Risultato della ricerca: vanni tola piano di rinascita

Sinnai. Una comunità pastorale tra il secondo ed il terzo millennio

SINNAI panorama Sardegna DL_2—————————————————————————
ape-innovativaCome anticipato ieri pubblichiamo un saggio di Aldo Cappai su Sinnai, di cui è concittadino. Lo facciamo non solo per il pregio delle informazioni e analisi contenute, che hanno valore in sé e per le considerazioni che fa l’Autore nell’introduzione, ma anche per contribuire alla creazione della “città metropolitana di Cagliari”, che ha senso solo se realizzata con e per la valorizzazione di tutte le realtà che la dovranno comporre, della loro identità, della loro storia, del riconoscimento del ruolo e dell’importanza… nell’area vasta e in Sardegna (la macroarea Isola di Sardegna, come la chiama Aldo).
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Sinnai. Una comunità pastorale tra il secondo ed il terzo millennio
di Aldo Cappai
Caooai 1 Introduzione
Questo lavoro vuole essere un contributo personale alla ricerca su Sinnai e la sua realtà socio­economica e culturale, nell’ambito del filone di studi definiti microstoria, incentrati sull’analisi dell’evolversi dei processi storici nelle realtà comunitarie locali al di dentro della macroarea Isola di Sardegna.
La riflessione vuole evidenziare, in primis, come sino alla metà del secolo ventesimo i processi di sviluppo siano stati, nella comunità Sinnaese ed in
quelle delle altre realtà sarde agropastorali, con particolare riferimento a quelle dell’interno, essenzialmente caratterizzati da immobilismo, da stagnazioni o, meglio, da sedimentazioni millenarie. In questo contesto verrà focalizzato il ruolo sociale della figura economica dominante, il pastore sardo, il peculiare sviluppo della comunità sinnaese ed uno spaccato della vita sarda al 1863, appena due anni dopo l’unità d’Italia. Si tratterà, quindi, dei forti processi di crescita che hanno trasformato radicalmente la nostra comunità negli anni seguiti al secondo conflitto mondiale, ponendo infine le basi per stimolare un nuovo processo di riflessione su una società frutto della globalizzazione dei processi di produzione e di scambi sviluppatisi in maniera così veloce ed improvvisa da indurre un attento pensatore contemporaneo a vederla come vita liquida.
Per la stesura della relazione odierna mi sono state d’ausilio alcune pubblicazioni di nostri concittadini che ho trovato raccolte nei miei scaffali, ancora non riordinati.

- Figura 1 foto del menhir, pubblicata nel volume Sa festa de tunditroxi, commedia in lingua dardo di Don Giovanni Cadeddu. La pietra fitta è simbolo fallico e la V nella parte alta riandai alla sessualità femminile.

I millenni bui della società sarda
I Menhir rappresentano la divinità dei primi popoli che hanno vissuto in Sardegna: una divinità contenente in sé il principio dell’Essere, sia maschile che femminile. Sono simbolo di un periodo che, ab immemore, e sino alla prima metà del secolo scorso, ha caratterizzato la storia della nostra comunità nella sua sostanziale stabilità di mezzi di produzione, di attività economiche, di cultura e di rapporti sociali.
Tracce salienti e significative della rappresentazione della divinità per mezzo di elementi litici e lignei hanno caratterizzato anche le antiche civiltà del medio­oriente e quelle mediterranee che si basavano sulla caccia e sulla pastorizia, prima, e sulla agricoltura, poi.
Ma, mentre già da diversi secoli prima di Cristo il popolo ebraico viveva l’esperienza religiosa del monoteismo, in Sardegna il rapporto diretto tra elementi naturali e divinità perdura: ancora nella seconda metà del VI secolo dopo Cristo, il Papa Gregorio Magno definisce i Barbaricini come uomini, che «ut insensata animalia vivant, Deum verum nesciant, ligna et lapides adorent»[1] (vivono come animali privi di intelligenza, senza riconoscere il vero Dio ed anzi rappresentandolo nelle pietre e negli alberi).
Il dominio delle diverse civiltà che nei secoli hanno colonizzato le popolazioni sarde ha comportato, sostanzialmente, l’esclusione radicale delle stesse dai processi di sviluppo economico, politico, sociale e culturale: le attività produttive nei settori dell’allevamento, caratterizzati dalla pastorizia allo stato brado e transumante, quelle del settore agricolo, ancora retto da strumenti di produzione e tecniche colturali primitive, i diversi ed insopportabili prelievi imposti dai diversi dominatori accompagnati dall’assenza di adeguate vie di comunicazione e dalle ferree regole di ordine pubblico che costringevano le popolazioni ad una forzata immobilità, hanno comportato una solidificazione delle diverse realtà, specie culturali, i cui contenuti e valori venivano ancora elaborati, trasmessi e conservati in modo quasi esclusivamente orale.

cappai2Figura 2: Lazzaro Perra di Sinnai e il suo giogo di buoi con aratro in legno, 1920.
È il caso delle testimonianze musicali e poetiche che possiamo ritrovare nell’utilizzo, ancora oggi presente, delle launeddas, della poesia estemporanea, dei canti religiosi, delle pregadorias e delle filastrocche.
Le città vivevano una vita radicalmente isolata e impermeabile alla campagna che ad esse (ed ai diversi dominatori che vi si sono insediati), era asservita. Bisogna comunque ricordare che Sinnai rappresenta, per certi aspetti un’ eccezione (che merita di essere approfondita), dovuta alla permanenza o alla frequentazione nel tempo di diversi esponenti cittadini delle classi nobiliari e borghesi cagliaritane, per motivi legati al suo clima salubre (dovuto fondamentalmente alla presenza di acque salutari ed alla scarsa presenza delle zanzare, portatrici della malaria).

Uno spaccato dell’isola al 1863: la relazione del prefetto di Cagliari Carlo Torre al Ministro .
Uno spaccato dell’isola al 1863, si trova nella relazione del prefetto di Cagliari Carlo Torre al Ministro dell’Interno Ubaldino Peruzzi.
«La relazione trae spunto dalla ridotta leva sarda, a causa dell’alto numero di rivedibili e di “scartati”. Il Prefetto Torre, preciso funzionario, non si accontentava di indicare sommariamente le cifre e a descrivere per sommi capi le cause, ma tentò di spiegare i motivi della cattiva salute, di quel “penoso spettacolo sulla struttura e condizione fisiologica” dei giovani sardi. Di più, egli descrisse le generali condizioni degli abitanti dell’isola e i loro costumi “barbari”. Il suo punto di vista, in alcuni tratti, somiglia a quello di un colonizzatore: si chiedeva, infatti, se, come era uso degli antichi romani, non fosse auspicabile la deportazione di detenuti in Sardegna, che avrebbe comportato il doppio vantaggio di “purgar la penisola e rifornir l’isola” di un maggiore incremento demografico e di una più solida e robusta costituzione fisica. Anche il clima e il territorio venivano chiamati in causa: analogamente al caso dell’agro romano, si riteneva infatti che molte delle malattie a cui gli abitanti dell’isola erano esposti, dipendessero da elementi che la medicina, solo dopo molti decenni, avrebbe depennato come cause di malattie. Addirittura il prefetto riteneva che anche i fichi d’india fossero frutti “di provata malsania”».

Il prioritario interesse dello Stato Unitario alla leva militare
A seguito del commento sopra riportato e ritrovato nel sito del Ministero degli Interni alcuni anni fa, riprendo una selezione delle dirette considerazioni scritte dal Prefetto Torre:
«E per entrare in materia ( verifica iscritti alla leva militare), lo scrivente ha dunque l’onore di esporre a codesto Ministero che il totale degli iscritti ascendeva a N. 4282, e che la precisa metà di questi, computati i rivedibili (perché avviene, massime in Sardegna, che rade volte un rivedibile sia negli anni o nell’anno appresso trovato buono) sono stati riformati e trovati rivedibili al N. 2140. E per venire ai motivi delle riforme e rivedibilità, si desume dagli elenchi avuti che i riformati per difetto di statura ascendono al N. 878, ossia a poco meno di un quarto della somma totale degli Inscritti, che i riformati per malattie diverse salgono a N. 793, ossia a più che la quinta parte del totale, e che i rivedibili sono stati N. 649, ossia il nono del complesso».
cappai 3 Figura 3 foto di due panificatrici di Sinnai negli anni ’50. Tratta dall’archivio digitale della Regione Autonoma della Sardegna.

L’alimentazione dei Sardi
Tra le cause, il Prefetto Garibaldino ricorda tra l’altro che «il cibo, quello del basso popolo, che è la gran generalità, è piuttosto ferino che umano, perché, massime nei luoghi montuosi, in difetto di grani, perché anche non ne seminano, si nutrono in inverno con erbe crude e scondite, o con carni di pecora, capra o bue appena rosolate sulle bragie e ancora sanguinolenti, ed in estate vivono per intere settimane di semplici frutti, come fave verdi, fichi, pesche, uva, pere, prugne, ecc. e, quel che è peggio, inghiottiscono con barbara avidità una quantità enorme del frutto di un Cactus detto Fico d’India, e qui appellato Da Figu Morisca, frutto di provata malsania ma che è facile ad aversi per nulla, perché nasce e matura spontaneo per le colline e per le sponde dei campi. Da ciò diarree, dissenterie, coliche, febbri, e le madri che allattano e che porgono ai neonati una sostanza formata con simili perniciosi ingredienti, inoculano, senza avvedersene, nei loro bambini, per lo più la morte, e in quei pochi che sopravvivono innestano la cachessia, la denutrizione, il marasmo».
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CAGLIARI. Dibattito su/per la città alla vigilia delle elezioni comunali

AladinDibattito-CAape-innovativa2Pubblichiamo l’articolo di Gianfranco Murtas, traendolo dal sito della Fondazione Sardinia, considerandolo un interessante contributo al Dibattito su/per la città alla vigilia delle elezioni comunali (ormai siamo pienamente immersi in una lunga campagna elettorale).
Al riguardo ribadiamo il senso del nostro impegno come Aladinews ben delineato in una dichiarazione che ci sembra opportuno qui richiamare per una lettura integrale e di cui di seguito riportiamo un passaggio. Le campagne elettorali hanno aspetti ambivalenti e contraddittori: da un lato sono occasioni di strumentalizzazioni di ogni tipo, dall’altro costringono i cittadini e soprattutto le forze politiche a una disponibilità al dibattito, sconosciuta in altri periodi. Tocca a noi, opinione pubblica, fornire un terreno di confronto che diminuisca i rischi del primo aspetto e consenta ai cittadini elettori di farsi un’opinione di programmi e persone che li rappresentano, misurandone la credibilità. Altrimenti c’è la sfiducia e la conseguente diserzione delle urne, che, badate bene, fa premio a una classe politica il cui motto è diventato “meno siamo (gli elettori), meglio stiamo (gli eletti)”. Noi pratichiamo una linea virtuosa, quella della partecipazione popolare per la città di tutti. Ecco perchè pensando alle elezioni comunali di Cagliari del prossimo anno, prendendo atto che la campagna elettorale è ormai aperta, diamo spazio a un dibattito sulla città, senza limiti e pregiudizi o rispetto reverenziale per chicchessia. Con queste motivazioni abbiamo pubblicato una serie di interventi che ci sono sembrati particolarmente “utili alla causa” e continueremo nel tempo a pubblicarne di nuovi. Chiaramente la nostra è una scelta “arbitraria” che vuole esplicitamente portare acqua al mulino del rinnovamento nei programmi e nelle persone che vorremmo al governo della nostra città, obiettivo che ci vede precisamente schierati.
Zedda MassiddaEnrico-Lobina mezzobusto
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Di Zedda e Massidda candidati sindaco: no, no e no. E qualche considerazione sul sardismo d’oggi
di Gianfranco Murtas

Si affacciano le prime candidature alla guida dell’Amministrazione civica di Cagliari e nell’affollamento di liste e di nomi sarebbe utile forse, dalla parte della cittadinanza, definire, come in una matrice di compatibilità e preferenze, i parametri elementari di gradimento. Dico la mia, non perché sia cosa importante in sé, ma perché può valere come testimonianza di una elaborazione che gode, e non se ne dispiace, di chiamarsi politica.
Valgano, a premessa orientatrice, alcuni rapidi cenni di una esperienza personale, nel concreto della vita civica cagliaritana e sarda di questi ultimi quarant’anni. Me ne incoraggia anche – lo dico onorando l’uomo e lodando il suo magnifico lavoro autobiografico “Il cugino comunista. Viaggio al termine della vita” (sul quale mi riprometto di tornare nei prossimi giorni) – l’esempio di un mio quasi coetaneo che ha riversato nella militanza politica, con risultati apprezzati, gli anni migliori della sua esistenza, le sue migliori energie intellettuali, la sua passione civile e sociale: Walter Piludu. Mi hanno evidentemente toccato, in particolare, nei capitoli introduttivi, le confidenze circa la sua simpatia adolescenziale per l’area democratica azionista presidiata dai repubblicani di Ugo La Malfa. Piludu dalla democrazia liberale al comunismo, come Giorgio Amendola giovane, nella temperie della dittatura in fasce, transitato dal liberalismo sociale del padre (di Giovanni Amendola cioè, assassinato dai fascisti, e degli uomini della Unione Democratica Nazionale, ivi compresi, con il giovanissimo Ugo La Malfa, uomini come Mario Berlinguer e Francesco Cocco-Ortu sr. e molti massoni nazionali e sardi) al comunismo allora in conversione, certo non nobilitante, dal gramscismo al togliattismo.
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Cagliari Capitale della Sardegna. Sì, ma: quale Cagliari e per quale Sardegna? Riaffiora il dibattito che non deve svilirsi nella propaganda elettorale

Discuss cagliari

ape-innovativadi Franco Meloni, aladinews

Senza togliere nulla al merito della Fondazione Segni per aver creato una nuova occasione di riflessione sul ruolo di Cagliari capitale della Sardegna, vogliamo ricordare come il dibattito su tale tematica, con tutte le implicazioni e connessioni che si porta dietro, è ben presente nella realtà culturale della città. Segue un andamento di tipo “carsico”: corre in modo prevalentemente sotterraneo, ogni tanto riaffiorando con i contributi di singoli intellettuali o, in misura più partecipata, di diversi soggetti singoli o associati, in relazione a scadenze elettorali (di cui parliamo più avanti) o ad altre particolari circostanze. Tra queste ultime le più importanti negli ultimi anni sono state le fasi di elaborazione del “piano strategico della città” e del “piano strategico dell’area vasta”. A dire il vero il rilevante lavoro prodotto è stato in gran parte ignorato e quindi sprecato. E meno male che di esso resta disponibile un’interessante documentazione, fruibile sul sito web del Comune (1) (2). Sono tutte parole, per fortuna in questo caso scritte, che però tali rimangono, senza tradursi, se non in minima parte, in effettive realizzazioni; sono elaborazioni interessanti ma in gran parte inutilizzate, come ha dimostrato il piano del Comune per la candidatura a “capitale europea della cultura 2019″, che è sembrato prescinderne. Si è ripetuto anche in questo caso il vizio del “ripartire da zero” che fa sprecare risorse e fa perdere di efficacia all’azione politica e amministrativa delle Istituzioni. Speriamo che la partecipazione dei cagliaritani alla procedura di adozione del piano particolareggiato per il centro storico apporti significative correzioni all’impostazione scarsamente democratica che caratterizza la pratica politica odierna, purtroppo comune a tutti gli schieramenti politici.
Ma torniamo al tema di Cagliari capitale. Al riguardo l’attuale ravvivamento del dibattito è chiaramente ascrivibile, in modo preponderante, all’imminente scadenza elettorale per l’elezione del Sindaco e del Consiglio comunale di Cagliari, a cui si aggiunge la discussione sulla riforma degli Enti locali, che, tra l’altro, prevede l’istituzione della città metropolitana di Cagliari, coinvolgente la città e la sua area vasta.
Le campagne elettorali hanno aspetti ambivalenti e contraddittori: da un lato sono occasioni di strumentalizzazioni di ogni tipo, dall’altro costringono i cittadini e soprattutto le forze politiche a una disponibilità al dibattito, sconosciuta in altri periodi. Tocca a noi, opinione pubblica, fornire un terreno di confronto che diminuisca i rischi del primo aspetto e consenta ai cittadini elettori di farsi un’opinione di programmi e persone che li rappresentano, misurandone la credibilità. Altrimenti c’è la sfiducia e la conseguente diserzione delle urne, che, badate bene, fa premio a una classe politica il cui motto è diventato “meno siamo (gli elettori), meglio stiamo (gli eletti)”. Noi pratichiamo una linea virtuosa, quella della partecipazione popolare per la città di tutti. Ecco perchè pensando alle elezioni comunali di Cagliari del prossimo anno, prendendo atto che la campagna elettorale è ormai aperta, diamo spazio a un dibattito sulla città, senza limiti e pregiudizi o rispetto reverenziale per chicchessia.
Con queste motivazioni (e questa apertura che non prevede necessariamente adesione alle idee, tutte rispettabili, di quanti intervengono, purchè animatrici di senso critico) abbiamo pubblicato una serie di interventi che ci sono sembrati particolarmente “utili alla causa” e che sotto elenchiamo. Chiaramente la nostra è una scelta “arbitraria” che vuole esplicitamente portare acqua al mulino del rinnovamento nei programmi e nelle persone che vorremmo al governo della nostra città, obiettivo che ci vede precisamente schierati.
- Il 23 giugno un articolo di Paolo Fadda (ripreso da Sardinia Post del 20 giugno), intitolato: Cagliari e il mistero della borghesia scomparsa .
- Il 24 giugno un articolo di Vito Biolchini, ripreso dal suo seguitissimo blog: Molentargius, rifiuti, Camera di Commercio, Tuvixeddu e Teatro Lirico: a Cagliari fare gli equilibristi non funziona più. Vito Biolchini su vitobiolchini.it.
- Ecco perché solo con la riscoperta della sua memoria Cagliari potrà risorgere.. Nanni Spissu su SardiniaPost. Un articolo anch’esso apparso su SadiniaPost, che trae spunto dall’intervento di Paolo Fadda per fare nuove interessanti riflessioni.
- Cagliari, baronessa senza baronia (e senza classe dirigente), un articolo di Paolo Fadda su SardiniaPost, ripreso il 26 agosto da Aladinews.
- Casteddajos! … procurad’’e moderare …, un articolo di Salvatore Cubeddu su SardegnaSoprattutto.
- Di seguito pubblichiamo inoltre un intervento del consigliere comunale Enrico Lobina, leader della coalizione Cagliari Città Capitale.
Infine ci permettiamo ripubblicare due correlati interventi del direttore.

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Alcune domande su Cagliari Città Capitale ed i problemi della città
di Enrico Lobina
Un amico, un collega, un compagno, mi annuncia che sosterrà Cagliari Città Capitale, e che “Mi piacerebbe leggere proposte che sviluppino lavoro, connessioni città campagna, arte, e dare alla città l’identità di una capitale europea, pure se piccola”.
Rispondo alle sollecitazioni, sperando che vengano poi riprese, ed utilizzate di continuo, così come tanti altri elementi di programma che si possono trovare nel web e negli scritti dei componenti di Cagliari Città Capitale.
CCC non ha grandi finanziatori, e ci basiamo sull’impegno di chi ci sostiene per far conoscere le nostre posizioni.
Sviluppare lavoro
Cagliari ha potenzialità enormi nel settore primario, secondario e terziario. Chi dice che in materia di lavoro il comune non può fare nulla dice una stupidaggine.
Il settore primario, per Cagliari, è la pesca, a mare e negli stagni, e l’acquacoltura. Si occuperà del tema il circolo Me-Ti, che sta organizzando per domenica 18 ottobre la festa della Laguna insieme al Consorzio ittico Santa Gilla. Il primario può essere una miniera di posti di lavoro.
Il resto del settore primario (agricoltura e pastorizia) interessa indirettamente il comune, che può mettere tutta la sua forza e le sue strutture (mercati comunali) per far diventare la città l’emporio dei prodotti di Sardegna, la vetrina di ogni paese
Riguardo il settore secondario, l’area industriale non è stata minimamente oggetto di interesse dalle amministrazioni comunali di questi anni. Perché? Non può più essere così. Anzi, essa si deve collegare alla zona franca intorno al porto canale, che deve necessariamente decollare in tempi certi.
Sul settore terziario, dal turismo alla riqualificazione urbana, da nuove politiche sociali alle politiche per l’innovazione, da un nuovo approccio allo sviluppo locale alle politiche per l’internazionalizzazione, dalla zona franca all’economia blu (blue economy, l’economia che sfrutta il mare), dalla transizione energetica ad una rivoluzione nel ciclo dei rifiuti, passa la capacità di creare ricchezza della città.
Connessioni città campagna
Cagliari, se vuole essere capitale, deve ripensare il suo rapporto con la Sardegna, essere all’altezza del ruolo di capitale. Bisogna instaurare un rapporto continuo con le altre città, e porsi strategicamente l’obiettivo del riequilibrio territoriale.
Lo spopolamento dei paesi, drammatico, può essere combattuto con fortissime politiche anticicliche. Attualmente non se ne vedono all’orizzonte.
Dalla fine del 2010 il comune di Sadali ha istituito tre misure di incentivazione:
- un bonus bebè di 200 € mensili per 24 mesi da erogare ai genitori (con almeno uno dei genitori con residenza a Sadali) di bambini iscritti al registro anagrafico del comune di Sadali;
- Un bonus famiglia di 200 € mensili per 24 mesi da erogare a chi trasferisce la residenza da un Comune con popolazione superiore a 3 mila abitanti a Sadali;
- Un bonus scuola di 200 € mensili per 24 mesi da erogare ai genitori dei bambini iscritti a scuola.
Il bonus consiste in un “ticket nominativo” attraverso il quale il beneficiario può acquistare, presso gli esercenti convenzionati, beni e servizi necessari per una vita dignitosa.
Dopo 20 anni di saldi negativi, negli anni 2011, 2012 e 2013 si registra un aumento complessivo della popolazione del 4%.
A Sadali non tutti sono felici di queste politiche, ma è un inizio.
In Emilia-Romagna, Calabria, ma anche Galles e Finlandia, e per la verità in altre realtà della Sardegna, si prova, quasi in maniera artigianale, a designare politiche contro lo spopolamento davvero efficaci e forti, concrete.
La politica regionale, al contrario, non va oltre la normale amministrazione di politiche già esistenti.
Si tratta di mettere a sistema politiche che, ritagliate sulle esigenze di ogni singola comunità, vadano nella direzione di salvare dall’estinzione i sardi e ridare forza produttiva alla Sardegna.
Da questo punto di vista, segnalo come il Comune di Cagliar spenda, quasi fosse un bancomat, milioni di euro in sussidi sociali che non provocano nessun incentivo alla riqualificazione produttiva e all’emancipazione in chi li riceve. Al contrario, si abitua una piccola e povera casta all’assistenzialismo.
Se quelle stesse risorse, di concerto con altri comuni e con attività di accompagnamento pubbliche, fossero spese per garantire una emancipazione personale ed uno sviluppo produttivo guidato da quei nuclei familiari, non avremmo fatto un enorme passo in avanti?
Lavorare per una comunità produttiva, libera e felice significa anche rigettare l’assistenzialismo, senza mai lasciare indietro nessuno.
Arte
Sul ruolo dell’arte a Cagliari vi propongo, dipendendoli dal mio blog, alcuni video un po’ datati, ma che contengono diversi spunti: http://www.enricolobina.org/wp/2015/10/05/alcune-domande-su-cagliari-citta-capitale-ed-i-problemi-della-citta/
La rinascita catalana, dopo la fine della dittatura franchista, si è basata sull’arte. Noi dobbiamo immaginare qualcosa di simile.
Dare alla città l’identità di una capitale europea
Cagliari deve, innanzitutto, diventare capitale della Sardegna, e dialogare, con l’Italia, il Mediterraneo e l’Europa, senza alcun complesso di inferiorità.
Sul Mediterraneo abbiamo avanzato una proposta http://www.enricolobina.org/wp/2013/11/01/mediterraneo-pace-e-immigrazione-per-unazione-del-comune-di-cagliari/

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Il ruolo di Cagliari per l’Europa che vogliamo
di Franco Meloni

Un tempo contestando il malgoverno della cosa pubblica in diverse realtà si diceva che anche la sola “buona amministrazione” costituisce di per se un fatto rivoluzionario. Mi è venuto in mente pensando all’esperienza amministrativa del sindaco di Cagliari Massimo Zedda e della sua Giunta. Fare una buona amministrazione per la nostra città come il sindaco ha cercato di fare ha aspetti positivi a vantaggio dei cittadini cagliaritani. E di questo occorre dare atto, come abbiamo fatto in diverse circostanze. Ma certamente non basta. L’amministrazione Zedda ha finito per rinchiudersi nell’ambito dell’ordinario, senza azzardare progetti strategici di lungo respiro dei quali la città ha invece ineludibile bisogno, pena l’acuirsi di processi di decadenza e marginalità. Ecco perché si avverte l’inadeguatezza degli attuali amministratori unita alla non credibilità che siano in grado di prospettare esiti diversi per il futuro. Cagliari non ha finora saputo esercitare quel ruolo decisivo che le compete: di guida dell’intera regione, di peso paragonabile a quello dell’Istituzione Regione. Come capita a tutte le capitali di questo mondo, per esercitare questa funzione dispone (e dovrebbe poter disporre in misura maggiore) di risorse specifiche, che, al di là delle critiche universalmente rivolte a tutte le capitali del mondo, deve congruamente restituire in benefici non solo ai suoi abitanti ma a tutti i cittadini che gliele hanno affidate, cioè a tutti i sardi. In Sardegna abbiamo bisogno di praticare nuove politiche di sviluppo attraverso la realizzazione di nuovi modelli sociali ed economici. Siamo proprio in questa fase, come necessità, non certo, purtroppo, come visioni politiche egemoni e concrete realizzazioni e come attuale classe dirigente in grado di farsene carico. Al riguardo è richiesto soprattutto a Cagliari – ovviamente insieme alla Regione e agli altri Enti locali – di cimentarsi in una sfida epocale. Ci sono tanti modi per farlo. Io credo che la stella polare della ricerca di nuove strade debba essere l’Europa, non certo l’attuale Europa, che in questa fase storica sta dimostrando la sua inadeguatezza, proprio perché chiusa nella cura dei mercati e degli interessi dei mercanti, quanto invece una nuova Europa che dobbiamo costruire: l’Europa dei popoli, capace di accogliere nuove genti e con esse rigenerarsi. In questo recuperando i valori delle origini, quando, all’indomani della seconda guerra mondiale, i padri fondatori dell’Europa comunitaria misero le basi della cooperazione economica pensando e preconfigurando come un sogno l’integrazione politica europea. Purtroppo tuttora, dopo tanti decenni, l’integrazione dell’Europa attraverso una vera e propria Confederazione o Federazione di Stati è solo ancora un sogno, e l’integrazione politica rischia di arretrare anche rispetto agli scarsi attuali livelli.
Allora Cagliari deve conquistare sul campo il ruolo di “città capitale”, sarda e insieme europea, in grado di tracciare nuove strade per se stessa, per la Sardegna e per l’Europa, della quale può rappresentare in certa parte le politiche per il Mediterraneo (soprattutto della sua sponda sud). Un’impostazione di questo tipo, appena qui tratteggiata, ha moltissimi risvolti pratici, concretizzandosi pertanto anche nelle scelte del quotidiano amministrare. In questo quadro la stessa “opzione indipendentista” (comunque la vogliamo nominare) per la Sardegna può essere praticata con condivisione maggioritaria, non quindi come concezione separatista minoritaria o scelta estremista, proprio in quanto si può sviluppare con piena cittadinanza e dignità nell’ambito della possibile nuova Europa che abbiamo prospettato.

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A Cagliari il mare come strategia di sviluppo per sbloccare e liberare la città. Ma occorre una diversa classe dirigente
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di Franco Meloni

Il dibattito su Cagliari, intendendo quello che non si ferma alla contingenza dei problemi quotidiani dei suoi abitanti, che riesce a riflettere sul suo ruolo rispetto alla Sardegna e all’Europa, che prefigura scenari futuri rispetto ai quali organizzare le energie sociali, e così via, è presente anche se carente nella realtà culturale della città. Segue un andamento di tipo “carsico”: corre in modo prevalentemente sotterraneo, ogni tanto riaffiorando con i contributi di singoli intellettuali o, in misura più partecipata da diversi soggetti singoli o associati, in relazione a scadenze elettorali o ad altre particolari circostanze. Tra queste le più importanti negli ultimi anni sono state le fasi di elaborazione del “piano strategico della città” e del “piano strategico dell’area vasta”. A dire il vero il rilevante lavoro prodotto è stato in gran parte sprecato, seppure resta disponibile un’interessante documentazione, fruibile sul sito web del Comune (1) (2). Sono tutte parole, per fortuna in questo caso scritte, che però tali rimangono, senza tradursi, se non in minima parte, in effettive realizzazioni; sono elaborazioni interessanti ma in gran parte inutilizzate, come dimostra il piano del Comune per la candidatura a “capitale europea della cultura 2019″, che sembra prescinderne.
Si ripete anche in questo caso il vizio del “ripartire da zero” che fa sprecare risorse e fa perdere di efficacia all’azione politica e amministrativa delle Istituzioni.

Occorre invece rilanciare il dibattito su Cagliari, raccogliendo tutti i contributi del passato che mantengono validità insieme a quelli che si sono aggiunti e vanno aggiungendosi di recente, lasciando alla politica il compito di portare a sintesi operativa le indicazioni su cui si trova la più estesa convergenza.

Prima di riproporre le questioni strategiche vogliamo soffermarci su un altro comportamento patologico delle nostre Istituzioni: quello dei “compartimenti stagni”, cioè dell’incapacità di agire “a sistema” (la leale collaborazione istituzionale). Forse ci si illude che le decisioni prese in solitaria dai singoli Enti possano essere inserite da una “mano invisibile” in un coerente disegno complessivo, purtroppo inesistente. Così non si va molto lontano. Tra i molti esempi che si potrebbero fare al riguardo ci limitiamo a due, importanti ed emblematici: la zona franca e la questione delle abitazioni.

. Per quanto si riferisce alla zona franca, parliamo dei punti franchi doganali (non quindi delle fantasie demagogiche di Cappellacci o della pessima e inutile leggina approvata di recente dal Consiglio regionale), cioè di quelli che potrebbe essere già operativi (per il punto franco di Cagliari il ritardo assomma a oltre dodici anni) e che inspiegabilmente non si fanno, per colpevole inerzia di molte Istituzioni a partire dalla Regione. I punti franchi porterebbero benefici in termini di occupazione e di incremento di attività economiche innovative, se attuati con modalità intelligenti, come, per esempio, dimostra l’esperienza di Barcellona (ampiamente studiata dai nostri politici in innumerevoli viaggi-studio). Per quanto riguarda Cagliari (ma discorso analogo può farsi per gli altri 5 punti franchi previsti dalla normativa vigente) perchè la zona franca possa concretizzarsi con questa valenza occorre che si impegnino più soggetti, raccolti in una compagine sociale a cui partecipino la Regione, l’Autorità portuale, la Camera di Commercio, l’Università e, infine, il Comune capoluogo, che dovrebbe assumerne la guida politica.
Cosa si è fatto al riguardo? Quasi nulla, se si eccettuano alcune iniziative, pur apprezzabili, dell’attuale autorità portuale, Piergiorgio Massidda, giunto peraltro al capolinea del suo incarico. Per il resto i possibili partner si ignorano, quando non sono l’un contro l’altro armati.

. Veniamo ora della questione delle abitazioni. Cagliari, in costante emorragia di abitanti in favore dei centri limitrofi, non può pensare di risolvere il problema riattirando gli abitanti perduti per i quali costruire nuove abitazioni, che andrebbero a saturare le poche aree disponibili. L’operazione già di per sè non condivisibile di “Su Stangioni” potrebbe essere letta in questa luce, specie pensando al possibile aumento dell’edificabile (vedasi al riguardo l’ottimo dossier predisposto dal circolo PD Copernico di Cagliari) (3). Piuttosto occorrerebbe rimettere in gioco le numerose case sfitte e riqualificare il patrimonio edilizio esistente, soprattutto in favore dei ceti meno abbienti e delle fasce giovanili. Si deve pertanto affrontare la questione abitativa in termini di “area vasta urbana”, con appositi piani intercomunali. Occorre al riguardo pianificare il territorio insieme con gli altri Comuni dell’area vasta. Cosa che si dovrebbe fare subito e che non si fa, ma che sarebbe più agevole (e obbligatorio) fare con la costituzione della città metropolitana (vedasi al riguardo lo studio della Società geografica italiana in collaborazione con il CNR) (4). Le responsabilità di questa situazione negativa sono tutte della classe politica. Ne vogliamo parlare?

Tornando al dibattito sulle linee strategiche, volendo individuarne una prioritaria, ovviamente discutibile, ci sembra interessante proporre quella avanzata da Paolo Fadda, storico e studioso cagliaritano, nel suo recente libro “Da Karel a Cagliari”, riassunta nella rappresentazione di una “Cagliari città d’acqua”, che punta sui suoi stagni e soprattutto sul mare come nuova opportunità di sviluppo. Sostiene Fadda: “La nuova centralità assunta da Mediterraneo, per l’emergere di nuove potenzialità ed aspirazioni economiche fra i popoli rivieraschi, fa ben sperare che il mare ritorni ad essere la locomotiva trainante del progresso cittadino”.
In questa proposta, che condivido, trovo un ideale accordo, con Giovanni Lilliu, nel momento in cui invitava i sardi (e qui Cagliari può dare l’esempio e dimostrare l’intraprendenza dei cagliaritani) a “riconquistare” il mare (“per riconquistare la libertà”, diceva Lilliu), facendo leva, valorizzando e, se vogliamo, anche superando, la famosa “costante resistenziale” (al riguardo facciamo riferimento all’intervista fattagli da Francesco Casula per Cittàquartiere, nel maggio 1987) (5).

Bene! Dunque guardare al mare come nuova frontiera. Ma non si può ridurre tutto alla suggestiva enunciazione.
Cosa può significare questa “scelta strategica”, ovviamente se condivisa (ed è tutto da verificare)?
Possiamo trovare molte e significative implicazioni, che lasciamo all’approfondimento e alle integrazioni del dibattito, riconoscendo come in molti casi si tratta di sviluppare quanto di positivo si sta già facendo (porto, porto-canale, Poetto). Voglio però qui indicarne alcune, solo a mo’ di esempio, in aggiunta a quanto già detto. Si potrebbe:
- predisporre un utilizzo turistico del complesso lagunare;
- riprendere un utilizzo produttivo delle saline;
- riconvertire la Fiera internazionale e aprirla al mare;
- rafforzare le pratiche sportive sull’acqua;
- orientare investimenti d’impresa sulla cantieristica da diporto, proiettandoli verso nuovi mercati come quelli del nord Africa;
- rafforzare il sistema formativo, a partire dagli Istituti professionali nautici fino a dare vita all’ “Università del mare”, basandosi sulle competenze esistenti negli Atenei sardi, anche con l’utilizzo delle aree e strutture da smilitarizzare.
Volutamente in queste riflessioni si tralasciano gli aspetti che attengono all’incontro tra differenti culture dei paesi del bacino del Mediterraneo, che potrebbero vedere Cagliari come centro di scambi e iniziative di rilevante importanza. Questo è un ulteriore filone di riflessione.

Per concludere: pensare, progettare e fare tutte queste cose nella dimensione sarda, europea e internazionale implica una condizione: che emerga e si consolidi una nuova classe dirigente, non solo politica, che sappia ragionare e agire, con unità d’intenti, e che sappia coinvolgere i cittadini nelle scelte che li riguardano. Le elezioni regionali ed europee in questo senso sono la prima ravvicinata opportunità da non sprecare.
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(1) Piano strategico Cagliari: http://www.comune.cagliari.it/portale/it/terrirtorio_areavasta.page
(2) Piano strategico Area vasta Cagliari: http://www.comune.cagliari.it/portale/it/contentview.page?contentId=SCH50524
(3) Circolo Pd Copernico di Cagliari, dossier “Su Stangioni”: http://circolocopernico.wordpress.com/2013/05/27/lo-strano-caso-di-su-stangioni-politiche-residenziali-a-cagliari/
(4) Studio Società geografica italiana-CNR: http://www.societageografica.it/images/stories/Pubblicazioni/e-book_il_riordino_territoriale_dello_stato.pdf
(5) Intervista a Giovanni Lilliu: https://www.aladinpensiero.it/?p=545“%3Ehttps://www.aladinpensiero.it/?p=545
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Ilario Principe Cagliari libro
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Todos cabaleros, tutus programmadores!

dritto e rovescio Maria Lai2Dritto&Rovescio.sedia-van-gogh4
di Vanni Tola
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Da un po’ di tempo, in modo particolare, ma direi da sempre, chiunque sappia scrivere due righe e abbia una sia pur minima conoscenza di cose di Sardegna, si cimenta nella difficile arte della programmazione dello sviluppo dell’isola. Ottime idee e vere e proprie idiozie sono presentate ai sardi come la soluzione vincente per uscire dalla crisi, per avviare un nuovo modello di sviluppo, per individuare il settore portante per una nuova rinascita, per conquistare dipendenza e autonomia dall’Italia, dall’Europa, dal mondo intero. Analogo impegno è esercitato nel confutare e contrastare qualunque progetto di sviluppo, qualunque proposta di investimento industriale e produttivo che non coincida con le opinioni personali degli occasionali “consigliori” dei Sardi. Unire le Università di Cagliari e Sassari in un’unica Università? Ed ecco che qualcuno propone di farlo in campo neutro, a Nuoro. Perché? Per garantire una forte ipotesi di sviluppo alla città del centro Sardegna. Sì ma perché no a Oristano o in altre parti della Sardegna? Rilanciare lo sviluppo dell’isola sviluppando la centralità dell’agro-pastorizia? Si va bene ma c’è chi parla anche della centralità del turismo come prioritaria su tutti gli altri comparti produttivi. Biochimica e biotecnologie (e non chimica verde che sembra una parolaccia impronunciabile)? Per carità, Dio ce ne scampi e liberi, niente chimica. C’è sempre qualcuno che reclama il diritto alla conservazione dell’ambiente sardo cosi com’è, immutato, bello come una cartolina. Pazienza se non da lavoro e risorse ai sardi, tanto i teorici dell’incontaminato assoluto spesso traggono la loro fonte di sostentamento da sorgenti certe, affidabili e perenni. Coltivare cardi e canne per produrre prodotti che utilizziamo tutti i giorni quali l’etanolo (nelle benzine) e le resine che fanno parte degli pneumatici delle nostre auto? Giammai, “ a fora” questi progetti. Poco importa se cosi facendo continueremo a ricavare tali sostanze dal buon vecchio petrolio. Le canne poi, come i cardi, presenti da sempre nel territorio, possono e devono essere utilizzate soltanto per dare titoli a opere letterarie (Canne al vento), per suggestioni poetiche e per costruire launeddas. Basta. Allora come ne veniamo fuori? Direi che un aiuto prezioso potremmo riceverlo dalla saggezza popolare, da sempre guida per i popoli. “ A donz’unu s’arte sua”. La programmazione dello sviluppo di un’area geografica deve essere demandata a esperti del settore di comprovata esperienza, magari attraverso un bando internazionale e un concorso di idee serio ed efficace. Le direttive di sviluppo dei diversi comparti produttivi della nostra modesta economia devono essere indicati da chi ha le competenze necessarie per farlo. Non può essere un comune cittadino o un rappresentante politico appena insediato nel consiglio regionale a poter stabilire quale deve essere lo sviluppo dell’agro-industria, della sanità, dei trasporti, del turismo per il solo fatto di aver ricevuto una investitura politica nelle ultime elezioni. Qualcuno potrebbe osservare che cosi facendo si corre il rischio di escludere il popolo sardo dalla possibilità di manifestare opinioni sulle scelte di sviluppo e sui destini dell’Isola. Timore comprensibile che non si esorcizza però con il libero esercizio della programmazione fai da te. Il modello di sviluppo deve anche essere (direi soprattutto essere) una proposta convincente e coinvolgente verso i Sardi. Forme di consultazione popolare e di coinvolgimento diretto delle amministrazioni locali, dei comitati dei cittadini, dovranno essere certamente garantite e precedute da serie e obiettive campagne di informazione che favoriscano scelte ragionate e orientamenti consapevoli dei singoli. Ma occorre, a mio parere, una scelta di obiettività e di consapevolezza. Creare un movimento per il “no” a qualcosa è facile, basta una assemblea e pochi militanti determinati per generare la convinzione che un’intera comunità, una vasta area sia effettivamente contraria a questo o quel progetto. Se poi si va a verificare il reale livello di informazione fra la gente si realizza che è generalmente molto basso. Il discorso sarebbe analogo anche per i comitati per il “si” a qualcosa che, e forse non è un caso, sono in realtà molto pochi. Intanto che l’opinione pubblica si divide in interminabili discussioni, si misura con convegni e analisi sul tutto e sul niente la Sardegna naviga a vista mancando di tutto, dal piano industriale al piano energetico, dalla programmazione di interventi per arginare lo spopolamento alla politica per l’occupazione e il lavoro. Capitano cercasi per questa sgangherata nave.

Dai movimenti degli anni settanta alla Sardegna di oggi. Ricordando Riccardo Lai

MANIFESTO11 ric laiI MOVIMENTI TRA IERI E OGGI
- In attesa degli atti del Convegno continuiamo con la pubblicazione di alcuni interventi (abbiamo iniziato con quelli del direttore, di Vanni Tola e, oggi, proseguiamo con la relazione introduttiva al Convegno di Benedetto Sechi. Mano a mano che ci perverranno pubblicheremo anche gli altri e inoltre daremo conto della pubblicazione delle relazioni in altre news. Avvertiamo che si tratta di interventi che ci sono pervenuti per iscritto e che durante il Convegno sono stati per lo più arricchiti “a braccio”. Abbiamo anche riportato la trascrizione di un intervento inedito di Riccardo Lai, l’ultimo della sua vita di militante impegnato nelle lotte sociali. La Fondazione Sardinia ha comunicato che quanto prima sarà disponibile nel nel suo sito web l’intera registrazione video delle due giornate di lavori dell’evento. ape-innovativaLa pagina fb dell’evento.
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Intervento introduttivo di Benedetto Sechi

Ripercorrendo le lotte, di proposta e di protesta dei movimenti giovanili, si comprende quanta strada è stata fatta, quanti rallentamenti, quanti passi avanti e quanti indietro per arrivare fin qui. Buon esercizio per la memoria! Non sono mai stato un buon archivista, ho sempre accumulato a casaccio, anche nella mia testa. Quindi mi sono sorpreso, ricordando i fatti, le immagini, i documenti, gli articoli, a pensare che tanto è cambiato negli strumenti di comunicazione, dal ciclostile a facebook il passo è lungo, molto meno è mutato nelle esigenze, nelle rivendicazioni nel malessere sociale. Solo alcune questioni hanno assunto proporzioni gigantesche: la diffusione delle droghe ad esempio, la violenza sulle donne, quello che oggi con un brutto sillogismo chiamiamo “femminicidio”. Ma due sono i temi irrisolti, in questi trent’anni e più, che scorreranno davanti a noi e che sono rimasti, costantemente, al centro delle proteste e del disagio delle generazioni che si sono avvicendate: La Scuola e il Lavoro! Certo, con alti e bassi, ma in fondo, in tutti questi anni, chi ha governato l’Italia, e la Sardegna, non ha mai saputo progettare e realizzare riforme soddisfacenti. Pensiamo alla riforma Berlinguer sui percorsi universitari, pensiamo all’incapacità di dotarsi di politiche di sviluppo che sapessero metter un freno alla crescente perdita di posti di lavoro e alla creazione di nuovi, cambiando il modello produttivo imposto con l’industria pesante. Facendo questa considerazione non voglio certo dire che le generazioni che si sono susseguite, siano uguali. Le differenze per fortuna ci sono, per le influenze culturali, la musica, l’arte, modi diversi di trascorrere il tempo libero e di rapportarsi tra loro, ma in tanti tratti esse sono simili, proprio perché uguali sono i problemi che devono affrontare.
Prima di addentrarmi in questo viaggio nel tempo, che per la verità un poco temo, vorrei dedicare un pensiero a Riccardo, Riccardone come tutti noi lo chiamavamo. Di lui sono tante le cose che si possono ricordare, lo faremo in questi giorni, lo farà ogni persona che lo ha conosciuto. Riccardo era un uomo di una intelligenza straordinaria, con una capacità innata nel sapersi rapportare con chiunque, in fabbrica, tra noi operai, era amato e i suoi interventi, a nome del movimento degli studenti, non solo erano apprezzati, ma se lui si trovava in sala mensa, erano attesi e richiesti. Ma il mio pensiero va innanzitutto alle sue doti umane alla sua enorme autoironia, a quel non prendersi mai troppo sul serio, elemento distintivo delle grandi persone. Ironia, entusiasmo, fantasia, intelligenza, che egli esprimeva in ogni contesto e in ogni azione.
Nella meta degli anni 70’ la SIR di Rovelli ottiene pareri di conformità per raddoppiare gli impianti di Porto Torres e Assemini, si costruisce anche a Isili e, per non farci mancare niente, lo Stato Italiano, decide che neppure a Ottana ci starebbe male un poco di chimica, c’era da fronteggiare il fenomeno del banditismo e questa sembrava una buona soluzione. Altrettanto fa Ursini con la Liquichimica, così come la Montedison. Insomma mentre Rovelli con le sue scatole cinesi, quasi cento aziende, si impegna per saccheggiare le risorse del Piano di Rinascita, della Legge 268, gli altri non stanno a guardare e in Veneto, in Toscana, in Sicilia, gli impianti che producono chimica di base proliferano.
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La Sardegna e il turismo. Sei testimoni raccontano l’industria delle vacanze

negozio amb 9ago14 villasimiusUn libro di Sandro Ruju

L’industria delle vacanze attraverso il racconto di sei testimoni.
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sedia-van-gogh4di Vanni Tola
Parlare del turismo sardo tra la gente è sempre un’esperienza curiosa e intrigante. Si scopre che, come spesso accade per vicende calcistiche, anche in questo caso tutti diventano ”esperti”. Ciascun sardo ritiene, di essere profondo conoscitore della materia e, naturalmente, il depositario di progetti, piani e valide soluzioni per migliorare il comparto turistico. Tutto ciò deriva dal fatto che la conoscenza del settore è spesso superficiale e talvolta basata su luoghi comuni e credenze popolari diffuse piuttosto che su dati di fatto oggettivi. L’opera che presentiamo, Il libro “La Sardegna e il turismo” dello storico Sandro Ruju ha appunto il grande merito di individuare dei punti fermi per una migliore conoscenza del comparto turistico regionale. Un’indagine molto accurata realizzata intervistando testimoni e protagonisti dell’evoluzione del turismo in Sardegna. Lo storico Manlio Brigaglia, Bruno Asili, per lungo tempo direttore del Centro Regionale di Programmazione e Commissario dell’Esit e dell’Isola, Umberto Giordano anch’egli direttore dell’Esit dopo una lunga carriera trascorsa all’Ente provinciale per il Turismo di Sassari, Antonio Mundula esponente storico dell’imprenditoria alberghiera cagliaritana e, infine, due protagonisti dell’imprenditoria isolana: Pasqua Salis, realizzatrice insieme al marito Peppeddu Palimodde, dell’azienda che ha realizzato il complesso turistico di Su Gologone e Gianfranco Tresoldi che ha vissuto l’esperienza di direttore dell’albergo Pontinental di Platamona. Un albergo che nel 1963, con i suoi 300 posti-letto, era la più grande struttura ricettiva della Sardegna e operava per ben sei mesi l’anno. Attraverso il racconto dei protagonisti intervistati dall’autore, emerge una visione d’insieme del comparto turistico particolarmente interessante che fa giustizia di molti luoghi comuni. Prima degli anni Cinquanta il turismo in Sardegna era quasi inesistente, evidenti limiti locali ne impedivano lo sviluppo (malaria ancora diffusa, rete di trasporti quasi inesistente, assenza di capacità professionali e imprenditorialità di settore). In quegli anni l’isola aveva appena 700 camere d’albergo, di cui solo cinquanta col bagno. Attualmente l’attività ricettiva appare ampia e diversificata. Circa 110 mila posti-letto nei 920 alberghi e quasi altrettanti negli esercizi complementari, campeggi, villaggi e bad and breakfast. Dagli anni Cinquanta a oggi il turismo sarebbe stato, a parere di Manlio Brigaglia, il responsabile di una “catastrofe antropologica” da intendere naturalmente come profondo cambiamento nel modo di vivere e di pensare del popolo sardo. Quindi qualcosa di molto importante per l’Isola. Nell’introduzione del libro, l’autore evidenzia che il turismo locale, dopo una lunga fase di sviluppo, ha attraversato una preoccupante crisi caratterizzata da un considerevole calo delle presenze, particolarmente in Gallura (area che rappresenta circa il 40% dei flussi turistici isolani). Tale crisi ha determinato una consistente contrazione dell’indice di utilizzo delle strutture ricettive e quindi dei bilanci delle aziende operanti nel settore. Una nota positiva è rappresentata da un’inversione di tendenza avviata nel 2013 che ha riportato l’indice di presenza negli alberghi ai valori del 2011, facendo pure registrare un significativo cambiamento della domanda con una maggiore presenza di stranieri, favorita anche dallo sviluppo dei voli aerei low cost. Gli alberghi sardi, in prevalenza di fascia medio – alta, trovano difficoltà a competere sul mercato in termini di costi. Si tende a identificare l’avvio del turismo nella nostra regione con la nascita del Consorzio Costa Smeralda, in realtà, la valorizzazione turistica del nostro territorio ha una storia molto più lunga e ancora in parte da ricostruire. I primi stabilimenti balneari, per esempio, sorsero ad Alghero e a Cagliari nel biennio 1862-63, pochi anni dopo la creazione del più famoso Lido di Venezia. Molto prima della costituzione del Consorzio Costa Smeralda si registrarono nell’isola diversi tentativi di realizzare un’industria turistica. – segue –

Dai movimenti degli anni settanta alla Sardegna di oggi. Ricordando Riccardo Lai

MANIFESTO11 ric laiI MOVIMENTI TRA IERI E OGGI
- In attesa degli atti del Convegno continuiamo con la pubblicazione di alcuni interventi (abbiamo iniziato ieri con quello del direttore oggi ospitiamo quello di Vanni Tola). Mano a mano che ci perverranno pubblicheremo anche gli altri e inoltre daremo conto della pubblicazione delle relazioni in altre news. Avvertiamo che si tratta di interventi che ci sono pervenuti per iscritto e che durante il Convegno sono stati per lo più arricchiti “a braccio”. Salvatore Cubeddu ha comunicato che quanto prima sarà disponibile nel sito della Fondazione Sardinia l’intera registrazione video delle due giornate di lavori del Convegno. ape-innovativa.
- La pagina fb dell’evento.
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Comunicazione di Vanni Tola*

Ricordare Riccardo Lai, il suo operato di giovane militante impegnato, attraverso la rilettura delle caratteristiche e delle peculiarità dei movimenti che lo videro protagonista o partecipe mi pare un’ottima scelta degli organizzatori del convegno.
Lo vorrei ricordare parlando della legge 285 con particolare riferimento alla costituzione di cooperative nelle campagne e al movimento per il recupero produttivo delle terre incolte.

Anni settanta, tre problemi preponderanti nel sistema Sardegna: a) fallisce il piano di industrializzazione per poli petrolchimici, non si realizza quel processo di industrializzazione diffusa che tali insediamenti avrebbero dovuto determinare; b) non decolla, se non parzialmente, la riforma del comparto agro-pastorale e la creazione del monte dei pascoli che avrebbe dovuto rappresentare la risposta alternativa al fallimento dei piani di rinascita; c) cresce la disoccupazione giovanile e riprende l’emigrazione.
Nel 1977 arrivò la legge 285 – provvedimenti per l’occupazione giovanile. Una buona legge (pur con i suoi molti limiti) che meriterebbe una rivisitazione critica per riscoprirne proposte che potrebbero ancora oggi essere considerate valide.
Il provvedimento dedicava grande attenzione al comparto agricolo. Prevedeva l’impiego straordinario di giovani in attività agricole, il finanziamento di programmi regionali di lavoro produttivo per opere e servizi socialmente utili; l’incoraggiamento dell’accesso dei giovani alla coltivazione della terra; attività di formazione professionale con contratti di formazione; la costituzione, presso i comuni, di liste speciali di collocamento per i giovani tra i 15 e i 29 anni.
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Giovani contro vecchi?

George Lacombe Le eta della vita
di Gonario Francesco Sedda

Che l’Italia non sia un Paese per i giovani, ma sia fatto per i vecchi è un luogo comune della propaganda orchestrata dagli intellettuali organici del potere. Viene riproposto uno scontro tra generazioni ingigantito dentro una costruzione ideologica concepita da “menti mature” (e persino da “grandi vecchi”) nella quale rimane invischiata una parte non trascurabile degli stessi giovani. Ma come mi è capitato di scrivere altre volte, questo tipo di affermazioni dicono meno di quel che sembra. Il loro punto debole sta nel fatto che le parole vengono usate in chiave evocativa: alludono a qualcosa di vero, ma per andare oltre verso conclusioni che non hanno un rapporto strettamente consequenziale con quel nucleo di verità a cui alludono.
Così, se si pensa che in Italia nel 2014 il tasso di disoccupazione rimane sopra il 40% per i giovani tra i 15 e i 24 anni e che sono tra i due e tre milioni i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano, l’affermazione che l’Italia non sia un Paese per i giovani coglie un nucleo di verità. Ma se a questa insopportabile condizione dei giovani viene contrapposto il mondo dei “vecchi garantiti” e se addirittura si indica come causa della miseria giovanile i privilegi dei vecchi, allora i conti non tornano.
Intanto occupato (a tempo determinato o indeterminato) non coincide con vecchio e viceversa disoccupato non coincide con giovane. Quella parte dei giovani che trovano un lavoro a tempo indeterminato restano giovani (non diventano vecchi) e quella parte dei vecchi che perdono il lavoro e diventano precari non per questo cessano di essere vecchi (non diventano giovani).
Costruendo e esaltando una contrapposizione tra giovani e vecchi, gli ideologi del blocco dominante nascondono le vere responsabilità di chi ha il potere di creare occupazione e di governare la disoccupazione. I lavoratori non creano occupazione: qualunque sia il loro stato contrattuale (schiavi, precari, stabili, privilegiati e non), qualunque sia il loro grado di sindacalizzazione e qualunque sia la qualità del loro lavoro essi non assumono altri lavoratori. Sono le imprese e le istituzioni che creano occupazione e le cause delle crisi vanno cercate nel mondo delle imprese e delle istituzioni. E poiché i capitalisti chiamano capitalistico quel mondo, è nel capitalismo che si devono cercare le cause delle crisi.
Ma cosa vuol dire essere giovane o vecchio? Troppo spesso il confine tra l’uno e l’altro scompare e le parole assumono un generico colore evocativo. Tuttavia un riferimento sembra necessario per evitare che nelle discussioni si parli di cipolle come fossero patate.
L’Istat distingue tre fasce principali di età (dentro le quali si possono fare poi altre distinzioni): 0-14 anni, 15-64 anni, 65 anni e oltre. La fascia centrale rappresenta la parte della popolazione in età lavorativa (attiva di fatto o potenzialmente) e le altre due la parte inattiva. Sulla base di questa tripartizione vengono calcolati l’Indice di vecchiaia, che rappresenta il rapporto percentuale tra il numero degli ultrasessantacinquenni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni; e l’Indice di dipendenza strutturale, che rappresenta il carico sociale ed economico della popolazione non attiva (giovani fino ai 14 anni e ultrasessantacinquenni) su quella attiva (15-64 anni).
In questo quadro è possibile indicare con ragionevole approssimazione un’età in cui si finisce di essere “giovani” per passare alla maturità e poi all’anzianità e alla vecchiaia?
Bisognerà arginare la tendenza a una estensione “politica” del tempo della giovinezza in forza del fatto che se non lavori o non campi pur lavorando, allora sei “ancora” un giovane in cerca di lavoro o un precario invece che un adulto disoccupato o precario.
Garanzia Giovani (Youth Guarantee), il Piano Europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile, si rivolge ai giovani tra i 15 e i 29 anni fino al compimento dei 30.
Coldiretti Giovani riunisce tutti i soci tra i 18 e i 30 anni.
Il portale Giovane Impresa si rivolge a giovani tra i 18 ed i 35 anni.
In Toscana la Legge sull’imprenditoria giovanile e femminile si rivolge a giovani tra i 18 anni (compiuti) e i 40 (non compiuti).
Più in generale capita di sentire o leggere la notizia che è stato investito sulle strisce pedonali un “giovane” di … 48 anni!
Ma la giovinezza estesa fino a 40 anni sembra proprio esagerata. Basta infatti ricordare che nel 2013 l’età media della popolazione italiana era di 43,5 anni. La giovinezza “toscana” arriva dunque poco sotto l’età media degli italiani. Inoltre è anche troppo lontana dall’estremo inferiore della fascia della popolazione attiva che è 15 anni con una distanza di 25.
Il limite di 29 anni fino al compimento dei 30 del Piano europeo sembra più ragionevole, ma non senza una qualche criticità. Vi è infatti da considerare il raggiungimento del massimo contributivo (42 anni) e dell’età pensionabile (ormai oltre i 64 anni). Chi fosse ancora “giovane” disoccupato a 30 anni dovrebbe lavorare fino a 72 per raggiungere il massimo contributivo e la miglior pensione. Altrimenti avrà anche una cattiva vecchiaia dopo aver avuto una cattiva giovinezza. Per me un giovane che si laurea a 25 anni e trova lavoro a 30 è un “adulto rimasto disoccupato per cinque anni” che ha ragione di prendersela non con i vecchi lavoratori, ma con chi può creare occupazione e tuttavia non ha convenienza o non è in grado di crearla. Anche chi comincia a lavorare a 25 anni è già al limite critico perché per raggiungere il massimo contributivo e la miglior pensione deve lavorare sicuramente fino a 67 anni “qualsiasi sia il suo lavoro”.
A questo punto viene fuori il carattere truffaldino anche di un’altra vittoria ottenuta dal blocco dominante facendo leva sull’opposizione generazionale giovani-vecchi: il fortissimo depotenziamento (o forse lo smantellamento) della previdenza a carattere universalistico e a gestione pubblica in favore di una previdenza a capitalizzazione individuale e a gestione in parte pubblica (a costi più bassi) e in parte privatistica (a costi più alti e profittevole soprattutto per il mondo assicurativo).
Alla base di quella opposizione generazionale si è messa (e, quando si torna sull’argomento, ancora si mette) un’idea inconsistente e strampalata: l’idea che i giovani resteranno giovani e non diventeranno vecchi e che i vecchi sono sempre stati vecchi e non sono mai stati giovani. Quindi in questo schema i vecchi sono diventati (e diventano) un peso sulle spalle dei giovani “incomprensibilmente generosi” rispetto alla possibilità di “capitalizzare” le proprie risorse solo per sé stessi, liberamente e in modo personalizzato.
Come se nella scena tutto stesse fermo: i giovani che sopportano il peso “sarebbero sempre gli stessi” e anche i vecchi che sono di peso “sarebbero sempre gli stessi”. Bella operazione ideologica, bel trucco! Ma nella realtà tutto si muove: i giovani di oggi saranno i vecchi di domani e i vecchi di oggi sono stati i giovani di ieri.
Per questo le generazioni si possono rapportare in termini di “mutualità” e non in termini di peso (carico, gravame) dell’una rispetto all’altra.
Eppure l’idea “strampalata” è passata. Sotto una sproporzionata potenza di fuoco dell’apparato ideologico del blocco dominante quell’idea è diventata “senso comune” e poi azione politica vincente.
Non è vero che le bugie hanno sempre le gambe corte. Come diceva Eduardo De Filippo, vi sono bugie che hanno le gambe lunghe. Ve ne sono che corrono da quando è nato il mondo: sono quelle che piacciono al padrone. Sono sempre bugie con le gambe corte i discorsi contro il padrone: a queste lui «spezza ’e gamme e dice ca so’ corte».
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Articolo pubblicato anche su Democraziaoggi
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bandiera SardegnaEuropa La Sardegna ha una propria politica europea ed estera? Rimandiamo la risposta a dopo la missione di Pigliaru a Bruxelles
Questi gli impegni a Bruxelles del presidente Pigliaru, segnalati da L’Unione Sarda di domenica 5 ottobre.
Pigliaru domani sarà a Bruxelles – Missione europea per il Comitato delle Regioni
Trasferta a Bruxelles, domani e martedì, per il governatore Francesco Pigliaru che si insedia al Comitato delle Regioni. Ma per il presidente sono previsti anche numerosi altri appuntamenti istituzionali, sia Ue sia con i sardi che lavorano nelle istituzioni comunitarie… (vedi ulteriori dettagli).

Vedremo se gli esiti di tali incontri daranno conto dell’esistenza di una politica europea ed estera della Sardegna. Se non altro cercheremo di capire se persiste la fragilità dell’impostazione e delle iniziative concrete segnalate dal rapporto presentato dalla Giunta al Consiglio in adempimento della legge regionale 13/2010.
Per aiutarci a rispondere a questi interrogativi, nei prossimi giorni, partiamo dalle riflessioni da noi espresse il 7 aprile 2014, che sotto in parte ripubblichiamo a mo’ di “pro memoria”.

ape-innovativaPigliaru: poca sardità e scarso europeismo
7 Aprile 2014
di Franco Meloni
(…) Le dichiarazioni programmatiche del presidente Pigliaru hanno due “deficit politici”, di fondamentale importanza, che attengono uno alla sardità e l’altro all’europeismo. Tratto queste due questioni in maniera intrecciata, come è giusto che sia. Non è pensabile che il programma del presidente (e della sua coalizione), così come è attualmente formulato, prescinda da una esplicita visione del posizionamento istituzionale della Sardegna, oggi e in prospettiva, in Italia e in Europa. Al riguardo è vero che Pigliaru non poteva sollevare la bandiera dell’indipendentismo o del sovranismo che lo vuole praticare anticipatamente (gli indipendentisti e i sovranisti sono pur sempre una minoranza, seppure importante, della coalizione di centro sinistra), ma la visione che sottende il documento appare francamente riduttiva, niente altro di diverso da un “autonomismo sbiadito”, che non ci porta molto lontano. Pigliaru si guarda bene dal pronunciare parolacce quali indipendentismo e sovranismo e neppure federalismo, utilizza in un passaggio il termine “sovranità” nell’accezione di auto-responsabilità (cito testualmente: “…il principale esercizio di sovranità cui vogliamo dedicare tutta le nostre capacità ed energie, è un’essenziale assunzione di responsabilità verso cui orientiamo la nostra azione di governo”). Non basta certo! Specie nell’attuale momento storico, che ha necessità di una Sardegna rinnovata, anche nelle sue istituzioni, consapevole delle proprie risorse e potenzialità, capace quindi di un suo protagonismo, indispensabile per sopravvivere nel quadro degli attuali rapporti di forza tra entità territoriali (nel confine statuale e in quello europeo). E’ solo in questo quadro, che, come detto, richiede anche una nuova struttura istituzionale della regione, che credo possa iscriversi, come alcuni chiedono: un auspicabile progetto organico di trasformazione e sviluppo, insomma un “nuovo piano di rinascita” della Sardegna. Per fare tutto questo non si può prescindere da una politica sulla lingua sarda, sull’identità sarda, sull’università della Sardegna… in definitiva su chi siamo noi sardi e chi vogliamo o vorremo/vorremmo essere. E, allora: è possibile che Pigliaru non parli della nuova costituente statutaria, a cui siamo tenuti anche in virtù degli esiti referendari sardi? E’ possibile che parli dell’Europa sostanzialmente come vincolo per la nostra economia, come purtroppo è, ma che non necessariamente deve continuare ad essere, o, ancora, come bancomat per prelevare tutte le risorse finanziarie possibili? Importante ma terribilmente riduttivo. E’ possibile che parli d’Europa senza fare cenno all’incredibiie situazione di discriminazione politica dei sardi, impossibilitati, per ottusa e incostituzionale legge italiana (modificabile domani se solo ci fosse la volontà politica dei grandi partiti italiani) ad avere propri rappresentanti nel parlamento europeo? Si chieda Pigliaru se, per fare un esempio, le stesse nostre difficoltà di utilizzare pienamente e con efficacia i fondi europei siano solo problemi organizzativi e di preparazione del personale tecnico, amministrativo e anche politico. Come pur è vero, ma non sono spiegazioni sufficienti a dare conto della situazione. Credo infatti che questo come tanti altri problemi non possano essere disgiunti da uno, più pesante di tutti: l’incapacità della Regione di esercitare un ruolo politico nel quadro europeo, sia nei confronti dell’Italia che s’interpone tra la regione e le istituzioni europee, sia nei confronti dell’istituzioni europee, direttamente, laddove ciò è possibile, anche attualmente, per esempio per incidere, modificandole o integrandole, sulle politiche europee. Ma di tutto quanto detto Pigliaru non si cura, destando il più che legittimo sospetto che per lui bastino l’onestà, la competenza, la tecnica e la razionalità per risolvere i problemi della Sardegna, minimizzando quello che in realtà è soprattutto un problema di Politica. Si dirà che la coalizione del centro sinistra potrà integrare il programma e precisare l’impostazione data dal presidente. Vedremo e vedremmo. Nel mentre parliamo, scriviamo e sottoponiamo i nostri argomenti al presidente, ai politici, ai cittadini sardi…
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Nel primo riquadro: Georges Lacombe, “Le età della vita”

La Sardegna ha una propria politica europea ed estera? Rimandiamo la risposta a dopo la missione di Pigliaru a Bruxelles

bandiera SardegnaEuropaQuesti gli impegni a Bruxelles del presidente Pigliaru, segnalati da L’Unione Sarda di domenica 5 ottobre.
Pigliaru domani sarà a Bruxelles – Missione europea per il Comitato delle Regioni
Trasferta a Bruxelles, domani e martedì, per il governatore Francesco Pigliaru che si insedia al Comitato delle Regioni. Ma per il presidente sono previsti anche numerosi altri appuntamenti istituzionali, sia Ue sia con i sardi che lavorano nelle istituzioni comunitarie… (vedi ulteriori dettagli).

Vedremo se gli esiti di tali incontri daranno conto dell’esistenza di una politica europea ed estera della Sardegna. Se non altro cercheremo di capire se persiste la fragilità dell’impostazione e delle iniziative concrete segnalate dal rapporto presentato dalla Giunta al Consiglio in adempimento della legge regionale 13/2010.
Per aiutarci a rispondere a questi interrogativi, nei prossimi giorni, partiamo dalle riflessioni da noi espresse il 7 aprile 2014, che sotto in parte ripubblichiamo a mo’ di “pro memoria”.

ape-innovativaPigliaru: poca sardità e scarso europeismo
7 Aprile 2014
di Franco Meloni
(…) Le dichiarazioni programmatiche del presidente Pigliaru hanno due “deficit politici”, di fondamentale importanza, che attengono uno alla sardità e l’altro all’europeismo. Tratto queste due questioni in maniera intrecciata, come è giusto che sia. Non è pensabile che il programma del presidente (e della sua coalizione), così come è attualmente formulato, prescinda da una esplicita visione del posizionamento istituzionale della Sardegna, oggi e in prospettiva, in Italia e in Europa. Al riguardo è vero che Pigliaru non poteva sollevare la bandiera dell’indipendentismo o del sovranismo che lo vuole praticare anticipatamente (gli indipendentisti e i sovranisti sono pur sempre una minoranza, seppure importante, della coalizione di centro sinistra), ma la visione che sottende il documento appare francamente riduttiva, niente altro di diverso da un “autonomismo sbiadito”, che non ci porta molto lontano. Pigliaru si guarda bene dal pronunciare parolacce quali indipendentismo e sovranismo e neppure federalismo, utilizza in un passaggio il termine “sovranità” nell’accezione di auto-responsabilità (cito testualmente: “…il principale esercizio di sovranità cui vogliamo dedicare tutta le nostre capacità ed energie, è un’essenziale assunzione di responsabilità verso cui orientiamo la nostra azione di governo”). Non basta certo! Specie nell’attuale momento storico, che ha necessità di una Sardegna rinnovata, anche nelle sue istituzioni, consapevole delle proprie risorse e potenzialità, capace quindi di un suo protagonismo, indispensabile per sopravvivere nel quadro degli attuali rapporti di forza tra entità territoriali (nel confine statuale e in quello europeo). E’ solo in questo quadro, che, come detto, richiede anche una nuova struttura istituzionale della regione, che credo possa iscriversi, come alcuni chiedono: un auspicabile progetto organico di trasformazione e sviluppo, insomma un “nuovo piano di rinascita” della Sardegna. Per fare tutto questo non si può prescindere da una politica sulla lingua sarda, sull’identità sarda, sull’università della Sardegna… in definitiva su chi siamo noi sardi e chi vogliamo o vorremo/vorremmo essere. E, allora: è possibile che Pigliaru non parli della nuova costituente statutaria, a cui siamo tenuti anche in virtù degli esiti referendari sardi? E’ possibile che parli dell’Europa sostanzialmente come vincolo per la nostra economia, come purtroppo è, ma che non necessariamente deve continuare ad essere, o, ancora, come bancomat per prelevare tutte le risorse finanziarie possibili? Importante ma terribilmente riduttivo. E’ possibile che parli d’Europa senza fare cenno all’incredibiie situazione di discriminazione politica dei sardi, impossibilitati, per ottusa e incostituzionale legge italiana (modificabile domani se solo ci fosse la volontà politica dei grandi partiti italiani) ad avere propri rappresentanti nel parlamento europeo? Si chieda Pigliaru se, per fare un esempio, le stesse nostre difficoltà di utilizzare pienamente e con efficacia i fondi europei siano solo problemi organizzativi e di preparazione del personale tecnico, amministrativo e anche politico. Come pur è vero, ma non sono spiegazioni sufficienti a dare conto della situazione. Credo infatti che questo come tanti altri problemi non possano essere disgiunti da uno, più pesante di tutti: l’incapacità della Regione di esercitare un ruolo politico nel quadro europeo, sia nei confronti dell’Italia che s’interpone tra la regione e le istituzioni europee, sia nei confronti dell’istituzioni europee, direttamente, laddove ciò è possibile, anche attualmente, per esempio per incidere, modificandole o integrandole, sulle politiche europee. Ma di tutto quanto detto Pigliaru non si cura, destando il più che legittimo sospetto che per lui bastino l’onestà, la competenza, la tecnica e la razionalità per risolvere i problemi della Sardegna, minimizzando quello che in realtà è soprattutto un problema di Politica. Si dirà che la coalizione del centro sinistra potrà integrare il programma e precisare l’impostazione data dal presidente. Vedremo e vedremmo. Nel mentre parliamo, scriviamo e sottoponiamo i nostri argomenti al presidente, ai politici, ai cittadini sardi…

Repetita iuvant

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europa di fedrica
di Franco Meloni e Vanni Tola*
dall’Archivio di Aladin
Lo abbiamo segnalato più volte, lo sentiamo nell’aria e ce lo ha confermato una recente indagine demoscopica: l’Europa non tira! Nel senso che sempre meno costituisce per i cittadini europei un riferimento positivo di possibile miglioramento. La sua immagine è offuscata dall’incapacità che hanno avuto le istituzioni dell’Unione Europea di fronteggiare la crisi economica, mettendo in essere politiche recessive che l’hanno aggravata. La Grecia soprattutto, ma anche il Portogallo, la Spagna, l’Irlanda e l’Italia permangono nelle difficoltà economiche e il quadro sociale in termini di benessere delle popolazioni e livello di occupazione, specie giovanile, peggiora. Le drammatiche vicende ucraine ci dicono poi quanto sia inconsistente l’Europa come soggetto politico, oggi incapace di orientare le politiche degli Stati, neppure di quelli della stessa area geografica. Segnali inquietanti di una possibile degenerazione di questa situazione sono il fatto che rialzino la testa e crescano in consenso popolare i movimenti e i partiti xenofobi, razzisti e di estrema destra, a fronte dei quali non corrisponde una sufficiente crescita di aggregazioni progressiste che sappiano proporre politiche alternative a quelle dei governi dominanti, verso i quali va principalmente rivolta la critica per questa situazione, soprattutto quindi nei confronti dei partiti moderati che prevalgono alla guida dei governi europei, ma anche dei partiti socialdemocratici che governano in alcuni paesi o che comunque praticano uguali politiche economiche anche attraverso le cd larghe intese. Per non deprimerci evidenziamo anche i segnali positivi rappresentati da vari nuovi movimenti che si propongono, seppure in misura tuttora insufficiente, e attualmente con inferiore incisività rispetto alle formazioni della destra, ma significatamente in crescita. Tra i quali vogliamo mettere in evidenza i movimenti nazionalitari che attraverso vie democratiche combattono per l’autodeterminazione di popoli con identità nazionale ma privi di Stato, come gli scozzesi, i catalani e i baschi e, al livello trasversale il movimento che si va aggregando intorno alla proposta del leader greco Alexis Tsipras, animatore della Lista L’Altra Europa con Tsipras, per la quale si sta lavorando alacremente in Italia.
Le prossime elezioni europee per l’elezione del Parlamento Europeo, che per l’Italia si terranno domenica 25 maggio, a detta di alcuni osservatori saranno in grande misura disertate dai cittadini europei. Tuttavia si ha ragione di credere che parte di questo probabile astensionismo sarà ridotto dalla presenza delle liste indipendentiste e dalle liste con riferimento Tsipras.
Ma parliamo della situazione sarda.
Scrive Adriano Bomboi in un articolato intervento sul sito Sa Natzione, critico sulle posizioni di Sardegna Sostenibile e Sovrana e sulle “conclusioni” del convegno organizzato di recente dalla stessa associazione che hanno visto la possibile convergenza di importanti componenti dell’area indipendentista/sovranista (così come di Sel e della Federazione della Sinistra) con la Lista Tsipras “… per le elezioni europee non siamo pronti, non ci sono le condizioni e tutta la galassia politica autonomista e indipendentista rimane frammentata e scoordinata. Men che meno in questo frangente storico bisogna considerare seria la proposta di ideologizzare a sinistra un qualsivoglia progetto politico sovranista unitario, sia in un ottica regionale che europea…”. Io invece non credo che l’inserimento nella Lista L’Altra Europa con Tsipras di uno o più candidati dell’area Indipendentista/sovranista determini una “ideologizzazione” del progetto di quest’ultima, proprio per la caratteristica aperta della Lista. Anzi l’inserimento ben visibile dei candidati sardi dell’area ne proverebbe l’apertura, allargandola. Proprio perchè altre soluzioni non sono pronte, questa della Lista Tsipras va praticata. L’alternativa è una sana e onesta astensione, organizzata come esplicita posizione politica (anche come critica alla quasi impossibile costituzione della circoscrizione elettorale autonoma sarda, per colpa soprattutto di Pd, Pdl-FI). Per quanto mi riguarda all’astensione preferirei un voto alla Lista Tsipras, sperando nell’auspicato accordo.
Certo va ribadito quanto scritto pochi giorni fa su questo sito da Vanni Tola, a nome della redazione di Aladin, e cioè che avremo voluto Michela Murgia a capo di questa aggregazione sarda all’interno della Lista Tsipras, ma questa opportunità sembra ormai tramontata e non possiamo che prenderne atto, seppure con rammarico. Giova però al di là della persona o delle persone che dovranno rappresentarci riportare le motivazioni che ci hanno indotto e ci inducono a impegnarci e a sollecitare un impegno dei sardi per la Lista Tsipras.
Ripetiamo
La Sardegna non può immaginare alcun tipo di futuro, alcuna prospettiva politica e di sviluppo, prescindendo dalle scelte del Consiglio Europeo che tanta parte hanno negli indirizzi di politica economica e nelle scelte legislative dei paesi aderenti all’Unione. Ne può essere indifferente per i Sardi il fatto che in Europa si affermi questa o quella visione del tipo di Unione da realizzare. Non è indifferente per noi che, con le prossime elezioni europee, si riconfermino le scelte neoliberiste del blocco politico-economico rappresentato dalla Cancelliera Anghela Merkel o che prevalgano altre strategie che favoriscano una visione differente dell’Unione e sappiano tenere conto delle problematiche specifiche dell’area mediterranea. A meno che non ci si vada a collocare in quell’area politica che fonda le proprie scelte sul rifiuto radicale della logica stessa di Unione europea in nome dello statalismo e del nazionalismo ben rappresentata dalla destra europea e, nel nostro paese, dalla Lega, da Forza Italia e dal “grillismo”. Una partecipazione attiva e unitaria dell’area indipendentista e di tutti i sardi al dibattito su quale Europa realizzare, sulle scelte di indirizzo economico e politico del vecchio continente, sulla necessità di completare il processo di unificazione europea superando i limiti dalla sola unione monetaria e bancaria, è necessaria, direi prioritaria in questo particolare momento politico. Sono anche fatti nostri. In questo senso andrebbe analizzata con grande attenzione la possibilità di aderire alla lista Tsipras che nasce come proposta della sinistra europea ma si presenta con un programma di grande apertura a tutte le forze progressiste d’Europa e con dei contenuti sui quali è facilmente raggiungibile un ragionevole consenso, a prescindere dalla differente formazione e posizione politica di ciascuno.
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* viene ripubblicato, con alcune lievi modifiche, l’articolo già pubblicato su Aladin il 2 marzo 2014
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Ecco perchè non ci convincono
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Da un articolo su Aladin dell’8 aprile 2014
(…) Le dichiarazioni programmatiche del presidente Pigliaru hanno due “deficit politici”, di fondamentale importanza, che attengono uno alla sardità e l’altro all’europeismo. Tratto queste due questioni in maniera intrecciata, come è giusto che sia. Non è pensabile che il programma del presidente (e della sua coalizione), così come è attualmente formulato, prescinda da una esplicita visione del posizionamento istituzionale della Sardegna, oggi e in prospettiva, in Italia e in Europa. Al riguardo è vero che Pigliaru non poteva sollevare la bandiera dell’indipendentismo o del sovranismo che lo vuole praticare anticipatamente (gli indipendentisti e i sovranisti sono pur sempre una minoranza, seppure importante, della coalizione di centro sinistra), ma la visione che sottende il documento appare francamente riduttiva, niente altro di diverso da un “autonomismo sbiadito”, che non ci porta molto lontano. Pigliaru si guarda bene dal pronunciare parolacce quali indipendentismo e sovranismo e neppure federalismo, utilizza in un passaggio il termine “sovranità” nell’accezione di auto-responsabilità (cito testualmente: “…il principale esercizio di sovranità cui vogliamo dedicare tutta le nostre capacità ed energie, è un’essenziale assunzione di responsabilità verso cui orientiamo la nostra azione di governo”). Non basta certo! Specie nell’attuale momento storico, che ha necessità di una Sardegna rinnovata, anche nelle sue istituzioni, consapevole delle proprie risorse e potenzialità, capace quindi di un suo protagonismo, indispensabile per sopravvivere nel quadro degli attuali rapporti di forza tra entità territoriali (nel confine statuale e in quello europeo). E’ solo in questo quadro, che, come detto, richiede anche una nuova struttura istituzionale della regione, che credo possa iscriversi, come alcuni chiedono: un auspicabile progetto organico di trasformazione e sviluppo, insomma un “nuovo piano di rinascita” della Sardegna. Per fare tutto questo non si può prescindere da una politica sulla lingua sarda, sull’identità sarda, sull’università della Sardegna… in definitiva su chi siamo noi sardi e chi vogliamo o vorremo/vorremmo essere. E, allora: è possibile che Pigliaru non parli della nuova costituente statutaria, a cui siamo tenuti anche in virtù degli esiti referendari sardi? E’ possibile che parli dell’Europa sostanzialmente come vincolo per la nostra economia, come purtroppo è, ma che non necessariamente deve continuare ad essere, o, ancora, come bancomat per prelevare tutte le risorse finanziarie possibili? Importante ma terribilmente riduttivo. E’ possibile che parli d’Europa senza fare cenno all’incredibiie situazione di discriminazione politica dei sardi, impossibilitati, per ottusa e incostituzionale legge italiana (modificabile domani se solo ci fosse la volontà politica dei grandi partiti italiani) ad avere propri rappresentanti nel parlamento europeo? Si chieda Pigliaru se, per fare un esempio, le stesse nostre difficoltà di utilizzare pienamente e con efficacia i fondi europei siano solo problemi organizzativi e di preparazione del personale tecnico, amministrativo e anche politico. Come pur è vero, ma non sono spiegazioni sufficienti a dare conto della situazione. Credo infatti che questo come tanti altri problemi non possano essere disgiunti da uno, più pesante di tutti: l’incapacità della Regione di esercitare un ruolo politico nel quadro europeo, sia nei confronti dell’Italia che s’interpone tra la regione e le istituzioni europee, sia nei confronti dell’istituzioni europee, direttamente, laddove ciò è possibile, anche attualmente, per esempio per incidere, modificandole o integrandole, sulle politiche europee. Ma di tutto quanto detto Pigliaru non si cura, destando il più che legittimo sospetto che per lui bastino l’onesta, la competenza, la tecnica e la razionalità per risolvere i problemi della Sardegna, minimizzando quello che in realtà è soprattutto un problema di Politica. Si dirà che la coalizione del centro sinistra potrà integrare il programma e precisare l’impostazione data dal presidente. Vedremo e vedremmo. Nel mentre parliamo, scriviamo e sottoponiamo i nostri argomenti al presidente, ai politici, ai cittadini sardi…
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Il tempo che passa non da conto di alcun positiva novità. Anzi…

in giro con la lampada di aladin per l’Europa

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- democraziaoggiContro il connubio PD/FI, Tsipras o M5S? Andrea Pubusa su Democraziaoggi
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- Vito-Biolchin-occhialiniiEuropee 2014 ma l’Europa non c’entra nulla. E la Sardegna? Solo Soru spera: ma nei siciliani… Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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- bicicletta Tsipras VanniIo voto L’altra Europa con Tsipras. Vanni Tola sulla pagina fb
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- Asini, crisi, Europa. Raffaele Deidda su SardegnaSoprattutto
Félix Vallotton (Losanna 1865-1925) il ratto d' Europa
- L’Europa che vorrei. Bellezza e sobrietà. Ma no all’austerità imposta. Tonino Dessì sulla sua pagina fb (buone ragioni per chi domani si astiene dal voto)
- Conversazione sull’Europa con l’ex governatore della Sardegna e candidato Pd alle elezioni europee 2014 Renato Soru. Dal blog di Gavino Minutti

- Alle europee sardi irrilevanti. Nicolò Migheli su SardegnaSoprattutto

Sardegna, a ciascuno il suo silenzio

VIETATO PARLARE
(Pigliaru non spiega: almeno ascolterà?)
di Vito Biolchini *

E all’improvviso scese il silenzio. Se nei sette mesi che hanno preceduto il voto una febbre aveva colpito la Sardegna, scuotendola quotidianamente con migliaia di post riguardanti la campagna elettorale e i suoi principali candidati, parole rilanciate sui siti, sui blog e sui social network in maniera quasi compulsiva, dall’elezione di Francesco Pigliaru tutto questo si è arrestato.

La politica è tornata ad essere argomento di pochi e per pochi. Nessuna riflessione pubblica. Lo spettacolo è finito, i macchinisti hanno smontato le scenografie e al posto dei riflettori, ad illuminare là dove prima era la scena, ora c’è solo in lampione, con la sua luce tremolante, a levare dal buio ad intermittenza pezzi di realtà.

Forse ai cittadini-tifosi interessava solo la gara: si levano gli striscioni dalle curve, chi ha vinto si gode il trionfo, gli altri vanno a leccarsi le ferite in silenzio. Ma la politica è (ma a questo punto sarebbe giusto dire “dovrebbe essere”) un’altra cosa. Perché proprio adesso viene venire il bello, e adesso ci sarebbe bisogno di controllo, di stimolo, di idee, di dibattito e di confronto.

Le dichiarazioni programmatiche del presidente non hanno suscitato alcun tipo di commento nel due quotidiani isolani: niente di niente. Pigrizia, inadeguatezza, prudenza, accondiscendenza eccessiva nei confronti dei nuovi potenti? Chissà.

Tace la chiesa, parlano il meno possibile i sindacati, si defilano gli accademici: a ciascuno il suo silenzio. C’è quello dei sudditi e quello degli ignavi, quello degli interessati e quello degli impauriti (parlare di politica è facile, ragionare sulla politica è diverso e comporta dei rischi evidenti).

Per fortuna che altrove, nel mondo della rete (spesso vituperato: ma per fortuna che esiste) a chi si è permesso di far notare i limiti (evidenti) di un ragionamento scarno di spunti politici e colpevolmente omissivo su temi centrali quali l’agricoltura, l’energia, la cultura, la lingua sarda, le servitù militari, il rapporto con lo Stato e la riforma del Titolo V (e qui ci fermiamo), l’obiezione è arrivata secca: “L’avete votato? Adesso tenetevelo, e peggio per voi”. Come se il consenso dato col voto fosse per sempre e l’azione politica non fosse invece il frutto dialettico del confronto tra istituzioni, partiti, opinione pubblica e soggetti portatori di interessi.

Forse che anche in Sardegna il voto è inteso come un bagno purificatore che sana tutte le contraddizioni e le incongruenze della politica e dei suoi rappresentanti? Che sia morto quello che una volta si chiamava “controllo democratico”?

Sono tante le emergenze e i limiti dell’isola, ma fra i più gravi c’è questa afasia che ci prende quando bisogna seriamente parlare di politica, ovvero di cose serie.

Eppure pretendere che la Sardegna esca dalla sua crisi nel silenzio è come sperare che un bambino cresca sano senza che nessuno mai gli rivolga la parola, è come credere che una famiglia risolva i suoi problemi senza mai riunirsi per discuterne.

La solitudine della politica è amplificata dalla debolezza delle nostre strutture informative e da una opinione pubblica fragile. Servono più luoghi di confronto, più liberi e più aperti. Perché la politica cresce nella discussione, nel confronto anche aspro, nella dialettica (qui invece le categorie di “politico” e “personale” coincidono, e al critico impenitente alla fine il candidato toglie perfino il saluto)

In Sardegna non esiste una “società politica”, forse è presente non in maniera embrionale oppure ha un ruolo marginale, una vita sotterranea. Ci mancano tante cose in Sardegna, ma ci mancano soprattutto le parole: senza le quali i famosi “fatti” evidentemente non arriveranno mai.

È chiaro però che c’è anche chi parla: vox clamans in deserto, quasi sempre. Parole che cadono nel vuoto, che non si fanno azione per le difficoltà oggettive in cui versano le strutture del consenso organizzato.

Anche perché bisogna fare i conti con la nuova politica, quella del decisionismo fine a se stesso. In cui non ascoltare è sinonimo di “tenere la schiena dritta”, di non “farsi condizionare”. La turris eburnea come simbolo della virtù: per stare lontano dai partiti (sempre cattivi), lontano i sindacati (per carità), lontano dalla burocrazia (il diavolo). L’esecutore politico deve restare puro, incorrotto. Senza occhi e senza orecchie: solo cervello. Ragione pura che si diffonde nella società, salvandola.

Ecco allora che forse si spiega questo silenzio di una parte della Sardegna davanti a questa nuova stagione politica. E il silenzio di chi ha perso la voce, di ritiene che non sarà ascoltato. Perché troppo spesso così è stato, anche in un passato recente (brucia ancora l’esperienza Soru e si consuma a Cagliari il percorso del sindaco Zedda, insensibile ai richiami di chi lo avverte del burrone che gli sta sempre pericolosamente a lato).

Ma la politica ha comunque il compito di ascoltare. Pigliaru, chi ascolterà? Chi c’è, oltre al mondo dei partiti e dell’università delle professioni e delle banche (tutte abbondantemente ben rappresentate in giunta), che lui vorrà consultare? E come? E con quale spirito lo farà?

Le voci dei cittadini organizzati, della cultura non accademica, dei movimenti nel territorio, del volontariato, talvolta sono flebili, è vero: ma chi non è sordo le sente lo stesso. E se vuole può persino ascoltarle. Per decidere un percorso comune e aggiustare la rotta se e quando serve. Essere eletti non basta, far parte degli organi dirigenti di un partito neppure. Oggi la Sardegna sta anche altrove.

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* L’articolo di Vito Biolchini viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.

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Daniele da Volterra Arameocarta-Sardegna-1354
Le parole sono importanti, anche quelle che mancano. E che aspettiamo.
di Vanni Tola
Non è facile commentare con una sintesi le dichiarazioni programmatiche del Presidente Pigliaru che, naturalmente, analizzano un’articolata serie di problemi. E non lo faremo. Certo le dichiarazioni programmatiche, come le letterine a Gesù Bambino della nostra infanzia, non vanno al di la di una infinita serie di buoni proponimenti, tutti da verificare nella realtà quotidiana. Non è questo il caso. A dire il vero le dichiarazioni del Presidente evidenziano una ricerca concreta di cambiamento della politica regionale, un forte desiderio di semplificare le procedure legislative, di riformare profondamente l’apparato burocratico della regione, una certa determinazione nel voler liberare la nostra regione dalla crisi e dai ritardi nello sviluppo che stanno alla base dei principali problemi della comunità isolana. Ciò detto, si avverte pure una indeterminatezza generale, una non ben definita ipotesi complessiva, l’assenza di una scelta strategica principale per lo sviluppo dell’isola, che appare come elemento di continuità con le precedenti fallimentari Amministrazioni regionali. Si e portati a pensare che la nuova Giunta non finisca poi con l’operare rincorrendo i problemi e le questioni aperte piuttosto che con l’obiettivo di realizzare un progetto organico di trasformazione e sviluppo che ci piace definire “nuovo piano di rinascita”. Alcuni esempi per rendere maggiormente comprensibile il ragionamento. Si parla nelle dichiarazioni del Presidente di crisi delle produzioni industriali e dell’occupazione ma non emerge un’ipotesi ben definita di sviluppo industriale alternativa alle precedenti. La Sardegna crede ancora nell’industria o si considera il comparto industriale tradizionale una sorta di comparto “da liquidare” per concentrare risorse ed energie principalmente su agropastorale e industria turistica? Scommetterà la Regione sulla possibilità di costituire a Porto Torres un grande polo europeo per i prodotti di base della chimica verde e la realizzazione di un apparato industriale indotto, riconvertendo ciò che rimane dell’industria petrolchimica o si ritiene, come molti sardi pensano, che la possibilità di attivare nell’isola una moderna industria chimica e biochimica debba essere considerata definitivamente conclusa? L’idea che la Sardegna possa svilupparsi esclusivamente valorizzando l’agro-industria e l’industria turistica con una forte protezione dell’integrità ambientale e paesaggistica è molto più diffusa di quanto si pensi e non è certamente priva di un qualche fondamento. Resta però aperta la questione se la Sardegna debba o no disporre anche di un apparato industriale e tecnologico innovativo (ricerche su nuovi materiali, nanotecnologie, bioingegneria, genetica, attività aerospaziali) come in tante altre realtà. Un ulteriore aspetto che appare poco evidenziato nelle dichiarazioni programmatiche del Presidente Pigliaru riguarda poi l’insieme di problemi, fra loro strettamente interconnessi, quali salute, inquinamento ambientale, aree di grave emergenza sanitaria, bonifiche di suoli, acque e aria. Porto Torres è uno dei siti ambientali d’interesse nazionale per un elevatissimo livello d’inquinamento che ha fatto rilevare dati molto preoccupanti (qualcuno dice perfino superiori a quelli di Taranto), un incremento di patologie tumorali e respiratorie da vera emergenza sanitaria. A Ottana un esponente di un Comitato di cittadini ha denunciato l’avvenuto decesso per tumore di oltre quaranta operai che hanno lavorato nel medesimo impianto industriale. Per non parlare poi delle aree con servitù militari e di tutte le altre realtà interessate da situazioni di gravissima emergenza sanitaria e ambientale. Ci saremmo aspettati dal Presidente l’annuncio un piano straordinario, prioritario e urgente, insomma, qualcosa di più di generici riferimenti alla difesa del diritto alla salute e all’integrità ambientale. E infine, per quanto riguarda i piani di settore dei principali comparti produttivi isolani, Pigliaru si limita a rimandare al programma generale della coalizione per esaminare nel merito i proponimenti della Giunta. Certamente lo faremo con attenzione e interesse ma resta forte la sensazione, lo ribadiamo ancora una volta in chiusura, che non si abbia la capacità, la volontà, la lungimiranza di lavorare intorno ad un’unica e ben definita ipotesi strategica di sviluppo alla quale rapportare e finalizzare le diverse azioni e gli interventi della nuova Giunta.
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Daniele-da-Volterra-Arameo IL BRAGHETTONE
Daniele da Volterra, detto il braghettone, Arameo.
[NdD] Il dipinto di Volterra non c’entra… o forse sì
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Guido Reni San Matteo e l'angelo
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Le parole sono importanti. Anche quelle che mancano. E che aspettiamo.
I due deficit politici del presidente

di Franco Meloni
Per Francesco Pigliaru le parole sono importanti. Ricordo una mattina di alcuni anni fa quando chiuse rapidamente una riunione all’Università (di cui era pro rettore alla Ricerca scientifica) perchè, ci disse, doveva terminare di scrivere, immagino rivedere attentamente, un articolo per La Nuova Sardegna del giorno dopo. Dunque occorreva essere precisi e dedicarvi tutto il tempo necessario. E’ sicuramente con lo stesso scrupolo che ha redatto il documento delle sue dichiarazioni programmatiche da presidente della regione, sicuramente soppesando ogni singola parola scritta. Pertanto prendiamo sul serio ogni parola e analizzeremo con attenzione e commenteremo il contenuto del documento, come già abbiamo cominciato a fare con l’editoriale di Vanni. Il documento, anche tenendo conto dell’analisi di Vanni, è totalmente condivisibile e anch’io lo sottoscrivo: per quanto dice, ma ci riserviamo di esprimere valutazioni e giudizi successi per quanto è allo stato troppo generico e indeterminato e di capire e dare le nostre valutazioni e giudizi su quanto ancora non detto e che è necessario dire quanto prima. Anche su questo versante Vanni è stato precisamente esigente! Voglio ora esprimere un mio parere di carattere generale: le dichiarazioni programmatiche del presidente Pigliaru hanno due “deficit politici”, di fondamentale importanza, che attengono uno alla sardità e l’altro all’europeismo. Tratto queste due questioni in maniera intrecciata, come è giusto che sia. Non è pensabile che il programma del presidente (e della sua coalizione), così come è attualmente formulato, prescinda da una esplicita visione del posizionamento istituzionale della Sardegna, oggi e in prospettiva, in Italia e in Europa. Al riguardo è vero che Pigliaru non poteva sollevare la bandiera dell’indipendentismo o del sovranismo che lo vuole praticare anticipatamente (gli indipendentisti e i sovranisti sono pur sempre una minoranza, seppure importante, della coalizione di centro sinistra), ma la visione che sottende il documento appare francamente riduttiva, niente altro di diverso da un “autonomismo sbiadito”, che non ci porta molto lontano. Pigliaru si guarda bene dal pronunciare parolacce quali indipendentismo e sovranismo e neppure federalismo, utilizza in un passaggio il termine “sovranità” nell’accezione di auto-responsabilità (cito testualmente: “…il principale esercizio di sovranità cui vogliamo dedicare tutta le nostre capacità ed energie, è un’essenziale assunzione di responsabilità verso cui orientiamo la nostra azione di governo”). Non basta certo! Specie nell’attuale momento storico, che ha necessità di una Sardegna rinnovata, anche nelle sue istituzioni, consapevole delle proprie risorse e potenzialità, capace quindi di un suo protagonismo, indispensabile per sopravvivere nel quadro degli attuali rapporti di forza tra entità territoriali (nel confine statuale e in quello europeo). E’ solo in questo quadro, che, come detto, richiede anche una nuova struttura istituzionale della regione, che credo possa iscriversi, citando Vanni: un auspicabile progetto organico di trasformazione e sviluppo che ci piace definire “nuovo piano di rinascita”. Per fare tutto questo non si può prescindere da una politica sulla lingua sarda, sull’identità sarda, sull’università della Sardegna… in definitiva su chi siamo noi sardi e chi vogliamo o vorremo/vorremmo essere. E, allora: è possibile che Pigliaru non parli della nuova costituente statutaria, a cui siamo tenuti anche in virtù degli esiti referendari sardi? E’ possibile che parli dell’Europa sostanzialmente come vincolo per la nostra economia, come purtroppo è, ma che non necessariamente deve continuare ad essere, o, ancora, come bancomat per prelevare tutte le risorse finanziarie possibili? Importante ma terribilmente riduttivo. E’ possibile che parli d’Europa senza fare cenno all’incredibiie situazione di discriminazione politica dei sardi, impossibilitati, per ottusa e incostituzionale legge italiana (modificabile domani se solo ci fosse la volontà politica dei grandi partiti italiani) ad avere propri rappresentanti nel parlamento europeo? Si chieda Pigliaru se, per fare un esempio, le stesse nostre difficoltà di utilizzare pienamente e con efficacia i fondi europei siano solo problemi organizzativi e di preparazione del personale tecnico, amministrativo e anche politico. Come pur è vero, ma non sono spiegazioni sufficienti a dare conto della situazione. Credo infatti che questo come tanti altri problemi non possano essere disgiunti da uno, più pesante di tutti: l’incapacità della Regione di esercitare un ruolo politico nel quadro europeo, sia nei confronti dell’Italia che s’interpone tra la regione e le istituzioni europee, sia nei confronti dell’istituzioni europee, direttamente, laddove ciò è possibile, anche attualmente, per esempio per incidere, modificandole o integrandole, sulle politiche europee. Ma di tutto quanto detto Pigliaru non si cura, destando il più che legittimo sospetto che per lui bastino l’onestà, la competenza, la tecnica e la razionalità per risolvere i problemi della Sardegna, minimizzando quello che in realtà è soprattutto un problema di Politica. Si dirà che la coalizione del centro sinistra potrà integrare il programma e precisare l’impostazione data dal presidente. Vedremo e vedremmo. Nel mentre parliamo, scriviamo e sottoponiamo i nostri argomenti al presidente, ai politici, ai cittadini sardi…
Per ora chiudo qui, con un’informazione/richiesta. Segnaliamo che dopo il dibattito, attualmente in corso in Consiglio regionale, vi saranno a breve due primi importanti appuntamenti laddove il presidente è chiamato ad esporre le sue idee, possibilmente “aggiornando” il programma: 1) l’inaugurazione della Fiera internazionale della Sardegna, prevista nella tarda mattinata del 25 aprile, dove in un passato non troppo recente il presidente della regione faceva il punto sulla situazione economica della regione e sulle prospettive future; 2) sa die de sa Sardinia, con specifico riferimento alla seduta aperta del Consiglio regionale, prevista la mattina del 28 aprile.

Sulle dichiarazioni programmatiche di Francesco Pigliaru. Le parole sono importanti, anche quelle che mancano

Daniele da Volterra Arameocarta-Sardegna-1354
Le parole sono importanti, anche quelle che mancano. E che aspettiamo.
di Vanni Tola
Non è facile commentare con una sintesi le dichiarazioni programmatiche del Presidente Pigliaru che, naturalmente, analizzano un’articolata serie di problemi. E non lo faremo. Certo le dichiarazioni programmatiche, come le letterine a Gesù Bambino della nostra infanzia, non vanno al di la di una infinita serie di buoni proponimenti, tutti da verificare nella realtà quotidiana. Non è questo il caso. A dire il vero le dichiarazioni del Presidente evidenziano una ricerca concreta di cambiamento della politica regionale, un forte desiderio di semplificare le procedure legislative, di riformare profondamente l’apparato burocratico della regione, una certa determinazione nel voler liberare la nostra regione dalla crisi e dai ritardi nello sviluppo che stanno alla base dei principali problemi della comunità isolana. Ciò detto, si avverte pure una indeterminatezza generale, una non ben definita ipotesi complessiva, l’assenza di una scelta strategica principale per lo sviluppo dell’isola, che appare come elemento di continuità con le precedenti fallimentari Amministrazioni regionali. Si e portati a pensare che la nuova Giunta non finisca poi con l’operare rincorrendo i problemi e le questioni aperte piuttosto che con l’obiettivo di realizzare un progetto organico di trasformazione e sviluppo che ci piace definire “nuovo piano di rinascita”. Alcuni esempi per rendere maggiormente comprensibile il ragionamento. Si parla nelle dichiarazioni del Presidente di crisi delle produzioni industriali e dell’occupazione ma non emerge un’ipotesi ben definita di sviluppo industriale alternativa alle precedenti. La Sardegna crede ancora nell’industria o si considera il comparto industriale tradizionale una sorta di comparto “da liquidare” per concentrare risorse ed energie principalmente su agropastorale e industria turistica? Scommetterà la Regione sulla possibilità di costituire a Porto Torres un grande polo europeo per i prodotti di base della chimica verde e la realizzazione di un apparato industriale indotto, riconvertendo ciò che rimane dell’industria petrolchimica o si ritiene, come molti sardi pensano, che la possibilità di attivare nell’isola una moderna industria chimica e biochimica debba essere considerata definitivamente conclusa? L’idea che la Sardegna possa svilupparsi esclusivamente valorizzando l’agro-industria e l’industria turistica con una forte protezione dell’integrità ambientale e paesaggistica è molto più diffusa di quanto si pensi e non è certamente priva di un qualche fondamento. Resta però aperta la questione se la Sardegna debba o no disporre anche di un apparato industriale e tecnologico innovativo (ricerche su nuovi materiali, nanotecnologie, bioingegneria, genetica, attività aerospaziali) come in tante altre realtà. Un ulteriore aspetto che appare poco evidenziato nelle dichiarazioni programmatiche del Presidente Pigliaru riguarda poi l’insieme di problemi, fra loro strettamente interconnessi, quali salute, inquinamento ambientale, aree di grave emergenza sanitaria, bonifiche di suoli, acque e aria. Porto Torres è uno dei siti ambientali d’interesse nazionale per un elevatissimo livello d’inquinamento che ha fatto rilevare dati molto preoccupanti (qualcuno dice perfino superiori a quelli di Taranto), un incremento di patologie tumorali e respiratorie da vera emergenza sanitaria. A Ottana un esponente di un Comitato di cittadini ha denunciato l’avvenuto decesso per tumore di oltre quaranta operai che hanno lavorato nel medesimo impianto industriale. Per non parlare poi delle aree con servitù militari e di tutte le altre realtà interessate da situazioni di gravissima emergenza sanitaria e ambientale. Ci saremmo aspettati dal Presidente l’annuncio un piano straordinario, prioritario e urgente, insomma, qualcosa di più di generici riferimenti alla difesa del diritto alla salute e all’integrità ambientale. E infine, per quanto riguarda i piani di settore dei principali comparti produttivi isolani, Pigliaru si limita a rimandare al programma generale della coalizione per esaminare nel merito i proponimenti della Giunta. Certamente lo faremo con attenzione e interesse ma resta forte la sensazione, lo ribadiamo ancora una volta in chiusura, che non si abbia la capacità, la volontà, la lungimiranza di lavorare intorno ad un’unica e ben definita ipotesi strategica di sviluppo alla quale rapportare e finalizzare le diverse azioni e gli interventi della nuova Giunta.
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Daniele-da-Volterra-Arameo IL BRAGHETTONE
Daniele da Volterra, detto il braghettone, Arameo.
[NdD] Il dipinto di Volterra non c’entra… o forse sì
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Guido Reni San Matteo e l'angelo
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Le parole sono importanti. Anche quelle che mancano. E che aspettiamo.
I due deficit politici del presidente

di Franco Meloni
Per Francesco Pigliaru le parole sono importanti. Ricordo una mattina di alcuni anni fa quando chiuse rapidamente una riunione all’Università (di cui era pro rettore alla Ricerca scientifica) perchè, ci disse, doveva terminare di scrivere, immagino rivedere attentamente, un articolo per La Nuova Sardegna del giorno dopo. Dunque occorreva essere precisi e dedicarvi tutto il tempo necessario. E’ sicuramente con lo stesso scrupolo che ha redatto il documento delle sue dichiarazioni programmatiche da presidente della regione, sicuramente soppesando ogni singola parola scritta. Pertanto prendiamo sul serio ogni parola e analizzeremo con attenzione e commenteremo il contenuto del documento, come già abbiamo cominciato a fare con l’editoriale di Vanni. Il documento, anche tenendo conto dell’analisi di Vanni, è totalmente condivisibile e anch’io lo sottoscrivo: per quanto dice, ma ci riserviamo di esprimere valutazioni e giudizi successi per quanto è allo stato troppo generico e indeterminato e di capire e dare le nostre valutazioni e giudizi su quanto ancora non detto e che è necessario dire quanto prima. Anche su questo versante Vanni è stato precisamente esigente! Voglio ora esprimere un mio parere di carattere generale: le dichiarazioni programmatiche del presidente Pigliaru hanno due “deficit politici”, di fondamentale importanza, che attengono uno alla sardità e l’altro all’europeismo. Tratto queste due questioni in maniera intrecciata, come è giusto che sia. Non è pensabile che il programma del presidente (e della sua coalizione), così come è attualmente formulato, prescinda da una esplicita visione del posizionamento istituzionale della Sardegna, oggi e in prospettiva, in Italia e in Europa. Al riguardo è vero che Pigliaru non poteva sollevare la bandiera dell’indipendentismo o del sovranismo che lo vuole praticare anticipatamente (gli indipendentisti e i sovranisti sono pur sempre una minoranza, seppure importante, della coalizione di centro sinistra), ma la visione che sottende il documento appare francamente riduttiva, niente altro di diverso da un “autonomismo sbiadito”, che non ci porta molto lontano. Pigliaru si guarda bene dal pronunciare parolacce quali indipendentismo e sovranismo e neppure federalismo, utilizza in un passaggio il termine “sovranità” nell’accezione di auto-responsabilità (cito testualmente: “…il principale esercizio di sovranità cui vogliamo dedicare tutta le nostre capacità ed energie, è un’essenziale assunzione di responsabilità verso cui orientiamo la nostra azione di governo”). Non basta certo! Specie nell’attuale momento storico, che ha necessità di una Sardegna rinnovata, anche nelle sue istituzioni, consapevole delle proprie risorse e potenzialità, capace quindi di un suo protagonismo, indispensabile per sopravvivere nel quadro degli attuali rapporti di forza tra entità territoriali (nel confine statuale e in quello europeo). E’ solo in questo quadro, che, come detto, richiede anche una nuova struttura istituzionale della regione, che credo possa iscriversi, citando Vanni: un auspicabile progetto organico di trasformazione e sviluppo che ci piace definire “nuovo piano di rinascita”. Per fare tutto questo non si può prescindere da una politica sulla lingua sarda, sull’identità sarda, sull’università della Sardegna… in definitiva su chi siamo noi sardi e chi vogliamo o vorremo/vorremmo essere. E, allora: è possibile che Pigliaru non parli della nuova costituente statutaria, a cui siamo tenuti anche in virtù degli esiti referendari sardi? E’ possibile che parli dell’Europa sostanzialmente come vincolo per la nostra economia, come purtroppo è, ma che non necessariamente deve continuare ad essere, o, ancora, come bancomat per prelevare tutte le risorse finanziarie possibili? Importante ma terribilmente riduttivo. E’ possibile che parli d’Europa senza fare cenno all’incredibiie situazione di discriminazione politica dei sardi, impossibilitati, per ottusa e incostituzionale legge italiana (modificabile domani se solo ci fosse la volontà politica dei grandi partiti italiani) ad avere propri rappresentanti nel parlamento europeo? Si chieda Pigliaru se, per fare un esempio, le stesse nostre difficoltà di utilizzare pienamente e con efficacia i fondi europei siano solo problemi organizzativi e di preparazione del personale tecnico, amministrativo e anche politico. Come pur è vero, ma non sono spiegazioni sufficienti a dare conto della situazione. Credo infatti che questo come tanti altri problemi non possano essere disgiunti da uno, più pesante di tutti: l’incapacità della Regione di esercitare un ruolo politico nel quadro europeo, sia nei confronti dell’Italia che s’interpone tra la regione e le istituzioni europee, sia nei confronti dell’istituzioni europee, direttamente, laddove ciò è possibile, anche attualmente, per esempio per incidere, modificandole o integrandole, sulle politiche europee. Ma di tutto quanto detto Pigliaru non si cura, destando il più che legittimo sospetto che per lui bastino l’onesta, la competenza, la tecnica e la razionalità per risolvere i problemi della Sardegna, minimizzando quello che in realtà è soprattutto un problema di Politica. Si dirà che la coalizione del centro sinistra potrà integrare il programma e precisare l’impostazione data dal presidente. Vedremo e vedremmo. Nel mentre parliamo, scriviamo e sottoponiamo i nostri argomenti al presidente, ai politici, ai cittadini sardi…
Per ora chiudo qui, con un’informazione/richiesta. Segnaliamo che dopo il dibattito, attualmente in corso in Consiglio regionale, vi saranno a breve due primi importanti appuntamenti laddove il presidente è chiamato ad esporre le sue idee, possibilmente “aggiornando” il programma: 1) l’inaugurazione della Fiera internazionale della Sardegna, prevista nella tarda mattinata del 25 aprile, dove in un passato non troppo recente il presidente della regione faceva il punto sulla situazione economica della regione e sulle prospettive future; 2) sa die de sa Sardinia, con specifico riferimento alla seduta aperta del Consiglio regionale, prevista la mattina del 28 aprile.

SARDEGNA, TERRA DESOLATA, SCOMPAIONO I PAESI

Bimbo e morte su Aladinews
di Piero Marcialis, Fondazione Sardinia

In un panorama così desolato non si può vivere umanamente molto a lungo.
E’ ora, dunque, di ripartire. Ripartire dai paesi (dae sas biddas).
Dai paesi per farli ridiventare comunità, la fonte degli ideali.
Per farli rivivere come centri di cultura, di economia, di politica.
(Manifesto della gioventù eretica del comunitarismo,
di Eliseo Spiga – Francesco Masala – Placido Cherchi, gennaio 2000
)

Già da alcuni anni la Fondazione Sardinia si occupa del problema del progressivo spopolamento dei nostri paesi: diminuzione di abitanti che non si limita al dato quantitativo, ma diventa elemento qualitativo, in termini di peggioramento della qualità della vita con la sparizione di servizi in realtà già carenti: chiude l’ufficio postale, o apre saltuariamente, chiudono scuole elementari e medie e vanno a combinarsi coi paesi vicini, costringendo a volte i fanciulli a percorsi penosi e disagevoli; chiudono, o diventano intermittenti, anche le farmacie, i laboratori medici, il medico generico e specialisti vari, i chioschi di giornali; cinema, teatro, informazione e spettacolo scompaiono del tutto o quasi; persino dei generi alimentari diventa carente la presenza, non parliamo dell’abbigliamento e di altri generi; aumenta la dipendenza dai centri urbani, l’obbligo di recarsi in città, il pensiero di andarci stabilmente, perchè a questo punto tanto vale viverci, e poi la città ha il fascino di una vita più libera dal controllo sociale, l’illusione che la noia non abiti mai là, che ci si arrangi meglio, con più occasioni.

Così il paese va in declino, la data della sua morte dipenderà soltanto dal prolungarsi o meno dell’agonia.

I risultati di uno studio del Centro di Programmazione Regionale, presentato questo giovedi 23 gennaio in un Convegno a Cagliari, sono allarmanti.

Presentano infatti un elenco di 30 comuni sardi in via di estinzione: Armungia (il paese natale di Emilio Lussu), Ballao, Esterzili, Seulo, Ussassai, Bortigiadas, Aidomaggiore, Ardauli, Asuni, Baradili, Montresta, Morgongiori, Nughedu Santa Vittoria, Ruinas, Simala, Sini, Soddi, Sorradile, Ula Tirso, Cheremule, Villa Verde, Villa Sant’Antonio, Anela, Borutta, Nughedu S. Nicolò, Giave, Martis, Padria, Semestene, Monteleone Roccadoria.

Gli ultimi due sarebbero condannati a scomparire entro dieci-quindici anni.

Hanno illustrato i dati: Gianluca Cadeddu, direttore del Centro Regionale di Programmazione; Gianfranco Bottazzi e Giuseppe Puggioni, dell’Università di Cagliari; Massimo Esposito, dell’Università di Sassari; gli esperti Antonello Angius ed Elena Angela Peta.

Che cosa si può, si deve, fare di fronte a questa catastrofe demografica?

Una catastrofe che non segnala solo una diminuzione della popolazione, ma un impoverimento sociale, culturale, politico, antropologico.

Paesi che sopravvivono dal tempo dei nuraghi, che oggi, dagli anni ’60, gli anni della Rinascita bugiarda, anzichè rinascere hanno visto dimezzata la popolazione, emigrati o inurbati i giovani, le forze migliori.

Sono 128 i paesi a rischio e il loro territorio interessa quasi un terzo della superficie dell’Isola. La loro scomparsa, entro questo secolo, è catastrofe generale, desertificazione della Sardegna, scomparsa della stessa identità.

Il tasso di natalità si riduce e supera il tasso di mortalità in tutta l’Isola, mentre il numero dei residenti si mantiene solo grazie all’immigrazione degli ultimi vent’anni: è fenomeno che toccherà l’intera Isola, non si creda che le città continueranno a crescere assorbendo il contado, il declino riguarderà anche i centri urbani, finirà la loro crescita; previsioni e proiezioni matematiche, calcolate sulle tendenze degli ultimi cinquantanni, mostrano una Sardegna che si riduce complessivamente a poche aree della costa e della pianura, molto meno popolate di quanto sono attualmente.

Le cause del disastro sono molteplici ed è dalla presenza intrecciata di molte di esse che si genera il fenomeno, così dunque anche i rimedi devono essere complessi e in grado di affrontare le diverse problematiche, partendo dallo studio e dall’analisi accurata caso per caso e dalla ricerca di soluzioni mirate che possono essere diverse caso per caso.

Il primo problema da affrontare è di far nascere reazioni e azioni positive; nei singoli paesi ognuno vede la realtà di questo fenomeno, ma fino a oggi le reazioni sono inadeguate: ad alcuni, con ottimismo fatalista, non sembra che ci si debba preoccupare (“andrà meglio, non sarà sempre così”); altri, con fatalismo pessimista, sono rassegnati al peggio (“non c’è niente da fare”).

Forse una strada da percorrere è quella di mettere in rete i paesi più vicini, favorendo i collegamenti, creando sinergie (come si usava dire tempo fa), organizzando servizi comuni, occasioni di ripresa, nuove soluzioni.

Fondazione Sardinia in questi anni ha cercato di agire su questi aspetti, a Bitti, a Seneghe, a Gesturi, dove abbiamo promosso incontri, dibattiti, convegni, coinvolgendo gli amministratori, gli operatori economici, sociali e culturali, i leader locali a qualunque titolo.

Proseguiremo questo impegno anche quest’anno, sia negli stessi comuni, sia in altri due che stiamo individuando in provincia di Sassari e di Nuoro.

L’esortazione dei nostri amici, ormai scomparsi, che ho messo in premessa, risale al 2000: abbiamo perso tempo, oggi è più urgente che mai.
SARDEGNA, TERRA DESOLATA, SCOMPAIONO I PAESI.

PIERO MARCIALIS
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Sulla questione riproponiamo un intervento di Vanni Tola, pubblicato su Aladin del 26 dicembre 2013.
Demografia e sviluppo nel prossimo futuro
La Sardegna senza Sardi? Drammaticamente di fronte alla necessità di compiere uno sforzo straordinario di elaborazione politica, di crescita culturale, di formulazione di strategie economiche alternative con le quali ci dovremo misurare. Saremo in grado di farlo?
di Vanni Tola
“La Sardegna senza Sardi?”.
Era questo il titolo di un convegno svoltosi a Sassari nei giorni scorsi. Un importante momento di discussione che ha stimolato ulteriori riflessioni nel merito di un problema poco esaminato: l’evoluzione demografica della Sardegna. Da decenni nell’isola si registra un incremento demografico negativo. In altri termini, il numero dei nuovi nati e degli immigrati è notevolmente inferiore a quello degli emigrati e dei deceduti. Gli studiosi di fenomeni demografici, elaborando dati reali (censimenti Istat in particolare), hanno indagato sul fenomeno e formulato delle previsioni prefigurando scenari futuri e realizzando ipotesi di evoluzione dell’andamento demografico fondate e attendibili. La considerazione che deriva dalla sintesi di tali elaborazioni è che la Sardegna rischia nei prossimi decenni un’implosione demografica. Una situazione che potrebbe essere caratterizzata da una consistente riduzione del numero dei sardi (alcuni parlano di 300-400 mila unità in meno, ed è l’ipotesi meno pessimistica), dalla scomparsa di centinaia di comuni minori, da un costante invecchiamento della popolazione attiva e da un insufficiente inserimento di intelligenze giovanili nel sistema Sardegna. Ipotesi preoccupanti, difficili da accettare perché pongono in discussione certezze consolidate. La millenaria civiltà isolana messa in crisi dal fenomeno delle “culle vuote”? Eppure è cosi. L’indice di natalità dell’isola è notevolmente inferiore, circa la metà, di quello che sarebbe necessario per mantenere costante la popolazione. L’indice dell’incremento demografico è negativo ormai da decenni in quasi tutta la Sardegna con l’unica eccezione di alcune limitate aree costiere (della Gallura, del Cagliaritano e del Sassarese). Centinaia di paesi potrebbero scomparire per mancanza di abitanti già dai prossimi decenni. La programmazione economica della Sardegna, i programmi di sviluppo, le strategie delle forze politiche impegnate nell’ennesima tornata elettorale, non possono più ignorare il problema, devono anzi considerarlo il punto di riferimento per qualunque nuova ipotesi riguardante lo sviluppo dell’isola. Alcuni esempi. Non ha più senso oggi, per la maggior parte delle amministrazioni comunali, predisporre piani urbanistici di sviluppo considerato che si va incontro a importanti decrementi della popolazione. Allo stesso modo occorre rivedere la progettazione e il ridimensionamento di una serie di servizi pubblici (in primo luogo sanità, edifici scolastici e altri) con riferimento alle previsioni di spopolamento delle aree amministrate. Naturalmente le previsioni demografiche sono appunto delle previsioni, non sono realizzate con la speranza che si concretizzino ma soprattutto per consentire la possibilità di intervenire in modo adeguato per governare le dinamiche in atto. Già alcuni studiosi propongono una lettura meno pessimistica degli scenari di decremento della popolazione, qualcuno formula perfino l’ipotesi che il decremento della popolazione possa perfino rappresentare una opportunità per determinare migliori condizioni di vita per i Sardi “residui”. Altri propongono di esaminare la possibilità di invertire le tendenze demografiche registrate e prevedibili per il futuro prossimo. Una proposta molto interessante e innovativa e che farà certamente discutere è quella avanzata dal prof. Giuseppe Pulina direttore del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari. Partendo dalla considerazione che in Sardegna si registrano tassi di natalità che sono tra i più bassi al mondo e che i giovani continuano a emigrare, Pulina propone di attivare interventi concreti ed efficaci per invertire la tendenza ad un significativo spopolamento della Sardegna e delle zone interne in particolare. La principale attività dell’isola, l’agro-pastorizia, stante l’attuale andamento demografico tende a diventare nei prossimi decenni una attività praticata quasi esclusivamente da lavoratori anziani, e perfino a essere fortemente ridimensionata nel suo ruolo e nelle sue potenzialità economiche. La soluzione indicata è quella di programmare, per i prossimi dieci anni, l’accoglienza di quindicimila coppie di immigrati, un vero e proprio progetto di ripopolamento o se preferite di riantropizzazione di vaste aree dell’isola come è avvenuto in altre parti del mondo, per esempio in Argentina e Australia. Un progetto che non deve essere inteso esclusivamente in termini di trasferimento di forza lavoro bensì come progetto di inclusione di persone nella nostra realtà garantendo loro progetti di vita validi e accettabili a cominciare dal diritto di cittadinanza per i loro figli. La realizzabilità di tale progetto potrebbe essere favorita da finanziamenti europei già disponibili, ad esempio le risorse del programma Horizon 20.20 per le politiche di integrazione. Milioni di euro che potranno essere spesi dal 2014, se si avrà il coraggio, la capacità e la lungimiranza di predisporre adeguate programmazioni. La Sardegna potrebbe essere la prima realtà europea a realizzare un piano di questo tipo. L’isola si candiderebbe così a diventare un’area geografica di accoglienza e gestione programmata di flussi migratori che potrebbero, a loro volta, concorrere a rivitalizzare una società tendenzialmente minacciata di estinzione o comunque di un drastico ridimensionamento del proprio ruolo nel mondo. Ancora una volta la discussione, il confronto, lo studio di ipotesi di sviluppo valide e alternative alle logiche e alle scelte del passato ci pone drammaticamente di fronte alla necessità di compiere uno sforzo straordinario di elaborazione politica, di crescita culturale, di formulazione di strategie economiche alternative con le quali ci dovremo misurare. Saremo in grado di farlo?
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Manifesto-delle-Comunita-di-Sardegna

Sardegna: che fare?

Bandera-4-moros-Fondazione-SardiniaBellezze-nuragiche-su-aladinews-200x300
sedia-van-gogh-4-150x150-bis1di Vanni Tola
Una campagna elettorale molto breve e fortemente segnata dalle polemiche interne ai partiti, dalla frammentazione delle forze politiche e dall’affannosa individuazione dei candidati alla Presidenza, penalizzerà certamente il confronto preelettorale sui programmi e sulle idee, limitandolo fortemente. Ciò nonostante alcuni temi centrali del confronto politico finiranno con l’occupare comunque la scena e avranno un ruolo fondamentale nelle scelte degli elettori. I principali problemi dalla Sardegna sono sostanzialmente noti. Una gravissima crisi dell’apparato produttivo industriale con conseguenze drammatiche sull’occupazionale. La necessità di ripensare un nuovo modello di sviluppo industriale che permetta alla nostra isola di avere uno spazio e un ruolo nella nuova riorganizzazione internazionale del lavoro e della produzione che i processi di globalizzazione stanno mettendo in evidenza. Un problema che impone un confronto sul nuovo modo di produrre prodotti chimici (es. chimica verde, biochimica) e, più in generale, sulle prospettive offerte dalla green economy che è strettamente connesso con la questione dell’approvvigionamento energetico e delle energie alternative e con i problemi di tutela della salute e dell’integrità dell’ambiente. Occorre poi confrontarsi nel merito delle problematiche riguardanti lo sviluppo e la valorizzazione delle più importanti risorse locali dell’isola, agricoltura e turismo in primo luogo, ma anche la pesca, la risorsa ambiente, i trasporti interni ed esterni, le comunicazioni.
-segue-