Risultato della ricerca: Francesco Masala
La passione come caratteristica vincente per un progetto d’impresa di successo
Intervista a Francesco Meloni, Università di Sassari
di Alessandro Ligas, trasferimentotec
#La nostra passione al vostro servizio per rendere il progetto un’impresa di successo, partiamo! (Francesco Meloni)
Oggi la parola start up è diventata di dominio pubblico. In moltissimi giornali e trasmissioni televisive si parla. Come ho scritto in un precedente articolo “oggi è uno dei termini più usati nel mondo delle imprese e sui titoli dei giornali. Startup, inteso come attività imprenditoriale, azienda che prima non esisteva e che viene avviata (dall’inglese startup: avvio, decollo)”.
Io ne ho sentito parlare per la prima volta nel 2007 quando, ancora acerbo, sono entrato a collaborare con il Liaison Office dell’Università di Cagliari e quando le parole “start up”, “spin off”, “incubatori”, “business plan” e tante altre non erano così diffuse . Sono entrate subito nel mio dizionario e mi sono appassionato all’innovazione grazie all’entusiasmo delle persone che ho avuto il piacere di incontrare. Persone, a partire dai colleghi, anzi ex colleghi (ormai non collaboro più con l’ILO Cagliaritano), dagli amministrativi, funzionari e ultimo, ma primo nei miei pensieri per forza e voglia di cambiare, dell’allora dirigente della direzione, che mi hanno trasmesso la passione e che tutt’oggi, dal 2010, porto avanti attraverso le pagine del Blog. Ma come non ricordare anche tutti coloro che oggi lavorano nell’ILO del capoluogo (con i quali ho avuto il piacere di collaborare per alcuni mesi) che contagiano la voglia di scommettere nelle idee e nella ricerca. Passione che ho visto negli occhi di tante persone che fanno, divulgano e portano avanti l’innovazione.
Oggi abbiamo il piacere di farci raccontare, da Francesco Meloni, Head of Technology Transfer UniSS, la nascita dell’Ufficio di Trasferimento Tecnologico dell’Università Turritana che ha aiutato, come capofila dell’allora progetto ILONET, a far nascere la scintilla dell’innovazione in Sardegna. Scintilla che quest’anno si è trasformata in un fuoco. Infatti quest’anno a Sassari, già sede nel 2012 del Premio StartUp dell’Anno, si svolgerà la finale del Premio Nazionale dell’Innovazione PNICube, competizione tra progetti d’impresa ad alto contenuto innovativo, nati dalla ricerca ad opera di studenti e ricercatori. Un evento che significa “tantissimo” come ci racconta Francesco “senza dubbio è l’attività più importante che stiamo gestendo e promuovendo da quando esiste l’Ufficio. Siamo riusciti a coinvolgere gli enti del territorio (Comune, Camera di Commercio e Associazione degli Industriali del Nord Sardegna) trasmettendo il nostro entusiasmo. Deve essere il punto di partenza per il rilancio del territorio, l’occasione per fornire alle persone prospettive reali”.
in giro con la lampada di aladin…
Spopolamento, trentatré Comuni rischiano la scomparsa. Semestene e Monteleone Roccadoria i casi più gravi: azzeramento demografico tra meno di 20 anni. Su La Nuova Sardegna on line.
CI STA BENE la citazione della sera di un anno fa.
In un panorama così desolato non si può vivere, umanamente, molto a lungo. E’ ora, dunque, di ripartire. Ripartire dai paesi (dae sas biddas).
Dai paesi per farli ridiventare comunità, la fonte degli ideali. Per farli rivivere come centri di cultura, di economia, di politica.
(Eliseo Spiga – Francesco Masala – Placido Cherchi)
A Pattada il 12 e 13 settembre la quarta edizione de S’Ischola de su Trabagliu
Quali le scommesse di LAMAS e di S’ischola de su trabagliu per l’Edizione 2014? La quarta edizione de S’Ischola de su Trabagliu, organizzata dall’Associazone culturale LAMAS, candida Pattada ad essere pensatoio stabile delle politiche per lo sviluppo della Sardegna. Come creare lavoro? Quale e come? è il titolo. Industria, artigianato, agroalimentare, turismo, economia culturale saranno i focus programmati venerdì pomeriggio 12 e sabato 13 settembre all’Hotel La pineta nel Parco La Pineta Salvatore Pala.
LAMAS col contributo della Fondazione Banco di Sardegna ed il patrocinio del FAI (Fondo Ambiente Italiano), intende elaborare strumenti di sviluppo immediatamente traducibili in atti concreti dall’iniziativa privata e pubblica isolana. L’evento si strutturerà in cinque incontri attivi e circolari. Gli stessi titoli degli incontri sono in chiave di domanda:
- C’è ancora spazio per l’industria? Per quale?
- L’accoglienza è il lavoro di una stagione?
- Dalla terra e dal mare quale lavoro?
- C’è ancora spazio per il sapere delle mani?
- Con la cultura si mangia?
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Sedotti e acculturati. Un omaggio al pensiero di Placido Cherchi
Sedotti e acculturati. Un omaggio al pensiero di Placido Cherchi . Domani, martedì 24 giugno 2014 – h. 15.30 – 17.30. Fondazione Banco di Sardegna, via san Salvatore d’Horta, 2 – Cagliari. La pagina fb dell’evento – segue –
gli occhiali di Piero su…
SULLA TORTURA
Restare appesi al soffitto per ore.
Sentire i muscoli che si stirano, il corpo che vibra per le scariche elettriche, uno straccio bagnato in bocca che induce al soffocamento.
La minaccia di un’esecuzione, di uccidere i familiari.
La minaccia dello stupro, la realtà dello stupro.
Si chiama tortura.
Il suo obiettivo è annichilire, distruggere l’identità, spezzare, far firmare una confessione, rivelare nomi. Annientare. Lontano dagli occhi del mondo, senza un avvocato, un giudice che blocchi questo orrore.
Quasi mai l’obiettivo è uccidere fisicamente. La tortura annulla come essere umano il torturato. Universalmente bandita, universalmente praticata: nel suo ultimo rapporto annuale Amnesty International ha denucniato casi di tortura in oltre 100 paesi. (da Stop alla tortura, di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty in Italia).
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- Succedeva un anno fa. Gli occhiali di Piero su Aladinews del 14 maggio 2013
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FALSE CITAZIONI
Cavour chi?
(Giuseppe Garibaldi)
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POETESSE SCONOSCIUTE
IL SONNO
Quiete che non giunge,
angoscia che è compagna dell’insonnia.
Dicono che il sonno
sia cugino della morte,
ma a chi è sorella
questa notte senza sonno?
Come pesci o fantasmi
nuotano nel buio
pensieri che si oppongono
al sacro ristoro del sonno,
come accuse di colpe non commesse.
Dicono che il sonno
sia compagno dei giusti,
eppure persino agli innocenti
può essere impedito.
(Marisol Duarte De Roberti)
PAESI CHE SCOMPAIONO
NUGHEDU S.NICOLO’. Nell’elenco dei 30 paesi minacciati di scomparire nell’arco di qualche decina di anni figura Nughedu S.Nicolò, paese natale dello scrittore, caro a noi tutti, Francesco Masala, Ciccitu.
Nel volgere di 60 anni è passato da 2.300 abitanti a poco più di 800.
Il suo nome significa “noceto”, segno dell’antica vocazione boscosa, venuta meno all’inizio del ’900. Fino all’anno scorso era ancora l’unico comune dello Stato italiano fuori dalla rete mobile di telefonia cellulare (e forse ancora lo è…)
Eppure è un paese grazioso, in mezzo a colline, in cui scorre il Rio Molinu, una piazza centrale e palazzine che terminano con le eleganti altane, come a Ozieri.
Nel territorio, che all’epoca dei giudicati fu di Torres e poi di Arborea, domus de janas, chiese campestri, antiche tombe. Nughedu ha anche una sua sagra, Sas Panafittas, piatto povero tipico, simile a sa “suppa cuata”.
Perchè mai Nughedu S.Nicolò dovrebbe scomparire?
Un commento di Pier Nicola Simeone. Perché non sappiamo gestire un territorio in maniera sostenibile in modo da assicurare un reddito dignitoso e dare quindi la reale possibilità di restare…perché preferiamo pagare danni cento volte superiori invece di dare un reddito di manutenzione a chi resta a curare boschi e montagne… perché certi paesi, pur incantevoli non hanno le minime infrastrutture per poter permettere a chi può e vuole di viverci almeno parte dell’anno… dovremmo guardare come fanno in Corsica, senza andare troppo lontano.
gli occhiali di Piero su… a su connottu
STORIA SARDA
SU CONNOTTU. Il 26 aprile 1868 a Nuoro scoppia la rivolta de Su Connottu.
Il consiglio comunale, formato da grossi proprietari decide la vendita dei terreni comunali dove pastori e contadini poveri avevano libero accesso.
Così la descrive Gianfranco Pintore nel libro “Sardegna, Regione o colonia?”:
“Cominciarono una cinquantina di pastori e di contadini poveri a manifestare sotto la sede della prefettura di Nuoro. Gridavano “a su connottu”, vogliamo che si torni al conosciuto, alle terre in comune. In poche ore i manifestanti diventarono alcune centinaia in marcia verso il Comune. Vi fecero irruzione, si impadronirono delle armi della guarnigione e saccheggiarono; i piani di lottizzazione furono dati alle fiamme insieme ai registri dello stato civile. La sommossa cessò solo quando il sottoprefetto, il capo dei carabinieri e il procuratore del re promisero che “a su connottu” si sarebbe tornati…”
A capo di questa rivolta fu la leggendaria Paschedda Zau e ispiratore ne sarebbe stato addirittura il vescovo di Nuoro, Salvatore Angelo Demartis.
Tante rivolte come questa cominciarono a seguito della Legge delle Chiudende (1820), con la quale a Torino si pensò che l’agricoltura e la pastorizia sarda si sarebbe modernizzata, se si ordinava la chiusura (tanca) di terreni liberi e aperti, assegnandone la proprietà a chi riusciva a chiuderli. Ne seguì quello che il poeta Melchiorre Murenu descrisse nella famosa quartina:
Tancas serradas a muru
fattas a s’afferra afferra
si su chelu fit in terra
l’aian serradu puru.
I fatti de Su Connottu divennero opera teatrale, grazie a Romano Ruju.
Il 4 luglio 1975, in piazza Satta a Nuoro, con un prologo e un epilogo di Francesco Masala, va in scena Su Connottu di Ruju, regia di Gianfranco Mazzoni, scene di Corrado Gai, con attori già prestigiosi quali Lia Careddu, Tino Petilli, Cesare Saliu, Franco Noè, Cristina Maccioni (e altri che non ricordo, scusate).
Scrive Mario Faticoni nel suo libro “Teatro contemporaneo in Sardegna”:
“Il successo ha collocato questo spettacolo nel mito. In cinque anni, 140 località sarde toccate, 260 rappresentazioni, in totale, fino a qualche anno fa, 350 recite circa (…) Sarà inoltre rappresentato a Bologna, Milano e Torino per i circoli degli emigrati”.
Sulle conseguenze politiche dei fatti de Su Connottu scriverò poi un’altra nota.
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CONSEGUENZE POLITICHE DE “SU CONNOTTU”
La rivolta di aprile a Nuoro mosse il deputato Giorgio Asproni, che pure non era pregiudizialmente contrario alla privatizzazione delle terre, a chiedere, nel giugno 1868, una commissione parlamentare di indagine.
Commissioni del genere (Valerio 1852, Saffi 1862) non avevano dato risultati, tuttavia i nuovi fermenti tra contadini e pastori chiedevano risposte. - segue -
Documentando. Riflessioni ed elaborazioni per il presente e il futuro della Sardegna
COSTITUENTE SARDISTA – Conferenza Programmatica
VERSO LA COSTITUENTE DEL POPOLO SARDO
14 Dicembre 1997 – Quartu S. Elena Cagliari
Appuntamenti culturali segnalati da Aladin
SARDEGNA, TERRA DESOLATA, SCOMPAIONO I PAESI
di Piero Marcialis, Fondazione Sardinia
In un panorama così desolato non si può vivere umanamente molto a lungo.
E’ ora, dunque, di ripartire. Ripartire dai paesi (dae sas biddas).
Dai paesi per farli ridiventare comunità, la fonte degli ideali.
Per farli rivivere come centri di cultura, di economia, di politica.
(Manifesto della gioventù eretica del comunitarismo,
di Eliseo Spiga – Francesco Masala – Placido Cherchi, gennaio 2000)
Già da alcuni anni la Fondazione Sardinia si occupa del problema del progressivo spopolamento dei nostri paesi: diminuzione di abitanti che non si limita al dato quantitativo, ma diventa elemento qualitativo, in termini di peggioramento della qualità della vita con la sparizione di servizi in realtà già carenti: chiude l’ufficio postale, o apre saltuariamente, chiudono scuole elementari e medie e vanno a combinarsi coi paesi vicini, costringendo a volte i fanciulli a percorsi penosi e disagevoli; chiudono, o diventano intermittenti, anche le farmacie, i laboratori medici, il medico generico e specialisti vari, i chioschi di giornali; cinema, teatro, informazione e spettacolo scompaiono del tutto o quasi; persino dei generi alimentari diventa carente la presenza, non parliamo dell’abbigliamento e di altri generi; aumenta la dipendenza dai centri urbani, l’obbligo di recarsi in città, il pensiero di andarci stabilmente, perchè a questo punto tanto vale viverci, e poi la città ha il fascino di una vita più libera dal controllo sociale, l’illusione che la noia non abiti mai là, che ci si arrangi meglio, con più occasioni.
Così il paese va in declino, la data della sua morte dipenderà soltanto dal prolungarsi o meno dell’agonia.
I risultati di uno studio del Centro di Programmazione Regionale, presentato questo giovedi 23 gennaio in un Convegno a Cagliari, sono allarmanti.
Presentano infatti un elenco di 30 comuni sardi in via di estinzione: Armungia (il paese natale di Emilio Lussu), Ballao, Esterzili, Seulo, Ussassai, Bortigiadas, Aidomaggiore, Ardauli, Asuni, Baradili, Montresta, Morgongiori, Nughedu Santa Vittoria, Ruinas, Simala, Sini, Soddi, Sorradile, Ula Tirso, Cheremule, Villa Verde, Villa Sant’Antonio, Anela, Borutta, Nughedu S. Nicolò, Giave, Martis, Padria, Semestene, Monteleone Roccadoria.
Gli ultimi due sarebbero condannati a scomparire entro dieci-quindici anni.
Hanno illustrato i dati: Gianluca Cadeddu, direttore del Centro Regionale di Programmazione; Gianfranco Bottazzi e Giuseppe Puggioni, dell’Università di Cagliari; Massimo Esposito, dell’Università di Sassari; gli esperti Antonello Angius ed Elena Angela Peta.
Che cosa si può, si deve, fare di fronte a questa catastrofe demografica?
Una catastrofe che non segnala solo una diminuzione della popolazione, ma un impoverimento sociale, culturale, politico, antropologico.
Paesi che sopravvivono dal tempo dei nuraghi, che oggi, dagli anni ’60, gli anni della Rinascita bugiarda, anzichè rinascere hanno visto dimezzata la popolazione, emigrati o inurbati i giovani, le forze migliori.
Sono 128 i paesi a rischio e il loro territorio interessa quasi un terzo della superficie dell’Isola. La loro scomparsa, entro questo secolo, è catastrofe generale, desertificazione della Sardegna, scomparsa della stessa identità.
Il tasso di natalità si riduce e supera il tasso di mortalità in tutta l’Isola, mentre il numero dei residenti si mantiene solo grazie all’immigrazione degli ultimi vent’anni: è fenomeno che toccherà l’intera Isola, non si creda che le città continueranno a crescere assorbendo il contado, il declino riguarderà anche i centri urbani, finirà la loro crescita; previsioni e proiezioni matematiche, calcolate sulle tendenze degli ultimi cinquantanni, mostrano una Sardegna che si riduce complessivamente a poche aree della costa e della pianura, molto meno popolate di quanto sono attualmente.
Le cause del disastro sono molteplici ed è dalla presenza intrecciata di molte di esse che si genera il fenomeno, così dunque anche i rimedi devono essere complessi e in grado di affrontare le diverse problematiche, partendo dallo studio e dall’analisi accurata caso per caso e dalla ricerca di soluzioni mirate che possono essere diverse caso per caso.
Il primo problema da affrontare è di far nascere reazioni e azioni positive; nei singoli paesi ognuno vede la realtà di questo fenomeno, ma fino a oggi le reazioni sono inadeguate: ad alcuni, con ottimismo fatalista, non sembra che ci si debba preoccupare (“andrà meglio, non sarà sempre così”); altri, con fatalismo pessimista, sono rassegnati al peggio (“non c’è niente da fare”).
Forse una strada da percorrere è quella di mettere in rete i paesi più vicini, favorendo i collegamenti, creando sinergie (come si usava dire tempo fa), organizzando servizi comuni, occasioni di ripresa, nuove soluzioni.
Fondazione Sardinia in questi anni ha cercato di agire su questi aspetti, a Bitti, a Seneghe, a Gesturi, dove abbiamo promosso incontri, dibattiti, convegni, coinvolgendo gli amministratori, gli operatori economici, sociali e culturali, i leader locali a qualunque titolo.
Proseguiremo questo impegno anche quest’anno, sia negli stessi comuni, sia in altri due che stiamo individuando in provincia di Sassari e di Nuoro.
L’esortazione dei nostri amici, ormai scomparsi, che ho messo in premessa, risale al 2000: abbiamo perso tempo, oggi è più urgente che mai.
SARDEGNA, TERRA DESOLATA, SCOMPAIONO I PAESI.
PIERO MARCIALIS
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Sulla questione riproponiamo un intervento di Vanni Tola, pubblicato su Aladin del 26 dicembre 2013.
Demografia e sviluppo nel prossimo futuro
La Sardegna senza Sardi? Drammaticamente di fronte alla necessità di compiere uno sforzo straordinario di elaborazione politica, di crescita culturale, di formulazione di strategie economiche alternative con le quali ci dovremo misurare. Saremo in grado di farlo?
di Vanni Tola
“La Sardegna senza Sardi?”.
Era questo il titolo di un convegno svoltosi a Sassari nei giorni scorsi. Un importante momento di discussione che ha stimolato ulteriori riflessioni nel merito di un problema poco esaminato: l’evoluzione demografica della Sardegna. Da decenni nell’isola si registra un incremento demografico negativo. In altri termini, il numero dei nuovi nati e degli immigrati è notevolmente inferiore a quello degli emigrati e dei deceduti. Gli studiosi di fenomeni demografici, elaborando dati reali (censimenti Istat in particolare), hanno indagato sul fenomeno e formulato delle previsioni prefigurando scenari futuri e realizzando ipotesi di evoluzione dell’andamento demografico fondate e attendibili. La considerazione che deriva dalla sintesi di tali elaborazioni è che la Sardegna rischia nei prossimi decenni un’implosione demografica. Una situazione che potrebbe essere caratterizzata da una consistente riduzione del numero dei sardi (alcuni parlano di 300-400 mila unità in meno, ed è l’ipotesi meno pessimistica), dalla scomparsa di centinaia di comuni minori, da un costante invecchiamento della popolazione attiva e da un insufficiente inserimento di intelligenze giovanili nel sistema Sardegna. Ipotesi preoccupanti, difficili da accettare perché pongono in discussione certezze consolidate. La millenaria civiltà isolana messa in crisi dal fenomeno delle “culle vuote”? Eppure è cosi. L’indice di natalità dell’isola è notevolmente inferiore, circa la metà, di quello che sarebbe necessario per mantenere costante la popolazione. L’indice dell’incremento demografico è negativo ormai da decenni in quasi tutta la Sardegna con l’unica eccezione di alcune limitate aree costiere (della Gallura, del Cagliaritano e del Sassarese). Centinaia di paesi potrebbero scomparire per mancanza di abitanti già dai prossimi decenni. La programmazione economica della Sardegna, i programmi di sviluppo, le strategie delle forze politiche impegnate nell’ennesima tornata elettorale, non possono più ignorare il problema, devono anzi considerarlo il punto di riferimento per qualunque nuova ipotesi riguardante lo sviluppo dell’isola. Alcuni esempi. Non ha più senso oggi, per la maggior parte delle amministrazioni comunali, predisporre piani urbanistici di sviluppo considerato che si va incontro a importanti decrementi della popolazione. Allo stesso modo occorre rivedere la progettazione e il ridimensionamento di una serie di servizi pubblici (in primo luogo sanità, edifici scolastici e altri) con riferimento alle previsioni di spopolamento delle aree amministrate. Naturalmente le previsioni demografiche sono appunto delle previsioni, non sono realizzate con la speranza che si concretizzino ma soprattutto per consentire la possibilità di intervenire in modo adeguato per governare le dinamiche in atto. Già alcuni studiosi propongono una lettura meno pessimistica degli scenari di decremento della popolazione, qualcuno formula perfino l’ipotesi che il decremento della popolazione possa perfino rappresentare una opportunità per determinare migliori condizioni di vita per i Sardi “residui”. Altri propongono di esaminare la possibilità di invertire le tendenze demografiche registrate e prevedibili per il futuro prossimo. Una proposta molto interessante e innovativa e che farà certamente discutere è quella avanzata dal prof. Giuseppe Pulina direttore del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari. Partendo dalla considerazione che in Sardegna si registrano tassi di natalità che sono tra i più bassi al mondo e che i giovani continuano a emigrare, Pulina propone di attivare interventi concreti ed efficaci per invertire la tendenza ad un significativo spopolamento della Sardegna e delle zone interne in particolare. La principale attività dell’isola, l’agro-pastorizia, stante l’attuale andamento demografico tende a diventare nei prossimi decenni una attività praticata quasi esclusivamente da lavoratori anziani, e perfino a essere fortemente ridimensionata nel suo ruolo e nelle sue potenzialità economiche. La soluzione indicata è quella di programmare, per i prossimi dieci anni, l’accoglienza di quindicimila coppie di immigrati, un vero e proprio progetto di ripopolamento o se preferite di riantropizzazione di vaste aree dell’isola come è avvenuto in altre parti del mondo, per esempio in Argentina e Australia. Un progetto che non deve essere inteso esclusivamente in termini di trasferimento di forza lavoro bensì come progetto di inclusione di persone nella nostra realtà garantendo loro progetti di vita validi e accettabili a cominciare dal diritto di cittadinanza per i loro figli. La realizzabilità di tale progetto potrebbe essere favorita da finanziamenti europei già disponibili, ad esempio le risorse del programma Horizon 20.20 per le politiche di integrazione. Milioni di euro che potranno essere spesi dal 2014, se si avrà il coraggio, la capacità e la lungimiranza di predisporre adeguate programmazioni. La Sardegna potrebbe essere la prima realtà europea a realizzare un piano di questo tipo. L’isola si candiderebbe così a diventare un’area geografica di accoglienza e gestione programmata di flussi migratori che potrebbero, a loro volta, concorrere a rivitalizzare una società tendenzialmente minacciata di estinzione o comunque di un drastico ridimensionamento del proprio ruolo nel mondo. Ancora una volta la discussione, il confronto, lo studio di ipotesi di sviluppo valide e alternative alle logiche e alle scelte del passato ci pone drammaticamente di fronte alla necessità di compiere uno sforzo straordinario di elaborazione politica, di crescita culturale, di formulazione di strategie economiche alternative con le quali ci dovremo misurare. Saremo in grado di farlo?
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Sardegna. Terra della conoscenza e della comunità educante
Lunedì 27 alla MEM di Cagliari: Sardegna. Terra della conoscenza e della comunità educante.
Un focus a tutto tondo. Un’indagine con i protagonisti, gli osservatori del mondo dell’istruzione e della conoscenza per entrare nel merito delle tematiche spinose che investono i modi, i tempi e i luoghi della scuola e della formazione in Sardegna. È quanto propongono SardegnaSoprattutto e l’associazione Lamas, all’interno del progetto S’ischola de su trabagliu/ La Scuola del Lavoro, lunedì 27 gennaio presso la Mediateca di via Mameli a Cagliari dalle 9:30 alle ore 20:00.
Sono stati invitati i candidati alla Presidenza delle Regione Sardegna Michela Murgia, Francesco Pigliaru e Mauro Pili (impossibilitato a partecipare Ugo Cappellacci) e dirigenti scolastici, dirigenti dell’Ufficio Scolastico regionale, docenti universitari, ricercatori, sindacalisti, giornalisti, filosofi ed artisti.
Il grave deficit educativo, che vede la Sardegna penalizzata da un altissimo tasso di dispersione e da bassi valori di successo scolastico, con percentuali di diplomati e laureati inferiori rispetto persino al Mezzogiorno d’Italia, inducono ad interrogarsi su come organizzarsi per perseguire la qualità ed i traguardi dell’eccellenza formativa. Best practice e protocolli internazionali, riorganizzazione intorno a un unico, grande, straordinario progetto di “normalizzazione” su cui confluiscano, in maniera organica, gli investimenti dei vari enti territoriali, in una visione unitaria che ricomprenda le scuole di ogni ordine e grado, dalla scuola dell’infanzia fino all’università ed alle competenze in capo all’intera società sono le premesse del discorso che entrerà nel merito del significato di “pari opportunità” nell’istruzione e della messa in “rete” delle autonomie scolastiche.
PROGRAMMA
Gli OCCHIALI di PIERO
CITAZIONE DELLA SERA
In un panorama così desolato non si può vivere, umanamente, molto a lungo. E’ ora, dunque, di ripartire. Ripartire dai paesi (dae sas biddas).
Dai paesi per farli ridiventare comunità, la fonte degli ideali. Per farli rivivere come centri di cultura, di economia, di politica.
(Eliseo Spiga – Francesco Masala – Placido Cherchi)
FINE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
Non tutti sanno (anche perchè nessuno a scuola lo insegna) che la Grande Guerra è finita il 3 novembre, e non il 4.
Infatti il 3 novembre 1918, alle ore 15, a Villa Giusti (la si vede dal treno andando verso Padova) fu firmato l’armistizio.
Armistizio significa alla lettera che le armi devono cessare di sparare.
Gli ufficiali austriaci ordinarono immediatamente alle truppe di deporre le armi, Lo Stato Maggiore dell’esercitò italiano se ne dimenticò: sapete com’è, l’euforia, le bicchierate di spumante, gli evviva, e chi pensava a una cosa così banale di far cessare il fuoco?
Così quando i soldati austriaci, bosniaci, serbi, croati, sloveni, gettarono le armi e uscirono allo scoperto dalle trincee per abbracciare il nemico di ieri, furono falciati dai colpi dei soldati italiani che non sapevano ancora che la guerra era finita; l’ordine di cessare il fuoco arrivò alle 15 del 4 novembre.
Così morirono ingiustamente tanti poveri soldati, solo i fortunati furono fatti prigionieri. L’Italia per molti anni festeggiò la Vittoria, il 4 novembre: meglio tacere su quelle 24 ore di vergogna.
PASQUALE FANCELLO
Anarchico, detto Pascale Crodatzu, nasce a Dorgali il 3 novembre 1891.
Muratore, emigrato in Belgio e in Francia, espulso, clandestino, ricercato dai servizi segreti, prende parte alla guerra civile in Spagna, poi torna in Francia da dove polemizza contro gli stalinisti spagnoli per la repressione di anarchici e troskisti. Di nuovo in Belgio nel ’41, nel ’43 è in Sardegna dove guida l’occupazione delle terre nel territorio di Dorgali, a Isalle e Orrule.
Nel 1947 partecipa allo sciopero de minatori del Sulcis-Iglesiente e viene arrestato. Nel 1950 è a Roma, condannato a 8 mesi di prigione per un articolo a favore dell’occupazione delle terre (eppure l’Italia era già una repubblica nata dalla Resistenza…).
Muore a Roma il 13 febbraio del 1953.
A Sassari una via si chiama col suo nome.
Sulla sua tomba è scritto: “dalla natìa Sardegna diede alla causa degli oppressi i tesori della sua fede e del suo animo ribelle”.
GIUSEPPE DI VITTORIO
Mitico dirigente sindacale, del quale oggi non si parla più.
Era nato in una povera famiglia a Cerignola l’11 agosto 1892.
Il padre bracciante morì sul lavoro e lui a dieci anni fu costretto a fare il bracciante. Semianalfabeta, migliorò la sua istruzione da autodidatta.
Impegnato sindacalmente fin da bambino, da anarchico divenne socialista.
Eletto deputato nel 1921, aderisce al Partito Comunista appena costituito.
Antifascista, condannato dal Tribunale speciale a 12 anni di carcere, nel 1925 fugge in Francia, poi dal ’28 al ’30 in Unione Sovietica.
E’ poi a Parigii nella direzione del Pci clandestino, in Spagna partecipa alla guerra civile, di nuovo a Parigi nel ’37 al giornale “La voce degli italiani”.
Arrestato nel 1941, inviato al confino, dopo l’8 settembre partecipa alla Resistenza con le Brigate Garibaldi. Nel 1944 ricostituisce la Cgil unitaria con Achille Grandi e Bruno Buozzi. Nel 1946 è eletto alla Costituente.
Nel 1956, segretario generale del sindacato, scrive un documento, approvato all’unanimità, dove condanna la repressione sovietica in Ungheria, in aperto dissenso col partito e con Togliatti.
Muore il 3 novembre del 1957 a Lecco, stroncato da un infarto.
Avercene oggi uomini come lui.
La lingua come una risorsa naturale: chi la gestisce? Bolognesi e la battaglia per una Grafia Sarda Comuna
Ci sono tanti modi per raccontare la storia della Sardegna. Francesco Masala, ad esempio, legò le vicende dell’isola a quelle dell’acqua, e ne scaturì un racconto nuovo. Pensavamo di vivere in una terra arida, e invece in anni di siccità ci scoprimmo improvvisamente ricchi di questa risorsa. Il problema era, semmai, chi la gestiva. La realtà era dunque diversa da quella che ci avevano raccontato e da quella che noi stessi ci raccontavamo. Ma servivano occhi nuovi per guardarla e Masala ce li aveva (“Storia dell’acqua in Sardegna”, Alfa Editrice, 1991).
Allo stesso modo, sarebbe interessante raccontare la storia della Sardegna attraverso l’uso della sua lingua. Giuseppe Corongiu, nel recentissimo volume “Il sardo, una lingua normale” (edizioni Condaghes, 2013), fa il punto della situazione e ripercorre le vicende del movimento linguistico nel corso degli ultimi decenni, mettendo in evidenza il rapporto delle nostre classi dirigenti con questa risorsa (perché anche la lingua, come l’acqua, è una risorsa naturale: e anche in questo caso il problema è chi la gestisce). Rapporto controverso, fatto di élite all’avanguardia e di masse intellettuali refrattarie all’uso (e dunque alla tutela, perché la lingua più la si usa, più la si conserva) di questo bene comune, ma tuttavia capace di regalare novità e svolte inattese.
L’ultima, forse la più importante, è arrivata nel 2006 con la nascita della Limba Sarda Comuna, uno standard fissato dalla Regione per consentire l’uso scritto del sardo in contesti amministrativi.
Quando si parla di lingua sarda bisogna fare i conti con gli stereotipi e con le informazioni a metà, spesso diffuse ad arte per complicare ciò che invece complicato non è per niente. È dura convincere qualcuno che le varianti campidanese e logudorese in realtà non esistono e che sono una suddivisione ottocentesca largamente superata da tempo. È dura convincere qualcuno dell’unitarietà del sardo, come se la lingua sarda fosse tale solo se ogni paese, e financo ogni abitante dell’isola, avesse la sua. È dura spiegare che il sardo ha una grammatica e un lessico omogenei e che differenze sono soprattutto di natura fonetica.
Roberto Bolognesi è un linguista che ha favorito la nascita della LSC e oggi dalle pagine del suo blog ne propone una revisione, denunciando al contempo un sostanziale tradimento della delibera che istitutiva questo standard, in quanto , nato come modello che doveva essere sperimentale e che poteva essere modificato, ora invece sembra essersi cristallizzato proprio come quelle false credenze che voleva smantellare.
Il risultato è che il lessico utilizzato dalla LSC è costituito soprattutto (anche laddove ci sarebbero valide alternative) da parole maggiormente diffuse nel nord dell’isola. L’effetto è distorsivo, perché in questo modo ad essere sfavoriti sono gli abitanti dell’area maggiormente popolata della regione.
Che fare dunque? Al di la di un riequilibrio a favore di un lessico più “meridionale”, da tempo Bolognesipropone una soluzione che potrebbe risolvere alla radice l’annosa questione dello standard, necessario per consentire al sardo di poter essere utilizzato da tutti in tutti i contesti, indistintamente. Una soluzione semplice semplice: una Grafìa Sarda Comuna.
“Tutto quello che occorre, visto che la grammatica e il lessico della lingua sarda sono già sufficientemente omogenei, è un sistema ortografico standard che permetta diverse pronunce” afferma Bolognesi. “ll sardo come l’inglese, allora: un’ortografia e tante pronunce, mantenendo intatta la ricchezza di varianti”. Semplice da dire ma anche da fare, visto che lo stesso Bolognesi ha da tempo avanzato diverse proposte a riguardo.
La lingua sarda è dunque la metafora di ciò che siamo e che potremmo essere: tante singole individualità, dei clan o un popolo. Sta a noi scegliere, sta a noi decidere.
Vito Biolchini
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Il presente contributo viene pubblicato anche in altri siti/blog, nell’ambito di un accordo tra diverse persone (tutte impegnate nel movimento culturale “In sardu”), le quali dispongono di detti spazi virtuali che mettono a disposizione per favorire la circolazione di idee (e l’organizzazione di iniziative di carattere politico-culturale) sulle problematiche della Sardegna, senza limiti di argomenti e nel pieno rispetto delle diverse opinioni e impostazioni politiche e culturali, ovviamente nella condivisione dello spirito e dei comportamenti democratici. I contributi saranno pubblicati in italiano e/o in sardo.
Ecco i siti/blog (a cui nel tempo se ne aggiungeranno altri, auspicabilmente) :
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Il primo intervento di Salvatore Cubeddu
Il secondo intervento di Fabrizio Palazzari
Il terzo intervento di Nicolò Migheli
Il quarto intervento di Vito Biolchini
Il quinto intervento di Franco Meloni