Risultato della ricerca: Vanni Tola

DIBATTITO su elezioni del Sindaco e del Consiglio comunale di Cagliari. Voce al dissenso

Torri municipio Cagliari
La cultura politica in frantumi, un pragmatismo elettorale senza anima, anche a Cagliari
di Gianfranco Murtas su Fondazione Sardinia
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Elezioni a Cagliari – La deriva a destra del centro sinistra
di Claudia Zuncheddu, su il manifesto sardo

L’Italia si mobilita contro il trattato TTIP

TTIP dal Fatto quotidianosedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola
Anche l’Italia si mobilita contro il trattato TTIP, una minaccia per la democrazia.

Una grande manifestazione di associazioni e sindacati ha segnato la presa di coscienza dell’Italia sulla minaccia rappresentata da trattati internazionali ratificati ed in attesa di ratifica, che rappresentano una minaccia per la democrazia, la salute, l’ambiente, i lavoratori, la qualità dei prodotti made in Italy, la proprietà intellettuale. Con ritardo rispetto alle principale capitali europee anche Roma si mobilita. Aladinnews si è occupata più volte dell’argomento con articoli di Vanni Tola che riproponiamo per chi volesse conoscere meglio i termini della vicenda.
- https://www.aladinpensiero.it/?p=40855.
- https://www.aladinpensiero.it/?p=47847.

Venerdì 22 aprile 2016

cinema e CCC 22 4 16
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Oggi a Sassari
Turismo Rujusedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola
GA Solinas Linro sul turismo SSImportante appuntamento alla Biblioteca Universitaria di Sassari (via Enrico Costa, ex Ospedale Civile) per la presentazione del Fondo, cartaceo e librario, di uno dei più importanti conoscitori del turismo sardo.

“Un’isola di vacanze, per una storia critica del turismo in Sardegna” . Venerdì 22 aprile a Sassari

Turismo Rujusedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola
GA Solinas Linro sul turismo SSImportante appuntamento alla Biblioteca Universitaria di Sassari (via Enrico Costa, ex Ospedale Civile) per la presentazione del Fondo, cartaceo e librario, di uno dei più importanti conoscitori del turismo sardo. Gian Adolfo Solinas, scomparso nel 1993, ha lavorato per diversi anni presso l’Ente provinciale del turismo di Sassari sviluppando con studi e ricerche una conoscenza molto approfondita di quel settore e dei problemi specifici che lo caratterizzano. Autore di numerosi libri, ha raccolto nel testo “Un’isola di vacanze, per una storia critica del turismo in Sardegna” saggi e interventi raccolti nell’arco di un trentennio che raccontano lo sviluppo turistico della Sardegna dagli anni delle prime iniziative turistiche ai più recenti insediamenti sulle coste.

Evento a Sassari: presentazione del Fondo Gian Adolfo Solinas, studioso del turismo sardo

Turismo Rujusedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola

GA Solinas Linro sul turismo SSImportante appuntamento alla Biblioteca Universitaria di Sassari (via Enrico Costa, ex Ospedale Civile) per la presentazione del Fondo, cartaceo e librario, di uno dei più importanti conoscitori del turismo sardo. Gian Adolfo Solinas, scomparso nel 1993, ha lavorato per diversi anni presso l’Ente provinciale del turismo di Sassari sviluppando con studi e ricerche una conoscenza molto approfondita di quel settore e dei problemi specifici che lo caratterizzano. Autore di numerosi libri, ha raccolto nel testo “Un’isola di vacanze, per una storia critica del turismo in Sardegna” saggi e interventi raccolti nell’arco di un trentennio che raccontano lo sviluppo turistico della Sardegna dagli anni delle prime iniziative turistiche ai più recenti insediamenti sulle coste.

Biblioteca Universitaria di Sassari (v. Enrico Costa 57), Venerdì 22 aprile alle ore 16,30
Intervengono: Paola Porcu, Patrizia Bettelloni (Università di Bologna), Bachisio Bandinu, Arturo Parisi. Coordinatore Sandro Ruju.

LE DIMISSIONI DELLA MINISTRA DELLO SVILUPPO ECONOMICO DEL GOVERNO RENZI

sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola

“HUSTON, ABBIAMO UN PROBLEMA”
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disperazioneCon questo messaggio o qualcosa di molto simile i collaboratori di Matteo Renzi devono aver interrotto bruscamente la visita del Capo del Governo negli States che lo vedeva impegnato a tessere le lodi del Bel Paese in ogni angolo del continente americano. Che accade? Niente di particolare per un paese come il nostro. Una procura, quella di Potenza svolge una indagine nel mondo delle forniture petrolifere, raccoglie prove e intercettazioni e emerge il “fattaccio”. La Ministra dello sviluppo economico del Governo Renzi, si sarebbe adoperata, per ben due volte, a far inserire in un importante atto legislativo del Governo una disposizione scritta appositamente per favorire alcune lobbie petrolifere. Al primo tentativo l’operazione non riesce per l’azione di disturbo del Movimento 5 Stelle, al secondo tentativo invece riesce perfettamente e la Ministra se ne vanta al telefono con i beneficiari del provvedimento. Per i particolari rimandiamo alle cronache dei quotidiani. Restiamo alla sostanza. In qualunque parte del mondo, un accadimento simile avrebbe comportato le immediate dimissioni del Governo in carica, in Italia invece… Vediamo meglio “l’invece”. La ministra interessata decide di rassegnare dimissioni “per una questione di opportunità politica”. Ma si affretta a precisare di essere “assolutamente certa della sua buona fede e della correttezza del proprio operato”. Allora perché dimettersi? Il Presidente del Consiglio, dagli States, accoglie subito le dimissioni, non ci prova neppure a respingerle. Si preoccupa però di inviare un affettuoso e conciliante messaggio alla Ministra Guidi. “Cara Federica, ho molto apprezzato il tuo lavoro di questi anni. Serio, deciso, competente. Rispetto la tua scelta personale, sofferta, dettata da ragioni di opportunità che condivido: procederò nei prossimi giorni a proporre il tuo successore al Capo dello Stato. Nel frattempo ti invio un grande abbraccio. Continueremo a lavorare insieme perché l’Italia sia sempre più forte e solida. A presto, Matteo”. Forse non sapremo mai perché Renzi intende privarsi di un cosi valido elemento del suo Governo che si è comportata in modo serio, deciso e competente. Naturalmente si accendono sulla vicenda i riflettori dei media e già nel pomeriggio, qualche ora dopo la notizia delle dimissioni della Ministra, l’argomento è oggetto di appassionanti tavole rotonde. Tutti dalla Gruber a dire che la Ministra, dimettendosi, ha manifestato una correttezza che le fa onore e ad esprimere umana solidarietà e rispetto personale per l’individuo. Ma avete capito bene che cosa ha combinato? C’è invece un problema che nei dibattiti televisivi e nei commenti dei giornali quasi nessuno affronterà. Il problema del provvedimento legislativo “alterato” dalla Ministra e da altri per favorire lobbie di petrolieri. Se il “dolo” c’è stato realmente, e mi pare nessuno lo contesti, la prima cosa da fare dovrebbe essere quella di rimettere subito le cose al loro posto. Un intervento di urgenza del Governo per bonificare il provvedimento rendendo nullo l’emendamento truffaldino. E’ il minimo che si deve al Paese. Tutto il resto, sostituzione della Ministra, valutazioni politiche, etiche, vicende giudiziarie, faranno il loro corso ma il provvedimento sotto inchiesta non può restare tale e quale. Altrimenti siamo su scherzi a parte.

Letture per i cittadini, ma soprattutto per i candidati sindaci e consiglieri della città

AladinDibattito-CA_2_2-300x130Un’altra idea di città
di Ilaria Agostini

PERUNALTTRACITTà 29 3 16By sardegnasoprattutto/ 29 marzo 2016/ Città & Campagna/

Eddyburg.it 25 Marzo 2016. La succosa introduzione a un libro collettaneo che racconta come nelle città italiane (non a caso l’esempio scelto è Firenze, cavia dello stregone Renzi) i declina l’idea di città del neoliberismo e come un pugno di urbanisti può animare una molteplice attività di resistenza.

Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista, perUnaltracittà 2004-2014, a cura di Ilaria Agostini, AIÒN edizioni 2016, €18,00.

Un’altra idea di città. L’urbanistica neoliberista provoca resistenza popolare. Alla rappresentazione ufficiale delle politiche urbane si contrappone, in queste pagine, il racconto corale e antagonista di cittadine e cittadini, comitati ed esperti critici, uniti a Firenze nel “Gruppo Urbanistica” che ha fornito il sostegno tecnico alla lista di cittadinanza “perUnaltracittà”[1], per due legislature all’opposizione in Consiglio comunale.

Due legislature, dal 2004 al 2014: anni in cui, a livello planetario, si accresce per poi deflagrare, la “bolla” edilizia. Favorita, in Italia, dalla diminuzione dei trasferimenti statali ai comuni e dall’opera demolitoria di Franco Bassanini che, a cavallo del millennio, da una parte incrementava a dismisura il potere nelle mani dei sindaci, mentre dall’altra rendeva possibile riversare gli oneri di fabbricazione nella spesa ordinaria dei comuni. Lo scivolamento progressivo dal welfare state al real estate si traduce in una nuova fase di cementificazione, interpretata a livello nazionale come unica risposta alla penuria di cassa dai comuni sempre più poveri. In epoca di dismissione industriale conclamata, l’economia peninsulare si orienta francamente sul mattone. La città diventa un grosso affare economico, i valori immobiliari aumentano e sulla loro crescita si fonda il consenso politico.

Il «lucido disegno derogatorio» perseguito dagli anni Novanta[2], corrobora l’attività speculativa nell’edilizia. La contrattazione pubblico-privato nel decennio è prassi consolidata che immediatamente si trasforma in arbitrio e che sistematicamente – e legalmente – piega l’interesse comune a quello dei particolari. Il mestiere dell’urbanista, puntualizzava recentemente Edoardo Salzano, si trasforma in «facilitatore delle operazioni immobiliari». Dal canto loro, strette nella morsa del sistema finanziario, le imprese edili – che accedono al credito sulla base del capitale fisso (ossia del costruito) – costruiscono per poter continuare a costruire: è un circolo vizioso. Con un milione di nuovi alloggi invenduti[3], il consumo di suolo in Italia doppia generosamente la media europea. Lo scenario muta quando nel 2008, facendo seguito alla crisi dei mutui subprime, il mercato immobiliare crolla e i prezzi al metro quadro arrivati alle stelle, cadono in picchiata.
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Oggi 8 marzo martedì del 2016. Festa della donna. La festeggiamo difendendo la Costituzione Repubblicana

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No-8-marzo-2016-
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Zagrebelsky fto micro_2Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale, spiega i 15 motivi per dire no alla riforma costituzionale voluta da Renzi-Boschi-Verdini
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Fiera a mare? In che senso?

Fiera a mare? Bellissimo punto programmatico. Nel senso di “riconvertire la Fiera internazionale e aprirla al mare” ? No, oggi i nostri improbabili decisori politici lo interpretano come: buttare la Fiera a mare!Monumento-al-tubo-300x225.
lampadadialadmicromicro1di Franco Meloni
Scrivevamo in un editoriale di Aladinews dell’11 novembre 2013 di alcuni concetti che oggi – cogliendo alcune contingenze, come l’idea insensata di voler chiudere la Fiera di Cagliari – ci sembra importante riprendere:
(…) sulle linee strategiche, volendo individuarne una prioritaria, ci sembra interessante proporre quella avanzata da Paolo Fadda, storico e studioso cagliaritano, nel suo recente libro “Da Karel a Cagliari”, riassunta nella rappresentazione di una “Cagliari città d’acqua”, che punta sui suoi stagni e soprattutto sul mare come nuova opportunità di sviluppo. Sostiene Fadda: “La nuova centralità assunta da Mediterraneo, per l’emergere di nuove potenzialità ed aspirazioni economiche fra i popoli rivieraschi, fa ben sperare che il mare ritorni ad essere la locomotiva trainante del progresso cittadino”.
In questa proposta, che condivido, trovo un ideale accordo, con Giovanni Lilliu, nel momento in cui invitava i sardi (e qui Cagliari può dare l’esempio e dimostrare l’intraprendenza dei cagliaritani) a “riconquistare” il mare (“per riconquistare la libertà”, diceva Lilliu), facendo leva, valorizzando e, se vogliamo, anche superando, la famosa “costante resistenziale” (al riguardo facciamo riferimento all’intervista fattagli da Francesco Casula per Cittàquartiere, nel maggio 1987).

Bene! Dunque guardare al mare come nuova frontiera. Ma non si può ridurre tutto alla suggestiva enunciazione.
Cosa può significare questa “scelta strategica”, ovviamente se condivisa (ed è tutto da verificare)?
Possiamo trovare molte e significative implicazioni, che lasciamo all’approfondimento e alle integrazioni del dibattito, riconoscendo come in molti casi si tratta di sviluppare quanto di positivo si sta già facendo (porto, porto-canale, Poetto). Voglio però qui indicarne alcune, solo a mo’ di esempio, in aggiunta a quanto già detto. Si potrebbe:
- predisporre un utilizzo turistico del complesso lagunare;
- riprendere un utilizzo produttivo delle saline;
- riconvertire la Fiera internazionale e aprirla al mare;
- rafforzare le pratiche sportive sull’acqua;
- orientare investimenti d’impresa sulla cantieristica da diporto, proiettandoli verso nuovi mercati come quelli del nord Africa;
- rafforzare il sistema formativo, a partire dagli Istituti professionali nautici fino a dare vita all’ “Università del mare”, basandosi sulle competenze esistenti negli Atenei sardi, anche con l’utilizzo delle aree e strutture da smilitarizzare.
Volutamente in queste riflessioni si tralasciano gli aspetti che attengono all’incontro tra differenti culture dei paesi del bacino del Mediterraneo, che potrebbero vedere Cagliari come centro di scambi e iniziative di rilevante importanza. Questo è un ulteriore filone di riflessione.

Per concludere: pensare, progettare e fare tutte queste cose nella dimensione sarda, europea e internazionale implica una condizione: che emerga e si consolidi una nuova classe dirigente, non solo politica, che sappia ragionare e agire, con unità d’intenti, e che sappia coinvolgere i cittadini nelle scelte che li riguardano. Le elezioni regionali ed europee in questo senso sono la prima ravvicinata opportunità da non sprecare
[Nota di oggi: col senno di poi si può dire che per quanto è accaduto fino ad ora, tali opportunità sono state davvero sprecate].
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DIMOSTRANO DI NON CAPIRE UN TUBO!
Monumento-al-tubo-300x225Ecco, proprio questo è il punto: le scelte distruttive che emergono in tantissime circostanze, qui ci basta segnalare quella di voler chiudere la Fiera della Sardegna, anziché ripensarla, cambiarne radicalmente la gestione, ci dicono che non abbiamo una classe dirigente competente e all’altezza del compito di governare la nostra regione e la nostra città. Non sembri irriverente, ma il tubo presente in Fiera da oltre 60 anni può essere assunto come simbolo dell’attuale dirigenza politica regionale, comunale (e non solo).
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Storie dell’Italietta. Il Festival di Sanremo “scopre” l’acqua calda

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di Vanni Tola

Dopo l’esposizione ai fedeli dei resti di due frati cappuccini diventati santi arriva l’ostensione a Sanremo del grande artista disabile psico-fisico che, pur essendo tale, esprime una grande capacità artistica e tutta una serie di altre abilità. Ma guarda un po’ che grande scoperta. Ve ne accorgete soltanto ora delle infinite potenzialità dell’essere umano, delle potenzialità di agire e operare che spesso si esprimono al di là degli impedimenti fisici e psichici che limitano la ordinarie capacità naturali dell’individuo? Dovrete farvene una ragione. Il maestro Ezio Bosso non lo ha scoperto Carlo Conti, ne gli organizzatori del Festival di Sanremo e neppure “mamma” Rai. Ezio Bosso era un grande artista anche prima di arrivare al Festival della Canzone Italiana. Il fatto che fino ad oggi fosse più conosciuto all’estero che in Italia è semplicemente la conferma di quanta poca attenzione il nostro paese dedichi alle espressioni artistiche in genere. Wikipedia lo definisce “pianista, compositore, direttore d’orchestra e bassista italiano”. Ha diretto, tra le altre orchestre quali la London Symphony, la London Strings, l’Orchestra del Teatro Regio di Torino, la Filarmonica ’900 e l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Lo stesso personaggio che il popolo italico ha visto per la prima volta a Sanremo ha ricevuto negli anni passati importanti riconoscimenti quali il Green Room Award in Australia o il Syracuse NY Award in America. La sua musica viene richiesta nella danza dai più importanti coreografi come Christopher Wheeldon, Edwaard Lliang o Rafael Bonchela e, nel teatro, da registi come James Thierrè. Nel mondo del cinema Ezio Bosso ha firmato le colonne sonore di “Io Non Ho Paura”, “Quo Vadis Baby?” e il recentissimo ‘Il Ragazzo Invisibile’. Nel 2015 l’Università Alma Mater di Bologna ha scelto il maestro Bosso per comporre e dirigere una composizione dedicata alla Magna Charta dell’Università che contiene il primo inno ufficiale di questa importante istituzione mondiale. Quali altre scoperte ci regalerà il festival di Sanremo? Così, a occhio e croce penso che a breve riscopriranno un pianista francese, purtroppo scomparso, di nome Michel Petrucciani. Uno dei più apprezzati pianisti jazz del mondo che ha lavorato con grandi musicisti del passato, uno per tutti Dizzy Gillespie. Petrucciani era affetto fin dalla nascita, da una malattia genetica molto grave, l’osteogenesi imperfetta meglio nota come “Sindrome delle ossa di cristallo” che ne ha limitato lo sviluppo fisico ma non le grandi capacità artistiche. Oppure sentiremo parlare la Rai in prima serata di Stephen Hawking, fisico, matematico, cosmologo e astrofisico. Uno dei più importanti fisici teorici del mondo impegnato nello studio dei buchi neri e alla ricerca delle leggi che regolano le origini dell’universo. Hawking è immobilizzato fin dagli anni ottanta a causa di una grave malattia del motoneurone (atrofia muscolare progressiva). Vive e lavora su una sedia a rotelle e riesce a comunicare soltanto con l’ausilio di un sintetizzatore vocale. La sua disabilità non gli ha impedito di occupare per trent’anni la cattedra di matematica che fu di Isac Newton all’Università di Cambridge, di essere l’attuale direttore del Dipartimento di matematica applicata e fisico teorica della medesima università. Per chi opera nel “mondo dell’handycap” constatare che individui affetti da gravi limitazioni fisiche o psichiche possano sviluppare competenze e abilità nei più svariati campi del sapere non rappresenta certo una novità. Per i comuni mortali, per la maggioranza degli individui che compongono la nostra società, sollevare il velo che finora ha nascosto ai nostri occhi la realtà dell’handicap rappresenta sicuramente un passo in avanti, un momento di crescita. Forse accantoneremo determinati atteggiamenti di “sensibilità” pietistica superficiale. La faremo finita con l’ipocrisia di definire “diversamente abili” tutti coloro che vivono una condizione di handicap. Cominceremo allora a comprendere che diversamente abili lo siamo tutti e ciascuno di noi e che la diversità dei componenti la specie umana, non è un limite sulla base del quale discriminare, isolare o talvolta perfino deridere gli altri, bensì un valore da conoscere, valorizzare ed esaltare.

Quale sviluppo per la Sardegna?

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di Vanni Tola
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Chimica verde – Proviamo a parlarne senza pregiudizi?

Recentemente, mentre erano in corso a Roma incontri ad alto livello per esaminare il futuro della chimica italiana e dei progetti della chimica verde, due interventi sulla pagina “lettere e commenti “ del quotidiano La Nuova Sardegna ci consentono di ritornare sul tema della chimica verde del quale ci siamo ampiamente occupati nel nostro giornale. La probabile cessione della società Versalis da parte dell’Eni a una società d’affari poco interessata alla riconversione del petrolchimico di Porto Torres potrebbe rappresentare la fine del progetto Chimica Verde. Mobilitazione dei lavoratori chimici in tutta Italia e si riapre la discussione sul futuro della chimica. Parla Paola Pilisio del Comitato No Chimica Verde/No Inceneritore. “Bene abbiamo fatto a chiamarci No Chimica Verde/No Inceneritore e male fa ammetterlo ma avevamo ragione sia sulla chimica verde che sull’inceneritore. Che questo progetto fosse un’idea balzana, cancerogena e fallimentare, lo abbiamo detto all’indomani del protocollo d’intesa siglato a Roma nel Maggio 2011”. La farsa Matrìca e quello che conteneva è servita solo all’Eni per continuare a evitare le bonifiche. Il futuro di Portotorres non è nella chimica”. Ed ancora: “La chimica verde non è mai esistita nei programmi dell’Eni, cardi, mater-bio, tutta propaganda per i beoti, il vero progetto, di verde e di bio, non aveva neanche il nome. La centrale termoelettrica di Versalis è la stessa che avrebbe dovuto alimentare la centrale a biomasse di Matrìca, prima a Fok, derivato della lavorazione dell’etilene, residuo tossico e altamente cancerogeno contro il quale i nostri amministratori si sono battuti, ottenendo alla fine che fosse alimentato solo a Gpl. Gli stessi che alle nostre spalle e lo stesso giorno, il 17 gennaio del 2014 mentre obbligavano Matrìca all’uso esclusivo del Gpl per la centrale termoelettrica, rinominata in questo caso “caldaia di riserva”, davano parere favorevole al rilascio di un Aia ( Autorizzazione integrata ambientale) concessa dal Ministero dell’Ambiente che permette alla Versalis di bruciare 50.000 tonnellate di Fok e 90.000 di Btz l’anno per 7 anni, nella centrale termoelettrica. Ora, che la chiamino caldaia di riserva per Matrìca o centrale termoelettrica per Versalis, il punto non cambia perché l’impianto è lo stesso, cioè un inceneritore per rifiuti speciali tossico nocivi, che di verde non ha proprio niente. L’Eni sta facendo molti soldi bruciando a Portotorres, in maniera illegale, i residui altamente tossici della lavorazione dell’etilene”. Fin qui le posizioni del Comitato No Chimica Verde/No Inceneritore. A stretto giro di posta risponde, nella citata pagina della Nuova Sardegna, Marco Dettori, lavoratore chimico di Porto Torres, il quale entrando nel merito delle questione esposte dalla rappresentante del Comitato anti Chimica Verde afferma: “Il fatto più assurdo è che si confonda la centrale di riserva alla centrale a biomasse (che comunque non verrà costruita) con la centrale elettrica di Versalis, sostenendo che quest’ultima sia anche un inceneritore, il quale brucerebbe “residui speciali tossico nocivi”. Nel protocollo sulla chimica verde, la caldaia di riserva non equivale all’odierna centrale elettrica di Versalis; questo è riscontrabile dalle carte e dai progetti, depositati e resi pubblici. Le due centrali, a progetto, risultavano ben distinte ed avrebbero svolto compiti totalmente differenti, è utile precisare che la centrale a biomasse avrebbe dovuto bruciare solo ed esclusivamente gli scarti di produzione degli impianti di chimica verde (si parla di scarti vegetali). Il Fok, rispetto ai comuni oli combustibili, ha la caratteristica di non avere alcun contenuto di zolfo e di metalli pesanti, a differenza dei Btz ed Atz (basso e alto tenore di zolfo). Ora, considerando che il Fok sia il miglior olio combustibile in circolazione, che la centrale a biomasse non verrà costruita e di conseguenza neanche la caldaia di riserva, quel’è l’utilità di parlare di problemi che non esistono?” A parere dell’operaio chimico analisi quali quelle prodotte dal Comitato No Chimica Verde servono soltanto a gettare fango sulle politiche societarie che tendono alla dismissione di asset strategici della chimica nazionale. Si fa disinformazione e ci si comporta da incoerenti parlando di inquinamento e di tumori e ignorando o fingendo di ignorare che gran parte dei prodotti che oggi utilizziamo nella vita di tutti i giorni, nelle nostre auto ( olii, combustibili, parti meccaniche, componenti degli pneumatici, freni frizioni) vengono prodotti con la chimica tradizionale e i derivati del petrolio mentre potrebbero essere ottenuti con prodotti di origine vegetale, con residui biodegradabili e compostabili. “Noi lavoratori crediamo fermamente nel progetto della chimica verde e della chimica sostenibile. Siamo sicuri di possedere sul territorio un bagaglio di conoscenze tecniche e scientifiche invidiabili in tutto il mondo. Le produzioni di acido azelaico e pelargonico sono di eccelsa qualità e per questo motivo riteniamo indispensabile che vengano confermati gli investimenti sul progetto. La chimica verde è un’opportunità unica al mondo e sarebbe inaccettabile non proseguire su questo percorso di riconversione industriale”. Riusciremo mai in Sardegna ad analizzare problemi di fondamentale importanza per il futuro dell’isola evitando analisi fortemente condizionate da pregiudizi e posizioni estremizzate? O continueremo a rincorrere favole metropolitane. C’è ancora oggi chi pensa che qualcuno (brutto e cattivo) voglia seminare cardi da Macomer in su fino a Portotorres e canna comune da Portotorres a Cagliari per prodotti di bioraffineria. C’è chi pensa che la chimica e la biochimica, insieme alla bioingegneria rappresentino il male assoluto che l’Isola deve evitare a prescindere. C’è chi pensa che le energie alternative a quelle prodotte con petrolio e carbone siano sempre e comunque qualcosa di minaccioso e oscuro che produce soltanto operazioni di malaffare. Proviamo a riflettere sull’argomento senza pregiudizi, forse comprenderemo meglio ciò che ci accade intorno.

Veleni a Ottana e in tutta la Sardegna… un problema da scavare

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di Vanni Tola

Veleni a Ottana VT_2BLIZ DEI CARABINIERI A OTTANA
SCOPERTE DISCARICHE INTERRATE DI RIFIUTI INDUSTRIALI ALTAMENTE TOSSICI E INQUINANTI
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Ottana – Un blitz dei Carabinieri nella zona industriale ha portato alla luce discariche interrate contenenti materiali altamente tossici e inquinanti. L’operazione, condotta dai Carabinieri del Nucleo operativo di Ottana e del Nucleo operativo ecologico di Sassari, ha interessato alcuni terreni intorno all’area Pip (Piani per l’Insediamento Produttivo) nell’area industriale di Ottana e si è conclusa con la messa sotto sequestro delle aree oggetto dell’intervento. Seguiranno ulteriori accertamenti di natura tecnica, chimica e biologica per valutare l’entità del fenomeno, le cause e le responsabilità e per individuare i necessari interventi di bonifica del territorio. La vicinanza dell’area inquinata al paese e al fiume Tirso rende particolarmente allarmante la vicenda che accresce ulteriormente le preoccupazioni della popolazione Ottanese da tempo mobilitata per la tutela della salute pubblica e il recupero della integrità ambientale. Una vicenda, questa di Ottana, molto simile a quella verificatasi qualche anno fa nell’area di “Minciaredda” in prossimità del sito petrolchimico di Portotorres. Anche in quei luoghi, manager senza scrupoli e incuranti delle norme vigenti in materia di smaltimento dei rifiuti industriali, del buonsenso e della salute dalla popolazione, hanno prodotto una serie di “cimiteri” dei rifiuti che soltanto ora cominciano a vedere la luce. Il sospetto che aree inquinate analoghe a quelle individuate a Ottana e Portotorres siano molte di più di quanto finora scoperto è più che legittimo.

Svegliati Italia, svegliati Sardegna, svegliati… E’ ora di essere civili

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di Vanni Tola

SVEGLIATI SASSARI. E’ ORA DI ESSERE CIVILI

Grande partecipazione in Piazza d’Italia alla manifestazione a sostegno delle legge per regolamentare le unioni civili. Manifestazione festosa, con una notevole presenza di giovani. Presenti, tra gli altri, il Sindaco di Sassari Sanna e il Presidente del Consiglio regionale Ganau e numerose associazioni della società civile.
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SVEGLIATI NUORO. E’ ORA DI ESSERE CIVILI
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SVEGLIATI CAGLIARI. E’ ORA DI ESSERE CIVILI
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…SVEGLIATI SARDEGNA!
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BalducciRIFLESSIONI PROFONDE E PERTINENTI

Cos’è la “famiglia cristiana”?
Svelare le mistificazioni e le menzogne
Una profonda riflessione di Padre Ernesto Balducci risalente al 1974 in occasione del Referendum sul divorzio, ripresa da SardegnaSoprattutto.

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Chimica verde in Sardegna. Dal fallimento annunciato del progetto Matrìca l’ennesima “cattedrale nel deserto”? Le responsabilità di Eni

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sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola

Grandi manovre intorno al piano per la chimica verde – Il disimpegno dell’Eni con la cessione di Versalis. Mobilitazione operaia per la difesa dell’occupazione a Portotorres. Sciopero nazionale di otto ore il 20 Gennaio.

L’impianto di Matrìca per la trasformazione del vecchio polo petrolchimico di Portotorres in un moderno impianto per la chimica verde è ancora fresco di vernice e di recente inaugurazione quando si apprende che l’Eni, capofila del progetto, sta per cedere il 70 % del capitale della società Versalis – uno dei pilastri portanti del progetto Matrìca – Chimica Verde – a un fondo di investimenti internazionale. Operazione che, se realizzata, potrebbe significare la fine del progetto Matrìca, l’annullamento dei finanziamenti programmati, il mancato completamento degli impianti, il licenziamento per gli operai attualmente impiegati nello stabilimento di Portotorres. Il progetto di riconversione industriale del vecchio polo petrolchimico concordato nel non lontano giugno del 2011 per il quale sono stati finora investiti e spesi 200 milioni di euro, diventerebbe l’ennesima incompiuta nell’area industriale del nord Sardegna. A monte ci sarebbe la scelta di Eni, comune a molte altre multinazionali del settore petrolifero, di svincolarsi dal comparto per destinare le proprie risorse alle attività energetiche, alla produzione e distribuzione di energia. Ad essere messi in discussione quindi sarebbero l’insieme dei progetti per la riconversione e il rilancio della chimica nazionale, dei quali il progetto Matrìca è una componente, e neppure quella più importante. Una questione nazionale quindi che sta determinando la mobilitazione operaia anche in altre regioni. Cosa possa aver indotto il colosso chimico e rivedere cosi drasticamente i propri progetti per la chimica e quello per la chimica verde in Sardegna non è facile comprenderlo, siamo soltanto nel campo delle ipotesi. Sicuramente c’entra la congiuntura internazionale relativa al crollo del prezzo del petrolio che sta rivoluzionando le politiche energetiche ed il mercato internazionale del greggio e orientando le multinazionali del petrolio a rivedere le proprie strategie di investimento. Nel caso specifico del progetto Matrìca potrebbe aver avuto un ruolo anche il sostanziale fallimento di quella parte del progetto relativa al reperimento della materia prima in loco. Si ipotizzava la messa a coltura con il cardo di qualche migliaio di Ha di terreni incolti (senza nulla togliere alle aree già destinate ad altro utilizzo agricolo). In realtà a tutt’oggi non si è andati oltre i 550 Ha di messa a coltura di cardo (fonte Coldiretti) ed é noto che l’approvvigionamento di materia prima in aree lontane dall’impianto o mediante importazione non sarebbe assolutamente conveniente. Un fallimento nella comunicazione e nell’informazione ai lavoratori delle campagne sui quali sarebbe necessaria una maggiore riflessione. Ha certamente inciso la campagna allarmistica sul “pericolo” della monocoltura del cardo in merito alla quale sono state dette poche verità e molte sciocchezze fondate sostanzialmente su pregiudizi di una parte della nostra società. Non si è riusciti a far comprendere ai coltivatori che nessuno chiedeva loro di abbandonare i lavori agricoli tradizionali per sostituirli con la coltivazione del cardo. Nessuno lo ha mai ipotizzato. Si trattava invece di praticare, in aggiunta alle coltivazioni ordinarie, degli interventi colturali nei terreni incolti e nelle aree abbandonate per favorirne il recupero produttivo o fornire materia prima per l’impianto della chimica verde. Neppure le garanzie e gli incentivi finanziari che stavano alla base dell’accordo tra Matrìca e le organizzazioni agricole hanno scalfito luoghi comuni e modalità produttive consolidate e poco inclini a confrontarsi con il nuovo, con i cambiamenti di mentalità e di organizzazione produttiva. Ma anche tale considerazione non ci illumina più di tanto sulle cause che hanno indotto Eni e la sua creatura Matrìca all’abbandono del progetto chimica verde. Non dimentichiamo che si trattava di realizzare, su quello che rimaneva del vecchio petrolchimico un polo di rilevanza internazionale nella produzione di materie plastiche di origine vegetale contemporaneamente all’avvio delle bonifiche dell’intera area industriale e la promozione di nuovi insediamenti industriali per le seconde lavorazioni della materia prima che Matrìca avrebbe dovuto fornire. Un progetto di ampio respiro che non può certo essere accantonato dall’oggi al domani. Per dovere di cronaca pensiamo di dover dare conto anche di una ipotesi particolare sul voltafaccia dell’Eni che circola tra i vecchi lavoratori del petrolchimico, quegli operai che hanno vissuto l’intera esperienza petrolchimica del polo industriale. E’ soltanto una ipotesi tutta da verificare, forse anche un po’ fantasiosa, probabilmente dettata da una certa abitudine a “pensare male” dei potentati economici quali l’Eni. La riferiamo, cosi come l’abbiamo appresa. L’insediamento petrolchimico della Sir e delle sue consociate nell’area industriale di Portotorres ha determinato un inquinamento ambientale e dei territori dell’insediamento di dimensioni quasi incalcolabili. Studi scientifici accreditati parlano di livelli di inquinamento superiori perfino a quelli raggiunti a Taranto. Evidentemente si rende necessario un piano di bonifiche di grandi dimensioni e con costi elevatissimi nella speranza di poter ripristinare, almeno in parte, le condizioni ambientali dell’intero polo industriale. La questione delle bonifiche, o meglio degli enormi costi che una seria bonifica dell’area del petrolchimico comporterebbe, diventa centrale quindi non solo per la salute della popolazione e il recupero dell’integrità ambientale perduta ma anche, e soprattutto dal punto di vista dell’Eni, per gli ingenti capitali da investire. Nelle aree industriali dismesse l’intervento di bonifica deve essere integrale e comporta, come dicevamo, costi molto elevati. Nell’area della vecchia Sir, nel cuore dell’impianto petrolchimico che fu di Rovelli, una delle aree più inquinate in assoluto, non si parla di area dismessa e abbandonata bensì, grazie alla genialata dell’impianto per la chimica verde, di intervento di ristrutturazione industriale. Gli obblighi e i vincoli di bonifica, in questo caso sono molto inferiori. In pratica, afferma la citata “voce di popolo”, costruendo un nuovo impianto (Matrìca) sulle rovine del vecchio petrolchimico, l’Eni avrebbe evitato le costosissime operazioni di bonifica che sarebbe stato necessario affrontare nell’area. Il nuovo e scintillante impianto petrolchimico verde appena inaugurato avrebbe di fatto seppellito l’inglorioso passato del vecchio polo petrolchimico e, con esso, l’inquinamento straordinario ed eccezionale che l’area nasconderebbe. Certo per farlo Matrìca ha speso ben 200 milioni di euro, ma quanto sarebbe costata la bonifica integrale del sito? La cessione di Versalis affermano gli esperti, sarebbe più che sufficiente a far recuperare le somme investite e alla Sardegna resterebbe l’ennesima “cattedrale nel deserto” da gestire. Fantasie? Forse! Ma a costo di apparire ripetitivi non ci stancheremo mai di citare la solita frase attribuita a Giulio Andreotti: “a pensare male si commette peccato, ma spesso ci si azzecca”.

Sinnai. Una comunità pastorale tra il secondo ed il terzo millennio

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ape-innovativaCome anticipato ieri pubblichiamo un saggio di Aldo Cappai su Sinnai, di cui è concittadino. Lo facciamo non solo per il pregio delle informazioni e analisi contenute, che hanno valore in sé e per le considerazioni che fa l’Autore nell’introduzione, ma anche per contribuire alla creazione della “città metropolitana di Cagliari”, che ha senso solo se realizzata con e per la valorizzazione di tutte le realtà che la dovranno comporre, della loro identità, della loro storia, del riconoscimento del ruolo e dell’importanza… nell’area vasta e in Sardegna (la macroarea Isola di Sardegna, come la chiama Aldo).
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Sinnai. Una comunità pastorale tra il secondo ed il terzo millennio
di Aldo Cappai
Caooai 1 Introduzione
Questo lavoro vuole essere un contributo personale alla ricerca su Sinnai e la sua realtà socio­economica e culturale, nell’ambito del filone di studi definiti microstoria, incentrati sull’analisi dell’evolversi dei processi storici nelle realtà comunitarie locali al di dentro della macroarea Isola di Sardegna.
La riflessione vuole evidenziare, in primis, come sino alla metà del secolo ventesimo i processi di sviluppo siano stati, nella comunità Sinnaese ed in
quelle delle altre realtà sarde agropastorali, con particolare riferimento a quelle dell’interno, essenzialmente caratterizzati da immobilismo, da stagnazioni o, meglio, da sedimentazioni millenarie. In questo contesto verrà focalizzato il ruolo sociale della figura economica dominante, il pastore sardo, il peculiare sviluppo della comunità sinnaese ed uno spaccato della vita sarda al 1863, appena due anni dopo l’unità d’Italia. Si tratterà, quindi, dei forti processi di crescita che hanno trasformato radicalmente la nostra comunità negli anni seguiti al secondo conflitto mondiale, ponendo infine le basi per stimolare un nuovo processo di riflessione su una società frutto della globalizzazione dei processi di produzione e di scambi sviluppatisi in maniera così veloce ed improvvisa da indurre un attento pensatore contemporaneo a vederla come vita liquida.
Per la stesura della relazione odierna mi sono state d’ausilio alcune pubblicazioni di nostri concittadini che ho trovato raccolte nei miei scaffali, ancora non riordinati.

- Figura 1 foto del menhir, pubblicata nel volume Sa festa de tunditroxi, commedia in lingua dardo di Don Giovanni Cadeddu. La pietra fitta è simbolo fallico e la V nella parte alta riandai alla sessualità femminile.

I millenni bui della società sarda
I Menhir rappresentano la divinità dei primi popoli che hanno vissuto in Sardegna: una divinità contenente in sé il principio dell’Essere, sia maschile che femminile. Sono simbolo di un periodo che, ab immemore, e sino alla prima metà del secolo scorso, ha caratterizzato la storia della nostra comunità nella sua sostanziale stabilità di mezzi di produzione, di attività economiche, di cultura e di rapporti sociali.
Tracce salienti e significative della rappresentazione della divinità per mezzo di elementi litici e lignei hanno caratterizzato anche le antiche civiltà del medio­oriente e quelle mediterranee che si basavano sulla caccia e sulla pastorizia, prima, e sulla agricoltura, poi.
Ma, mentre già da diversi secoli prima di Cristo il popolo ebraico viveva l’esperienza religiosa del monoteismo, in Sardegna il rapporto diretto tra elementi naturali e divinità perdura: ancora nella seconda metà del VI secolo dopo Cristo, il Papa Gregorio Magno definisce i Barbaricini come uomini, che «ut insensata animalia vivant, Deum verum nesciant, ligna et lapides adorent»[1] (vivono come animali privi di intelligenza, senza riconoscere il vero Dio ed anzi rappresentandolo nelle pietre e negli alberi).
Il dominio delle diverse civiltà che nei secoli hanno colonizzato le popolazioni sarde ha comportato, sostanzialmente, l’esclusione radicale delle stesse dai processi di sviluppo economico, politico, sociale e culturale: le attività produttive nei settori dell’allevamento, caratterizzati dalla pastorizia allo stato brado e transumante, quelle del settore agricolo, ancora retto da strumenti di produzione e tecniche colturali primitive, i diversi ed insopportabili prelievi imposti dai diversi dominatori accompagnati dall’assenza di adeguate vie di comunicazione e dalle ferree regole di ordine pubblico che costringevano le popolazioni ad una forzata immobilità, hanno comportato una solidificazione delle diverse realtà, specie culturali, i cui contenuti e valori venivano ancora elaborati, trasmessi e conservati in modo quasi esclusivamente orale.

cappai2Figura 2: Lazzaro Perra di Sinnai e il suo giogo di buoi con aratro in legno, 1920.
È il caso delle testimonianze musicali e poetiche che possiamo ritrovare nell’utilizzo, ancora oggi presente, delle launeddas, della poesia estemporanea, dei canti religiosi, delle pregadorias e delle filastrocche.
Le città vivevano una vita radicalmente isolata e impermeabile alla campagna che ad esse (ed ai diversi dominatori che vi si sono insediati), era asservita. Bisogna comunque ricordare che Sinnai rappresenta, per certi aspetti un’ eccezione (che merita di essere approfondita), dovuta alla permanenza o alla frequentazione nel tempo di diversi esponenti cittadini delle classi nobiliari e borghesi cagliaritane, per motivi legati al suo clima salubre (dovuto fondamentalmente alla presenza di acque salutari ed alla scarsa presenza delle zanzare, portatrici della malaria).

Uno spaccato dell’isola al 1863: la relazione del prefetto di Cagliari Carlo Torre al Ministro .
Uno spaccato dell’isola al 1863, si trova nella relazione del prefetto di Cagliari Carlo Torre al Ministro dell’Interno Ubaldino Peruzzi.
«La relazione trae spunto dalla ridotta leva sarda, a causa dell’alto numero di rivedibili e di “scartati”. Il Prefetto Torre, preciso funzionario, non si accontentava di indicare sommariamente le cifre e a descrivere per sommi capi le cause, ma tentò di spiegare i motivi della cattiva salute, di quel “penoso spettacolo sulla struttura e condizione fisiologica” dei giovani sardi. Di più, egli descrisse le generali condizioni degli abitanti dell’isola e i loro costumi “barbari”. Il suo punto di vista, in alcuni tratti, somiglia a quello di un colonizzatore: si chiedeva, infatti, se, come era uso degli antichi romani, non fosse auspicabile la deportazione di detenuti in Sardegna, che avrebbe comportato il doppio vantaggio di “purgar la penisola e rifornir l’isola” di un maggiore incremento demografico e di una più solida e robusta costituzione fisica. Anche il clima e il territorio venivano chiamati in causa: analogamente al caso dell’agro romano, si riteneva infatti che molte delle malattie a cui gli abitanti dell’isola erano esposti, dipendessero da elementi che la medicina, solo dopo molti decenni, avrebbe depennato come cause di malattie. Addirittura il prefetto riteneva che anche i fichi d’india fossero frutti “di provata malsania”».

Il prioritario interesse dello Stato Unitario alla leva militare
A seguito del commento sopra riportato e ritrovato nel sito del Ministero degli Interni alcuni anni fa, riprendo una selezione delle dirette considerazioni scritte dal Prefetto Torre:
«E per entrare in materia ( verifica iscritti alla leva militare), lo scrivente ha dunque l’onore di esporre a codesto Ministero che il totale degli iscritti ascendeva a N. 4282, e che la precisa metà di questi, computati i rivedibili (perché avviene, massime in Sardegna, che rade volte un rivedibile sia negli anni o nell’anno appresso trovato buono) sono stati riformati e trovati rivedibili al N. 2140. E per venire ai motivi delle riforme e rivedibilità, si desume dagli elenchi avuti che i riformati per difetto di statura ascendono al N. 878, ossia a poco meno di un quarto della somma totale degli Inscritti, che i riformati per malattie diverse salgono a N. 793, ossia a più che la quinta parte del totale, e che i rivedibili sono stati N. 649, ossia il nono del complesso».
cappai 3 Figura 3 foto di due panificatrici di Sinnai negli anni ’50. Tratta dall’archivio digitale della Regione Autonoma della Sardegna.

L’alimentazione dei Sardi
Tra le cause, il Prefetto Garibaldino ricorda tra l’altro che «il cibo, quello del basso popolo, che è la gran generalità, è piuttosto ferino che umano, perché, massime nei luoghi montuosi, in difetto di grani, perché anche non ne seminano, si nutrono in inverno con erbe crude e scondite, o con carni di pecora, capra o bue appena rosolate sulle bragie e ancora sanguinolenti, ed in estate vivono per intere settimane di semplici frutti, come fave verdi, fichi, pesche, uva, pere, prugne, ecc. e, quel che è peggio, inghiottiscono con barbara avidità una quantità enorme del frutto di un Cactus detto Fico d’India, e qui appellato Da Figu Morisca, frutto di provata malsania ma che è facile ad aversi per nulla, perché nasce e matura spontaneo per le colline e per le sponde dei campi. Da ciò diarree, dissenterie, coliche, febbri, e le madri che allattano e che porgono ai neonati una sostanza formata con simili perniciosi ingredienti, inoculano, senza avvedersene, nei loro bambini, per lo più la morte, e in quei pochi che sopravvivono innestano la cachessia, la denutrizione, il marasmo».
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