Risultato della ricerca: utopia
Che succede in Ucraina e nel Mondo
Costituente Terra Newsletter n. 115 del 3 maggio 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n.296 del 3 maggio 2023
SCONFIGGERE LA RUSSIA?
Cari amici,
pubblichiamo sia nel sito di “CostituenteTerra” sia in quello di “ChiesadituttiChiesadeipoveri”, un appello “Per un’alternativa all’Impero – Le guerre promesse” proposto da Raniero La Valle e Domenico Gallo, insieme a Mario Agostinelli di “Laudato Sì’”. Esso apre uno sguardo sullo stato del mondo, quale oggi è nell’attuale distretta di guerra e di crisi ecologica, e quale potrebbe essere se attraverso uno straordinario impegno di forze politicamente ed eticamente responsabili si riuscisse a controllare i poteri selvaggi e a mettere al riparo il futuro.
L’attuale situazione è caratterizzata dal fatto che l’imminente controffensiva militare ucraina, più volte annunciata, ha per obiettivo, oltre il Donbass, la conquista della terra irredenta della Crimea, che la Russia considera parte del suo territorio anche in forza del referendum popolare del 2014 che ha sancito il suo ritorno alla Russia, benché non riconosciuto come legittimo dall’Occidente.
La riconquista della Crimea è considerata dall’Ucraina come il suggello della sua vittoria nella guerra in corso, e della corrispondente sconfitta della Russia. Essa è incoraggiata dalla Potenze euro-atlantiche che si sono fatte protagoniste e arbitre della guerra, dagli Stati Uniti col loro imponente sostegno finanziario, militare e di intelligence, al Regno Unito con munizioni ad uranio impoverito, alla Germania con i Panzer ammodernati rispetto a quelli impiegati nell’invasione della Russia durante la seconda guerra mondiale, alla Francia pur dichiaratasi contraria a farsi vassalla dell’America, all’Unione europea con la NATO che hanno assicurato il rifornimento di un milione di proiettili, all’Italia con armi rimaste ignote non avendone il governo voluto rivelare il segreto. Tutto ciò farebbe della eventuale sconfitta della Russia non una sconfitta provocata dalla piccola Ucraina attaccata, ma dalla grande coalizione degli Stati Uniti e dei loro “partners” ed alleati. Si tratta di una coalizione non occasionale e contingente ma sistemica: negli ultimi due documenti della Casa Bianca e del Pentagono sulle strategie “della sicurezza” e della “difesa nazionale degli Stati Uniti”, di cui si dà ampio conto nel nostro scritto citato all’inizio, questi alleati, e dunque anche noi, sono chiamati in causa 153 volte come partecipi del progetto americano di dominio mondiale.
La domanda riguardante il prossimo futuro è se la Russia accetterebbe una tale sconfitta, che secondo il piano annunciato da Biden le sarebbe inflitta per radiarla dalla comunità internazionale e ridurla alla condizione di paria, un disegno a cui il resto del mondo invece si oppone. Intanto per gli Stati Uniti, disfatta la Russia, “la sfida culminante” da vincere, se necessario anche con la guerra, nel secondo e ultimo tempo della “competizione strategica” per l’egemonia mondiale, sarebbe quella con la Cina, benché essa non abbia fatto ancora niente per meritarselo. Tale piano peraltro è già in via di esecuzione, come anche il tentativo di assuefarvi l’opinione pubblica: domenica scorsa ad esempio l’editoriale de “la Repubblica” illustrava “il timore per la Cina” e spiegava che il governo italiano, su richiesta del G7, ha già “liquidato come una carta morta” l’intesa firmata da Conte con Pechino sulla “Nuova Via della Seta”, per poi “rinunciarvi” a fine anno.
L’incognita del futuro, che è il futuro anche nostro, è come la Russia risponderebbe all’invasione della Crimea, non meno aggressiva per lei di quanto sia stata per l’Ucraina l’invasione del Donbass, stante la volontà di mettere in gioco la sua sopravvivenza. Se un simile pericolo minacciasse gli Stati Uniti, sappiamo quale ne sarebbe la reazione, anche con l’arma nucleare, come è ribadito nel documento sulla Difesa Nazionale del 28 ottobre scorso: gli Stati Uniti non adottano la politica del “Non Primo Uso” dell’arma nucleare perché essa “comporterebbe un livello di rischio inaccettabile alla luce della gamma di capacità non-nucleari degli avversari che potrebbero infliggere danni di natura strategica agli Stati Uniti e ai loro alleati e partners”; così anche nella dottrina russa sul ricorso all’arma nucleare è previsto un suo uso preventivo quando ne risultasse a rischio l’esistenza stessa dello Stato, come è appunto nelle intenzioni dell’Occidente. La Russia non è l’Afghanistan o l’Iraq alla mercè dei suoi nemici; nella seconda guerra mondiale ha versato 26,6 milioni di morti per sopravvivere e, nonostante le sue attuali defaillances militari, è difficile pensare che le sue forze armate siano oggi inferiori a quelle di allora. È questa la guerra che si sta fomentando?
L’appello pubblicato nel sito si può firmare scrivendo a: ripudiosovrano@gmail.com . Pubblichiamo anche un articolo di Francesca Catalano su “Adolescenti a rischio e scenari da incubo” in relazione alle nuove tecnologie sull’umano.
Per partecipare invece alla “staffetta dell’umanità” per la pace del 7 maggio promossa da “servizio Pubblico” si può telefonare: WhatsApp +39 3420191578 comunicando nome e cognome, numero di telefono e residenza.
Con i più cordiali saluti,
Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri – Costituente Terra
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PER UN’ALTERNATIVA ALL’IMPERO
3 MAGGIO 2023 / COSTITUENTE TERRA / LA CONVERSIONE DEL PENSIERO /
Gli ultimi avvenimenti hanno aperto due visioni del mondo: un dominio universale o una pace nelle differenze. Un appello
La guerra in Ucraina è giunta ormai ad essere una guerra suicida: il Regno Unito combatte contro se stesso e la propria stessa immagine annunciando apertamente l’invio di proiettili anticarro ad uranio impoverito, l’Ucraina vuole riconquistare il Donbass grazie a queste armi con componenti nucleari capaci di contaminare l’ambiente per migliaia di anni e di intossicare chi lo inala o chi lo ingerisce: “si sospetta – spiega il pur simpatizzante Corriere della Sera – che arrivi a modificare il DNA, causando linfomi, leucemie e malformazioni dei feti”, tutto ciò a danno delle stesse popolazioni di cui si rivendica l’appartenenza all’Ucraina; la Russia sfida l’esecrazione universale minacciando per tutta risposta di schierare atomiche tattiche in Bielorussia.
A sua volta, dopo una debole tergiversazione, e con la spinta determinante del presidente Biden, il cancelliere tedesco Sholz ha dato il via libera alla distribuzione di carri armati tedeschi a tutti i fornitori di armamenti a Zelenski che insistentemente li chiede. In tal modo settant’anni dopo l’”Operazione Barbarossa” vediamo di nuovo i Panzer tedeschi avanzare nella pianura d’Ucraina per sconfiggere la Russia non più sovietica.
Questa volta però la regia è americana, gli attori ucraini, mentre ogni negoziato è escluso per legge dallo stesso Zelensky.
È difficile ignorare l’impatto emotivo di questa svolta. Si può avere la memoria corta e il cuore indurito, ma nelle viscere della terra corre un sussulto dinanzi al ritorno dei carri tedeschi proiettati a combattere contro i russi nel cuore dell’Europa, quando quell’evento fu al centro della seconda guerra mondiale e ne precedette di poco l’esito con la tragedia della bomba atomica, l’ingresso dell’umanità tutta nell’età del nucleare genocida, l’adozione di un rapporto internazionale postbellico temerariamente fondato sulla “reciproca distruzione assicurata”, fino alle attuali strategie di guerre preventive e di minacciato ricorso all’arma assoluta.
In tal modo va in scena il sempre esorcizzato e incombente conflitto tra la NATO e la Russia in Europa. E dopo? Potrà ancora sussistere l’ONU, quando gli alleati di ieri, diventati i nemici di oggi, dovrebbero stare insieme come Membri Permanenti del Consiglio di Sicurezza per salvaguardare la pace e la sicurezza del mondo, e invece sono intenti a distruggerle? Non a caso l’Ucraina contesta già oggi la presidenza russa pro-tempore del Consiglio di Sicurezza. E siamo sicuri che questa volta, per non scomparire, la Russia invece di versare nell’olocausto 26 milioni e 600.000 morti, non sarà indotta alla scelta disperata di difendersi col “primo uso” dell’arma nucleare?
E tutto ciò accade quando il mondo ha distolto lo sguardo dalla vera priorità, che è salvare la Terra dal disastro ecologico, e anzi va allo scontro proprio sul gas, l’energia. I beni vitali e la reciproca deterrenza nucleare.
È chiaro che la priorità è cercare le vie d’uscita dalla crisi in Ucraina. Se ne sarebbe potuto trovare la soluzione, se non fosse stata sacrificata a interessi estranei all’Europa, fino al 24 febbraio 2022, quando l’assalto militare russo ha gettato tutto nella fornace dello scontro armato; e forse all’inizio un negoziato sarebbe stato risolutivo. E ora ci sono di mezzo centinaia di migliaia di caduti, orfani, vedove, città distrutte, odi implacabili e l’accecamento, nella perdita di ogni verità, della maggior parte dei protagonisti, degli ispiratori, osservatori e narratori del conflitto. Però non possiamo non dire che giunti a questo livello di rischio, i protagonisti palesi od occulti della guerra la devono immediatamente fermare, anche contro ogni irredentismo territoriale: il negoziato è necessario e possibile, la ragione e il cuore hanno sempre la possibilità di risorgere.
Quale visione del mondo?
Qui però vogliamo interrogarci soprattutto sulle due visioni del mondo che gli ultimi avvenimenti hanno aperto davanti a noi, e che ci pongono davanti a scelte da cui dipende un lungo futuro, e forse la possibilità stessa di un futuro. Non si tratta infatti di dettagli, ma di un crinale a cui siamo giunti, da cui si potrebbe cadere in un precipizio senza rimedio, quel crinale che il vecchio La Pira, negli anni più paurosi della guerra fredda, chiamava il “crinale apocalittico della storia”, intendendo col termine “apocalittico” non la fine stessa della storia, ma lo svelamento dell’alternativa radicale cui essa era pervenuta mettendo la guerra come principio e signore di tutte le cose, e nello stesso tempo invitava i sindaci delle città opposte a Firenze.
Qual è la nostra visione del mondo, stando noi su questo crinale?
La visione del mondo che ci viene proposta con grande insistenza, e che ci viene attribuita come connaturale alla nostra civiltà e alla nostra storia, è la visione del mondo propria dell’Occidente, anzi dell’“Occidente allargato”, che ha oggi il suo centro in America, la sua potenza militare negli Stati Uniti e nella Nato, la vocazione a estendersi fino agli estremi confini della terra.
È in nome dei suoi valori che siamo chiamati alle armi, per “mettere il nostro mondo saldamente sulla strada di un domani più luminoso e pieno di speranza”, come promette oggi il presidente Biden nell’illustrare la “Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti”.
Di fronte a noi abbiamo però, gravemente inquietanti, due documenti fondativi che propugnano e illustrano questa visione del mondo e la assumono come normativa. Si tratta dei due documenti programmatici in cui, in piena guerra d’Ucraina, il 12 e 27 ottobre 2022, la leadership americana ha enunciato le due strategie fondamentali degli Stati Uniti: il primo è per l’appunto la “National Security Strategy” (october 2022 – The White House Washington) del Presidente Biden (in sigla NSS), il secondo ne è la pianificazione operativa sul piano militare, ed è la “National Defense Strategy of The United States of America 2022” (in sigla NDS) del capo del Pentagono Lloyd Austin, corredata da un dettagliato aggiornamento della “postura” o visione nucleare americana. Questa visione o “postura” ribadisce la decisione di non adottare la politica del “Non Primo Uso” dell’arma nucleare perché essa “comporterebbe un livello di rischio inaccettabile alla luce della gamma di capacità anche non-nucleari degli avversari che potrebbero infliggere danni di natura strategica agli Stati Uniti e ai loro alleati e partners”. È la conferma di quanto era già stato deciso dopo l’attacco alle Torri gemelle: la vecchia concezione basata sulla deterrenza e sulla risposta a un eventuale attacco altrui, non funziona più. Questa opzione non si può più fare perché non si può lasciare che i nemici colpiscano per primi. La miglior difesa è l’offesa. Quindi è prevista, di fronte a una minaccia, l’azione preventiva; la nuova strategia è di ricorrere se necessario per primi all’arma nucleare. scudo al cui riparo si possono condurre senza rischi per gli Stati Uniti le guerre convenzionali necessarie. E questa nuova dottrina, adottata ormai anche dalla Russia, fa sì che dietro questo scudo si pensa che si possnoa combattere tutte le guerre convenzionali, come si è sempre fatto in tutto il corso della storia.
Due documenti programmatici
Per quanto strettamente americani, questi due documenti, di fatto ignorati in Occidente, riguardano tutti, perchè investono non solo l’una o l’altra regione del globo, ma il destino del mondo come tale. E ciò è dimostrato dal fatto che di questo mondo gli Stati Uniti rivendicano globalmente la leadership, che vi installano le loro basi militari da per tutto, e che intendono disporne con l’affermazione che “non c’è nulla che vada oltre le nostre capacità: possiamo farcela, per il nostro futuro e per il mondo”; la posta in gioco sarebbe “di rispondere alle sfide comuni e affrontare le questioni che hanno un impatto diretto sulla vita di miliardi di persone. Se i genitori non possono nutrire i propri figli – specifica Biden – nient’altro conta. Quando i Paesi sono ripetutamente devastati da disastri climatici, interi futuri vengono spazzati via. E come tutti abbiamo sperimentato, quando le malattie pandemiche proliferano e si diffondono, possono aggravare le disuguaglianze e portare il mondo intero al collasso”. Sarebbe questa la preoccupazione degli Stati Uniti, la giusta ragione del loro intervento ma anche il motivo per cui il raggio d’azione entro cui la loro impresa, politica e militare, si deve esercitare è senza limiti territoriali: “Abbiamo approfondito le nostre alleanze principali in Europa e nell’Indo-Pacifico. La NATO è più forte e unita che mai, stiamo facendo di più per collegare i nostri partner e le nostre strategie nelle varie regioni attraverso iniziative come il nostro partenariato di sicurezza con l’Australia e il Regno Unito (AUKUS). E stiamo forgiando nuovi modi creativi per lavorare in comune con i partner su questioni di interesse condiviso, come con l’Unione Europea, il Quadrilatero Indo-Pacifico, il Quadro economico Indo-Pacifico e il Partenariato per la prosperità economica delle Americhe”; e da lì lo sguardo si spinge fino all’Artico.
Si postula dunque un unico potere che si protende alla totalità del mondo, nella presunzione che questo debba avere un unico ordinamento politico, economico e sociale, corrispondere a un unico modello di convivenza umana; e questo è un presupposto che da tempo gli Stati Uniti avevano posto a base della loro relazione col mondo, da quando, dopo l’11 settembre 2001 e lo shock dell’attacco alle Due Torri, avevano enunciato l’ideologia a cui doveva essere conformato l’assetto del mondo, perché questo corrispondesse agli interessi e alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America. Secondo quella ideologia il solo modello valido per ogni nazione sarebbe riassumibile in tre termini: Libertà, Democrazia e Libera Impresa; dunque un modello che mette insieme una definizione antropologica, una indicazione di regime politico ed una forma obbligatoria di organizzazione economico-sociale, e questo composto era dichiarato come normativo per tutti, sulla scia del “progetto”, pubblicato nell’ottobre del 2000, del “nuovo secolo americano”. Dunque non venivano contemplati tanti possibili regimi politici, economici e sociali, corrispondenti eventualmente a diverse teorie. Ce ne sarebbe uno solo che comporta un modello umano, quello dell’individualismo liberale, un modello politico, quello della democrazia occidentale, ed un modello economico, quello del capitalismo d’impresa. Altri modelli non sono ammessi e compito degli Stati Uniti sarebbe di diffondere questo modello in tutto il mondo.
Si potrebbe dire, fin qui, che non possiamo fare obiezioni: ognuno può avere la propria visione del mondo e auspicare e operare perché si realizzi.
Una chiamata alle armi anche per noi
Il problema è però che gli Stati Uniti vogliono fare tutto questo non per conto loro, ma coinvolgendo “l’impareggiabile rete di alleanze e partnership dell’America”. Questi partners nello stabilire l’ordine del mondo sono chiamati in causa 167 volte nei due documenti del presidente Biden e del Pentagono e attraverso la NATO in questa chiamata alle armi siamo coinvolti anche noi.
Dunque la cosa ci riguarda; e da partners e alleati, e non da sudditi o “vassalli”, come ha detto Macron, dobbiamo decidere se questa è la visione del mondo che abbiamo anche noi, se questo è il mondo che vogliamo costruire e qual è la nostra idea dello “stato del mondo” in cui ci troviamo ad operare.
La supremazia americana
La premessa da cui parte Biden e su cui tutta la strategia americana è fondata, “la nostra visione nel tempo”, come egli la definisce, è che “l’era post-Guerra Fredda è definitivamente finita”. Sarebbe una buona notizia se annunziasse la fine della guerra come tale. Purtroppo invece non è così: essa sancisce solo la fine della sua modalità come “guerra fredda”, cioè come una guerra sempre minacciata e mai combattuta, con armi sempre pronte all’uso ma accumulate e tenute ferme negli arsenali. Paradossalmente invece quella che ne deriva è una guerra liberata, non più trattenuta dai rischi di uno scontro nucleare, tornata ad essere libera all’esercizio, come non lo era stata all’epoca della competizione tra I blocchi, fino alla rimozione del muro di Berlino, e poi subito era stata recuperata come necessaria, buona e giusta e persino umanitaria con la prima guerra del Golfo, già nel 1991.
La seconda premessa è che liberato dai vincoli della guerra fredda, l’ovvio modo degli Stati, anzi delle maggiori Potenze, di relazionarsi tra loro, debba essere e sia quello di “una competizione strategica per plasmare il futuro dell’ordine internazionale” e, per gli Stati Uniti, quello di “far avanzare gli interessi vitali dell’America, posizionare gli Stati Uniti per superare i concorrenti geopolitici, affrontare le sfide comuni. Non lasceremo il nostro futuro vulnerabile ai capricci di chi non condivide la nostra visione di un mondo libero, aperto, prospero e sicuro”, dice Biden. Dovranno essere pertanto gli Stati Uniti a vincere in questa competizione: “Essi guideranno con i nostri valori”, “nessuna nazione è meglio posizionata degli Stati Uniti per avere successo”, naturalmente col corteo dei loro seguaci, di “tutti coloro che condividono i nostri interessi”: dunque si parte vincenti e lo spazio di tempo in cui ciò deve avvenire è “il prossimo decennio”, che il documento programmatico del presidente Biden definisce come “decisivo” e che poi nella programmazione della Difesa di Lloyd Austin si estende a comprendere “due decenni” destinati peraltro a prolungarsi nei decenni successivi. Dunque è un testo sul futuro del mondo.
La sfida culminante: la Cina
Questo è il mondo come è visto nel tempo, ma come è visto nello spazio, come viene proposto al nostro sguardo (e alle nostre decisioni) di oggi? Esso è un mondo di cui una parte (peraltro minore) si identifica con la democrazia, ed è contro l’altra, quella delle autocrazie, considerate costitutivamente minacciose e aggressive.
Nel documento del ministro della Difesa Lloyd Austin, esso è considerato come “l’ambito di sicurezza” in cui deve operare l’insieme delle Forze Armate americane (Joint Force), ovvero è il mondo come gli Stati Uniti se lo immaginano e vogliono che sia. È un mondo diviso tra quattro grandi soggetti considerati come contrapposti e in lotta fra loro: 1) Gli Stati Uniti e i loro alleati e partners; 2); la Cina; 3) la Russia, la Corea del Nord e le organizzazioni violente e estremiste, cioè il terrorismo; 4) la “zona grigia” che non è integrata in nessuno dei tre campi suddetti. L’Europa è aggregata al primo mondo, attraverso la NATO.
E subito, sia nel documento della Casa Bianca, sia in quello del Pentagono, vengono designati I due “competitori strategici”, quelli con cui dovrebbe disputarsi il dominio del mondo: e il maggiore non è, a sorpresa, il nemico tradizionale degli Stati Uniti, l’altra grande Potenza della seconda Guerra mondiale, la Russia, i cui “limiti strategici – sostiene Biden – sono stati messi in luce dopo la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina”; ora il vero nemico è la Cina. “La Russia – dice Biden – rappresenta una minaccia immediata e continua all’ordine di sicurezza regionale in Europa ed è una fonte di disturbo e instabilità a livello globale, ma non ha le capacità trasversali della Repubblica Popolare Cinese”.
Pertanto è la Cina a rappresentare la “sfida culminante” (pacing challenge) nel prossimo decennio e nei decenni successivi, a causa della sua intenzione e capacità di “rimodellare l’ordine internazionale a favore di un ordine che inclini il campo di gioco globale a suo vantaggio”. È questa la ragione per cui il piano di pace presentato da Xi Jinping per l’Ucraina, non è stato preso in considerazione.
È singolare che mentre per la Russia Biden abbia buon gioco nell’attribuirle “una minaccia immediata al sistema internazionale libero e aperto come ha dimostrato la sua brutale guerra di aggressione contro l’Ucraina”, ragione per cui essa doveva essere ridotta per punizione alla condizione di “paria” (che nel sistema indiano delle caste significa essere gettati fuori dall’umanità e dalla storia) per la Cina non c’è alcuna motivazione che sia addotta per doverla combattere, se non il fatto che essa sarebbe “l’unico concorrente che ha l’intenzione di rimodellare l’ordine internazionale e, sempre più spesso, ha il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per perseguire tale obiettivo”.
Sulla scia di questa “damnatio” pronunciata da Biden, pochi giorni dopo, il 27 ottobre, il documento operativo sulla “Strategia della Difesa Nazionale degli Stati Uniti” pubblicato dal Segretario alla Difesa Lloyd Austin, illustrava in che modo l’immenso potenziale americano sarebbe stato predisposto a sostenere con la deterrenza questa sfida con la Repubblica Popolare Cinese e a “scoraggiare l’aggressione”; esso sosteneva bensì che il conflitto con la Cina non è “né inevitabile né auspicabile” ma anche che gli Stati Uniti sono pronti, se la deterrenza fallisce, “a prevalere nel conflitto”, come del resto in ogni altro conflitto che si trovino a combattere.
Scenari di guerra e di pace. Verso il convegno di mercoledì 3 maggio 2023
Utopia e distopia
ORIGINI VICINE E LONTANE DELLA GUERRA IN UCRAINA
19 APRILE 2023 / EDITORE / DICE LA STORIA / DICE KANT / Costituente Terra
Dalla concezione belluina dello Stato “sovrano” ai documenti sulla strategia nazionale della sicurezza e della difesa degli Stati Uniti. Nascita e fallacia di un Impero
Pubblichiamo la relazione di Raniero La Valle per la presentazione a Brescia il 13 aprile 2023 al Centro Comboni per “I giovedì della Missione” del libro: “Leviatani, dov’è la vittoria?”
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Aladinpensiero contro la guerra
per la Pace: https://www.aladinpensiero.it/?s=Tibullo
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Rassegna stampa C3dem fino al 16 aprile 2023
Scuola: quando la comunità educante non è un’utopia
16 Aprile 2023 su C3dem.
di Pasquale Bonasora*
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Rocca. A sessant’anni dalla PACEM IN TERRIS
Il quindicinale Rocca della Pro Civitate Christiana, a cui siamo legati da un rapporto di amicizia e collaborazione, nell’ultimo numero (n.7 del 1 aprile 2023) dedica un servizio speciale sull’enciclica Pacem in terris emanata da Giovanni XXIII il 13 aprile 1963. Sono passati 60 anni ma il messaggio dell’enciclica è anche oggi straordinariamente valido. Chiara e netta la condanna della guerra che mai può essere giustificata: non è esiste nessuna “guerra giusta”. Lo rammentiamo a maggior ragione oggi, nel tempo in cui la guerra sconvolge molte parti del mondo, a partire dalla guerra Ucraina/Russia che si combatte in piena Europa, con il rischio sempre più pericolosamente possibile di un coinvolgimento planetario in conflitto atomico.
D’accordo con il direttore di Rocca, che ringraziamo, rilanciamo alcuni contributi del numero 7, già pubblicato online, condividendo in particolare la scelta strategica della nonviolenza come alternativa alle politiche guerrafondaie. Ostinatamente e convintamente per la Pace!
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La guerra tornata nella ragione?
di Raniero La Valle su Rocca
C’è un ripudio della guerra che sta nella Costituzione italiana, a cui non siamo rimasti fedeli (dalla partecipazione alla guerra contro l’Iraq, poi contro la Jugoslavia, al profluvio di armi inviate ad alimentare il conflitto in Ucraina) e c’è un ripudio della guerra proclamato da Giovanni XXIII nella «Pacem in terris» a cui la Chiesa è rimasta sempre fedele: dal «mai più la guerra!» gridato da Paolo VI dalla tribuna dell’Onu, all’opposizione frontale di Giovanni Paolo II alla guerra del Golfo, a papa Francesco che ha definito la guerra come una «mistica della distruzione». E se papa Giovanni aveva scritto che in questa età, che si gloria della potenza atomica, la guerra era uscita fuori della ragione (bellum alienum a ratione), e perciò non appartiene più all’umano, papa Francesco è andato oltre non solo definendo la guerra come «una pazzia», ma qualificando l’industria delle armi, «che le sta dietro», come «diabolica». Purtroppo con la guerra d’Ucraina e con tutte le altre che l’accompagnano le cose sono ancora peggiorate: l’industria delle armi ha talmente aumentato la produzione di armi che ci vorranno ancora più guerre per smaltirle; tutti i giornali parlano oggi della guerra come della cosa più normale del mondo e nessun negoziato è intrapreso per porre fine al sacrificio dell’Ucraina e alla guerra in Europa. Dunque assistiamo a un rovesciamento totale: quello che è diabolico è benedetto da chi ne trae profitti sempre più alti, la guerra che non apparteneva più all’umano vi è stata reintrodotta come congeniale alla natura stessa dell’uomo e quella che era uscita dalla ragione come mezzo atto a risarcire i diritti violati vi è stata rimessa senza che sia consentita altra ragione che la vittoria. Lo scacco della ragione è tanto maggiore perché per tutto il periodo della guerra fredda l’incompatibilità tra la guerra e la ragione era stata tenuta ferma, e anzi era stata presidiata dal terrore (la «deterrenza»), dato il rischio di una guerra nucleare. È stato con la prima guerra del Golfo, passata la paura dell’atomica grazie alla rimozione del muro di Berlino, che la guerra è stata recuperata, con la complicità dell’Onu, come ragionevole e anzi giusta e salutare, e da allora se ne è fatto uso più volte. Oggi la guerra non solo è combattuta in più continenti (papa Francesco ha citato «la Siria che da 13 anni è in una guerra terribile, lo Yemen, Myanmar e dappertutto in Africa»), ma è stata posta come struttura dell’ordine internazionale e cardine della nuova visione del mondo: i prossimi dieci anni, secondo gli Stati Uniti, saranno di «competizione strategica» tra le grandi Potenze e potrebbero finire in una guerra con la Cina. Il mondo è visto come «un campo di gioco globale» in cui le Nazioni si scontrano e lottano per la supremazia. La storia non ha insegnato niente. Ben prima della «Pacem in terris», in piena seconda guerra mondiale, Angelo Roncalli nell’omelia di Pasqua del 1942 nella cattedrale di Santo Spirito a Istanbul, essendo egli allora delegato apostolico in Turchia, aveva denunciato la causa di tutte le guerre: «Ciascuno di noi ama giudicare ciò che avviene dal punto di vista del pugno di terra sulla quale appoggia i piedi, cioè dal punto di vista della propria nazione. È una grande illusione. Bisogna elevarsi e abbracciare coraggiosamente l’insieme; bisogna elevarsi fino a perdere di vista le barriere differenziali che separano tra loro i combattenti» e, già Papa, nel messaggio di Natale del 1959 spiegava che «l’amore del prossimo, e verso la propria nazione, non deve ripiegarsi su se stesso, in una forma di egoismo chiuso e sospettoso del bene altrui, ma deve allargarsi ed espandersi per abbracciare tutti i popoli e con essi intrecciare relazioni vitali». La «Pacem in terris» non è stata dunque un bagliore improvviso, che irrompe nella storia e subito si spegne. Ma la storia aspetta ancora di esserne illuminata. ❑
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La guerra è illogica e immorale efficace e etica è la nonviolenza
di Mao Valpiana su Rocca
La guerra doveva diventare un tabù: vietata, proibita, inimmaginabile, persino impronunciabile. Invece, rieccola, accettata e idolatrata come mezzo per risolvere le controversie internazionali. «Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità»: inizia così il preambolo alla Carta delle Nazioni Unite. Stiamo dunque assistendo al fallimento dell’Onu che non è riuscita nel suo intento principale? Secondo Papa Francesco siamo già in piena terza guerra mondiale, non più «a pezzi». Dopo il primo e il secondo conflitto mondiale l’umanità sta rivivendo il flagello: «Oggi è in corso la terza guerra mondiale di un mondo globalizzato, dove i conflitti interessano direttamente solo alcune aree del pianeta, ma nella sostanza coinvolgono tutti». Anche la Costituzione italiana si era data l’obiettivo supremo di ripudiare la guerra, ma oggi c’è dentro in pieno, producendo ed esportando nel mondo le armi che servono ad alimentare i conflitti in corso. Il complesso militare-industriale italiano, Leonardo, il cui maggior azionista è il Ministero dell’Economia, rappresenta la più grande impresa militare europea, con fatturati in continua crescita e armi disseminate su tutto il pianeta, Paesi dittatoriali e in conflitto compresi. Dunque, proprio le istituzioni repubblicane, che la Costituzione dovrebbero rispettare, ne negano la missione fondamentale di ripudio della guerra, orecchie sorde al monito di Francesco: «I governanti capiscano che comprare armi e fare armi non è la soluzione del problema». il tempo stringe Il tempo sta per scadere nonostante gli avvertimenti dati già sessant’anni fa dall’Enciclica Pacem in Terris di S. Giovanni XXIII, all’indomani della costruzione del Muro di Berlino e della crisi dei missili di Cuba: «In un tempo come il nostro, che si gloria della potenza atomica, è alieno ad ogni ragione che la guerra possa essere uno strumento adeguato per ripristinare diritti violati» (n. 67). Papa Giovanni XXIII si poneva nel solco già tracciato dal Mahatma Gandhi pochi giorni dopo l’utilizzo per la prima volta nella storia della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki: «La morale legittimamente da trarre dalla tragedia suprema della bomba è che essa non sarà annullata da una contro bomba, così come la violenza non può essere combattuta da una controviolenza. L’umanità può uscire dalla violenza solo attraverso la nonviolenza. L’odio può essere vinto solo con l’amore». Anche don Lorenzo Milani si mette nella scia della Pacem in Terris e due anni dopo, nella sua Lettera ai giudici del 1965, ne trae le conseguenze politiche: «È noto che l’unica difesa possibile di una guerra di missili atomici sarà quella di sparare 20 minuti prima dell’aggressore, ma nella lingua italiana sparare prima si chiama aggressione, e non difesa. Oppure immaginiamo uno stato onestissimo che per sua difesa spari 20 minuti dopo, cioè spari con i suoi sommergibili, unici superstiti di un paese ormai cancellato dalla geografia. Ma nella lingua italiana, questo si chiama vendetta, non difesa. Mi dispiace se il discorso prende un tono di fantascienza. Ma Kennedy e Krusciov si sono lanciati l’un l’altro pubblicamente minacce del genere. Siamo dunque tragicamente nel reale. Allora la guerra difensiva non esiste. Dunque non esiste più una guerra giusta. La guerra difensiva non esiste più, né per la Chiesa, né per la Costituzione. Gli scienziati ci hanno avvertito che è in gioco la sopravvivenza della specie umana…». Oggi ai nomi di Kennedy e Krusciov, evocati da don Milani, possiamo sostituire quelli di Zelensky e Putin, e dalla storia precipitiamo nella tragica attualità. «Alienum est a ratione» significa fuori di testa, roba da matti. È l’impazzimento del tempo che stiamo vivendo. Papa Bergoglio, in piena continuità pastorale, osserva: «L’umanità era a un passo dal proprio annientamento, se non si fosse riusciti a far prevalere il dialogo, consapevoli degli effetti distruttivi delle armi atomiche. Purtroppo, ancora oggi la minaccia nucleare viene evocata, gettando di nuovo il mondo nella paura e nell’angoscia. Non posso che ribadire in questa sede che il possesso di armi atomiche è immorale». Dunque gli stati atomici sono stati immorali: Russia, Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Israele, Cina, India, Pakistan, Corea del Nord, a cui bisogna aggiungere – è l’elenco dell’immoralità – Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Turchia, che ospitano e accettano sul loro territorio le armi nucleari della Nato. Pazzi e immorali, questo siamo. Il tempo sta per scadere. Siamo a 90 secondi dalla mezzanotte secondo l’orologio dell’apocalisse della rivista Bulletin of the Atomic Scientists. È possibile fermare quelle lancette? La soluzione facile non c’è, altrimenti non saremmo qua a piangere, a temere per il futuro stesso del pianeta; ma se non la cerchiamo subito non ci sarà alternativa alla guerra con le sue annunciate drammatiche conseguenze globali. L’antidoto è prendere sul serio la nonviolenza. Il pensiero di Gandhi era chiaro fin dal 1939: «Voi volete eliminare il nazismo, ma non riuscirete mai ad eliminarlo con i suoi stessi metodi» e propose alle nazioni occupate da Hitler di ottenere la vittoria con la resistenza nonviolenta: «L’Europa eviterebbe lo spargimento di fiumi di sangue innocente e l’orgia di odio a cui oggi assistiamo». Aldo Capitini, che conobbe le conseguenze del secondo conflitto mondiale, dopo l’uso del nucleare militare sulla popolazione inerme, con la prima Marcia Perugia-Assisi del 1961 volle lanciare anche in Italia il metodo della nonviolenza politica come alternativa alla guerra: «Tanto dilagheranno violenza e materialismo che ne verrà stanchezza e disgusto; e salirà l’ansia appassionata di sottrarre l’anima ad ogni collaborazione con quell’errore», così scriveva nel 1936 prevedendo i massacri bellici del nazifascismo che incendieranno l’Europa. Alexander Langer si trovò ad affrontare concretamente il dilemma dell’alternativa alla guerra nel 1993 in pieno assedio di Sarajevo: «Oggi penso che davvero occorra un uso misurato e mirato della forza internazionale, e quindi nel quadro dell’Onu. Per fare cosa? Non certo per appoggiare alcuni dei contendenti contro altri, ma per fermare alcune azioni particolarmente intollerabili e far capire che c’è un limite», che la logica della guerra non paga. Gandhi, Roncalli, Milani, Langer, Bergoglio, sono le voci di un vasto movimento mondiale che dal 1945 in poi lavora per costruire l’alternativa alla guerra. Il tema che il pacifismo pone da oltre mezzo secolo è quello della messa al bando di tutte le armi nucleari, dell’abolizione della guerra dall’orizzonte del genere umano e della costruzione di un sistema di difesa e sicurezza non offensivo. Non è un’utopia, ma la proposta razionale e conseguente al diritto internazionale di una politica estera alternativa al modello imposto dai blocchi militari, la revisione di un modello di difesa basato su criteri di sostenibilità, razionalizzazione, riconversione. È la politica nonviolenta di prevenzione dei conflitti di oggi e del futuro. fermare subito la guerra in Ucraina tra resa e vittoria c’è una terza via? Per fermare la guerra bisogna non farla. Per ottenere il cessate il fuoco bisogna non sparare. Ma è morale, in una guerra di aggressione, chiedere all’aggredito di non prendere le armi? È possibile cercare una soluzione diversa che non sia la vittoria della vittima e la sconfitta del carnefice? Qui si entra in un terreno molto scivoloso, dove l’ideologia rischia di prevalere. La propaganda bellicista annulla ogni sfumatura e appiattisce: «o con me o contro di me», o con un esercito o con l’altro, o con il bene o con il male, senza se e senza ma. La nonviolenza, invece, ha tanti se e tanti ma da esprimere, e soprattutto vuole cercare una via praticabile e concreta, per salvare vite umane, con metodi compatibili con gli obiettivi di giustizia e libertà. La via unica di contrasto dell’aggressione è stata perseguita fino ad oggi solo con le armi, sempre più armi, inviate da Stati Uniti e Europa, ma non ha ancora ottenuto lo scopo desiderato. E la guerra continua. Esprimere una posizione critica all’invio di armi in Ucraina è una valutazione di contesto, fondata sull’esperienza e sui risultati negativi di trent’anni di guerre in tutto il mondo: Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, Cecenia: dove sono finite le armi? che uso ne è stato fatto? con quali conseguenze? chi erano i buoni e chi i cattivi? chi ha vinto, chi ha perso? libertà e democrazia hanno prevalso? la vita di chi doveva essere liberato, è migliorata o peggiorata? Bisogna rispondere a queste domande prima di seguire lo stesso copione, come una coazione a ripetere. Bisogna capire qual è lo schema di gioco imposto dalle armi stesse: misurarsi con la distruzione del Paese, le migliaia di morti, feriti, invalidi e milioni di profughi. Lo scenario più terribile è quello di uno scontro generalizzato e permanente nel cuore d’Europa. È una prospettiva accettabile, o non conviene perseguire già oggi una strada diversa, che ponga le basi per un futuro di pace? Ci si può impegnare per l’invio di armi sempre più potenti, oppure ci si può impegnare per sostenere la resistenza nonviolenta, oggi minoritaria, ma che proprio per questo ha bisogno di solidarietà e aiuto. L’industria bellica costruisce i fucili; la nonviolenza i fucili li spezza. Sono due scelte diverse, forse entrambe legittime, ma incompatibili. Anche in Ucraina, in Russia, in Bielorussia (dove c’è il rischio concreto dell’apertura di un secondo fronte contro l’Ucraina, da parte del dittatore Lukashenko su pressione di Putin) c’è chi crede nella nonviolenza come possibilità di resistenza civile. Ci vuole ancora più forza per difendersi senza armi in mano, per amare la propria patria senza odiare quella altrui. Il movimento pacifista e nonviolento ha scelto di stare dalla parte di chi la guerra la rifiuta, di chi pratica l’obiezione di coscienza in Russia, in Bielorussia e in Ucraina, di chi diserta e vuole già oggi costruire la pace. Nell’ambito della Campagna di Obiezione alla guerra e della mobilitazione «Europe for Peace», sosteniamo concretamente i movimenti per la pace e la nonviolenza dei Paesi coinvolti nel conflitto che tutelano gli obiettori di coscienza dei loro Paesi e propagandano l’idea di sottrarsi alla guerra, di disertare dagli eserciti. In particolare i pacifisti russi e bielorussi (molti dei quali hanno dovuto espatriare) stanno attuando una vasta campagna per «rubare l’esercito» dalle mani di Putin e Lukashenko. In Bielorussia la campagna ha già attenuto un importante risultato: su 43.000 richiamati per un addestramento alla mobilitazione, se ne sono presentati solo 6.000. In Russia sono decine di migliaia i renitenti alle leva che si sono nascosti o hanno lasciato il Paese legalmente o illegalmente. E sono oltre 22.000 i pacifisti russi arrestati: è sufficiente dire pubblicamente che si è contro la guerra in Ucraina e per la pace, per essere incriminati. In Bielorussia si è arrivati ad emanare la pena di morte per i disertori e l’accusa di terrorismo per i pacifisti. Questo dimostra quanto il regime abbia paura proprio dell’attivismo nonviolento. Stiamo partecipando alla Object War Campaign! per diffondere gli strumenti comunicativi, per assicurare la difesa legale ai perseguitati, per aiutare i condannati o gli esuli, per organizzare le campagne di pressione politica, per rafforzare la rete internazionale della nonviolenza organizzata. Questo è quello che possiamo fare e che facciamo. Mao Valpiana
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È possibile sostenere le iniziative di pace in Russia, Bielorussia e Ucraina con la Campagna «Obiezione alla guerra» con un versamento su IBAN IT35 U 07601 11700 0000 18745455, intestato al Movimento Nonviolento, causale «Obiezione alla guerra»
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Mao Valpiana. Presidente del Movimento Nonviolento Membro dell’Esecutivo Rete italiana Pace e Disarmo, direttore della rivista «Azione nonviolenta»
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Costituente Terra – Chiesadituttichiesadeipoveri
Costituente Terra Newsletter n. 108 del 18 marzo 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n.289 del 18 marzo 2023.
Fuori dall’inferno
Cari amici,
Ha ragione la destra di governo quando dice che di tragedie del mare per numero di morti e mancati salvataggi ce ne sono state ben più gravi prima di quella di Cutro, e sotto la responsabilità di altri governi. Ma i fenomeni non si misurano a peso, tra cause ed effetti quasi mai tornano i conti, la guerra d’Ucraina è più piccola di molte altre guerre passate ed in corso, ma i suoi effetti sulla storia del mondo saranno incommensurabilmente maggiori, a cominciare dal sabotaggio del Consiglio di Sicurezza che Putin non potrebbe raggiungere grazie all’oltraggio del mandato di arresto internazionale spiccato contro di lui che di fatto glielo vieta. [segue]
Pace. «Una foresta di persone contro la logica delle armi»
«Una foresta di persone contro la logica delle armi»
intervista a Giovanni Ricchiuti a cura di Luca Kocci
in “il manifesto” del 5 novembre 2022
Nel popolo che oggi scende in piazza contro la guerra ci sono anche molti cattolici. Il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, giovedì scorso su Avvenire ha scritto una lettera aperta «a chi manifesta per la pace» per dire «liberi insieme dalla guerra». Pochi giorni prima i presidenti di 47 associazioni e movimenti cattolici hanno firmato un documento con cui chiedono non armi ma dialogo e diplomazia. Fra loro anche Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura e presidente di Pax Christi.
Monsignore cosa risponde a chi dice che oggi c’è la solita manifestazione delle “anime belle” prive di realismo politico o dei filo-Putin?
Io continuo a preferire un’anima bella, anzi tante anime belle, a quanti invece sono senza anima, cioè sono talmente rassegnati e pessimisti che non vedono soluzioni se non quelle armate. E poi non sono anime, ma corpi e voci che in tante occasioni non si sono limitate a scendere in piazza, ma sono andati sui luoghi delle sofferenze e delle guerre, per esempio in Ucraina con le carovane per la pace. Inoltre nessuno di noi ha mai messo in dubbio che l’aggressore è la Russia, l’aggredito è l’Ucraina.
Il movimento per la pace si sta rianimando?
Penso e spero di sì. Molti, come al solito, ironizzano sui pacifisti. A me viene sempre in mente quel proverbio: fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. Oggi in piazza ci saranno decine di migliaia di persone, questo significa che la foresta è silenziosamente cresciuta, in mezzo al rumore delle bombe di una guerra che da otto mesi sta insanguinando l’Europa. In questi anni le strade si sono un po’ svuotate, ma i pacifisti, anzi gli operatori di pace, hanno continuato a portare avanti tante iniziative, quindi forse il bilancio non è così negativo o fallimentare come qualcuno vuole far credere.
Il documento delle associazioni cattoliche chiede «un impegno più determinato nella ricerca della pace» perché «affidarsi esclusivamente alla logica delle armi rappresenta il fallimento della politica». In questi mesi però ci si è affidati alle armi, non alla diplomazia. Perché? Per almeno due motivi. Il primo è l’assenza di una cultura di pace in chi ha la responsabilità di orientare e guidare la politica. «Parlano di pace, ma hanno nel cuore hanno la guerra», dice un salmo. Noi abbiamo sentito pronunciare tante volte la parola pace, poi nelle azioni politiche abbiamo visto prevalere la logica delle armi. In questi otto mesi non ci sono stati seri tentativi di dialogo e di negoziato o proposte di interposizione non armata, l’unica risposta è stata quella di fornire armi all’Ucraina per la propria difesa.
E il secondo?
Interessi politici ed economici, spesso ben mascherati. Nel 2021 l’Italia ha esportato armi per oltre quattro miliardi e mezzo di euro. E poi l’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil: ne vogliamo parlare? È un muro di interessi davvero difficile da abbattere.
Il nuovo governo italiano ha confermato la linea di fedeltà assoluta alla Nato, e quindi l’invio di armi. Non sembra emergere l’intenzione di farsi promotori di una seria iniziativa diplomatica per la pace…
Per niente! Del resto non c’era da sperare qualcosa di diverso rispetto al passato più recente. E purtroppo credo che a livello politico le cose non cambieranno nemmeno per il futuro.
Le associazioni cattoliche hanno rinnovato la richiesta al governo di ratificare il trattato Onu di proibizione delle armi nucleari, per affermare «che non vogliamo armi nel nostro territorio». Anche qui però non si vede una svolta. Anzi pare che gli Usa stiano potenziando gli arsenali atomici di Ghedi e Aviano.
Abbiamo voluto ricordare al governo che l’Onu, con un trattato entrato in vigore nel gennaio 2021, ha dichiarato illegali le armi nucleari. Oltre cinquanta Stati lo hanno ratificato. L’Italia no, perché siamo membri della Nato. Ci si difende ancora dietro il principio della deterrenza. Addirittura alcuni teologi hanno rispolverato la dottrina della guerra giusta. Poi per fortuna papa Francesco ha detto che il possesso delle armi nucleari non è solo illegale, ma anche immorale.
Con la guerra aumentano le disuguaglianze sociali, a pagare sono sempre gli ultimi, come diceva Brecht. Subito dopo le elezioni del 25 settembre, la Cei aveva dichiarato che avrebbe vigilato sui diritti dei più deboli. Il nuovo governo va in questa direzione?
I primi segnali destano molta preoccupazione. Continueremo a denunciare le ingiustizie e le ineguaglianze sociali. A dire che di fronte a cinque milioni e mezzo di poveri assoluti, secondo l’ultimo rapporto Caritas, occorrono misure di redistribuzione del reddito, di riduzione delle spese militari e aumento delle spese sociali. Ma temo che non ascolteranno.
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Newsletter n.282 del 6 novembre 2022
TRAVISATI
Cari Amici,
sabato ci sono state le manifestazioni. Ci sono andati in centomila. A Roma e in Bahrein, per la pace, a Milano per la guerra. Il cardinale Zuppi per la pace: “Caino vide nel fratello Abele solo un nemico”, Francesco: “Amare tutti, amare i nemici”; Letta e Micromega per la guerra: “Solidarietà con l’Ucraina, Putin go home”, “Si alle armi, coerenti alle nostre posizioni dal 24 febbraio”. Interdette le bandiere di partito, cioè interdetto il discernimento delle ragioni, se ci sono, delle due parti.
Sabato c’è stato anche il blocco delle navi delle ONG, il divieto di sbarco, fuori dai porti negati.
C’è dunque una divergenza tra chi decide che la gente deve morire e chi pensa di salvarla, di preservarne la vita. Nel vocabolario la prima posizione si chiama assassinio, la seconda soccorso. Scongiurare la guerra significa buongoverno, sacrificare tutto alla vittoria significa terrore.
Se è un assassinio lasciare uomini, donne, bambini (quelli accompagnati , vispi e senza dissenteria) in mezzo al mare perché vadano alla deriva e muoiano non subito ma in differita, gli assassini sono travisati , perché si mascherano con la buona azione di “farsi carico delle emergenze sanitarie, di minori, donne incinte, donne con bambini piccoli, gente con la febbre”, e che gli altri si perdano.
Se è un assassinio mandare armi e sempre più armi perché i Russi siano scannati non meno degli Ucraini, gli assassini sono travisati perché si mischiano con il popolo della pace e con le sue bandiere.
Se la guerra, quella che una volta era dichiarata in buona e debita forma, è ordinata all’annientamento del nemico che va “debellato”, allora c’è una guerra che non mira all’annientamento dell’Ucraina ma è stata motivata dalla sua negata neutralità, e c’è una guerra che mira all’annientamento della Russia, a metterla “in condizioni di non poter mai più combattere” e a ridurla “con sanzioni mai viste prima” allo stato di paria.
Se la guerra è essa stessa un crimine, non essere equidistanti significa cercare i criminali di guerra sia ad Est che ad Ovest, compresa la NATO.
Se la difesa dei confini della Patria consiste nello sbarrare porti e coste contro Saraceni che non ci sono e naufraghi senz’armi, questa è una ragione di irreparabile rottura tra un Paese che ieri nella Resistenza ha lottato per un mondo accogliente per tutti e un governo dell’altro ieri che si mette in stato d’assedio sul mare, anche se la sua Presidente non ha simpatia per il regime dei Tribunali speciali per la difesa dello Stato che pregava Dio di “stramaledire gli Inglesi”.
Con i più cordiali saluti,
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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Documento. Il mondo cattolico è pronto alla sfida: «Insieme a Francesco, per la pace»
I 54 firmatari sabato 29 ottobre 2022
A pochi giorni dalla grande manifestazione per la pace del 5 novembre a Roma e uniti a Papa Francesco, offriamo questo contributo di riflessione al dibattito e al confronto in corso sul drammatico problema della guerra e sulla necessità di avviare concreti percorsi di pace.
Dal 24 febbraio 2022 la Russia di Putin con l’invasione dell’Ucraina ha portato la guerra nel cuore dell’Europa. Una guerra che comporta in prevalenza vittime civili, tra cui in maggioranza donne, bambini e anziani, a causa di bombardamenti su abitazioni, scuole, ospedali, centri culturali, chiese, convogli umanitari. Questa guerra si pone accanto alle tante altre sparse per il mondo, per lo più guerre dimenticate perché lontane da noi.
Da quando è apparso sulla terra l’uomo ha cominciato a combattere contro i propri simili: Caino ha ucciso Abele. E poi tutta una sequela di guerre: di conquista e di indipendenza, guerre rivoluzionarie e guerre controrivoluzionarie, guerre sante e guerre di religione, guerre difensive e guerre offensive, crociate… fino alle due guerre mondiali. Con la creazione delle Nazioni Unite si pensava che la guerra fosse ormai un’opzione non più prevista, una metodologia barbara, dunque superata, per la soluzione dei conflitti. E invece no. Eccoci ancora con il dramma della guerra vicino a noi.
Don Primo Mazzolari, dopo l’esperienza drammatica di due guerre mondiali, era giunto alla conclusione, in “Tu non uccidere”, che la guerra è sempre un fratricidio, un oltraggio a Dio e all’uomo, e di conseguenza, tutte le guerre, anche quelle rivoluzionarie, difensive ecc., sono da rifiutare senza mezzi termini. È quanto aveva scritto ai governanti dei Paesi belligeranti anche Papa Benedetto XV nel pieno della prima guerra mondiale, indicandola come «una follia, un’inutile strage». E come non ricordare Paolo VI all’Onu nel 1965 con il suo grido rivolto ai potenti del mondo: «Mai più la guerra, mai più la guerra, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con le armi in pugno»?
Un grido, questo, ripetuto da Giovanni Paolo II nel tentativo di scongiurare la guerra in Iraq e l’invasione del Kuwait e da Benedetto XVI ad Assisi accanto ai leader religiosi mondiali.
Ora, di fronte al drammatico conflitto in corso in Ucraina, è papa Francesco a ricordarci costantemente che la guerra è «una follia, un orrore, un sacrilegio, una logica perversa»: «Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo distruzione? In nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore, rinnovo il mio appello affinché si giunga subito al cessate il fuoco. Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili. E tali saranno se fondate sul rispetto del sacrosanto valore della vita umana, nonché della sovranità e dell’integrità territoriale di ogni Paese, come pure dei diritti delle minoranze e delle legittime preoccupazioni» (Angelus di domenica 3 ottobre 2022).
Come realtà del mondo cattolico italiano e dei movimenti ecumenici e nonviolenti a base spirituale, vogliamo unire la nostra voce a quella di Papa Francesco per chiedere un impegno più determinato nella ricerca della pace.
Affidarsi esclusivamente alla logica delle armi rappresenta il fallimento della politica. Il nostro Paese deve da protagonista far valere le ragioni della pace in sede di Unione Europea, di Nazioni Unite e in sede Nato. Il dialogo, il confronto, la diplomazia sono le strade da percorrere con determinazione.
Servono urgentemente concrete scelte e forti gesti di pace. Di fronte all’evocazione del possibile utilizzo di ordigni atomici, e dunque di fronte al terribile rischio dello scatenarsi di un conflitto mondiale, un gesto dirompente di pace sarebbe certamente la scelta da parte del nostro Paese di ratificare il “Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari”, armi di distruzione di massa, dunque eticamente inaccettabili. L’abbiamo già chiesto ad alta voce in 44 presidenti nazionali di realtà del mondo cattolico e come movimenti ecumenici e nonviolenti a base spirituale, con la sottoscrizione, nella primavera del 2021, del documento “L’Italia ratifichi il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari”, e poi con un secondo documento del gennaio 2022. L’hanno chiesto centinaia di Sindaci di ogni colore politico. L’hanno chiesto in un loro documento i vescovi italiani. L’hanno chiesto associazioni e movimenti della società civile.
Rinnoviamo ora questa richiesta al nuovo Governo e al nuovo Parlamento affinché pongano urgentemente all’ordine del giorno la ratifica del “Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari”, a indicare che il nostro Paese non vuole più armi nucleari sul proprio territorio e che sollecita anche i propri alleati a percorrere questa strada di pace. Purtroppo, anche dopo tante guerre, noi non abbiamo ancora imparato la lezione e continuiamo ogni volta ad armarci, a fare affari con la vendita di armi e a prepararci alla guerra.
Forse sarebbe opportuno con determinazione e coraggio percorrere altre strade. Forse sarebbe opportuno riempire di precise scelte e contenuti quella che Giorgio La Pira chiamava «l’utopia della pace ». Prima che sia troppo tardi.
«La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo e di impostare le relazioni internazionali» (papa Francesco, 24 marzo 2022).
Ecco tutti i firmatari dell’appello
[segue]
Diciamo NO alle armi nucleari e SI a forti gesti di pace e di dialogo
30 Ottobre 2022 by Fabio | su C3dem
“Il cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace. Fare la pace è la sua vocazione” (Primo Mazzolari).
A pochi giorni dalla grande manifestazione per la pace del 5 novembre a Roma e uniti a Papa Francesco, offriamo questo contributo di riflessione al dibattito e al confronto in corso sul drammatico problema della guerra e sulla necessità di avviare concreti percorsi di pace.
[segue]
Che succede?
PRESIDENTI DIVISIVI. IL PD SECONDO ARTURO PARISI
15 Ottobre 2022 su C3dem.
[segue]
Liliana Segre, senatrice a vita, presiede la seduta inaugurale del Senato della Repubblica.
Per l’apertura della XIX legislatura
PRESIDENTE. Buongiorno a tutti, colleghe senatrici e colleghi senatori.
Rivolgo il più caloroso saluto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e a quest’Assemblea (Applausi). Con rispetto, rivolgo un pensiero a Papa Francesco. (Applausi).
Certa di interpretare i sentimenti di tutta l’Assemblea, desidero indirizzare al presidente emerito Giorgio Napolitano, che non ha potuto presiedere la seduta odierna, i più fervidi auguri, con la speranza di vederlo ritornare presto ristabilito in Senato. (Applausi). Il presidente Napolitano mi incarica di condividere con voi queste sue parole: «Desidero esprimere a tutte le senatrici e i senatori di vecchia e nuova nomina i migliori auguri di buon lavoro al servizio esclusivo del nostro Paese e dell’istituzione parlamentare, ai quali ho dedicato larga parte della mia vita». (Applausi).
Anch’io, ovviamente, rivolgo un saluto particolarmente caloroso a tutte le nuove colleghe e a tutti i nuovi colleghi, che immagino sopraffatti dal pensiero della responsabilità che li attende e dall’austera solennità di quest’Aula, così come fu per me quando vi entrai per la prima volta in punta di piedi.
Come da consuetudine, vorrei però anche esprimere alcune brevi considerazioni personali. [segue]
Ernesto Balducci uomo del futuro. È online Rocca n.15 del 1° agosto 2022, dedicato a padre Ernesto Balducci a 100 anni dalla sua nascita e a 30 anni dalla sua morte.
LUCIDITÀ E PASSIONE
Ernesto Balducci
L’editoriale di Mariano Borgognoni su Rocca.
Balducci manca davvero. La sua è un’assenza che si sente a livello intellettuale, politico ed ecclesiale (per quanto a livello ecclesiale mi pare che ad un certo punto sospese le aspettative e tuttavia non scelse mai la strada, talvolta comprensibile ma quasi sempre sterile, della rottura). [segue]
Ernesto Balducci uomo del futuro. È online Rocca n.15 del 1° agosto 2022, dedicato a padre Ernesto Balducci a 100 anni dalla sua nascita e a 30 anni dalla sua morte.
LUCIDITÀ E PASSIONE
Ernesto Balducci
L’editoriale di Mariano Borgognoni.
Balducci manca davvero. La sua è un’assenza che si sente a livello intellettuale, politico ed ecclesiale (per quanto a livello ecclesiale mi pare che ad un certo punto sospese le aspettative e tuttavia non scelse mai la strada, talvolta comprensibile ma quasi sempre sterile, della rottura). Ricordarlo per noi di Rocca non è solo un dovere, per quanto il ricordo di chi è morto sia sempre un elemento di civiltà che porta gli uomini ad essere animali capaci di gratitudine, ma è soprattutto un’esigenza che nasce dalla stima e dall’affetto verso un così fedele ed autorevole collaboratore ed un amico senza del quale sarebbe stata più povera la vita della Pro Civitate Christiana. Altri parleranno più diffusamente del suo pensiero, della sua opera e della sua vita, per parte mia desidero solo raccogliere una trama di ricordi ad iniziare da quando, ancora adolescente in cerca d’autore, sentivo dalla camera che avevo in uso in un piccolo monastero, i tre monaci che passavano nottate discutendo sugli articoli di Testimonianze e accapigliandosi sulle tesi di Balducci, tirandolo dai due lati della sua giacca. Più tardi ho capito la forza della non facile posizione balducciana che, pur compiendo una netta scelta di campo, era contraria all’assorbimento politico della fede che tradiva, a suo parere, sia la laicità della politica che la riserva escatologica della fede verso ogni ordine stabilito e sacralizzato. Non amava una democrazia cristiana ma nemmeno vedeva di buon occhio un socialismo cristiano. Questa posizione è felicemente espressa in un passaggio del libro intervista «Il cerchio che si chiude». «La stanza in cui dormivo da piccolo aveva una finestra che dava su un dirupo oltre il quale si alzava una breve cornice di poggi. Ai lati del dirupo, la lunga sagoma di un antico convento di Clarisse. Di notte, a più riprese, la campanella chiamava le monache a mattinar lo sposo. Di tanto in tanto, mi capitava di scendere dal letto, al suono della campanella, per osservare nel buio accendersi una dopo l’altra le minuscole finestre delle celle e
spegnersi. Ora mi spiego il fascino di quello spettacolo notturno (…). Era come se mi affacciassi all’altro versante della vita dove il tempo ha ritmi diversi dal nostro, è un tempo inutile, è il tempo dell’Essere (…). Potrei dire che io, da quella finestra non mi sono mai mosso». Balducci, mai stato fermo è insieme colui che non si è mai mosso da quello sguardo su un Regno nuovo da vivere ma sempre da attendere, da attendere ma vivendo fino in fondo la vita di tutti. Scegliendo gli ultimi come luogo dove poggiare la punta del compasso per disegnare un mondo più giusto. Mi si consenta in questo senso una suggestione. Tre uomini con storie e provenienze diverse, nati cento anni fa: Balducci, Berlinguer e Pasolini, hanno avuto parole convergenti e profetiche nell’avvertire e denunciare il rischio di una dissenna- ta corsa ad uno sviluppo umanamente e socialmente iniquo e ambientalmente insostenibile e nel proporre con la cultura della pace, con la politica dell’austerità e con la memoria e la difesa dei «mondi» saccheggiati dall’omologazione consumistica, una strada radicalmente alternativa. Devo dire che mi sono ritrovato tante volte con il Balducci che ha anticipato la riflessione sulla pace e sulla cultura che può prepararla, sulla fraternità con tutto ciò che vive, sull’uomo planetario. Ma quello che mi colpiva era soprattutto il Balducci che ogni tanto trovavi, come una sorpresa, con notazioni fulminanti di cui avvertivi la verità; come quando notava ciò che, chi veniva dall’esterno del mondo povero, non poteva notare: «Quando la povertà non è nella zona della miseria ma è ai limiti dell’autosufficienza, sia pure stremata, ci sono forme di straordinaria felicità. Io so che i poveri sono capaci di grande allegria». A chi è venuto da lì non era difficile sentire dietro la prodigiosa intelligenza l’anima semplice di padre Balducci radicata nella fedeltà alla sua terra di contadini e minatori, quella Santa Fiora sull’Amiata dove oggi riposa. Ernesto Balducci fu uomo del dialogo ma ad un certo punto ne sentì il fastidio che espresse anche in Cittadella quando ad un dibattito con un giornalista laico e un esponente politico marxista affermò in modo sarcastico: «Che bisogno c’era di tre persone? Bastavo io che sono cattolico, laico e marxista!». Un modo sferzante di dirci che le appartenenze blindate ideologicamente erano ormai saltate e che si doveva pensare un nuovo cammino e semmai nuove divisioni. Poco prima della sua morte, promossi a Perugia un convegno dal titolo un po’ pretenzioso: «Uno sguardo sul mondo». A distanza di un giorno si alternarono due uomini per me molto significativi: Ernesto Balducci e Sergio Quinzio. Due approcci molto diversi eppure, a me pare, entrambi necessari per ancorare la fede alle esigenze di cambiare il mondo, vedendone il mistero dell’ini- quità e sapendo che c’è un oltre; quell’oltre guardato nella notte dalla sua finestra di bambino, che è un modo di pensare, operare ed attendere la salvezza estrema dell’uomo. Accompagnandolo in Cittadella alla fine del convegno perugino scambiammo qualche idea sulla caduta del Muro e sulle sue conseguenze, tornando su un’intervista che gli avevo fatto qualche mese prima alla Badia fiesolana. Ricordo lo stupore con cui accolsi il suo tono infastidito sugli entusiasmi che stavano dilagando. Mi disse: «Guarda che il mondo è sistemico e l’implosione del comunismo toglierà ai paesi capitalistici la paura della rivoluzione e vorranno tornare a non aver freni nella logica del profitto». A più di trent’anni di distanza vien da dargli ragione. Mi sembra altrettanto interessante notare la forza di una previsione in un saggio del 1991 dal titolo L’Europa del 1989 in cui scriveva: «Nel sommovimento dell’Est europeo ci sono segnali preoccupanti (…). Sulla soglia dell’era postmoderna rinascono tutte le nostalgie del passato, rimaste soffocate ma non estinte durante il trionfo della modernità. Quelle nostalgie potrebbero imprimere all’Europa una spinta regressiva dagli esiti disastrosi». Balducci prospetta sì l’uomo planetario ma non gli sfugge il rischio dell’uomo identitario. Queste poche righe sono una impressionante fotografia della situazione attuale in Russia e in altri Paesi dell’Europa orientale. Ma con la speranza e la fiducia che la partita non è chiusa e che forse siamo solo nel lato discendente di una spirale. Dentro questa lucida descrizione e predizione dei rischi c’era infatti in padre Balducci una scommessa positiva sul futuro dell’umanità. Un atteggiamento che lui stesso definì, in una delle ultime interviste, ottimismo tragico. Cioè l’idea che pur dentro gli inevitabili travagli infine l’umanità dovrà scegliere di salvarsi non con la forza delle armi, non con la hybris di dominare attraverso la tecnica tutti gli elementi della natura, non con la competizione senza freni tra popoli e individui ma percorrendo una strada nuova, attingendo alle risorse dell’homo absonditus dentro cui «pulsa l’attesa delle generazioni future». Lungo questa via, Balducci ha riletto radicalmente la sua comprensione di fede fino ad auspicare la morte della figura storica del Cristianesimo nella logica evangelica del seme che solo così porta frutto. In questa fede restituita alla potenza della sua fragilità, sta l’ultima spoliazione di Ernesto Balducci e il suo, alla fine, non dirsi che uomo, nella cui coscienza è nascosto il lievito del vangelo «che fa vivere il nostro cuore un po’ più in là dei nostri passi». ❑
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ERNESTO BALDUCCI UOMO DEL FUTURO
ha insegnato a pensare il mondo come progetto
di Raniero La Valle
giornalista e scrittore, più volte parlamentare della Repubblica.
Sono molto contento che anche Rocca voglia ricordare padre Ernesto Balducci, in questo arco di tempo in cui si celebrano i 100 anni dalla sua nascita e i 30 anni dalla sua morte.
Lo si può ricordare in tanti modi: il principale senza dubbio è quello di rievocare l’inesauribile ricchezza del suo insegnamento, le geniali intuizioni che egli ci svelava nei suoi libri, nelle sue omelie, nei suoi inesausti percorsi di città in città per portare la sua parola, per accendere le speranze, per rinvigorire le fedi, per generare le azioni. Proprio in uno di questi percorsi senza risparmi egli doveva trovare la morte.
Io lo ricordo come uno dei grandi architetti che in quello straordinario Novecento che abbiamo vissuto, sognavo di mettere attorno a un tavolo, di fare interagire tra loro, di provocare per averne un giudizio, un’indicazione, una profezia sul nuovo mondo che volevamo costruire.
Come sarebbe bello, pensavo, mettere insieme padre Balducci, Raimundo Panikkar, Ivan Illich, Giuseppe Dossetti, padre Benedetto Calati, Aldo Moro, Claudio Napoleoni, e forse qualcun altro che avevo direttamente incontrato, chissà quale sapienza, quale mistica, quali linee d’azione ne sarebbero venute! Tutti insieme avrebbero potuto indicare un percorso, abbozzare il disegno dell’opera da compiere, evocare l’utopia che davvero si potesse realizzare. Certo, era un pensiero ingenuo, discepolare, ma era rivelatore di un atteggiamento che in quegli anni era di molti, quello di pensare il mondo non come un dato, ma come un progetto, e vivere la politica, la fede, la cultura non come un identikit di ciò che eravamo, ma come un investimento per ciò che volevamo far sorgere. Quell’aurora, che secondo padre Balducci dovevamo «forzare a nascere», di fatto poi non si è accesa. E invece è venuta la notte che ha oscurato i paesaggi radiosi appena intravisti, ha inghiottito l’uomo planetario di cui egli aveva preconizzato l’avvento, ha sconvolto le rotte del ritorno delle caravelle che secondo lui avrebbero dovuto ritessere l’unità dei mondi lacerati dalle scoperte e dalle conquiste.
Per padre Balducci la negazione di tutto ciò per cui aveva combattuto l’intera vita giunse con la guerra del Golfo perpetrata dall’Occidente sovvertendo il diritto che era stato messo nelle mani dell’Onu e «confondendo con le macerie di Bagdad le macerie delle grandi costruzioni giuridiche» presenti nelle Carte delle statuizioni universali di cui eravamo stati fieri, dalla Carta atlantica alle Costituzioni nazionali. Per noi la catastrofe delle speranze a cui abbiamo dedicato la vita giunge ancor più con la guerra d’Ucraina, quando alla violenza omicida perpetrata dalla Russia la Nato risponde di nuovo spaccando il mondo in due blocchi, intronizzando la guerra come sovrana, pronosticando l’annientamento della Russia e la partita finale con la Cina.
Nella guerra del Golfo padre Balducci aveva visto «la fine dell’età moderna cominciata cinquecento anni fa col genocidio degli Indios nel lontano Occidente»; nella guerra che ha Putin come aggressore, Biden come burrattinaio, Stoltenberg come Stranamore e Zelensky come suo improbabile eroe si rischia, con la guerra mondiale, la fine di ogni età del mondo.
Chissà come avrebbe reagito oggi la profezia di padre Balducci, chissà come sarebbe stato capace di riaccendere le perdute speranze.
Ma una cosa almeno gli è stata risparmiata, come a noi non è stato dato: il dolore di vedere suoi fratelli di fede, teologi, editori, giornalisti, licenziare il Gesù della fede e archiviare il Dio della grazia in cui egli aveva creduto, a cui aveva consacrato tutta la vita e a cui aveva affidato la garanzia e la legittimazione di ogni sua parola e di ogni suo atto; non ha assistito alla commemorazione di Dio come il Dio del passato, il Dio dell’infanzia inconsapevole dell’uomo, il Dio delle favole e dei miti, il Dio personale che il post-teismo, al contempo cristiano ed ateo, consegna allo smaltimento della storia.
Raniero La Valle
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Documentazione
Il sito web della Fondazione Balducci.
C3dem: Cattolici e Politica
MARCO DAMILANO: IL RITORNO DEI CATTOLICI IN POLITICA
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4 Luglio 2022 su C3dem
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FRANCESCO E LA LITURGIA. CIELLE DERAGLIA?
3 Luglio 2022 su C3dem
[segue]
Appello per una proposta europea di cessate il fuoco
Nel precedente editoriale abbiamo dato spazio alla bella intervista che Marco Bevilacqua ha fatto al direttore di Avvenire Marco Tarquinio per Rocca (al riguardo ringraziamo gli amici e il direttore di Rocca, quindicinale della Pro Civitate Christiana di Assisi, con cui intratteniamo rapporti di collaborazione, consolidatisi nel tempo). Personalmente mi ritrovo
nelle riflessioni di Marco Tarquinio, condividendo la carica utopica e nello stesso tempo realistica, che le sue parole esprimono. In questa tristissima e cruenta vicenda della guerra mossa dalla Russia contro l’Ucraina, che sta provocando ogni giorno di più distruzione e morte, sembra che il problema fondamentale sia la vittoria finale. Ed è pertanto ovvio che occorra parteggiare per l’aggredito, l’Ucraina, che nonostante il dato di partenza alla stessa sfavorevole, possa rovesciare ogni pronostico e far trionfare la giusta causa di legittima e doverosa difesa. Prima o poi si arriverà a una fine di questa maledetta guerra. A che prezzo, oltre quello che le due parti in causa stanno pagando? Siamo in molti a credere che questa guerra non fosse inevitabile e che comunque debba essere quanto prima fermata. Come? Con gli strumenti alternativi allo scontro armato che il diritto internazionale e quello delle nazioni civili hanno elaborato nei millenni della storia dell’umanità. La nostra Costituzione li ha mirabilmente riassunti in un articolo (n. 11) che giustamente viene riproposto in tutte le circostanze che lo richiedano: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” L’Ucraina ha il diritto di difendersi, come sta facendo, richiedendo tutti gli aiuti possibili. Gli Stati occidentali concretizzano questi aiuti in contributi umanitari e in accoglienza a quanti scappano dai paesi e città bombardate (e su questo tutti si è d’accordo) e in armi (e su questo le posizioni si dividono). Ma il punto fondamentale è che l’alternativa allo scontro armato, cioè la trattativa, come appunto prevede il dettato costituzionale italiano, passa in secondo piano, in attesa che si determinino realistiche condizioni. Ma se queste non si cercano, seppure faticosamente, mai o quanto più tardi nel tempo si realizzeranno. Ecco un recentissimo appello promosso da alcune importanti organizzazioni nazionali e dal quotidiano Avvenire richiede con forza che cessi immediatamente il conflitto armato e che si avvii una vera trattativa. A questo compito sono chiamate ovviamente le parti in causa, e, con un ruolo di autorevole mediazione l’Unione Europea e l’Onu. Rimandiamo ogni ulteriore spiegazione al testo dell’Appello e alle argomentazioni di Marco Tarquinio, che lo sostiene, ospitate dal portale web de L’Osservatore Romano del 21 giugno scorso. Un’ultima considerazione: l’Appello appare del tutto coerente con le posizioni del Comitato No armi – Trattativa subito, presentato a Cagliari mercoledì 22 giugno, di cui diamo ampiamente conto in altra parte della nostra news. (Franco Meloni)
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Appello
per una proposta europea
di cessate il fuoco
21 giugno 2022
Anpi, Arci, Movimento europeo, il quotidiano «Avvenire» e altri organismi hanno firmato un documento congiunto per richiedere un intervento tempestivo di Unione europea e Onu a favore di un cessate il fuoco in Ucraina. Il documento, presentato il
20 giugno a Roma nella sede dell’ufficio italiano del Parlamento europeo, punta alla costruzione di un tavolo di pace simile a quello che portò agli accordi di Helsinki (1975), ma con protagonista l’Europa unita.
«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». (art.11 della Costituzione della Repubblica italiana). Siamo con la popolazione ucraina martoriata dalla guerra e vittima dell’aggressione russa.
L’Ucraina sta resistendo in molte forme, militari e civili, ma la guerra è sempre una sconfitta, per tutte le parti coinvolte, per la diplomazia e per la politica. Negli ultimi giorni si sta facendo più netta la preoccupazione per la drammatica accelerazione di un conflitto atroce, che può portare a un tragico scontro bellico mondiale e che sta già innescando una crisi alimentare pagata da tanti e soprattutto in alcune delle nazioni più povere del pianeta.
Spetta all’Unione europea la responsabilità di promuovere una concreta iniziativa di pace. La guerra è scoppiata in Europa e saranno i Paesi dell’Ue a sopportarne le conseguenze sociali, economiche, energetiche e militari. Sarà l’Ue responsabile in buona parte del finanziamento e della ricostruzione delle città e delle infrastrutture ucraine.
L’Ue deve immediatamente operare con una sola voce, con la spinta concorde del Parlamento europeo e della Commissione, diventando un affidabile intermediatore e non delegando solo agli Stati Uniti d’America e alla Nato decisioni che riguardano in primo luogo l’Europa.
Occorre operare affinché si stabilisca in Europa un nuovo clima di concordia e si avvii nel mondo, come ha affermato il presidente Mattarella a Strasburgo, «un dialogo, non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali». Si aprano subito negoziati per un definitivo accordo di pace!
La Russia deve immediatamente cessare le operazioni militari e a tutte le parti coinvolte chiediamo di avviare colloqui di pace e allo stesso tempo auspichiamo l’immediato ritiro delle truppe russe. Chiediamo a tutte le organizzazioni internazionali, in primo luogo alle Nazioni Unite, ma soprattutto all’Unione europea, di assumersi immediatamente la responsabilità di una intermediazione che consenta al più presto il cessate il fuoco in Ucraina ed eviti a tutti i costi l’allargamento e l’aggravarsi del conflitto in altre regioni d’Europa.
Chiediamo che l’Unione europea ed il nostro governo agiscano nell’ambito dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite con una decisa azione nei confronti del Consiglio di Sicurezza per l’invio di forze di interposizione (peace-keeping) sotto la bandiera delle Nazioni Unite, per garantire il rispetto del cessate il fuoco, facendo della protezione dei civili la loro priorità. Le operazioni umanitarie dovranno essere intensificate in Ucraina e ai suoi confini. Alle Nazioni Unite va garantito un accesso sicuro e senza ostacoli a tutte le aree del conflitto.
Chiediamo che venga stabilito subito un corridoio umanitario sicuro per i profughi e gli sfollati e per il transito di forniture mediche salvavita e del personale sanitario. Chiediamo che l’Ue agisca politicamente unita in sede di negoziato internazionale come soggetto mediatore con una posizione condivisa e forte, diventando quell’importante attore autonomo ed indipendente necessario nella fase di ridefinizione di nuovi equilibri geopolitici. Bisogna allontanare il rischio che l’Europa sia scavalcata e che siano altre le sedi in cui si prendono decisioni strategicamente fondamentali, anche per quanto riguarda un conflitto in uno dei Paesi ai confini dell’Ue.
Chiediamo che venga applicato dall’Unione europea l’art. 21 del Trattato dell’Ue (tit. V ) che sancisce: «L’Unione promuove soluzioni multilaterali ai problemi comuni, in particolare nell’ambito delle Nazioni Unite. (…) L’Unione opera per assicurare un elevato livello di cooperazione in tutti i settori delle relazioni internazionali al fine di: (…) preservare la pace, prevenire i conflitti e rafforzare la sicurezza internazionale, conformemente agli obiettivi e ai princìpi della Carta delle Nazioni Unite, …».
Chiediamo che l’Unione europea attivi un sistema europeo di sicurezza comune e interdipendente, una vera e propria Unione della Difesa e della Sicurezza a due “braccia”, una militare non aggressiva e l’altra civile nonviolenta, di cui siano esplicitati e chiariti gli obiettivi, che dovranno essere mirati alla esclusiva difesa interna del territorio dell’Unione e dei suoi Stati membri ed esternamente al mantenimento della pace solo e rigorosamente in quanto forze di interposizione (peace-keeping) e al tempo stesso strutturi reti di difesa civile non armata e politiche comuni di cooperazione internazionale allo sviluppo sostenibile.
Chiediamo che l’Ue ridefinisca le regole di accoglienza di profughi e immigrati e di tutti coloro che fuggono dalle guerre, dalla violenza e dalla miseria. L’accoglienza dei profughi ucraini ha dimostrato che l’Ue può agire rapidamente e in modo efficace, usando lo strumento della protezione temporanea, ma portando a conclusione la riforma del regolamento di Dublino.
Chiediamo che l’Unione europea promuova nel quadro dell’Osce e delle Nazioni Unite e a partire dagli accordi internazionali esistenti (Accordi di Helsinki del 1975), un trattato fra tutti gli attori coinvolti nel conflitto, superando tutte le attività fin qui portate avanti in ordine sparso da singoli Paesi europei. Solo una Conferenza internazionale potrà affrontare la questione del disarmo multilaterale, stabile e condiviso, priorità per la sopravvivenza dell’umanità nel tempo delle armi di distruzione di massa sempre più governate da intelligenze artificiali e per il progresso sociale ed economico globale.
L’Unione europea, comunità di popoli e grande laboratorio di integrazione pacifica degli Stati, può favorire la costruzione di un sistema di equilibrio geopolitico multilaterale, pur nel rispetto di regimi politici ed economici diversi, e dare impulso allo sviluppo di governance mondiale condivisa. Sarà per questo urgente affrontare le profonde riforme necessarie alle istituzioni internazionali, a partire dall’Onu, dalle sue strategie e dagli organismi multilaterali a essa collegate.
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Una richiesta di pace che parte dal basso
Marco Tarquinio illustra l’iniziativa
Il direttore di «Avvenire», Marco Tarquinio, si sofferma sui punti salienti della proposta di pace e sul riscontro che in essa hanno le parole e i ripetuti appelli di Papa Francesco.
Quali sono i punti centrali di questa chiamata alla responsabilità?
È un appello che parte dal basso, che vuole spingere chi ha potere politico in una direzione diversa rispetto a quella intrapresa finora, ricordando tutti gli strumenti a disposizione. Innanzitutto l’Onu, laddove l’Ue, attraverso uno dei suoi membri, la Francia, deve assumersi la responsabilità di promuovere una iniziativa di intermediazione. Si sollecita poi l’intervento di una forza di interposizione, tenendo sempre aperto un corridoio umanitario. In sintesi, si chiede che l’Europa sappia diventare adulta, che si dia un sistema di sicurezza comune, con una vera e propria difesa della sicurezza con due braccia: una militare non aggressiva ed una civile e non violenta. L’altro grande appello riguarda le organizzazioni multilaterali, come l’Osce che dovrebbe diventare punto di riferimento e spirito delle azioni che vengono svolte, perché non si precipiti verso la direzione di Yalta, ma verso quella degli accordi che nel ’75 (Accordi di Helsinki) aprirono una fase nuova nel rapporto tra gli Stati europei, per la stabilità e la pace nel mondo.
Un’Europa adulta, lei dice, che ora sta finanziando con le armi il conflitto, ma che nel trattato Ue, all’art 21, ha scritta la chiamata alla responsabilità, alla promozione della pace, alle soluzioni multilaterali, a prevenire i conflitti. Ora tutto sembra paralizzato. Perché questo articolo non va?
Non va perché l’Europa non è concorde nella direzione da prendere, nonostante l’apparente unanimità delle prime fasi. L’auspicio è che, anche senza unanimità assoluta, almeno da parte delle istituzioni europee ci sia la capacità di prendere un’iniziativa di cooperazione rafforzata, come accaduto con la missione comune a Kiev dei leader di Francia, Germania e Italia. Vorremmo che ciò si consolidasse, utilizzando gli strumenti indicati dall’articolo 21 che va nella stessa direzione dell’11 della Costituzione della Repubblica italiana, quello che dice che l’Italia ripudia la guerra come strumento nella soluzione delle controversie con gli altri Stati. Vorremmo una iniziativa forte e coesa dei grandi leader europei, che rispondesse al sentire di tante popolazioni che non sono rappresentate da ciò che sta accadendo sulla scena pubblica.
Come si può sostenere la vostra proposta di pace?
Io credo che la strada sia quella di organizzare mobilitazioni dal basso, come già accade. Occorre dimostrare ai governi che non può permanere questo scollamento tra tanta parte dell’opinione pubblica e quelli che hanno le leve per spingere in una direzione diversa. Bisogna saper premere sui protagonisti della guerra, perché scelgano un percorso diverso, che la faccia finita con le sofferenze delle popolazioni, a cominciare dalla popolazione ucraina che, in questa fase, è quella aggredita.
Le posizioni del Papa sulla guerra sono state criticate e ritenute una utopia. Lei come le considera?
La cosa più grave è che siano anche state censurate. Credo che in questo momento si debba avere gratitudine verso il Papa. Ancora una volta c’è una strada che si inabissa e che sembra non si possa percorrere. Il Papa sa dirci questo e lo fa da uomo di fede, da primo cittadino di un mondo che non ha altri primi cittadini che sappiano prendere iniziative di pace. Non è un caso che anche i proponenti dell’appello a cui ho aderito, abbiano voluto rivolgersi per primi al mondo cattolico, attraverso il presidente della Cei, il cardinale Zuppi, che si è impegnato a riceverlo e a consegnarlo alla Santa Sede, perché tutti riconoscono in Francesco il punto di riferimento più alto, più credibile e più limpido, in un momento in cui, purtroppo, alcune delle altre voci che sono in campo, non hanno l’interesse generale della costruzione di un nuovo livello di sicurezza, di convivenza e di rispetto reciproco nel segno, fondamentale per noi cristiani, della fraternità.
di Gabriella Ceraso, su L’Osservatore Romano del 21 giugno 2022.
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