivo Universitario Autonomo) Casteddu, Confederazione Sindacale Sarda – CSS, Scida – Giovunus Indipendentistas, SIS-MA, Comitato No Megacentrale Guspini, Assòtziu de sos Istudentes Sardos – Su Majolu, ProgReS – Progetu Repùblica, Tzoku, Kentze Neke, Soberania Populare, Ora in silenzio per la pace – Genova, Tenore Luisu Ozzanu – Siniscola, Collettivo Furia Rossa – Oristano, Comitato Contro la Guerra – Milano, Assòtziu Zirichiltaggia, Coordinamento dei Comitati No MUOS, Comitato Amparu – Teulada, Testata libertaria “Odissea”, PCL Sardegna, Wesak del Mediterraneo, No Chimica Verde-No Inceneritore, Porto Torres-Sassari, Gruppo Opìfice, Assotziu Consumadoris Sardigna – Onlus. Una pagina fb di informazione – segue –
con la lampada di aladin…
in giro con la lampada di aladin…
Fedeltà a Renzi e tappeti rossi per le multinazionali: è questa l’idea di Pigliaru per la Sardegna?
30 agosto 2014 alle 02:20 Vito Biolchini su vitobiolchini.it
Ugo Cappellacci non ha proprio tutti i torti quando afferma che “la Giunta dei professori non produce niente di originale, ma copia e incolla le nostre azioni”: effettivamente sul San Raffaele l’esecutivo di centrosinistra e sovranista guidato da Francesco Pigliaru non avrebbe potuto soddisfare meglio le attese del centrodestra. Certo, ci sono battaglie che per loro natura uniscono gli schieramenti, ma chi come me inizia ad avere qualche capello bianco non può dimenticare la storica avversione al progetto dell’ospedale privato di don Verzè (ora fatto proprio da Qatar e Vaticano) da parte del centrosinistra sardo. - segue -
Bomba o non bomba
“Bomba o non bomba siamo arrivati a Roma, malgrado voi”, diceva una canzone del 1978 di Antonello Venditti. Metafora per raggiungere una meta, un successo. Sulla Sardegna è in programma una pioggia di bombe e missili nel prossimo autunno, i titoli dei giornali nazionali e sardi nei giorni scorsi. Si riferivano al documento del Ministero della Difesa. Da settembre anche gli F-15 e gli F-16 dell’Israeli Air Force verranno a Capo Frasca per sganciare bombe inerti da una tonnellata. In un’isola che ospita il 61% delle servitù militari e i tre più grandi poligoni d’Europa.
Non cantavano Venditti i nove parlamentari sardi nominati col porcellum (legge elettorale illegittima per la Corte Costituzionale) alla Camera dei Deputati. Oggi quel ritornello bomba o non bomba risuonerà nelle loro orecchie per aver votato a favore dell’equiparazione dei limiti d’inquinamento nelle aree militari a quelli delle aree industriali. Erano arrivati a Roma nel 2013 per tutelare gli interessi della Sardegna, malgrado chi dubitava che l’avrebbero fatto.
Intanto, secondo il Programma esercitazioni a fuoco secondo semestre 2014 del Reparto Sperimentale Standardizzazione al Tiro Aereo – Air Weapon Training Installation (Rssta-Awti) del 3 marzo 2014, nei poligoni sardi equiparati alle aree industriali pioveranno bombe. Non più inquinanti per i nostri parlamentari del gas della Saras a Sarroch o del cloro soda a Macchiareddu.
Risuonano sempre più flebili ed inascoltate le “proteste” della giunta Regionale per bocca della Spano, assessore all’ambiente: “La Giunta non ritiene accettabile l’assimilazione dei poligoni militari alle aree con destinazione industriale.[…] non mancheranno interlocuzioni forti con il Governo per arrivare a una soluzione quantomeno accettabile (sic?!) per la nostra Regione […] anche il presidente Pigliaru ha inviato una nota al Presidente del Consiglio Renzi, opponendosi alle soglie, aumentate di cento volte rispetto ai limiti in vigore”.
Intanto le proteste nulla possono contro la dura lex del Governo, votata anche dal Parlamento. Con i parlamentari sardi in prima fila, proni e chini, supportati dal ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti, ospite ferragostano in terra sarda che, fra una degustazione di prodotti tipici e l’altra, ha ricordato ai nativi come il DL Competività sia foriero di un’accelerata semplificazione per le bonifiche ambientali. Non ha chiarito con quali risorse e quando verranno effettuate. Nel frattempo green economy, ha sollecitato il ministro Udc. Facciamo coltura intensiva del cardo per la rivoluzionaria chimica verde. Il tutto in assenza di un Piano Industriale Regionale e di un Piano Energetico Regionale ed in presenza, sulle questioni specifiche, di un’imbarazzante incompetenza della giunta.
Galletti fa il paio con un suo collega total green. Dario Franceschini, ministro del MIBACT, quello del “gran bisogno” di campi da golf nel sud (http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/2700). Trovandosi a Sassari per la Faradda ed alla ricerca degli antenati suoi e della sua fidanzata ha taciuto su migliaia di ettari di terreno agricolo sottratti ad una corretta destinazione in favore della monocoltura del cardo da usare come combustibile a Porto Torres. Two green ministers are better than one, direbbero a Cambridge e noi più realisticamente alla faccia della tutela dell’ambiente e del paesaggio agricolo e culturale.
Intanto a settembre gli israeliani sganceranno in Sardegna un po’ di bombe inerti. Giusto per esercitarsi in previsione di quelle da sganciare nei territori palestinesi. Se fossero arrivati a Ferragosto avrebbero potuto anche loro sganciarci chiacchiere sulle bombe inerti. Magari che sono caricate ad ortaggi coltivati in Sardegna, tanto il comitato accoglienza se le beve tutte e ricambia con degustazioni made in Sardinia.
Peccato, a settembre dovremmo accontentarci delle bombe vere mentre la giunta regionale minaccia “interlocuzioni forti” con il governo! Per un minimo di decenza la smetta di borbottare facezie. Non ci crede nessuno. Né i suoi componenti né, soprattutto, i sardi.
* By sardegnasoprattutto / 18 agosto 2014
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La Costituzione ripudia la guerra. E Governo e Regione Sardegna?
di Redazione Sardegnasoprattutto
By sardegnasoprattutto / 17 agosto 2014
Per non dimenticare riportiamo l’art.11 della Costituzione Italiana: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”
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In giro con la lampada di aladin…
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Sardegna 2014, Ferragosto di lotta (ma con poca speranza).
di Vito Biolchini*
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Lo striscione esposto a Sassari contro le mancate bonifiche dell’Eni: una iniziativa del Comitato No Chimica Verde/No Inceneritore, Comitato Nurra Dentro-Riprendiamocil’Agro, Collettivo artistico Aznamusnart Idee al Pascolo e C.S.O.A. Pangea Porto Torres.
Ferragosto di lotta in Sardegna. A Sassari uno striscione di 25 metri è stato esposto durante la discesa dei Candelieri: “A fora li vel-Eni”. Se il tema che ha dominato nell’opinione pubblica sarda negli anni ’90 e 2000 è stato quello della tutela delle coste (risultando determinante per l’elezione nel 1994 di Federico Palomba e nel 2004 di Renato Soru) oggi l’argomento discriminante è quello dell’inquinamento e delle bonifiche. Discriminante ma non nuovo, giacché l’immagine del vagone ferroviario contenente rifiuti tossici che apriva il saggio di Salvatore Mannuzzu “Finis Sardinia” (nel volume Einaudi “la Sardegna”) è ancora tristemente vivo; ma, appunto, non attuale. Perché adesso l’inquinamento non viene dal mare: ora l’inquinamento siamo noi. Psicanaliticamente, c’è una bella differenza.
Tutto ruota ancora intorno al modello di sviluppo: quello che ha consentito alla Sardegna di uscire tra mille contraddizioni dai secoli della malaria e basato sullo stravolgimento delle campagne e su un carico ambientale impressionante, oggi non è più sostenibile né accettabile. Eppure anche questo esecutivo di centrosinistra e sovranista sembra voler proseguire sulla stessa strada di sempre. La chimica degli anni ’60 è diventata “verde” e per vivere ha la necessità di stravolgere l’agricoltura isolana coltivando a cardo migliaia di ettari. Ministri italiani magnificano il progetto, nel silenzio dell’assessore regionale all’agricoltura e del suo partito, quello che la parola “sovranista” si vanta perfino di averla inventata.
I poligoni militari (e tutti noi sappiamo quanto nel 2003, dopo decenni di manifestazioni, le dichiarazioni di Renato Soru contro la presenza americana a La Maddalena galvanizzarono l’opinione pubblica di sinistra: ma oggi Soru dov’è?) si apprestano a diventare altro pur rimanendo sempre quello che sono: ampi tratti di aria, di terra e di mare dove gli eserciti di tutto il mondo sparano, bombardano e inquinano.
In realtà sarebbe più giusto dire “inquinavano” vista la decisione della Camera di equiparare i limiti tollerati nelle aree militari a quelli, molto più alti, fissati per le aree industriali. Uno scandalo gigantesco (che ha avuto il via libera anche dei parlamentari sardi del Pd Emanuele Cani, Caterina Pes, Giovanna Sanna, Romina Mura, Giampiero Scanu, Siro Marroccu e Francesco Sanna, da quello dei Riformatori Pierpaolo Vargiu e da Roberto Capelli del Centro Democratico) a cui la giunta Pigliaru si è opposta blandamente, delegando all’assessore all’Ambiente Donatella Spano a fare la voce grossa: “La posizione della Regione era stata espressa anche con una nota inviata a tutti i parlamentari sardi” ha dichiarato dopo il voto alla Camera. E ancora: “Non mancheranno interlocuzioni forti con il Governo per arrivare a una soluzione quantomeno accettabile per la nostra Regione”. Perché questa è la giunta del “quantomeno accettabile”. E infatti i poligoni non verranno chiusi ma, come chiedono i militari, cambieranno semplicemente denominazione.
Così come molto difficilmente ci saranno le tanto attese bonifiche. Troppo costose per un paese come l’Italia che ormai non sa più a che buffone affidarsi pur di far finta di ignorare le terrificanti ricadute del fiscal compact. In grande, proprio quel pareggio di bilancio che, pintato da grande conquista, il presidente Pigliaru ha riportato in Sardegna dopo un viaggio a Roma da cui doveva tornare semplicemente con un po’ di soldi nostri. Un trionfo del “quantomeno accettabile”: per il governo italiano, non certo per l’isola.
Il passato non passa. Perfino le miniere di carbone si avviano ad un nuovo futuro di inopinato splendore, grazie al solito “centro d’eccellenza” sulle “energie pulite” (e cos’altro, d’altronde?), un polo “di ricerca avanzata” nelle miniere di Serbariu e di Carbonia dove verranno studiate e applicate “ tecnologie per l’uso sostenibile di combustibili fossili, l’efficienza energetica nell’edilizia, lo sviluppo delle fonti rinnovabili con sistemi di accumulo e la valorizzazione energetica dei rifiuti e degli scarti della chimica verde”. Trenta milioni di euro per un clamoroso ritorno al passato, grazie ad un’intesa firmata dalla Regione con Ministero dello Sviluppo Economico, Enea e Sotacarbo.
Eppure c’è ancora chi alla logica del ”quantomeno accettabile” si ribella e lo striscione di Sassari lo dimostra. L’isola è un pullulare di comitati e di gruppi che dal basso si oppongono allo sfruttamento del territorio, che chiedono un modello di sviluppo diverso e un cambio di rotta deciso.
Ma allora, se c’è tutta questa mobilitazione, perché questo è un Ferragosto di lotta e di poca speranza? Perché tutte queste lotte stentano a trovare una sintesi politica, una bandiera che le raccolga in maniera decisa e autorevole. Questo esecutivo fatica o non vuole proprio interpretare le istanze di rinnovamento deciso che arrivano dalla società sarda. E anche i sovranisti, che soprattutto del Pd dovevano essere un forte contraltare, al momento devono portarsi a casa in silenzio l’accusa di volere “uno Stato sardo per il futuro, la dipendenza solita per il presente” (come ha scritto oggi sull’Unione Sarda Alessandro Mongili).
Ci vorrà un lungo lavoro per creare le condizioni necessarie per far sì che cento teste mettano tutte la stessa berritta. Ma è l’unica battaglia politica che oggi in Sardegna merita di essere combattuta (magari a partire dalla manifestazione contro le servitù militari il prossimo 13 settembre a Capo Frasca).
Buon Ferragosto a tutti.
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* Sardegna 2014, Ferragosto di lotta (ma con poca speranza). Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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Per connessione
Fernando Codonesu. Servitù militari modello di sviluppo e sovranità in Sardegna
Programmazione fondi europei 2014-2020: iniziativa del Miur che la Regione Sarda deve imitare
Aperta online la consultazione per il PON Ricerca e Innovazione 2014-2020
Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) ha lanciato la consultazione pubblica sul documento del Programma Operativo Nazionale (PON) “Ricerca e Innovazione” 2014-2020 inviato il 22 luglio scorso alla Commissione Europea.
Tutti possono partecipare: c’è tempo fino al 30 settembre 2014. IL SITO WEB DELLA CONSULTAZIONE - segue -