Risultato della ricerca: Vanni Tola

Anno nuovo. Che nuovo anno sia!

bimbo con teschio
sedia di Vannitola
di Vanni Tola

Ecco l’anno nuovo. Bilanci e riflessioni.

Inizia un nuovo anno, tempo di bilanci e riflessioni, di programmi e di agende di lavoro per l’anno appena cominciato. Riflessioni solitamente standardizzate e scontate. Talvolta sembra di rileggere cose dette e ridette anche negli anni precedenti, programmi vecchi quanto inutili ai quali ormai pochi mostrano di credere. Proposte peraltro fortemente condizionate anche dalla perenne campagna elettorale in corso nel paese. C’è un argomento, tra i tanti sui quali di dovrebbe avviare una seria riflessione. Il mito della “naturalità”. Un tema abbastanza importante per individuare e comprendere i limiti dei programmi e delle forze politiche dell’area progressista che tanta influenza hanno, o meglio potrebbero avere, nell’attivare concreti processi di cambiamento della realtà socio economica del paese e della regione. Il mito della “naturalità” dei programmi e il peso che tale concetto sta avendo nella (non) definizione di azioni credibili e realizzabili è davvero consistente. Senza nulla concedere agli schematismi ideologici e partitici, talvolta devianti, penso si possa affermare con certezza che, dalla Rivoluzione Industriale in poi, la sinistra o, se preferite, l’area liberale e progressista dalla società, ha sempre perseguito il miglioramento delle condizioni di vita degli esseri umani contribuendo a diffondere i progressi scientifici e tecnologici che la scienza produceva e determinava. La conservazione, l’irrazionalità, la difesa aprioristica del conosciuto rispetto al nuovo che avanzava, erano tutti elementi del pensiero conservatore e di destra. Oggi l’area progressista percorre altre strade, sembra essersi rifugiata in un conservatorismo che si richiama a tradizione e natura, che è certamente molto rassicurante, ma altrettanto sicuramente non progressista. Oggi, l’atteggiamento di coloro che si definiscono di sinistra o comunque appartenenti all’area progressista, nei confronti di tutto ciò che è stato prodotto dalla ricerca scientifica e tecnologica, è fortemente condizionato da un pregiudiziale rifiuto in nome dalla “naturalità” dell’agire che raramente è accompagnato da considerazioni oggettive. Giusto per fare alcuni esempi basta pensare all’idea di chimica verde e alla biochimica viste con sospetto e ostilità ignorando che perseguono l’obiettivo (questo si naturalista) di sostituire produzioni derivanti da sostanze fossili (petrolio e carbone in primis) con altre prodotte con materie prime di origine vegetale, solitamente riciclabili biodegradabili e compostabili. Un indubbio vantaggio per l’ambiente e la natura. La bioingegneria, che tanta parte ha nella moderna produzione alimentare, farmacologica e in altri comparti produttivi, viene solitamente identificata con l’operato, certamente malavitoso, dei contraffattori e alteratori di prodotti piuttosto che con la ricerca di nuove e più organiche forme di produzione certamente riconducibili a un miglioramento della naturalità dei prodotti e delle condizioni di vita della gente. Per non parlare poi del rapporto con le nuove tecnologie relative alla produzione di energia utilizzando fonti energetiche alternative. Le centrali solari, ideate dal nobel per la fisica, l’italiano Carlo Rubbia, sono una realtà in molte parti del mondo, come le serre solari, gli impianti eolici, la geotermia, la produzione di energia dal riciclo di materiali di rifiuto, la ricerca di prodotti agricoli alternativi, (per esempio il cardo e la canna comune in Sardegna). Tutte attività considerate con sospetto e diffidenza per paure talvolta solo parzialmente fondate (operazioni puramente speculative della malavita, sfiducia nell’operato delle multinazionali della chimica) ma molto spesso per pregiudizi radicati verso tutto ciò che non si conosce o si conosce soltanto parzialmente. Non ne voglio fare una questione semantica ma è un dato oggettivo l’uso improprio che si fa di alcuni termini. Per esempio il termine “chimica” è solitamente e naturalmente associato a qualcosa di negativo dimenticando che grazie ai progressi della chimica e della bioingegneria oggi disponiamo di farmaci molto efficaci, di materiali più efficienti, di macchine migliori, di combustibili meno inquinanti che in passato. Per contro il termine “naturale”, al quale si riferisce gran parte degli appartenenti all’area cosiddetta progressista, non sempre è sinonimo di genuinità e buona qualità. Pensiamo ai prodotti di agricoltura biologica spesso dichiarati tali soltanto dallo stesso produttore ma non adeguatamente certificati, penso al vino o all’olio del contadino venduto nelle fiere con etichette approssimative e controlli igienico sanitari talvolta inesistenti, ai prodotti alimentari conservati e via dicendo. In Sardegna, in particolare, poi al mito della “naturalità”, si accompagna solitamente quello di “su connotu” , del noto, dell’agire come si faceva prima, nei tempi passati, con le modalità e le tecnologie povere dei nostri avi. Anche in questo caso ci troviamo di fronte fondamentalmente a un pregiudizio, romantico e poetico quanto i vuole, ma sempre un pregiudizio. Le condizioni di vita, nel passato, erano decisamente peggiori, si moriva di parto, c’era malnutrizione e elevata mortalità infantile, mancavano quasi totalmente medicine e vaccini che tanto hanno contribuito alla difesa della salute, i controlli sulla qualità degli alimenti erano pressoché inesistenti. Una condizione di vita non certo invidiabile. Il mito del ritorno al passato, alle buone pratiche di una volta è spesso diffuso soprattutto da chi gode oggi di una condizione sociale favorevole e consolidata e può permettersi di fare voli pindarici sulle ali della fantasia e del mito. Dovremmo rifletterci sopra. Il nostro giornale, da sempre aperto al confronto delle opinioni, certamente darà spazio alla discussione e all’approfondimento sul tema.
L’augurio che rivolgo alla Sardegna è che il nuovo anno induca i progressisti sardi a fare pace con la scienza, la ricerca e l’innovazione tecnologica. Auspico l’individuazione di linee guida per un programma di rinascita e sviluppo dell’isola realistico, che tenga conto delle reali potenzialità e risorse della regione e che individui interventi di adeguamento delle attività produttive alla realtà nella quale viviamo. Uno sviluppo e una crescita in sintonia con le caratteristiche del contesto economico e politico nel quale l’isola è collocata, in rapporto con i mercati internazionali, finalizzato a soddisfare le esigenze della popolazione, la conservazione dell’ambiente e la crescita socio-culturale del popolo sardo.
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Auguri Sardegna!
di Franco Meloni*

By sardegnasoprattutto/ 9 gennaio 2016/ Culture/

E’ tempo di auguri. Quali per la nostra Sardegna? Come a Natale si finge naturale bontà, a Gennaio si deve fingere un naturale ottimismo nell’immaginare il futuro. Ma l’ottimismo ha un senso, secondo Gramsci, solo se è rivolto alla volontà, che significa impegno derivante da una chiara consapevolezza della realtà.

Quale è la visione generale della posizione della Sardegna in un’Italia frammentata in una Europa che vede crescere le fughe dall’idea di Comunità che aveva fatto sperare, alla fine della seconda guerra mondiale, ideali di concordia nella pace?

Quello che regna ovunque è un senso di precarietà giustificato dalla violenza delle idee che si contrappongono, come ai tempi delle Crociate, con proclami e non con accurate e impegnative discussioni. E il sangue scorre. Personalmente auguro ai Sardi di riacquistare la consapevolezza di sè. Della coscienza di mantenere e difendere il patrimonio del quale spesso dimentichiamo di essere responsabili. Della certezza che solo la competenza può farci stare al passo di nazioni che privilegiano l’istruzione e la cultura. Millenni di storia ci guardano dall’alto delle torri nuragiche.

Abbiamo fuso metalli e creato arte con antichi saperi. Eravamo al centro di miti e abbiamo danzato con moltissimi Odissei. Abbiamo inventato poesie per sconfiggere l’ignoto e intrecciato tappeti che facevano percorrere arditi viaggi nella fantasia. Sotto olivi secolari abbiamo dettato codici di comportamento che ponevano regole. Abbiamo accordato i tempi dell’agricoltura secondo lo studio degli astri, e la sacralità della natura era rispettata.

Ora dobbiamo rivendicare il nostro ruolo di ponte tra culture nel Mediterraneo, e per farlo dobbiamo richiamare i nostri figli emigrati, e sconfiggere il pessimismo della ragione con costruttivi progetti di accoglienza e di pace in un’etica che ispiri la sostenibilità delle scelte. L’identità si rafforza solo con il confronto con chi viene da fuori. La decisione è facile: fare il contrario dei regimi sempre più antistoricamente fascisti che la vecchia e stanca Europa sta rigurgitando.

L’alternativa ci relega al ruolo subalterno che permetterà di trattare la nostra Isola, che ha il diritto di essere felice, come contenitore di rifiuti, non solo materiali e magari smaltibili in migliaia di anni. La nostra terra, nella più infausta conclusione, potrà essere un efficiente campo per raffinati giocatori di golf o violenti simulatori di guerre, tra esclusivi centri benessere che vedrebbero i Sardi come silenziosi servi. E magari, capovolgendo la sfera che ci conterrà, potrà cadere la neve anche ad Agosto. Abbiamo il dovere di pretendere di più. Auguri Sardegna!

*Fisico e Narratore
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Monte_Gonare wkITA DD’HAP’A NAI
di Fanny Cocco
Ita dd’hap’a nai a filla mia
Chi hat a teni bint’annus
In su Duamila.
Ita dd’hap’a nai
A pustis chi eus abbraxau
Padentis e cracchiris A pustis chi eus alluau

COSA LE DIRO’
Cosa dirò a mia figlia che avrà vent’anni nel Duemila.
Cosa le dirò
dopo che abbiamo bruciato
rovereti e boschi di ghiande
dopo che abbiamo avvelenato sorgenti e ruscelli

A filla mia dd’hap’a nai
A no si fai imboddicai Cument’a nos
Chi eus donau a fidu Su mundu nostru
A is luziferrus de sa chimica e de s’atomu. Nos si dd’eus donau Nos vittimas buginus e complicis.
A filla mia dd’hap’a

di non farsi lusingare come abbiamo fatto noi
che abbiamo venduto per niente
il nostro mondo
ai diavoli della chimica e dell’atomo Noi gliel’abbiamo dato
noi vittime carnefici e complici

Mizzas e arrius
A pustis chi eus accaddozzau Pranus e montis
A pustis chi eus struppiau
Costeras e marinas A pustis chi eus incravau
Matas e bestias.

dopo che abbiamo trasformato in letamai pianure e montagne dopo che abbiamo rovinato
coste e spiagge dopo che abbiamo messo in croce alberi e animali.

nai
Ca no est prus tempus De passienzia “Torrandi a pigai sa terra tua
E perdona a su tempus nostru
Chi t’hat lassau
In eredidari Muntronaxus e bombas”.

A mia figlia dirò
che non è più tempo di portare pazienza. “riprenditi la tua terra e perdona la nostra generazione
che ti ha lasciato
in eredità immondezzai e bombe”.

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* di Fanny Cocco, ITA DD’HAP’A NAI
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Sardegna

almanacco della sardegna 1924 pantaleo leddaPRESENTAZIONE A ORISTANO DEL LIBRO “SARDEGNA” di Pantaleo LEDDA
Il Centro Servizi Culturali Unla di Oristano e la casa editrice Edpo domani venerdì 8 gennaio alle 16.30, presso l’Unla di Via Carpaccio, 9 a Oristano, presentano il libro “Sardegna” di Pantaleo Ledda, copia anastatica dell’originale dell’Almanacco per ragazzi del 1924. 
Lo presentano Italo Ortu già consigliere e assessore regionale nonché leader storico sardista e Francesco Casula storico e scrittore, autore il primo dell’Introduzione storica e il secondo della Prefazione (riportata di seguito).

Prefazione a SARDEGNA, sussidiario di Pantaleo Ledda
di Francesco Casula
La Lingua sarda, dopo essere stata lingua curiale e cancelleresca nei secoli XI e XII, lingua dei Condaghi e della Carta De Logu, con la perdita dell’indipendenza giudicale, si tenta di ridurla al rango di dialetto paesano, frammentata ed emarginata, cui si sovrapporranno prima i linguaggi italiani di Pisa e Genova e poi il catalano e il castigliano e infine di nuovo l’italiano con i Savoia prima e l’Italia unita poi.
Nel 1720, quando i Savoia prendono possesso della Sardegna,la situazione linguistica isolana è caratterizzata da un bilinguismo imperfetto: la lingua ufficiale – della cultura, del Governo, dell’insegnamento nella scuola religiosa riservata ai ceti privilegiati – è il castigliano, mentre la lingua del popolo, in comunicazione subalterna con quella ufficiale è il Sardo.
Ai Piemontesi questa situazione appare inaccettabile e da modificare quanto prima, nonostante il Patto di cessione dell’Isola del 1718 imponga il rispetto delle leggi e delle consuetudini del vecchio Regnum Sardiniae. Per i Piemontesi occorre rendere ufficiale la lingua italiana. Come prima cosa pensano alla Scuola per poi passare agli atti pubblici. Ma evidentemente le loro preoccupazioni non sono di tipo glottologico. Attraverso l’imposizione della lingua italiana vogliono sradicare la Spagna dall’Isola, rafforzare il proprio dominio, combattere il “Partito spagnolo” sempre forte nell’aristocrazia ma non solo. Questo il vero motivo: non quello “ideologico” della civilizzazione, accampato da Carlo Baudi di Vesme che nell’ opera Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna, scritta, su incarico del re Carlo Alberto tra l’ottobre e il novembre 1847 ma completata nel febbraio 1848, scrive che “Una innovazione in materia di incivilimento della Sardegna e d’istruzione pubblica, che sotto vari aspetti sarebbe importantissima, si è quella di proibire severamente in ogni atto pubblico civile non meno che nelle funzioni ecclesiastiche, tranne le prediche, l’uso dei dialetti sardi, prescrivendo l’esclusivo impiego della lingua italiana…E’ necessario inoltre scemare l’uso del dialetto sardo ed introdurre quello della lingua italiana anche per altri non men forti motivi; ossia per incivilire alquanto quella nazione, sì affinché vi siano più universalmente comprese le istruzioni e gli ordini del Governo…”. – segue –

Arriva l’anno nuovo. Che nuovo anno sia!

bimbo con teschio
sedia di Vannitola
di Vanni Tola

Arriva l’anno nuovo. Bilanci e riflessioni.

Inizia un nuovo anno, tempo di bilanci e riflessioni, di programmi e di agende di lavoro per l’anno appena cominciato. Riflessioni solitamente standardizzate e scontate. Talvolta sembra di rileggere cose dette e ridette anche negli anni precedenti, programmi vecchi quanto inutili ai quali ormai pochi mostrano di credere. Proposte peraltro fortemente condizionate anche dalla perenne campagna elettorale in corso nel paese. C’è un argomento, tra i tanti sui quali di dovrebbe avviare una seria riflessione. Il mito della “naturalità”. Un tema abbastanza importante per individuare e comprendere i limiti dei programmi e delle forze politiche dell’area progressista che tanta influenza hanno, o meglio potrebbero avere, nell’attivare concreti processi di cambiamento della realtà socio economica del paese e della regione. Il mito della “naturalità” dei programmi e il peso che tale concetto sta avendo nella (non) definizione di azioni credibili e realizzabili è davvero consistente. Senza nulla concedere agli schematismi ideologici e partitici, talvolta devianti, penso si possa affermare con certezza che, dalla Rivoluzione Industriale in poi, la sinistra o, se preferite, l’area liberale e progressista dalla società, ha sempre perseguito il miglioramento delle condizioni di vita degli esseri umani contribuendo a diffondere i progressi scientifici e tecnologici che la scienza produceva e determinava. La conservazione, l’irrazionalità, la difesa aprioristica del conosciuto rispetto al nuovo che avanzava, erano tutti elementi del pensiero conservatore e di destra. Oggi l’area progressista percorre altre strade, sembra essersi rifugiata in un conservatorismo che si richiama a tradizione e natura, che è certamente molto rassicurante, ma altrettanto sicuramente non progressista. Oggi, l’atteggiamento di coloro che si definiscono di sinistra o comunque appartenenti all’area progressista, nei confronti di tutto ciò che è stato prodotto dalla ricerca scientifica e tecnologica, è fortemente condizionato da un pregiudiziale rifiuto in nome dalla “naturalità” dell’agire che raramente è accompagnato da considerazioni oggettive. Giusto per fare alcuni esempi basta pensare all’idea di chimica verde e alla biochimica viste con sospetto e ostilità ignorando che perseguono l’obiettivo (questo si naturalista) di sostituire produzioni derivanti da sostanze fossili (petrolio e carbone in primis) con altre prodotte con materie prime di origine vegetale, solitamente riciclabili biodegradabili e compostabili. Un indubbio vantaggio per l’ambiente e la natura. La bioingegneria, che tanta parte ha nella moderna produzione alimentare, farmacologica e in altri comparti produttivi, viene solitamente identificata con l’operato, certamente malavitoso, dei contraffattori e alteratori di prodotti piuttosto che con la ricerca di nuove e più organiche forme di produzione certamente riconducibili a un miglioramento della naturalità dei prodotti e delle condizioni di vita della gente. Per non parlare poi del rapporto con le nuove tecnologie relative alla produzione di energia utilizzando fonti energetiche alternative. Le centrali solari, ideate dal nobel per la fisica, l’italiano Carlo Rubbia, sono una realtà in molte parti del mondo, come le serre solari, gli impianti eolici, la geotermia, la produzione di energia dal riciclo di materiali di rifiuto, la ricerca di prodotti agricoli alternativi, (per esempio il cardo e la canna comune in Sardegna). Tutte attività considerate con sospetto e diffidenza per paure talvolta solo parzialmente fondate (operazioni puramente speculative della malavita, sfiducia nell’operato delle multinazionali della chimica) ma molto spesso per pregiudizi radicati verso tutto ciò che non si conosce o si conosce soltanto parzialmente. Non ne voglio fare una questione semantica ma è un dato oggettivo l’uso improprio che si fa di alcuni termini. Per esempio il termine “chimica” è solitamente e naturalmente associato a qualcosa di negativo dimenticando che grazie ai progressi della chimica e della bioingegneria oggi disponiamo di farmaci molto efficaci, di materiali più efficienti, di macchine migliori, di combustibili meno inquinanti che in passato. Per contro il termine “naturale”, al quale si riferisce gran parte degli appartenenti all’area cosiddetta progressista, non sempre è sinonimo di genuinità e buona qualità. Pensiamo ai prodotti di agricoltura biologica spesso dichiarati tali soltanto dallo stesso produttore ma non adeguatamente certificati, penso al vino o all’olio del contadino venduto nelle fiere con etichette approssimative e controlli igienico sanitari talvolta inesistenti, ai prodotti alimentari conservati e via dicendo. In Sardegna, in particolare, poi al mito della “naturalità”, si accompagna solitamente quello di “su connotu” , del noto, dell’agire come si faceva prima, nei tempi passati, con le modalità e le tecnologie povere dei nostri avi. Anche in questo caso ci troviamo di fronte fondamentalmente a un pregiudizio, romantico e poetico quanto i vuole, ma sempre un pregiudizio. Le condizioni di vita, nel passato, erano decisamente peggiori, si moriva di parto, c’era malnutrizione e elevata mortalità infantile, mancavano quasi totalmente medicine e vaccini che tanto hanno contribuito alla difesa della salute, i controlli sulla qualità degli alimenti erano pressoché inesistenti. Una condizione di vita non certo invidiabile. Il mito del ritorno al passato, alle buone pratiche di una volta è spesso diffuso soprattutto da chi gode oggi di una condizione sociale favorevole e consolidata e può permettersi di fare voli pindarici sulle ali della fantasia e del mito. Dovremmo rifletterci sopra. Il nostro giornale, da sempre aperto al confronto delle opinioni, certamente darà spazio alla discussione e all’approfondimento sul tema.
L’augurio che rivolgo alla Sardegna è che il nuovo anno induca i progressisti sardi a fare pace con la scienza, la ricerca e l’innovazione tecnologica. Auspico l’individuazione di linee guida per un programma di rinascita e sviluppo dell’isola realistico, che tenga conto delle reali potenzialità e risorse della regione e che individui interventi di adeguamento delle attività produttive alla realtà nella quale viviamo. Uno sviluppo e una crescita in sintonia con le caratteristiche del contesto economico e politico nel quale l’isola è collocata, in rapporto con i mercati internazionali, finalizzato a soddisfare le esigenze della popolazione, la conservazione dell’ambiente e la crescita socio-culturale del popolo sardo.

Quando la continuità territoriale è un posto ponte in nave. E non siamo su “scherzi a parte”

sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola

galea A MastinoCon tripudio di fanfare arrivano le proposte della Leopolda di Renzi. Apprendiamo dai notiziari che tra gli invitati c’era pure l’armatore Onorato che ha annunciato: “Biglietti a 14 euro sui traghetti per l’isola”. L’isola è la Sardegna, un’area geografica da sempre fortemente penalizzata dalla mancanza di un valido sistema di trasporti, dalla discontinuità territoriale e dall’alto costo dei trasporti marittimi che incidono pesantemente sul trasporto delle merci e dei passeggeri, di quelli sardi e dei turisti in transito. Prima di strapparsi i cappelli dalla gioia per l’annuncio dell’armatore Onorato, alcune riflessioni. Il biglietto in nave a 14 euro per la Sardegna intanto costerà non meno di 30 euro una volta aggiunte tasse e gabelle dovute. In secondo luogo altro non è che il diritto a salire sulla nave, si chiama comunemente “passaggio ponte”. Cioè sali in nave e, se ti va bene, ti collochi su una poltroncina o divanetto del bar (all’interno della nave quindi), altrimenti non ti restano che le panchine all’aperto su ponte o il nudo pavimento dei corridoi sui quali stendere un asciugamano o una stuoia. Li trascorrerai non meno di otto ore del tuo fantastico viaggio in Sardegna. Se si viaggia d’estate e magari di giorno la cosa può pure essere sopportabile, di notte è già più difficile, d’inverno poi meglio non parlarne. Se non si è indigenti, e purtroppo molti oggi lo sono, se non si è giovanissimi o votati al martirio, si finisce col rassegnarsi a spendere qualcosa in più per una poltrona o, ancora meglio, per una cuccetta. In questo ultimo caso, poltrona o cuccetta, si avranno almeno otto ore di tempo, l’intera durata del viaggio, per riflettere su fatto che con la somma spesa per il solo viaggio si poteva saggiamente ripiegare su una vacanza low cost di tre o quattro giorni, comprensiva di viaggio aereo e hotel, nelle principali capitali europee. Se è questa l’idea Leopoldiana di continuità territoriale e di gestione dei trasporti marittimi stiamo freschi. Meglio sperare nella reintroduzione delle “galee romane” con i ricchi nelle cabine e la possibilità di pagarsi il viaggio remando. Almeno il posto a sedere sarebbe garantito.

CAGLIARI. Dibattito su/per la città alla vigilia delle elezioni comunali

AladinDibattito-CAape-innovativa2Pubblichiamo l’articolo di Gianfranco Murtas, traendolo dal sito della Fondazione Sardinia, considerandolo un interessante contributo al Dibattito su/per la città alla vigilia delle elezioni comunali (ormai siamo pienamente immersi in una lunga campagna elettorale).
Al riguardo ribadiamo il senso del nostro impegno come Aladinews ben delineato in una dichiarazione che ci sembra opportuno qui richiamare per una lettura integrale e di cui di seguito riportiamo un passaggio. Le campagne elettorali hanno aspetti ambivalenti e contraddittori: da un lato sono occasioni di strumentalizzazioni di ogni tipo, dall’altro costringono i cittadini e soprattutto le forze politiche a una disponibilità al dibattito, sconosciuta in altri periodi. Tocca a noi, opinione pubblica, fornire un terreno di confronto che diminuisca i rischi del primo aspetto e consenta ai cittadini elettori di farsi un’opinione di programmi e persone che li rappresentano, misurandone la credibilità. Altrimenti c’è la sfiducia e la conseguente diserzione delle urne, che, badate bene, fa premio a una classe politica il cui motto è diventato “meno siamo (gli elettori), meglio stiamo (gli eletti)”. Noi pratichiamo una linea virtuosa, quella della partecipazione popolare per la città di tutti. Ecco perchè pensando alle elezioni comunali di Cagliari del prossimo anno, prendendo atto che la campagna elettorale è ormai aperta, diamo spazio a un dibattito sulla città, senza limiti e pregiudizi o rispetto reverenziale per chicchessia. Con queste motivazioni abbiamo pubblicato una serie di interventi che ci sono sembrati particolarmente “utili alla causa” e continueremo nel tempo a pubblicarne di nuovi. Chiaramente la nostra è una scelta “arbitraria” che vuole esplicitamente portare acqua al mulino del rinnovamento nei programmi e nelle persone che vorremmo al governo della nostra città, obiettivo che ci vede precisamente schierati.
Zedda MassiddaEnrico-Lobina mezzobusto
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Di Zedda e Massidda candidati sindaco: no, no e no. E qualche considerazione sul sardismo d’oggi
di Gianfranco Murtas

Si affacciano le prime candidature alla guida dell’Amministrazione civica di Cagliari e nell’affollamento di liste e di nomi sarebbe utile forse, dalla parte della cittadinanza, definire, come in una matrice di compatibilità e preferenze, i parametri elementari di gradimento. Dico la mia, non perché sia cosa importante in sé, ma perché può valere come testimonianza di una elaborazione che gode, e non se ne dispiace, di chiamarsi politica.
Valgano, a premessa orientatrice, alcuni rapidi cenni di una esperienza personale, nel concreto della vita civica cagliaritana e sarda di questi ultimi quarant’anni. Me ne incoraggia anche – lo dico onorando l’uomo e lodando il suo magnifico lavoro autobiografico “Il cugino comunista. Viaggio al termine della vita” (sul quale mi riprometto di tornare nei prossimi giorni) – l’esempio di un mio quasi coetaneo che ha riversato nella militanza politica, con risultati apprezzati, gli anni migliori della sua esistenza, le sue migliori energie intellettuali, la sua passione civile e sociale: Walter Piludu. Mi hanno evidentemente toccato, in particolare, nei capitoli introduttivi, le confidenze circa la sua simpatia adolescenziale per l’area democratica azionista presidiata dai repubblicani di Ugo La Malfa. Piludu dalla democrazia liberale al comunismo, come Giorgio Amendola giovane, nella temperie della dittatura in fasce, transitato dal liberalismo sociale del padre (di Giovanni Amendola cioè, assassinato dai fascisti, e degli uomini della Unione Democratica Nazionale, ivi compresi, con il giovanissimo Ugo La Malfa, uomini come Mario Berlinguer e Francesco Cocco-Ortu sr. e molti massoni nazionali e sardi) al comunismo allora in conversione, certo non nobilitante, dal gramscismo al togliattismo.
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Lussu riferimento del nostro operare politico odierno. “Lussu propone, con il suo impegno totale e la sua intelligenza creativa, una moralità ed una capacità ancora esemplari, non interpretate e portate a esiti conseguenti da quanti a lui sono succeduti nella direzione politica del nostro paese”

lussu-opere 3Emilio Lussu e “La costruzione delle democrazia”
4 Dicembre 2015

democraziaoggi loghettoStasera alle 17 presso la Fondazione del Banco di Sardegna verrà presentato, edito dalla Cuec, il terzo volume delle Opere complete di Emilio Lussu, secondo il progetto – destinato a concludersi entro pochi anni, con la pubblicazione di altri cinque tomi -, concepito dall’Istituto sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia. Questo libro comprende gli scritti del prestigioso leader socialista dal 1943 al 1948 e si intitola “La costruzione della democrazia”.
- Sul volume, curato da Luisa Plaisant, una presentazione di Giuseppe Caboni, uno degli ispiratori di questa preziosa raccolta.
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Imprenditoria in Sardegna: uomini geniali e tenaci con grande spirito di iniziativa… Purtroppo non parliamo del presente

sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola

Presentato a Sassari il secondo volume del Dizionario Storico degli Imprenditori in Sardegna, curato da Cecilia Dau Novelli e Sandro Ruju (Ed Aipsa).
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L’opera conclude una attività di ricerca durata quasi un decennio, durante il quale diversi ricercatori hanno descritto la vita e l’attività di un campione di imprenditori individuati quali figure significative della nascita dell’imprenditoria in Sardegna. Si! Imprenditoria in Sardegna. Il filo conduttore della ricerca infatti si articola intorno alla documentata convinzione che in Sardegna si sia sviluppato e manifestato, alla fine del XVIII secolo, un rilevante fenomeno imprenditoriale che si è generato e ha raggiunto una notevole espansione subito dopo l’Unità d’Italia. Il contributo di conoscenza apportato dal Dizionario Storico mira così a sovvertire la diffusa convinzione che l’attività imprenditoriale nell’Isola abbia avuto origine principalmente da dinamiche esogene espresse da imprenditori Genovesi, Pisani, Livornesi e di altra provenienza, venuti nell’isola per sfruttarne le risorse naturali e realizzare impresa in condizioni e circostanze di tipo coloniale. Certamente è accaduto anche questo ma, a parere dei curatori del Dizionario Storico, è pure esistito un insieme considerevole di figure locali che, con gradualità, si sono dedicate all’impresa, alla produzione e alla trasformazione di prodotti e al loro commercio, con risultati significativi. I settori nei quali la nascente imprenditoria autoctona si è affermata sono i più vari, tutti legati alle principali risorse dell’isola (formaggio, olio, marmi e pietre di qualità, sughero, pelli, lana, tessitura, pane lavorato e altri ancora). E’ cosi che, nel tempo, alle tecniche di lavorazione primitive e tradizionali praticate nell’isola, si sono aggiunte le prime tecnologie importate da altre aree geografiche e modelli organizzativi di impresa più funzionali per soddisfare le esigenze della popolazione locale, non disdegnando attenzione ed impegno anche per l’esportazione di determinati prodotti. Chi erano, come vivevano, come si sono ingegnati per fare impresa questi esponenti della nascente imprenditoria sarda lo si scopre leggendo le schede, molto dettagliate, che costituiscono il Dizionario Storico. I pionieri dell’imprenditoria locale erano personaggi caratteristici e particolari, attratti dalla modernità, dalle innovazioni tecnologiche. Uomini geniali e tenaci con grande spirito di iniziativa. Sono stati loro i protagonisti della piccola rivoluzione industriale che ha investito e modificato il modesto apparato produttivo isolano guidandolo verso la moderna imprenditoria che si manifesterà appieno negli anni cinquanta dello scorso secolo con la creazione della Costa Smeralda e l’avvio dello sviluppo turistico, i Piani di Rinascita, l’industria Petrolchimica. Dalle note biografiche di ciascun personaggio emergono caratteristiche personali, capacità imprenditoriali, inventiva e creatività proprie delle attività artigianali e preindustriali (auto costruzione di macchinari e parti meccaniche per esempio) che delineano le specificità di un fitto tessuto di piccola imprenditorialità che si rivelerà capace di avviare nuove e più moderne pratiche di impresa, di rapportarsi con la dirigenza politica e col nascente sistema creditizio. Saranno loro a dare impulso e favorire la nascita delle prime associazioni mutualistiche dei lavoratori che, successivamente, daranno vita alle organizzazioni sindacali. Saranno loro a costituire i gruppi di coordinamento tra imprenditori che favoriranno la creazione delle Camere di Commercio. Il Dizionario Storico degli Imprenditori, opera di gradevole lettura, consente quindi di ripercorrere gli anni della prima industrializzazione sarda, finora poco conosciuti e meritevoli di ulteriori studi e ricerche. Naturalmente, nel leggere il Dizionario, occorre tenere presente che di Dizionario appunto si tratta. Non è un libro di storia che descrive compiutamente un periodo storico definito, benché presenti pure i tratti della ricerca storica. Non descrive la globalità del nascente mondo imprenditoriale sardo ma soltanto le vicende di un campione di imprenditori scelti tra quelli ritenuti maggiormente rappresentativi della realtà imprenditoriale (naturalmente escludendone altri che a molti potrebbero apparire ugualmente significativi o indicativi di quel periodo). Esclude volutamente, per scelta dei curatori dell’opera, personaggi quali Rovelli, Moratti e altri in quanto ritenuti espressione di una imprenditorialità non endogena rispetto all’apparato industriale locale ma piuttosto espressione di una fase successiva dello sviluppo imprenditoriale e industriale che si rivelerà fortemente condizionato da scelte “esterne” alla realtà isolana. Sono pure presenti nel Dizionario diverse figure di imprenditrici (secondo alcuni troppo poche) che hanno svolto ruoli importanti nel nascente mondo imprenditoriale isolano intervenendo direttamente nella attività di impresa o, molto più spesso, sostituendosi proficuamente ai mariti o parenti quando questi ultimi, per motivi vari, non erano in condizione di portare avanti il loro compito di imprenditori. In tale contesto si potrebbe osservare che andrebbe ulteriormente approfondito il ruolo della donna nell’imprenditoria oltre che in relazione alle capacità imprenditoriali specifiche, anche con riferimento al ruolo ricoperto dalle donne nella società di allora e nel mondo imprenditoriale in particolare. Era infatti frequente in quegli anni la tendenza ad unirsi in matrimonio fra esponenti di differenti famiglie di imprenditori. Matrimoni che molto spesso hanno favorito l’unione o il consolidamento di imprese familiari talvolta operanti nello stesso settore o in settori differenti. Matrimoni non necessariamente “di interesse” ma che comunque hanno inciso nello genesi e nello sviluppo di attività che talvolta hanno tratto origine o si sono consolidate, anche per conseguenza degli apparentamenti realizzati. Chissà quante giovani esistenze femminili sono state “sacrificate” in nome dell’interesse supremo del consolidamento dell’impresa familiare. D’altronde è innegabile che le attività imprenditoriali, soprattutto nella fase iniziale, fossero marcatamente caratterizzate dalla conduzione familiare seguendo in ciò l’esempio di quanto avveniva nel resto del paese. Una caratteristica del mondo imprenditoriale che ha pesato negativamente e per lungo tempo sull’imprenditoria italiana. Aspetti analitici che meriterebbero ulteriori riflessioni e ricerche anche per ricostruire l’insieme dei rapporti che gli imprenditori riuscirono a intessere con gli altri strati sociali con particolare attenzione ai economici e umani con i dipendenti, all’impiego del lavoro a domicilio (per esempio nel settore sartoriale), alle condizioni di lavoro, salariali e dei diritti civili dei lavoratori, al rapporto con le agenzie di credito e con il mondo della politica locale e nazionale. Argomenti che, naturalmente, non rientravano negli obiettivi originari e specifici del Dizionario Storico degli Imprenditori che sono stati compiutamente realizzati, producendo un’opera che rappresenta un valido punto di partenza per ulteriori studi e ricerche. Il secondo volume è pure impreziosito con due importanti indici, quello dei nomi e quello dei luoghi interessati dalle attività imprenditoriali descritte, curati da Roberto Ibba e un utile prospetto del campione di imprenditori analizzati nei due volumi che costituiscono l’opera, nel quale gli imprenditori sono classificati per settore economico di appartenenza. Numerosi i collaboratori che hanno contribuito alla realizzazione del secondo volume, difficile citarli tutti. Ricordiamo, tra gli altri, Walter Schoeneberger che ha curato una scheda-saggio su Giovanni Antonio Sanna, lo storico Manlio Brigaglia, curatore della scheda su Giagu De Martini, direttore del Banco di Sardegna dal 1960 al 1991, Tonino Budruni che ha presentato la figura di Lepanto Cecchini, uno dei pionieri dello sviluppo turistico algherese, Federico Francioni autore della scheda su Sebastiano Pirisi, Elisabetta Addis e Marina Saba che hanno redatto la scheda su Stefano Siglienti.
- SEGUE

Immigrati, spopolamento, presente e futuro della Sardegna: necessità di un dibattito aperto, privo di pregiudizi e orientato alla concretezza nell’agire. Noi facciamo la nostra parte

chiusoA fora! A fora! Noi non siamo razzisti però…
Integrazione, globalizzazione, spopolamento e terre incolte, un tabù per molti sardi.

di Vanni Tola

Povero Beppe Severgnini, non se lo sarebbe mai aspettato. Crocefisso alla croce di Sant’Andrea, accusato di volere la colonizzazione della Sardegna, di essere un “radical chic” della sinistra e di tanto altro ancora. Cosa ha fatto di male per meritare tutto ciò? Ha semplicemente riproposto una idea interessante, peraltro non nuova, che avrebbe dovuto aprire una seria riflessione e ha invece aperto il vaso di Pandora delle polemiche. Dalle colonne del prestigioso New York Times il noto giornalista ha pubblicato un articolo dal titolo “Let Refugees Settle Italy’s Empty Spaces”, cioè “Lasciate che i rifugiati occupino gli spazi vuoti”. Afferma Severgnini che i migranti che fuggono da guerre e miseria potrebbero essere occupati nelle aree abbandonate del paese per lo sviluppo dell’agricoltura e il ripopolamento delle aree spopolate. Molto correttamente l’opinionista del Corriere della Sera ha fatto notare che in Sardegna (ma la proposta è rivolta anche ad altre regioni) l’83% della popolazione vive in piccoli insediamenti con meno di 5 mila abitanti, e che questi paesi si stanno spopolando. Le proiezioni demografiche, in effetti, prevedono che nei prossimi decenni numerosi paesi sardi saranno soltanto case vuote e che intorno al 2050 la popolazione sarda si ridurrà di 300-500 mila unità per un costante decremento demografico determinato di numerosi fattori fra loro interconnessi. Molti studiosi e intellettuali sardi, sulla base dei dati oggettivi dello spopolamento, hanno evidenziato la drammatica urgenza di avviare interventi di riantropizazione per realizzare uno sviluppo dell’economia isolana che collochi utilmente la Sardegna nei processi di globalizzazione in atto anziché relegarla nell’area dell’abbandono e del sottosviluppo. D’altra parte – e chi si occupa di studi demografici lo sa – il ciclo di sviluppo prevede sempre, dopo la crescita numerica della popolazione, una fase di decrescita che generalmente si esaurisce con arrivo ed integrazione si individui che, un insieme di fattori spingono a integrarsi nelle aree spopolate e con forti cali demografici. Accade da millenni nella storia dei popoli. Con una corretta programmazione dei piani di inserimento e integrazione nei comparti produttivi e nelle aree potenzialmente in grado di accogliere ed integrare i migranti, si passerebbe dall’attuale fase dell’accoglienza e dell’assistenzialismo primario a quella dell’integrazione possibile e compatibile con le realtà ospitanti. Consideriamo che la presenza di migranti nelle aree agricole italiane è da tempo una realtà spesso caratterizzata da fenomeni di brutale sfruttamento, talvolta da organico inserimento in diversi comparti produttivi. In Sardegna gli stranieri che operano nel comparto agro-pastorale sono una consistente realtà (purtroppo in alcuni casi ancora in condizione di lavoro sommerso). In questa quadro prospettico la proposta di assegnazione di aree incolte e malcoltivate a famiglie di immigrati per favorirne l’insediamento e l’integrazione sociale non appare una proposta cosi assurda. Va da se che tale intervento dovrà essere attentamente programmato e regolamentato e non dovrà essere realizzato certamente in alternativa all’impiego di lavoratori locali o con l’esproprio forzoso delle terre subito evocato dagli oppositori a qualunque forma di integrazione e di accoglienza che vada al di la del “primo soccorso” dei profughi. L’opposizione anti Severgnini invece si è subito scatenata con una variegata serie di personaggi. A parte i generici oppositori a qualunque forma di integrazione e accoglienza, che costituiscono una presenza direi “fisiologica” nel dibattito, si nota la presenza di un gruppo organizzato detto Generazione Identitaria Sardegna che propone che la terra venga assegnata ai giovani sardi, una figura storica dell’indipendentismo sardo Zampa Marras che condivide in facebook il manifesto anti Severgnini di questa organizzazione denunciando (riferito a Ganau, Severgnini e Soru) che: ”custos tres concales, pro non narrer áteru, cherent assinniare a sos “migradores” sos terrinos de sa sardínnia: torrare a pobulare sas biddhas cun sos migradores, ca sos sardos «non faghent fizos», comente chi sa ‘sardínnia’ siet s’issoro, e non de sos Sardos”. Un altro utente ancora che partecipa su facebook al medesimo dibattito prova a domandarsi quali siano le cause dello spopolamento per trovare una soluzione che permetta il ripopolamento dell’isola. Gli risponde il sen. Guido Melis affermando che lo spopolamento accade perché siamo in Italia e, in particolare noi in Sardegna, demograficamente depressi. E lo siamo non per una sola causa ma per un complesso di motivi, economici ma anche culturali. La storia del mondo, prosegue Melis, in tutte le epoche è piena di migrazioni che inizialmente provocano contrasti, poi spesso integrazione e la Sardegna rischia di restare in 50-100 anni solo una espressione geografica. Il dibattito, soprattutto on line è molto acceso. Si evoca la atavica paura dell’esproprio dei suoli che porterebbe via a noi sardi “i terreni dei nostri avi”, si denunciano pratiche coloniali, si reclama l’esigenza prioritaria di pensare, prima che ai migranti, a dare lavoro e terre ai giovani sardi, a far rientrare gli emigrati della nostra isola e via dicendo. L’appello patriotico è stato lanciato. Su tutto e al di là del racconto della vicenda Severgnini, rimane un interrogativo che è politico, culturale e, se volete, ideologico. La questione del razzismo. Semplificando possiamo affermare che a fronte di una nutrita schiera di individui che credono nella libera circolazione dei popoli e nell’integrazione come diritto naturale degli individui, si contrappongono diverse “sfumature” di razzismo. Oltre la destra oltranzista e xenofoba diffusa in Europa e rappresentata in Italia dai fascisti, esistono poi altre correnti di pensiero che subdolamente dichiarano di non essere avversi all’arrivo e all’accoglienza dei migranti ma che fanno seguire a tale dichiarazione la precisazione che prima di occuparsi di questi ultimi è necessario provvedere a sanare la disoccupazione e il disagio degli italiani, a far rientrare i nostri emigrati, a dare la casa e i terreni agli italiani e via dicendo. Manifestando quindi una apparente non chiusura ideologica verso il problema che si traduce però in una opposizione di fatto a qualunque politica di integrazione. E’ il caso della Lega. In Sardegna in particolare, a tale dualismo di posizioni si aggiunge l’assordante silenzio delle forze politiche sardiste e identitarie che pare stentino a prendere una posizione chiara e definita sulla questione della integrazione dei migranti nell’isola, quasi temessero una sorta di “inquinamento” antropologico che potrebbe rendere meno consistente l’identità del popolo sardo, contaminare la cultura, le tradizioni e la storia.
Penso quindi che a monte esista una questione politica e culturale più ampia e della quale si cominciano a vedere i primi segnali. I Sardi ritengono possibile nell’isola una integrazione razionale di popoli provenienti da altre etnie? O si preferisce tutelare, con qualunque mezzo e argomentazione, il popolo sardo da “contaminazioni” che, secondo molti, rappresenterebbe una minaccia per l’identità del popolo sardo e i destini dell’Isola? Quanto leghismo e velato razzismo si nasconde dietro la levata di scudi contro Severgnini e per la difesa del sacro suolo (terre da sempre incolte o sotto utilizzate e paesi ormai irrimediabilmente spopolati)? Cito per tutti un recente articolo del neo segretario del Partito Sardo D’Azione che entrando nel merito della questione afferma sostanzialmente che la Sardegna si salva dallo spopolamento con una nuova classe politica che stimoli lo sviluppo dell’occupazione anziché pensare ad importare manodopera straniera. Sono le argomentazioni della Lega di Salvini e della destra fascista europea.

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Dossier immigrazione 2015. I dati smentiscono i troppi luoghi comuni. L’immigrazione è davvero una risorsa, ma non è automatico. Parliamone seriamente per agire con maggiore concretezza e capacità di adeguamento alla dimensione dei problemi… Intanto pubblichiamo la parte del rapporto specificatamente riguardante la Sardegna preceduta da una riflessione critica della curatrice M.Tiziana Putzolu.
dossier-idos-2015_2Di seconda scelta. Immigrati terra e demografia
di M.Tiziana Putzolu

Alla fine la domanda, quella domanda arriva. Prima altre domande. Importanti e soft. Quanti sono. Da dove vengono. Cosa fanno. Poi, piano piano, eccola, la domanda. Ma sono più quelli che partono o quelli che arrivano? Qua, in Sardegna? Sì in Sardegna. Si ragiona di immigrazione. Negli ambienti più colti nessuno si sogna di urlare che sono sistemati in comodi alberghi con piscina. Che sono troppi e che ci rubano il lavoro. No no. Quelle sono frasi che dicono quelli che definiamo xenofobi. O razzisti. Noi no. Noi facciamo ragionamenti più alti.

Ragioniamo di accoglienza. Lo facciamo sostenuti da buone scuole di pensiero. Mettiamo in relazione calo demografico ed immigrati. Diciamo che ci servono, gli immigrati, perché aiutano l’economia. Tiriamo fuori i dati sulla previdenza, sulle imprese, sulla scuola e gli insegnanti perdenti cattedra a causa della contrazione demografica. Ma alla fine, in fondo, un po’ per la pigrizia di andare a rovistare tra i numeri (www.istat.it, dove si trova quasi tutto ciò che si vorrebbe sapere), si vuole capire, soprattutto, se sono più quelli che partono o quelli che arrivano. Dietro l’angolo della domanda perspicaci quanto ideologiche, veloci ed intuitive deduzioni.

Alla stregua di quella moneta cattiva in circolazione che scaccia quella buona, secondo l’enunciato della legge di Gresham, finanziere inglese al quale si fa risalire la scoperta economica nel 1551, gli immigrati che arrivano a fiumi ed i giovani sardi che partono a frotte trovano curiosamente una simmetria di ragionamento in molte acute ed illuminate menti. Non solo sarde. Nelle quali arzigogolati assunti ideologici si sposano con le paure, in fondo, covate sotto la cenere.

Senza riflettere a sufficienza sul fatto che se un giovane sardo parte a fare il pizzaiolo in Germania o un musicista a Londra non c’è compensazione se al suo posto arriva a Olbia un muratore dalla Romania e un pastore albanese a Silanus. Se parte una giovane da Olmedo a fare la banconiera in Irlanda la sua partenza non è compensata da una ucraina che arriva a fare la badante ad una anziana che nessuno vuole più tenersi in casa a Senorbì. Perché arrivi e partenze non sono numeri. Sono pezzi di umanità, tratteggi di vita, profili di competenza, amori interrotti, figli e gatti lasciati a genitori, genitori lasciati a fratelli e sorelle. Sono studi non riconosciuti, abiti di seconda mano, racconti, cibi, profumo di zenzero e curcuma, una spaghettata a New York, una birra a Dublino, una chitarra a Camden Town, usanze, musiche e molte fiabe.

La gente è molto preoccupata. Anche in Sardegna. Come si fa? Dove ce li mettiamo? Ma come spesso accade, tranquillizzanti e pacate, arrivano le trovate. Politiche. Forse in buona fede. A guardar bene, tutto sommato, a buon mercato. Geniali. Perché non averci pensato prima. Hanno scritto articoli su giornali isolani. Hanno rilasciato interviste. L’idea si diffonde, contamina. Sono sempre di più a divulgarle. Sai che c’è, che magari qualcuno, dillo oggi e ridillo domani, si convincerà. Che, in fondo, possono aiutarci a ripopolarci e coltivare la terra. Moderni migranti, coloni e fecondatori. Soprattutto nelle zone interne della Sardegna dovremmo incoraggiarli ad andare. Dove c’è poca gente e molta terra. Praterie di terreni pronti da coltivare, come sanno tutti.

Magari possiamo assegnare loro delle terre, dannate come quelle da cui spesso se ne sono andati, farli diventare pionieri versione moderna, come ha sagacemente sostenuto il famoso giornalista Severgnini. Un equilibrato liberale di sinistra. Diciamolo agli immigrati che stiamo studiando questo per loro. Diciamolo anche agli abitanti delle zone interne che bella idea ci sta venendo per i loro territori.

A pensarci prima, quante pagine di teoria dello sviluppo si sarebbero risparmiate. Quante pagine di programmazione economica. La soluzione era in fondo così semplice. Gli immigrati. Vedi come, alla fine, con la crisi, anziché stare lì a pensarle le soluzioni per il lavoro, per giovani e meno giovani che partono, gli immigrati possono risultare utili. Come gente di seconda scelta.
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*Gli immigrati regolarmente residenti in Sardegna nel 2014 sono 45.079 e sono aumentati di 2.920 unità. Nell’anno precedente erano 42.159, aumentati di 6.549 rispetto al rispettivo anno precedente. Provengono per oltre il 50% dal continente europeo. Il maggior raggruppamento è costituito da 9.042 donne provenienti dalla Romania.

**Idos, “Dossier Statistico Immigrazione 2015” , Roma, 2015

*** Per la Redazione regionale Idos, ha curato il capitolo “Sardegna. Rapporto immigrazione 2015” per conto del Centro Studi Relazioni Industriali – Università degli Studi di Cagliari

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- By sardegnasoprattutto/ 6 novembre 2015/ Società & Politica .
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dossier idos 2015
Presentato il Dossier Immigrazione 2015.
Caratteristiche della presenza immigrata in Sardegna

Redazione Regionale IDOS: Maria Tiziana Putzolu (Centro Studi Relazioni Industriali – Università di Cagliari)

I movimenti della popolazione.
Il fenomeno migratorio della Sardegna nel 2014 si inserisce in un quadro demografico regionale che vede un calo della popolazione rispetto al 2013. Dai dati Istat si registra infatti una diminuzione di abitanti (-573) rispetto all’anno precedente, essendo passati da 1.663.859 alla fine del 2013 a 1.663.286 alla fine del 2014. Un dato in lieve controtendenza rispetto al 2013, anno nel quale si era verificato un contenuto aumento della popolazione totale in regione, pur in presenza di un saldo naturale negativo. In Sardegna, infatti, il tasso di natalità è in caduta da molti anni e nel corso del 2014 è ulteriormente sceso al 6,9‰ rispetto al 7,2‰ dell’anno precedente. La dinamica negativa della popolazione non è compensata neppure dagli immigrati, nonostante nel corso 2014 siano aumentati di numero. Il tasso di crescita naturale (cioè la differenza tra i nuovi nati ed i morti) e di crescita totale della popolazione (comprendente tutti le dinamiche della popolazione, incluso il fenomeno migratorio) registrano nell’Isola entrambi un segno negativo (rispettivamente -2,4% e -0,3%).

Se ne deduce che la dinamica della popolazione, insieme al fenomeno migratorio, vanno letti ed interpretati, come è noto, all’interno dei complessi movimenti della popolazione e che sono condizionati da variabili economiche e sociali locali, oltre che dalle politiche nazionali e dalle tensioni internazionali.
Gli stranieri residenti in Sardegna alla fine del 2014 sono risultati 45.079, di cui il 55,8% donne (nel 2013 la percentuale femminile era il 56,1%). Sono aumentati in totale di 2.920 unità, registrando un incremento percentuale del 6,9% (contro il 18,4% dell’anno precedente quando il numero di nuovi immigrati si attestava a 6.549 persone). Incidono sulla popolazione totale in Sardegna per il 2,7% (contro il 12,1% che si registra in Emilia Romagna, la regione italiana con la più alta densità di immigrati). Sono lo 0,9% di tutti gli stranieri residenti in Italia, dove questa componente incide per l’8,2%.

I movimenti migratori nell’Isola hanno registrato 3.820 iscritti dall’estero, di cui 2.776 stranieri e 1.044 italiani; sono stati cancellati per l’estero 2.861 residenti, dei quali 466 stranieri e 2.395 italiani. Sono nati 425 bambini stranieri (il 3,7% di tutti i nuovi nati nell’Isola) e sono morti 65 stranieri. 580 immigrati anno acquisito la cittadinanza italiana ed escono di conseguenza dalla voce “immigrati”. Il saldo naturale e totale della popolazione straniera, è positivo. Risulta invece di segno negativo il saldo migratorio con l’estero degli italiani (-1.351).

Paesi di provenienza, femminilizzazione e località di residenza.

Una prima fotografia della popolazione immigrata residente in Sardegna si desume sostanzialmente da tre variabili: graduatoria delle nazionalità di provenienza, percentuale di femminilizzazione all’interno della nazionalità di riferimento e provincia di residenza.
Vi sono immigrati che si muovono, a seconda della nazionalità, per genere (in prevalenza maschile o solo femminile), mentre vi sono immigrati che si muovono per nuclei familiari o che, almeno, tendono a comporlo (è il caso della comunità cinese ma anche di quella marocchina). Dall’analisi storica dei residenti per paese di provenienza si rilevano incrementi spesso molto consistenti dal 2004 al 2014 sia in termini di valori assoluti che per genere.

Gli immigrati residenti in Sardegna giungono per oltre il 50% (24.463) da paesi del continente europeo, in particolare dalla Romania, paese dal quale sono arrivate in totale 13.446 persone. Di queste 9.042 sono donne. Dal 2004 ad oggi si è passati da 485 immigrati provenienti da questo paese (di cui 362 donne) al dato odierno, in conseguenza, come è noto, dell’ingresso nel 2007 della Romania all’interno dell’Unione Europea.
L’osservazione dei dati relativi agli immigrati provenienti dall’ Europa dell’Est, anche quando il numero assoluto appare modesto, mette in luce un tipo di immigrazione quasi completamente femminile, con incrementi nel corso degli anni decisamente considerevoli. Un esempio possono essere gli immigrati della Lituania, con 150 persone residenti ma di cui 134 sono donne, o la Bulgaria che registra 179 residenti di cui 137 donne. Dalla Federazione Russa provengono 595 residenti totali, dei quali 526 sono donne (erano 104 nel 2004). Dall’Ucraina, che presenta un numero consistente di presenze in Sardegna, su 2.133 residenti 1.843 sono donne (erano 522 nel 2004). Dal 2011 ad oggi si affaccia nell’isola, inoltre, un invisibile ma costante ingresso di immigrati provenienti dal Kirghizistan (Asia centro-meridionale). Sono in tutto 281 dei quali 227 sono donne. Le donne immigrate sono prevalentemente impiegate nei settori dei servizi, con particolare riferimento ai servizi alla persona.

Assai diversa è la composizione degli immigrati cinesi. Sono in totale 3.224 di cui 1.533, quasi la metà esatta, sono donne. Sono in costante aumento dal 2004, anno nel quale si registravano 1.370 cinesi residenti. Consistente è pure la presenza di immigrati filippini, in continua crescita negli ultimi dieci anni. Erano 532 nel 2004 e sono oggi 1.935, dei quali 1.091 sono donne.

Pure la componente di immigrati di nazionalità marocchina presenta una certa simmetria tra i generi. Sono 4.319, di cui 1.829 sono donne. E’ assai nota la tendenza delle comunità cinese e marocchina ad insediarsi per nuclei familiari. Di segno opposto l’immigrazione proveniente dal Senegal, paese dal quale sono giunti a ritmi pressoché costanti nel corso degli anni 3.799 immigrati di cui solo 614 sono donne. Come pure dal Bangladesh, paese dal quale sono arrivate 858 persone delle quali solo 140 donne.
In Sardegna i residenti stranieri si sono insediati per lo più nelle aree costiere di Cagliari (14.732 in tutta la provincia), Olbia (11.549 in tutta la provincia di Olbia Tempio) e Sassari (8.176), ma il tasso di incidenza sulla popolazione residente autoctona è del 7,2% nella provincia di Olbia Tempio mentre in provincia di Cagliari l’incidenza scende al 2,6%.
Gli immigrati della Romania (vale citare il caso visto il numero totale di immigrati di questa nazionalità nell’Isola) risiedono per lo più nella provincia di Olbia Tempio (5.388), di Sassari (2.139) e di Cagliari (1.984). Un numero relativamente elevato (1.595) si è insediato nella provincia di Nuoro, zona della Sardegna centrale che da tempo vive una notevole crisi di tutti i settori industriali. In quest’area si registrano casi di nuclei familiari residenti in piccolissimi paesi prevalentemente ad economia agropastorale.

Scuola e immigrazione.
In Sardegna nell’anno scolastico 2014/2015, su un totale di 225.244 alunni, la componente straniera è composta da 5.144 scolari, dei quali 1.860, ovvero il 36,2%, nati in Italia (dati Miur). Incide sul totale degli alunni autoctoni per il 2,3% con una punta del 2,8% nella secondaria di I grado. La ripartizione per livelli d’istruzione vede i ragazzi stranieri distribuiti per il 17,0% (875, di cui 636 nati in Italia) nelle scuole d’infanzia, per il 32,9% nelle primarie (1.693, di cui 781 nati in Italia), per il 23,6% nelle secondarie di I grado (1.214, di cui 299 nati in Italia) e per il 26,5% in quelle di II grado (1.362, di cui 144 nati in Italia).
Il dato sull’incidenza dei nati in Italia è interessante perché sottolinea quanto negli ultimi anni sia aumentata la quota di famiglie straniere che, mettendo al mondo i propri figli nel paese di arrivo, hanno di conseguenza stabilizzato la propria presenza in regione. I 5.144 scolari stranieri dell’anno scolastico 2014/2015 provengono per gran parte dall’Europa (in totale 2.444) con un picco tra la popolazione proveniente dalla Romania (1.183), concentrati in misura significativa nella provincia di Sassari (714 alunni) e a Olbia.
Dall’Africa provengono invece 1.330 alunni, dei quali 848 dal Marocco, distribuiti rispettivamente tra le provincie di Sassari, Cagliari, Nuoro ed una piccola parte Oristano. 245 scolari provengono invece dal Senegal. Frequentano le scuole in Sardegna 459 alunni cinesi e 298 filippini, concentrati prevalentemente nella provincia di Cagliari.

Immigrazione, lavoro, pensioni

Sulla base dei dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat il numero degli occupati in Sardegna è aumentato su base annua dello 0,3 % (la media nazionale si attesta su una percentuale leggermente superiore, pari allo 0,4%) e superiore a quella delle regioni meridionali (-0,8%). Il tasso di occupazione delle persone in età da lavoro si è attestato al 48,6% nella media dell’anno.
Il flebile miglioramento del quadro economico produttivo generale e di quello occupazionale hanno contribuito a ridefinire il ruolo dell’occupazione straniera anche in Sardegna (schiacciata su professionalità low skills), accorciando le distanze tra nativi ed immigrati. Pur mantenendo generalmente performance migliori rispetto ai nativi italiani, la componente straniera in Sardegna ha conosciuto una lieve costante contrazione.
Come rileva anche l’archivio Inail sulle comunicazioni obbligatorie per il 2014 (l’archivio è basato sul codice fiscale e quindi potenzialmente inclusivo di una quota di italiani rimpatriati), in Sardegna gli occupati nati all’estero, che fino al 2012 avevano conosciuto un trend in costante aumento, sono calati a 24.712, con diminuzioni registrate in tutte le provincie. Complessivamente in regione l’incidenza dei lavoratori immigrati (intesi come lavoratori nati all’estero) sugli occupati totali è stata del 5,6% e sui nuovi assunti nel 2014 del 13,9%. I nuovi assunti sono prevalentemente uomini (992 e 873 donne), la cui maggiore incidenza globale è di immigrati provenienti dalla Romania (643). Di tutti i lavoratori nati all’estero 16.127 sono impiegati nei servizi e per lo più in micro imprese da 1 a 9 addetti (18.052).
Viceversa, alla fine del 2014 in Sardegna le imprese immigrate (quelle in cui oltre la metà dei soci e degli amministratori o il titolare, per le imprese individuali, sono nati all’estero) sono aumentate del 5,4% dal 2013, a fronte di una diminuzione (-0,6%) di quelle italiane nello stesso periodo. Sono 9.658 (il 5,8% del totale regionale). Di tali imprese immigrate, quelle a conduzione femminile sono il 22,6%. La loro distribuzione per province vede prevalere Cagliari (4.069) e Sassari (3.738), mentre Nuoro (1.381) e Oristano (470) ne accolgono decisamente di meno.
E’ assai limitato il numero delle pensioni corrisposte in Sardegna dall’Inps nel 2014 a beneficiari nati in paesi non comunitari (177, di cui 137 a donne, su un totale di 322.211).
Non si dispone del numero del dato sugli immigrati comunitari, né pare possibile al momento impostare una stima attendibile.

Invio delle rimesse in patria. Nel 2014 la quota di denaro inviata dai cittadini stranieri nei loro paesi d’origine è stata 62.406.000 euro, in leggera diminuzione (-0,2%) rispetto al 2013. Le rimesse sono concentrate in prevalenza nella provincia di Cagliari (28.899 mila euro) e Sassari (22.276 mila euro), territori che esprimono il più alto numero di immigrati e di attività anche imprenditoriali ad essi collegate.
L’Europa nel suo complesso resta il primo continente di destinazione (26.360 mila euro), seguita dal continente africano (15.172) ed a stretto giro Asia (15.082) e America (5.695). Dall’osservazione dei dati relativi ai singoli paesi, infatti, la Romania si conferma al primo posto per quota di invio (15.965 mila euro), seguita da Senegal (10.036), Filippine (3.773) e Bangladesh (3.449). La comunità cinese, con 3.057 migliaia di euro, appare relativamente più “avara” nell’invio delle rimesse in patria, soprattutto in relazione alla mole di attività commerciali visibili nel territorio regionale. Ma, come è noto, è possibile che per la comunità cinese i canali di invio delle rimesse seguano percorsi non sempre di facile tracciabilità bancaria.

Luci e ombre tra chi viene e chi va
Sono andati ad aggiungersi alla presenza degli immigrati regolari in Sardegna 5.931 profughi giunti tra il 2013 (346), il 2014 (2.878) ed anche nella prima parte del 2015 (2.707) attraverso i cosiddetti “sbarchi” avvenuti con operazioni di soccorso in mare (dati forniti dall’Anagrafe della Questura di Cagliari). L’incremento 2013-2015 è stato del 732%.
Provengono per la quasi totalità dall’Africa sub-sahariana e sono i cosiddetti “profughi economici”, coloro che fuggono dal proprio paese d’origine per migliorare la loro condizione di vita. Attualmente ne sono alloggiati 2.391, cioè meno della metà di quelli arrivati nell’Isola. Sono distribuiti in 61 strutture nelle diverse province, ma soprattutto in quella di Cagliari. Molti sono riusciti ad andare via dall’Isola (i trasferimenti dalla Sardegna verso il continente non risultano sufficientemente chiari). Certo è che queste persone vivono come segregante lo “sbarco” in Sardegna.
Nell’Isola, in sostanza, c’è chi viene e c’è chi va. E tra chi va c’è anche, bisogna sottolinearlo, una componente autoctona della popolazione, come mostrano i numeri forniti dall’Istat. Secondo l’Istituto di Statistica Nazionale nel 2014 si sono cancellati dall’anagrafe verso l’estero 2.395 abitanti, ma dall’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) si rileva che sarebbero emigrati 3.561 abitanti (dei quali il 45,3% donne).

Immigrati, spopolamento, presente e futuro della Sardegna: necessità di un dibattito privo di pregiudizi e orientato alla concretezza nell’agire. Intanto partiamo dai dati…

lampadadialadmicromicro1Segnaliamo in argomento il dibattito che si sta sviluppando sulla pagine fb di Guido Melis, che prende spunto dall’articolo di Beppe Severgnini sul New York Times. Noi di Aladinews abbiamo molto investito su questa problematica, dando spazio a opinioni differenziate, ma schierandoci per una nuova politica di accoglienza anche per affrontare lo spopolamento della Sardegna. Lo abbiamo fatto e lo facciamo senza alcuna banalizzazione, attenendoci ai dati statistici e utilizzando gli studi pertinenti. Proprio perché la questione è complessa e si presta a fraintendimenti o, addirittura, a possibili derive razziste e quant’altro di negativo, abbiamo necessità che il dibattito sia approfondito senza pregiudizi. Ma occorre anche concretezza nell’agire, partendo dalle buone pratiche già in atto. Certo è che la classe politica regionale dimostra una sconfortante inadeguatezza. A parte le esternazioni, peraltro sensate, di Gianfranco Ganau, presidente del Consiglio regionale, non sembra che i massimi esponenti della politica regionale abbiano contezza della problematica dello spopolamento e quindi di una tra le diverse risposte che si possono dare, anche con una nuova politica dell’accoglienza, che in nessun modo può essere sostitutiva delle politiche per il lavoro, per i giovani e non solo. Abbiamo anche prospettato che per superare questa sostanziale “estraneità” della politica regionale il Consiglio regionale approvi un’apposita legge istituita di una commissione d’indagine sullo spopolamento e suoi possibili rimedi e che venga istituita un’Alta Autorità regionale per le politiche di contrasto allo spopolamento e per l’immigrazione (Autorità espressione della Giunta e del Consiglio regionale).
Continuiamo comunque nel nostro impegno. In questa direzione riportiamo l’intervento del nostro Vanni Tola nella citata pagina fb di Guido Melis.
sedia di Vannitola
La proposta di Severgnini di favorire l’integrazione dei migranti nelle aree spopolate del paese con piani di integrazione reale e impiegando al meglio le risorse potenzialmente utilizzabili quale le aree agricole incolte o fortemente sottoutilizzate, non è ne nuova ne originale. Ne parlano da tempo i demografi, se ne è parlato in Sardegna in alcuni convegni sullo spopolamento, ne ha parlato Giuseppe Pulina ex direttore del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari, il senatore Luigi Manconi, ne abbiamo dato conto dettagliatamente nel nostro giornale on line con diversi articoli. Fin da allora, nel presentare questa proposta, avevamo intuito che prima o poi si sarebbe scatenata una forte opposizione al progetto come poi è puntualmente avvenuto sotto forma di contrasto all’articolo di Severgnini che ha rilanciato la discussione nei media. Penso che a monte esista una questione politica e culturale ben maggiore e della quale si cominciano a vedere i primi segnali. I Sardi ritengono possibile una integrazione razionale di popoli provenienti da altre etnie in terra di Sardegna? O si preferisce tutelare, con qualunque mezzo e argomentazione, il popolo sardo da “contaminazioni” che, secondo molti, rappresenterebbe una minaccia per i sardi e i destini dell’Isola? Quanto leghismo e velato razzismo si nascondo dietro la levata di scudi contro Severgnini e per la difesa del sacro suolo (leggi terre da sempre incolte o sotto utilizzate e paesi ormai irrimediabilmente spopolati)? Cito per tutti un recente articolo del neo segretario del Partito Sardo D’Azione che entrando nel merito della questione afferma sostanzialmente che la Sardegna si salva dallo spopolamento con una nuova classe politica che stimoli lo sviluppo dell’occupazione anziché pensare ad importare manodopera straniera. Sono le argomentazioni della Lega di Salvini e della destra fascista europea.
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INIZIATIVA DI DIBATTITO
Accogliamoli tutti 8 11 15Accogliere tutti si può? L’attenzione mediatica delle politiche di accoglienza per i migranti è spesso orientata all’emergenza e al pericolo invasione. Con Accogliamoli tutti Luigi Manconi e Valentina Brinis dimostrano che l’arrivo di donne e uomini stranieri è un’opportunità di salvezza per una società invecchiata e immobile come la nostra, per il suo dissestato sistema produttivo e il suo welfare in crisi.

Stasera alle 17:30 a Cagliari nella biblioteca provinciale “Emilio Lussu”. Non mancate!

Oggi venerdì 30 ottobre 2015

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ape-innovativaLogo_Aladin_Pensieroaladin-lampada-di-aladinews312sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413. .
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Oggi a Sassari presentazione del volume II° del Dizionario storico degli imprenditori in Sardegna
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di Vanni Tola
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Appuntamento alla Camera di Commercio di Sassari oggi venerdì 30 ottobre, ore 17,30, per la presentazione del volume II° del Dizionario storico degli imprenditori in Sardegna (AIPSA EDIZIONI euro 23,00). L’opera, curata da Cecilia Dau Novelli, docente di storia contemporanea presso l’Università di Cagliari e Sandro Ruju, studioso della realtà economica e sociale della Sardegna contemporanea, conclude un lavoro di ricerca decennale che ha visto impegnati numerosi ricercatori.
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IL PROGRAMMA
Saluti
Gavino Sini
Presidente della Camera di Commercio di Sassari

Presenta il libro
Francesco Soddu, Università di Sassari

Coordina
Pasquale Porcu, giornalista

Saranno presenti i curatori, i collaboratori
e l’editore dell’opera

Dizionario storico degli imprenditori in Sardegna

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di Vanni Tola
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Appuntamento alla Camera di Commercio di Sassari venerdì 30 ottobre, ore 17,30, per la presentazione del volume II° del Dizionario storico degli imprenditori in Sardegna (AIPSA EDIZIONI euro 23,00). L’opera, curata da Cecilia Dau Novelli, docente di storia contemporanea presso l’Università di Cagliari e Sandro Ruju, studioso della realtà economica e sociale della Sardegna contemporanea, conclude un lavoro di ricerca decennale che ha visto impegnati numerosi ricercatori.
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IL PROGRAMMA
Saluti
Gavino Sini
Presidente della Camera di Commercio di Sassari

Presenta il libro
Francesco Soddu, Università di Sassari

Coordina
Pasquale Porcu, giornalista

Saranno presenti i curatori, i collaboratori
e l’editore dell’opera

Oggi venerdì 23 ottobre 2015

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ape-innovativaLogo_Aladin_Pensieroaladin-lampada-di-aladinews312sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413. .
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Lilliu convegno 23 10 15
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Cagliari: Venerdì 23 ottobre ore 16:30, Sala Conferenze Unione Sarda, si parla di Giovanni Lilliu
By sardegnasoprattutto / 21 ottobre 2015/ Culture/

Era nato quanche mese prima che scoppiasse la prima guerra mondiale ed è venuto a mancare quasi centenario nel febbraio del 2012. Celebrato in vita come nessuno in Sardegna, fu chiamato, nel 1990 a far parte dell’Accademia del Lincei e insignito, nel 2007, dalla giunta regionale del titolo di Sardus Pater. Onorificenza di cui è stato il primo titolare. Con la Delibera di quel giorno (20/12/2007) furono finanziati la riedizione dei suoi articoli e, alle Università della Sardegna, la redazione del Corpus dei Beni Culturali. Ad oggi sono stati pubblicati i preziosi volumi con gli articoli e solo il primo volume del Corpus, quello dedicato alla cultura nuragica. – segue -

Salviamo l’Alberti!

Alberti 1 SalviamoloUna scuola bella? Cancelliamola.
Bella. Proprio così. Devono, per caso, essere brutte e grigie, le scuole? Da sempre, la nostra ha il privilegio di una straordinaria posizione paesaggistica; a pochi metri dal mare, direttamente affacciata sul golfo. Diamo fastidio a qualcuno? Vi sembrano “stonati” dei giovani liceali in prossimità di una zona verde e del nuovo lungomare pedonale e ciclabile?
- segue -

Dizionario storico degli imprenditori in Sardegna

dizionario-storico-imprenditori-gsedia di VannitolaLa Sedia
di Vanni Tola

Dizionario storico degli imprenditori in Sardegna.

Appuntamento alla Camera di Commercio di Sassari venerdì 30 ottobre, ore 17,30, per la presentazione del volume II° del Dizionario storico degli imprenditori in Sardegna (AIPSA EDIZIONI euro 23,00). L’opera, curata da Cecilia Dau Novelli, docente di storia contemporanea presso l’Università di Cagliari e Sandro Ruju, studioso della realtà economica e sociale della Sardegna contemporanea, conclude un lavoro di ricerca decennale che ha visto impegnati numerosi ricercatori.
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DIZIONARIO-STORICO-VANNI-TOLA-300x225- La presentazione a Sassari del I volume, su Aladinews (10 maggio 2013).

Cagliari Capitale della Sardegna. Sì, ma: quale Cagliari e per quale Sardegna? Riaffiora il dibattito che non deve svilirsi nella propaganda elettorale

Discuss cagliari

ape-innovativadi Franco Meloni, aladinews

Senza togliere nulla al merito della Fondazione Segni per aver creato una nuova occasione di riflessione sul ruolo di Cagliari capitale della Sardegna, vogliamo ricordare come il dibattito su tale tematica, con tutte le implicazioni e connessioni che si porta dietro, è ben presente nella realtà culturale della città. Segue un andamento di tipo “carsico”: corre in modo prevalentemente sotterraneo, ogni tanto riaffiorando con i contributi di singoli intellettuali o, in misura più partecipata, di diversi soggetti singoli o associati, in relazione a scadenze elettorali (di cui parliamo più avanti) o ad altre particolari circostanze. Tra queste ultime le più importanti negli ultimi anni sono state le fasi di elaborazione del “piano strategico della città” e del “piano strategico dell’area vasta”. A dire il vero il rilevante lavoro prodotto è stato in gran parte ignorato e quindi sprecato. E meno male che di esso resta disponibile un’interessante documentazione, fruibile sul sito web del Comune (1) (2). Sono tutte parole, per fortuna in questo caso scritte, che però tali rimangono, senza tradursi, se non in minima parte, in effettive realizzazioni; sono elaborazioni interessanti ma in gran parte inutilizzate, come ha dimostrato il piano del Comune per la candidatura a “capitale europea della cultura 2019″, che è sembrato prescinderne. Si è ripetuto anche in questo caso il vizio del “ripartire da zero” che fa sprecare risorse e fa perdere di efficacia all’azione politica e amministrativa delle Istituzioni. Speriamo che la partecipazione dei cagliaritani alla procedura di adozione del piano particolareggiato per il centro storico apporti significative correzioni all’impostazione scarsamente democratica che caratterizza la pratica politica odierna, purtroppo comune a tutti gli schieramenti politici.
Ma torniamo al tema di Cagliari capitale. Al riguardo l’attuale ravvivamento del dibattito è chiaramente ascrivibile, in modo preponderante, all’imminente scadenza elettorale per l’elezione del Sindaco e del Consiglio comunale di Cagliari, a cui si aggiunge la discussione sulla riforma degli Enti locali, che, tra l’altro, prevede l’istituzione della città metropolitana di Cagliari, coinvolgente la città e la sua area vasta.
Le campagne elettorali hanno aspetti ambivalenti e contraddittori: da un lato sono occasioni di strumentalizzazioni di ogni tipo, dall’altro costringono i cittadini e soprattutto le forze politiche a una disponibilità al dibattito, sconosciuta in altri periodi. Tocca a noi, opinione pubblica, fornire un terreno di confronto che diminuisca i rischi del primo aspetto e consenta ai cittadini elettori di farsi un’opinione di programmi e persone che li rappresentano, misurandone la credibilità. Altrimenti c’è la sfiducia e la conseguente diserzione delle urne, che, badate bene, fa premio a una classe politica il cui motto è diventato “meno siamo (gli elettori), meglio stiamo (gli eletti)”. Noi pratichiamo una linea virtuosa, quella della partecipazione popolare per la città di tutti. Ecco perchè pensando alle elezioni comunali di Cagliari del prossimo anno, prendendo atto che la campagna elettorale è ormai aperta, diamo spazio a un dibattito sulla città, senza limiti e pregiudizi o rispetto reverenziale per chicchessia.
Con queste motivazioni (e questa apertura che non prevede necessariamente adesione alle idee, tutte rispettabili, di quanti intervengono, purchè animatrici di senso critico) abbiamo pubblicato una serie di interventi che ci sono sembrati particolarmente “utili alla causa” e che sotto elenchiamo. Chiaramente la nostra è una scelta “arbitraria” che vuole esplicitamente portare acqua al mulino del rinnovamento nei programmi e nelle persone che vorremmo al governo della nostra città, obiettivo che ci vede precisamente schierati.
- Il 23 giugno un articolo di Paolo Fadda (ripreso da Sardinia Post del 20 giugno), intitolato: Cagliari e il mistero della borghesia scomparsa .
- Il 24 giugno un articolo di Vito Biolchini, ripreso dal suo seguitissimo blog: Molentargius, rifiuti, Camera di Commercio, Tuvixeddu e Teatro Lirico: a Cagliari fare gli equilibristi non funziona più. Vito Biolchini su vitobiolchini.it.
- Ecco perché solo con la riscoperta della sua memoria Cagliari potrà risorgere.. Nanni Spissu su SardiniaPost. Un articolo anch’esso apparso su SadiniaPost, che trae spunto dall’intervento di Paolo Fadda per fare nuove interessanti riflessioni.
- Cagliari, baronessa senza baronia (e senza classe dirigente), un articolo di Paolo Fadda su SardiniaPost, ripreso il 26 agosto da Aladinews.
- Casteddajos! … procurad’’e moderare …, un articolo di Salvatore Cubeddu su SardegnaSoprattutto.
- Di seguito pubblichiamo inoltre un intervento del consigliere comunale Enrico Lobina, leader della coalizione Cagliari Città Capitale.
Infine ci permettiamo ripubblicare due correlati interventi del direttore.

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Alcune domande su Cagliari Città Capitale ed i problemi della città
di Enrico Lobina
Un amico, un collega, un compagno, mi annuncia che sosterrà Cagliari Città Capitale, e che “Mi piacerebbe leggere proposte che sviluppino lavoro, connessioni città campagna, arte, e dare alla città l’identità di una capitale europea, pure se piccola”.
Rispondo alle sollecitazioni, sperando che vengano poi riprese, ed utilizzate di continuo, così come tanti altri elementi di programma che si possono trovare nel web e negli scritti dei componenti di Cagliari Città Capitale.
CCC non ha grandi finanziatori, e ci basiamo sull’impegno di chi ci sostiene per far conoscere le nostre posizioni.
Sviluppare lavoro
Cagliari ha potenzialità enormi nel settore primario, secondario e terziario. Chi dice che in materia di lavoro il comune non può fare nulla dice una stupidaggine.
Il settore primario, per Cagliari, è la pesca, a mare e negli stagni, e l’acquacoltura. Si occuperà del tema il circolo Me-Ti, che sta organizzando per domenica 18 ottobre la festa della Laguna insieme al Consorzio ittico Santa Gilla. Il primario può essere una miniera di posti di lavoro.
Il resto del settore primario (agricoltura e pastorizia) interessa indirettamente il comune, che può mettere tutta la sua forza e le sue strutture (mercati comunali) per far diventare la città l’emporio dei prodotti di Sardegna, la vetrina di ogni paese
Riguardo il settore secondario, l’area industriale non è stata minimamente oggetto di interesse dalle amministrazioni comunali di questi anni. Perché? Non può più essere così. Anzi, essa si deve collegare alla zona franca intorno al porto canale, che deve necessariamente decollare in tempi certi.
Sul settore terziario, dal turismo alla riqualificazione urbana, da nuove politiche sociali alle politiche per l’innovazione, da un nuovo approccio allo sviluppo locale alle politiche per l’internazionalizzazione, dalla zona franca all’economia blu (blue economy, l’economia che sfrutta il mare), dalla transizione energetica ad una rivoluzione nel ciclo dei rifiuti, passa la capacità di creare ricchezza della città.
Connessioni città campagna
Cagliari, se vuole essere capitale, deve ripensare il suo rapporto con la Sardegna, essere all’altezza del ruolo di capitale. Bisogna instaurare un rapporto continuo con le altre città, e porsi strategicamente l’obiettivo del riequilibrio territoriale.
Lo spopolamento dei paesi, drammatico, può essere combattuto con fortissime politiche anticicliche. Attualmente non se ne vedono all’orizzonte.
Dalla fine del 2010 il comune di Sadali ha istituito tre misure di incentivazione:
- un bonus bebè di 200 € mensili per 24 mesi da erogare ai genitori (con almeno uno dei genitori con residenza a Sadali) di bambini iscritti al registro anagrafico del comune di Sadali;
- Un bonus famiglia di 200 € mensili per 24 mesi da erogare a chi trasferisce la residenza da un Comune con popolazione superiore a 3 mila abitanti a Sadali;
- Un bonus scuola di 200 € mensili per 24 mesi da erogare ai genitori dei bambini iscritti a scuola.
Il bonus consiste in un “ticket nominativo” attraverso il quale il beneficiario può acquistare, presso gli esercenti convenzionati, beni e servizi necessari per una vita dignitosa.
Dopo 20 anni di saldi negativi, negli anni 2011, 2012 e 2013 si registra un aumento complessivo della popolazione del 4%.
A Sadali non tutti sono felici di queste politiche, ma è un inizio.
In Emilia-Romagna, Calabria, ma anche Galles e Finlandia, e per la verità in altre realtà della Sardegna, si prova, quasi in maniera artigianale, a designare politiche contro lo spopolamento davvero efficaci e forti, concrete.
La politica regionale, al contrario, non va oltre la normale amministrazione di politiche già esistenti.
Si tratta di mettere a sistema politiche che, ritagliate sulle esigenze di ogni singola comunità, vadano nella direzione di salvare dall’estinzione i sardi e ridare forza produttiva alla Sardegna.
Da questo punto di vista, segnalo come il Comune di Cagliar spenda, quasi fosse un bancomat, milioni di euro in sussidi sociali che non provocano nessun incentivo alla riqualificazione produttiva e all’emancipazione in chi li riceve. Al contrario, si abitua una piccola e povera casta all’assistenzialismo.
Se quelle stesse risorse, di concerto con altri comuni e con attività di accompagnamento pubbliche, fossero spese per garantire una emancipazione personale ed uno sviluppo produttivo guidato da quei nuclei familiari, non avremmo fatto un enorme passo in avanti?
Lavorare per una comunità produttiva, libera e felice significa anche rigettare l’assistenzialismo, senza mai lasciare indietro nessuno.
Arte
Sul ruolo dell’arte a Cagliari vi propongo, dipendendoli dal mio blog, alcuni video un po’ datati, ma che contengono diversi spunti: http://www.enricolobina.org/wp/2015/10/05/alcune-domande-su-cagliari-citta-capitale-ed-i-problemi-della-citta/
La rinascita catalana, dopo la fine della dittatura franchista, si è basata sull’arte. Noi dobbiamo immaginare qualcosa di simile.
Dare alla città l’identità di una capitale europea
Cagliari deve, innanzitutto, diventare capitale della Sardegna, e dialogare, con l’Italia, il Mediterraneo e l’Europa, senza alcun complesso di inferiorità.
Sul Mediterraneo abbiamo avanzato una proposta http://www.enricolobina.org/wp/2013/11/01/mediterraneo-pace-e-immigrazione-per-unazione-del-comune-di-cagliari/

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Il ruolo di Cagliari per l’Europa che vogliamo
di Franco Meloni

Un tempo contestando il malgoverno della cosa pubblica in diverse realtà si diceva che anche la sola “buona amministrazione” costituisce di per se un fatto rivoluzionario. Mi è venuto in mente pensando all’esperienza amministrativa del sindaco di Cagliari Massimo Zedda e della sua Giunta. Fare una buona amministrazione per la nostra città come il sindaco ha cercato di fare ha aspetti positivi a vantaggio dei cittadini cagliaritani. E di questo occorre dare atto, come abbiamo fatto in diverse circostanze. Ma certamente non basta. L’amministrazione Zedda ha finito per rinchiudersi nell’ambito dell’ordinario, senza azzardare progetti strategici di lungo respiro dei quali la città ha invece ineludibile bisogno, pena l’acuirsi di processi di decadenza e marginalità. Ecco perché si avverte l’inadeguatezza degli attuali amministratori unita alla non credibilità che siano in grado di prospettare esiti diversi per il futuro. Cagliari non ha finora saputo esercitare quel ruolo decisivo che le compete: di guida dell’intera regione, di peso paragonabile a quello dell’Istituzione Regione. Come capita a tutte le capitali di questo mondo, per esercitare questa funzione dispone (e dovrebbe poter disporre in misura maggiore) di risorse specifiche, che, al di là delle critiche universalmente rivolte a tutte le capitali del mondo, deve congruamente restituire in benefici non solo ai suoi abitanti ma a tutti i cittadini che gliele hanno affidate, cioè a tutti i sardi. In Sardegna abbiamo bisogno di praticare nuove politiche di sviluppo attraverso la realizzazione di nuovi modelli sociali ed economici. Siamo proprio in questa fase, come necessità, non certo, purtroppo, come visioni politiche egemoni e concrete realizzazioni e come attuale classe dirigente in grado di farsene carico. Al riguardo è richiesto soprattutto a Cagliari – ovviamente insieme alla Regione e agli altri Enti locali – di cimentarsi in una sfida epocale. Ci sono tanti modi per farlo. Io credo che la stella polare della ricerca di nuove strade debba essere l’Europa, non certo l’attuale Europa, che in questa fase storica sta dimostrando la sua inadeguatezza, proprio perché chiusa nella cura dei mercati e degli interessi dei mercanti, quanto invece una nuova Europa che dobbiamo costruire: l’Europa dei popoli, capace di accogliere nuove genti e con esse rigenerarsi. In questo recuperando i valori delle origini, quando, all’indomani della seconda guerra mondiale, i padri fondatori dell’Europa comunitaria misero le basi della cooperazione economica pensando e preconfigurando come un sogno l’integrazione politica europea. Purtroppo tuttora, dopo tanti decenni, l’integrazione dell’Europa attraverso una vera e propria Confederazione o Federazione di Stati è solo ancora un sogno, e l’integrazione politica rischia di arretrare anche rispetto agli scarsi attuali livelli.
Allora Cagliari deve conquistare sul campo il ruolo di “città capitale”, sarda e insieme europea, in grado di tracciare nuove strade per se stessa, per la Sardegna e per l’Europa, della quale può rappresentare in certa parte le politiche per il Mediterraneo (soprattutto della sua sponda sud). Un’impostazione di questo tipo, appena qui tratteggiata, ha moltissimi risvolti pratici, concretizzandosi pertanto anche nelle scelte del quotidiano amministrare. In questo quadro la stessa “opzione indipendentista” (comunque la vogliamo nominare) per la Sardegna può essere praticata con condivisione maggioritaria, non quindi come concezione separatista minoritaria o scelta estremista, proprio in quanto si può sviluppare con piena cittadinanza e dignità nell’ambito della possibile nuova Europa che abbiamo prospettato.

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A Cagliari il mare come strategia di sviluppo per sbloccare e liberare la città. Ma occorre una diversa classe dirigente
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di Franco Meloni

Il dibattito su Cagliari, intendendo quello che non si ferma alla contingenza dei problemi quotidiani dei suoi abitanti, che riesce a riflettere sul suo ruolo rispetto alla Sardegna e all’Europa, che prefigura scenari futuri rispetto ai quali organizzare le energie sociali, e così via, è presente anche se carente nella realtà culturale della città. Segue un andamento di tipo “carsico”: corre in modo prevalentemente sotterraneo, ogni tanto riaffiorando con i contributi di singoli intellettuali o, in misura più partecipata da diversi soggetti singoli o associati, in relazione a scadenze elettorali o ad altre particolari circostanze. Tra queste le più importanti negli ultimi anni sono state le fasi di elaborazione del “piano strategico della città” e del “piano strategico dell’area vasta”. A dire il vero il rilevante lavoro prodotto è stato in gran parte sprecato, seppure resta disponibile un’interessante documentazione, fruibile sul sito web del Comune (1) (2). Sono tutte parole, per fortuna in questo caso scritte, che però tali rimangono, senza tradursi, se non in minima parte, in effettive realizzazioni; sono elaborazioni interessanti ma in gran parte inutilizzate, come dimostra il piano del Comune per la candidatura a “capitale europea della cultura 2019″, che sembra prescinderne.
Si ripete anche in questo caso il vizio del “ripartire da zero” che fa sprecare risorse e fa perdere di efficacia all’azione politica e amministrativa delle Istituzioni.

Occorre invece rilanciare il dibattito su Cagliari, raccogliendo tutti i contributi del passato che mantengono validità insieme a quelli che si sono aggiunti e vanno aggiungendosi di recente, lasciando alla politica il compito di portare a sintesi operativa le indicazioni su cui si trova la più estesa convergenza.

Prima di riproporre le questioni strategiche vogliamo soffermarci su un altro comportamento patologico delle nostre Istituzioni: quello dei “compartimenti stagni”, cioè dell’incapacità di agire “a sistema” (la leale collaborazione istituzionale). Forse ci si illude che le decisioni prese in solitaria dai singoli Enti possano essere inserite da una “mano invisibile” in un coerente disegno complessivo, purtroppo inesistente. Così non si va molto lontano. Tra i molti esempi che si potrebbero fare al riguardo ci limitiamo a due, importanti ed emblematici: la zona franca e la questione delle abitazioni.

. Per quanto si riferisce alla zona franca, parliamo dei punti franchi doganali (non quindi delle fantasie demagogiche di Cappellacci o della pessima e inutile leggina approvata di recente dal Consiglio regionale), cioè di quelli che potrebbe essere già operativi (per il punto franco di Cagliari il ritardo assomma a oltre dodici anni) e che inspiegabilmente non si fanno, per colpevole inerzia di molte Istituzioni a partire dalla Regione. I punti franchi porterebbero benefici in termini di occupazione e di incremento di attività economiche innovative, se attuati con modalità intelligenti, come, per esempio, dimostra l’esperienza di Barcellona (ampiamente studiata dai nostri politici in innumerevoli viaggi-studio). Per quanto riguarda Cagliari (ma discorso analogo può farsi per gli altri 5 punti franchi previsti dalla normativa vigente) perchè la zona franca possa concretizzarsi con questa valenza occorre che si impegnino più soggetti, raccolti in una compagine sociale a cui partecipino la Regione, l’Autorità portuale, la Camera di Commercio, l’Università e, infine, il Comune capoluogo, che dovrebbe assumerne la guida politica.
Cosa si è fatto al riguardo? Quasi nulla, se si eccettuano alcune iniziative, pur apprezzabili, dell’attuale autorità portuale, Piergiorgio Massidda, giunto peraltro al capolinea del suo incarico. Per il resto i possibili partner si ignorano, quando non sono l’un contro l’altro armati.

. Veniamo ora della questione delle abitazioni. Cagliari, in costante emorragia di abitanti in favore dei centri limitrofi, non può pensare di risolvere il problema riattirando gli abitanti perduti per i quali costruire nuove abitazioni, che andrebbero a saturare le poche aree disponibili. L’operazione già di per sè non condivisibile di “Su Stangioni” potrebbe essere letta in questa luce, specie pensando al possibile aumento dell’edificabile (vedasi al riguardo l’ottimo dossier predisposto dal circolo PD Copernico di Cagliari) (3). Piuttosto occorrerebbe rimettere in gioco le numerose case sfitte e riqualificare il patrimonio edilizio esistente, soprattutto in favore dei ceti meno abbienti e delle fasce giovanili. Si deve pertanto affrontare la questione abitativa in termini di “area vasta urbana”, con appositi piani intercomunali. Occorre al riguardo pianificare il territorio insieme con gli altri Comuni dell’area vasta. Cosa che si dovrebbe fare subito e che non si fa, ma che sarebbe più agevole (e obbligatorio) fare con la costituzione della città metropolitana (vedasi al riguardo lo studio della Società geografica italiana in collaborazione con il CNR) (4). Le responsabilità di questa situazione negativa sono tutte della classe politica. Ne vogliamo parlare?

Tornando al dibattito sulle linee strategiche, volendo individuarne una prioritaria, ovviamente discutibile, ci sembra interessante proporre quella avanzata da Paolo Fadda, storico e studioso cagliaritano, nel suo recente libro “Da Karel a Cagliari”, riassunta nella rappresentazione di una “Cagliari città d’acqua”, che punta sui suoi stagni e soprattutto sul mare come nuova opportunità di sviluppo. Sostiene Fadda: “La nuova centralità assunta da Mediterraneo, per l’emergere di nuove potenzialità ed aspirazioni economiche fra i popoli rivieraschi, fa ben sperare che il mare ritorni ad essere la locomotiva trainante del progresso cittadino”.
In questa proposta, che condivido, trovo un ideale accordo, con Giovanni Lilliu, nel momento in cui invitava i sardi (e qui Cagliari può dare l’esempio e dimostrare l’intraprendenza dei cagliaritani) a “riconquistare” il mare (“per riconquistare la libertà”, diceva Lilliu), facendo leva, valorizzando e, se vogliamo, anche superando, la famosa “costante resistenziale” (al riguardo facciamo riferimento all’intervista fattagli da Francesco Casula per Cittàquartiere, nel maggio 1987) (5).

Bene! Dunque guardare al mare come nuova frontiera. Ma non si può ridurre tutto alla suggestiva enunciazione.
Cosa può significare questa “scelta strategica”, ovviamente se condivisa (ed è tutto da verificare)?
Possiamo trovare molte e significative implicazioni, che lasciamo all’approfondimento e alle integrazioni del dibattito, riconoscendo come in molti casi si tratta di sviluppare quanto di positivo si sta già facendo (porto, porto-canale, Poetto). Voglio però qui indicarne alcune, solo a mo’ di esempio, in aggiunta a quanto già detto. Si potrebbe:
- predisporre un utilizzo turistico del complesso lagunare;
- riprendere un utilizzo produttivo delle saline;
- riconvertire la Fiera internazionale e aprirla al mare;
- rafforzare le pratiche sportive sull’acqua;
- orientare investimenti d’impresa sulla cantieristica da diporto, proiettandoli verso nuovi mercati come quelli del nord Africa;
- rafforzare il sistema formativo, a partire dagli Istituti professionali nautici fino a dare vita all’ “Università del mare”, basandosi sulle competenze esistenti negli Atenei sardi, anche con l’utilizzo delle aree e strutture da smilitarizzare.
Volutamente in queste riflessioni si tralasciano gli aspetti che attengono all’incontro tra differenti culture dei paesi del bacino del Mediterraneo, che potrebbero vedere Cagliari come centro di scambi e iniziative di rilevante importanza. Questo è un ulteriore filone di riflessione.

Per concludere: pensare, progettare e fare tutte queste cose nella dimensione sarda, europea e internazionale implica una condizione: che emerga e si consolidi una nuova classe dirigente, non solo politica, che sappia ragionare e agire, con unità d’intenti, e che sappia coinvolgere i cittadini nelle scelte che li riguardano. Le elezioni regionali ed europee in questo senso sono la prima ravvicinata opportunità da non sprecare.
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(1) Piano strategico Cagliari: http://www.comune.cagliari.it/portale/it/terrirtorio_areavasta.page
(2) Piano strategico Area vasta Cagliari: http://www.comune.cagliari.it/portale/it/contentview.page?contentId=SCH50524
(3) Circolo Pd Copernico di Cagliari, dossier “Su Stangioni”: http://circolocopernico.wordpress.com/2013/05/27/lo-strano-caso-di-su-stangioni-politiche-residenziali-a-cagliari/
(4) Studio Società geografica italiana-CNR: http://www.societageografica.it/images/stories/Pubblicazioni/e-book_il_riordino_territoriale_dello_stato.pdf
(5) Intervista a Giovanni Lilliu: https://www.aladinpensiero.it/?p=545“%3Ehttps://www.aladinpensiero.it/?p=545
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Ilario Principe Cagliari libro
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