Risultato della ricerca: Francesco Masala

RITORNANO I PASTORI

mps-1_2di Francesco Casula
Ritornano i pastori. Con gli attivisti del combattivo Movimento Pastori Sardi. Protestano contro la politica agricola della Regione sarda. “In due anni abbiamo perso più del 50% del nostro reddito – spiega Roberto Congia, uno dei dirigenti del MPS –, stiamo pagando errori fatti da altri, che hanno generato una crisi del mercato lattiero caseario che viene scaricato interamente sulle nostre spalle. A questo si aggiunge anche il dramma della siccità. Oltre ai danni subiti non abbiamo ancora certezza sugli indennizzi”.
Difficile non essere d’accordo. E ancor più difficile non solidarizzare con loro. Sposando in toto la loro lotta e la loro causa. Che è e deve essere di tutti i Sardi.
Il pastore infatti non è solo una delle una delle tante figure sociali e la pastorizia non è solo un comparto economico: le sue produzioni certo costituiscono ancora un nucleo fondamentale del nostro prodotto interno lordo, ma il mondo pastorale in Sardegna ha prodotto ben altro che latte, formaggi, carne e lana: ha dato luogo al pastoralismo e ai codici e valori che esso sottende e che in buona sostanza costituiscono il nerbo della civiltà e dell’intera cultura sarda.
Per intanto però occorre sottolineare che la pastorizia, come comparto economico, nonostante crisi e difficoltà, nella storia ha sempre retto e i pastori, ancora oggi, non sono una sorta di tribù sopravvissuta alla storia (Ignazio Delogu). Nonostante i reiterati tentativi storici di interrarli, liquidandoli insieme alla loro cultura etnica resistenziale.
“Uno dei tentativi più brutali fu rappresentato dagli Editti delle Chiudende che – scrive il compianto Eliseo Spiga, in La Sardità come utopia-Note di un cospiratore – irruppero sulle comunità, implacabili come un castigo di dio. In un ciclonico turbinio di inaudite illegalità, sopraffazioni e violenze, di persecuzioni, assassini, carcerazioni e torture… furono chiusi migliaia di ettari dei migliori terreni privati e comunali, pascoli e seminativi, case, ovili e orti familiari, strade e ponti, abbeveratoi e fonti pubbliche”.
I più danneggiati furono i pastori, abituati a pascolare le greggi in vasti spazi aperti e comuni ed ora costretti a pagare il fitto – spesso erosissimo – ai nuovi proprietari usurpatori: pastori che furono rovinosamente battuti e vinti. Ma non convinti, aggiungerebbe il nostro più grande poeta etnico, Cicitu Masala.
Un altro momento e snodo storico di attacco violento soprattutto alle condizioni di vita e di lavoro dei pastori fu rappresentato dalla guerra doganale dello Stato italiano con la Francia, culminata con la rottura dei Trattati doganali nel 1887. L’economia sarda fu colpita a morte. Fino a quel momento la spedizione verso i mercati francesi di alcuni fondamentali prodotti dell’economia sarda aveva, se non scongiurato, almeno contribuito ad allontanare la crisi che gli spiriti più consapevoli paventavano. Dopo i fatti del 1887 l’agro-pastorizia dell’Isola, privata d’un colpo dei suoi mercati tradizionali, precipitò al fondo di un baratro senza precedenti, costringendo i pastori a dipendere ancor di più dai proprietari dei pascoli, i printzipales, e dagli industriali caseari continentali ma soprattutto romani.
Lo denuncia e lo ricorda Gramsci in un articolo del 1919 sull’Avanti, fortemente critico nei confronti della politica italiana postunitaria, dal titolo inequivocabile: ”Gli spogliatori di cadaveri”, Una categoria di questi, che irrompono in Sardegna alla fine dell’800, dopo la rottura dei trattati doganali con la Francia, sono gli industriali caseari. I signori Castelli – scrive Gramsci – vengono dal Lazio nel 1890, molti altri li seguono arrivando dal Napoletano e dalla Toscana. Il meccanismo dello sfruttamento (“ed è un lascito della borghesia peninsulare non più rimosso”) è semplice: al pastore che deve fare i conti con gli affitti del pascolo e con l’esattore, l’industriale concede i soldi per l’affitto in cambio di una quantità di latte il cui prezzo a litro è fissato vessatoriamente dallo stesso industriale. Il prezzo del formaggio cresce ma va ai caseari e ai proprietari del pascolo. Non a chi lo produce.
Antonio Simon Mossa, il grande teorico dell’indipendentismo moderno sardo li chiama feudatari del latte, che si comportano da veri e propri strozzini, imponendo solo loro il prezzo. Tanto che uno degli obiettivi del neonato Partito sardo d’azione nel 1921 sarà proprio la battaglia contro sos meres continentales de su latte e la creazione di cooperative di pastori, per gestire loro, in prima persona, il prodotto del proprio lavoro.
Mutatis mutandis, non si sta ripetendo lo stesso meccanismo denunciato da Gramsci?
E la Regione Autonoma (?) della Sardegna che fa? Cosa aspetta Pigliaru e la sua Giunta? Che i pastori vengano annientati? Ma si rendono conto della posta in gioco?
Senza la pastorizia la Sardegna si ridurrebbe a forma di ciambella: con uno smisurato centro abbandonato, spopolato e desertificato: senza più uno stelo d’erba. Con le comunità di paese, spogliate di tutto, in morienza. Di contro, con le coste sovrappopolate e ancor più inquinate e devastate dal cemento e dal traffico. Con i sardi ridotti a lavapiatti e camerieri. Con i giovani senza avvenire e senza progetti. Senza più un orizzonte né un destino comune. Senza sapere dove andare né chi siamo. Girando in un tondo senza un centro: come pecore matte.
Una Sardegna ancor più colonizzata e dipendente. Una Sardegna degli speculatori, dei predoni e degli avventurieri economici e finanziari di mezzo mondo, di ogni risma e zenia. Buona solo per ricchi e annoiati vacanzieri, magari da dilettare e divertire con qualche ballo sardo e bimborimbò da parte di qualche “riserva indiana”, peraltro in via di sparizione.
Si ridurrebbe a un territorio anonimo: senza storia e senza radici, senza cultura, e senza lingua. Disincarnata e sradicata. Ancor più globalizzata e omologata. Senza identità. Senza popolo. Senza più alcun codice genetico e dunque organismi geneticamente modificati (OGM). Ovvero con individui apolidi. Cloroformizzati e conformisti.
Una Sardegna uniforme. In cui a prevalere sarebbe l’odiosa, omogenea unicità mondiale: come l’aveva chiamata David Herbert Lawrence in Mare e Sardegna.
Si avvererebbe la profezia annunciata da Eliseo Spiga, che nel suo potente e suggestivo romanzo Capezzoli di pietra scrive: “Ormai il mondo era uno. Il mondo degli incubi di Caligola. Un’idea. Una legge. Una lingua. Un’eresia abrasa. Un’umanità indistinta. Una coscienza frollata. Un nuragico bruciato. Un barbaricino atrofizzato. Un’atmosfera lattea. Una natura atterrita. Un paesaggio spianato. Una luce fredda. Villaggi campagne altipiani livellati ai miti e agli umori di cosmopolis”.
Sarebbe un etnocidio: una sciagura e una disfatta etno-culturale e civile, prima ancora che economica e sociale.
Apocalittico e catastrofista? Vorrei sperarlo.
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E’ online il manifesto sardo numero duecentotrentotto

pintor il manifesto sardo
Il numero 238
Il sommario
Le donne nella democratizzazione della legge elettorale sarda (Claudia Zuncheddu), Doppia preferenza di genere e qualità della democrazia (Luisa Sassu), Una legge elettorale sarda più democratica (Massimo Dadea), Per una legge elettorale proporzionale che garantisca la partecipazione popolare (Red), Il presunto declino degli Stati Uniti d’America nel governo dell’equilibrio globale del potere (Gianfranco Sabattini), Ma è possibile realizzare i nuovi ascensori per il Castello di Cagliari con minore impatto ambientale? (Stefano Deliperi), Il compagno T. è un libro che fa domande (Cassandra Casagrande), Cicitu Masala e i partiti italiani in Sardegna (Francesco Casula), Cronistoria dell’89 cagliaritano (Francesco Cocco), Torramus a su Connottu! (Graziano Pintori), Il Centro Servizi Culturali U.N.L.A. di Oristano, uno spazio prezioso (Marcello Marras).

Oggi mercoledì 7 dicembre 2016

Logo_Aladin_Pensieroaladin-lampada-di-aladinews312sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghdemocraziaoggiGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413
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No 7 dic 16OGGI HOSTEL MARINA, scalette San Sepolcro, dalle ore 17.30. Il Comitato per il NO di Cagliari invita tutti alla festa organizzata per condividere un momento molto positivo per il Paese che, a distanza di 10 anni da un analogo referendum, ha mostrato consapevolezza e attaccamento alla Costituzione e ai suoi valori e ha respinto in modo chiaro l’avventurismo oligarchico e accentratore. Ci ritroviamo senza tante formalità: ci saranno letture, musica, qualche brevissimo intervento di valutazione del voto di domenica, ma soprattutto la voglia di non perderci di vista e di dirci cosa possiamo e vogliamo fare per evitare che fra 10 anni si ripresenti qualcuno che voglia scaricare sulla Costituzione il peso della sua incapacità o dei suoi fini differenti da quelli dichiarati, producendo tra l’altro dolorose lacerazioni nel Paese, intralci all’attività del parlamento e del Governo e anche sperpero di risorse che potrebbero essere destinate a fini ben più urgenti e nobili. La pagina fb dell’evento.
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locandina-kollegium 7 dic 2016Oggi, mercoledì 7 dicembre alle 20, presso la Chiesa di Sant’Anna a Cagliari si terrà un concerto di beneficenza, i cui proventi andranno a favore delle popolazioni terremotate. Il programma.
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Oggi giovedì 3 novembre 2016

Logo_Aladin_Pensieroaladin-lampada-di-aladinews312sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghdemocraziaoggiGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413
No comitato sardoNO sardo
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NO SARDEGNAOggi, giovedì 3, il Comitato per il NO sarà presente per un volantinaggio a Cagliari in via Garibaldi angolo via Iglesias, dalle ore 17 in poi (non oltre le 19-19.30). Chi è interessato passi e si trattenga a volantinare per tutto il tempo che vorrà dedicare.
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F MASALAOggi alle 19.30 al Teatro Massimo proiezione del documentario “Vinti ma non convinti, Francesco Masala il capotribù nuragico” con la regia di Marco Gallus. A seguire la presentazione della nuova edizione di “Poesias in duas limbas” a cura della casa editrice “Domus de Janas”. Ingresso libero.

I SARDI. Ciccittu Masala, un amabile folle libertario

F MASALAdemocraziaoggiAndrea Pubusa su Democraziaoggi.
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- Francesco Masala .
- Su
Aladinews.

Francesco Masala

imageRicordando Francesco Masala nel centenario della sua nascita.

di Francesco Casula.

A Nughedu San Nicolò (SS) il 17 settembre 1916 nasceva Francesco Masala. Lo voglio ricordare, in occasione del Centenario della sua nascita, con questa nota incentrata sul suo rapporto con la politica e i Partiti italiani.
Masala è stato militante nel PSI prima e nello PSIUP poi.
Nel PSI si iscrisse agli inizi degli anni ’60 per uscirne subito dopo, nel 1964, seguendo l’amico Lussu nel Partito socialista di unità proletaria. Questo Partito nacque in seguito alla scissione del PSI, accusato di aver tradito gli ideali socialisti, dopo l’ingresso nel Governo di centro-sinistra, voluto da Nenni e guidato dal democristiano Aldo Moro.
Nello PSIUP fa parte del Comitato regionale: ma per poco tempo. Inizia infatti a muovere forti critiche alla forma-Partito e ai Partiti italioti in genere al loro rapportarsi con la Sardegna, in forme di colonialismo politico e culturale..
“Presi coscienza – scriverà – che la scissione era stata un’operazione di vertice e, anche e soprattutto, che la dirigenza sarda dello PSIUP (purtroppo tutti figli e nipoti politici di Lussu) nella quasi totalità, altro non era che la filiale isolana della fabbrica politica italiota, cioè si limitava a importare nell’Isola i manufatti politici prodotti in Continente:insomma una grave forma di centralismo burocratico, di colonialismo politico-culturale, senza nessun approfondimento né della Questione sarda né della grande lezione del sardismo lussiano”.
Scrive dunque una lettera a Lussu. Eccone alcuni scampoli: ”I padroni del Partito, cioè i baroni delle tessere, hanno adottato una tattica adoperata in Sardegna già nel periodo dei Nuraghi: i cacciatori nuragici avevano scoperto che, riunendosi in gruppo, potevano cacciare meglio, cioè potevano procurarsi maggior cibo, nei territori di caccia. Naturalmente i moderni cacciatori, a differenza dei clan nuragici, non usano le clave ma le tessere. Esse le tessere contano più di qualunque corretta ideologia…esse le tessere procurano ai baroni un maggior peso e un maggior potere…dentro le riserve di caccia del Partito – continua la lettera – di necessità i clan devono darsi battaglia fra di loro, litigare insomma, per il maggior cibo, su futili pretesti ideologici e senza comprensibili motivazioni politiche: prima si stabilisce di essere contro e poi si inventano le motivazioni per cui si è contro. Così l’ideologia diventa aria fritta, nebbia, catrame e il Partito stesso diventa un cane che si morde la coda. Insomma questi baroni delle tessere fanno come il figlio Giove col padre saturno:per paura di essere divorati dal padre (il Partito), essi i figli espropriano il potere egualitario di tutto il Partito, cioè si divorano il padre. E non basta. I padroni del Partito, oltre a uccidere il padre, ammazzano anche la madre, la Sardegna, distrutta dalla logica del centralismo burocratico italiota. Caro Lussu – conclude Masala – c’è veramente del marcio in Danimarca!”.
Lussu rimase molto male: Masala voleva distruggere, ammazzare la sua creatura prediletta: lo PSIUP sardo. Lussu, rispondendo a Masala che voleva portare al mattatoio tutti gli psiuppini sardi, afferma che li vorrebbe tutti in Consiglio regionale…
Ormai il dissenso fra i due è totale, almeno per quanto atteneva al Partito. Masala riscrive a Lussu un’altra lettera che servirà a aumentare il solco profondo che ormai li separa, non solo in merito al Partito ma anche su altre questioni importanti.
Scrive Masala:
1.Lo PSIUP in Sardegna come tutti gli altri Partiti italioti, è funzionale allo Stato accentratore;
2. L’Italia è uno Stato ma non una Nazione, mentre la Sardegna è una Nazione ma non è uno Stato;
3. La cosiddetta Autonomia è una perfetta Eteronomia;
4. L’esperienza sarda dimostra che lo stato, comunque esso sia è un nemico. Lussu risponde in modo secco e acre, quasi indispettito: in merito allo Stato ma non solo. Il modo in cui rievochi lo Stato – scrive Lussu – fa pensare che tu sia con gli anarchici non con Marx.
Altrettanto secca è la nuova lettera di Masala:”A pensarci bene – scrive – l’ultimo e più felice stadio di una società comunista è l’anarchia, cioè una società di liberi e uguali, senza governanti e governati, senza dominatori e senza dominati, senza vincitori né vinti.
Per conto mio – prosegue Masala – non sono per l’anarchia borghese ma per l’etnia egualitaria, cioè per una comunità etnica che produce beni materiali e culturali da distribuire in parti uguali. Se è vero come è vero che la proprietà privata ha creato il codice per legalizzare e sacralizzare le disuguaglianze, allora è vero che per desacralizzare la proprietà, per decodificare lo Stato è necessario ritornare alle etnie egualitarie.
Inoltre Masala, pur sapendo che Lussu come una malabestia odiava il separatismo, conclude la lettera affermando che: ”A pensarci proprio bene l’Italia non è la nostra madrepatria ma è la nostra matrigna e non è più una donna giovane e bella, con la corona in testa, come appare nelle carte bollate postrisorgimentali, ma è una vecchia che puzza, non c’è quindi da addolorarci molto se l’etnia sarda comincia a prendere le distanze da questa salma”.
A questo punto la polemica epistolare fra Lussu e Masala si interrompe. Anche perché in una ultima, provocatoria e “cattiva” lettera Masala ricorda a Lussu alcune posizioni del passato che a suo dire sarebbero in contraddizione con quelle del presente. In modo particolare un articolo contro le leggi antiebraiche in Italia, pubblicato in Giustizia e Libertà del 21-10-1940, in cui il cavaliere dei Rossomori aveva parlato di “Repubblica sarda indipendente”.
Nonostante le scaramucce epistolari rimarrà comunque intatta la stima e l’ammirazione di Masala nei confronti di Lussu.
Dopo l’esperienza politica nello PSIUP Masala – è lui stesso a sottolinearlo più volte – non aderirà più ad alcun Partito politico e sarà un libero “cane sciolto”. Con l’esplosione del Movimento del ’68 simpatizzerà con gli studenti e gli extraparlamentari ma anche a loro rimprovererà forme di colonialismo politico: con l’importazione in Sardegna di gruppi e gruppuscoli da Milano e altre città italiane e relativi programmi e proposte.
La sua battaglia politico-culturale (scriverà oltre saggi, romanzi, poesie, moltissimi articoli su Quotidiani e riviste, in modo particolare nel periodico Nazione sarda, con Lilliu, Eliseo Spiga, Antonello Satta, Elisa Nivola) sarà sempre più incentrata nella difesa della lingua sarda e dunque nella rivendicazione del Bilinguismo perfetto. Lingua sarda – me lo ripeteva fino all’ossessione – la cui salvezza e salvaguardia dipendeva soprattutto dal suo insegnamento, come materia curriculare, nelle scuole di ogni ordine e grado.
Non aderirà neppure ai Movimenti e Partiti indipendentisti: pur essendo ormai la sua posizione di critica radicale all’Italia (un cadavere che puzza) da cui dunque occorreva allontanarsi al più presto.
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Masala ciccitu vbCento anni fa nasceva Francesco Masala, l’uomo che combatté la petrolchimica con la forza della poesia

di Vito Biolchini su vitobiolchini.it.

Perché rimuovere la statua di Carlo Felice dal centro di Cagliari? Risponde Francesco Casula del Comitato “Spostiamo la statua di Carlo Felice”

pesa sardigna blog 2Riprendiamo l’intervista pubblicata di recente da “PESA SARDIGNA – Blog anticolonialista”.

Carlo-Feroce-con-preservativo-30-ott-12-168x300Francesco Casula: perché spostare la statua di Carlo Felice
Abbiamo intervistato Francesco Casula, un noto storico sardo, sulle motivazioni della richiesta di rimozione della statua di Carlo Felice dal centro di Cagliari.

Da dove nasce la petizione “Spostiamo la statua di Carlo Felice”?
Il promotore del Comitato “Spostiamo la statua di Carlo Felice” è stato il professore universitario Giuseppe Melis Giordano. Io ho aderito subito e volentieri offrendo il mio contributo soprattutto dal punto di vista storico. Perché l’appello? Perché un popolo deve innalzare monumenti ai propri eroi non ai propri carnefici. E Carlo Felice tale è stato, per ammissione di tutti gli storici liberi: un viceré e poi re, ottuso e inetto, sanguinario e famelico (pensava ad accumulare il suo “privato tesoro”, depositando i soldi nelle banche londinesi mentre le carestie decimavano le popolazioni affamate). Su di lui la storia ha già emesso la sua condanna inappellabile. Lo storico Pietro Martini, pur di orientamento monarchico, lo descrive come gaudente parassita, gretto, che “avea poca cultura di lettere e ancor meno di pubblici negozi… servo dei ministri ma più dei cortigiani”. Ai feudatari, da viceré, – scrive, un altro storico sardo Raimondo Carta Raspi – diede carta bianca per dissanguare i vassalli. Mentre a personaggi come Giuseppe Valentino affidò il governo: questi svolse il suo compito ricorrendo al terrore, innalzando forche soprattutto contro i seguaci di Giovanni Maria Angioy, tanto da meritarsi, da parte di Giovanni Siotto-Pintor, l’epiteto di “carnefice e giudice dei suoi concittadini”. Divenuto re con l’abdicazione del fratello Vittorio Emanuele I, mira a conservare e restaurare in Sardegna lo stato di brutale sfruttamento e di spaventosa arretratezza: “con le decime, coi feudi, coi privilegi, col foro clericale, col dispotismo viceregio, con l’iniquo sistema tributario, col terribile potere economico e coll’enorme codazzo degli abusi, delle ingiustizie, delle ineguaglianze e delle oppressioni intrinseche ad ordini di governo nati nel medioevo”: è ancora Pietro Martini a scriverlo. - segue -

Lettera aperta del Segretario nazionale della Confederazione Sindacale Sarda Giacomo Meloni al Vescovo di Cagliari Arrigo Miglio, presidente della Conferenza dei Vescovi della Chiesa sarda

Giacomo Meloni fb CSSE SE L’IMPEGNO DI TUTTI FOSSE LA CREAZIONE E LA RICERCA DEL LAVORO DIGNITOSO, RISPETTOSO DELLA PERSONA, DEL CREATO, DEL TERRITORIO E DELL’AMBIENTE?
Si può in Sardegna essere contro il lavoro che inquina,che produce tumori e morte ?
PERCHE’ FESTEGGIARE UN LAVORO CHE DISTRUGGE L’AMBIENTE E CHE IN SARDEGNA PER ASSURDO COSTRUISCE BOMBE?

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Arrigo Miglio vescovo_piccolaMons. Arrigo Miglio
Arcivescovo di Cagliari
< arcivescovado segreteria@diocesidi cagliari.it >
Carissimo mons. Miglio mio vescovo e pastore,
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I trombettieri di Renzi. Ovvero i piscia tinteris e la zerbinocrazia

cortigiani2I trombettieri di Renzi. Ovvero i piscia tinteris e la zerbinocrazia

di Francesco Casula

Il mal vezzo di salire nel carro dei vincitori e di adulare i potenti è un tratto peculiare della storia italiana. Ad iniziare da molti storici romani, cronachisti medievali, cortigiani rinascimentali, velinari fascisti. Lo storico Santo Mazzarino in tre monumentali volumi sul “Pensiero storico classico” (Ed. Laterza) sostiene alla luce di un enorme cumulo di documenti, di scoperte e di ritrovamenti archeologici che buona parte della storia romana – quella insomma che abbiamo studiato a scuola – è stata inventata spesso di sana pianta, dagli storici latini e dai cronachisti di quel periodo. E il tutto per esaltare i Cesari, e per mitizzare la virtus romana e il popolo eletto dagli dei per regere imperio populos. “Romanità” che, ohimè, ammorba ancora, mistificandola e falsificandola, la storia italiota, quella risorgimentale in specie. Non sono da meno in quanto a mancanza di rigore storico e a svarioni, o addirittura a veri e propri falsi, gli storici “cristiani” medievali: fra l’altro “inventarono” un documento secondo cui l’imperatore Costantino con un decreto avrebbe donato a Papa Silvestro i territori di Roma e del Lazio. Con tale documento apocrifo volevano giustificare e legittimare il potere temporale dei papi e della Chiesa. Ci avrebbe poi pensato Lorenzo Valla, umanista brillante e colto, a demistificare e sbugiardare tale falso, con le armi finissime e scientifiche della filologia, della paleografia e dell’archeologia, con un celebre opuscolo ”De falso credita et ementita Constantini donatione” del 1440. Con il Rinascimento la gran parte degli scrittori e “intellettuali” diventano cantori e giullari dei Principi. Cortigiani. In tempi a noi più vicini, durante il fascismo, – pur con lodevoli ed eroiche eccezioni – specie i giornalisti, diventano semplici velinari. Durante il fascismo, bene in evidenza sotto la testata dell’Unione Sarda in prima pagina campeggiava la scritta:” Dove il Duce vuole”. Nell’Italia “democratica” la piaggeria e il servilismo nei confronti dei nuovi potenti continua da parte dei Media: in primis della Rai-Tv. In cui la censura permane, brutale. A farne le spese sono – ma è solo un esempio – due comici particolarmente urticanti e corrosivi: Dario Fo e Beppe Grillo. Dario Fo (premio Nobel per il teatro nel 1997) insieme a Franca Rame, nel 1962, è conduttore e autore dei testi del varietà Canzonissima. Le sue scenette sulla mafia e sulle fabbriche (in particolare quelle che parlano di incidenti sul lavoro) non piacciono ai vertici della RAI. I due sono costretti ad abbandonare la trasmissione. Beppe Grillo viene allontanato dalla televisione nel 1986. Durante un programma attacca duramente i socialisti (racconta che quando Craxi era andato in Cina accompagnato da decine di compagni di partito, Claudio Martelli, il suo vice, gli ha domandato: “Ma se sono tutti socialisti, a chi rubano?”). Con Berlusconi, attraverso il cosiddetto“decreto bulgaro”, gli strali della censura colpiscono soprattutto, insieme a due giornalisti di gran vaglia come Enzo Biagi e Michele Santoro, l’autore satirico Daniele Luttazzi. Gli è che i potenti hanno paura della satira perché niente è più irriverente ed eversivo del sorriso. Che può frantumare i bastioni della paura, rendendo ridicolo il potente. Il sorriso è infatti capace di scomporre gerarchie sociali e indebolire il sistema. Che viene sezionato e raccontato con le parole acuminate dell’ironia. Ecco perché il potere non tollera la satira e, quando può cerca di cancellarla. La satira per sua natura é beffarda e dissacrante, deve decostruire per poter modificare, é una lente di ingrandimento che può sminuire o enfatizzare o comunque disvelare ogni giustificazione, vanagloria, e presunzione che affligga personaggi come il ragazzotto di Firenze. Non a caso nell’era Renzi la satira è pressoché scomparsa. E non ha nemmeno avuto bisogno di censure e decreti. E’ bastata l’autocensura. Per cui oggi assistiamo al degrado e all’assoggettamento dei Media, ove la parola d’ordine pare sia “accondiscendenza sempre e comunque” e non solo nei riguardi del potere ma del pensiero dominante, in ordine a ogni tipo di vicenda: dalla cronaca al calcio allo spettacolo. All’opera un esercito di giornalisti (e intellettuali?) infeudati, cortigiani e adulatori: la “zerbinocrazia”, li chiama Marco Travaglio, i piscia tinteris e gli imbrutta paperi li chiamava il nostro più grande poeta etnico, Cicitu Masala. In servizio permanente, nel tentativo (in parte riuscito) di cloroformizzare l’opinione pubblica, per assicurare consensi e voti a un sistema politico ed economico inetto e cialtrone o comunque mediocre e spesso ottuso e corrotto. Un sistema che – a leggere i giornali e guardare la TV – ci regalerebbe o comunque ci regalerà benessere e prosperità. Non avvedendosi che ci sta invece inabissando in un malessere viepiù insopportabile: con l’attentato alla Costituzione,. modificandola in senso autoritario, una legge elettorale liberticida, l’ulteriore precarizzazione del lavoro, la devastazione della scuola, la derubricazione della Questione meridionale e di quella sarda in specie, dall’Agenda del Governo. E il giornalista cane da guardia del potere? Almeno in Italia – salvo rarissime eccezioni – è scomparso. E’ diventato “cane da compagnia, o da riporto” per citare ancora Travaglio. E mi pare persino inutile consigliare allo stuolo dei velinari renziani di rileggersi Voltaire che nel suo “Del principe e delle lettere” ci esorta a meditare sul ruolo dell’informazione e dell’intellettuale in genere: “il suo campo – scrive – non può essere che quello della libertà…l’opera dell’intellettuale deve essere mantenuta separata dal potere, qualunque forma esso assuma, altrimenti significherebbe abdicare alla propria funzione di libertà”. Sullo stesso crinale si muove Varlan Shalamov, uno scrittore perseguitato dal regime sovietico che sostiene “ogni scrittura è sempre una scrittura contro il potere”. O Albert Camus, secondo il quale lo scrittore doveva essere la sentinella dei diritti dell’uomo e presidiare la dignità umana, dovunque fosse violata, facendo emergere – come sosteneva Gorky – ciò che è in ombra.

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Ma esiste ed è esistita una letteratura sarda?

museo Cadi Francesco Casula

Ma è esistita ed esiste una letteratura sarda? C’è chi lo nega. Alcuni dubitano perfino che la Sardegna abbia avuto una storia tout court.

Emilio Lussu ha scritto che noi non abbiamo avuto una storia. La nostra storia è quella di Roma, di Aragona ecc. Lo storico francese Le Roy Ladurie ha sostenuto che la Sardegna giace in un angolo morto della storia. Francesco Masala, il nostro più grande poeta etnico, parla di storia dei vinti perché i vinti non hanno storia. Fernand Braudel, il grande storico francese, direttore della rivista “Annales” che rivoluzionerà la storiografia contemporanea, alludendo ad alcuni popoli mediterranei, fors’anche all’Isola, ammette che la loro storia sta nel non averne e non si discosta molto da questa linea raccontando che viaggiare nel mediterraneo significa incontrare il mondo romano nel Libano e la preistoria in Sardegna.

Il mestiere dello storico di cose sarde, diventa difficile senza dubbio. Anche a proposito della nostra letteratura. A meno che non la si voglia ridurre a una sezione o, peggio, a un’appendice di quella italiana: magari gerarchicamente inferiore e comunque da confinare nella letteratura “dialettale”.
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Il fallimento dell’industria petrolchimica entra nella poesia sarda

arasole 2bisdi Francesco Casula
Dopo aver popolato interi studi e saggi economici-sociali, storico-politici e persino etno-antropologici il fallimento dell’industrializzazione petrolchimica in Sardegna è entrato prepotentemente anche nella letteratura e poesia sarda. Il più noto scrittore che ha preso a roncolate quell’ipotesi di sviluppo, che doveva creare lavoro e prosperità per la nostra Isola, è stato sicuramente Francesco Masala.
Nelle sue poesie come nei suoi romanzi. Canta in Innu nou contra a sos feudatarios (A sa manera de F. I. Mannu): ”Trabagliade, trabagliade/petrochimicos operajos/pro su pane tribulade/cun su ‘inari ‘e sa Rinaschida/ingrassan sos de Milanu/e a bois lassan su catramu./Trabagliade, trabagliade,/in sa chejas de petroliu/de Sarrok a Portoturre:/sa cadena de trabagliu/cun sa matta mesu piena/est trabagliu de cadena”.
Ma è soprattutto nel romanzo Il dio petrolio, tradotto in ungherese e in francese (con il titolo Le curè de Sarrok) e ambientato proprio a Sarrok (Cagliari), città simbolo dell’industria petrolchimica (de s’ozu de pedra: dell’olio di pietra), che Masala condurrà la critica più feroce e serrata a quel tipo di industria che avvelenerà e devasterà alcuni fra gli angoli più suggestivi della Sardegna, sconvolgendo anche a livello antropologico le popolazioni.
Personaggio emblematico è un sacerdote di un villaggio contadino (Arasolè) che viene trasferito nel nuovo polo di sviluppo industriale dove subisce l’inerrestabile inquinamento etnico, etico e religioso.
Il prete, Don Adamo, nonostante la chiesa nuova e il campanile nuovo, si sente nella sua chiesa come in una cattedrale nel deserto, a dispetto di ecclesia che vuol dire riunione, adunanza, gente riunita intorno al proprio parroco.
In essa vive in perfetta solitudine, contro natura: di qui i narcisismi, le immagini, le invenzioni di una donna: una giovane donna senza volto, simulacro mentale, feticcio sessuale, nelle cui ampie e gonfie mammelle immerge il suo volto fino a fargli mancare il respiro. In questo modo il prete pensa di vincere la sua desolata solitudine e non riceve aiuto né dalla fede, né dalla speranza, né dalla carità.
Ad Arasolè almeno era meno solo. La sua vita era strettamente legata a quella degli altri e si sentiva mezzo di comunicazione e messaggio in quanto i fatti della vita religiosa e della liturgia coincidevano con quelli della vita quotidiana, i cicli dell’uomo, della famiglia, della stagione.
E poi i pastori di Arasolè avevano ancora bisogno di Dio, perciò pregavano per l’acqua e il sole, il caldo e il freddo, la luce e il buio… gli operai di Sarrok invece non hanno più bisogno di Dio… Ormai c’è Lui… Se c’è buio, Lui il petrolio fa luce. Se c’è freddo, Lui il petrolio aziona i termosifoni. Se c’è caldo avvia i condizionatori d’aria, se l’acqua non viene dal cielo, Lui la cava dal mare col dissalatore…
Un altro grande romanziere e poeta sardo, Benevenuto Lobina – di cui ricordo soprattutto il suo capolavoro bilingue, in due volumi, Po cantu Biddanoa – dedica alla industrializzazione petrolchimica e ai suoi artefici una fulminante poesia, Cuaddeddu Cuaddeddu. In cui immagina che un suo nonno, richiamato in vita da un terribile puzzo di sostanze chimiche decidesse di saltare a cavallo per andare a Cagliari a fare giustizia di tutti coloro che avevano favorito quello scempio economico e umano: Su chi primu appa a cassai/cun sa bella cambarada,/cuaddeddu, è su chi nada/ca ad donau a traballai/a su popullu famiu/in Sarroccu e in Portuturri/e chi si pònidi a curri/faid mort’ ’e pibizziu.
Sdegnato, ricorda poi le devastazioni ambientali che hanno causato con quel tipo di sviluppo: No a’ biu, cuaddeddu/cantu montis abruxaus,/cantu spina in is cungiaus/a infora de Casteddu?/Anti venas i arrius/alluau tottu impari/alluau anti su mari/e is tanas e is nius.
Oltre a quelle umane e sociali: Bidda’ mes’abbandonadas/a i’ beccius mesu bius/a su prant’ ’e is pippius/a pobiddas annugiadas/Oh, sa mellu gioventudi/sprazzinada in mesi mundu/scarescendu ballu tundu/scarescendu su chi fudi.
Sdegnato, con ironia e sarcasmo sferzante e financo con disprezzo individua e descrive i politici locali, ascari e mediatori del colonialismo italiano: Ddusu bisi: allepuccius/a ingiri’ ’e sa mesa/faccis prena’ de malesa/omineddus abramius./Ma appenas a bessiri/nd’ant ’e s’enna ’e s’apposentu/donniunu ad essi tentu/e tandu eus a arriri…
Ascari e mediatori, insomma canes de istergiu ma di poco peso. Chi decide veramente est attesu: i ddi nau ca cussa genti/pinnigada in su corrazzu/non cumanda d’unu cazzu/funti conca’ de mollenti./Chi cumandada est’attesu/custus funti srebidoris/mancai sianta dottoris/funti genti senz ’e pesu.
Difficile non convenire, fotografa infatti una realtà di ieri ma anche di oggi: l’Autonomia come semplice simulacro.
Un altro poeta che, con dolore e sdegno, canta il fallimento petrolchimico, è Pinuccio Canu. Meno noto di Masala e Lobina è valente poeta in limba con due belle opere: Sa Rujada (2001), un racconto autobiografico in ottave e Contos chena tempus (2002) una silloge di racconti favolistici.
E’ nella poesia s’Eredidade di Ottana che denuncia la discrasia fra promesse e realtà: bos fattat bonu proe, malaittos/ca m’azis furriadu a remitanu/No fiant, tzertu, custos sos appiattos/da chi lassei tazos e cabbanu!
Infatti, dopo i primi anni di relativa sicurezza nel posto di lavoro, pur in un ambiente, fiagosu (malsano): Ponìa in su traballu med’afficcu/pro cant’in cussu logu fiagosu./Fattende non mi fia tzertu riccu/ma siguresa aìa e meda gosu; arriva la Cassa integrazione: ma pagu tempus sendenche coladu/su fumuderra torrat a cadone/Su sambene in su corpus s’est gheladu/ca postu m’ant in “cass’integrascione”.
Che dura anni e anni: Degh’annos m’ant lassadu pende pende/e pustis imboladu a muntonarzu./Su rimpiantu como m’est bocchende/ca non so prus nemmancu un’ervegarzu.
Si ritrova così senza il lavoro di operaio e senza le pecore. Senza identità. Costretto a bandidare. Di qui l’ultimo malaittos, inviato ai responsabili del suo dramma. Un dramma dell’intera Sardegna.
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Arasolè
Questo articolo è pubblicato anche su “Il Manifesto sardo”

con gli occhiali di Piero…

eliseo_spiga ft microGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413ELISEO SPIGA
Nasce ad Aosta, da genitori sardi, il 14 giugno 1930.
Infanzia e adolescenza a Quartucciu, fin da giovane si impegna politicamente e sindacalmente. Acquista maggiore notorietà come Giuliano Cabitza, pseudonimo con cui firma il volumetto “Sardegna, rivolta contro la colonizzazione”(la mia prima occasione di conoscerlo). L’ho conosciuto poi personalmente (appresi allora la sua vera identità) nel 1971, quando a Nuoro organizzò con Antonello Satta (Circolo Città-Campagna) un convegno sull’emigrazione e sulle mancate risposte della Regione al mondo degli emigrati. Le sue coordinate politiche furono sardismo, nella versione di Emilio Lussu, e comunismo (era stato militante del PCI fino al 1968).
Se ne staccò e fece una sintesi sua personale in un’ idea di comunitarismo che formulò nel “Manifesto della gioventù eretica e del comunitarismo”, firmato con Ciccitu Masala e Placido Cherchi (un trio di giovanotti terribili davvero!).
Sostenitore della lingua sarda e della necessità del suo insegnamento nelle scuole,
Eliseo fu anche fondatore e primo segretario della CSS (Confederazione sindacale sarda) sindacato etnico sardo. Nella direzione del sindacato gli sono succeduti Francesco Casula e attualmente Giacomo Meloni.
Tra i suoi scritti, oltre a quelli giornalistici su “Nazione Sarda” e su “Tempus de Sardinnia”, di grande importanza il suo romanzo “Capezzoli di pietra”, immagine dei nuraghi e della vita nuragica: “Se c’è una cosa che mai accetteremo, è proprio il mercato, perchè non abbiamo nessuna voglia di sottomettere la nostra economia alla sua malvagità”:
Eliseo è morto il 19 novembre 2009 nell’ospedale di Cagliari.
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POETESSE SCONOSCIUTE
NESSUNA ROSA
Sta nascosta in luogo terreo su sua stella
freme e sprofonda la povera ancella
ch’al sol vederla porta in sè sua
cantata dolcezza, smarrita in men che sia.
Si potrìa scambiare per fragile creatura,
stia attento colui ch’ in tal pensiero dura:
nessuna rosa si è mai privata di sua spina.
E certo l’aria corre e trema
e il cuor di fatto udendo appena
non chiede nulla e rasserena
l’estroso sguardo di chi è stato solo
angosciato a pena
.
(Jenny A. Cara)
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- Il 14 giugno di due anni fa su Aladinpensiero.
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Sardegna. La lingua sarda e la lezione gramsciana

gramsci lab
Francesco Casula ft1di Francesco Casula
Antonio Gramsci in una lettera dal carcere alla sorella Teresina, del 26 Marzo del 1927, esprime sul ruolo e l’importanza della lingua materna, una serie di formidabili intuizioni. Che però saranno largamente dimenticate, rimosse e persino combattute da molti suoi “nipotini”: di ieri come di oggi. Così nel 1977 il segretario provinciale nuorese del PCI di allora, invitava, con una circolare spedita a tutte le sezioni, di non aderire, anzi di boicottare la raccolta di firme per la Proposta di legge di iniziativa popolare sul Bilinguismo, elaborata da alcuni intellettuali sardi (Lilliu, Masala, Spiga, Sciola) perché separatista e attentatrice all’Unità della Nazione! E oggi, il Presidente della Regione Sarda Pigliaru e la sua Giunta (di sinistra) hanno stanziato per la lingua sarda, nel bilancio regionale per il 2015, lo 0,025% ! Meno di quanto la Regione assegni a una sagra paesana sulle lumache o a un campionato di calciobalilla!
Ma ecco la Lettera di Gramsci alla sorella: “[…]Devi scri­vermi a lungo intorno ai tuoi bambini, se hai tempo, o almeno farmi scrivere da Carlo o da Grazietta. Fran­co mi pare molto vispo e intelligente: penso che parli già correttamente. In che lingua parla? Spero che lo lascerete parlare in sardo e non gli darete dei dispia­ceri a questo proposito. È stato un errore, per me, non aver lasciato che Edmea, da bambinetta, parlasse libe­ramente il sardo. Ciò ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia. Non devi fare questo errore coi tuoi bambi­ni. Intanto il sardo non è un dialetto, ma una lingua a sé, quantunque non abbia una grande letteratura, ed è bene che i bambini imparino più lingue, se è pos­sibile. Poi, l’italiano, che voi gli insegnerete, sarà una lingua povera, monca, fatta solo di quelle poche fra­si e parole delle vostre conversazioni con lui, pura­mente infantile; egli non avrà contatto con l’ambien­te generale e finirà con l’apprendere due gerghi e nessuna lingua: un gergo italiano per la conversazione ufficiale con voi e un gergo sardo, appreso a pezzi e bocconi, per parlare con gli altri bambini e con la gente che incontra per la strada o in piazza. Ti racco­mando, proprio di cuore, di non commettere un tale errore e di lasciare che i tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontanea­mente nell’ambiente naturale in cui sono nati: ciò non sarà un impaccio per il loro avvenire, tutt’altro […]”
In questa lettera Gramsci rivela una serie di intuizioni lucidissime sull’importanza, sull’utilità, sul ruolo e la funzione della lingua sarda, specie per quanto attiene alla formazione e allo sviluppo del bambino e allo stesso apprendimento dell’italiano.
Per intanto ammette che “è stato un errore non aver lasciato che Edmea, da bambinetta, parlasse liberamente in sardo”. Si tratta di un errore oltremodo diffuso nella cultura e nell’intera scuola italiana, ancora oggi ma soprattutto nel passato, specie nel periodo fascista.
Ebbene Gramsci, proprio in questo periodo storico e in questa temperie culturale ed ideologica ha il coraggio di andare controcorrente, anche su questo versante. “non imparare il sardo da parte di Edmea – sostiene – ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia”.
Il grande intellettuale sardo esprime in questa lettera una serie di posizioni sulla lingua materna, che i linguisti e i glottologi nonché gli studiosi delle scienze sociali avrebbero in seguito rigorosamente dimostrato come valide. Ovvero che il bilinguismo non è da considerarsi un fatto dannoso da correggere e da controllare ma una condizione e una competenza che agisce positivamente nelle psicodinamiche dello sviluppo cognitivo e relazionale tanto che l’educazione bilingue ha delle funzioni che vanno al di là dell’insegnamento della lingua. Ovvero che la lingua materna, ha un ruolo fondamentale e decisivo nello sviluppo degli individui, soprattutto dei giovani.
Scuola Stampace 56-57
Non solo: lo studio e la conoscenza della lingua sarda, può essere uno strumento formidabile per l’apprendimento e l’arricchimento della stessa lingua italiana e di altre lingue. Lungi infatti dall’essere “un impaccio“, “una sottrazione”, sarà invece un elemento di “addizione”, che favorisce e non disturba l’apprendimento dell’intero universo culturale e lo sviluppo intellettuale e umano. Ciò grazie anche alla fertilizzazione e contaminazione reciproca che deriva dal confronto sistemico fra codici comunicativi delle lingue e delle culture diverse, perché il vero bilinguismo è insieme biculturalità, e cioè immersione e partecipazione attiva ai contesti culturali di cui sono portatrici, le due lingue e culture di appartenenza, sarda e italiana per intanto, per poi allargarsi, sempre più inevitabilmente, in una società globalizzata come la nostra, ad altre lingue e culture, al plurilinguismo e alla multiculturalità.
Dal punto di vista formale in questa Lettera –ma anche nelle altre – Gramsci rivela una scrittura semplice e insieme intensa, talvolta persino scherzosa e ironica, mai “letteraria”, di una naturale altezza e forza morale. La sua capacità di interessarsi profondamente e amabilmente delle vicende dei suoi familiari, dell’educazione dei bambini, cui racconterà favole e storielle, rivelano un uomo dall’alta statura umana ed etica, affettuosamente e profondamente legato alla sua terra, alla sua lingua, alle sue tradizioni. Pur infatti nel carcere e nelle privazioni riesce sempre a mantenere un eccezionale equilibrio tra raziocinio e fantasia e un dominio tranquillo sulla realtà, tanto che raramente il carcere nelle Lettere “si sente”. Eppure, come scriverà in Passato e Presente: ”la prigione è una lima così sottile, che distrugge completamente il pensiero, oppure fa come quel mastro artigiano, al quale era stato consegnato un bel tronco di legno d’olivo stagionato per fare una statua di San Pietro, e taglia di qua, taglia di là, correggi, abbozza, finì col ricavarne un manico di lesina” .
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logo-sa-die-F-Figari-300x173
SalvatoreCubedduSalviamo Sa die

La lettera di Salvatore Cubeddu al presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau:
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https://www.aladinpensiero.it/?p=40349
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- Nella foto centrale Scuola Elementare Sebastiano Satta di Stampace – Cagliari, anno scolastico 1956-57

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Carta_regno_feudale_di_Sardegna
Tutto il Meridione, tranne la Sardegna
di Raffaele Deidda *

Incontrando a marzo a Napoli le istituzioni e la stampa campane, l’ambasciatore tedesco Reinhard Schafers ha fornito una notizia sorprendente: il Sud Italia può vantare nei confronti della Germania un saldo positivo della bilancia commerciale, pari a poco meno di un miliardo di euro. Quello che l’Italia non riesce a realizzare, riesce a farlo il Mezzogiorno. Se non l’avesse detto Schafers sarebbe stato difficile crederci.

Il legame dei tedeschi col Sud Italia è confermato dalla Cancelliera Merkel a Ischia per le vacanze e dal fatto che la Germania è il maggiore partner commerciale dell‘Italia. Nel 2014 lo scambio ha superato i 104 miliardi di euro. Le relazioni economiche con la Germania riguardano, in maniera rilevante, le regioni del Mezzogiorno. Per Abruzzo, Basilicata, Molise e Calabria il più importante partner commerciale è la Germania. In Campania, Puglia e Sicilia la Germania è fra i più importanti. “Soltanto in Sardegna non riusciamo a entrare nel medagliere. Ma non si può comunque essere ovunque ai primi posti”, ha detto l’ambasciatore Reinhard Schafers.

Se le affermazioni di Schafers hanno fatto tirare un sospiro di sollievo ai meridionali non è stato con la classica formula “isole comprese”, perché è considerata solo la Sicilia. Perché la Sardegna non riesce ad entrare nel “medagliere”? Senza ricorrere a lamentele o a rimostranze, sarebbe importante interpretare il senso della rinuncia ad essere anche per la Sardegna uno dei più importanti partner economici (“Non si può comunque essere ovunque ai primi posti…”). Le altre regioni meridionali hanno bellezze naturali e storico-artistiche da offrire ai visitatori di tutto il mondo, ma è da meno la Sardegna se i tedeschi sembrano rinunciare ad essere anche in terra sarda “ai primi posti”?

Alla domanda del perché il Sud non può diventare quello che la Ddr è stata per la Repubblica Federale Tedesca, l’ambasciatore ha risposto: “Perché la Germania Est era, al momento della riunificazione, il decimo paese industriale al mondo. Il Sud Italia è qualcosa di diverso, non ha industrie pesanti e deve puntare su un’altra strategia, basata sul turismo e i beni culturali . Non è facile perché la concorrenza dei paesi balcanici e della Turchia sta diventando forte sia sul piano della qualità che dei prezzi”. Affermazioni di buon senso, poco originali in quanto è radicato nella moderna cultura europea il concetto di bene ambientale e culturale considerato non solo in termini di tutela e di fruizione ma anche di generatore di investimenti, di reddito e di occupazione.

La Sardegna sta perseguendo una strategia basata su turismo e beni culturali per rafforzare la propria economia? E’ attrezzata per fare concorrenza ai paesi balcanici e alla Turchia? Sarebbe utile e interessante invitare l’ambasciatore tedesco in Sardegna per spiegarci quali fattori ostino a proficui scambi commerciali. Quelli che, magari, potrebbero portare oltre il miliardo di euro il saldo positivo della bilancia commerciale Sud Italia e Germania.

Con l’occasione si potrebbe consigliare alla Cancelliera Merkel di variare la meta della proprie vacanze. Se ama le piccole isole, la Sardegna ha da proporle da La Maddalena a San Pietro-Carloforte.

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* By sardegnasoprattutto / 9 aprile 2015 / Economia & Lavoro

La lingua sarda e la lezione gramsciana

gramsci lab
Francesco Casula ft1di Francesco Casula
Antonio Gramsci in una lettera dal carcere alla sorella Teresina, del 26 Marzo del 1927, esprime sul ruolo e l’importanza della lingua materna, una serie di formidabili intuizioni. Che però saranno largamente dimenticate, rimosse e persino combattute da molti suoi “nipotini”: di ieri come di oggi. Così nel 1977 il segretario provinciale nuorese del PCI di allora, invitava, con una circolare spedita a tutte le sezioni, di non aderire, anzi di boicottare la raccolta di firme per la Proposta di legge di iniziativa popolare sul Bilinguismo, elaborata da alcuni intellettuali sardi (Lilliu, Masala, Spiga, Sciola) perché separatista e attentatrice all’Unità della Nazione! E oggi, il Presidente della Regione Sarda Pigliaru e la sua Giunta (di sinistra) hanno stanziato per la lingua sarda, nel bilancio regionale per il 2015, lo 0,025% ! Meno di quanto la Regione assegni a una sagra paesana sulle lumache o a un campionato di calciobalilla!
Ma ecco la Lettera di Gramsci alla sorella: “[…]Devi scri­vermi a lungo intorno ai tuoi bambini, se hai tempo, o almeno farmi scrivere da Carlo o da Grazietta. Fran­co mi pare molto vispo e intelligente: penso che parli già correttamente. In che lingua parla? Spero che lo lascerete parlare in sardo e non gli darete dei dispia­ceri a questo proposito. È stato un errore, per me, non aver lasciato che Edmea, da bambinetta, parlasse libe­ramente il sardo. Ciò ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia. Non devi fare questo errore coi tuoi bambi­ni. Intanto il sardo non è un dialetto, ma una lingua a sé, quantunque non abbia una grande letteratura, ed è bene che i bambini imparino più lingue, se è pos­sibile. Poi, l’italiano, che voi gli insegnerete, sarà una lingua povera, monca, fatta solo di quelle poche fra­si e parole delle vostre conversazioni con lui, pura­mente infantile; egli non avrà contatto con l’ambien­te generale e finirà con l’apprendere due gerghi e nessuna lingua: un gergo italiano per la conversazione ufficiale con voi e un gergo sardo, appreso a pezzi e bocconi, per parlare con gli altri bambini e con la gente che incontra per la strada o in piazza. Ti racco­mando, proprio di cuore, di non commettere un tale errore e di lasciare che i tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontanea­mente nell’ambiente naturale in cui sono nati: ciò non sarà un impaccio per il loro avvenire, tutt’altro […]”
In questa lettera Gramsci rivela una serie di intuizioni lucidissime sull’importanza, sull’utilità, sul ruolo e la funzione della lingua sarda, specie per quanto attiene alla formazione e allo sviluppo del bambino e allo stesso apprendimento dell’italiano.
Per intanto ammette che “è stato un errore non aver lasciato che Edmea, da bambinetta, parlasse liberamente in sardo”. Si tratta di un errore oltremodo diffuso nella cultura e nell’intera scuola italiana, ancora oggi ma soprattutto nel passato, specie nel periodo fascista.
Ebbene Gramsci, proprio in questo periodo storico e in questa temperie culturale ed ideologica ha il coraggio di andare controcorrente, anche su questo versante. “non imparare il sardo da parte di Edmea – sostiene – ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia”.
Il grande intellettuale sardo esprime in questa lettera una serie di posizioni sulla lingua materna, che i linguisti e i glottologi nonché gli studiosi delle scienze sociali avrebbero in seguito rigorosamente dimostrato come valide. Ovvero che il bilinguismo non è da considerarsi un fatto dannoso da correggere e da controllare ma una condizione e una competenza che agisce positivamente nelle psicodinamiche dello sviluppo cognitivo e relazionale tanto che l’educazione bilingue ha delle funzioni che vanno al di là dell’insegnamento della lingua. Ovvero che la lingua materna, ha un ruolo fondamentale e decisivo nello sviluppo degli individui, soprattutto dei giovani.
Scuola Stampace 56-57
Non solo: lo studio e la conoscenza della lingua sarda, può essere uno strumento formidabile per l’apprendimento e l’arricchimento della stessa lingua italiana e di altre lingue. Lungi infatti dall’essere “un impaccio“, “una sottrazione”, sarà invece un elemento di “addizione”, che favorisce e non disturba l’apprendimento dell’intero universo culturale e lo sviluppo intellettuale e umano. Ciò grazie anche alla fertilizzazione e contaminazione reciproca che deriva dal confronto sistemico fra codici comunicativi delle lingue e delle culture diverse, perché il vero bilinguismo è insieme biculturalità, e cioè immersione e partecipazione attiva ai contesti culturali di cui sono portatrici, le due lingue e culture di appartenenza, sarda e italiana per intanto, per poi allargarsi, sempre più inevitabilmente, in una società globalizzata come la nostra, ad altre lingue e culture, al plurilinguismo e alla multiculturalità.
Dal punto di vista formale in questa Lettera –ma anche nelle altre – Gramsci rivela una scrittura semplice e insieme intensa, talvolta persino scherzosa e ironica, mai “letteraria”, di una naturale altezza e forza morale. La sua capacità di interessarsi profondamente e amabilmente delle vicende dei suoi familiari, dell’educazione dei bambini, cui racconterà favole e storielle, rivelano un uomo dall’alta statura umana ed etica, affettuosamente e profondamente legato alla sua terra, alla sua lingua, alle sue tradizioni. Pur infatti nel carcere e nelle privazioni riesce sempre a mantenere un eccezionale equilibrio tra raziocinio e fantasia e un dominio tranquillo sulla realtà, tanto che raramente il carcere nelle Lettere “si sente”. Eppure, come scriverà in Passato e Presente: ”la prigione è una lima così sottile, che distrugge completamente il pensiero, oppure fa come quel mastro artigiano, al quale era stato consegnato un bel tronco di legno d’olivo stagionato per fare una statua di San Pietro, e taglia di qua, taglia di là, correggi, abbozza, finì col ricavarne un manico di lesina” .
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SalvatoreCubedduSalviamo Sa die

La lettera di Salvatore Cubeddu al presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau:
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https://www.aladinpensiero.it/?p=40349
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- Nella foto centrale Scuola Elementare Sebastiano Satta di Stampace – Cagliari, anno scolastico 1956-57

con gli occhiali di Piero…

GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413ANNIVERSARI. Ricordo di Camillo Bellieni, e un consiglio di Orazio. Un anno fa, il 9 dicembre 2013, su Aladinpensiero.
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ANTICHE CRONACHE SARDE
9 dicembre 1769, si inaugura a Cagliari la stamperia reale.
9 dicembre 1862, straripa il Tirso, gravi danni nelle campagne oristanesi.
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Stampaxi Cagliari
FUEDDA SARDU
SA CUMMEDIA

Cabras – … o su Visurei, ita dd’est beniu a conca de mi fai arrestai?
Seu a conca bianca, totus mi connoscint, comenti mai non at domandau?
Seu stampaxinu, est berus, ma seu becciu, cuccuru cottu femu a piccioccheddu. At biu ita at cumbinau?

(Sa dì de s’acciappa, di Piero Marcialis)
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SERGIO MURRU
Nasce a Cagliari, in Castedd’e susu, il 9 dicembre 1949, Sergio Murru.
A 18 anni inizia la sua carriera di attore nel gruppo Teatro Studio.
Nel 1969 ha la parte di Marat nel Marat-Sade di Peter Weiss, memorabile realizzazione del giovane teatro di avanguardia cagliaritano.
Nel 1974, in seguito alla morte del padre, che lo segna dolorosamente. interrompe gli studi universitari e l’attività teatrale, lavora per una compagnia di assicurazioni.
Nel 1976 pubblica la raccolta di poesie “Esperienze” e riprende in qualche misura
l’attività artistica. Nel 1984 torna la teatro come professione. Collabora con la compagnia “I Medas” e, quando essa si scioglie, rifonda con Enzo Parodo il Teatro Studio, prima produzione “Nella valle di Lanaittu” (1986) di Marcialis e Parodo, dove è il protagonista; segue la produzione di “Cinixu”, da Su Mundu de ziu Bachis di Antonio Garau, “una svolta nella storia del teatro sardo” (Francesco Masala):
Nel 1988 recita in sardo a Radio Sardegna 36 fiabe dell tradizione sarda.
Con “Su vapori” (1991) vince il premio Ozieri 1992 per il teatro.
“Su stani”, suo affettuoso ritratto di Cagliari e del mondo dei pescatori, va in scena nel 1996 e per anni sarà richiesto dal pubblico, si può dire fino alla sua morte, avvenuta quest’anno, un mese dopo aver compiuto 64 anni, poche settimana dopo dall’ultima replica del suo spettacolo sulla Beat-generation (vedi Aladinpensiero, 9 gennaio 2014).