Risultato della ricerca: Gianfranco Sabattini

Oggi martedì 3 agosto 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
Rileggendo Lussu su autonomia e separatismo
3 Agosto 2021
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
D’estate, si leggono o si rileggono libri, saggi articoli di autori o personaggi importanti. E coi tempi che corrono è un vero piacere sentire parlar forte e chiaro, ti dà un senso di appagamento, ti riconcilia con te stesso ed il mondo. Leggere Lussu, ad esempio, fa questo effetto. Penna sublime anche nei saggi […]
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La partecipazione dei lavoratori all’impresa nuova frontiera della sinistra?
3 Agosto 2021
16 Luglio 2008
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.

Proseguiamo il dibattito sulla rifondazione del pensiero della sinistra con un saggio del Prof. Sabattini riportato in documenti. Eccone la presentazione.
Il dibattito sulla rifondazione del pensiero della Sinistra, come emerge dagli interventi che sinora si sono succeduti in questo blog, inevitabilmente conduce il discorso, […]
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Oggi lunedì 2 agosto 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
Pianificazione strategica: città vs. centralismo
2 Agosto 2021
25 Giugno 2008
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi
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Agli esiti del fallimento dell’intervento straordinario nella promozione della crescita e dello sviluppo delle regioni arretrate italiane ha corrisposto il tentativo di inaugurare nuove forme di politiche pubbliche fondate sullo sviluppo locale. In questa prospettiva, la pianificazione strategica rappresenta una di queste nuove forme, orientata a “rompere” […]
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Oggi domenica 1° agosto 2021. Buona Estate a tutte e tutti, comunque!

lampadadialadmicromicroEstate 2021. La nostra news non va in ferie. Tuttavia vi accompagnerà fino a metà settembre con ritmi più lenti, senza obblighi di scadenze quotidiane. Godetevi e godiamoci un periodo di rallentamento, di tempi lenti, per quanto ci è possibile. Buona estate a tutte e tutti noi e non perdiamoci di vista!
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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
democraziaoggiQuesto mese ricordiamo Gianfranco Sabattini coi suoi scritti su questo blog
1 Agosto 2021
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.

Anche quest’anno ad agosto ce ne andiamo al mare o ai monti, abbandoniamo l’attualità e dedichiamo gli scritti ad un tema o ad un autore. Quest’anno la scelta è d’obbligo. Dedichiamo i nostri spazi ad un amico e collaboratore di grande spessore, l’economista Gianfranco Sabattini, che ci ha improvvisamente lasciato il 20 dicebra dello […]
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Arriva agosto! Buone vacanze a tutti al mare, in montagna o …in casa!
1 Agosto 2021 su Democraziaoggi.

Andrea e la Redazione vi augurano buone vacaze d’agosto! Ritempriamoci per la “campagna d’autunno”!

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Carbonia. Le agitazioni nel Sulcis a sostegno del programma CGIL e l’arresto di Marco Giardina, Segretario della Camera del lavoro di Carbonia
1 Agosto 2021
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Oggi è 1° agosto, ma è anche domenica e noi continuiamo a narrare la tormentatata storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.

Lasciata cadere del tutto l’idea di imporre “una tassazione progressiva, come la intendeva il ministro Scoccimarro”, ricorda Ernesto Ragionieri che, alla politica inaugurata da Einaudi, sarebbe seguito “un complessivo declino degli investimenti, e […]
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Disuguaglianze e sviluppo economico
1 Agosto 2021 su Democraziaoggi.
23 Maggio 2008
Gianfranco Sabattini

Lo studio delle disuguaglianze reddituali tra le regioni e, all’interno delle singole regioni, tra subaree, settori produttivi e gruppi sociali ha importanza strategica nella formulazione delle politiche pubbliche a sostegno della crescita e dello sviluppo locale, la cui attuazione assume i singoli territori come unità di riferimento. […]
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Luci di carità in tempi di pandemìa

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Fratelli tutti e Laudato si’: strumenti per la costruzione di un mondo migliore.
Riflessioni su alcune tematiche “laiche” così come trattate dalle due encicliche: IL LAVORO, POLITICA ed ECONOMIA, BENI COMUNI e PROPRIETA’ PRIVATA
*

di Franco Meloni

PREMESSA
L’enciclica “Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale” ci fa sentire partecipi della grande famiglia umana, abitanti della Terra, casa comune, che Papa Francesco ha ben descritto nella precedente enciclica Laudato si’. I due documenti si integrano e si completano, fornendoci strumenti per la costruzione di un mondo migliore. Ma non cerchiamo in essi ricette preconfezionate: le scelte in definitiva competono a noi, come singoli, come membri di aggregazioni comunitarie, e, per quanti lo sono, come rappresentanti istituzionali.
Veniamo al tema, la fraternità: è un valore assoluto, di cui disponiamo tutti, almeno in teoria, senza averla in nessun modo conquistata e meritata. Per i credenti “la nostra volontà non c’entra: siamo fratelli non perché lo vogliamo, ma perché siamo figli di Dio che è, di tutti noi, padre” (1). Anche i non credenti, almeno molti tra loro, pur senza coinvolgere Dio, ci credono! (2) Tanto è che la fraternità costituisce il terzo grande valore della triade della Rivoluzione francese «Libertà, uguaglianza e fraternità», bandiera del pensiero laico (3).
Se siamo fratelli e sorelle, come siamo, spetta a ciascuno di noi comportarci di conseguenza, per godere effettivamente di questo status naturale. Ma il mondo non va esattamente in tale giusta direzione. A moltissime persone su questa Terra non è riconosciuto il diritto alla fraternità. Un virtuoso programma mondiale dovrebbe tendere a renderlo effettivo, rimuovendo tutte le cause che lo impediscono.
E, invece… Addirittura nel tempo, soprattutto nel nostro tempo, la fraternità è stata quasi dimenticata. Perché? “Forse la causa sarà stata una confusione – errata confusione – tra fraternità e uguaglianza sociale. E dunque, fallite le forme di realizzazione storicamente date di tale uguaglianza (fallito cioè il cosiddetto socialismo reale), si è preferito non pensarci più. Qualunque sia la causa, resta il fatto che si è trattato – e si tratta – di una disattenzione imperdonabile” (1bis).
In sostanza così pensa anche il Papa che nella sua enciclica esalta la fraternità, sostenendone l’importanza fino a capovolgere la gerarchia tra i tre valori, dando alla fraternità la funzione di dare senso agli altri due (4): “La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. (…) ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore. Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che «tutti gli esseri umani sono uguali», bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità” [FT 103, 104]. La fraternità dimenticata da tutti? Sì, ma per fortuna non dai poeti – ricordate la poesia Fratelli di Giuseppe Ungaretti? (5) – e dagli artisti in generale. Un esempio lo fornisce lo stesso Papa quando nell’enciclica cita un verso della canzone Samba delle Benedizioni di Vinicius de Moraes [FT 215], che rende magnificamente l’invito a far crescere una cultura dell’incontro, laddove si pratica la fraternità: «La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita». E prosegue il Papa nella proposizione di un “modello di riferimento di società aperta ed inclusiva” ben rappresentato dalla figura geometrica del poliedro “che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono un’unità ricca di sfumature, perché «il tutto è superiore alla parte». Il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda (…). Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo” [FT 215 e LS 237] (6).
Tornando alla fraternità: dunque è un dono e personalmente ne sento l’afflato consolatorio nella sua pratica negli ambienti comunitari, ma ho la consapevolezza che si tratti di un privilegio, considerato che molta parte dell’umanità non ne può godere i benefici, in tutta la loro possibile estensione, a causa della difficile, per tanti drammatica, situazione in cui versa il nostro Pianeta, sia sul versante ambientale, sia su quello sociale ad esso strettamente connesso. Non esiste benessere della Terra senza che sussista contemporaneamente quello dei suoi abitanti, nell’accezione di “ecologia integrale”, concetto profondo dell’enciclica Laudato si’, che, come mi piace rimarcare, trova una “corrispondenza laica” nell’Agenda Onu 2030 (7).
Rifletto sul quadro che l’enciclica Laudato si’ mostra con crudo realismo: 1) il Pianeta è in pericolo, ma comunque sopravvivrà; chi rischia l’estinzione è l’umanità intera con gli altri esseri viventi, travolta da sconvolgimenti ambientali che non si vogliono adeguatamente contrastare; 2) nonostante la pandemia, purtroppo ancora in atto, continuano le guerre in tutto il mondo, una «terza guerra mondiale a pezzi», mentre crescono dappertutto le diseguaglianze e le povertà in un contesto mondiale “dominato dall’incertezza, dalla delusione e dalla paura del futuro e controllato dagli interessi economici miopi”.
E cerco allora possibili vie d’uscita, non solamente sul piano dell’impegno intellettuale, ma concretamente sulla modifica dei comportamenti (la “conversione ecologica”) perché mi sento pienamente coinvolto e perfino in qualche misura responsabile dell’attuale situazione, anche con riferimento alle realtà di impegno civile in cui sono inserito.
Nessuno deve tirarsi indietro per piccolo possa essere il contributo di ciascuno.
Ci aiutano in questa impresa proprio le due ultime encicliche di Papa Francesco.
Individuo alcune connessioni tra le stesse che mi aiutino a comprendere la situazione e che m’illuminino rispetto al “che fare?”. E’ un percorso che mi/ci impegna come cattolici, ma che può coinvolgere tutti. Proprio secondo gli intendimenti del Papa: [FT 6] “Consegno questa Enciclica sociale come un umile apporto alla riflessione affinché (…) siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole. Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà”. Intendimenti ormai nella consuetudine dei Papi, da Giovanni XXIII (Pacem in terris, 1963) in poi.

L’enciclica “Fratelli tutti” richiama esplicitamente la “Laudato si’” in 23 note, sulle quali opero un’arbitraria selezione, riconducendo i contenuti a tre grandi tematiche, che schematizzo nei titoli seguenti: IL LAVORO, POLITICA ed ECONOMIA, BENI COMUNI e PROPRIETA’ PRIVATA.

IL LAVORO
Alla questione il Papa dà molta enfasi, situandola nel solco tradizionale della Dottrina sociale della Chiesa, evitando di portarsi avanti nel dibattito sul rapporto tra lavoro e reddito, che pur aveva trattato in un precedente sorprendente intervento (8)
Dice il Papa [FT 162]: “Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze. Questo è il miglior aiuto per un povero, la via migliore verso un’esistenza dignitosa. Perciò insisto sul fatto che «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze”. Ecco il passaggio in cui il Papa non insiste sulle teorie del «reddito universale di base» se non nel proporlo per le fasi emergenziali. Sostiene infatti che “Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro. Per quanto cambino i sistemi di produzione, la politica non può rinunciare all’obiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società assicuri ad ogni persona un modo di contribuire con le proprie capacità e il proprio impegno. Infatti, non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro». In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo“. Riprende pertanto quanto scritto nella LS [128]: “Siamo chiamati al lavoro fin dalla nostra creazione. Non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale.(…) Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro”. Il Papa ha ben presente le radicali trasformazioni del lavoro e mette in guardia da pericolose derive, nel momento in cui “l’orientamento dell’economia ha favorito un tipo di progresso tecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione della diminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine. È un ulteriore modo in cui l’azione dell’essere umano può volgersi contro sé stesso. La riduzione dei posti di lavoro «ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del «capitale sociale», ossia di quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile. In definitiva «i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani». Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società”.
Ancora sulla FT [168]: “ Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale. Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di fronte a qualunque sfida si presenti. Il neoliberismo riproduce sé stesso tale e quale, ricorrendo alla magica teoria del «traboccamento» o del «gocciolamento» – senza nominarla – come unica via per risolvere i problemi sociali (9). Non ci si accorge che il presunto traboccamento non risolve l’inequità, la quale è fonte di nuove forme di violenza che minacciano il tessuto sociale. Da una parte è indispensabile una politica economica attiva, orientata a «promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale», perché sia possibile aumentare i posti di lavoro invece di ridurli. La speculazione finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a fare strage. D’altra parte, «senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare». La fine della storia non è stata tale, e le ricette dogmatiche della teoria economica imperante hanno dimostrato di non essere infallibili. La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato e che, oltre a riabilitare una politica sana non sottomessa al dettato della finanza, «dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno»“.
Riprendendo la LS [129]: “ Perché continui ad essere possibile offrire occupazione, è indispensabile promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale. Per esempio, vi è una grande varietà di sistemi alimentari agricoli e di piccola scala che continua a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e dell’acqua e producendo meno rifiuti, sia in piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nella caccia e nella raccolta di prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale. Le economie di scala, specialmente nel settore agricolo, finiscono per costringere i piccoli agricoltori a vendere le loro terre o ad abbandonare le loro coltivazioni tradizionali. I tentativi di alcuni di essi di sviluppare altre forme di produzione, più diversificate, risultano inutili a causa della difficoltà di accedere ai mercati regionali e globali o perché l’infrastruttura di vendita e di trasporto è al servizio delle grandi imprese. Le autorità hanno il diritto e la responsabilità di adottare misure di chiaro e fermo appoggio ai piccoli produttori e alla diversificazione della produzione. Perché vi sia una libertà economica della quale tutti effettivamente beneficino, a volte può essere necessario porre limiti a coloro che detengono più grandi risorse e potere finanziario. La semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica. L’attività imprenditoriale, che è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, può essere un modo molto fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune”.
Da quanto messo in evidenza, risulta esplicita la critica del Papa (ripetuta in molte occasioni) alle teorie economiche dominanti, quelle di stampo neoliberista, che mettono al centro la realizzazione del profitto, piuttosto che del benessere delle persone, generando privilegi e ricchezze per pochi, forti diseguaglianze e povertà per molti. Per converso il Papa incoraggia lo studio e la pratica di economie diverse, quali quelle cosiddette circolari o che si rifanno ai principi dell’economia civile. Afferma Papa Francesco in altra circostanza (10): “l’economia, nel suo senso umanistico di “legge della casa del mondo”, è un campo privilegiato per il suo stretto legame con le situazioni reali e concrete di ogni uomo e di ogni donna. Essa può diventare espressione di “cura”, che non esclude ma include, non mortifica ma vivifica, non sacrifica la dignità dell’uomo agli idoli della finanza, non genera violenza e disuguaglianza, non usa il denaro per dominare ma per servire (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 53-60)”.
[segue]

Discutiamo di welfare, anzi di stato sociale, del quale urge una non più rinviabile profonda riforma

lllllampadadialadmicromicroIl compianto prof. Gianfranco Sabattini, di cui ci manca tantissimo il contributo di pensiero economico e non solo che ci assicurava con i suoi periodici (quasi quotidiani) articoli ospitati in prevalenza da Aladinpensiero, il manifesto sardo e Democraziaoggi, insisteva molto sulla necessità di una profonda riforma del sistema del welfare.
gsLui era un deciso sostenitore del reddito di cittadinanza, quello vero che riteneva essere altra cosa rispetto al RdC introdotto in Italia sulla spinta propulsiva del Movimento 5 Stelle. Riferendosi a illustri economisti, tra i quali James Edward Meade, premio Nobel per l’Economia del 1977, parlava più propriamente di “dividendo sociale” che si poteva – anzi per lui, si doveva – adottare in Italia come in Europa e nel resto del mondo, appunto nel contesto di un nuovo welfare, del quale nei suoi studi aveva delineato le principali caratteristiche. Occorre che tali riflessioni riprendano sia nelle sedi accademiche sia in quelle politiche e, in generale, del dibattito economico, sociale, culturale. E’ quanto in effetti sta accadendo, ma purtroppo in forme frammentate e tuttora prive degli sbocchi operativi che l’attuale gravissima situazione del Pianeta sconvolto dalla pandemia richiederebbe. Con queste convinzioni di seguito pubblichiamo una riflessione del professor Gianni Toniolo, apparsa il 1° maggio sul sito C3dem.

Stato sociale: tornare a Beveridge?
1 Maggio 2021 by c3dem_admin |
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di Gianni Toniolo

”Libertà dalla guerra e dalla paura della guerra. Libertà dall’ozio e dalla paura dell’ozio causato dalla disoccupazione forzata. Libertà dal bisogno e dalla paura del bisogno. Queste sono le tre libertà fondamentali. Questi sono gli obiettivi che dobbiamo perseguire con incessante determinazione”. Così William Beveridge introduceva il Rapporto che lanciò lo stato sociale postbellico. Era il 1942, le bombe cadevano su Londra mentre tutta Europa era occupata dai tedeschi. La sopravvivenza nazionale e individuale era la priorità assoluta. Malgrado ciò, c’era chi guardava lontano. Keynes programmava un nuovo ordine economico mondiale, Beveridge un patto sociale per le “libertà fondamentali”, entrambi avevano come obiettivo un’economia di piena occupazione.

Lo stato sociale, nato timidamente a fine Ottocento, ampliato in alcuni paesi negli anni Trenta, fiorì e si rafforzò in tutta Europa nel secondo dopoguerra, seguendo modelli in parte diversi, alcuni maggiormente fondati sulla cittadinanza (protezione di base a tutti i cittadini) altri più sul lavoro (protezione anzitutto ai lavoratori e alle loro famiglie). Nato dall’idea socialdemocratica di un patto tra capitale e lavoro, lo stato sociale fu attuato anche dai partiti conservatori cristiano democratici. La spesa sociale crebbe rapidamente in tutta Europa fino a agli anni Ottanta del secolo scorso, la crescita continuò poi a ritmo più lento. Il welfare state divenne una carattere distintivo, culturale e politico, dell’Europa occidentale. Anche gli Stati Uniti, sebbene con minore carica ideologica, accrebbero la spesa sociale. Altrettanto cominciarono a fare numerosi paesi in America Latina e in Asia.

Il “neoliberismo” lanciato da Reagan e Thatcher e fiorente negli anni Novanta e Duemila, malgrado il prestigio culturale che conquistò, non ebbe la forza politica di ridurre la spesa sociale che continuò a crescere, seppure a ritmi meno elevati che nel trentennio precedente, in quasi tutti i paesi, tranne che per brevi periodi nel Regno Unito e in Svezia, le due patrie originarie del welfare state. Benché la sua retorica dicesse il contrario, lo stesso Reagan non poté o non volle diminuire la spesa pubblica, che anzi aumentò. Lo stato sociale si dimostrò nei fatti, oltre le ideologie, soprattutto ma non solo in Europa, come un’istituzione consolidata, intoccabile pena la perdita di consensi elettorali. La sola cosa che potrebbe distruggerlo, nota Peter Lindert uno dei maggiori studiosi in argomento, è un debito pubblico fuori controllo.

Tutto bene, dunque? Certamente no. Non tanto per la quantità quanto per la qualità della spesa. Lo stato sociale europeo si è consolidato in un quadro demografico, tecnologico, sindacale e internazionale molto diverso dall’attuale. La sua inadeguatezza qualitativa spiega in parte, a mio parere, il diffondersi di ideologie populiste. La pandemia nella quale ancora viviamo ha messo a nudo lo scarto tra cittadini più e meno protetti. Faccio solo due esempi: lo stato sociale europeo, e massimamente quello italiano, è squilibrato a favore delle generazioni più anziane e del lavoro tradizionale, strutturato. Non si è adeguato alla fluidità del mercato del lavoro (anche di quella “buona”, non solo della Gig Economy). Non protegge sufficientemente il futuro dei giovani nel solo modo possibile: fornirli di cultura e formazione professionale adeguate a un buon inserimento nella società e nel lavoro. Tra le riforme delle quali si parla, penso che quella del welfare dovrebbe essere tra le prime. Anzitutto per equità, ma anche per favorire occupazione e sviluppo. Mi piacerebbe immaginare un “ritorno a Beveridge”, a una protezione universale di base per tutti i cittadini e le cittadine, indipendentemente da ogni altra loro qualifica.

Gianni Toniolo
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CHE SUCCEDE?
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PNRR: NOTE SU DIGITALE, OPERE PUBBLICHE, NON AUTOSUFFICIENTI. CASO PIETROSTEFANI ED EX BR
1 Maggio 2021 SU C3dem.
Vittorio Colao, “Con il digitale un’Italia più giusta per giovani e donne” (intervista a Repubblica). Enrico Giovannini, “I lavori pubblici del Recovery partono lunedì con regole nuove” (intervista al Sole 24 ore). Giuseppe Provenzano, “Recovery, punto di partenza per ridurre i divari del Sud” (intervista al Mattino). AGENDA DI GOVERNO E WELFARE: valutazione diverse: più critica Chiara Saraceno, “La fragilità incompresa” (La Stampa); più favorevoli Costanzo Ranci, Barbara da Roit, “Cura degli anziani, la riforma inizia dal Pnrr” (lavoce.info) e Network non autosufficienza, “Non autosufficienza: dal Piano una risposta alla società” (lavoce.info). Goffredo Buccini, “La scuola perduta dei ragazzi del Sud” (Corriere). CRISI MAGISTRATURA: Giulia Merlo, “Guida per orientarsi nel nuovo scandalo giudiziario” (Domani). Claudio Cerasa, “La giustizia è una patacca” (Foglio). La difesa di Giancarlo Caselli, “Volano i corvi che screditano i magistrati” (La Stampa). L’ARRESTO DI PIETROSTEFANI E DEGLI EX BR: Gustavo Zagrebelsky, “La pena e l’umanità” (Repubblica). Adriano Sofri, “La rinuncia alla violenza e l’estradizione che incombe su giusti e ingiusti” (Foglio). Marco Boato, “Macron cerca voti. Non credo che ci sia bisogno di giustizia” (intervista a Repubblica). Bruno Vespa, “Vi racconto il mio compagno Pietrostefani” (Qn). Giampiero Mughini, “Lotta Continua, la dottrina Mitterrand e la feccia della mia generazione”. Gad Lerner, “Lotta continua, sbaglia chi dice che fu terrorismo” (Il Fatto). Gianni Barbacetto, “Una vendetta? Non direste le stesse cose per i fascisti delle stragi” (Il Fatto). Mario Chiavario, “A giusto passo senza passerelle” (Avvenire). Giovanni Maria Flick, “Lo Stato non si vendica. Il carcere può rieducare anche i terroristi” (intervista a Il Giornale). Luciano Violante, “Le sentenze vanno eseguite, ma poi c’è la riconciliazione con le vittime e la società” (intervista al Corriere).
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IL LAVORO PERDUTO. L’INCONTRO LETTA-CONTE-BETTINI
1 Maggio 2021 su C3dem.
Dario Di Vico, “La verità sul lavoro perduto” (Corriere della sera). Linda Laura Sabbadini, “L’impiego scomparso per chi era già fragile” (Repubblica). Luigino Bruni, “I giusti salari della virtù” (Avvenire). Luigi Sbarra (segr. naz. Cisl), “Un Patto sociale per realizzare le grandi riforme” (Messaggero). Maurizio Molinari, “Lavoro, scriviamo i nuovi diritti digitali” (Repubblica). Enrico Letta, “Lavoro. Un nuovo Patto per il Pd” (Manifesto). GOVERNO E PARTITI: Nando Pagnoncelli, “Pd a un punto dalla Lega. FdI sorpassa i 5 Stelle” (Corriere della sera). Francesco Verderami, “Draghi, i partiti e le riforme da fare” (Corriere). Marco Follini, “I partiti sempre in bilico tra lotta e governo” (La Stampa). Claudio Cerasa, “Il pragmatismo di Draghi in cinque sfide” (Foglio). Enrico Letta, “Con Salvini tornerebbe il lockdown” (intervista a La Stampa). Stefano Feltri, “Perché a sinistra nessuno vuole essere il Biden italiano” (Domani). Mario Giro, “La fiera delle debolezza dei partiti spaventati dalle prossime elezioni” (Domani). CONTE-LETTA: Carlo Bertini, “Tra Conte e Letta il fidanzamento celebrato da Bettini” (La Stampa). Maria Teresa Meli, “Letta-Conte, l’asse per le comunali non c’è” (Corriere della sera). Daniela Preziosi, “Letta-Conte, incontro ravvicinato, ma c’è un problema di linea” (Domani). Marcello Sorgi, “Nozze difficili tra Conte e il leader dem” (La Stampa). Luca Ricolfi, “Happy Letta. Il Pd e il superamento dell’antipatia” (colloquio col Foglio). Piero Ignazi, “La destra è più unita di quel che sembra, la sinistra no” (Domani). Marco Filippeschi (pd), “Radicalità e primarie per il Pd. E alleanza con i 5 Stelle” (intervista a Il Riformista). Claudio De Flores, “L’inganno maggioritario nuoce al Pd” (Manifesto).
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1-ma-2021-bis- Gli editoriali del Primo Maggio
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È online il manifesto sardo trecentoventuno

pintor il manifesto sardoIl numero 321
Il sommario
Approvata la legge regionale sarda scempia-coste, iniziamo la controffensiva popolare e ambientalista (Stefano Deliperi), Capolinea per Testadipaglia (Graziano Pintori), Cose da prendere sul serio (Alfonso Stiglitz), Un piccolo gesto per rompere l’isolamento e il silenzio nel CPR di Macomer (red), Garibaldi bifronte e l’Unità d’Italia (Francesco Casula), Gianfranco Sabattini, grande intellettuale, umile e generoso (Andrea Corrias), Di vivo in quell’ “Italia” c’è solo l’ego di Renzi (Ottavio Olita), Il movimento contro l’occupazione militare è sotto attacco (red), Libertà e metodo scientifico ai tempi della pandemia (Antonello Murgia), Rinasci Sardegna! (red), Se una notte d’inverno la cultura… (Silvia Napoli).
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Per Gianfranco

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Antonio Sassu ricorda Gianfranco Sabattini economista

di Antonio Sassu

Gianfranco Sabattini era nato a Comacchio, non in Sardegna, ma si sentiva profondamente sardo.

Una volta laureato a Cagliari in Economia e Commercio diventò in breve tempo assistente alla cattedra di Politica Economica e Finanziaria col professore Esposito De Falco. Qui a Cagliari svolse la sua attività didattica e di ricerca, partecipando attivamente alla vita della città e al dibattito culturale anche sulla stampa quotidiana.

Aveva molto a cuore la Facoltà, il suo funzionamento, le sue risorse che dovevano essere acquisite ex novo, in quanto la Facoltà era stata costituita da poco. Sulla base dei modelli di alcune Università italiane riorganizzò i servizi, in particolare la biblioteca e a tal fine si fece nominare direttore del personale, incarico inesistente sulla carta, così da giustificare di fronte ai dipendenti le sue disposizioni, mettere ordine e costituire le premesse per il buon funzionamento dell’organizzazione della Facoltà stessa.

Ma il suo interesse principale era la ricerca. Gran parte delle sue pubblicazioni sono relative all’economia, alla sociologia e alla storia sulla Sardegna di cui era grande conoscitore. Gli argomenti trattati sono vari, tutti molti rilevanti, mai banali anche quando non c’è stata grande originalità. Sempre alla ricerca di uno sviluppo isolano stabile e continuo, recentemente si era dedicato con passione ad elaborare gli spunti di una nuova politica economica dopo aver assistito alle forti delusioni delle precedenti strategie a cui la classe nostrana ci aveva esposto. La Sardegna, diceva sempre, ha competenze valoriali, professionali e intellettuali in grado di garantire uno sviluppo sociale e civile al pari di altre regioni se sono supportate bene dalle istituzioni.

Lo Statuto regionale del 1948 ha attribuito alla Sardegna una democrazia formale, non sostanziale. Non vi è stata una integrazione sociale ed economica a livello internazionale, con le altre regioni italiane, e neppure all’interno dello stesso territorio regionale, anche per via del centralismo del governo. Una democrazia allargata in cui i cittadini fossero coinvolti nella partecipazione alle scelte nazionali e regionali dal basso assicurerebbe un governo effettivo e una maggiore responsabilità. Oggi, il principio di sussidiarietà, previsto a livello italiano ed europeo, dovrebbe pretenderlo. Perseguire una politica di integrazione sociale ed economica senza una definizione di questo principio, quindi, è impensabile.

Già l’economista Acemoglu e lo scienziato politico Robinson hanno studiato con grande successo, non solo mediatico, i temi relativi alle istituzioni e allo sviluppo economico. Essi si pongono una domanda cruciale: perché alcune nazioni falliscono e altre, invece, diventano sempre più ricche?

La risposta la trovano nella qualità e nel valore delle istituzioni che i paesi si danno. Ci sono paesi che elaborano e applicano istituzioni inclusive, in cui tutti partecipano alla produzione e alla distribuzione della ricchezza, e paesi che predispongono e attuano istituzioni estrattive, cioè, “estraggono” il beneficio della ricchezza a vantaggio di pochi, senza che di esso ne goda la popolazione che rimane ai margini della società. Nel caso di istituzioni estrattive il beneficio, cioè, il reddito che viene ricavato dalle attività del paese, è ripartito in modo iniquo fra due gruppi sociali: molto del beneficio va ad una parte minoritaria della popolazione, e poco del beneficio agli altri membri della società. Siccome il reddito viene consumato e sperperato nel primo caso, e utilizzato per la sopravvivenza nel secondo caso, manca l’accumulazione del capitale, quindi, le nazioni non progrediscono e decadono.

Bisogna distinguere istituzioni economiche e istituzioni politiche. Queste ultime, facendo leva sui pubblici poteri, possono assicurare per tutti l’esistenza dei diritti che le istituzioni economiche garantiscono, nei casi concreti e secondo le dovute modalità. Esiste un circolo virtuoso fra le istituzioni economiche e politiche, così, allo stesso modo esiste un circolo vizioso fra le istituzioni, o fra le istituzioni economiche e alcuni gruppi sociali, che potrebbero far leva sulle istituzioni politiche a diversi livelli.

La caratteristica più importante delle società inclusive è che queste sono dinamiche, culturalmente vivaci e imprenditorialmente attive, hanno l’obiettivo della innovazione e della concorrenza e, pertanto, conseguono normalmente una continua crescita.

Nelle società “estrattive”, invece, la gran parte della popolazione, non avendo alcun interesse a far crescere solo una parte piccola della società, non avendo alcun beneficio dalla concorrenza, dalla innovazione, dai servizi e spesso dalla scelta del lavoro o dei diritti fondamentali, sarà meno propensa a fare ulteriori sacrifici per risparmiare e per far crescere la nazione. Le società estrattive, pertanto, prima o poi saranno destinate al declino e al fallimento.

Sabattini sostiene che la nostra società regionale è essenzialmente estrattiva, soprattutto a causa dei governi che abbiamo avuto e che alla Sardegna non hanno concesso nulla, quindi è necessario porre mano ad una revisione dello Statuto. Secondo Sabattini una revisione del testo della Carta Costituzionale che potrebbe venire incontro alle esigenze dei nostri territori, in particolare di quelli dell’interno, potrebbe essere quella che prevede un federalismo. A questo fine si è spesso battuto per una modifica del rapporto con lo Stato e dello Statuto regionale.

Ma non basta. Il principio di sussidiarietà richiede anche la partecipazione dei cittadini alla scelta e alla distribuzione delle risorse. Esistono grandi disparità all’interno della regione e certamente i comuni e le autonomie locali non partecipano alla ripartizione della ricchezza secondo criteri più equitativi.

L’obiettivo della politica economica regionale dovrebbe essere quello di superare la parzialità che l’ha sempre caratterizzata: cioè, superare la staticità delle condizioni economiche dei territori, “attraverso la mobilitazione di tutte le risorse materiali e personali in essi presenti” . Si tratta di considerazioni che vanno ben al di là delle semplici riforme burocratiche e anche una maggiore maturità di tutti. In Sardegna sono le istituzioni estrattive che prevalgono e che si impongono. Sarebbe necessario ripensare ad un nuovo modello di governance per evitare lo spopolamento e la povertà delle popolazioni.

Il motivo per cui lo sviluppo locale continuerà a non avere l’attenzione che meriterebbe è che la classe politica locale continuerebbe a praticare una politica economica che le permette di “estrarre” il maggior beneficio elettorale e non di migliorare le condizioni di vita, di lasciare in continuazione le cose come stanno.

Migliorare la vita civile e sociale della Sardegna era il più grande desiderio di Gianfranco Sabattini, non solo una richiesta di politica economica, tanto meno, solo per dire.

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Articolo pubblicato in contemporanea su Democraziaoggi, il manifesto sardo, Aladinpensiero: le tre testate online di cui Gianfranco Sabattini è stato negli ultimi anni prestigioso e infaticabile editorialista.
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- Su Democraziaoggi.
- Su il manifesto sardo.

Luci di carità in tempi di pandemia

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lampadadialadmicromicro133Lunedì 21 dicembre, puntuale ed efficiente come sempre, la Caritas della Diocesi di Cagliari ha presentato il X Dossier 2020 “Luci di carità in tempi di pandemia”. Il volume è stato presentato da don Marco Lai, direttore Caritas, Franco Manca, economista, mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari. Contiamo nel corso delle prossime settimane di pubblicare alcuni contributi presenti nel
libro, in versioni integrali o riassuntive. Per praticità, già disponendo della versione digitale, iniziamo con il contributo del direttore di Aladinpensiero
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Fratelli tutti e Laudato si’: strumenti per la costruzione di un mondo migliore.
Riflessioni su alcune tematiche “laiche” così come trattate dalle due encicliche: IL LAVORO, POLITICA ed ECONOMIA, BENI COMUNI e PROPRIETA’ PRIVATA
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di Franco Meloni

PREMESSA
L’enciclica “Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale” ci fa sentire partecipi della grande famiglia umana, abitanti della Terra, casa comune, che Papa Francesco ha ben descritto nella precedente enciclica Laudato si’. I due documenti si integrano e si completano, fornendoci strumenti per la costruzione di un mondo migliore. Ma non cerchiamo in essi ricette preconfezionate: le scelte in definitiva competono a noi, come singoli, come membri di aggregazioni comunitarie, e, per quanti lo sono, come rappresentanti istituzionali.
Veniamo al tema, la fraternità: è un valore assoluto, di cui disponiamo tutti, almeno in teoria, senza averla in nessun modo conquistata e meritata. Per i credenti “la nostra volontà non c’entra: siamo fratelli non perché lo vogliamo, ma perché siamo figli di Dio che è, di tutti noi, padre” (1). Anche i non credenti, almeno molti tra loro, pur senza coinvolgere Dio, ci credono! (2) Tanto è che la fraternità costituisce il terzo grande valore della triade della Rivoluzione francese «Libertà, uguaglianza e fraternità», bandiera del pensiero laico (3).
Se siamo fratelli e sorelle, come siamo, spetta a ciascuno di noi comportarci di conseguenza, per godere effettivamente di questo status naturale. Ma il mondo non va esattamente in tale giusta direzione. A moltissime persone su questa Terra non è riconosciuto il diritto alla fraternità. Un virtuoso programma mondiale dovrebbe tendere a renderlo effettivo, rimuovendo tutte le cause che lo impediscono.
E, invece… Addirittura nel tempo, soprattutto nel nostro tempo, la fraternità è stata quasi dimenticata. Perché? “Forse la causa sarà stata una confusione – errata confusione – tra fraternità e uguaglianza sociale. E dunque, fallite le forme di realizzazione storicamente date di tale uguaglianza (fallito cioè il cosiddetto socialismo reale), si è preferito non pensarci più. Qualunque sia la causa, resta il fatto che si è trattato – e si tratta – di una disattenzione imperdonabile” (1bis).
In sostanza così pensa anche il Papa che nella sua enciclica esalta la fraternità, sostenendone l’importanza fino a capovolgere la gerarchia tra i tre valori, dando alla fraternità la funzione di dare senso agli altri due (4): “La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. (…) ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore. Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che «tutti gli esseri umani sono uguali», bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità” [FT 103, 104]. La fraternità dimenticata da tutti? Sì, ma per fortuna non dai poeti – ricordate la poesia Fratelli di Giuseppe Ungaretti? (5) – e dagli artisti in generale. Un esempio lo fornisce lo stesso Papa quando nell’enciclica cita un verso della canzone Samba delle Benedizioni di Vinicius de Moraes [FT 215], che rende magnificamente l’invito a far crescere una cultura dell’incontro, laddove si pratica la fraternità: «La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita». E prosegue il Papa nella proposizione di un “modello di riferimento di società aperta ed inclusiva” ben rappresentato dalla figura geometrica del poliedro “che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono un’unità ricca di sfumature, perché «il tutto è superiore alla parte». Il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda (…). Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo” [FT 215 e LS 237] (6).
Tornando alla fraternità: dunque è un dono e personalmente ne sento l’afflato consolatorio nella sua pratica negli ambienti comunitari, ma ho la consapevolezza che si tratti di un privilegio, considerato che molta parte dell’umanità non ne può godere i benefici, in tutta la loro possibile estensione, a causa della difficile, per tanti drammatica, situazione in cui versa il nostro Pianeta, sia sul versante ambientale, sia su quello sociale ad esso strettamente connesso. Non esiste benessere della Terra senza che sussista contemporaneamente quello dei suoi abitanti, nell’accezione di “ecologia integrale”, concetto profondo dell’enciclica Laudato si’, che, come mi piace rimarcare, trova una “corrispondenza laica” nell’Agenda Onu 2030 (7).
Rifletto sul quadro che l’enciclica Laudato si’ mostra con crudo realismo: 1) il Pianeta è in pericolo, ma comunque sopravvivrà; chi rischia l’estinzione è l’umanità intera con gli altri esseri viventi, travolta da sconvolgimenti ambientali che non si vogliono adeguatamente contrastare; 2) nonostante la pandemia, purtroppo ancora in atto, continuano le guerre in tutto il mondo, una «terza guerra mondiale a pezzi», mentre crescono dappertutto le diseguaglianze e le povertà in un contesto mondiale “dominato dall’incertezza, dalla delusione e dalla paura del futuro e controllato dagli interessi economici miopi”.
E cerco allora possibili vie d’uscita, non solamente sul piano dell’impegno intellettuale, ma concretamente sulla modifica dei comportamenti (la “conversione ecologica”) perché mi sento pienamente coinvolto e perfino in qualche misura responsabile dell’attuale situazione, anche con riferimento alle realtà di impegno civile in cui sono inserito.
Nessuno deve tirarsi indietro per piccolo possa essere il contributo di ciascuno.
Ci aiutano in questa impresa proprio le due ultime encicliche di Papa Francesco.
Individuo alcune connessioni tra le stesse che mi aiutino a comprendere la situazione e che m’illuminino rispetto al “che fare?”. E’ un percorso che mi/ci impegna come cattolici, ma che può coinvolgere tutti. Proprio secondo gli intendimenti del Papa: [FT 6] “Consegno questa Enciclica sociale come un umile apporto alla riflessione affinché (…) siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole. Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà”. Intendimenti ormai nella consuetudine dei Papi, da Giovanni XXIII (Pacem in terris, 1963) in poi.

L’enciclica “Fratelli tutti” richiama esplicitamente la “Laudato si’” in 23 note, sulle quali opero un’arbitraria selezione, riconducendo i contenuti a tre grandi tematiche, che schematizzo nei titoli seguenti: IL LAVORO, POLITICA ed ECONOMIA, BENI COMUNI e PROPRIETA’ PRIVATA.

IL LAVORO
Alla questione il Papa dà molta enfasi, situandola nel solco tradizionale della Dottrina sociale della Chiesa, evitando di portarsi avanti nel dibattito sul rapporto tra lavoro e reddito, che pur aveva trattato in un precedente sorprendente intervento (8)
Dice il Papa [FT 162]: “Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze. Questo è il miglior aiuto per un povero, la via migliore verso un’esistenza dignitosa. Perciò insisto sul fatto che «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze”. Ecco il passaggio in cui il Papa non insiste sulle teorie del «reddito universale di base» se non nel proporlo per le fasi emergenziali. Sostiene infatti che “Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro. Per quanto cambino i sistemi di produzione, la politica non può rinunciare all’obiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società assicuri ad ogni persona un modo di contribuire con le proprie capacità e il proprio impegno. Infatti, non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro». In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo“. Riprende pertanto quanto scritto nella LS [128]: “Siamo chiamati al lavoro fin dalla nostra creazione. Non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale.(…) Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro”. Il Papa ha ben presente le radicali trasformazioni del lavoro e mette in guardia da pericolose derive, nel momento in cui “l’orientamento dell’economia ha favorito un tipo di progresso tecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione della diminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine. È un ulteriore modo in cui l’azione dell’essere umano può volgersi contro sé stesso. La riduzione dei posti di lavoro «ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del «capitale sociale», ossia di quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile. In definitiva «i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani». Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società”.
Ancora sulla FT [168]: “ Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale. Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di fronte a qualunque sfida si presenti. Il neoliberismo riproduce sé stesso tale e quale, ricorrendo alla magica teoria del «traboccamento» o del «gocciolamento» – senza nominarla – come unica via per risolvere i problemi sociali (9). Non ci si accorge che il presunto traboccamento non risolve l’inequità, la quale è fonte di nuove forme di violenza che minacciano il tessuto sociale. Da una parte è indispensabile una politica economica attiva, orientata a «promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale», perché sia possibile aumentare i posti di lavoro invece di ridurli. La speculazione finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a fare strage. D’altra parte, «senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare». La fine della storia non è stata tale, e le ricette dogmatiche della teoria economica imperante hanno dimostrato di non essere infallibili. La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato e che, oltre a riabilitare una politica sana non sottomessa al dettato della finanza, «dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno»“.
Riprendendo la LS [129]: “ Perché continui ad essere possibile offrire occupazione, è indispensabile promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale. Per esempio, vi è una grande varietà di sistemi alimentari agricoli e di piccola scala che continua a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e dell’acqua e producendo meno rifiuti, sia in piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nella caccia e nella raccolta di prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale. Le economie di scala, specialmente nel settore agricolo, finiscono per costringere i piccoli agricoltori a vendere le loro terre o ad abbandonare le loro coltivazioni tradizionali. I tentativi di alcuni di essi di sviluppare altre forme di produzione, più diversificate, risultano inutili a causa della difficoltà di accedere ai mercati regionali e globali o perché l’infrastruttura di vendita e di trasporto è al servizio delle grandi imprese. Le autorità hanno il diritto e la responsabilità di adottare misure di chiaro e fermo appoggio ai piccoli produttori e alla diversificazione della produzione. Perché vi sia una libertà economica della quale tutti effettivamente beneficino, a volte può essere necessario porre limiti a coloro che detengono più grandi risorse e potere finanziario. La semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica. L’attività imprenditoriale, che è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, può essere un modo molto fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune”.
Da quanto messo in evidenza, risulta esplicita la critica del Papa (ripetuta in molte occasioni) alle teorie economiche dominanti, quelle di stampo neoliberista, che mettono al centro la realizzazione del profitto, piuttosto che del benessere delle persone, generando privilegi e ricchezze per pochi, forti diseguaglianze e povertà per molti. Per converso il Papa incoraggia lo studio e la pratica di economie diverse, quali quelle cosiddette circolari o che si rifanno ai principi dell’economia civile. Afferma Papa Francesco in altra circostanza (10): “l’economia, nel suo senso umanistico di “legge della casa del mondo”, è un campo privilegiato per il suo stretto legame con le situazioni reali e concrete di ogni uomo e di ogni donna. Essa può diventare espressione di “cura”, che non esclude ma include, non mortifica ma vivifica, non sacrifica la dignità dell’uomo agli idoli della finanza, non genera violenza e disuguaglianza, non usa il denaro per dominare ma per servire (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 53-60)”.
[segue]

Oggi lunedì 21 dicembre 2020

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————–Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti————————
ANPI. Oggi alle 17 webinar con Antonello Murgia su Sanità di fronte al covid
21 Dicembre 2020 su Democraziaoggi.
Oggi dalle 17 alle 18,30 si tiene il quarto webinar dell’ANPI su “Costituzione ed emergenza”. Antonello Murgia, medico, da sempre impegnato nelle battaglie per il diritto alla salute, tratterà il tema molto dibattuto del diritto alla salute al tempo del covid [...]
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Elogio della disciplina da parte di un indisciplinato!
21 Dicembre 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
L’altro giorno, alla radio, un intrattenitore discettava di paradossi e ne individuava uno intorno al concetto e alla pratica della disciplina. Diceva in sostanza che di fronte alla pandemia si mostrano disciplinati “quelli di sinistra” e indisciplinati “quelli di destra, in controtendenza rispetto alla storia e alla tradizione”. E giù una serie di spiegazioni […]
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Ricordando Gianfranco
21 Dicembre 2020
Rita Sanna su Democraziaoggi.
La grande passione civile che ha animato il suo impegno professionale e di studioso è uno degli aspetti che hanno caratterizzato la figura di Gianfranco Sabattini .
I suoi scritti hanno affrontato tematiche legate ai bisogni profondi delle persone e della società nella sua interezza. Divulgatore nel senso migliore del termine, ha saputo portare all’esterno […]
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Oggi lunedì 21 dicembre l’ultimo saluto a Gianfranco Sabattini alle ore 14 nel piazzale del cimitero di San Michele, Cagliari.
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Gianfranco Sabattini

Per ricordare Gianfranco Sabattini ripubblichiamo un suo articolo sulle prospettive e sulle scelte per lo sviluppo della Sardegna che scrisse in garbata polemica con un intervento di Paolo Fadda su l’Unione Sarda. Tanto basta per dare conto della passione politica di Gianfranco per la sua terra. E non importa se tutto o quasi sembra volgere al disastro, con il governo regionale di turno e l’intera classe dirigente inadeguati a impostare una diversa politic delle a, quella che richiede capacità innovative e nuovo protagonismo dei sardi e dei giovani in particolare. Sabattini sostiene che un’alternativa credibile ci possa essere. Ci sono in Sardegna energie sopite che occorre solo organizzare e motivare. Sono presenti soprattutto negli enti locali, che occorre coinvolgere, potenziandone competenze e poteri e trasferendo loro le necessarie risorse. A chi gli obbiettava le difficoltà del cambiamento, Sabattini opponeva un prudente ottimismo, rifacendosi a Gramsci. Gli piaceva anche ricorrere a un bell’aforisma di Barbara Wootton: “E’ dai campioni dell’impossibile piuttosto che dagli schiavi del possibile che l’evoluzione trae la sua forza creativa”. Lui, Sabattini, ci credeva, forse perché campione dell’impossibile in questa accezione lo era davvero.
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lampada aladin micromicroPaolo Fadda e Gianfranco Sabattini sono due “grandi vecchi” ancora capaci di mettere in campo forti energie intellettuali al servizio della Repubblica e della Nazione Sarda. Nel “quasi deserto culturale” della nostra Regione, animano con passione e competenza un necessario dibattito sulla situazione sarda. Questo li unifica ed è giusto riconoscere loro il merito, prima di segnalare le diverse posizioni rispetto al dibattito in questione, la “Questione Sarda”. Fadda richiede, anzi invoca, che la classe politica sarda abbia un sussulto di orgoglio e si adoperi per ottenere ingenti risorse pubbliche (statali ed europee) al fine di invertire la rotta della disastrosa situazione economica dell’Isola. Sabattini replica che si tratta di una vecchia ricetta, ché, se pur si riesca ad ottenerle in adeguata misura, queste nuove risorse provocano benefici relativi per la Sardegna, a fronte di quelli di gran lunga superiori per i fornitori della penisola o esteri. Occorre invece sostenere e ampliare le capacità dei produttori locali e degli Enti dell’autonomia regionale, gli unici in grado di produrre sviluppo endogeno. Che dire? Il dibattito è aperto. Non si tratta di schierarsi quanto di saperlo approfondire ed estendere. È quanto contribuiamo a fare con le tre testate online: il manifesto sardo, Democraziaoggi, Aladinpensiero. Questo è un invito al resto del mondo!
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La mancata soluzione della “Questione Sarda” secondo Paolo Fadda
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di Gianfranco Sabattini

Paolo Fadda in un suo intervento sull’”Unione Sarda” del 10 Ottobre, dal titolo “La Questione Sarda”, lamenta la scarsa propensione in Sardegna a voler mettere al centro di un possibile dibattito” l’attualità della “Questione”; ciò perché, a suo dire, essa non avrebbe subito sostanziali cambiamenti da quando Giovanni Battista Tuveri e Giovanni Maria Lei Spano l’hanno posta come problema nazionale, cui le discriminazioni dei governi nazionali hanno impedito di dare risposte risolutive; risposte che sarebbero mancate anche dopo la conquista “dell’autonomia regionale come strumento di autogoverno”.
A parere di Fadda non si discuterebbe, né ci si confronterebbe più sull’uso delle risorse autonomistiche, in quanto queste sarebbero state sempre più depotenziate dalle crescenti protervie centralistiche dei governanti romani, congiuntamente alle debolezze ed alle inerzie dirigenze regionali, sino a prefigurare il pericolo che l’Isola diventi vittima di un “dipendentismo” che la renderebbe sempre più subalterna a “interessi e decisioni altrui”. Per queste ragioni, il fallimento delle finalità del progetto autonomistico, quali erano nelle aspirazioni dei sardi all’indomani dell’avvento della Repubblica, ha ridato attualità – afferma Fadda – alla riproposizione della “Questione”, in quanto l’Isola, come i dati statistici consentono di rilevare, persiste ancora in “una penalizzante condizione di arretratezza e di insufficienze strutturali”, che varrebbero ad allontanarla dalle regioni del Nord-Est del Paese, sempre più favorite dai crescenti investimenti dello Stato.
La maggior disparità rispetto a tali regioni avrebbe concorso, a causa delle “caduta di capacità e di prestigio delle nostre dirigenze, a far sì che la Sardegna ritornasse ad essere esclusa al “gran ballo degli aiuti di Stato”, tanto da “rendere urgente” la riproposizione al Paese di una nuova “Questione Sarda” per porre rimedio ai “troppi torti subiti”.
L’analisi di Fadda di quanto accaduto (o sta accadendo) in Sardegna è fuorviante; essa è fondata sul presupposto che gli “aiuti pubblici” siano di per sé sufficienti a rimuovere il “dipendentismo”, promuovendo l’uscita dallo stato di arretratezza che da sempre affliggono l’Isola, mancando di considerare che tale rimozione non dipende solo dalla disponibilità di risorse, ma anche e soprattutto dalle modalità della loro utilizzazione. Infatti, malgrado le ingenti risorse ricevute a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, l’Isola non è riuscita a decollare, in quanto ha privilegiato l’attuazione di un “modello di industrializzazione senza sviluppo” (senza cioè produzione di ricchezza endogena, né un reale e duraturo miglioramento della qualità delle vita dei sardi).
Tale modello, che Fadda nella sua complessa attività di amministratore e di studioso dell’economia sarda non ha mancato di condividere, è stato alimentato e sorretto da un’ingente canalizzazione di risorse finanziarie per la localizzazione nell’Isola di industrie pubbliche e private; un flusso di risorse utilizzato però solo per promuovere l’aumento del reddito disponibile, ma non anche si quello prodotto all’interno dell’area regionale.
Nel lungo periodo, il modello di sviluppo attuato ha mostrato tutti i suoi limiti, con il risultato di non aver innescato alcun processo di crescita endogena, né di aver eliminato o affievolito il divario economico che continua ancora oggi a separare la Sardegna dalle aree più avanzate del resto del Paese. Quello attuato è stato un modello di crescita fortemente dipendente da condizioni favorevoli esterne che, con la crisi petrolifera degli anni Settanta è crollato, avviando l’economia dell’Isola verso un progressivo declino che è continuato senza sosta fino ai giorni nostri.
La principale conseguenza negativa del modello di crescita sperimentato in Sardegna nei primi decenni successivi agli anni Cinquanta del secolo scorso può essere così sintetizzata: un aumento del reddito disponibile per abitante e, quale conseguenza, un aumento della domanda di beni consumo; ma non essendo tali beni di consumo prodotti in Sardegna, l’aumento del solo reddito disponibile ha causato un consistente incremento delle importazioni.
L’aumento delle importazioni si è quindi tradotto in un vantaggio a favore delle regioni italiane (soprattutto settentrionali) e di altri Paesi produttori. Si è così determinata quella che è poi diventata una costante del sistema produttivo della Sardegna, ovvero un crescente squilibrio della bilancia commerciale per una quota rilevante di beni di consumo e di beni intermedi a favore di attività produttive extraregionali. Lo squilibrio ha riguardato, e riguarda tuttora, soprattutto la bilancia agro-alimentare dell’Isola, con la conseguente perdita dell’autosufficienza alimentare rispetto al fabbisogno interno.
Il miglioramento degli standard di vita dei sardi è stato il parametro in base al quale le élite politiche regionali hanno preteso di valutare il successo della politica di intervento realizzata. In ciò è da rinvenirsi il sintomo più evidente dei limiti della politica di crescita regionale perseguita; infatti, il processo di industrializzazione sperimentato ha portato, non alla crescita della Sardegna, ma alla riproposizione, in altre forme, della “Questione Sarda”, espressa dal fatto che l’Isola, pur avendo accumulato importanti localizzazioni produttive, non è riuscita a liberarsi dalle “secche” sulle quali una politica di intervento casuale ed erratica l’ha inevitabilmente condotta.
Quale prospettiva di crescita si offre oggi alla Sardegna? Per rispondere occorre liberare le energie intrinseche al sistema delle autonomie locali del quale a livello regionale si è sempre mancato di cogliere le implicazioni. Il sistema locale, come la letteratura sull’argomento suggerisce, è che un insieme di insediamenti residenziali e produttivi, le cui relazioni reciproche sono determinate dai comportamenti quotidiani degli operatori in essi presenti, i quali nel tempo hanno delimitato un’area entro cui si è consolidata la maggior parte dei rapporti economici tesi a svilupparsi nel tempo.
In questa prospettiva, con un contesto sociale ed economico, inteso come un continuum di spazi territoriali nei quali sono insediate specifiche comunità locali, la nuova politica di crescita dovrebbe tenere conto della necessità che nella elaborazione delle nuove decisioni concernenti le destinazioni delle risorse pubbliche che l’Isola continua a ricevere siano coinvolte anche le singole comunità; tale coinvolgimento richiede ovviamente la realizzazione delle condizioni operative idonee a consentire alle stesse comunità di partecipare attivamente alla costruzione degli scenari e delle politiche di crescita del loro territorio. Questo nuovo approccio alla crescita ed allo sviluppo dell’Isola si giustifica sulla base del fatto che fino ad oggi tutto ciò che è stato realizzato per il superamento dell’arretratezza dei singoli territori, è stato recepito, a livello locale, come “calato dall’alto”, con conseguente esclusione delle singole comunità territoriali dai relativi processi decisionali.
L’ipotesi che nella formulazione della nuova politica di crescita e di sviluppo regionale non si possa più prescindere dalle comunità locali e dalla loro partecipazione ai processi decisionali impone che la promozione, la progettazione e l’attuazione di una politica di crescita e di sviluppo siano fondate sull’individuazione di “percorsi” strategici supportati da un’“accettazione sociale” la più estesa possibile.
L’insuccesso della politica di sviluppo sinora attuata a livello regionale è stato infatti causato dal fatto che il “modello di industrializzazione forte” privilegiato non ha avuto alcune giustificazione sul piano produttivo, perché gli interventi realizzati sono stati suggeriti dall’idea che la crescita e lo sviluppo dovessero dipendere unicamente dalla disponibilità di capitali da investire in attività produttive che hanno avuto solo effetti diffusivi esogeni rispetto all’area regionale; in altri termini, l’insuccesso si è verificato in quanto è stata condivisa l’idea che la crescita e lo sviluppo dovessero dipendere dalla presenza di attività produttive prive di ogni rapporto con l’ambiente circostante e che le attività tradizionali dovessero essere considerare assieme alla cultura locale (motivazioni psicologiche e comportamnti prevalenti) alla stregua di un limite che occorreva non solo ignorare, ma anche rimuovere.
Quanto sinora detto evidenzia che, per attuare un nuovo modello di sviluppo dell’Isola è necessaria una svolta riformatrice della politica regionale improntata ai più recenti paradigmi dello sviluppo locale. Il successo del nuovo modello di crescita ispirato a tale paradigma consentirebbe di collegare tra loro, in modo sistematico, i tre pilastri (Regione, comunità locali e mercato) sui quali dovrebbe essere fondata l’attuazione del nuovo modello di sviluppo ed il governo partecipato dell’economia regionale.
Chi vive in una regione come la Sardegna, che sinora ha fruito di abbondanti trasferimenti per la promozione di un processo di crescita, non riesce a liberarsi dal convincimento che le politiche di sviluppo regionali sinora attuate siano diventate solo veri e propri canali di selezione della classe dirigente locale. Si viene eletti, non per le capacità amministrative o per la visione politica, ma perché si è in grado di fare affluire risorse sul territorio per distribuirle fra i più disparati “clienti”; risorse svincolate da qualsivoglia visione del futuro del territorio regionale, perché impiegate sulla base di decisioni centralistiche delle istituzioni regionali.
Perdurando questa situazione diventata quindi ragionevole la presunzione che gli obiettivi dell’ottenimento di nuovi trasferimenti pubblici non siano la crescita o l’occupazione, ma, al contrario, la conservazione dell’establishment dominante e della prosperità della pletora di professionisti interessati all’impiego dei nuovi “aiuti pubblici”, nonché la “carriera” delle burocrazie locali.
Se si considera che le politiche d’intervento sinora attuate hanno avuto solo uno scarso (e a volte negativo) impatto sul sistema economico della Sardegna si può concludere osservando che, contrariamente a quanto suggerito da Fadda, la “Nuova Questione Sarda” non possa essere risolta mediante l’ottenimento di nuovi trasferimenti pubblici da utilizzare come si è fatto nel passato; essa può essere risolta solo mediante un approccio alla crescita regionale fondata sulla valorizzazione delle comunità locali, sotto il vincolo che l’impiego dei nuovi trasferimenti conduca, prima o poi, alla “comparsa” di un benché minimo tasso di accumulazione endogena.
[segue]

Per Gianfranco Sabattini

187be012-764f-440a-ba54-14ca2f3a3283Il 5 febbraio dello scorso anno le tre testate online Democraziaoggi, il manifesto sardo e Aladinpensiero, in collaborazione con il CoStat, organizzarono un incontro pubblico denominato “Dialogo con Gianfranco Sabattini”, per la presentazione della sua più recente produzione editoriale. [segue]

È morto Gianfranco Sabattini

lutto1ddd02b8-e342-421c-9112-2a59cc29fb4fApprendiamo in questo momento la tristissima notizia della morte di Gianfranco Sabattini, illustre professore dell’Università di Cagliari e nostro stimato e pregevole collaboratore. Lo ricorderemo da subito e nel tempo che viene, come degnamente merita, in raccordo con le altre due testate online Democraziaoggi e il manifesto sardo, per le quali assiduamente scriveva. Ecco di seguito il comunicato che ci ha fatto pervenire il nostro comune amico Mariano Mariani.
[COMUNICATO STAMPA] Si è spento stanotte il prof. Gianfranco SABATTINI (Comacchio, 01/06/1935). Gianfranco Sabattini è stato per lungo tempo docente e titolare della cattedra di Politica economica presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Cagliari. Autore di numerose pubblicazioni su temi di carattere generale e sui problemi della crescita e dello sviluppo del Mezzogiorno e della Sardegna. [segue]

Oggi mercoledì 16 dicembre 2020

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Un “Manifesto” di disobbedienza civile per salvare il pianeta
16 Dicembre 2020
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
L’ultimo “Report” dell’IPBES (“Intergovernamental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services” dell’ONU) denuncia la “perdita di natura senza precedenti” verificatasi negli ultimi decenni ed imputabile a cinque “motori” individuati come diretti responsabili dei maggiori impatti globali negativi dell’attività antropica sul pianeta: i “cambiamenti nell’uso del suolo e del mare”; lo “sfruttamento diretto degli organismi”; il “cambiamento climatico”; l’”inquinamento”; le “specie esotiche invasive”.[…]
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Oggi mercoledì 9 dicembre 2020

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Per rilanciare la crescita del Paese? Una nuova costituzione fiscale
9 Dicembre 2020
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Gli effetti devastanti della pandemia da Covid-19 ha spinto i governi ad iniettare stimoli nell’economia per proteggere la popolazione e salvaguardare le struttura produttiva, perché possa ripartire non appena il virus abbia allentato il suo impatto sull’intero sistema sociale; tuttavia, – afferma Mariana Mazzucato (insegnante di Economia dell’innovazione e del valore pubblico presso l’University […]
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Oggi giovedì 3 dicembre 2020

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La “riconquista” del “disegno europeo”
3 Dicembre 2020
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Mentre nel marzo 2020 i Paesi membri dell’Unione Europa erano costretti a subire il lockdown, l’Europa “ha dato prova di una reattività francamente inaspettata”; in poche settimane, afferma Francesco Saraceno in “La riconquista. Perché abbiamo perso l’Europa e come possiamo riprendercela”, mentre si espandeva a livello mondiale l’epidemia da Covid-19 e l’economia mondiale […]
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