Risultato della ricerca: Cagliari Territorio Intelligente

Documentazione

Sardegna-CSS-29-feb-16LA SARDEGNA CHE VOGLIAMO
QUALE SVILUPPO PER LA SARDEGNA ?

- Lavori in corso

Sinnai. Una comunità pastorale tra il secondo ed il terzo millennio

SINNAI panorama Sardegna DL_2—————————————————————————
ape-innovativaCome anticipato ieri pubblichiamo un saggio di Aldo Cappai su Sinnai, di cui è concittadino. Lo facciamo non solo per il pregio delle informazioni e analisi contenute, che hanno valore in sé e per le considerazioni che fa l’Autore nell’introduzione, ma anche per contribuire alla creazione della “città metropolitana di Cagliari”, che ha senso solo se realizzata con e per la valorizzazione di tutte le realtà che la dovranno comporre, della loro identità, della loro storia, del riconoscimento del ruolo e dell’importanza… nell’area vasta e in Sardegna (la macroarea Isola di Sardegna, come la chiama Aldo).
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Sinnai. Una comunità pastorale tra il secondo ed il terzo millennio
di Aldo Cappai
Caooai 1 Introduzione
Questo lavoro vuole essere un contributo personale alla ricerca su Sinnai e la sua realtà socio­economica e culturale, nell’ambito del filone di studi definiti microstoria, incentrati sull’analisi dell’evolversi dei processi storici nelle realtà comunitarie locali al di dentro della macroarea Isola di Sardegna.
La riflessione vuole evidenziare, in primis, come sino alla metà del secolo ventesimo i processi di sviluppo siano stati, nella comunità Sinnaese ed in
quelle delle altre realtà sarde agropastorali, con particolare riferimento a quelle dell’interno, essenzialmente caratterizzati da immobilismo, da stagnazioni o, meglio, da sedimentazioni millenarie. In questo contesto verrà focalizzato il ruolo sociale della figura economica dominante, il pastore sardo, il peculiare sviluppo della comunità sinnaese ed uno spaccato della vita sarda al 1863, appena due anni dopo l’unità d’Italia. Si tratterà, quindi, dei forti processi di crescita che hanno trasformato radicalmente la nostra comunità negli anni seguiti al secondo conflitto mondiale, ponendo infine le basi per stimolare un nuovo processo di riflessione su una società frutto della globalizzazione dei processi di produzione e di scambi sviluppatisi in maniera così veloce ed improvvisa da indurre un attento pensatore contemporaneo a vederla come vita liquida.
Per la stesura della relazione odierna mi sono state d’ausilio alcune pubblicazioni di nostri concittadini che ho trovato raccolte nei miei scaffali, ancora non riordinati.

- Figura 1 foto del menhir, pubblicata nel volume Sa festa de tunditroxi, commedia in lingua dardo di Don Giovanni Cadeddu. La pietra fitta è simbolo fallico e la V nella parte alta riandai alla sessualità femminile.

I millenni bui della società sarda
I Menhir rappresentano la divinità dei primi popoli che hanno vissuto in Sardegna: una divinità contenente in sé il principio dell’Essere, sia maschile che femminile. Sono simbolo di un periodo che, ab immemore, e sino alla prima metà del secolo scorso, ha caratterizzato la storia della nostra comunità nella sua sostanziale stabilità di mezzi di produzione, di attività economiche, di cultura e di rapporti sociali.
Tracce salienti e significative della rappresentazione della divinità per mezzo di elementi litici e lignei hanno caratterizzato anche le antiche civiltà del medio­oriente e quelle mediterranee che si basavano sulla caccia e sulla pastorizia, prima, e sulla agricoltura, poi.
Ma, mentre già da diversi secoli prima di Cristo il popolo ebraico viveva l’esperienza religiosa del monoteismo, in Sardegna il rapporto diretto tra elementi naturali e divinità perdura: ancora nella seconda metà del VI secolo dopo Cristo, il Papa Gregorio Magno definisce i Barbaricini come uomini, che «ut insensata animalia vivant, Deum verum nesciant, ligna et lapides adorent»[1] (vivono come animali privi di intelligenza, senza riconoscere il vero Dio ed anzi rappresentandolo nelle pietre e negli alberi).
Il dominio delle diverse civiltà che nei secoli hanno colonizzato le popolazioni sarde ha comportato, sostanzialmente, l’esclusione radicale delle stesse dai processi di sviluppo economico, politico, sociale e culturale: le attività produttive nei settori dell’allevamento, caratterizzati dalla pastorizia allo stato brado e transumante, quelle del settore agricolo, ancora retto da strumenti di produzione e tecniche colturali primitive, i diversi ed insopportabili prelievi imposti dai diversi dominatori accompagnati dall’assenza di adeguate vie di comunicazione e dalle ferree regole di ordine pubblico che costringevano le popolazioni ad una forzata immobilità, hanno comportato una solidificazione delle diverse realtà, specie culturali, i cui contenuti e valori venivano ancora elaborati, trasmessi e conservati in modo quasi esclusivamente orale.

cappai2Figura 2: Lazzaro Perra di Sinnai e il suo giogo di buoi con aratro in legno, 1920.
È il caso delle testimonianze musicali e poetiche che possiamo ritrovare nell’utilizzo, ancora oggi presente, delle launeddas, della poesia estemporanea, dei canti religiosi, delle pregadorias e delle filastrocche.
Le città vivevano una vita radicalmente isolata e impermeabile alla campagna che ad esse (ed ai diversi dominatori che vi si sono insediati), era asservita. Bisogna comunque ricordare che Sinnai rappresenta, per certi aspetti un’ eccezione (che merita di essere approfondita), dovuta alla permanenza o alla frequentazione nel tempo di diversi esponenti cittadini delle classi nobiliari e borghesi cagliaritane, per motivi legati al suo clima salubre (dovuto fondamentalmente alla presenza di acque salutari ed alla scarsa presenza delle zanzare, portatrici della malaria).

Uno spaccato dell’isola al 1863: la relazione del prefetto di Cagliari Carlo Torre al Ministro .
Uno spaccato dell’isola al 1863, si trova nella relazione del prefetto di Cagliari Carlo Torre al Ministro dell’Interno Ubaldino Peruzzi.
«La relazione trae spunto dalla ridotta leva sarda, a causa dell’alto numero di rivedibili e di “scartati”. Il Prefetto Torre, preciso funzionario, non si accontentava di indicare sommariamente le cifre e a descrivere per sommi capi le cause, ma tentò di spiegare i motivi della cattiva salute, di quel “penoso spettacolo sulla struttura e condizione fisiologica” dei giovani sardi. Di più, egli descrisse le generali condizioni degli abitanti dell’isola e i loro costumi “barbari”. Il suo punto di vista, in alcuni tratti, somiglia a quello di un colonizzatore: si chiedeva, infatti, se, come era uso degli antichi romani, non fosse auspicabile la deportazione di detenuti in Sardegna, che avrebbe comportato il doppio vantaggio di “purgar la penisola e rifornir l’isola” di un maggiore incremento demografico e di una più solida e robusta costituzione fisica. Anche il clima e il territorio venivano chiamati in causa: analogamente al caso dell’agro romano, si riteneva infatti che molte delle malattie a cui gli abitanti dell’isola erano esposti, dipendessero da elementi che la medicina, solo dopo molti decenni, avrebbe depennato come cause di malattie. Addirittura il prefetto riteneva che anche i fichi d’india fossero frutti “di provata malsania”».

Il prioritario interesse dello Stato Unitario alla leva militare
A seguito del commento sopra riportato e ritrovato nel sito del Ministero degli Interni alcuni anni fa, riprendo una selezione delle dirette considerazioni scritte dal Prefetto Torre:
«E per entrare in materia ( verifica iscritti alla leva militare), lo scrivente ha dunque l’onore di esporre a codesto Ministero che il totale degli iscritti ascendeva a N. 4282, e che la precisa metà di questi, computati i rivedibili (perché avviene, massime in Sardegna, che rade volte un rivedibile sia negli anni o nell’anno appresso trovato buono) sono stati riformati e trovati rivedibili al N. 2140. E per venire ai motivi delle riforme e rivedibilità, si desume dagli elenchi avuti che i riformati per difetto di statura ascendono al N. 878, ossia a poco meno di un quarto della somma totale degli Inscritti, che i riformati per malattie diverse salgono a N. 793, ossia a più che la quinta parte del totale, e che i rivedibili sono stati N. 649, ossia il nono del complesso».
cappai 3 Figura 3 foto di due panificatrici di Sinnai negli anni ’50. Tratta dall’archivio digitale della Regione Autonoma della Sardegna.

L’alimentazione dei Sardi
Tra le cause, il Prefetto Garibaldino ricorda tra l’altro che «il cibo, quello del basso popolo, che è la gran generalità, è piuttosto ferino che umano, perché, massime nei luoghi montuosi, in difetto di grani, perché anche non ne seminano, si nutrono in inverno con erbe crude e scondite, o con carni di pecora, capra o bue appena rosolate sulle bragie e ancora sanguinolenti, ed in estate vivono per intere settimane di semplici frutti, come fave verdi, fichi, pesche, uva, pere, prugne, ecc. e, quel che è peggio, inghiottiscono con barbara avidità una quantità enorme del frutto di un Cactus detto Fico d’India, e qui appellato Da Figu Morisca, frutto di provata malsania ma che è facile ad aversi per nulla, perché nasce e matura spontaneo per le colline e per le sponde dei campi. Da ciò diarree, dissenterie, coliche, febbri, e le madri che allattano e che porgono ai neonati una sostanza formata con simili perniciosi ingredienti, inoculano, senza avvedersene, nei loro bambini, per lo più la morte, e in quei pochi che sopravvivono innestano la cachessia, la denutrizione, il marasmo».
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CAGLIARI. Dibattito su/per la città alla vigilia delle elezioni comunali.

AladinDibattito-CAUn nuovo modello di sviluppo sostenibile: da Cagliari città metropolitana alla Sardegna

di Pierluigi Marotto

– Ci sono state e ci saranno discussioni e critiche all’impostazione politica e culturale che Cagliari Città Capitale ha dato e sta dando alla propria sfida. I principi di Autodeterminazione e di Sostenibilità segnano uno spartiacque netto tra il passato e il futuro, tra destra e sinistra, tra vecchio e nuovo. I più acuti osservatori sollevano questioni di intangibilità giuridica della nostra Costituzione sul primo dei due principi e tendono a banalizzare il tutto relegandolo nel mare magnum dell’indipendentismo protestatario e negazionista. Ma su questo avremo modo di ritornarci, non dimenticando di richiamare la legittimazione giuridica internazionale di tale principio rispettivamente affermata nella Carta delle Nazioni Unite (26 giugno 1945; art. 1, par. 2 e 55) e nell’Atto Finale di Helsinki del 1975 “Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa” (CSCE), in cui si afferma il diritto per tutti i popoli di stabilire in piena libertà, quando e come lo desiderano, il loro regime politico senza ingerenza esterna e di perseguire come desiderano il loro sviluppo economico, sociale e culturale.
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Governo della Regione. Si può fare di più, molto di più. La Sardegna ne ha bisogno. DIBATTITO – VALUTAZIONI e DIBATTITO

pigliaru si fa cdarico
lampadadialadmicromicro1Proseguiamo nella pubblicazione di riflessioni di valutazione critica dell’operato della Giunta regionale (e non solo), auspicando positivi cambiamenti di politiche e, ovviamente, di persone che sappiano interpretarli e rendere efficaci. E’ la volta di Vito Biolchini che ha scritto l’articolo che sotto riproduciamo per il sito on line da lui gestito. Nella circostanza ci sembra importante riprendere un intervento di Salvatore Cubeddu e un connesso commento di Benedetto Sechi su Sardegna Soprattutto che sulla proposta di riforma degli enti locali esprimono un punto di vista parzialmente diverso da quello di Biolchini.
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Enti locali, sanità, industria… Ma la giunta Pigliaru quanto può reggere ancora?
di Vito Biolchini, su vitobiolchini.it

Avete visto i giornali di oggi? Io sì; e sinceramente a questo punto mi chiedo quanto ancora possa reggere la giunta Pigliaru. La spaccatura sulla riforma degli enti locali non sembra più essere ricomponibile. Il presidente e l’assessore agli enti locali Cristiano Erriu hanno detto più volte a chiare lettere che non concederanno al nord Sardegna lo status di area metropolitana e questo è il detonatore che rischia di far esplodere la situazione.

Se la crisi che è in corso non fosse seria potremmo anche riderci su. L’intellettualità sassarese in questi mesi ha infatti dato il peggio di sé, mettendo a nudo tutti i suoi limiti di visione e alimentando le inverosimili pretese di una classe politica a dir poco terrorizzata dall’ipotesi di avere sempre meno potere da gestire.

A colpire non è tanto il timore (comprensibile) che l’istituzione dell’area metropolitana cagliaritana possa accentuare gli squilibri interni all’isola, quanto la ridicola pretesa di spiegare, dati alla mano, che il nord Sardegna ha più titoli della zona del capoluogo di vedersi riconoscere “metropoli”. Il risultato è che pessima intellettualità, pessima politica e pessimo giornalismo hanno stretto un patto d’acciaio che ora, per assurdo, sta stritolando una delle giunte più sassaricentriche della storia dell’autonomia.

Sulla riforma degli enti locali (che, a sentire gli esperti, presenta ben altre criticità che non quella provocata dalla creazione dell’area metropolitana di Cagliari) Pigliaru non ha lasciato margini di manovra. Per cui non ci sono storie: o passa così com’è o il presidente è costretto a dimettersi. E io oggi scommetterei più sulla seconda ipotesi.

Anche perché il segretario regionale del Pd Renato Soru non sembra essere in grado di gestire la situazione esplosiva che si sta venendo a creare. La sua capacità di mediare gli interessi (politici) e ricucire gli strappi è notoriamente nulla.

Contro Pigliaru giocano anche altri fattori. Le tensioni scatenatesi intorno alla riforma degli enti locali vanno di pari passo con quelle suscitate dalla riforma della rete ospedaliera, in una vicenda cui l’ipocrisia dei piccoli baronati locali è pari solo al potere di interdizione che questi riescono ad esercitare sulla Regione. Pigliaru però non ha la coscienza pulita: il nuovo buco nei conti della sanità gli impedisce di salire in cattedra e di bacchettare tutti come suo solito.

Enti locali e sanità a parte, tutto il resto è un disastro. E basta leggere i giornali per rendersene conto.

Trasporti: il fallimento del bando sulla destagionalizzazione ha portato Ryanair alla decisione di abbandonare Alghero con gravissime ripercussioni per tutto il sistema.

Lavoro: il progetto Garanzia Giovani si sta rivelando per quello che è: un fallimento annunciato.

Industria: per fortuna (si fa per dire) che alla guida dell’assessorato c’è una sassarese, altrimenti perfino l’Eni sarebbe stata accusata di cagliaricentrismo per la sua decisione (da me più volte auspicata) di abbandonare il progetto della Green Economy.

Energia: Terna progetta di chiudere le centrali sarde, i parlamentari sardi si mobilitano in massa ma la Regione all’incontro col ministero sembra perdere la voce.

Altro? Vogliamo parlare di cultura? Se avete un amico operatore culturale, chiedete a lui che valutazione dà dell’azione di questa giunta.

E l’agricoltura? Come sta andando l’agricoltura?

Insomma, la situazione è questa. Politicamente non molto dissimile da quella vissuta negli anni del centrodestra di Ugo Cappellacci. Anche allora la Sardegna non riusciva (perché non voleva) a far sentire le proprie ragioni al governo italiano. Pigliaru, dopo un anno di apprendistato, ci ha provato ad incanalare il confronto nel giusto binario. Il dossier sull’insularità, presentato lo scorso mese di maggio al presidente del Consiglio Renzi, doveva ricevere una risposta a settembre. Siamo praticamente a dicembre e ancora tutto tace.

Come se non bastasse, quel dossier appare oggi assolutamente insufficiente e inadatto a rappresentare tutte le nostre necessità, giacché le vertenze che dovrebbero essere trattate in un tavolo col governo sono molte di più di quelle indicate da Pigliaru.

Insomma, dal punto di vista politico questa legislatura non ha più molto da dire. C’è solo da capire se riuscirà a trascinarsi fino alla sua scadenza naturale o se cadrà fragorosamente abbattuta dal fuoco amico sul fronte degli enti locali. Il 2016 sarà anno di elezioni: voteremo anche per la Regione? In tal caso la Sardegna arriverebbe all’appuntamento senza uno straccio di progetto, di idea, di nulla, con il Pd a pezzi, la sinistra spaccata, il progetto sovranista mai nato e gli indipendentisti in rotta dopo le ultime regionali.

E questa assenza di progetto è ciò che mi spaventa di più; persino più del ridicolo che ci verrebbe addosso dall’istituzione di un’area metropolitana di Sassari.
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Qualcosa si muove: no alla riforma degli enti locali iniziata dalla Regione sarda [di Salvatore Cubeddu]

By sardegnasoprattutto / 22 novembre 2015/ Società & Politica / One Comment

Venerdì prossimo si riuniranno a Nuoro, per iniziativa del sindaco e del Movimento “Insieme per le Autonomie”, sindaci e amministratori locali della Sardegna (esclusa l’area cagliaritana) per contestare e decidere iniziative di contrasto alla ventilata riforma regionale che, senza nessuna visione strategica del futuro dell’Isola, si adegua al vento italico che muove nella direzione dell’abolizione delle autonomie.

L’ipotesi di procedere comunque all’approvazione di questa riforma, nel mentre va formandosi la città metropolitana a Cagliari, renderebbe vane sia le argomentazioni che le iniziative contrastive promosse negli ultimi mesi ad iniziare da Sassari. La decisione porta a compimento istituzionale il modello di sottosviluppo degli ultimi settant’anni, la concentrazione (funzioni, enti e risorse) burocratica ed amministrativa che accompagna quella demografica, ammassata in una realtà geograficamente estrema, a svantaggio di tutte le altre aree dell’Isola, per la quale si confermerebbe un inarrestabile declino.

Per quale motivo, ci si chiede in tanti, la Sardegna intera dovrebbe difendere e sviluppare le proprie istituzioni autonome se esse giovano ad una sola conurbazione urbana? L’effetto depressivo di una tale ‘sconfitta’ avrebbe delle conseguenze devastanti.A Sassari hanno cominciato col chiedersi:
a) che cosa ci perderebbe Cagliari se anche Sassari diventasse città metropolitana (Mario Segni)?
b) Quello che finora è stato un processo determinato dal sottosviluppo lo si vuol far diventare un progetto: Cagliari città ‘metropoli’ con tutti ai suoi piedi ? (Arturo Parisi).

Ma questo processo non si risolve con la sola creazione di un nuovo polo, come l’eventuale formazione intorno a Sassari della città metropolitana, ma all’interno di considerazioni più vaste e profonde, con l’assegnazione di una funzione alle altre città e considerando principale le questioni dello spopolamento dei paesi e della disoccupazione. Una simile crisi, cui si accompagnasse una situazione di conflitto generale, non può essere descritta perché lontana da ogni immaginazione possibile. La Sardegna verrebbe del tutto ‘invasa’ dagli interessi esterni. “Non siete in grado di governarvi”, concluderebbero, non disinteressati.

Si potrebbe forse prendere tempo con Roma, confermando le quattro province e sperimentando il difficile comporsi dell’unione dei comuni? Perché dovrebbe divenire agevole, e stupire del possibile insuccesso, il mettere insieme i piccoli comuni quando le nostre élites cittadine si fanno la guerra, sia all’interno che tra di loro? Quindi: la Regione non dovrebbe avere e neppure imporre alcuna fretta e, invece, andrebbe avviata un’intelligente pratica di sperimentazione.

La fase che viviamo ha “un rilievo storico”, si afferma giustamente a Sassari. Dopo 37 anni dalla fine della cosiddetta rinascita e della prima autonomia (1978), un Consiglio regionale affaticato, ed un governo regionale dai tratti evidentemente ‘tecnici’, è chiamato ad affrontare il cuore dei problemi che riguardano il futuro della Sardegna: il lavoro dei Sardi tramite le loro risorse, la sopravvivenza della distribuzione del suo popolo in tutto il territorio senza concentrazioni depauperanti, le sedi della permanenza e della continuità della democrazia espresse nelle istituzioni.

Che cosa sta succedendo dunque, e che cosa potrà succedere nei prossimi giorni a livello istituzionale? Ci si riferisce al rapporto con lo Stato, alle relazioni tra i partiti politici, agli effetti sulla pubblica opinione di Cagliari / delle altre città sarde / dei paesi tutti in presenza e in conseguenza della manifestazione che verrà promossa a Cagliari sotto la sede del Consiglio regionale da parte dei consigli comunali di tanti comuni della Sardegna, per protestare contro l’accentramento a Cagliari di tutte o della gran parte delle istituzioni statali e regionali dell’Isola.

L’interesse su queste riforme istituzionali è indotto dalla legge Del Rio e non da vere necessità dei sardi, i quali individuano, invece, come prioritari il problema della disoccupazione e dei possibili inserimenti nei lavori pubblici di migliaia di cassintegrati congiuntamente al destino demografico dei comuni minori dell’Isola. La legge dello Stato costringe, quindi, le istituzioni sarde ad indossare un abito non adatto per il loro fisico e per la loro mente.

Se in piazza, convocati dalle istituzioni locali autoconvocatesi del Nord-Sardegna, fossero presenti da un minimo di 600 consiglieri (la totalità dei presenti in 50 consigli comunali) fino a 4.236 e più (la totalità dei componenti di 353 consigli comunali) non cambierà nulla? Il Consiglio regionale potrà far finta di niente?

In conclusione: se le scelte operate dalla Giunta regionale vanno a provocare divisioni e sconcerto, invece che risolvere i problemi, possono continuare gli atti che minano la nostra evoluzione autonomistica e il nostro progresso economico e civile? In questo caso non rimarrebbe che riempire, da parte della società, il vuoto politico presente che si dimostra ogni giorno più dannoso.

One Comment

Benedetto Sechi 23 novembre 2015 at 10:13
… non facciamoci cucire addosso un vestito che ci va stretto. Gli stilisti, i disegnatori stanno a Roma, ma i sarti sono sardi. Per una volta vogliamo dimostrare che siamo capaci di fare riforme che mettono al primo posto la coesione e gli interessi della Sardegna? Ieri un convegno a Sennariolo sullo spopolamento delle zone interne, relatore lo stesso assessore paladino di una riforma che sposterebbe, nell’area del cagliaritano, risorse, sviluppo e, conseguentemente, flussi migratori interni ed esterni, quando si dice la doppiezza. Ma perché non scegliere, come ha fatto il Friuli Venezia Giulia di non fare alcuna area metropolitana? Lo scopo li è di non favorire Udine, invece di Trieste, proponendo, in alternativa, interventi di sviluppo armonico tra tutte le aree, considerando la particolare posizione geografica del FVG. Lo si chieda alla signora Serracchiani, già vice Renzi, il perché? La Sardegna, come la Corsica, non hanno una particolare posizione geografica? Non è necessario essere mosche cocchiere, si può benissimo fare i cavalli di razza, è sufficiente sforzarsi un pochino. Bene quindi la moratoria sulla riforma, si faccia una “Costituente” o la si chiami altrimenti, purché si approdi ad una scelta condivisa che ponga la Sardegna al centro dello sviluppo mediterraneo. Insomma i furbetti locali, che pensano di speculare sul momento confusionale dell’Italia, per tirare la coperta da un lato, debbono essere smascherati, ne va del futuro di questa isola per i prossimi cinquant’anni.

I nostri problemi, le nostre paure, le nostre responsabilità…

cielolampadadialadmicromicro13L’editoriale domenicale di Eugenio Scalfari. Non c’è bisogno di condividerlo tutto. Ma in grande misura esprime il nostro stato d’animo e la speranza di uscire dall’attuale situazione con prospettive di vita per le generazioni presenti e future.
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Bocche di leone 22 nov 15
La Francia, l’Italia, l’Europa e la grazia di Francesco
E’ l’Europa l’obiettivo prescelto dal Califfato. E con essa la civiltà occidentale, le sue religioni, la sua economia, i comportamenti delle persone comuni e delle loro classi dirigenti. La Francia ha assunto il ruolo di guida del continente. E il governo italiano in tutto questo? Che cosa gli sarà proposto da Hollande? E Renzi a sua volta che cosa gli proporrà?

di Eugenio Scalfari, su La Repubblica on line di domenica 22 novembre 2015.

In questi giorni terremotati tutti ci poniamo molte domande: perché accadono fatti così orribili, eccidi di innocenti, decapitazioni trasmesse in televisione, paura della gente, servizi segreti mobilitati, bombardamenti a tappeto, sorveglianze inutilmente rafforzate, in Europa, in Belgio, in Iraq, in Siria, in Turchia, in Egitto, in Libano, nel Mali, in Bangladesh, in mezzo mondo, con previsioni di altrettanti orrori nell’Italia del Giubileo?

Anche io sono profondamente colpito e preoccupato, ma non sorpreso e la ragione è questa: so da tempo che la storia dell’umanità da quando esiste è dominata dal potere e dalla guerra. L’amore e la pace sono due sentimenti alternativi che di tanto in tanto interrompono i primi due, ma sono interruzioni brevi, pause di riposo presto travolte. Dentro molti di noi l’amore e la pace sono sentimenti permanenti, ma il potere e la guerra hanno sempre la meglio dovunque, in qualsiasi epoca, in qualunque paese e in qualsiasi tempo. E il motivo è semplice: noi, a differenza di altri essere viventi, abbiamo un Io.

E quell’Io non appena ci nasce dentro ha bisogno assoluto di avere un suo territorio, conquistarselo, difenderlo, ampliarlo. Ha bisogno di emergere a tutti i livelli sociali e cerca di farlo come può, che sia povero o ricco, di pelle nera o bianca o mulatta, uomo o donna.

Anche gli animali per soddisfare i loro bisogni primari devono combattere per conquistare la preda, preda anch’essi di altri animali. Potere e guerra sono anche per loro istinti dominanti, ma non ne sono consapevoli. Noi sì, noi siamo Io in ogni istante della nostra esistenza ed è quello il motore che ci anima e determina il nostro destino. Il Fato. Ricordate? Gli dei olimpici della cultura greca avevano la meglio non soltanto sugli uomini ma perfino su altri dei. Zeus sapeva di dover rispettare il Fato che era molto più di un dio: era la legge che domina il Cosmo e quindi potere e guerra, la legge di natura è quella. L’antidoto non è l’amore e la pace che come ho già detto sono intervalli brevi, pause di riposo; ma è la libertà, la libertà consapevole. E la bellezza, non come ideale romantico ma lirico e profondamente evocativo: la musica, la danza, la conoscenza.

Libertà e bellezza, questi sono i valori, dove l’Io non viene affatto spento ma anzi potenziato e allontanato dalla ricerca del potere, riscattato dalla turpitudine della guerra e guidato verso quell’oltreuomo che nello Zarathustra di Nietzsche è l’ultimo e più eccelso livello che la nostra specie può raggiungere e che dovrebbe mettere insieme tutti gli uomini di buona volontà.

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L’Europa è oggi l’obiettivo del terrorismo guidato dall’Is che d’ora in poi chiameremo Califfato. Noi siamo soltanto il suo bersaglio, attaccano dovunque possono, ma è l’Europa il terreno prescelto e con essa gli Stati Uniti d’America. Insomma l’Occidente, la civiltà occidentale in tutte le modalità che quella civiltà esprime, nelle sue religioni, nella sua economia, nei comportamenti delle persone comuni e delle loro classi dirigenti.

Il Califfato è a sua volta una classe dirigente composta da poche persone, non più di un centinaio, in gran parte provenienti dall’esercito iracheno di Saddam Hussein, dai muezzin afghani, dai talebani indottrinati da Bin Laden e da Al Qaeda; arabi soprattutto ma anche pachistani e sauditi.

Bin Laden, a quanto si sa, era profondamente religioso ma i dirigenti che compongono il Califfato non lo sono affatto anche se fanno finta di esserlo. Le cellule che il Califfato dirige hanno forse una vernice di religiosità fondamentalista. Il loro grido di guerra è ” Allah Akbar” e molti di loro arrivano fino al punto di farsi esplodere sognando un Aldilà dove le vergini li aspettano come premio. Ma la gran parte di quei terroristi disseminati in Europa non hanno alcuna vocazione religiosa. Sono i giovani delle periferie, la seconda o terza generazione delle banlieue che non hanno potuto o non hanno voluto integrarsi con la società con cui vivono. Alcuni hanno studiato, altri no, ma tutti si sentono defraudati, molti ricorrono alla droga e/o all’avventura, alla rabbia, alle armi e più sono questi i loro modi di sopravvivenza, più l’esclusione aumenta, più la polizia diventa il loro nemico, più è facile reclutarli per i messaggeri del Califfato.

Le banlieue sono il terreno di coltura dei terroristi e l’Io gioca qui la sua più segreta e perversa partita. L’Io degli esclusi reclama una sua soddisfazione, un suo territorio psicologico, la speranza di non aver paura ma di incuterla negli altri. Che gli altri siano cristiani o atei o islamici, ma integrati e non esclusi: questi sono i loro bersagli. Bersagli anonimi, non li conoscono ma sono comunque altri e diversi da loro e quindi da uccidere. Per diffondere la paura e soddisfare così il loro orribile Io.

Questa è la guerra in corso: terrore e paura sono gli obiettivi delle cellule che obbediscono al Califfato la cui classe dirigente è posizionata nel triangolo che include le zone confinarie tra Siria, Turchia e Iraq, con un distaccamento libico-tunisino che fronteggia direttamente l’Europa mediterranea.

Il Califfato ha i suoi soldati, sono qualche migliaio e bene armati. Il Califfato è ricco, ha petrolio, ha l’appoggio di uomini di affari degli Emirati e finanziamenti mascherati ma evidenti che garantiscono la tranquillità saudita e degli Emirati.

A guardar bene anche l’Io del Califfo e dei suoi compagni è assai sviluppato, vuole potere, ricchezza, piaceri. Deriva da Al Qaeda ma è tutt’altra cosa rispetto a Bin Laden. Crudele quanto lui e più di lui, ma estremamente più sofisticato. Non è escluso che divenga un vero e proprio Stato arabo sunnita. In fondo Ibn Saud cominciò così la sua carriera e trasformò una tribù in un Regno tra i più potenti del Medio Oriente. La sua famiglia conta ormai circa trecento persone, possiede molte banche, imprese, alleanze d’affari in tutto l’Occidente, in Francia, in Inghilterra, in Italia, in America, in Germania, ovunque. Detesta gli sciiti ma si distingue anche dai sunniti. Tra i capi del Califfato è un esempio da imitare e magari da conquistare. Senza sangue, possibilmente. Il sangue scorre altrove.

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Poiché la Francia è il principale terreno di battaglia del Califfato e delle sue migliaia di cellule europee, quella Nazione, oltre a contare il maggior numero di vittime innocenti, ha assunto la guida dell’Europa. Il presidente Hollande ha capito subito che, purtroppo per i francesi, il ruolo di leader dell’Europa era l’aspetto politicamente ed anche economicamente positivo e lui ha dimostrato di saperlo perfettamente assolvere, a partire dai simboli fino alla concreta azione politica.
Strage di Parigi, Hollande e Valls cantano la Marsigliese alla Sorbona

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Tra i simboli ce n’è uno che personalmente mi commuove non da ora ma da sempre, ogni volta che mi accade di ascoltarla: la Marsigliese, inno nazionale finora, ma europeo ai tempi delle guerre contro le monarchie assolute d’Europa, quando la grande Rivoluzione guidata dai girondini e da D’Anton arrestò l’invasione dei monarchi europei e l’esercito repubblicano guidato da Kellerman vinse la battaglia di Valmy.

Ogni volta che in Francia c’è un attentato il popolo si raduna nelle piazze e intona la Marsigliese mentre contemporaneamente la canta l’Assemblea nazionale. Così avvenne dopo l’attentato a Charlie Hebdo ma ora è cantata dai giocatori di calcio prima dell’inizio delle partite in molti paesi europei, è stata intonata a Londra alla Camera dei Comuni nel salone di Westminster, in Italia in una sorta di plenum delle Camere, insomma si è trasformato in un inno europeo in luogo dell’Inno alla Gioia della sinfonia beethoveniana.

Ma accanto al simbolo – del quale tuttavia sarebbe sbagliato trascurare l’importanza – c’è la politica vera e propria. Hollande aveva già deciso di affiancarsi agli Usa bombardando per un paio di volte Raqqa, scelta dal Califfato come propria capitale. Ma dopo gli attentati recenti a Parigi dei terroristi provenienti dal Belgio, i bombardamenti con Raqqa si sono moltiplicati e ancor più lo saranno quando la portaerei francese che è già partita da Tolone incrocerà nel Mediterraneo orientale i bombardamenti diverranno perciò continui.

Questo per quanto riguarda la guerra guerreggiata, ma poi c’è la politica vera e propria. Il primo intervento di Hollande è stato di appellarsi al Trattato di Lisbona che prevede la collaborazione di tutti gli Stati membri dell’Unione europea. I ventotto paesi hanno approvato all’unanimità ciò che il Trattato dispone: una collaborazione tra tutti i firmatari di quel trattato senza però indicarne né la procedura esecutiva né i vari ruoli di ogni Paese. Hollande avrebbe potuto appellarsi all’articolo 5 della Nato che prevede la collaborazione immediata con quel Paese che abbia subito una grave aggressione, ma non l’ha fatto perché la Nato ha un suo proprio comitato di cui la Francia ovviamente fa parte ma non ne è il capo.

Hollande ha anche previsto che, sulla base del Trattato di Lisbona, consulterà gli Stati membri dell’Ue bilateralmente, per stabilire con ciascuno di essi il tipo di collaborazione che la Francia gli chiede. Tale consultazione avrà inizio ai primi del prossimo dicembre.

Nel frattempo la Francia avrà incontri con Obama e soprattutto con Putin per considerare i comuni interventi contro il Califfato.

Nel frattempo c’è stato l’attentato compiuto in un grande albergo nella capitale del Mali, un paese ex colonia dell’impero francese dove Parigi ha dislocato da tempo 37 mila soldati che sono intervenuti con alcuni corpi specializzati insieme ad analoghe forze del Mali e a un reparto di militari americani. Il blitz è stato condotto a termine dopo ventiquattr’ore di aspra battaglia, gli attentatori hanno ucciso e sono stati a loro volta uccisi.

E il governo italiano in tutto questo? Che cosa gli sarà proposto da Hollande? E Renzi a sua volta che cosa gli proporrà? Che cosa ha in mente il nostro presidente del Consiglio, leader del più importante partito italiano e capo della maggioranza parlamentare, che ormai governa e comanda da solo, come del resto avviene da tempo in tutti i Paesi d’Europa e di Occidente?

La risposta a questa domanda è abbastanza facile perché è già stata anticipata dal nostro ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, dal ministro della Difesa e dallo stesso Renzi: appoggeranno la Francia in tutto ciò che è possibile, ma non hanno alcuna intenzione di compiere interventi militari né con aerei né con truppe di terra.

È giusta questa posizione? Personalmente credo di sì, ma quello che non si vede è in che cosa può consistere la collaborazione con la Francia. Forse con risorse economiche? Non ci verranno chieste e comunque non ne abbiamo. Di fatto avremo una posizione neutrale. Con quali contraccolpi? Un Paese neutrale non avrà alcun peso sulla politica e sull’economia europea.

Se è lecito dare un suggerimento, Renzi dovrebbe riservarsi un ruolo in Libia. Non per partecipare alla guerra contro il distaccamento dei seguaci del Califfato né alla guerra tra il governo e le tribù di Bengasi e Tobruk contro il governo di Tripoli, ma per allestire campi di accoglienza dei migranti che provengono dai Paesi subsahariani, in fuga verso le coste mediterranee e in particolare verso l’Italia.

Campi d’accoglienza che li trattengano in Libia in modo decente e confortevole, ne controllino l’identità e la provenienza, esaminino le loro eventuali richieste di asilo politico e li aiutino a partire verso l’Europa su navi italiane e di altri Paesi europei o ne favoriscano il rientro opportunamente negoziato con i loro Paesi di origine.

È un ruolo molto importante che richiede non solo risorse economiche e competenze diplomatiche ma anche di truppe, navi da guerra e aerei di ispezione affinché quei campi d’accoglienza siano opportunamente difesi da tribù e/o da terroristi presenti in quelle zone. L’Egitto dovrebbe appoggiare questo ” sistema” e sarebbe anche suo interesse farlo. Ancor più evidente sarebbe l’interesse francese. Hollande guida ormai l’Ue nel tandem con la Germania, regredita ormai in un ruolo minore rispetto al tradizionale tandem franco-tedesco. Col tempo forse la situazione cambierà, ma oggi è questa ed è la Marsigliese che predomina in Europa.

Ho già scritto più volte che l’esplosione di terrorismo dovrebbe affrettare l’avvio verso gli Stati Uniti d’Europa, ma si tratta comunque di un percorso che richiede a dir poco un decennio purché cominci subito. E il modo per farlo cominciare subito è la cessione immediata di sovranità dei Paesi europei, almeno quelli dell’Eurozona, della politica estera e di quella militare alle Istituzioni europee. Hollande sarebbe contrario, ma la Merkel? Non sarebbe proprio questo il modo per riconquistare la posizione prioritaria nell’Ue o almeno nell’Eurozona?

Ma Renzi, il nostro Renzi, sarebbe d’accordo e si batterebbe affinché questa cessione di sovranità avvenisse? Acquisterebbe un ruolo essenziale in Europa, ma lo capirà? Temo proprio di no, ma spero d’essere smentito. Se è politicamente intelligente dovrebbe accollarsi questi due ruoli, in Libia e in Europa. Spero di non essere il solo a suggerire questa posizione.

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C’è infine un altro personaggio che è fondamentale per superare questa tragica situazione: papa Francesco. Non c’è mai stato un Papa come lui. Dico di più: un Pastore, un Profeta, un rivoluzionario: in nome della sua fede e in circa due miliardi di cristiani che abitano il pianeta, dislocati in quasi tutti i continenti.

Francesco si appella al Dio unico. Tutte le religioni monoteistiche si debbono affratellare in nome dell’unico Dio che non è e non può essere un Dio vendicativo ma è un Dio misericordioso e come tale va adorato dai credenti di quelle religioni a cominciare ovviamente dai cristiani, dai musulmani, dagli ebrei.

Il Corano parla di ” morte degli infedeli” e offre ai fondamentalisti un pretesto per coprire le loro azioni delittuose con alcuni passi coranici. Ma dimenticano che il loro profeta Maometto, costruttore della religione islamica, mise come primo punto di riferimento Abramo. Al vertice dell’islam c’è dunque Abramo che ascoltò dalla voce del Signore l’ordine di sacrificare suo figlio Isacco. Quell’ordine sconvolse il cuore di Abramo nel profondo, ma la sua fede lo costrinse all’obbedienza: portò il figlio con sé su una collina e lì, guardando il cielo sopra di lui, estrasse dalle sue vesti un coltello per uccidere il figlio come gli era stato ordinato da Dio. Ma a quel punto la voce di Dio lo fermò: “Volevo vedere la forza della tua fede, ma io voglio che Isacco viva felice, come me e con te. Accarezzalo, educalo, e tutti e due sarete da me amati e illuminati”.

Questo è il Dio di Abramo e di Isacco ed è un Dio misericordioso. Perciò sono blasfemi e condannevoli i terroristi del Califfato che invocano Allah e nel suo nome uccidono centinaia di Isacco, figlio di Abramo e amato da Allah Akbar. L’unico Dio, che gli ebrei chiamano Jahvé o Elohim e i cristiani chiamano Padre. Questo predica Francesco e questo è il tema del Giubileo della misericordia. La sua parola, in un momento come questo, è diretta soprattutto agli islamici affinché riconoscano il loro Dio misericordioso che è il medesimo che tutte le religioni monoteistiche dovrebbero venerare.

Spero che Francesco riesca ad affratellarle in un unico slancio di misericordia alla quale anche i non credenti si associano.
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Usala 20 11 15 doslampadadialadmicromicro1Pubblichiamo l’intervento di Salvatore Usala al Convegno “La domotica per professionisti in sanità che incontrano i cittadini” tenutosi oggi (20 novembre) a Cagliari. Il Convegno oltre che fornire una panoramica aggiornata dei dispositivi tecnologici riassumibili nella disciplina della domotica, utile per migliorare la qualità della vita di tutti e, stante il focus del Convegno, la qualità della vita delle persone con gravi disabilità, ha costituito un’occasione per ribadire la bontà del “modello Sardegna” che assicura l’assistenza socio-sanitaria, a elevati standard qualitativi attraverso oltre 38 mila piani di sostegno personalizzati, con una ricaduta di 15mila posti di lavoro in tutto il territorio isolano. “Salvate il modello Sardegna!” è stato pertanto il grido di dolore levatosi dal Convegno, che nell’intervento di Salvatore Usala ha trovato una chiara quanto radicale rappresentazione. Il leader dei movimenti per i diritti delle persone con gravi disabilità “16 novembre” e “Viva la Vita Sardegna” ha annunciato a partire dal 24 novembre prossimo un presidio permanente in viale Trento 69, davanti alla Presidenza della Giunta regionale, considerata la prima controparte della rivendicazione della salvaguardia dei diritti dei malati. Torneremo presto sulle questioni oggetto dell’importante Convegno.

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Diritti dei malati con gravi disabilità.
Salvate il modello Sardegna!

Usala 20 nov 15 1
IL MODELLO SARDEGNA

di Salvatore Usala

Farò un intervento brevissimo, perché ho problemi agli occhi, ma tottu succiu!
Il Modello Sardegna è l’unico in Italia che è in linea con la convenzione ONU, ovvero consente la libera scelta dell’assistenza. Siamo di fronte ad un sistema virtuoso, invidiato da tutte le regioni, purtroppo questa Giunta vuole demolirlo, dicendo che vuole ristrutturarlo. La verità è che vogliono tagliare, sono solo ragionieri, non pensano al benessere delle persone. Non considerano che l’incremento dei numeri è un investimento che porta risparmi più che doppi per la sanità. Una sanità che sperpera tanto denaro pubblico con: balzelli, appalti, full service, bustarelle, corruzioni, tanti baroni e così via, ho tante prove documentali. Da anni propongo un progetto concreto che produrrebbe una miglior qualità dell’assistenza delle persone in area critica, e produrrebbe 4 milioni di risparmi per 170 utenti. Il progetto prevede tutto: costi, profili, mansioni, benefici, obbiettivi e finalità. Il tutto scritto in modo semplice e comprensibile da tutti. L’assessore Arru ha condiviso il progetto, infatti a gennaio ha fatto una delibera per un corso formativo di 90 ore, peccato che l’assessorato al lavoro ci abbia messo 10 mesi per fare un bando incompleto di programma, bando per le agenzie certificate e criteri di selezione. Se ne riparlerà fra 7-8 mesi. Dopo dure lotte Luigi Arru ha proposto una sperimentazione protetta da effettuare nell’ASL 8, che partisse a metà novembre, con la garanzia del presidente Pigliaru. Speravo fosse la volta buona, sbagliavo. Tre giorni fa hanno approvato una delibera che non dice nulla. Non prevede costi, compiti, responsabilità, in buona sostanza una delega in bianco per il progetto ASL 8 allegato. Cosa dice il progetto ASL 8? Tutto e niente! Volutamente scritto in burocratese e politichese, chiede disponibilità di caregiver e assistenti ma non definisce i costi. Non definisce data di inizio e fine dei tre mesi della fantomatica sperimentazione. Non elenca le mansioni peculiari degli infermieri della rianimazione. Il compito degli infermieri in appalto è segreto. In parole povere tre mesi indefiniti per poi dire: Signori, la sicurezza sanitaria non è garantita, non si fa nulla. Ma la ASL 8 sa che caregiver, assistenti e famiglia fanno tutto in autonomia per almeno 20 ore su 24? Chi fa aspirazioni, medicazioni degli stoma, sostituzione ventilatore polmonare, ma sopratutto eventuali tappi viscosi in trachea con ventilazione ambu? Perchè la ASL 8 non chiede alle rianimazioni quante chiamate in emergenza si fanno da parte delle persone in aerea critica? Ma tutti questi tifosi della sicurezza sanitaria dove erano nel 2006 quando Nerina Dirindin istituiva il “Ritornare a Casa”, portando da strutture protetta al domicilio con 4-5 ore di infermieri? La verità è che nelle ASL c’è chi specula, chi prende bustarelle, chi ha potere gestendo l’area critica. Sopratutto temono che l’assistenza indiretta prenda corpo togliendo il giocattolo dalle mani scellerate di certi burocrati. La realtà è che l’ex Assessore Nerina Dirindin ha rischiato tanto ed ha avuto ragione, Arru deve avere il coraggio politico di decidere. Per me la sperimentazione è chiusa prima di iniziare, deve essere una decisione politica che riguarda tutta la Sardegna. Arru deve fare una delibera condivisa che segua fedelmente il mio progetto, le ASL devono solo applicare, senza discutere. L’alternativa è applicare il DGR 10/43 del 2009 che prevede 24 ore su 24 la presenza di un infermiere, con un costo di 300.000 euro l’anno per malato, totale 50 milioni per 170 persone, invece che risparmiare 4 milioni. Per tutti questi motivi il 24/11/2015 saremo in presidio permanente in viale Trento 69, davanti alla Presidenza.

SCUSATE IL DISTURBO! A SI BIRI

Carbonia, color di trachite

CARBONIA cittàdifondazione Dialogo con il professor Antonello Sanna.
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Alla vigilia del Sulkimake Humanities Lab che dal 27 al 29 marzo 2015 si svolgerà a Carbonia presso la Grande Miniera di Serbariu, abbiamo intervistato il prof. Antonello Sanna, Direttore del Dipartimento di Architettura presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Cagliari. Durante gli anni duemila, infatti, il prof. Sanna è stato tra i protagonisti del recupero della Grande Miniera di Serbariu e degli spazi pubblici della città di fondazione. Tuttavia, nonostante l’importante riconoscimento ricevuto nel 2011 con il Premio del Paesaggio del Consiglio d’Europa, il valore di questa esperienza culturale, sociale e urbanistica è forse ancora misconosciuto.

di Fabrizio Palazzari

Quando è stata la prima volta che si è interessato di Carbonia e perchè?
Come mestiere mi occupo di recupero del patrimonio edilizio storico. Ho cominciato dai centri storici e poi, negli anni Novanta, mi è sembrato interessante occuparmi di prodotti più recenti, ma di qualità, che erano un po’ più misconosciuti. Mentre quasi tutti sanno che Firenze ha un grande centro storico, e forse anche Cagliari o Iglesias, era invece più difficile trovare qualcuno che riconoscesse a entità fatte per esempio a partire dal 1937, come Carbonia, questo valore aggiunto dell’essere anche patrimonio, oltre che un semplice insieme di volumi costruiti. Carbonia evocava altre cose: evocava la fatica della miniera ed evocava, se vogliamo, anche la fuliggine del carbone. Ma non evocava valori e fu per questo che cominciammo a studiarla.

All’inizio degli anni duemila l’amministrazione comunale decide di partire dal recupero urbanistico e architettonico della città, per avviare un’importante forma di recupero identitario della stessa. Ci potrebbe raccontare come si articolò il progetto?
Prima che arrivassimo noi (Dipartimento di Architettura, ndr) l’amministrazione puntava sulla miniera soltanto, poi ci convincemmo insieme che, in realtà, città e miniera erano l’una funzionale all’altra. La città era proprio lì, a soli ottocento metri dalla miniera, era una vera e propria “company town” e, in un certo senso, era la città della miniera. Entrambe rappresentavano un grande progetto e un’utopia, sia pure autoritaria, che aveva degli aspetti molto avanzati. Perchè Carbonia è una città giardino, inserita nel paesaggio, nel verde, interamente progettata, sino all’ultimo dettaglio, da grandi architetti.
Ci convincemmo ben presto che se la miniera fosse riuscita a restituire alla città ciò che le aveva tolto, sarebbe stata l’occasione del suo riscatto. Ma questo sarebbe potuto accadere soltanto se anche la città avesse finalmente accettato se stessa. Questo processo sarebbe stato tanto più forte quanto più ampio fosse stato il suo perimetro di azione, che non doveva pertanto essere limitato ai ruderi della miniera, ma avrebbe dovuto includere anche valore umano, piazze, edifici, monumenti.

Da dove iniziò il recupero e che ricordi ha di quella stagione?
Cominciammo dalla piazza Roma, una piazza interamente d’autore. Dal Teatro Centrale al Dopolavoro, passando per la Torre Littoria, la Chiesa di San Ponziano e il Municipio: sono tutti prodotti o della mano dello studio di Gustavo Pulitzer, grande progettista triestino, o dello studio Valle-Guidi, i due grandi architetti romani che poi abbandoneranno Carbonia per andare a fare il piano di Addis Abeba. Lasciandola comunque al grande e brillante Eugenio Montuori e alla sua continua ricerca di un razionalismo mediterraneo.

Nel 2004 ci fu l’inaugurazione della piazza e fu una delle grandi emozioni della mia vita. Quando uscimmo dal Teatro Centrale trovammo nella piazza migliaia e migliaia di persone, un numero stragrande di abitanti di Carbonia, che invasero quello spazio. Fu in quel momento che compresi come, effettivamente, quell’operazione avesse avuto da un lato un significato culturale e, dall’altro, un significato sociale.

La fondazione di Carbonia ridefinisce il rapporto tra cittadino e abitare e anticipa le trasformazioni che a partire dal secondo dopoguerra, con il programma di edilizia popolare INA Casa, interesseranno Cagliari e i principali centri urbani dell’isola. Come viene ridefinito questo rapporto?
In una Sardegna caratterizzata dalla totale prevalenza dell’autocostruzione Carbonia rappresentò, effettivamente, un caso unico. Mentre nel resto dell’isola prevaleva questo rapporto di tipo familiare con la casa, in cui ciascuno è padrone a casa sua, a Carbonia avviene invece il contrario. La gente, infatti, non è padrona neppure del suolo e del sottosuolo. Perchè nel sottosuolo c’è il carbone, e quindi è della miniera, mentre il suolo e le stesse residenze sono pubblici.

Da un punto di vista sociologico tutto questo ha sicuramente determinato, soprattutto all’inizio, questo senso di estraneità, tra la città e la sua architettura. I carboniesi hanno avuto bisogno di riappropriarsi degli spazi, a volte con superfetazioni delle stesse case. Tuttavia, seppure di dimensioni modeste, erano comunque, in quel momento, case di eccellenza. In una Sardegna in cui nessuna casa, se non quelle di lusso, aveva il bagno in casa, a Carbonia ogni casa ne possedeva uno. In questo senso fu, senza dubbio, anche un modello sociale.

Da un punto di vista sociologico e della modernità, questo rapporto di estraneità tra cittadini di Carbonia e abitazioni è anche il rapporto tra la Sardegna e la città stessa, mirabilmente descritto nel 1954 da Salvatore Cambosu in “Carbonia, odore di zolfo”, una delle pagine più poetiche ed evocative di Miele amaro. Quanto la Sardegna di oggi è consapevole di quel che Carbonia ha rappresentato per la Sardegna stessa?
Diciamo che ho avuto l’impressione, anzi ho la certezza, che quando Carbonia, durante gli anni duemila, sviluppò quel programma di riappropriazione di se stessa, si sia imposta all’attenzione dell’intera Sardegna. La percezione che ci fossero una strategia, un obiettivo di alto profilo e che tutto venisse fatto in funzione di quell’obiettivo si è avuta. Poi, ad un certo punto, proprio quando nel 2011 vincemmo il Premio del Paesaggio del Consiglio d’Europa (Carbonia Landscape Machine, ndr), è anche vero che forse quella notizia non è andata molto in giro. E’ passata un po’ sotto silenzio. So che però, alla fine, la consapevolezza c’è.

Il carbone ha dato origine alla città, ma è stato anche la causa della sua crisi e, come ha avuto modo di evidenziare, era giusto che la miniera restituisse quanto sottratto. Tuttavia esiste un altro materiale “locale” che può rappresentare un’importante risorsa identitaria per il presente. Che ruolo ha, a questo proposito, la “trachite rossa” nel caratterizzare l’intero patrimonio residenziale della città?
Ci siamo soffermati spesso sul suo ruolo. Carbonia è, paradossalmente, da un lato un luogo di alta tecnologia, con i suoi macchinari e certi elementi costruttivi come le capriate in cemento armato a sezione sottile. Dall’altro, un po’ per ideologia e un po’ per necessità è un luogo dove si utilizza però anche il materiale naturale, che è quello che si cava in loco. E questo dà carattere a Carbonia. Le sue case, infatti, certamente non sono “identitarie”, ma di intelligente hanno questo uso di un materiale povero, come la pietra locale, ma straordinario. Perchè tutto lo zoccolo, tutti i basamenti di Carbonia sono fatti di trachite. E’ proprio questo il vero elemento unificante.

Molte delle sfide della città del XXI secolo passano da una riduzione delle emissioni di Co2 e l’architettura giocherà un ruolo fondamentale, a partire dal recupero degli immobili esistenti. Anche per Carbonia si apre una nuova stagione che, dopo il recupero della miniera e degli spazi pubblici, potrebbe adesso interessare l’edilizia privata. Come vede l’applicazione di elementi di domotica all’architettura per trasformare la ristrutturazione edilizia in rigenerazione urbana?
Penso che, in generale, non ci sia altra via. Se alla qualità pubblica non corrisponde anche la qualità privata una città non si salva. Possiamo fare tutte le piazze che vogliamo ma se dopo i cittadini, i tecnici, non percepiscono che anche le case devono stare dentro un certo ordine di logica, il tutto non funziona. Sono inoltre convinto che oggi l’innovazione si deve giocare esattamente, in senso generale, sulla sostenibilità. Pertanto abbiamo bisogno di città non più energivore, come abbiamo fatto, ma energicamente efficienti. Possono diventarlo in vario modo, da un lato con le energie rinnovabili e la riqualificazione delle case in senso energetico; dall’altro, con le città smart e quindi attraverso l’applicazione delle tecnologie immateriali.

Per concludere, nel libro Carbonia. Città del Novecento, gli autori Giorgio Peghin e Antonella Sanna parlano di Carbonia come di una “colonia autoctona”, quasi sospesa tra due paesaggi: un paesaggio millenario che è quello del Sulcis-Iglesiente e un paesaggio costruito e ricostruito, perchè comunque Carbonia cerca di integrarsi nel territorio. Che cosa ci può insegnare questa epopea urbanistica, mineraria e anche sociale?
Ci può insegnare che quando c’è un’impostazione qualitativamente valida – e Carbonia lo fu perchè fu fatta con un pensiero urbanistico con dietro anche un’utopia sociale, per quanto autoritaria, e un pensiero urbanistico importante e al passo con le esperienze europee più avanzate – possiamo dire che le realizzazioni costruite in questo clima di qualità poi durano nel tempo. Nel grande disegno paesaggistico di Carbonia – dentro una conca, affacciata su un terrazzo che guarda verso il mare, con questo sistema di spazi pubblici, di verde, che doveva un po’ risarcire la durezza della vita in miniera – è sempre possibile trovare ancora oggi queste qualità. E tutto questo, rispetto invece alla dimensione informe, priva di progetto di certe periferie contemporane, incluse quelle di una parte dell’hinterland di Cagliari, ci può insegnare che non è necessario creare, come direbbe Italo Calvino, delle “zuppe di città” per fare la nuova architettura.

Carbonia Peghin e A SannaCome il libro di Peghin e di Antonella Sanna dimostra, la vera lezione di Carbonia è che la nuova architettura può essere di livello e di grande qualità. Può interpretare un territorio, anzichè banalmente sovrapporsi ad esso come spesso, invece, dopo abbiamo fatto.
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Sardegna-bomeluzo22
- L’articolo di Fabrizio Palazzari viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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Je suis Charlie

Pino Daniele:decine di fans in fila davanti a camera ardente
Condividiamo il messaggio di EMERGENCY
Seguiamo con dolore le notizie da Parigi: dodici civili uccisi in un attacco terroristico. Mentre aspettiamo di capire chi sia stato e perché, ci vengono in mente le parole del primo ministro norvegese davanti al massacro di Utoya: “Reagiremo con più democrazia, più apertura, più umanità”. Democrazia, umanità, diritti – e non altro odio e altra violenza – sono l’unico antidoto alla guerra e al terrore. Da Kabul a Peshawar, da Baghdad a Parigi.

Siamo vicini a Charlie Hebdo.

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matita al cielo
Aladinpensiero condivide l’invito e aderisce all’iniziativa di
Pier Nicola Simeone
Domani ovunque noi saremo, alle 12… fermiamoci un minuto e tendiamo alta, verso il cielo, una matita nella mano sinistra
‪#‎jesuischarlie‬
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“ASSASSINI SENZA DIO”
di Vincenzo Sparagna, direttore di FRIGIDAIRE e IL NUOVO MALE

La terribile azione terroristica che ha ucciso alcuni dei nostri fratelli di satira e di idee di “Charlie Hebdo” a Parigi rende forse inutili e vane le parole. Ho ancora negli occhi il clima di collaborazione libera e meravigliosa della redazione di Charlie che ho conosciuto dall’interno. Tutti seduti attorno a un grande tavolone di legno rettangolare, disegnando, scrivendo, discutendo con passione. Ognuno con il suo carattere e le sue idee. Tra loro alcune delle vittime di cui si comincia a sapere il nome: l’impagabile Cabu sempre sorridente, il sornione e intelligente Wolinski, capace di improvvise illuminazioni, il giovane direttore Charb (Stephane Charbonnier), Tignous e tanti altri che non voglio nominare perché spero siano ancora vivi.
La barbarie di questo atto ci sconvolge, ma deve anche spingerci ad agire. Qualsiasi forma di tolleranza verso l’intolleranza criminale di un Islam omicida non può più essere accettata. Né si può dire per consolarci che si tratta di una semplice minoranza di fanatici, perché alle loro spalle c’è un intero mondo reso cieco da una fede che, anche nelle sue forme più “moderate”, vuole stroncare nel sangue la libertà di pensiero e il diritto a vivere di chi non crede alla loro sedicente “parola di Dio”. Basta ricordare le innumerevoli condanne a morte per “apostasia”, la lapidazione delle donne stuprate perché “hanno dato scandalo” ecc. No, basta, questi mostri che uccidono a sangue freddo, che violano ogni umana sensibilità e ogni morale, sono degli assassini senza Dio anche se ammazzano nel nome di un Dio crudele e assurdo. Vanno condannati e combattuti senza esitazioni.

(segnalato da Piero Carta nella sua pagina fb)
matita in giacca

A proposito di Università

ape-innovativaDiciamo la verità, non ci convince la delibera adottata dalla Giunta regionale riguardante il riparto dei fondi dell’annualità 2014 stanziati in applicazione della Legge regionale 7 agosto 2007, n. 7, “Promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna”. Intanto ci chiediamo che fine abbiamo fatto la Consulta e i Comitati tecnici consultivi previsti dalla medesima legge (artt. 8 e 9). che hanno la funzione di rendere partecipato e anche presidiato scientificamente il processo di riparto dei finanziamenti. La delibera prevede poi un riparto in cui al punto 1) per un importo di un milione per “il sistema premiale di produttività scientifica, di cui sono beneficiari le Università da Cagliari e Sassari e altri Enti di ricerca pubblici”. E’ vero che questa voce è espressamene prevista dall’art. 13 della stessa legge, ma, ci chiediamo se in questa fase storica non sarebbe più opportuno che il sistema premiale premiasse la maggior aderenza dei progetti per le esigenze dei territori

di Franco Meloni
Per quanto riguarda l’Università, in particolare quella di Cagliari, faccio alcune sintetiche considerazioni: 1) si riscontra un calo delle immatricolazioni e quindi delle relative entrate per tasse studentesche; 2) i trasferimenti statali sono in costante diminuzione; 3) i fondi europei non possono essere impiegati, se non in modesta misura, per compensare le défaillance dello Stato; 4) le spese per ristrutturare, risanare o “mettere a norma” secondo standard di sicurezza il patrimonio storico o anche quello più recente (Monserrato) sono davvero ingenti e difficilmente sostenibili dalle sole casse dell’Ateneo… A fronte di questa situazione l’Ateneo ha deciso (ma non è cosa recente) di utilizzare i fondi Fas quasi per la totalità delle disponibilità su nuove costruzioni. E dunque trovandosi in difficoltà per sopperire a queste esigenze (nuovo, per il quale i finanziamenti sono comunque insufficienti, e vecchio da risanare e manutenere) non potrà affrontare ulteriori costosi interventi. Sul fronte delle spese il quadro è davvero pesante. Si può scegliere la strada di far fronte alle spese con la vendita (e/o l’affitto) di stabili fino a disfarsi di alcuni “gioielli di famiglia”. Oppure si possono percorrere inedite strade per aumentare le entrate. Guardando oltre il nostro naso qualche buona pratica si potrebbe trovare e replicare intelligentemente, Tanto per fare un esempio, ricordo che le Università americane che avevano investito in misura considerevole in spese edilizie negli anni 80, quelli del “baby boom” affrontarono il problema della contrazione demografica non con il taglio dei costi ma adottando misure di grande espansione, differenziando la loro offerta formativa per rispondere alle esigenze di formazione continua (o ricorrente) di una crescente popolazione adulta e investendo molto nei corsi telematici. L’altro fondamentale campo su cui investire è quello dell’innovazione, della creazione di nuova impresa innovativa, etc. . Di queste politiche non mi sembra si riscontri sufficiente presenza nel nostro Ateneo, se non per importanti ma piccole sperimentazioni, tenendo conto che non ci si può accontentare di interventi di piccolo cabotaggio ma che, al contrario, si tratta di impostare e realizzare progetti di grande respiro e dimensioni, per i quali occorrono adeguate strumentazioni e capacità organizzative.Per queste finalità le risorse europee potrebbero essere impiegate, ma si dovrebbero ricercare anche nel mercato finanziario pubblico e privato.
Ovviamente scrivo per quanto conosco, mi piacerebbe certo che il quadro consentisse meno pessimismo.
Non c’è dubbio che il prossimo nuovo governo dell’Ateneo si troverà a dover fare scelte decisive che speriamo non siano di ripiego quanto invece di ricerca di possibili (e realistici) nuovi investimenti di cui la nostra società della conoscenza ha necessità quanto il pane. – segue –

in giro con la lampada di aladin nel mondo delle idee… da discutere

lampada aladin micromicro- Giovani e lavoro. La scelta intelligente del sindaco di Elmas . Su La Nuova Sardegna on line.
- PROPOSTA SINDACO DI ELMAS: il mio pensiero scritto nel libro “LA SARDEGNA E’ UN’ALTRA COSA” E’ sull’isola che vorrei. Chi non crede più a questa terra cambi lavoro. Claudia Sarritzu su Tottus in Pari
- Ape o ariete? Comunque e sempre forza Renato!. Amsicora su Democraziaoggi.
disperazione- In dieci anni un calo dei diplomati di quasi il 30 per cento. E sempre più ragazzi preferiscono gli atenei della penisola.Crollo dei diplomi e fuga dalle università dell’isola. MARIANO PORCU su La Nuova Sardegna on line.
pomodori sardi- I pomodori sardi fanno gola agli Usa. Una ricerca isolana dimostra che sono più resistenti all’attacco di un insetto: possibile una collaborazione con gli Stati Uniti. Caterina Cossu su La Nuova Sardegna on line.

in giro con la lampada di aladin…

pulina_158lampada aladin micromicro- Più formazione in agricoltura per creare lavoro e combattere lo spopolamento della Sardegna . Giuseppe Pulina su SardegnaSoprattutto.
- Contro lo spopolamento e la catastrofe antropologica la soluzione è il ritorno alla terra. Silvano Tagliagambe su vitobiolchini.it

L’innovazione si fa strada: due settimane ricche ed intense. Ussana, Nuoro, Open Campus, Sinnova…

molte-faccemareL’innovazione di fronte al mare azzurro
di Alessandro Ligas, Ttecnologico
Il 19 Giugno ad Ussana si è svolto l’evento In-country, organizzato da un team di professionisti impegnati nel progetto I’M Innovation Manager Sardegna, in cui ha preso vita l’innovazione fuori porta una giornata intera dedicata a dare risalto ai processi di innovazione produttiva, tecnologica e sociale.
Il 20 Giugno a Nuoro si è tenuto il seminario “Le nuove imprese ad alta tecnologia e ad alta conoscenza: Digital and Startup” organizzato da organizzato da Formez PA, nell’ambito del progetto I’M Sardegna durante il quale si è parlato di Innovazione in relazione all’imprenditoria digitale e tecnologica. Startups come la capacità di sviluppare nuove iniziative di business che sfruttano le opportunità offerte dalle nuove tecnologie.
Il 21 Giugno l’associazione WMT2014 ha organizzato il “Web Marketing Training” un’intera giornata dedicata alle tematiche del web marketing ospitata presso gli spazi dell’Open Campus. SEO, SEM, Web marketing, ottimizzazione … queste sono state alcune delle parole chiave che hanno riecheggiato durante tutta la giornata.
Il 25 e 26 Giugno presso l’Auditorium di Tiscali si è svolto il “Google I/O Extended Cagliari“ la conferenza annuale di Google, che si svolge presso il Moscone Center di San Francisco, volta a introdurre le novità in campo tecnologico che saranno protagoniste nel prossimo futuro.
Lo scorso fine settimana si è svolto Sinnova, la seconda edizione del Salone dell’innovazione in Sardegna e, la prossima settimana, il 10 luglio presso Piazza Palazzo, è in programma “RNext La repubblica degli Innovatori”.
ligas art 3 lug 14Due settimane intense e ricche di novità per la terra Sarda. Una terra che ha tanto da dire e di cui tanto si deve raccontare. – segue –

L’innovazione si afferma e produce solo con gli innovatori

pirina2-375x500I.m logo24 sinapsi d’innovazione, gli Innovation Manager
Intervista a Nicola Pirina, Innovation strategist
#nonlasciarteliscappare (Nicola Pirina)
di Alessandro Ligas, Ttecnologico

Nicola Pirina classe ’74 quartese “per caso” e sardo doc. Giurista, specializzato in governance, sviluppo locale e processi d’innovazione. Innovation strategist, con esperienza in attività di Ricerca e sviluppo, progettazione, coordinamento, attuazione e comunicazione di progetti d’innovazione per lo sviluppo delle economie locali.
Senior con esperienza maturata in attività consulenziali, anche all’estero, a favore di pubbliche amministrazioni e privati.
Direttore Scientifico del progetto Innovation Manager Sardegna (I’M Sardegna), frutto della Convenzione Quadro “Programma Sardegna 3.0” fra la Regione Autonoma della Sardegna, il Centro Regionale di Programmazione, ed il Formez PA. Progetto finalizzato a sviluppare nuove figure professionali in grado di gestire l’innovazione delle imprese e delle Istituzioni del sistema produttivo regionale. Scrive per passione, a volte lo pubblicano. Ogni tanto fa una startup.
Per credere basta seguire #coolinnovation.

- Di seguito l’intervista

DOCUMENTAZIONE Sardegna-Europa. Giunta regionale: “Atto di indirizzo strategico per la programmazione unitaria 2014-2020″

bandiera-SardegnaEuropaREGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA
GIUNTA REGIONALE
DELIBERAZIONE N. 19/9 DEL 27.5.2014
(ipertesto)

gli occhiali di Piero su… a su connottu

STORIA SARDA
Nuoro-Su-Connottu1
SU CONNOTTU. Il 26 aprile 1868 a Nuoro scoppia la rivolta de Su Connottu.
Il consiglio comunale, formato da grossi proprietari decide la vendita dei terreni comunali dove pastori e contadini poveri avevano libero accesso.
Così la descrive Gianfranco Pintore nel libro “Sardegna, Regione o colonia?”:
“Cominciarono una cinquantina di pastori e di contadini poveri a manifestare sotto la sede della prefettura di Nuoro. Gridavano “a su connottu”, vogliamo che si torni al conosciuto, alle terre in comune. In poche ore i manifestanti diventarono alcune centinaia in marcia verso il Comune. Vi fecero irruzione, si impadronirono delle armi della guarnigione e saccheggiarono; i piani di lottizzazione furono dati alle fiamme insieme ai registri dello stato civile. La sommossa cessò solo quando il sottoprefetto, il capo dei carabinieri e il procuratore del re promisero che “a su connottu” si sarebbe tornati…”
A capo di questa rivolta fu la leggendaria Paschedda Zau e ispiratore ne sarebbe stato addirittura il vescovo di Nuoro, Salvatore Angelo Demartis.
Tante rivolte come questa cominciarono a seguito della Legge delle Chiudende (1820), con la quale a Torino si pensò che l’agricoltura e la pastorizia sarda si sarebbe modernizzata, se si ordinava la chiusura (tanca) di terreni liberi e aperti, assegnandone la proprietà a chi riusciva a chiuderli. Ne seguì quello che il poeta Melchiorre Murenu descrisse nella famosa quartina:
Tancas serradas a muru
fattas a s’afferra afferra
si su chelu fit in terra
l’aian serradu puru
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su connnottu RRujuI fatti de Su Connottu divennero opera teatrale, grazie a Romano Ruju.
Il 4 luglio 1975, in piazza Satta a Nuoro, con un prologo e un epilogo di Francesco Masala, va in scena Su Connottu di Ruju, regia di Gianfranco Mazzoni, scene di Corrado Gai, con attori già prestigiosi quali Lia Careddu, Tino Petilli, Cesare Saliu, Franco Noè, Cristina Maccioni (e altri che non ricordo, scusate).
Scrive Mario Faticoni nel suo libro “Teatro contemporaneo in Sardegna”:
“Il successo ha collocato questo spettacolo nel mito. In cinque anni, 140 località sarde toccate, 260 rappresentazioni, in totale, fino a qualche anno fa, 350 recite circa (…) Sarà inoltre rappresentato a Bologna, Milano e Torino per i circoli degli emigrati”.
Sulle conseguenze politiche dei fatti de Su Connottu scriverò poi un’altra nota.GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413
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Asproni GiorgioCONSEGUENZE POLITICHE DE “SU CONNOTTU”
La rivolta di aprile a Nuoro mosse il deputato Giorgio Asproni, che pure non era pregiudizialmente contrario alla privatizzazione delle terre, a chiedere, nel giugno 1868, una commissione parlamentare di indagine.
Commissioni del genere (Valerio 1852, Saffi 1862) non avevano dato risultati, tuttavia i nuovi fermenti tra contadini e pastori chiedevano risposte. - segue -

Per una Sardegna nuova. Cando si tenet su bentu est prezisu bentulare

4 mori fondazione sardinia
di Salvatore Cubeddu, Fondazione Sardinia
La situazione drammatica dell’economia, della condizione sociale e della fragilità culturale invoca, oggi in Sardegna, politiche nuove, esige intelligenza progettuale e capacità creativa.
E’ il momento storico a dirci che non c’è posto per una politica di sopravvivenza, per l’ordinaria amministrazione e neppure per un progressismo moderato. Si tocca con mano lo stato di depressione e ancora peggio la chiusura di ogni orizzonte, che ci fa dire: “non ce la facciamo, non ne usciamo, non c’è nulla da fare”. Troppe cose in Sardegna sono accadute senza ideazione e senza progetto, così si è offuscata persino la speranza di progettare, è stata cancellata la prospettiva del futuro, è stato tolto il diritto di sognare. Nell’idea di Sardegna manca l’amore della speranza perché non c’è tensione desiderante, capace di creatività.
Eppure proprio la situazione di stallo può diventare un fattore propulsivo e rivoluzionario, stimolo per un nuovo modo di dire e di fare e per un nuovo modo di rappresentare la Sardegna a noi stessi e agli altri. Paradossalmente la situazione drammatica attuale diventa il dispositivo per il rilancio di una nuova costruzione. Per noi la Sardegna non è oggetto della mancanza e del fallimento se davanti a noi poniamo l’impresa, il progetto e il programma. Ciò che è crisi diventa dispositivo d’opera e d’invenzione. Siamo convinti che dinanzi a noi c’è l’avvenire che non viene da sé e che si compie nel fare. A patto che la politica diventi invenzione, come l’economia, come la cultura. Niente scene del negativo, abbiamo cose da raccontare e da produrre: tutto da vivere, tutto da fare. L’identità sarda si costruisce nell’itinerario della produzione materiale e della produzione di senso.
Da queste riflessioni è sorta nella Fondazione Sardinia una serie di incontri e di dibattiti che sono provvisoriamente confluiti in questa proposta di Sardegna nuova.
Si tratta, nell’aspetto economico, di un programma di concrete opere pubbliche, non di un vero e proprio nuovo modello di sviluppo. Le linee di questo restano, piuttosto, sullo sfondo, sottintese e richieste. Ma l’innovazione riguarda tutti gli aspetti della realtà sarda.
Al di là di ogni schieramento e di ogni appartenenza politica, vogliamo fare partecipi di questa nostra riflessione quanti, tra i Sardi ed i loro estimatori, intendono impegnarsi per un contributo di arricchimento e di elaborazione, nella prospettiva di una diffusione più ampia e con il proposito di farne partecipi il popolo sardo.

“Quando tira vento, c’è

chi alza muri per difendersi

e chi costruisce mulini a vento”

(M. de Cervantes).

fondazione sardinia logo
SARDIGNA NO(V)A
Un NEW DEAL per la SARDEGNA del terzo millennio: appunti per un nuovo inizio.

SOMMARIO: 1. le nuove drammaticità sarde. 2. Le urgenze dell’ora. 3. Un progetto inevitabile. 3.1. il risanamento dei territori; 3.2. Le pianure irrigate per la sovranità alimentare; 3.3. l’energia, della Sardegna, per i Sardi, dei Sardi. 3.4. L’emergenza linguistica. 4. Investimenti per il lavoro e per costruire una Sardegna nuova. 5. La riforma delle istituzioni: la nuova Olbia, Sassari- Cagliari- Nuoro- Oristano con vecchie e nuove funzioni, Città di Sardegna, una burocrazia redistribuita e rinnovata, un altro destino per i paesi. 6. Provvisorie osservazioni conclusive.

1. Le nuove drammaticità sarde. Per due settimane nelle case e nelle campagne dei 60 comuni si è lavorato ad uscire dal fango. Il lavoro sarà lungo.
Il diluvio scende dalle alture alle coste e travolge gli arenili scarsi dell’immensa ciambella in costruzione. Siamo all’ultimo aggiornamento, ma il fenomeno si ripete ad intervalli sempre più brevi. La natura segue il suo corso, indipendentemente dall’insipienza dei nostri ostacoli.

Tra sette – otto mesi, nel nostro interno in abbandono potrebbe riproporsi il pericolo di sempre, il fuoco distruttore. Nel centro Sardegna, sempre più abbandonato, l’inselvaticamento della natura finirà per annientare gli antidoti di un’agricoltura millenaria ormai in estinzione.

Intanto è costante l’aria inquinata portata dai venti: da Sarrock e P. Torres verso Cagliari e Sassari, da P. Vesme nella direzione di S. Antioco, Carbonia ed Iglesias, da Macomer e Ottana nei quattro quadranti della Sardegna centrale. Laddove i fumaioli si sono spenti, il loro fumo ha lasciato sul suolo tracce forse imperiture.

Siamo alla fine del nostro mondo, gli uomini hanno avviato l’apocalisse. Possiamo cercare un’altra ‘rivelazione’? Siamo disponibili a pensare alla risoluzione dei problemi facendo fronte con finanziamenti, con progetti, con l’organizzazione e i tempi necessari? La responsabilità è nelle nostre mani. Per quello che è stato (se non altro per non averlo impedito) e per quello che sarà. Quello che è non può essere più accettato.

Dobbiamo cambiare, noi innanzitutto. I sardi sono la vera risorsa per se stessi. Se essi rinunciano, nessuno può portare loro la salvezza. Neanche se continuasse – e non può a lungo proseguire (né sarebbe corretto pretenderla!) – la straordinaria solidarietà che ci arriva dal Continente, dagli Italiani per una volta finalmente solidali con i Sardi. Anche al nostro interno, la solidarietà di queste settimane segnerà a lungo positivamente i giorni che ci aspettano. Perciò osiamo sognare. Per offrire un seguito a ciò che vediamo, per promuovere a progetto ciò che è positiva reazione all’emergenza, per darci la realizzabile immagine di una Sardegna nuova.

E la natura domanda la fine di certi comportamenti e la promozione di nuovi. Le istituzioni cercano da decenni un’ altra legittimazione. La società vede giovani ed operai in giro per le strade ad elemosinare il tozzo di pane dell’assistenza in attesa che qualcuno costruisca il lavoro. Ma, quale lavoro si creerebbe se pure ci fossero i finanziamenti? Come spenderemmo i miliardi se, per una qualche benefica resipiscenza dello Stato italiano, ci venisse restituito il mal tolto degli ultimi decenni? Come spenderemmo i soldi pubblici nel creare lavoro: per fare che cosa? Chi agirebbe? Secondo quale nuova idea di Sardegna?

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2. Le urgenze dell’ora. Otto province da abolire e nuove aggregazioni dei comuni da organizzare in vista dell’inevitabile necessità dell’ente intermedio: davvero, da Cagliari, è possibile guidare il territorio della Sardegna senza aspettarsi una ribellione a un centralismo già oggi denunciato come invadente? Cagliari, da sola, versus 376 comuni: esperimento già fallito con il feudalesimo. Non per i feudatari, ma sì per i Sardi. E’ invece indispensabile restituire un forte senso ai capoluoghi delle province storiche: Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano.

Città e paesi da ricostruire, ad iniziare da Olbia, secondo comune per numero di abitanti e primo in quanto capoluogo del turismo. E’possibile profittare del presente disastro per rimodellare l’urbanistica della città correggendone storture e valorizzandone le risorse? Olbia da rimodellare quale città del futuro. Lanciare una nuova idea di città gallurese – una città di mare in simbiosi con i bellissimi monti del Limbara, non in contrasto – fruendo delle presenze, delle amicizie, degli interessi internazionali, intelligentemente e accortamente orientati da una società locale che ora va facendo un’esperienza così amara degli errori commessi?

Trecento piccoli comuni sono in decadenza per il crollo demografico e per la fuga degli abitanti (sempre nella direzione di Cagliari ed Olbia): anche a loro bisogna restituire un senso. Un hinterland cagliaritano da bloccare nell’insana crescita demografica ristabilendo la funzione della città, il suo significato ed i limiti nei confronti dell’insieme del territorio isolano.

Cagliari come città dell’economia moderna, delle telecomunicazioni e della ricerca, del commercio e degli scambi, Cagliari città vedetta della Sardegna nei confronti delle numerose ‘capitali’ del Mediterraneo? Cagliari ha le potenzialità di diventare per la Sardegna quella che Milano è per l’Italia, New York per gli USA (pur essendo Washington la capitale), Rio de Janeiro per il Brasile (con Brasilia costruita ex novo). Non più rinserrata in un castello dove racchiudersi e difendersi, ma città guida nella prosperità, nella cultura e nell’arte.

Una cultura da riorganizzare, nei suoi aspetti istituzionali/scolastici e nella sua dimensione politica/identitaria. Cresce la pressione dei ministeri romani per l’unificazione delle due università di Cagliari e di Sassari, proprio mentre Nuoro ed Oristano insistono per mantenere i loro recenti insediamenti. Il processo, non facile né breve, domanderà un vero campus per un’Università della Sardegna. Dove, come, chi si assumerà la responsabilità di accelerare intelligentemente il processo?

Un progetto di opere pubbliche che alleggerisca la fame di lavoro domanda finanziamenti destinati a rispondere a questo non semplice carico di problemi che si impongono alla comunità sarda.

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3. Un progetto inevitabile. Si sente e si legge dappertutto: la prima cosa che manca in Sardegna è il lavoro. Eppure, anche se avessimo i finanziamenti – ad esempio, i soldi che lo Stato dovrebbe darci indietro, perché nostri (quanti? Mettiamo un miliardo di euro?) – non sapremmo quali opere pubbliche sarebbero in grado di occupare, mettiamo, diecimila lavoratori nel breve periodo per un’operazione da new deal.

Eppure la Sardegna è tutta da rifare, non solo avendo davanti la presente catastrofe, ma pure a partire dal risanamento dell’ambiente nelle zone industriali, alla rifondazione di un’agricoltura che si affianchi alla pastorizia, alla decisione sul riequilibrio demografico nel territorio, al ruolo delle due città (Cagliari ed Olbia) che divorano la popolazione dei paesi, al destino delle province, alla qualificazione complessiva dell’istruzione e della cultura.

Osservando con serietà la condizione dei Sardi, dobbiamo recuperare la lungimiranza e il coraggio di assumere decisioni che ci proiettino nell’arco dei prossimi 20/50 anni per la definizione delle decisioni economiche, istituzionali, culturali.

3.1. Le migliaia di lavoratori in cassa integrazione devono essere utilizzati per il risanamento dei territori di Macchiareddu, Porto Torres, Porto Vesme, Ottana, Arbatax. Dato che l’esigenza dell’assistenza è destinata a permanere (ma non altrettanto facile sarà garantire le necessarie risorse sine termine) , essa deve essere finalizzata a chiedere un contraccambio, a tempo totale o parziale (adeguandovi il salario), al personale uscito senza possibilità di rientro dal processo produttivo. Chi non venisse impiegato nel risanamento ambientale dovrebbe venire organizzato per altri lavori socialmente utili.

3.2. Le pianure irrigate dovrebbero venire solamente destinate alle coltivazioni che garantiscano la sovranità alimentare del popolo sardo. In nessun modo debbono essere messe a disposizione di Matrica o di altre società intenzionate a profittare delle presenti difficoltà dell’agricoltura per utilizzare le nostre terre e per produrre materia prima in vista del processo produttivo della cosiddetta chimica verde. Andrebbe anche verificata fino in fondo l’eventuale disponibilità di terreni marginali. Si ha la chiara impressione che in molti stiano barando per farci trovare tutti in condizioni di non ritorno, a livello governativo e locale, nel mondo imprenditoriale, associativo e sindacale. Tarda, purtroppo, a partire un movimento di opinione che chieda conto in anticipo di scelte che ci stanno sovrastando. La situazione appare straordinariamente simile alla segretezza delle decisioni che ci hanno portato fuori dall’obiettivo 1 dell’Unione Europea e, prima ancora, al grande inganno che riversò in Sardegna la grande industria di base petrolchimica e metallurgica.

3.3. La Regione sarda ha riavuto nella sua dotazione e in suo potere l’energia elettrica delle dighe. Si tratta di un dato importante, che però viene tenuto riservato e che non viene fatto rientrare nel presente dibattito sull’energia ‘verde’. Essa, invece, si aggiungerebbe alle energie rinnovabili per rendere l’Isola totalmente autonoma dalle energie fossili inquinanti e dispendiose. La Regione deve riprendere in considerazione l’esperienza della società sarda dell’elettricità (Ersae), per confermarne l’attualità e rimodernarne l’organizzazione.

3.4. L’emergenza linguistica rappresenta la realtà e la metafora della presente condizione del popolo sardo. Esiste un parallelo indiscutibile e impressionante tra la perdita della lingua e la perdita della nostra economia, tra l’espropriazione culturale e l’espropriazione delle nostre risorse, tra il lasser faire nella cura della nostra anima più profonda e la leggerezza con cui lasciamo che invadano di cardi e di eucaliptus le nostre pianure dopo che per cinquant’anni hanno avvelenato con la petrolchimica alcuni dei nostri migliori litorali. Parallelismi della nostra irresponsabilità voluta ed accettata.

4. Investimenti per il lavoro e per costruire una Sardegna nuova. Bisogna avere il coraggio politico e la capacità finanziaria e organizzativa di proporre un grande progetto di opere pubbliche, che abbia quale punto fermo quello di evitare la funzione/ciambella dello sviluppo urbanistico intorno alle coste e di promuovere la continuità della distribuzione della popolazione nei paesi della Sardegna. Inevitabile agire su Olbia e Cagliari, attuali punti di attrazione a motivo dell’espletamento della funzione turistica (Olbia) e della concentrazione burocratica (Cagliari).

Ad Olbia bisogna risanare, riqualificare, cancellare. Alla città bisognerebbe offrire l’opportunità di rinascere come città d’eccellenza. E’ inutile mettere pezze a situazioni irrecuperabili. Bisogna ripensare la città, secondo la legge e la qualità del vivere. Olbia ha molti amici potenti e qualificati, che sarebbero interessati a collaborare ad operazioni ambiziose e di prospettiva.

A Cagliari ancora si va avanti ad occhi chiusi, in assoluto isolamento rispetto agli interessi della Sardegna, ubriachi di un’espansione demografica che ora troverebbe spazio solo nella cinta dei comuni dell’hinterland. Su Stangioni era uno stagno, procedere nel percorso verso la sua urbanizzazione è una follia, ambientale, urbanistica e demografica. Basta, con l’accettare la crescita del polo urbano a svantaggio degli altri comuni della Sardegna. Si pensi: quante famiglie ospiterebbe l’urbanizzazione di una SS 554 trasformata in semplice strada comunale? Resterebbero dei sardi al di fuori del promontorio e della costa intorno al Golfo degli Angeli? A Cagliari e nel suo hinterland bisogna migliorare quello che c’è, non estenderlo.

A Sassari, Oristano e Nuoro, una volta retrocesse dal loro ruolo di ente provinciale, cosa resterebbe per impedire al loro interno una crescita esponenziale di risentimento nei confronti della città ora capitale, già a ragione accusata di centralismo, sempre ma soprattutto nel quinquennio della presente amministrazione regionale di centrodestra?

5. La riforma delle istituzioni resta oggi elemento determinante anche negli aspetti economici, politici e culturali. E’ da considerare troppo tranchant l’abolizione totale delle province. Non regge una Sardegna dove il potere è concentrato tutto su Cagliari, diventando le unioni dei comuni nient’altro che decentramenti funzionali e burocratici, senza vera identità istituzionale (che è fatta di valori storici, economici, etc. ). Per questo è necessario ripensare la redistribuzione dei ruoli istituzionali tra i capoluoghi storici della Sardegna in modo che vi sia funzionalità delle città rispetto ai comuni circostanti, potenziale parità di opportunità tra gli ex capoluoghi di provincia, rispetto delle vocazioni storiche e culturali di tutte le città sarde.

La proposta: a) Sassari e Cagliari restano capoluoghi di provincia, e si dividerebbero il territorio sardo.

b) I presìdi attualmenti aperti dalle due università sarde a Nuoro dovranno progressivamente allargarsi fino a costituire l’Università della Sardegna. Gradualmente si arriverebbe alla loro unificazione e, nel tempo (richiesto dal procedere dei grandi lavori di costruzione del campus, a partire dalla città ed allargandosi nei boschi e nei giardini, nell’Ortobene ed oltre), verrebbero spostate e unificate le facoltà in modo da riqualificare il capoluogo barbaricino nel segno dell’istruzione e della cultura (sarebbe la Cambridge sarda!). Non è difficile immaginare la grande massa di risorse e di occupazione necessarie nel corso delle differenti fasi del processo e nella successiva situazione operativa della grande Università della Sardegna. (L’idea, in fondo, non è originale: la Corsica, appena avute le istituzioni autonomistiche, ha fondato la propria università a Corte, l’antico capoluogo in mezzo alle montagne).

c) Non lontano da Oristano – e fruendo del suo porto, potenziando il suo aeroporto (offrendo, finalmente, a loro un senso), presso le le colline e nei boschi alle pendici del monte Arci (il monte sacro dell’età neolitica!) – dovrebbe costruirsi ex novo un Capitol delle nuove istituzioni della Sardigna No(v)a, esso pure pensato come un campus istituzionale – con le moderne condizioni dell’ospitalità – e non una nuova città della burocrazia. Nella nuova Città di Sardegna risiederebbe la sola dirigenza al servizio delle grandi istituzioni della Sardegna: consiglio, governo, apici degli assessorati; i segni della cultura (il rettorato) e dei valori universali (una chiesa cattedrale? Una sede monumentali a carattere interreligioso?).

Gli impiegati della nuova regione sarda sarebbero gradualmente individuati tra i giovani, e meno giovani, abitanti nei comuni di tutta la Sardegna, collegati tra loro e con i loro dirigenti del ‘Capitol’ tramite il telelavoro. Ovviamente, pensato nella prospettiva dei decenni, il processo di progressiva redistribuzione nel territorio del personale, attualmente concentrato in poche città, andrebbe curato sia nelle capacità professionali e sia attraverso un’apposita contrattazione di funzioni e riconoscimenti normativi ed economici. Questa soluzione, nel mentre alleggerisce la pressione demografica delle città, offrirebbe una chance di permanenza e di nuova prospettiva ai tanti comuni in via di chiusura, consentendo elementi di nuova qualità della vita ai lavoratori dell’impiego pubblico.

Anche il sistema stradale riceverebbe nuovi effetti benefici nell’indirizzare le sue direttrici verso il centro geomorfologico dell’Isola. Nessun amministratore comunale sarebbe più distante di centocinquanta chilometri dalla nuova capitale istituzionale della Sardegna.

6. Provvisorie osservazioni conclusive. Alla facile osservazione di utopia rispondo con la richiesta di altrettante soluzioni alternative alla elencazione dei problemi inizialmente esposti. Alla preoccupazione sulla scarsità dei finanziamenti c’è l’esperienza del new deal degli anni trenta, non solo in America: la scelta dei lavori pubblici viene fatta appunto nei tempi di crisi. Sulla questione della classe dirigente dico: noi tutti siamo classe dirigente, diamoci da fare, lasciateci immaginare e realizzare, noi saremmo in grado di avviare, dirigere, portare a compimento il processo, andando anche oltre la presente generazione.

Anche chi vuole l’indipendenza della Sardegna non vuole solo agitare una bandiera: vuole soprattutto far stare meglio i propri cittadini e rendere migliore la propria terra.

(Questo documento è stato redatto da Salvatore Cubeddu ed ha avuto una prima fase di discussione tra i soci della Fondazione Sardinia il 7 e il 9 dicembre 2013).

Cagliari 11.12.13