Risultato della ricerca: Vanni Tola

Oggi martedì 10 gennaio 2017

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Il concetto che ci guida: Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà (Antonio Gramsci).
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M5s, al Parlamento Ue no dei liberal-democratici all’ingresso dei Cinquestelle. Grillo: “L’establishment è contro di noi”
su Il fatto quotidiano. Per correlazione: riflessione di Vanni Tola su Aladinews.
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il_Manifesto_quotidiano_comunista
Tre referendum sul fondamento costituzionale della Repubblica
Luigi Ferrajoli su il manifesto

Verso le elezioni. La prima mossa è una giravolta di Grillo nel circo della politica

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di Vanni Tola

Grandi riposizionamenti di truppe: comincia il M5S con una giravolta nel Parlamento Europeo.

o-circo-seuratRiprende l’attività politica dopo la pausa natalizia. Pausa soltanto apparente. In effetti durante i brindisi natalizi si è registrata una frenetica attività sotterranea dei partiti e movimenti per riposizionare le truppe in vista della madre di tutte le battaglie, la tornata elettorale del nuovo anno. Renzi che scalpita per arrivare alle elezioni nel più breve tempo possibile per non perdere il suo residuo capitale di consensi ed evitare che il governo fotocopia e pro tempore diventi un governo di legislatura rinviando il suo ritorno a quella politica che aveva più volte dichiarato di abbandonare in caso di sconfitta al referendum costituzionale. Berlusconi sembra andare in direzione contraria, ha bisogno di più tempo per tentare di riorganizzare la propria armata, di ricostruire una unità del centro destra cercando di dipanare la matassa della leadership e le alleanze. Il PD rigidamente controllato da Renzi segretario con la cosiddetta opposizione interna che sembra esistere soltanto sulla carta e non è in grado di rilanciare una ipotesi di ricostruzione del centro sinistra con la quale superare il renzismo. In questo confuso e articolato campo di battaglia la prima mossa la ha realizzata Grillo. Ieri si è svegliato di buon mattino e, senza alcuna consultazione preventiva della maggior parte dei suoi, ha deciso di proporre alla rete una formidabile giravolta. Beppe Grillo chiede al movimento di scegliere le alleanze politiche in Europa per stabile quale futuro avrà la sua formazione a Strasburgo. La proposta di Grillo e di Casaleggio sarebbe quella di abbandonare l’alleanza con l’Ukip di Farage e favorire la costituzione di un nuovo gruppo con Alde (Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa), di cui è capogruppo Guy Verhofstadt, al quale, poco più di un anno, lo stesso Grillo aveva indirizzato durissimi attacchi e critiche. In pratica, dall’oggi al domani, i componenti il Movimento si sono visti recapitare la proposta di abbandonare l’accordo con la destra estrema fascista e antieuropeista di Farange per stipularne uno nuovo con l’Alleanza dei liberali e democratici d’Europa. La proposta e l’indizione della consultazione in rete dei giorni otto e nove gennaio ha colto tutti di sorpresa, compresi i parlamentari del M5S alcuni dei quali pare abbiano manifesto malumori per le modalità della scelta politica indicata e le procedure seguite nel comunicarla. La Rete, a fine giornata ci farà sapere quale sarà il destino di questa proposta. Naturalmente gongola la Lega. Se la proposta di Grillo venisse accolta, e niente autorizza a pensare che ciò non accada, la bandiera dell’oltranzismo antieuropeista, della opposizione dura e cruda all’Unione, all’euro, alle politiche sull’immigrazione passa nelle mani della formazione di Salvini che consolida cosi il proprio ruolo di forza di opposizione alla politica dell’Unione. Una occhiata alla rassegna stampa dei quotidiani permette di ricostruire interessanti retroscena relativi alla improvvisa correzione di rotta di Beppe Grillo sulla politica europea. Particolarmente interessante la ricostruzione delle probabili motivazione della proposta di Grillo realizzata da Emanuele Buzzi sul Corriere della Sera.
Una prima considerazione riguarda i soldi e le cariche nel parlamento europeo. Con il gruppo di Farange che sta per sciogliersi è necessaria per il Movimento una collocazione più “solida”. Chi non ha un gruppo nel Parlamento europeo perde automaticamente 700 mila euro. Questo è uno degli elementi della riflessione grillina. Un esponente grillino, in braccio destro di Casaleggio David Borrelli ha condotto nel mese di dicembre una trattativa con i liberali europei per la possibile costituzione del gruppo parlamentare comune dopo che si era rivelata impraticabile la possibilità di una confluenza del M5S nel gruppo dei Verdi.
Una mossa tenuta all’oscuro di gran parte della delegazione e concordata in gran segreto con i vertici del Movimento di Milano e Genova. L’urgenza dell’operazione lanciata da Grillo sarebbe legata alla necessità di “contare” nella scelta del nuovo presidente del Parlamento europeo e alla prospettiva concreta di ricavarne un vantaggio politico, per esempio un incarico di vicepresidenza per un pentastellato. La ricostruzione dei retroscena pubblicata dal Corriere della Sera va anche oltre. Non avere un gruppo nel parlamento europeo comporta l’iscrizione al gruppo dei non iscritti. In termini economici ciò comporta perdere buona parte dei fondi europei destinati ai gruppi. “Si tratta di una cifra di circa 40mila euro all’anno per ogni parlamentare, un tesoretto di circa 680mila euro usati dai penta stellati anche per finanziare attività sul territorio”. Un passo che potrebbe mettere in difficoltà i Cinque Stelle impegnati per costruirsi un ruolo di forza di governo nazionale. Conosceremo in giornata il responso della Rete nel merito della proposta di Grillo.

Contributi al dibattito su “Crisi del Welfare ed economia civile”. Il pensiero di Pino Ferraris

ferraris pino LIBROape-innovativa Proseguiamo nel riproporre le riflessioni di Pino Ferraris (anche con la mediazione di altri che ne hanno studiato il pensiero), utilizzando la documentazione pubblicata dalla news online “Controlacrisi” per ricordarne la figura all’indomani della sua morte avvenuta il 2 febbraio 2012. I contributi teorici di Pino Ferraris mantengono una straordinaria validità per affrontare oggi la crisi che attraversiamo drammaticamente e che è crisi insanabile del capitalismo, indirizzandoci nella ricerca di soluzioni diverse anche da quelle in buona parte fallimentari dei modelli storicamente attuati del socialismo reale. Pino Ferraris negli anni 70 frequentava spesso la Sardegna, spendendosi generosamente nei movimenti della sinistra alternativa, apportando la sua capacità di teorico e ricercatore appassionato e rigoroso, maestro per molti di noi giovani (allora) militanti della nuova sinistra sarda.
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PINO FERRARIS SULLE PRATICHE DI NEO MUTUALISMO E AUTORGANIZZAZIONE

Pino Ferraris fto microConclusione di Pino Ferraris al Convegno sulla Mutualità promosso dalla Società di Mutuo Soccorso d’Ambo i Sessi “Edmondo De Amicis” di Torino –

L’ultimo intervento del rappresentante della Società Operaia di Orbassano ha portato un importante contributo di chiarezza nel dibattito in corso. Evitiamo – egli ha affermato – di identificare le Società di Mutuo Soccorso con le “mutue”.
In questo caso, di fronte alla realizzazione della riforma sanitaria come diritto dei cittadini alla salute, il loro compito sarebbe residuale, modestamente integrativo o pericolosamente sostitutivo di diritti fondamentali.
Nel corso della prima sessione del convegno intitolata “Che cosa ci insegna la storia della mutualità”, Marco Revelli ha parlato di questa esperienza come di una grande scuola di auto-organizzazione e come anello di congiunzione tra la cultura dei mestieri e i problemi degli ambiti di vita e infine come uno storico movimento di costruzione di nuove relazioni sociali basate sul principio di solidarietà. Occorre non perdere mai il senso di questa profonda ed ampia ispirazione delle società di mutuo soccorso.
Nella seconda sessione del convegno dedicata a “Crisi del Welfare ed economia civile” è stata sollevata una domanda molto pertinente: perché oggi c’è una ripresa del mutualismo? Quarant’anni fa si parlava di altre cose. Questo ritorno rappresenta soltanto un tentativo di risposta alla crisi del welfare oppure ha una valenza politica?
Revelli ha affermato che il movimento operaio del 900 ha vissuto di rendita sulla grande ondata istituente di nuove forme associative suscitate nella seconda metà dell’800: il mutuo soccorso, le leghe di resistenza, la cooperazione, le case del popolo, il partito di massa.
Il 900 non ha solo ereditato la rendita di queste risorse associative, ma a partire dalla tragica esperienza della Prima guerra mondiale esso ha anche operato una torsione burocratica, politicista e statalista del patrimonio del movimento operaio ottocentesco.
Qui sta la ragione principale del mancato riconoscimento storiografico del mutualismo: con esso si è rimossa la sua ispirazione autogestionaria, il suo radicalismo democratico, la sua affermazione delle autonomie del sociale.
Il ritorno del mutualismo significa anche e soprattutto ricerca di nuove vie della politica dopo la crisi di socialismi autoritari, di sistemi politici oligarchici e autoreferenziali, dopo le deviazioni del welfare verso forme di paternalismo statale selettivo e clientelare.
Dentro lo sviluppo del volontariato, di movimenti di cittadinanza attiva, di buone pratiche di cittadinanza negli anni 80 e nei primi anni 90, si aprivano possibilità di sussidiarietà circolare (Cotturri) tra istituzioni e associazioni in grado di far emergere una sfera pubblica sociale (che non è il cosiddetto privato-sociale). La stagione dei “nuovi sindaci” prometteva l’articolazione di un welfare locale. Tutto ciò sembrava rompere la rigidità, la selettività, la freddezza burocratica dell’offerta di welfare e aprire varchi all’intervento attivo, competente e propositivo della domanda sociale, rendendo visibili ed esigibili diritti negati o elusi dei cittadini.
E’ possibile rompere il nesso assistenza-dipendenza? E’ possibile che i “destinatari” dell’offerta di welfare diventino anche attori proponenti di una domanda sociale nuova e appropriata? E’ possibile che l’”oggetto” delle pratiche di tutela politica e amministrativa possa entrare sulla scena pubblica come “soggetto”?
E’ in questa ottica che per anni con altri amici e compagni abbiamo lavorato non per tamponare una “crisi” del welfare ma per realizzare un nesso tra “riforma” ed “estensione” del welfare e i valori di autonomia sociale, le pratiche di partecipazione e di solidarietà di un neo-mutualismo.
Oggi sono più prudente nel privilegiare questo rapporto neo-mutualismo e welfare. Non solo perché questo riferimento al welfare mi pare riduttivo, ma anche perché su questo terreno le strade si sono fatte oggi più strette e i percorsi quasi impraticabili.
Come si colloca il neo-mutualismo dentro quell’insieme di pratiche sociali che vengono sommariamente riassunte nella definizione del “terzo settore”?

Recentemente a Roma si è tenuto un convegno dal titolo significativo: Terzo settore, fine di un ciclo. La relazione era di don Vinicio Albanesi, fondatore della Comunità di Capo d’Arco, altre relazioni erano di Giovanni Nervo, di Giuseppe De Rita, di Carniti. Concludeva Giulio Marcon.
De Rita in poche parole ha fissato la situazione: “Oggi il volontariato è in qualche modo uno spazio per anziani generosi, mentre la dimensione più giovanile e anche quella più settorializzata va verso un’altra direzione che approda alla cooperazione di servizi, alle imprese sociali, che sono una cosa molto diversa dal volontariato.”
Una riforma del Welfare richiede non solo la capacità di dare rilevanza sociale e politica al lato attivo, competente e propositivo della domanda sociale, come avvenne con il volontariato degli anni 80 e primi anni 90, ma esige in primo luogo un forte impegno politico generale nel rendere giusta la solidarietà fiscale, nel rendere equa la solidarietà assicurativa. Solo così la solidarietà quotidiana può evitare il pericolo di decadere in una supplenza di diritti negati.
Oggi vediamo invece che i cardini del welfare, scuola, sanità e previdenza, sono presi a picconate. Hanno spazio crescente le ibride macchine organizzative, che sono un misto di degradato parastato e di cattiva imprenditorialità, cui viene affidata l’esternalizzazione dei servizi sociali.
Cooperative e imprese sociali, fondazioni bancarie, iniziative caritatevoli e filantropiche accompagnano il progressivo smantellamento del sistema pubblico di garanzie e di protezione sociali.
Il cosiddetto terzo settore non ha più niente a che fare con il volontariato e con la cittadinanza attiva. L’attuale “Forum del terzo settore” rappresenta la congiunzione traversale tra la Compagnia delle Opere, la Lega delle Cooperative e le Fondazioni bancarie. Questa è la realtà. Il resto è letteratura.
Quando Vendola nella sanità pugliese internalizza migliaia di soci di pseudo-cooperative degli appalti, non attacca un sistema di solidarietà ma fa semplicemente un’opera minima, indispensabile di moralizzazione e di garanzia di efficacia della sfera pubblica.
Con ciò non dico di abbandonare la prospettiva di un welfare locale attivo, di una sussidiarietà circolare che promuova la domanda associata. Ma occorre prendere atto dello stato delle cose, degli errori fatti, ripensare il futuro e avere ben chiaro che le minoranze attive del volontariato sono nate e vivono per rendere esigibili, effettivi i diritti sociali e non per coprire ideologicamente la regressione dall’universo dei diritti alla supplenza della benevola elargizione o alla deriva del “mercato sociale”.
Detto questo vorrei riprendere un discorso più generale e di carattere storico per dire la mia opinione sul vostro dibattito circa reciprocità, fraternità, altruismo e dono.
Sul piano storico vorrei marcare con forza la valenza del mutualismo nel determinare quella rottura nella storia sociale europea determinata dalla contemporaneità genetica dell’insorgere dell’idea di solidarietà e la nascita del moderno movimento operaio e socialista. Una data simbolica: il 1848 parigino, quando i giornali operai modificano la triade libertà, uguaglianza e fraternità sostituendo quest’ultima con la parola solidarietà.
Nell’Enciclopedia di Diderot il termine “solidarietà” è illustrato in sette righe che riprendono il concetto di “obbligatio in solidum” del diritto romano. Essa è definita come “la qualità di una obbligazione nella quale più debitori si impegnano a pagare una somma che essi prendono in prestito o che debbono”.
Parecchie pagine nell’Enciclopedia sono invece dedicate alla parola “fraternità” con una ricostruzione storica che conduce questo termine a due tradizioni: quella dell’unità di sangue tra i “fratelli d’armi” e quella della fratellanza cristiana che unisce attorno al Padre divino.
Di fronte all’insorgere della questione sociale queste due tradizioni evolvono verso la sollecitazione morale all’oblazione dall’alto verso il basso in nome di una comune appartenenza: fratelli in quanto figli della patria, fratelli in quanto figli di Dio. Diventa la parola della carità cristiana e della filantropia massonica.
L’affermazione della “solidarietà” operaia avviene nel 1848 parigino in polemica con la “fraternità”: essa rivendica il valore pratico e ideale del “far da sé solidale” che si contrappone in quanto agire cooperativo al self help individualistico e si oppone, in quanto capacità del far da sé, all’oblazione filantropica e caritatevole.

La solidarietà tra i lavoratori esprime un loro interesse perchè è fondamentale eliminare la concorrenza e impegnarsi in un’azione cooperativa che sola può permettere di superare l’asimmetria di potere che essi come singoli vivono e subiscono nel lavoro e nella società.
E’ un interesse che però esprime un insieme di valori, un sentimento morale radicato in un vissuto comune e si manifesta in proprie regole di comportamento e forme associative. Il concetto e l’esperienza della solidarietà stanno alla base delle molteplici forme dell’associazionismo operaio delle seconda metà dell’800: dal mutuo soccorso alle leghe di resistenza, dal movimento cooperativo alle Case del Popolo.
Il termine di solidarietà richiama la cooperazione tra uguali nonostante la diversità: è un modo di confederare l’eterogeneo.
La prevalenza nel corso del 900 di una concezione monolitica della classe operaia fa declinare l’uso di questo termine nella seconda e terza internazionale.
Non solo non c’è conflittualità tra “diritti sociali” e mutualismo, ma vi è complementarietà. L’apporto del mutuo soccorso, nella fase aurorale dell’ascesa dei diritti sociali, è indubbio.
All’interno della cerchia dell’associazione il vincolo di reciprocità (uno per tutti, tutti per uno) faceva sì che il singolo lavoratore, di fronte alle sventure dell’esistenza, per la prima volta cessasse di rovinare nella condizione del bisognoso che implorava benevolenza verso l’alto, diventando invece un soggetto portatore del diritto al sostegno solidale da parte dell’associazione.
Revelli ha accennato al rapporto tra associazione di mestiere e mutuo soccorso.
Credo che la relazione tra mutualità e resistenza meriti un cenno ulteriore sia per comprendere l’evoluzione delle forme della solidarietà sia perché, a mio avviso, oggi si ripropongono rapporti nuovi tra sindacalismo e mutualismo.
Il primo associazionismo operaio si sviluppa come forma di autotutela rispetto ai gravissimi disagi e alle minacce che l’industrialismo faceva incombere sulle condizioni di vita dei lavoratori (il “flagello dei quattro diavoli”: disoccupazione, malattia, infortunio, vecchiaia).
Il mutuo soccorso viene prima della resistenza e dentro il mutuo soccorso si alimenta la resistenza, cioè la lotta rivendicativa negli ambiti di lavoro.
Un caso di grande ed esemplare rilevanza è la rivolta dei tessitori di Lione del 1831. All’origine di quel moto dal sicuro contenuto sindacale (i lavoratori rivendicavano un aumento delle tariffe) si collocava la presenza e l’attività della Societé du Dévoir Mutuel.
Durante i grandi scioperi biellesi del 1878, che meritarono la prima inchiesta parlamentare, fu la Società Operaia di Mutuo Soccorso dei tessitori di Crocemosso che venne sciolta come responsabile delle lotte.
Insieme a questa relazione stretta si manifesta anche una differenziazione tra la forma di solidarietà mutualistica e la forma di solidarietà sindacale. La solidarietà mutualistica è una solidarietà per, quella sindacale una solidarietà contro. La solidarietà positiva della mutualità si radicava negli ambiti di vita e tendeva a una sorta di pratica dell’obbiettivo da realizzare nel basso e nel presente, mentre la solidarietà negativa dell’azione sindacale operava nei luoghi di produzione per strappare concessioni dall’alto.
Con la statizzazione della mutualità alla coppia mutualità-resistenza si sostituì la coppia sindacato-partito, due organizzazioni di solidarietà negativa di scontro con il padronato e di lotta per la conquista dello stato. L’associazionismo operaio subisce una torsione per così dire combattentistica, in cui prevalgono momenti di centralizzazione, di disciplina e di gerarchia.
Fabbrica e Stato occupano l’orizzonte del movimento operaio mentre gli ambiti di vita (il non-lavoro) vengono abbandonati all’amministrazione pubblica e alla cura domestica delle donne.
E’ nel crollo di questo paradigma che riemerge il mutualismo con le sue pratiche di solidarietà positive, con la sua volontà di costruire nel presente contro il rinvio messianico al futuro, con il suo sforzo di crescita delle capacità di realizzare in proprio, con il suo rifiuto della passività assistita.

Oggi vedo emergere nuove possibilità di riproposizione di questo antico nesso tra mutuo soccorso e lavoro. Il movimento operaio belga della fine dell’800 aveva elaborato il modello del “sindacato ad insediamento multiplo”: nel luogo di lavoro e nella società, nella rivendicazione e nella mutualità. Ad esempio il sistema Gand di raccolta e di gestione sindacale di un fondo per la disoccupazione fu un mezzo potente di mutualità che teneva legati i disoccupati al sindacato e permetteva loro di trovare una nuova occupazione decente. Il sistema Gand (riformato) funziona in modo efficace oggi in alcuni paesi scandinavi.
Il lavoro edile da sempre è stato un caso esemplare di precarietà e di dispersione dei lavoratori: la temporaneità del cantiere che nasce e muore, i frequenti intervalli di disoccupazione, la disseminazione spaziale della mano d’opera. Tra gli edili italiani la mutualizzazione della precarietà attraverso la Cassa Edile sin dai primi anni del secolo scorso è stata uno strumento di tutela mutualistica e di rafforzamento del potere rivendicativo.
Nella attuale condizione di lavoro disperso, precario, non garantito, la mutualità può rappresentare un punto di coesione che, a partire dagli ambiti di vita, ricompone socialità e crea solidarietà dentro il lavoro.
Il sociologo americano Sennet, parlando delle esperienze associative delle segretarie di Boston e dei lavoratori della comunicazione in Gran Bretagna, dice di un “sindacalismo parallelo” (che richiama il vecchio sindacalismo a insediamento multiplo) che fa leva su forme di neo-mutualismo al fine di recuperare coesione e forza rivendicativa.
La Free Lancers Union di New York è un’associazione insieme mutualistica e sindacale di artigiani tecnologici che, mentre si assicurano reciprocamente assistenza tecnica e giuridica, difendono la qualità e le tariffe del loro lavoro.
Dall’inchiesta recentissima del vicedirettore de l’Unità Gianola sulla condizione operaia dentro la crisi attuale, apprendiamo che in provincia di Brescia Camera del lavoro e Caritas hanno attivato una società di mutuo soccorso raccogliendo tra gli iscritti della CGIL un fondo per il microcredito ai lavoratori disoccupati gestito dalla Caritas.
Questi nuovi rapporti tra lavoro e mutualità, a mio avviso, meritano molta attenzione.
Un’area nella quale i problemi del lavoro e della vita si intrecciano in modo inestricabile è quella dei lavoratori immigrati. Qui troviamo esperienze numerose e significative di neo-mutualismo.
L’esperienza friulana dell’associazione “Vicini di casa” mi sembra esemplare. Questa associazione ha trasformato l’antico patrimonio immobiliare e culturale di una rete di latterie sociali di ispirazione cattolica e socialista in un’offerta di abitazioni per operai immigrati che lavorano nei cantieri di Monfalcone. Gestisce l’affitto di 1500 piccoli appartamenti.
Anche l’esperienza dell’associazione torinese di donne immigrate Alma Mater mi sembra che si collochi in una zona intermedia tra mutualità e lavoro.
Nuovi spazi di autogestione di risorse comuni territoriali vengono aperte dalle culture e dalle pratiche ambientaliste.
L’orizzonte si amplia.
Creare esperienze di cittadinanza attiva nelle molte pieghe della società attraverso il far da sé solidaristico della mutualità significa oggi andare con fatica contro-corrente rispetto ad un sistema e ad una cultura politiche che producono passività e deleghe plebiscitarie.
Oggi è possibile creare un nesso tra la filosofia economica contemporanea della capacitazione di Amarta Sen con quello che Osvaldo Gnocchi Viani, padre della Camere del Lavoro, scriveva nello statuto della Società Umanitaria di Milano: ”Lo scopo dell’istituto è quello di mettere i diseredati in condizione di rilevarsi da se medesimi”*.
Creare la condizioni perché le persone siano capaci di sollevarsi e di camminare sulle proprie gambe: questa antica missione del mutuo soccorso resta, ancora oggi, il cuore della azione per la libertà e per la giustizia sociale.
Torino 29 ottobre 2010
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Mariuccia Salvati: L’attualità del socialismo di ieri secondo Pino Ferraris

lampadadialadmicromicro1La rivista online Controlacrisi.org in un articolo del 12 marzo 2012 ha ricordato Pino Ferraris, politico-militante della sinistra e storico scomparso nel febbraio dello stesso anno: “La scomparsa di Pino ci ha privato di un interlocutore e un punto di riferimento assai prezioso. Vi proponiamo la bella recensione dell’ultimo libro di Pino uscita sul numero di febbraio della rivista Lo Straniero diretta da Goffredo Fofi. In coda trovate il link a una registrazione di un intervento di Pino in cui riassumeva il senso profondamento politico del suo lavoro storiografico”. Riproponiamo il contributo per l’attualità delle riflessioni rispetto alle attuali problematiche.
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Partiamo dal titolo, Ieri e domani. Storia critica del movimento operaio e socialista ed emancipazione dal presente, (Edizioni dell’Asino). Un titolo che richiama una traccia di lavoro di Vittorio Foa citata nell’introduzione: l’invito cioè – in tempi di amnesie e rimozioni, di nodi politici e sociali che urgono nel presente – a “sciogliere le ideologie nella storiografia”. È ciò che aveva fatto lo stesso Foa con La Gerusalemme rimandata. Domande di oggi agli inglesi del primo Novecento di cui Ferraris ha ripercorso la genesi nella nuova introduzione alla riedizione del libro per Einaudi del 2009 (la prima edizione era stata pubblicata da Rosenberg & Sellier nel 1985). Uscire dall’ideologia attraverso la storia. In questo c’è tutto l’atteggiamento di uno scienziato sociale, ma anche di un intellettuale che è stato militante e dirigente politico e che non fa lo storico di mestiere. Come spiega in un altro passo dell’introduzione, infatti, la sua non è una opzione asettica di un oggetto di studio, ma una scelta di campo.

Il campo prescelto ha due perimetri: un arco cronologico (racchiuso nella seconda metà dell’Ottocento, tra Comune di Parigi e crisi di fine secolo, comunque nei decenni antecedenti alla Grande Guerra e a tutto quanto ne seguì, come richiama nel finale del primo e dell’ultimo saggio) e un dilemma teorico: è esistito un momento in cui il socialismo è sembrato ai protagonisti delle lotte sociali una meta vicina, già praticabile? E, se è esistito, come è stato sconfitto e, soprattutto, perché è stato rimosso dalla memoria del movimento operaio?

Perché è questa, in sostanza egli ritiene, la ragione per cui la prospettiva socialista è scomparsa dall’orizzonte delle masse popolari in Europa.

I tre saggi che compongono il libro sono rispettivamente del 1992, 1995 e 2008. I primi due sono decisamente storici e direttamente ispirati, nelle linee di fondo, dalla Gerusalemme rimandata, il terzo (pubblicato nel quadro delle iniziative della rivista “Una città”) ha già un obiettivo più legato al presente, e costituisce, in un certo senso, la premessa della raccolta stessa. L’oggetto del primo è un quadro complessivo del sindacalismo europeo delle origini: l’ascesa e la sconfitta, in Inghilterra, Francia e Italia, di un sindacalismo (diverso dal modello tedesco) con alcune caratteristiche comuni riconducibili a quella mouvance che Pino chiama, ricollegandosi a Paolo Farneti, di “politicizzazione del e dal sociale”, mobilitazione e pratiche che si sprigionano direttamente dentro il sociale: un sindacalismo certamente politico, ma distinto dall’organizzazione del partito politico socialista, che nasce invece come depositario di una ideologia da diffondere tra le masse. Socializzare senza statizzare, conquistare sicurezza sviluppando libertà, sono parte di questa mouvance, ma, anche, critica alla democrazia, antistatalismo, localismo. Sarà sostanzialmente la guerra novecentesca a chiudere questa esperienza, introducendo i temi della nazione, della violenza e dell’organizzazione militare applicata alla produzione.

Due riflessioni vengono alla mente, a conferma e chiarificazione di questo passaggio cruciale: la prima è il richiamo, nell’arco di tempo considerato, a un aspetto nuovo e dirompente di quella fase storica, cioè la forte internazionalizzazione del lavoro (mercato, organizzazione) che si accompagna a quella parallela del capitale (non a caso gli storici hanno parlato di una vera e propria “prima mondializzazione” rispetto alla seconda di fine Novecento).

Questa internazionalizzazione è segnata, nella storia del movimento operaio, dalla nascita stessa, nel 1889, della grande organizzazione a cui aderirono tutti i partiti nazionali socialisti e laburisti europei sotto la guida del partito socialdemocratico tedesco: la cosiddetta Seconda Internazionale, per distinguerla dalla Prima, fondata nel 1864 e caratterizzata dalla battaglia vincente di Marx contro Mazzini, Proudhon e Bakunin. È sullo sfondo o dentro questa “organizzazione” (ancora oggi ben nota grazie al fondamentale studio sul partito politico di Roberto Michels, autore attentamente studiato dallo stesso Ferraris) che si svolge il decisivo dibattito tra sindacato e partito, segnato dai contrasti teorici su democrazia e capitalismo, spontaneità e organizzazione: così come è anche contro questa organizzazione (praticamente morta nell’agosto del 1914 allo scoppio della guerra) che nascerà, dopo la fine della prima guerra mondiale, la costola bolscevica e la Terza Internazionale. Il primo e massimo storico della Seconda Internazionale è stato Georges Haupt, che a questo studio ha dedicato la vita e che continuava, in anni di ortodossie contrapposte dalla guerra fredda, a difenderne la struttura tutto sommato aperta sul terreno ideologico, proprio perché egli stesso era stato una vittima della Terza (in fuga dalla Romania, approdò in Francia nel 1958: a lui è dedicato il fascicolo in uscita, 1/2012, dei “Cahiers Jaurès” ).

La seconda riflessione – sempre a conferma di quanto scrive Ferraris – si riallaccia allo studio di C.S. Maier, La rifondazione dell’Europa borghese. Nella sua analisi comparata del 1975 su Francia, Italia e Germania, Maier individuava proprio nella sconfitta delle rivendicazioni dei grandi scioperi del primo dopoguerra, di carattere ancora “ottocentesco”, imperniate cioè sul controllo operaio delle fabbriche (significative le parole d’ordine come: “la mine aux mineurs”, “les chemins de fer aux cheminots”…), la chiave di volta per comprendere il successo negli anni venti della rifondazione corporatista del nuovo capitalismo fordista in tutti i paesi europei, e non solo in quelli fascisti. Dal quadro di Maier è volutamente escluso il caso inglese, che conosce una storia diversa: un eccezionale lungo decennio di conflittualità sociale e di spinta operaia libertaria (1910-1920) che apre al “socialismo dei consigli”. La Gerusalemme rimandata V FoaIn quegli stessi anni, nel 1973, ricorda Ferraris nella introduzione alla Gerusalemme rimandata, Foa, che ha già in mente la ricerca sugli operai inglesi, apre il suo saggio per la Storia d’Italia (Einaudi) – Cento anni di sindacato in Italia – prendendo le mosse dagli scioperi del Biellese, investito dalla meccanizzazione del lavoro tessile. Negli scioperi del 1878 (che sono all’origine della relazione della “Commissione parlamentare di inchiesta sugli scioperi” voluta da Crispi), scrive Ferraris, “la lotta economica assume un potenziale politico dal momento in cui gli operai professionali minacciati nel loro mestiere si fanno protagonisti dell’unità con i nuovi lavoratori poco qualificati e con le donne per un comune controllo sulla prestazione del lavoro”. È la stessa ipotesi di ricerca che guida Foa nella Gerusalemme rimandata: la risposta alla taylorizzazione del lavoro, nell’Inghilterra “officina del mondo”, avviene attraverso un processo in cui la difesa corporativa del controllo del proprio mestiere da parte degli operai specializzati si ribalta in proposta unitaria offensiva di controllo operaio sulla produzione. Ma quella esperienza sarà riassorbita dal laburismo amministrativo e statalista. Si trattava dunque di una Gerusalemme rimandata o sconfitta? Questo fu il rovello di Foa, che scrive di classe operaia inglese pensando a quella italiana – e si direbbe anche di Ferraris, che scrive di ieri pensando al domani.

Il secondo dei tre saggi che compongono il libro è dedicato a Osvaldo Gnocchi-Viani, protagonista e teorico appunto di quel tipo di organizzazione che Maier vede definitivamente superata dopo le trasformazioni economico-sociali imposte dalla prima guerra mondiale, ma che già Giuliano Procacci (in un saggio per la “Rivista storica del socialismo” del 1962) considerava profondamente trasformata a seguito dello sciopero generale del 1904: l’organizzazione basata sulle Camere del Lavoro, caratterizzata dalla compresenza di segmenti diversi della classe lavoratrice, dagli artigiani agli operai ai contadini. Qui, incurante delle sconfitte della storia, e mosso da intenti non storiografici, ma ideali e politici, Pino si va a leggere i numerosi saggi di Gnocchi-Viani, anziché studiare, come è stato fatto anche in maniera meritoria da parte degli storici (Franco Della Peruta, Gastone Manacorda, Stefano Merli, Maria Grazia Meriggi), le reti organizzative. E con questo recupera davvero una memoria teorica perduta. Perché nella versione degli storici, quella lotta (guidata sostanzialmente dai tipografi, come Gnocchi-Viani o Bignami, e da un grande giornale, “La Plebe”) è destinata alla sconfitta in base a una logica della storia che la linea organizzativa ispirata a Marx sa meglio interpretare, soprattutto dopo la crisi sanguinosa di fine Ottocento e l’avvio dell’era giolittiana imperniata sui partiti e i collegi elettorali.

A Ferraris, invece, Gnocchi-Viani appare come l’interprete di un “modello italiano” particolare, basato sulla compresenza, nei movimenti sociali italiani, di lavoratori dell’industria e dell’agricoltura: un fatto che stupiva già Engels nella corrispondenza con Labriola, e più tardi Kautsky, perché in nessun paese d’Europa, eccetto che in Italia, troviamo i contadini sulla sinistra dello spettro elettorale (eccezionalità confermata dal grande affresco comparato di Stein Rokkan, Cittadini, elezioni, partiti). Ora su questo protagonista dimenticato Ferraris scrive delle pagine bellissime, dedicate soprattutto al suo rapporto con i compagni di lotta, alla sua capacità di ascoltare e di accogliere le idee proprie degli operai. Seguiamo il filo dell’analisi dell’opera di Gnocchi-Viani attraverso i titoli dei paragrafi del saggio, che così si susseguono: Un intellettuale anomalo (anomalo, si osserva, per lo spazio offerto alla emancipazione delle donne e alla condizione dei fanciulli); La terza via: partire dal basso, sulla crisi della Prima Internazionale a seguito della lotta tra sette e scuole, a cui Gnocchi-Viani contrappone un sindacalismo apartitico di base; Partito politico e partito sociale: qui Ferraris rilegge attraverso le opere di Gnocchi-Viani la nascita e l’affermarsi del Partito operaio italiano (Poi), il cui scopo era “organizzare arte per arte le falangi del proletariato”: un partito “apolitico”?

Sì, ma nel senso che: “Nella bancarotta dei vecchi ‘partiti politici’ solo i nuovi ‘partiti sociali’ possono ridare idealità, speranza, progresso all’Italia” (p. 96). Altro paragrafo è dedicato a Le Camere del lavoro, cioè al dibattito su Borse o Camere e alla convinzione di Gnocchi-Viani che nelle Camere, su cui egli scommette, fosse confluita l’esperienza del Partito operaio: per lui, infatti, la Camera del Lavoro rappresentava, ben più del partito, lo strumento “per patrocinare gli interessi dei lavoratori in tutte le contingenze della vita” (p. 114). L’ultima parte del saggio è dedicata all’affermarsi del Partito socialista in Italia che, secondo Gnocchi-Viani (Appunti su socialismo germanico del 1892, lo stesso anno della fondazione del Psi), avviene in maniera troppo “precoce” rispetto allo sviluppo del proletariato moderno e del suo associazionismo economico, con il rischio di importare nel contesto italiano l’inadeguato modello tedesco, a cui rimprovera un eccesso di economicismo, di socialismo fatalista; una modalità di costruzione dall’alto verso il basso (anziché il contrario, come nel Poi).

Il terzo e ultimo breve saggio è quello più orientato a esaminare il ritorno dei movimenti sociali sulla scena globale odierna (con le loro domande di cooperazione politica, a partire dal sociale, mentre i partiti politici sembrano giunti al termine di una parabola) e a cercare nel passato (in questo caso l’esperienza di una sorta di welfare non statalista, ma di tipo cooperativo e mutualistico del Belgio di fine Ottocento) suggerimenti per una nuova politica.

Con riferimento soprattutto a quest’ultima parte del libro, propongo anche qui qualche accostamento tra la riflessione di Ferraris e la storiografia del ventennio passato: il primo e più logico è quello con la storia delle donne in Italia, che, grazie soprattutto a Annarita Buttafuoco e alla rivista “DWF”, ha fortemente rivalutato sia la figura di Anna Maria Mozzoni (la cui “Lega promotrice degli interessi femminili” fu sostenuta con convinzione da Gnocchi-Viani) che la Società Umanitaria, che ancora Gnocchi-Viani contribuisce a fondare e a dirigere tra gli anni novanta dell’Ottocento e il 1908. Quei decenni sono stati fonte di grande interesse non solo per la storia delle donne, ma anche per la storia urbana e municipale e più in generale per la storia della modernizzazione statistica e giuridico-amministrativa dell’Italia giolittiana: pensiamo al ruolo di amministratori-politici in sede locale come G. Montemartini. A. Schiavi, E. Nathan, all’intensità degli scambi tra economisti e sindacalisti riformatori al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico (si vedano gli stretti rapporti dell’Ufficio del lavoro con l’American Federation of Labor). Ma ciò che caratterizza soprattutto quel decennio iniziale del secolo, in cui si coagulano formazioni politiche diverse in una sorta di prospettiva ottimista di crescita, è la cultura delle riforme e l’emergere di una scienza sociale a scopo di riforma, la commistione tra analisi sociale, tra sociologia, diremmo oggi, e militanza progressista (su questo, rinvio a una raccolta di brevi e significativi interventi di giovani studiosi, da me curata in un clima totalmente diverso da quello odierno, nel 1993: Per una storia comparata del municipalismo e delle scienze sociali, Clueb).

Eccoci ricondotti alla figura dell’autore di questo libro, a Pino Ferraris e al titolo del suo libro, Ieri e domani. Perché infatti Pino sa cogliere l’attualità del socialismo di ieri? La risposta è semplice: per la sua grande passione politica e la sua curiosità nei confronti della conoscenza di ciò che di nuovo si muove nella società. Pino Ferraris è originario di Biella, di quelle valli in cui nasce nell’Ottocento la prima industrializzazione e insieme il primo socialismo: qui Terra e telai (titolo di un classico studio di microstoria di Franco Ramella) si mescolano, si sostengono a vicenda, sullo sfondo di una tradizione di associazioni e fratellanza, quella stessa che lui scopre nel tipografo Gnocchi-Viani. Quanto conti in Ferraris il suo essersi formato in quel contesto è rivelato da un episodio da lui narrato di recente per un volume in ricordo di Lelio Basso (curato dal figlio Piero), in corso di pubblicazione.

Nel 1962 Ferraris, chiamato quattro anni prima, a soli 24 anni, a dirigere la federazione di Biella del Partito socialista, invita – in occasione dei 70 anni del Psi e di una straordinaria mostra organizzata sul secolo di esperienze operaie e socialiste del circondario di Biella – Lelio Basso: il dirigente socialista, venuto per un giorno, si ferma due giorni, colpito dalla ricchezza della documentazione e dall’entusiasmo dei giovani: orgoglio di scoprire una passato classista e socialista mentre l’effervescenza sociale riappare, commenta Ferraris. “Scavate nel passato e scrutate nel futuro”, è il messaggio lasciato da Basso in quella circostanza. E in effetti, Ferraris studia le lotte di classe nel biellese: poi su questo stesso terreno incontra, come si è visto, Vittorio Foa, il quale, negli anni settanta, partendo dal biellese scopre l’autonomia e il potenziale politico della lotta operaia (contro lo schema secondo internazionalista della lotta operaia come corporativa) insieme alla proposta unitaria di controllo operaio del movimento inglese: entrambi mossi dalla comune speranza di riuscire a proporre – scavando nel passato – nuove forme associative all’altezza degli anni settanta-ottanta. È con questa commistione che vorrei chiudere: chiedendomi cioè se ancora oggi le scienze sociali nutrite di storia non possano fare da battistrada – come mostra il caso di questo libro o dell’altro recente di Carlo Donolo, Italia sperduta – verso una cultura diffusa delle riforme della politica.

LO STRANIERO, N.140 – Febbraio 2012
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Ascolta il discorso conclusivo di Pino Ferraris alla Festa della Parola alla Snia di Roma sabato 1 ottobre 2011
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- Approfondimenti: Il libro di Pino Ferraris
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* Fondatore dell’Umanitaria di Milano fu Prospero Moisè Loria.
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ferraris pino LIBROIeri e domani. Storia critica del movimento operaio e socialista ed emancipazione dal presente
di Pino Ferraris
pp. 178

“Quando la maison institutionnelle minaccia di crollare e i saperi dell’ordinaria manutenzione non bastano più nasce l’esigenza di riportare alla luce i disegni e i progetti, i calcoli e i modelli dei costruttori […]. Ogni crisi di rifondazione chiama ed esige il recupero del punto di vista genetico. Oggi è la radicalità della crisi del sindacato e del sistema politico dell’Europa contemporanea che ci costringe a scavare dentro le origini.” I tre saggi del testo interrogano la storia del movimento operaio e socialista delle origini. Rappresentanza degli interessi e orientamento ai valori, ambiti di vita e di lavoro, autonomie confederate e centralizzazione amministrata, statalismo e “far da sé solidale”, azione sindacale e lotta politica: sono dilemmi di una storia complessa troppe volte semplificata e mistificata dentro schemi ideologici. Non rimozione o nostalgia del passato. Ma rifiuto dell’“ideologia del presente” collegando lo sguardo libero e critico sul passato all’invenzione del futuro.

Pino Ferraris è stato dal 1958 segretario della Federazione del Psi di Biella. Nella seconda metà degli anni sessanta è stato membro della direzione del Psiup e segretario della Federazione di Torino. Nei primi anni settanta è stato tra i promotori della costruzione del Pdup. Dal 1977 al 1999 ha insegnato Sociologia presso l’Università di Camerino. Ha scritto saggi di sociologia politica, sociologia del lavoro e di storia del movimento operaio.

Rassegna stampa
“I diavoli dell’Apocalisse” di Goffredo Fofi (“l’Unità” del 25 settembre 2011)
“Compagno Pino, quanto ci hai insegnato” di Valentino Parlato (“il manifesto” del 3 febbraio 2012)
Sito dell’Editore:
http://www.asinoedizioni.it/products-page/libri-necessari-2/ieri-e-domani-storia-critica-del-movimento-operaio-e-socialista-ed-emancipazione-dal-presente/

Oggi sabato 31 dicembre 2016. Verso il 2017

matisse festivitàGli Auguri di Piero
2017 mi aspetto poche cose.
Mi contenterei, per esempio,
A) se m’informassero un po’ meno su quel che fa il sindaco di Roma e, invece, m’informassero almeno un po’ su quel che fanno al Parlamento Europeo nell’interesse della Sardegna gli eletti dai sardi (e siciliani), due anni e mezzo fa, i molto onorevoli Soru, Ciccu e Moi.
B) Se si arrivasse a un Parlamento legittimo grazie a una legge elettorale decente, se si avessero province elette anziche’ commissariate o nominate, se una legge regionale onesta consentisse una rappresentanza a centomila esclusi e un governo regionale con sentimento e ragione.
C) Se, infine, quando si deve rimettere in piedi una banca sia possibile sapere chi è stato a metterla a terra.
Non è poco? ma neppure molto.

AUGURI !!!
Buon 2017 con Stefano Puddu C
- Con Stefano Puddu Crespellani.
Auguri buone feste 16-17
Logo_Aladin_Pensieroaladin-lampada-di-aladinews312sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghdemocraziaoggiGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413
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sedia di VannitolaCONTINUARE A ESSERCI, L’AUGURIO MIGLIORE.
Con Vanni Tola
Tempo di bilanci. Lo si fa sempre quando termina un anno solare e ne comincia un altro. Quest’ultimo è stato molto triste per le guerre, gli stermini in atto, la crisi economica ma anche per la scomparsa di personaggi famosi che hanno rappresentato per molti un importante riferimento politico, culturale e sentimentale. Alcuni amici ci hanno lasciati e rimarranno soltanto nei nostri ricordi. Solitamente il bilancio, o meglio le considerazioni di fine anno, hanno un segno negativo, una venatura di tristezza o malinconia da superare per continuare a vivere. Già, continuare a vivere , che è un diverso dal semplice vivere. Si può soltanto continuare quando il tempo futuro è decisamente più breve del tempo trascorso vivendo. Quando le vicende personali, il tuo corpo e la tua mente ti ricordano lo scorrere inesorabile del tempo. Un tempo che sembra correre più velocemente del solito, contravvenendo, soltanto in apparenza, precise certezze della fisica. Allora pensi di tutto, alle cose belle che potrebbero darti speranza, gioia e felicità, a quelle meno belle sulle quali ti ritrovi spesso a riflettere. Generalmente prevale un sentimento di autoconservazione, il desiderio o, meglio, una certa curiosità innata, di vedere come va a finire questa avventura che chiamiamo vita. La voglia di esserci ancora un po’. In fondo non è stato poi cosi male essere stati contemporanei di avvenimenti epocali, di grandi personaggi della cultura, della scienza, dell’arte, della musica. Avere assistito a vicende importanti per l’evoluzione umana quali lo sbarco sulla Luna, aver conosciuto Giorgio Gaber, Umberto Eco, Dario Fo, Fabrizio De Andrè, Leonard Cohen e tanti altri che sarebbe lungo elencare. A questo punto, l’unico augurio da fare a se stessi e agli amici più cari non può che essere quello di continuare ad esserci e nel miglior modo possibile.
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democraziaoggiRiflessione altre
Compagni del sì, smemorati e senza meta.
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.

Riusciranno i nostri politici a disinnescare la mina vagante del referendum prossimo venturo? Ci tenteranno, ma non l’avranno vinta!

disperazionesedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola.

Il 6 Dicembre, subito dopo il risultato referendario, scrivemmo in Aladinpensiero una breve nota dal titolo: ”Per non vanificare il risultato referendario. Attenti alle trappole!” L’articolo proseguiva: ”Non è vero che riconoscono la sconfitta referendaria. Attenti che ci imbrogliano! 
Diceva Giorgio Gaber nel testo ‘La democrazia’: “Il referendum è una pratica di democrazia diretta, non tanto pratica, attraverso la quale tutti possono esprimere il loro parere su tutto. (omissis). Ma il referendum ha più che altro un valore folcloristico simbolico. Perché dopo aver discusso a lungo sul significato politico dei risultati, tutto resta come prima, e chi se ne frega”.
In effetti i nostri politici sono andati ben oltre il “chi se ne frega”. L’unica cosa che sembrano aver compreso i nostri politici, o almeno la maggioranza di loro, è che se si interpella il popolo poi vengono fuori verdetti non sempre favorevoli all’operato e ai disegni politici di chi governa. E sono guai. Per il referendum costituzionale è “caduto” il governo e si è dovuto rimediare con il governo fotocopia di Gentiloni, ma la botta è stata considerevole. Ora si profila la possibilità, con il referendum sui diritti del lavoro promosso dalla CGIL, di una ulteriore sonora sconfitta su uno dei pilastri della politica dell’ex Presidente del Consiglio. Le conseguenze sul precario quadro politico nazionale potrebbero essere ancora più devastanti. Non c’è quindi tempo per incertezze e indecisioni né per manovre sotterranee più o meno segrete. Giù la maschera, questo referendum, come le nozze tra Renzo e Lucia, non s’ha da fare. Costi quel che costi. Grande affanno per trovare il modo migliore per impedirlo dunque. Pare che si tenterà di annullare o rinviare il prossimo pronunciamento popolare con alcune modifiche sull’utilizzo dei voucher, una vicenda che definire scandalosa è un pietoso eufemismo. Ma è in ballo anche l’articolo 18, la riforma pensionistica e la legge Fornero e tanto altro ancora. Qualcosa certamente si inventeranno anche per questo. Riusciranno a disinnescare questa mina vagante del referendum prossimo venturo? Presto per dirlo, tutte le ipotesi sono ancora in campo. Un fatto è certo. L’unica lezione positiva arrivata dal pronunciamento popolare sulla riforma costituzionale, il concetto che per le grandi decisioni, e anche per tutte le altre, è opportuno sentire l’opinione dei cittadini e, come sarebbe logico, rispettarne la volontà, non è stata colto e compreso. Non resta quindi che difendere con tutte le forze il prossimo referendum, il diritto della gente di esprimersi su vicende di vitale importanza e provare a sparare un’altra bordata. Forse stavolta capiranno.

Riflessioni

sedia di VannitolaAvvoltoi neri che volano in cerchio sulle nostre teste. Con tempestività “sospetta” alcuni si affrettano a dichiarare che il poliziotto che ha ucciso il terrorista di Berlino è un eroe e merita una medaglia d’oro per ciò che ha fatto. Massimo rispetto per il coraggio e la determinazione degli agenti che sono intervenuti in maniera ineccepibile. Hanno certamente compiuto in modo corretto il loro dovere e per questo dobbiamo essere loro grati. Penso tuttavia che loro per primi avrebbero preferito prenderlo vivo quel feroce criminale e non arrivare a questa tragica soluzione. La morte, in una azione di polizia, non è mai un bel gesto, un gesto eroico. E’ soltanto una drammatica necessità che, purtroppo, in una azione di polizia rappresenta talvolta l’unica soluzione possibile per contrastare una azione criminosa. (v.t.)
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logo_monstero_di_boseLa risposta al contagio
di ENZO BIANCHI priore del Monastero di Bose

Così parlò Mattarella: “Facimme ammuina”

mattarella gentilonisedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola
Così parlò Mattarella: “Facimme ammuina”. E nacque un governo fotocopia di quello precedente. L’espressione “Fare ammuina”, secondo alcuni, trae origine da un fatto realmente accaduto dopo la nascita della Regia Marina italiana. Un ufficiale napoletano, Federico Cafiero (1807 – 1888), passato ai piemontesi già durante l’invasione del Regno delle Due Sicilie, sorpreso a dormire a bordo insieme all’equipaggio, fu messo agli arresti da un ammiraglio piemontese per indisciplina a bordo. Scontata la pena, l’ufficiale fu rimesso al comando della sua nave, dove pensò bene di istruire il proprio equipaggio a “fare ammuina” (cioè il maggior rumore e confusione possibile) ogni volta che si fosse presentato un ufficiale superiore, per essere avvertito e contemporaneamente per dimostrare una operosità dell’equipaggio soltanto apparente.
« All’ordine Facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann’ a poppa
e chilli che stann’ a poppa vann’ a prora:
chilli che stann’ a dritta vann’ a sinistra
e chilli che stanno a sinistra vann’ a dritta:
tutti chilli che stanno abbascio vann’ ncoppa
e chilli che stanno ncoppa vann’ bascio
passann’ tutti p’o stesso pertuso:
chi nun tene nient’ a ffà, s’ aremeni a ‘cca e a ‘ll à
».
E’ esattamente ciò che è accaduto nelle ultime frenetiche giornate di attività politica coordinate dal dinamico Presidente della Repubblica. Urgeva una risposta da dare al popolo elettore che si era espresso duramente e inequivocabilmente contro il governo Renzi e il suo progetto di stravolgimento della Costituzione. Urgeva dare risposte ad alcuni grossi problemi quali il salvataggio del Monte dei Paschi e delle altre Banche. L’Europa attende dall’Italia chiarimenti sulla politica finanziaria ormai inderogabili. Occorreva adottare al più presto decisioni difficili e impopolari che Renzi non ha avuto il coraggio di assumere. Niente di meglio quindi che mettere in atto una “ammuina”. Far vedere grande movimento, prospettare rimescolamento di cariche, avviare frenetiche discussioni per lasciare infine le cose come stavano. Nasce un governo che definire fotocopia è un benevolo eufemismo. E’ il governo Renzi con Renzi in panchina che, finge di fare il buon padre di famiglia che rimbocca le coperte ai figlioli, mentre nella realtà manovra e scalpita per rientrare in campo e continuare a giocare la propria partita. Non danno la parola al popolo con le elezioni immediate, è quindi ora che la parola passi alla piazza. Parteciperò da domani, senza modificare il mio orientamento politico, a qualunque manifestazione pubblica che rivendichi il diritto alle elezioni immediate, qualunque sia la forza politica che se ne faccia promotrice.

Per non vanificare il risultato referendario. Attenti alle trappole!

serieta signorisedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola.
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Non è vero che riconoscono la sconfitta referendaria. Attenti che ci imbrogliano!
Diceva Giorgio Gaber nel testo “La democrazia”: “Il referendum è una pratica di democrazia diretta, non tanto pratica, attraverso la quale tutti possono esprimere il loro parere su tutto. (omissis). Ma il referendum ha più che altro un valore folcloristico simbolico. Perché dopo aver discusso a lungo sul significato politico dei risultati, tutto resta come prima, e chi se ne frega”. La mia non vuole essere un’analisi sul dopo referendum costituzionale, direi, piuttosto, l’espressione di alcune sensazioni inquietanti suggerite dalla lettura della rassegna stampa del giorno dopo. Attenzione che ci fregano o, quantomeno, che ci proveranno seriamente a farlo. Intanto direi che occorre prendere atto del fatto che Renzi non ha alcuna intenzione di lasciare la scena politica, né di rinunciare a portare avanti il suo progetto di riforme, costi quel che costi. Il suo annuncio notturno di dimissioni, a ben vedere, non ammetteva nessuna sconfitta, nessun errore strategico sostanziale. Era una lunga sequela di ottimi risultati politici conseguiti dal suo governo nei mille giorni. Sono gli altri che “non hanno capito” non loro ad aver sbagliato. Il PD, grande protagonista della scena politica principalmente per la consistenza numerica della rappresentanza parlamentare, non ha un progetto di reale cambiamento e di alternativa al renzismo. La cosiddetta sinistra interna anzi, appena ha cominciato a delinearsi la catastrofica sconfitta referendaria e di Renzi, si è affrettata a dichiarare che al segretario del partito non avrebbero chiesto le dimissioni dall’incarico, come sarebbe stato logico fare, e che per il congresso straordinario c’è tempo, meglio riflettere con calma sulla situazione. Tradotto, significa che non esiste al momento nel PD alcuna soluzione alternativa a Renzi. Movimento Cinque Stelle, Lega e Forza Italia, ciascuno a modo proprio, si intestano la vittoria del NO ed esercitano notevoli pressioni sul Presidente della Repubblica affinché si vada al più presto a elezioni anticipate. Ma tutti sanno che non è cosi semplice farlo. La legislazione elettorale è da rivedere, c’è da attendere il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legge elettorale vigente, è necessario stabilire uniformità legislativa tra Camera e Senato (ora che non è stato abolito), forse sarà necessario pensare a un nuovo quadro legislativo in materia di elezioni. Tutte cose che richiedono tempo, molto tempo. Non si intravvede alcuna ipotesi di alleanza possibile tra M5S, Lega e Forza Italia che possa creare a una sorta di “grossa coalizione” capace di guidare un nuovo governo. Ciascuna di queste forze politiche ha un proprio orizzonte strategico e poca o nessuna propensione al confronto o al compromesso con le altre. C’è poi il discorso del Patto del Nazareno, a mio avviso ancora vigente, e del progetto del “Partito della nazione” che resta la scelta strategica di Renzi e, ritengo, anche di Berlusconi. Nascono da tutto questo le sensazioni inquietanti del dopo referendum delle quali scrivevo in apertura. Il popolo ha parlato, ha dato sfogo al desiderio di difendere la Carta Costituzionale da stravolgimenti, ha espresso insofferenza per la politica di Renzi ma, ci sono tanti ma. Gli impegni urgenti e prioritari del Paese, indicati dal Presidente Mattarella, non possono attendere, le scadenze internazionali pure. Per modificare le leggi elettorali occorre del tempo, le elezioni immediate, ammesso che ci si arrivi, si potranno realisticamente tenere non prima di sei mesi o un anno e già molti dicono che, a questo punto, tanto vale attendere la scadenza naturale del 2018. Che cosa resterà dunque nelle mani di chi ha votato NO per cambiare qualcosa subito? Poco, molto poco. Presto, in mancanza di cambiamenti sostanziali e immediati, tornerà la rassegnazione. La consapevolezza che neppure una vittoria consistente nel pronunciamento referendario avrà prodotto alcun cambiamento concreto, determinerà nuovo spazio politico per un altro Renzi o per il populismo e la destra. Potrebbe accadere quindi che: “…. dopo aver discusso a lungo sul significato politico dei risultati, tutto resta come prima, e chi se ne frega”, come sottolineava Giorgio Gaber.
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DOCUMENTAZIONE. Il voto sardo comune per comune (da L’Unione Sarda online)

Lunedì 5 dicembre 2016 The after day – Ha vinto il Popolo in Italia e in Sardegna – Ha vinto la COSTITUZIONE – Abbiamo vinto!

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HA VINTO LA COSTITUZIONE
Ha vinto la Costituzione, ha vinto la sovranità popolare, ha vinto il popolo, ha vinto la democrazia, ha vinto la verità.
Ha vinto la verità contro le bugie.
Hanno vinto i movimenti, i partigiani, il sindacato, le associazioni.
Ha perso il PD, ma non si dica che hanno vinto altri partiti: nessuno di loro può affermarlo, quando si tratta di loro metà degli elettori resta a casa.
Ha perso Renzi, ha perso la maggioranza blindata del suo partito, ha perso il governo, ha perso la maggioranza blindata di un parlamento illegittimo, i mille giorni inutili di un re da fumetto e dei suoi cortigiani.
In Sardegna hanno perso Pigliaru, Soru, Pani, Demuro, più renziani di Renzi, ha perso il sindaco muto di Cagliari.
Tutti costoro traggano le conseguenze della sconfitta, si dimettano, si nascondano, tacciano.
Ora ci sono mille cose da fare.
Pacificare gli schieramenti e lavorare tutti per:
1. Un parlamento legittimo, dunque una giusta legge elettorale.
2. Un Governo capace di affrontare le vere emergenze: lavoro, scuola, salute, casa, una vita dignitosa per tutti.
3. Una giusta legge elettorale per la Sardegna e subito elezioni per
4. Una Giunta regionale che lavori per i sardi e non per Roma.
5. Una Costituente sarda per rinnovare lo Statuto, che affermi la sovranità assoluta dei sardi sul loro territorio. (ognuno si tenga le sue scorie, prego) e una scuola che insegni storia, cultura e lingua sarda.
6.. Una Rai e un’informazione in genere che non sia serva del partito del Presidente del Consiglio.
7. Una Costituente italiana per riformare IN MEGLIO la Costituzione, mantenendo sempre la sovranità del popolo lavoratore. (p.m.)
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Grande vittoria del NO. Costruiamo l’oggi e il futuro. Con il Popolo.
di Vanni Tola
sedia di VannitolaLa grande vittoria del NO al referendum respinge un progetto osceno di stravolgimento della Costituzione. Gli elettori hanno detto in modo chiaro e inequivocabile di non essere d’accordo. Non è poco, è moltissimo. Ciò detto, però, direi che è necessario essere molto cauti nel delineare nuovi scenari. La prudenza è d’obbligo. Intanto non è scontata l’uscita di Renzi dalla scena politica. Al di la delle Sue dichiarazioni “a caldo”, l’unica certezza è che oggi pomeriggio il Presidente del Consiglio presenterà le dimissioni al Capo dello Stato. Un altro dato di fatto, condiviso da tutti, è la indispensabilità di riscrivere le leggi elettorali. Richiedere le elezioni subito è desiderio di molti ma è evidente che il “subito” significa non prima di un anno. A troppe forze politiche non conviene misurarsi col confronto elettorale in questa fase. Sarebbe quindi folle ragionare come se avessimo già superato il guado del fiume. Non lo abbiamo ancora fatto. Al massimo possiamo affermare di avere appena cominciato e non sappiamo a che cosa andremo incontro nell’immediato futuro. Domani, passata l’euforia, avremo maggiori elementi di analisi del voto e degli scenari possibili.
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Che bella domenica! Che radioso lunedì!
Gianna Lai, presidente dell’ANPI di Cagliari
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Pigliaru, il tuo tradimento è stato scoperto e sconfitto, ora, dammi retta!, vai a casa!
democraziaoggiAndrea Pubusa su Democraziaoggi
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occhialini biolchiniFrancesco Pigliaru, un estraneo alla guida della Regione.
di Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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- Su Il fatto quotidiano.
Vince il no e la sinistra alza la bandiera. Su il manifesto.
- I risultati su La Repubblica online (http://www.repubblica.it/static/speciale/2016/referendum/costituzionale/).
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Referendum: la profezia del vecchio “saragatiano” ai banchetti per il NO e contro l’Italicum quel venerdì 10 giugno 2016. Ora mi ricordo.
Ecco il fatto raccontato su Democraziaoggi dell’11 giugno 2016.
Franco Meloni, direttore Aladinews
11 Giugno 2016 – 11:57
Ieri (venerdì 10) al nostro banchetto di via Garibadi si è avvicinato un distinto signore, anziano, ma non diciamo l’età, il quale ha così esordito: “Siete del Comitato per il referendum costituzionale? Sapete io sono contento di questa riforma di Renzi”. Noi siamo democratici e parliamo con tutti, anche quelli che si professano per il Sì e pensavamo di avere a che fare con uno di questi. Ma il signore, sorprendendoci, ha così continuato: “Sapete perché? Perché questa volta Renzi l’ha fatta proprio grossa e prenderà una bella batosta, tale da farlo scomparire dalla scena politica. Sa – ha continuato il simpatico (a questo punto molto simpatico) signore – io sono stato un socialdemocratico saragatiano e non posso sopportare un personaggio messo da chi sa chi (ma io lo so: l’ex presidente della Repubblica) a distruggere quanto di buono è stato fatto nel nostro Paese. Perciò firmo subito sia contro la legge elettorale sia contro la sciagurata riforma, che sono sicuro non passerà! Siamo dalle stessa parte!”. Beh! Sono soddisfazioni. La raccomandazione che ne viene è che noi militanti per la Costituzione nella nostra attività dobbiamo essere aperti, inclusivi, dialoganti, costruttivi… nello spirito che caratterizzò i nostri costituenti nella costruzione della Repubblica nata dalla Resistenza! Questo è il messaggio che molti, moltissimi giovani comprendono e condividono. E’ la nostra carta vincente!

« L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. » (Articolo 1 della Costituzione italiana)

REFERENDUM. VINCE IL NO. Il POPOLO si riappropria delle proprie prerogative costituzionali!
E il POPOLO SARDO ESPRIME UN NO STRABILIANTE. E’ bene che Pigliaru ne prenda atto e si dimetta così come ha fatto Renzi. Costruiamo insieme l’alternativa. Ci sono le condizioni per farlo!
chiederò
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sedia di VannitolaLa grande vittoria del NO al referendum respinge un progetto osceno di stravolgimento della Costituzione. Gli elettori hanno detto in modo chiaro e inequivocabile di non essere d’accordo. Non è poco, è moltissimo. Ciò detto, però, direi che è necessario essere molto cauti nel delineare nuovi scenari. La prudenza è d’obbligo. Intanto non è scontata l’uscita di Renzi dalla scena politica. Al di la delle Sue dichiarazioni “a caldo”, l’unica certezza è che oggi pomeriggio il Presidente del Consiglio presenterà le dimissioni al Capo dello Stato. Un altro dato di fatto, condiviso da tutti, è la indispensabilità di riscrivere le leggi elettorali. Richiedere le elezioni subito è desiderio di molti ma è evidente che il “subito” significa non prima di un anno. A troppe forze politiche non conviene misurarsi col confronto elettorale in questa fase. Sarebbe quindi folle ragionare come se avessimo già superato il guado del fiume. Non lo abbiamo ancora fatto. Al massimo possiamo affermare di avere appena cominciato e non sappiamo a che cosa andremo incontro nell’immediato futuro. Domani, passata l’euforia, avremo maggiori elementi di analisi del voto e degli scenari possibili.
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Pigliaru, il tuo tradimento è stato scoperto e sconfitto, ora, dammi retta!, vai a casa!
democraziaoggiAndrea Pubusa su Democraziaoggi

Caro Pigliaru,

tanto palese è stato il tradimento del tuo ruolo e dello Statuto speciale, tanto manifesta è stata la tua genuflessione a Renzi, tanto chiaro e netto è stato il ripudio dei sardi della tua politica e della tua persona. In realtà viene confermato un dato ben noto, e cioé che tu hai il 60% dei consiglieri regionali col 19% del voto dei sardi. Questo spiega anche perché in Sardegna la percentuale dei NO è ben più alta di quella già alta del Paese. E’ la più alta d’Italia. Ora devi trarre soltanto una conclusione: andare a casa. Non so come puoi tu, con Demuro e gli altri, presentarvi in pubblico, guardare in faccia la gente che così fortemente vi ha detto NO e vi avversa.
Caro Francesco, devo confessarti che nel girare nei piccoli centri della Sardegna, la tua persona, i tuoi gesti, le tue comparse con Renzi hanno reso più facile il mio discorso, le ragioni del NO non dovevano neppure essere illustrate tanto eraano chiare nelle espressioni e nei visi della gente. Ma al tempo stesso, ti assicuro che mi sono trovato in imbarazzo nel sentire i giudizi sul tuo conto e, in cuor mio ho provato, perfino dispiacere, nel vedere così vilipesa la cattedra, che per me rimane sempre un luogo di assoluto prestigio e di verità. Così come ho amaramente sentito costituzionalisti del nostro Ateneo, Demuro e Ciarlo, dire tali e tante corbellerie, per compiacere al capo, da rendersi ridicoli perfino agli occhi dei nostri studenti, come quando Demuro ha detto che l’art. 17 dello statuto sardo, quello dell’incompatibilità consigliere regionale/senatore) è superato in forza di un non meglio precisato parere del governo! Una idiozia allo stato puro, che in quasi mezzo secolo di docenza non ho mai sentito dire neppure agli studenti più sprovveduti.
Dissi fin da subito che era buon segno avere come contraddittori Demuro e Ciarlo, perché già nella battaglia contro la Statutaria di Renzi loro avevano detto cose così incredibili da essersi sconfitti da sé. Era facile prevedere che avrebbero fatto il bis!
Caro Francesco, tu, come ti ho già detto, hai tradito i sardi e attentato allo Statuto, ora devi decidere come uscire il meno ingominiosamente possibile di scena. Io, amichevolmente, ti consiglio le dimissioni. Tieni conto che sei circondato da persone che cambiano casacca al cambiare del vento, già da subito si smarcheranno da un cavallo così perdente. Dammi retta, prima di restare solo anche in quell’accozzaglia di consorterie che è oggi il PD, fatti da parte. In fondo puoi tornartene in facoltà e riprendere l’insegnamento. Certo all’inizio, dopo le cose indecorose che hai fatto come presidente, sarà difficile presentarti agli studenti, ma in poco tempo arriverranno le nuove leve che non sanno e puoi rifarti una verginità. L’alternativa è penosa e non te la consiglio: se rimani, sarai abbandonato dai “tuoi” e i sardi verranno di qui a non molto a cacciarti (metaforicamente) coi forconi o, comunque, sarai certamente infilzato dal voto.
A tutti i sardi che hanno votato NO, che hanno mostrato schiena dritta, dico di avere coraggio, di stare in campo, di rimettersi in movimento. Faremo i nostri incontri per analizzare la situazione e poi ripartiremo tutti insieme seguendo la via maestra, la nostra preziosa Costituzione nata dalla Resistenza, che i sardi e gli italiani hanno così valorosamente difeso.

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L’illusoria capacità ridistributrice della “mano invisibile” di Adam Smith
Incontro del 10 dic 2016
———————————–FOGLIAdi Gianfranco Sabattini, su il manifesto sardo.

Jioseph Stiglitz, economista premio Nobel e saggista di fama internazionale, nel piccolo saggio “Un’economia per l’uomo”, scritto in occasione di un suo intervento alla XVIII sessione dell’Accademia Pontificia per le Scienze Sociali, con all’ordine del giorno la discussione sul tema della “Pacem in Terris“, l’eciclica promulgata l’11 aprile del 1963 da Papa Givanni XXIII, tratta di “alcune importanti questioni etiche nel contesto del comportamento economico”; tali questioni sono sollevate, a parere di Stiglitz, dalla necessità “di creare armonia fra uomo e uomo fra natura e uomo”, considerando l’economia come un mezzo orientato a soddisfare le esigenze esistenziali dell’uomo e non un fine in sé; nel convincimento, cioè, che l’uomo non esista per “servire l’economia”, ma al contrario sia l’economia al servizio della crescita e dello sviluppo dell’uomo.

L’occasione della sua partecipazione alla XVIII sessione dell’Accademia Pontificia ha offerto il destro a Stiglitz per sottolineare come, nel corso del dibattito svoltosi durante la diffusione degli effetti della crisi scoppiata nel 2007/2008, non siano stati considerati con sufficiente attenzione due aspetti di natura etica, riguardanti, da un lato, la condotta moralmente deprecabile di molti operatori finanziari, in particolare dalle banche, e dall’altro lato, le rimunerazioni che molti operatori finanziari hanno ricevuto, nonostante la crisi; rimunerazioni non proporzionali al “contributo complessivo” reso al sistema sociale all’interno del quale essi operavano.

Riguardo alle banche, Stiglitz afferma che sono ormai molto ampie le prove del fatto che esse si sono approfittate dei gruppi sociali meno informati e meno accorti, al solo scopo di massimizzare i propri profitti; a rendere più severo il giudizio sul loro comportamento sta anche la circostanza che, quando sono loro “esplosi in mano gli ordigni che loro stesse avevano creato, il governo è intervenuto a salvarle, lasciando invece coloro che erano stati vittime in balia di se stessi”. In conseguenza di ciò, le banche, che avrebbero dovuto avere l’accortezza di gestire i rischi attraverso l’offerta di “prodotti finanziari adeguati”, in sottoscrizione ai risparmiatori, hanno invece “tradito la fiducia” loro accordata.

Per quanto concerne le superrimunerazioni dei manager delle istituzioni finanziarie, Stiglitz osserva che un sistema sociale all’interno del quale alcune categorie di soggetti ricevono una rimunerazione correlata, non tanto al “contributo effettivo apportato alla collettività”, quanto piuttosto alla capacità di catturare guadagni, attraverso la disinformazione che loro stessi concorrono a diffondere tra il pubblico, non è un sistema sociale “giusto”.

Ovviamente, a parere di Stiglitz, non è sufficiente fare riferimento alla sola morale pubblica, per assicurare condizioni di giustizia nei rapporti tra gli uomini, sebbene le politiche pubbliche debbano contribuire a sensibilizzare tutti i componenti del sistema sociale delle possibili conseguenze negative che possono derivare dalle scelte individuali. Alle regole morali deve essere associata l’introduzione di ”sistemi di regolamentazione”, imponendo l’obbligo, per chi con i propri comportamenti danneggia gli altri, a pagarne le conseguenze. L’obiettivo dei sistemi di regolamentazione dovrebbe essere quello di evitare, ad esempio, che le scelte individuali comportino l’”imposizione di esternalità negative”, cioè di effetti negativi causati dai danni ambientali, sugli altri. Sennonché, sussiste la prevalente tendenza, da parte di estese “aree imprenditoriali e finanziarie”, ad opporsi ai tentativi di armonizzare, attraverso le regolamentazioni, i comportamenti dei diversi componenti del sistema sociale; oppure, esiste la tendenza che le regolamentazioni siano ignorate persino nelle pratiche di governo, nonostante sia l’attività di governo ad introdurre le regole.

Ciò accade perché i governi sono sempre protesi a massimizzare il Prodotto Interno Lordo (PIL), piuttosto che il “benessere reale della società”; sennonché, notoriamente, il PIL non è un valido indicatore del benessere sociale: il PIL pro capite può aumentare, ma a seguito di tale aumento i componenti del sistema possono essere messi nella condizione di dover affrontare maggiori disagi, tali da comportare una spesa pro capite ben maggiore dell’aumento originario del PIL; inoltre, il prodotto lordo pro capite può aumentare, ma possono anche parallelamente aumentare le conseguenze negative delle maggiori disuguaglianze distributive; oppure può accadere che l’aumento del PIL induca le generazioni attuali a condurre uno standard di vita che varrà a sacrificare le stesse opportunità alle generazioni future.

La possibilità che i sistemi di regolamentazione non consentano di armonizzare i comportamenti dei diversi membri del sistema sociale è aumentata con la crescita del livelli di integrazione a livello globale delle economie nazionali. Secondo Stiglitz, la globalizzazione di solito viene giustificata sostenendo che essa è valsa ad aumentare la produttività economica a vantaggio di tutti i Paesi, sia di quelli economicamente avanzati, che di quelli arretrati. In alcuni Paesi ciò è sicuramente avvenuto, in altri invece le conseguenze sono state negative, al punto che molti individui all’interno di questi ultimi sono venuti a trovarsi in condizioni ben peggiori di quanto non lo fossero alcuni decenni prima. Inoltre, chi sostiene la validità della globalizzazione afferma che essa potrebbe essere fonte di maggiori effetti positivi sul piano della produttività economica, se il mercato fosse meno condizionato dalle regolamentazioni.

Al riguardo – Stiglitz afferma – che nessuna ”idea ha avuto più influenza nella teoria economia della nozione della mano invisibile di Adam Smith, cioè dell’assunto che l’inseguimento del proprio interesse (profitto) porti, come se guidato da una mano invisibile, al benessere della società”. Ma l’assunto smithiano è stato oggetto di analisi di approfondimento negli ultimi cinquant’anni; tali analisi hanno evidenziato che “fintanto che l’informazione è imperfetta e asimmetrica, fin tanto che i mercati sono incompleti (per esempio, non esistono mercati assicurativi che coprano tutte le eventualità), fin tanto che i mercati non sono completamente competitivi, la ricerca del proprio interesse non porta all’efficienza economica”; poiché l’informazione è sempre imperfetta e asimmetrica e i mercati sono sempre incompleti e non sempre competitivi, la ricerca esclusiva della massima soddisfazione dell’interesse individuale non può mai portare all’efficienza economica e alla massimizzazione del benessere collettivo.

Se il perseguimento dell’interesse personale non può portare alla massimizzazione del benessere generale, occorre che i comportamenti dei singoli componenti il sistema sociale non prudano esiti indesiderati per altri. L’etica pubblica, pertanto, afferma Stiglitz, riveste un ruolo importante, anche se un “giusto” funzionamento del sistema sociale non può essere basato esclusivamente sulle scelte etiche dei singoli soggetti. E’, questo, il motivo per cui si impone la necessità che i governi agiscano per porre rimedio alle “falle dei mercati”; poiché anche i governi possono essere vittime di un’imperfetta informazione, ogni sistema sociale bene ordinato deve prevedere anche la possibilità di interventi straordinari per fare fronte ai limiti dell’azione regolatrice del proprio governo.

L’azione governativa è di solito imperniata su un mix di azioni, che in parte assume la forma di spesa governativa e, in parte, quella di regolamentazione governativa, soprattutto se l’obiettivo da perseguire consiste nell’assicurare al sistema sociale una distribuzione del prodotto sociale desiderabile, cioè una distribuzione reddituale equa e giusta; ovvero, una distribuzione volta a contenere e a rimuovere le disuguaglianze, o quantomeno a conservarle entro i limiti in cui, secondo la prospettiva di analisi rawlsiana, esse sono vantaggiose per le fasce sociali economicamente più deboli, oppure quando costituiscono la condizione necessaria ad assicurare un miglioramento economico per tutti.

Esiste, a parere di Stiglitz, anche una ragione più generale a favore delle politiche pubbliche volte a contenere e a rimuovere le disuguaglianze distributive; queste sono all’origine di inefficienze che determinano molti “fallimenti di mercato”, cioè situazioni in cui le “ricompense dei singoli e i contributi al benessere della collettività non sono allineati; gli esempi più significativi sono quelli che originano dal ricorrere delle esternalità, che si verificano, come si è visto, in tutti i casi in cui il comportamenti dei singoli causa un danno ambientale che, pur traducendosi in un danno per altri, colui che ha provocato il danno non viene chiamato a sostenere il costo. La regolamentazione delle esternalità, perciò, costituisce un presupposto perché i mercati funzionino correttamente e consentano la realizzazione dell’”armonia tra uomo e uomo e fra uomo e natura”.

L’accettazione dell’ideologia del libero mercato, osserva Stiglitz, non deve assolvere dalla responsabilità che siano attuate le politiche pubbliche più appropriate per regolamentare le esternalità; ciò è reso necessario perché i mercati, fallendo, consentono la formazione di prezzi che non riflettono il costo che ciascun operatore, con le proprie decisioni, trasferisce sugli altri; ciò rileva soprattutto con riferimento all’ambiente, in quanto molte risorse naturali non hanno un prezzo o, se l’hanno, spesso manca d’essere adeguato. Solo se i componenti dei moderni sistemi economici riusciranno a liberarsi dal “credo” sul fondamentalismo del mercato – conclude Stiglitz – sarà possibile realizzare “una migliore armonia fra uomo e uomo e fra uomo e natura”. A tal fine, si impone certo la necessità di “una regolamentazione forte ed efficace, ma è ancora più importante inculcare una bussola morale più forte e delle etiche aziendali conseguenti”.

L’obiettivo dell’armonia nelle relazioni intersoggettive può diventare un obiettivo realmente conseguibile nelle società moderne, non solo nella difesa dei diritti civili e politici, ma anche di quelli economici, così come sancisce la Dichiarazione Universale dei diritti Umani, redatta dopo la seconda guerra mondiale; ciò potrà accadere soltanto se le società civili nei Paesi democratici riusciranno a svolgere un ruolo più efficace di quanto non sia stato sinora, nella difesa del benessere collettivo, inteso come bene pubblico. A tal fine, sarà necessaria una risposta collettiva; perché questa risulti efficace, occorre però che ogni soggetto sia portatore di una responsabilità morale a non sacrificare con le proprie scelte il livello di benessere degli altri e nel contempo sia anche portatore della responsabilità morale di aiutare gli altri a godere dello stesso livello di benessere del quale egli dispone all’interno dei sistema sociale cui appartiene.

Ovviamente, il ruolo delle società civili nella difesa del benessere sociale, inteso come bene pubblico, non può essere, come sembra suggerire Stiglitz, solo l’esito dei possibili sistemi di regolamentazione del mercato e degli obblighi morali dei quali potranno essere portatori i singoli componenti del sistema sociale; ai regolamenti delle istituzioni economiche e alle regole morali dei singoli individui occorrerà aggiungere anche “mutamenti” di molti aspetti dell’ordine economico dei sistemi sociali; aspetti che sono stati sinora responsabili dell’insufficiente ruolo attivo delle società civili nella difesa del benessere collettivo.
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Per correlazione: https://www.aladinpensiero.it/?p=58698
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Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi.

papa-francescoEconomia e distribuzione delle entrate*
di Francesco, papa

202. La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere, non solo per una esigenza pragmatica di ottenere risultati e di ordinare la società, ma per guarirla da una malattia che la rende fragile e indegna e che potrà solo portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità,[173] non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali.

203. La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale. Quante parole sono diventate scomode per questo sistema! Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia. Altre volte accade che queste parole diventino oggetto di una manipolazione opportunista che le disonora. La comoda indifferenza di fronte a queste questioni svuota la nostra vita e le nostre parole di ogni significato. La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo.

204. Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi.

205. Chiedo a Dio che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo! La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune.[174] Dobbiamo convincerci che la carità « è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici ».[175] Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale.

206. L’economia, come indica la stessa parola, dovrebbe essere l’arte di raggiungere un’adeguata amministrazione della casa comune, che è il mondo intero. Ogni azione economica di una certa portata, messa in atto in una parte del pianeta, si ripercuote sul tutto; perciò nessun governo può agire al di fuori di una comune responsabilità. Di fatto, diventa sempre più difficile individuare soluzioni a livello locale per le enormi contraddizioni globali, per cui la politica locale si riempie di problemi da risolvere. Se realmente vogliamo raggiungere una sana economia mondiale, c’è bisogno in questa fase storica di un modo più efficiente di interazione che, fatta salva la sovranità delle nazioni, assicuri il benessere economico di tutti i Paesi e non solo di pochi.

207. Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi. Facilmente finirà per essere sommersa dalla mondanità spirituale, dissimulata con pratiche religiose, con riunioni infeconde o con discorsi vuoti.

208. Se qualcuno si sente offeso dalle mie parole, gli dico che le esprimo con affetto e con la migliore delle intenzioni, lontano da qualunque interesse personale o ideologia politica. La mia parola non è quella di un nemico né di un oppositore. Mi interessa unicamente fare in modo che quelli che sono schiavi di una mentalità individualista, indifferente ed egoista, possano liberarsi da quelle indegne catene e raggiungano uno stile di vita e di pensiero più umano, più nobile, più fecondo, che dia dignità al loro passaggio su questa terra.

*Tratto da Evangelii Gaudium: Esortazione Apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale (24 novembre 2013)
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logo-vaticanDal sito web Sala stampa santa sede
ESORTAZIONE APOSTOLICA “EVANGELII GAUDIUM” DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI VESCOVI, AI PRESBITERI E AI DIACONI, ALLE PERSONE CONSACRATE E AI FEDELI LAICI SULL’ANNUNCIO DEL VANGELO NEL MONDO ATTUALE.

INDICE – segue –

Festival L.E.I. – lettura, emozione, intelligenza.

logo LEICompagnia B presenta
Festival L.E.I. – lettura, emozione, intelligenza
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Entra nel vivo la prima edizione del Festival LEI, acronimo che sta per Lettura, Emozione, Intelligenza. In cartellone una fitta serie di incontri con scrittori, filosofi e giornalisti di grande richiamo. Appuntamenti a Cagliari, Sassari, Nuoro e Olbia

Remo Bodei, Umberto Galimberti, Diego Fusaro, Gabriele Romagnoli, Gianluca Magi, Claudia De Lillo (alias Elasti), Vivian Lamarque, Paolo Crepet, Emanuele Bompan, Ester Viola, Ermanno Bencivenga, Giacomo Mazzariol, Giorgio Todde, Gianna Mazzini, Duccio Demetrio, Maurizio Pallante, Alessandra Ballerini, Matteo Mascia. Questi gli ospiti che dal prossimo 29 novembre e fino al 14 dicembre incontreranno il pubblico della prima edizione del festival LEI, organizzato dalla Compagnia B di Alice Capitanio tra Cagliar, Sassari, Olbia e Nuoro.
Iniziato lo scorso 26 settembre il festival si è caratterizzato, nella sua prima parte di programma, per una forte impronta sociale, con un calendario ricco di appuntamenti che nelle scorse settimane hanno portato i libri e la lettura dove solitamente non sono presenti, come le carceri o i reparti di bambini ospedalizzati.

INCONTRI CON GLI AUTORI - segue -

Fidel

Che y Fidel wiksedia di VannitolaMorto Fidel si scatena il popolo di pseudo storici e pseudo commentatori che, con l’animosità dei tifosi di squadre di calcio, si “avventano” sulla notizia. Penso invece che in questo momento sia opportuno cedere il passo allo sconforto per la scomparsa di un personaggio importante nel quadro politico mondiale e al dolore di gran parte del popolo cubano e dei suoi familiari. Lasciamo agli storici e agli analisti che realmente conoscono Castro e il castrismo, il compito di esprimere valutazioni e analisi su ciò che Fidel ha rappresentato. I cubani in esilio che festeggiano la morte con canti e balli, lasciamoli soli a festeggiare. Stanno in compagnia di alcuni giornali italiani che esultano per l’accaduto, il decesso di un leader novantenne, insieme a Trump che si dichiara felice, e con individui che sfogano la loro gioia liberatrice pensando che, essendo scomparso colui che loro definiscono l’ultimo comunista, la principale preoccupazione della loro vita ( il comunismo appunto) sia definitivamente scomparso dalla faccia della terra. Un consiglio per tutti. Pensate davvero che nel mondo non ci sia più bisogno di libertà, di uguaglianza, di giustizia sociale, di rivoluzione (pardon, scusate il termine, mi è scappato), volevo dire di cambiamento nella distribuzione della ricchezza? Non ne sarei cosi certo!
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democraziaoggiFidel, un mito, mai tramontato, dei miei anni verdi
di Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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- Comunque la si pensi, Fidel ha resistito a ben 11 presidenti Usa.
Fidel
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Dai gesuiti al fucile, la parabola di un rivoluzionario di buona famiglia
Aldo Garzia su il manifesto del 27 novembre 2016.
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Immigranti: “Si rendono necessari interventi qualificati per avviare processi di reale integrazione”

sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola.
sardegna-dibattito-si-fa-carico-181x300Migranti in Sardegna, cresce l’allarme per attentati e minacce agli amministratori.
La Sardegna ha accolto e ospita un numero di migranti perfino superiore e quello indicato nelle disposizioni per l’accoglienza che altre regioni stentano ad applicare. Una accoglienza ancora limitata a quella che definiamo “prima accoglienza” (alloggio, vitto e prima assistenza). Nulla a che vedere con il processo di organica integrazione, da molti auspicato, ma concretamente praticato soltanto in piccole realtà territoriali. Si avverte sempre più la mancanza di un progetto finalizzato all’inclusione dei migranti nella società sarda. Al momento una delle proposte operative che comincia a diffondersi tra gli Amministratori locali e nell’opinione pubblica è quella di destinare i migranti nelle comunità isolane dividendoli in piccoli gruppi. L’ipotesi è che l’inserimento di piccoli gruppi di migranti nelle comunità possa realizzarsi riducendo disagi, diffidenze e resistenze che, in presenza di gruppi più consistenti, talvolta si esprimono con manifestazioni di protesta e fermo rifiuto degli ospiti. Un fatto è certo. La proverbiale ospitalità dei sardi, in molte occasioni, si affievolisce quando si arriva alla prova dei fatti. Quando arrivano consistenti gruppi di persone solitamente percepite come “esterne e sconosciute” e, in conseguenza di ciò, immaginate come minacce per l’equilibrio sociale delle comunità. In Sardegna si registrano anche buone pratiche di accoglienza ma c’è pure tanto razzismo che sarebbe sbagliato non riconoscere o, in qualche modo, giustificare. I Sardi non sono esenti dalla piaga del razzismo, anche se finora ci era piaciuto credere il contrario. Tornano alla mente i famosi versi di una canzone di Giorgio Gaber a proposito del razzismo. In Virginia il signor Brown era l’uomo più antirazzista. Un giorno sua figlia sposò un uomo di colore, lui disse, bene. Ma non era di buon umore. Certamente dispiace dover constatare che l’accoglienza (che è parte del più generale concetto di ospitalità) resta tale soltanto fino a quando non ci si trova nella necessità di doverla applicare concretamente con individui provenienti da paesi lontani, in fuga da guerre, carestie e feroci dittatori. No este comente cumbidare s’istranzu in su zilleri. Minacce contro la Prefetta di Cagliari, rea di voler sistemare dei migranti in un edificio pubblico, attentato contro l’agriturismo di Buddusò che doveva accogliere un piccolo gruppo di ospiti, i fatti di Burcei, Monastir, Sassari – dove l’oggetto del contendere pare fosse l’utilizzo occasionale di un campetto da calcio da parte di gruppi di ragazzi stranieri – sono soltanto alcuni degli episodi più recenti. Tristi indicatori di un fenomeno di malcontento e violenza in preoccupante crescita. La sociologa Antonietta Mazzette, docente dell’Università di Sassari, sul quotidiano “La Nuova Sardegna”, ha evidenziato i risultati dell’ultimo report dell’Osservatorio sociale sulla criminalità promosso dall’ateneo sassarese. Dall’indagine emerge una situazione sicuramente preoccupante in termini di evoluzione della criminalità. Nei primi dieci mesi dell’anno sono stati registrati 325 atti intimidatori (a fronte dei 354 dell’intero 2015). Attività criminali che presentano segni di continuità rispetto alla pratica degli attentati nell’isola ma anche forti discontinuità e differenze per quanto riguarda le motivazioni esplicite alle quali tali atti sono riferiti. C’è una forte componente di razzismo nelle menti di chi compie queste azioni. L’intensificarsi delle forme di intimidazione violenta contro gli Amministratori locali starebbe a dimostrare, inoltre, quanto sia diffusa e consolidata tale pratica, sostanzialmente concepita come strumento di “controllo del territorio”. Si arriva perfino a considerate questi episodi delittuosi quasi come un fatto sociale normale (benché ingiustificato). Convinzione questa che talvolta è presente perfino nelle dichiarazioni pubbliche di alcuni amministratori locali che, pur condannando gli episodi, manifestano atteggiamenti, se non di giustificazione, quanto meno di “comprensione” e contestualizzazione dell’episodio che, in qualche modo, potrebbero concorrere ad attenuare la gravità dell’accaduto. Occorre affermare con forza e fermezza che gli episodi di contestazione e violenza contro gli Amministratori e le strutture pubbliche e private non sono soltanto manifestazioni del malessere sociale dell’isola ma qualcosa di molto più grave. Non è pensabile, né in alcun modo tollerabile, che eventi nuovi e straordinari quali l’arrivo di migranti in paesi e comunità del tutto impreparate ad accoglierli, si trasformino in attività violente piuttosto che in momenti di confronto finalizzati alla ricerca di soluzioni rispettose anche delle esigenze delle comunità ospitanti. Una situazione complessa e potenzialmente pericolosa che richiederebbe interventi ben definiti. Quelli suggeriti nell’analisi sviluppata dalla prof.ssa Mazzette, indicano come prioritaria l’esigenza di stroncare drasticamente l’attività di attentati alle strutture e di minacce agli Amministratori locali. Contemporaneamente però è indispensabile definire un organico progetto di accoglienza e integrazione. Si rendono necessari interventi qualificati per avviare processi di reale integrazione quali la conoscenza della lingua e della legislazione locale, la formazione professionale e l’inserimento in attività socialmente utili o in attività produttive. I Comuni devono poter disporre di strumenti e risorse adeguate per attivare un sistema di accoglienza razionale e compatibile con le sensibilità e le possibilità delle Comunità. Non farlo comporterebbe il rischio di innescare, anche nell’isola, fenomeni reattivi socialmente molto devastanti e difficilmente governabili.
- Giorgio Gaber “Un’idea”.
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Punt ‘e billetu
Lunedì 28 Novembre dalle 16:00 a Sassari, nell’Aula Magna dell’Ateneo in piazza Università 21, si terrà il seminario di studi “Criminalità violenta in Sardegna. Quali strumenti per contrastarla?”. L’iniziativa, organizzata dal Dipartimento Polcoming e dall’Osservatorio Sociale sulla Criminalità in Sardegna dell’Università di Sassari, continua la riflessione sulla criminalità in Sardegna a partire dal progetto di ricerca sul Sistema Informativo e governance delle politiche di intervento e contrasto dei fenomeni criminali, finanziato dalla Regione Sardegna (Fonte SardegnaSoprattutto).

Se il talento prendesse forma umana…

sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola
Ferdinand di Capitta“L’ultima trasfigurazione di Fernand” è l’ultimo romanzo di Alberto Capitta, in libreria da alcuni giorni. Goffredo Fofi, autorevole critico letterario, indica Capitta come il più originale dei nostri scrittori. Tra le sue pubblicazioni, per la casa editrice Il Maestrale, quattro romanzi. “Creaturine” (finalista al premio Strega nel 2005 e Premio Lo Straniero 2006; “Il cielo nevica” (2007): “Il giardino non esiste” (2008); “Alberi erranti e naufraghi” (2013). L’ultimo romanzo parla dell’arte dell’attore, di un personaggio Ferdinand Lieber, grande protagonista delle scene teatrali, dei suoi trionfi e dell’evoluzione della sua vita. In attesa di leggere il romanzo proponiamo una piccola parte della scheda predisposta dall’editore che, certamente, inviterà alla lettura del romanzo. “Il talento di Ferdinand è la recitazione, una autentica vocazione che gli permette d’inabissarsi nei personaggi fino al limite estremo della trasfigurazione nell’altro da sé”. Il giovane Ferdinand fa presto i conti con la benedetta maledizione di queste metamorfosi”.
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- “L’ultima trasfigurazione di Fernand” (247 pagine, 16 euro, edizioni Il Maestrale).

Trump e Trattati commerciali internazionali. La Cina è vicina

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di Vanni Tola.
Trump e il protezionismo, la rivoluzione nei commerci internazionali?
Ora che Donald Trump è diventato il presidente degli Stati Uniti e fa i conti con un ampio movimento popolare che non intende riconoscerlo come tale, cresce l’attenzione sul suo programma di governo. O meglio ci si interroga su quale e quanta parte degli obiettivi, indicati in campagna elettorale vorrà, dovrà e potrà realizzare. Uno dei temi forti della campagna elettorale del Presidente è stato il protezionismo. Trump ha manifestato esplicitamente di essere contrario agli accordi commerciali vigenti con il Messico e il Canada (Nafta) e con l’Asia (Tpp) e potrebbe mettere la parola fine alle trattative per la riforma dei commerci con l’Europa, assestando un colpo mortale al trattato Ttip, peraltro già in crisi ancora prima delle elezioni americane. Si cambia rotta, dunque. L’obiettivo del Presidente sarà proteggere e sviluppare le attività produttive e il lavoro dell’America prima di ogni altra cosa, con interventi, modalità e procedure ancora da definire o che si vanno delineando. La globalizzazione e l’istituzione di vaste aree di libero scambio, quindi, non saranno più il riferimento principale per gli Stati Uniti. I trattati internazionali diventano per Trump i nemici da battere. Sarebbero loro, a suo parere, gli strumenti di distruzione dell’industria e del lavoro americano. Appare evidente che tali propositi, se realizzati, potrebbero sconvolgere radicalmente il commercio internazionale invertendo i programmi di riorganizzazione degli stessi che i grandi trattati internazionali andavano definendo e perfezionando. Vediamo di comprendere meglio ciò che accade. L’elezione di Trump alla presidenza Usa è letta da molti analisti come la naturale conseguenza del progetto di globalizzazione dell’economia mondiale in atto (guidato dagli Stati Uniti) che sarebbe in crisi già dal lontano 2008. I commerci internazionali, infatti, vivono da allora una fase di crisi costante. Hanno cioè smesso di svolgere quel ruolo di promozione dello sviluppo della crescita che veniva loro attribuito. Da qui era nata la necessità di riconfigurare gli scambi commerciali internazionali con nuovi trattati. Trattati che il “trumpismo” mette seriamente in discussione, con buona pace dell’uscente Presidente Obama che, quei trattati, sperava di concluderli prima della scadenza del proprio mandato. Ci si avvia dunque verso una riedizione del protezionismo come negli anni Trenta? Potrebbe darsi ma non è detto. Non tutto ciò che Trump ha promesso col programma elettorale, potrà tradursi automaticamente in azioni concrete e coerenti col programma presentato. Il neopresidente dovrà, infatti, tenere conto di tanti altri fattori che potrebbero modificare i suoi proponimenti. Uno fra tutti il fatto che le multinazionali americane, che sono state le maggiori beneficiarie della globalizzazione, potrebbero avere molto da perdere da pratiche protezionistiche. Per tale motivo sono già iniziate le grandi manovre delle multinazionali con l’obiettivo palese di indurre il Presidente a rivedere o a contenere certi suoi orientamenti anti globalizzazione. Attraverso il Wall Street Journal, importante quotidiano economico-finanziario, sono state prospettate all’opinione pubblica e allo staff presidenziale, proposte e suggerimenti per “mitigare” lo spirito protezionista del neoeletto. In alternativa allo scontro “totale” contro i paesi concorrenti a colpi di dazi e barriere doganali, autorevoli e accreditati suggeritori del Presidente consigliano di avviare soltanto alcuni interventi mirati a difendere gli interessi americani ma con effetti meno devastanti di un rigido protezionismo diffuso. Per esempio misure anti dumping (strategia con cui i prodotti di un Paese sono immessi in commercio in un altro Paese a un prezzo inferiore al valore normale del prodotto) contro la Cina. Interventi contro i Paesi che praticano concorrenza sleale, la riforma dell’accordo Nafta con Messico e Canada, il rafforzamento degli accordi bilaterali con alcuni paesi maggiormente vicini agli interessi Usa quali Giappone e Regno Unito e la tutela del ruolo che gli Stati Uniti svolgono, in qualità di capo fila della politica dei mercati aperti. Soprattutto si tenta di richiamare l’attenzione di Trump sul fatto che il Tpp (Trans-Pacific Pertnership), l’accordo commerciale tra gli Usa e undici Paesi dell’area dell’oceano Pacifico – che mira alla realizzazione della più estesa area di libero scambio del mondo – è nato con l’obiettivo strategico di arginare la crescente influenza della Cina nell’area Asia-Pacifico. Rinunciare al Tpp quindi potrebbe significare lasciare alla Cina campo libero per i trattati commerciali nell’area asiatica e del Pacifico. Un problema non di poco conto per il neopresidente, uno dei tanti problemi che assillano il nuovo inquilino della Casa Bianca.