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Cagliari e sua area vasta candidata “Territorio Intelligente”
Importante occasione di dibattito attraverso la presentazione di un libro di Maria Teresa Cometto e Alessandro Piol
Sabato 16 marzo a Cagliari al MEM Mediateca del Mediterraneo ( Via Mameli 164) alle ore 16.30 verrà presentato il libro “TECH AND THE CITY” di Guerini e Associati, scritto da Maria Teresa Cometto, giornalista con oltre 25 anni di esperienza che dal 2000 vive a New York scrivendo di economia e high-tech per il Corriere della Sera, e Alessandro Piol, venture capitalist nella Grande Mela con oltre 30 anni di esperienza nel settore tecnologico.
Progetto chimica verde: la trasparenza è la prima garanzia per l’ambiente e la salute
Riprendiamo da La Nuova Sardegna di domenica 24 FEBBRAIO 2013 un interessante contributo di Sfefano Deliperi del “Gruppo d’intervento giuridico onlus”, che si pone nella stessa linea dei servizi di Aladinews, curati da Vanni Tola. In particolare l’articolo riprende l’interrogativo in merito alla possibilità che si usi come combustibile una parte dei rifiuti urbani, con tutti i problemi che ne conseguirebbero. Presto altri approfondimenti di Aladinews sull’argomento
Chimica verde e salute. Occorre trasparenza
di STEFANO DELIPERI
Il progetto di Porto Torres attende l’ok per la valutazione ambientale Tanti i punti critici, anche sul piano sociale ed economico.
XI Conferenza Internazionale su Distrofia Muscolare Duchenne e Becker
Segui la diretta web su http://stelnet.com/parentproject/
Fermare La Duchenne
Mentre continuano i lavori della conferenza, la campagna sms è ancora in corso. C’è tempo fino a domani per sostenere la ricerca contro la distrofia di Duchenne con un SMS al 45503!
Volete saperne di più sul crowdfunding? Ci spiega tutto o quasi la Consob
Open hearing “Indagine conoscitiva sul crowdfunding”, Roma 1° febbraio 2013
- Intervento della dott.ssa Daniela Castrataro
- Intervento della dott.ssa Maria Mazzarella
- Intervento della Divisione Strategie Regolamentari
Consulta il sito della Consob - Il dibattito sull’argomento sul sito di Gianluca Dettori
Intanto si segnala che il convegno sulle start up innovative organizzato dalla Camera di Commercio e dal Centro Studi per le relazioni industriali è spostato al 15 marzo p.v.
GLI OCCHIALI di PIERO MARCIALIS
La notizia di oggi è che la gente fa la fila negli uffici per avere il rimborso dell’Imu. A questo punto alcune domande si pongono.
- Diffusione di false notizie atte a turbare l’ordine pubblico, non è un reato?
- Questi che si mettono in fila sono capaci di intendere e di volere? e hanno diritto di votare?
- Ho pietà per loro, ma devono essere i loro rappresentanti a fare leggi che obbligano tutti?
La democrazia è il trionfo della follia?
Per contribuire, nel nostro piccolo, alla libertà dell’informazione pubblichiamo il documento dei redattori de L’Unione Sarda, censurato dalla direzione
Aladinews per la libertà dell’informazione
(Fonte sito vitobiolchini) L’Unione Sarda censura… se stessa! Ecco il documento dei giornalisti contro Zuncheddu, mai apparso sul quotidiano!
by vitobiolchini
Questo è un documento sindacale che l’assemblea dei giornalisti dell’Unione Sarda ha presentato al direttore del quotidiano lo scorso 6 febbraio, chiedendone la pubblicazione. E’ una riflessione sui motivi della crisi che ha investito anche il giornale cagliaritano e che per i giornalisti è riconducibile anche alle scelte operate dall’editore, Sergio Zuncheddu. Voi avete visto qualcosa? Così è intervenuto il sindacato dei giornalisti (la Fnsi), che ha rinnovato al giornale l’invito a pubblicare il documento sindacale. Di fronte alla negazione di questo elementare principio, il sindacato si è visto costretto a rendere pubblico il documento. Che io vi propongo integralmente. L’Unione Sarda, uno dei pochi giornali al mondo che censura se stesso.
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L’assemblea dei giornalisti dell’Unione Sarda ritiene inaccettabile e respinge l’insistenza dell’azienda sulle ipotesi di azioni legali contro i rappresentanti sindacali della redazione. Dopo la lettera inviata ai colleghi a dicembre, cui seguì uno sciopero di protesta e solidarietà, la società editrice pubblicò una nota in cui minimizzava il senso dell’iniziativa, affermando di “aver solo invitato i sindacalisti interni… ad avere rispetto della testata L’Unione Sarda”.
LA SEDIA di VANNI TOLA
La chimica verde, una fiaba per adulti. Aladinews seguirà l’evoluzione del progetto e il dibattito in corso con altri interventi di approfondimento. In fondo, se è una fiaba, chi meglio di Aladino? Leggi l’Editoriale
LA SEDIA di VANNI TOLA. La chimica verde, una fiaba per adulti. Aladinews seguirà l’evoluzione del progetto e il dibattito in corso con altri interventi di approfondimento. In fondo, se è una fiaba, chi meglio di Aladino?
di Vanni Tola
L’idea è semplicemente geniale, coniugare la chimica con l’agricoltura per realizzare prodotti chimici biodegradabili da vegetali e con processi produttivi non inquinanti. Un grande progetto di sistema che rilancerebbe nel mondo l’industria petrolchimica tradizionale ora in crisi. Le materie prime le fornirebbe l’agricoltura con prodotti quali il girasole, il mais o il cardo selvatico, ma sarebbero utilizzabili anche gli scarti della pastorizia o della pesca, opportunamente trattati. Queste materie prime daranno origine a polimeri biodegradabili dai quali si potranno realizzare una miriade di oggetti di uso comune con un impatto ambientale ridottissimo. La coltivazione delle materie prime avverrebbe recuperando a uso produttivo i terreni degradati e marginali generalmente incolti mentre gli impianti sarebbero realizzati con la riconversione dei vecchi stabilimenti petrolchimici. La Sardegna ridiventerebbe quindi uno dei nuovi poli di sviluppo per l’industria petrolchimica nazionale che, questa sarà di chimica verde. Una bella storia, quasi una fiaba accolta con interesse e speranza anche da coloro che negli ultimi cinquanta anni sono stati prima incantati e poi delusi dalla fiaba dei Piani di Rinascita e del Piano per la Pastorizia. La protagonista assoluta della fiaba si chiama Matrìca, una joint tra Polimeri Europa del gruppo Eni e Novamont, l’azienda ex Montedison oggi leader mondiale nelle bio-plastiche. Matrìca è nata in Sardegna con l’obiettivo di trasformare il petrolchimico Eni di Porto Torres in uno dei più grandi poli industriali di chimica verde a livello internazionale. Nel vecchio polo petrolchimico di Portotorres, adeguatamente bonificato e riconvertito, dovrebbe produrre 350mila tonnellate all’anno di prodotti biodegradabili di origine vegetale, partendo dalle coltivazioni locali, in questo caso il cardo, ricavate mettendo a coltura i terreni marginali. L’investimento complessivo è di tutto rispetto, un miliardo. 500 milioni, a carico del gruppo Eni, servirebbero per la bonifica dell’area e 300 milioni per la realizzazione da parte di EniPower di una centrale a biomassa che utilizzerà i residui vegetali delle lavorazioni agricole. A regime si ipotizza la costruzione di sette nuovi impianti – con una spesa di 250 milioni che entrerebbero in funzione tra il 2014 e il 2016. In termini di occupazione la realizzazione del progetto consentirebbe di salvare gli attuali 550 posti di lavoro dell’industria chimica che diventerebbero 685 a completamento dell’investimento. Questa la situazione di partenza. La discussione è aperta, molte le opinioni differenti e contrastanti a confronto. Giusto per elencare alcune questioni aperte cominciamo con l’alimentazione della centrale a biomasse, il cuore del progetto. Abbiamo sufficiente disponibilità di materia prima per alimentare la centrale con prodotti vegetali ricavati dalle terre marginali messe a coltura e con i residui delle lavorazioni agricole? E qualora questa condizione non si realizzasse quali garanzie ci sono che la centrale, una volta realizzata, non si trasformi in un inceneritore per una parte consistente dei rifiuti solidi urbani? Aladinews seguirà l’evoluzione del progetto e il dibattito in corso con altri interventi di approfondimento. In fondo, se è una fiaba, chi meglio di Aladino?
Il piano inclinato
Non sembra vero. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro si fonda sulla base del principio secondo il quale “il lavoro non è una merce”. Sta scritto nel preambolo della sua Carta istitutiva. E la Oit non è mica una succursale della Internazionale socialista, è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite dell’Onu, a base tripartita, composto da rappresentanti dei governi, dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Un’idea condivisa, dunque, un’idea nobile. Scaturita dalle esperienze di secoli, dalle lotte di chi ha rivendicato, per noi tutti, il diritto ad una vita dignitosa di chi ha sfidato i cannoni della repressione (come racconta Bertold Brecht nel suo “i giorni della Comune”) proclamando che “da bestie vivere, peggio che morire è!”
Non è solo filosofia. L’Europa ha saputo costruire una società dove davvero si è incominciato a dar valore alla dignità del lavoro. Anche lo Stato italiano ha fatto la sua parte, sia con le leggi che rendono dignitoso il lavoro, sia con le politiche che si ripromettevano di dare lavoro a tutti. Non soltanto per la pura sopravvivenza materiale. Perché chi non lavora non ha, ma soprattutto non è.
La caratteristica di una merce, in economia, è quella di poter essere oggetto di transazioni, Il prezzo di una merce viene fissato dal mercato, attraverso il meccanismo dell’incontro della domanda e dell’offerta.
Se il lavoro non è merce, se non fosse merce, dovrebbe essere esentato da questa legge crudele. Perché è una legge che non tiene conto delle condizioni dei contraenti. E perché il cosiddetto prezzo di mercato, in realtà è solo un’astrazione, il prezzo, quello vero, è quello che viene stabilito volta per volta da parte di contraenti in carne ed ossa. Ed è giusto, quel prezzo, anche quando il bisognoso vende per quattro soldi i tesori di famiglia magari perché è rimasto senza lavoro ed ha urgente necessità di qualche spicciolo per arrivare al giorno seguente.
Per tempo, il liberismo, si è pasciuto dell’accattivante principio secondo cui “qui dit contractuel dit juste» : ciò che viene liberamene contrattato è naturalmente giusto. Consentendo agli Stati di limitarsi a garantire la libertà contrattuale, fingendo di non accorgersi che la diversa forza dei due contranti fa si che l’apparente uguaglianza formale serva solo al predominio del più forte ed all’assoggettamento del debole, cioè proprio alla ineguaglianza.
Ed è per questo che il Diritto del lavoro, si è affranco da questo “diritto comune dei contratti”, che, in definitiva, consentiva lo sfruttamento dei lavoratori, apparentemente contraenti, ma in realtà costretti a prendere o lasciare, per diventare una disciplina speciale, un diritto speciale ispirato al principio per cui i due contraenti non sono affatto uguali.
Persino il fascismo si ispirava a questo principio, considerando il lavoratore un contraente debole e, quindi, meritevole di una particolare protezione, anche legislativa, tale da compensare il suo svantaggio.
La Costituzione italiana è andata molto oltre. Perché i padri costituenti, pur prendendo atto di quella situazione di svantaggio, hanno dettato un programma di superamento di quella condizione di debolezza, hanno affidato alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitando “di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana….”
Di questo stavamo ragionando, ci eravamo incamminati su questa strada.
Ora “tutto questo non c’è più” direbbe Lucio Battisti, ma non per l’avvento di migliori condizioni, ma per un pauroso ritorno al passato.
Serve ricordarlo per meglio comprendere la cronaca di questi giorni, e darsi conto che non siamo più in presenza di emergenze transitorie, di eccezioni al principio, ma di un ormai completo ribaltamento del sistema che ci riporta proprio al cosiddetto diritto dei contratti, cioè all’esaltazione della libertà di contrattare. E’ un ragionamento presente anche in pezzo del partito democratico, purtroppo solo in parte transitato nel partito di Monti, secondo cui il lavoratore, al giorno d’oggi, non è più l’operaio debole e privo di strumenti, anche culturali, per cui lo Stato deve impedirgli di vendere, a prezzo iniquo, la propri forza lavoro. Ora il lavoratore sarebbe maturo e cosciente, quindi non più bisognoso di tutela. Questo è il ritirarsi dello Stato sociale ed il ritorno alla “libertà” del mercato.
Eppure, è evidente che è vero proprio il contrario. In presenza di una crisi che produce una dilagante disoccupazione crescono, lo riconoscono tutti, le diseguaglianze. E con il crescere delle diseguaglianze cresce, fatalmente, l’iniquità dello scambio contrattuale che, in apparenza, formalmente, è libero.
Ma libero non è. Perché uno dei due contraenti si trova in condizioni di difficoltà e, conseguentemente, è spesso costretto ad accettare clausole inique. Per dirla con un rozzo linguaggio marxiano, a vendersi sottocosto.
Un recente esempio.
La Nissan ha scelto gli stabilimenti di Barcellona per la costruzione di un nuovo modello: 1000 nuovi posti di lavoro, “diretti” ed un indotto stimato in 3000 unità.
C’è da esserne contenti. Magari fosse toccato a noi! Direbbe qualcuno.
Ma se andiamo dentro la notizia scopriamo una lunga e difficile trattativa, spesso sul punto di spezzarsi, anche perché, di fronte alla difficoltà di quella trattativa, altre fabbriche, come la francese Renault, si erano offerte. Poi l’ha spuntata Barcellona. Nella sostanza perché ha accettato, mediante un libero contratto, di ridurre del 20 per cento il salario dei dipendenti che andranno a lavorare nella nuova linea.
Detto in altri termini: il contraente forte ha messo in concorrenza, al ribasso, i possibili partner ed ha stipulato il contratto con il migliore offerente (al ribasso), con soddisfazione comune del governo catalano, dei sindacati, delle associazioni datoriali.
Barcellona si è aggiudicata l’affare.
Dobbiamo festeggiare per 1000 posti di lavoro in più, o interrogarci sul costo sociale e umano, che viene pagato, per quella operazione, da lavoratori, uomini e donne, famiglie, che vedono retrocedere la propria condizione economia e sociale, rispetto alle conquiste che la civiltà occidentale era stata capace di raggiungere negli anni passati?
Non si tratta di un caso esemplare. Né di un caso spagnolo. Forse che il lavoro precario o quello nero e sfruttato di molti dei nostri giovani non risponde alla stessa logica? Al medesimo sistema “ricattatorio”? E cosa significano quegli operai di Marchionne che si sono recati al referendum annunciano il loro si, di fronte ad una ipotesi di contrato aziendale che non condividevano affatto?
Hanno fatto una scelta libera, cioè di mercato. La libertà contrattuale, individuale o collettiva che sia, ha trionfato.
E dove andremo a finire se, in tempi di crisi, con la disoccupazione dilagante, i posti di lavoro verranno messi all’asta, sulla base di questi principi, al miglior offerente? Cioè a chi è disposto ad accettare un salario inferiore?
Il sindacato spagnolo, giustamente, si è fatto garantire che l’organico della fabbrica non subirà riduzioni, cioè che gli altri lavoratori, gli “anziani”, non saranno licenziati per essere sostituiti dalle più economiche “new entry”, che non subiranno una riduzione di salario. Quindi esasperazione del dualismo, anche all’interno alla stessa fabbrica.
Altro che “il lavoro non è merce”! Altro che immaginare contingenze! Siamo semplicemente tornati indietro, molto indietro. Si sta consumando una mutazione Il piano è ancora inclinato. E le prossime elezioni non c’entrano nulla … quasi nulla.
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* articolo pubblicato anche su il manifesto sardo
Nel riquadro dipinto di Fernand Léger
Viviamo tempi apocalittici
di Nicolò Migheli, da Sardegnademocratica
“Ci fu un grande terremoto, di cui non si era mai visto l’uguale da quando gli uomini vivono sopra la terra. La grande città si squarciò in tre parti e crollarono le città e le nazioni: Dio si ricordò di Babilonia la grande, per darle da bere la coppa del vino del furore della sua ira. E tutte le isole fuggirono, e i monti non si trovarono più.” (Ap. 14, 8-10) Il passo dell’Apocalisse di Giovanni è citato in Mysterium iniquitatis, un testo di raro pessimismo sulle sorti del cristianesimo, scritto da Sergio Quinzio, pensatore dimenticato in questi anni confusi.
Versetti che debbono essere tornati alla mente di personaggi conservatori della Curia romana. L’abdicazione di Benedetto XVI è una apocalisse, una rivelazione-constatazione del degrado del governo della Chiesa e, nello stesso tempo, del limite. Il discorso pronunciato dal Papa il Mercoledì delle Ceneri esprime in altre parole lo stesso concetto. Tanto che alcuni hanno reagito con: “ Non si scende dalla croce,” “Un padre non si dimette se i figli non ubbidiscono.” La rivolta di un uomo mite, hanno scritto in molti, dando ragione a Papa Ratzinger.
Carlo Maria Martini, in una sua ultima intervista ebbe a dire che la Chiesa Cattolica era in ritardo di duecento anni. Il percorso di due secoli di modernità non compreso e rifiutato. Un essere contro il mondo visto solo come degrado. Una non accettazione di un ruolo che la storia e il pensiero laico ponevano tra gli interlocutori e non più come unico punto di riferimento. La reazione identitaria alla modernità trasformata nel dogma della infallibilità papale da Pio IX nel Concilio Vaticano I del 1870, confermata nell’enciclica “Pascendi dominis gregis” dove il modernismo viene descritto come “sintesi di tutte le eresie” da Pio X nel 1907. Corrente di pensiero che ha rifiutato il Concilio Vaticano II sia prima di essere indetto che dopo nella sua attuazione. L’ha fatto cancellando la Teologia della Liberazione, la Chiesa di Base, marginalizzando tutti quei “cattolici maturi” come ebbe a dire Romano Prodi, dando invece lustro e potere a confraternite come l’Opus Dei, Comunione e Liberazione e ai torbidi Legionari di Cristo. Un costante innamoramento dei poteri più reazionari da Francisco Franco a Pinochet, da Videla a Berlusconi. Prima con la giustificazione della lotta al comunismo e poi con la difesa dei “valori non negoziabili.”
Una Chiesa che aldilà delle magnificenze trionfalistiche si ritrova con le chiese vuote. Sempre più incapace di parlare all’anima dei contemporanei. Per fortuna restano tanti vescovi e sacerdoti che vanno oltre, che in silenzio riescono a venire incontro alla fatica di vivere dei contemporanei. Per trent’anni Ratzinger è stato il custode dell’ortodossia conservatrice, l’acerrimo avversario di cardinali come Martini, il pilota insieme a Ruini, delle vicende politiche italiane, sponsorizzando qualsiasi governo che fosse ligio all’agenda vaticana. In tarda età osa l’inosabile. Il gran rifiuto.
Impressiona il gesto, molto di più la data dell’annuncio: l’11 febbraio 2013, ottantaquattro anni da quel 1929 dei Patti Lateranensi che ristabilì il potere temporale del papato. Per un potere bimillenario attento ai simboli e alle date non è stato certo un caso. La scelta di quel giorno è forse l’atto di accusa più pesante per la Curia Romana. Rivelando una impossibilità di governo di una realtà conflittuale ed oscura che ha la sua giustificazione nell’essere Stato e quindi come ogni stato, può toccare con mano il lato inumano del governo del mondo. “Non sei né freddo né caldo! Ma siccome sei tiepido, né caldo né freddo, sto per vomitarti dalla bocca” (Ap. 3, 15-16).
E’ ancora il Libro che ci soccorre e ci fa capire. Resta la domanda, l’uomo occidentale sempre più sommerso da più offerte spirituali in concorrenza tra loro, è ancora attratto da una forma religiosa dove il contatto con il dio è mediato? Dove al fedele è negata ogni possibilità di coscienza personale, ma solamente l’attuazione pratica di quanto deciso dalle gerarchie? L’abdicazione di Benedetto XVI è di sicuro un atto che influirà molto su come i cattolici penseranno al proprio futuro e ruolo nel mondo. Forse non subito. Il prossimo conclave, vista la composizione del concistoro, è probabile che esprima un altro papa conservatore. La storia della Chiesa Cattolica ci ha abituati, però, che nei momenti più critici può esprimere il rinnovatore. Lo Spirito soffia dove vuole. Così si dice nelle Scritture.
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Nicolò Migheli, da Sardegnademocratica
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Sul medesimo argomento: F.Meloni, La scelta rivoluzionario del papa conservatore
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Nelll’illustrazione Papa Celestino V
Legge 221/2012 Startup, precisazione del Mise: le società già costituite possono iscriversi alla “Sezione speciale del Registro Imprese” anche dopo 17 febbraio
Il ministero dello Sviluppo economico (MISE) ha fornito una risposta articolata al quesito posto da Infocamere (Unioncamere), relativo all’iscrizione delle società già costituite alla “Sezione speciale” del Registro delle Imprese entro il termine del 17 febbraio.
La scadenza indicata in norma primaria è da interpretare come non perentoria, pertanto, le società già costituite alla data dell’approvazione della Legge 221/2012, potranno iscriversi alla “Sezione speciale”, dedicata alle Startup del Registro delle imprese, anche dopo il 17 febbraio.
Contestualmente, il Ministero ha precisato che il termine per il possesso dei requisiti (data di entrata in vigore della legge di conversione), così come il termine di durata massima della startup innovativa (decorrente dalla medesima data) sono invece inderogabili.
Comunicato stampa del MISE
IS OLLIERAS de PIERO MARCIALIS
Il finanziamento pubblico ai partiti non va riformato, va abolito. E’ la cosa più seria e non secondo me, ma per il 90% del popolo.
Su finanziamentu pubblicu ais partidus non andat riformau, andat aboliu. Est sa cosa prus seria e non a parrer miu, ma po su 90% de su populu.
In custa campagna elettorali si funt iscarescius de chistionai de s’aqua e de s’energia. In duus referendum su populu at fueddau craru: aqua pubblica e energia limpia. Est intendia?
L’8 per mille non va meglio distribuito, va abolito.
S’8 po milli non andat mellus sparziu, andat aboliu.