Risultato della ricerca: Vanni Tola

Oggi lunedì 23 ottobre 2017

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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copia-di-eu_direct_loc_4-5_ottobre_ok_001-2_2_2Ripresa economica… ma il lavoro dov’è? (1)
23 Ottobre 2017
democraziaoggiGianfranco Sabattini su Democraziaoggi.

Democraziaoggi pubblica la prima parte di un interessante articolo di Gianfranco Sabattini, autorevole economista dell’Ateneo di Cagliari, che spiega perché, nonostante la ripresa, il lavoro cala.
Questa riflessione approfondisce alcuni spunti emersi nel Convegno sul Lavoro organizzato il 4-5 ottobre sul quale il Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria intende tornare, ponendo il focus su tematiche oggi centrali: economia e illegalità, ambiente e lavoro, scuola e lavoro, economia sociale e solidale, dividendo sociale o reddito di cittadinanza ed altri ancora
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eddyburgSOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » POLITICA
Neoliberalismo: l’idea che ha inghiottito il mondo
di CARMENTHESISTER
vocidall’estero, 19 ottobre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews. Un articolo di Stephen Metcalf dal The Guardian sul pensiero che domina la nostra epoca: il neoliberalismo. (c.m.c.)
«Sul The Guardian, un approfondimento che risale alle origini del neoliberalismo per rintracciarne le caratteristiche peculiari e sottolineare l’ambizione di trasformare completamente la visione del mondo contenuta in quella “Grande Idea” di Von Hayek, che alla fine è riuscita a permeare completamente la società di oggi. Il neoliberalismo è divenuto l’idea dominante della nostra era, che venera la logica del mercato, deprivandoci delle capacità e dei valori che ci rendono più propriamente umani. (…)
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labsusRICERCHE
Un nuevo derecho para la administración compartida: il saggio in spagnolo di Gregorio Arena
Filippo Maria Giordano – 10 ottobre 2017, su LabSus.
Il sito LabSus pubblica per la sezione “Ricerche” un saggio in lingua spagnola di Gregorio Arena, Un Nuevo Derecho para la administracíon compartida de los bienes comunes. La experiencia italiana, apparso recentemente sulla “Revista de Administracíon Pública”.
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lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. Grave provocazione della Giunta regionale contro il Movimento Pastori Sardi, la più importante organizzazione di lavoratori dell’Isola. Di Vanni Tola.
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Domani a Cagliari incontro contro il Rosatellum e il Porceddum
23 Ottobre 2017
Su Democraziaoggi.

Oggi domenica 22 ottobre 2017

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lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. Grave provocazione della Giunta regionale contro il Movimento Pastori Sardi, la più importante organizzazione di lavoratori dell’Isola. Di Vanni Tola.
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- Approfondimenti su Unica.
democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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eddyburgSOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » POLITICA
Neoliberalismo: l’idea che ha inghiottito il mondo
di CARMENTHESISTER
vocidall’estero, 19 ottobre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews. Un articolo di Stephen Metcalf dal The Guardian sul pensiero che domina la nostra epoca: il neoliberalismo. (c.m.c.)
«Sul The Guardian, un approfondimento che risale alle origini del neoliberalismo per rintracciarne le caratteristiche peculiari e sottolineare l’ambizione di trasformare completamente la visione del mondo contenuta in quella “Grande Idea” di Von Hayek, che alla fine è riuscita a permeare completamente la società di oggi. Il neoliberalismo è divenuto l’idea dominante della nostra era, che venera la logica del mercato, deprivandoci delle capacità e dei valori che ci rendono più propriamente umani. (…)
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labsusRICERCHE
Un nuevo derecho para la administración compartida: il saggio in spagnolo di Gregorio Arena
Filippo Maria Giordano – 10 ottobre 2017, su LabSus.
Il sito LabSus pubblica per la sezione “Ricerche” un saggio in lingua spagnola di Gregorio Arena, Un Nuevo Derecho para la administracíon compartida de los bienes comunes. La experiencia italiana, apparso recentemente sulla “Revista de Administracíon Pública”.
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Nuxis: sulle tracce di Benedetta di Massa
22 Ottobre 2017
democraziaoggi
Roberto Porrà su Democraziaoggi.
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lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. Grave provocazione della Giunta regionale contro il Movimento Pastori Sardi, la più importante organizzazione di lavoratori dell’Isola. Di Vanni Tola.
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Grave provocazione della Giunta regionale contro il Movimento Pastori Sardi, la più importante organizzazione di lavoratori dell’Isola.

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sedia di Vannitoladi Vanni Tola
Chi comanda in Regione? Pigliaru e Ganau sapranno onorare gli impegni assunti o cederanno il passo al partito anti pastori e alle ottusità di funzionari e burocrati responsabili della crisi delle campagne per i ritardi storici nella distribuzione dei finanziamenti e dei contributi? Non è cosi che si affronta l’emergenza, non è cosi che si recupera il rapporto tra politica e lavoratori.

Il mese di Agosto del 2017 ha rappresentato il maggior momento di tensione tra i lavoratori della campagne e la Regione a causa di una straordinaria crisi caratterizzata da siccità, crollo del prezzo del latte e della carne degli agnelli, mancanza di risorse finanziarie per sostentare il bestiame. Un intero comparto economico isolano ha visto minacciare la sua stessa sopravvivenza con gli immaginabili danni che ciò avrebbe provocato nella già disastrata economia isolana. Migliaia di pastori, disperati ma determinati, sono scesi in piazza per denunciare la crisi della pastorizia. La Giunta regionale, i presidenti Pigliaru e Ganau e i rappresentanti del Consiglio hanno preso atto, si sono resi conto della disperata condizione dei pastori sardi e hanno assunto l’impegno di individuare ulteriori finanziamenti da aggiungere a quelli già previsti per fronteggiare l’emergenza. L’impegno è stato onorato in tempi brevi, lo stesso Movimento ne ha dato atto pubblicamente alla Giunta. Un bel momento di democrazia dal basso. Un movimento serio, organizzato, forte e radicato nel territorio, pone un problema alla politica regionale. La Giunta riconosce il Movimento come interlocutore valido e credibile e agisce di conseguenza. I guai cominciano subito dopo con le altre organizzazioni di categoria che si sentono scavalcate (e lo sono) dal Movimento, con i burocrati regionali che anziché attivarsi per sveltire l’erogazione dei finanziamenti sembrano quasi volerne rallentare e ostacolare l’applicazione, con un movimento di opinione, trasversale a tutte le forze politiche, che continua a manifestare comportamenti ostili verso i pastori organizzati. A molti piace continuare a sostenere l’immagine stereotipata dei pastori “ignoranti, brutti e cattivi”, immaginati come lavoratori abituati a vivere di contributi e sovvenzioni piuttosto che impegnarsi in seri processi di riforma e modernizzazione del comparto, personaggi violenti che disturbano la quiete sonnacchiosa del capoluogo cagliaritano con campanacci e talvolta perfino con le pecore. Pensa cosi chi non conosce assolutamente il mondo pastorale e ignora le reali condizioni di vita dei pastori. Costoro non conoscono o fingono di non conoscere l’impegno che il Movimento Pastori sta mettendo in pratica da tempo per promuovere una reale riforma del mondo pastorale, un importantissimo comparto dell’economia isolana. Accade cosi, nel paese degli evasori, dove quasi nessuno – tranne i dipendenti pubblici con prelievo in busta paga – compie il proprio dovere di contribuente verso il fisco, che qualcuno si premura di tutelare gli interessi della fiscalità. Da qui deriva il suggerimento agli organismi che devono erogare i finanziamenti ai pastori di verificare la situazione contributiva delle aziende e di subordinare la concessione del contributo al saldo preventivo del debito erariale. In pratica i debiti per contributi non versati all’Inps negli anni della crisi. Qualcuno propone che sul premio dovuto debba essere applicata preventivamente la compensazione con i debiti in atto. Una scelta scellerata, illogica, provocatoria che equivale a mettere un cerino in prossimità di un pagliaio. Chiunque può comprendere che in un momento di grave e straordinaria crisi del comparto il pastore è costretto a dirottare tutte le risorse finanziarie per fronteggiare il problema principale, dar da mangiare e da bere alle pecore e difendere l’azienda. Alle tasse e contributi si penserà in seguito. Chiunque può comprendere che decurtare il contributo dovuto per la sopravvivenza delle aziende della parte di denari dovuta all’erario significa impedire di fatto alle aziende stesse di tentare di sopravvivere. Chiunque può comprendere che tale operazione esaspererebbe oltre ogni ragionevole limite la disperazione e la rabbia dei pastori generando grande malcontento sociale e mettendo a repentaglio la stessa sicurezza pubblica salvaguardata sapientemente con l’accordo di Agosto. Ma c’è altro ancora su cui interrogarsi. A chi conviene far fare al Presidente Pigliaru e al Presidente Ganau la figura di quelli che non onorano gli impegni assunti e, ciò che più importa in Sardegna, non mantengono la parola data? E’ per questo motivo che la vicenda dei pastori sta diventa sempre più una questione dell’intera Sardegna. Allora torniamo a domandarci, chi comanda alla Regione? Quali giochi di palazzo sono in atto sulle spalle e alle spese dei pastori? E’ per questo motivo che la manifestazione del 31 Ottobre, come quella del mese di Agosto, dovrà essere una grande e pacifica manifestazione di massa dei pastori, con i sindaci, le famiglie, e tutti i sardi che non faranno mancare la loro solidarietà al mondo pastorale.
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Movimento Pastori Sardi. Pacta sunt servanda

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sedia di VannitolaLa Sedia
di Vanni Tola
Tensione tra i pastori per gli ostacoli nella corresponsione dei contributi straordinari per la crisi del comparto. La burocrazia regionale e le pressioni ostili di chi non ha “gradito” l’intesa del 2 Agosto sugli aiuti per la siccità potrebbero vanificare l’accordo ottenuto dal Movimento Pastori Sardi con la Giunta regionale.
Felice Floris e il Movimento Pastori Sardi hanno parlato chiaro. “Le promesse della Giunta ai pastori del 2 Agosto non vengono mantenute a causa della burocrazia. Gli allevatori si preparano a una nuova manifestazione a Cagliari e questa volta la rabbia sarà maggiore”. Casa è accaduto? Al momento della presentazione delle domande per ottenere i contributi promessi, i pastori hanno scoperto che per ottenere tali finanziamenti è previsto – in base a disposizioni magari legittime ma certamente discutibili in relazione al grave periodo di crisi – che le aziende debbano essere in regola con il pagamento delle tasse ordinarie, pena la decadenza del diritto al contributo stesso. Chiunque può comprendere che con la gravissima crisi determinata da una siccità straordinaria, dal crollo del prezzo del latte e della carne, i pastori hanno dovuto affrontare uno stato di emergenza fuori dall’ordinario. Una calamità che ha messo in ginocchio i più deboli, che ha messo in discussione non soltanto il reddito delle aziende pastorali ma perfino la loro stessa sopravvivenza con inimmaginabili danni economici e sociali per l’intero sistema economico sardo. E’ evidente che in tale situazione la preoccupazione principale e la scelta obbligata degli allevatori è stata quella di destinare tutte le risorse disponibili alla difesa dell’azienda, alla sopravvivenza del bestiame e non certo quella di onorare gli impegni con il fisco (che pure i pastori intendono rispettare). Subordinare oggi la concessione dei contributi alla preventiva regolarizzazione delle pendenze fiscali è un atto di viltà, una azione criminale che mina la relativa tranquillità e l’equilibrio che l’accordo MPS-Regione aveva determinato. (segue)

Tiu Franziscu

Grande lutto per la musica e la cultura sarda

img_3977Bulzi saluta tiu Franziscu Cubeddu, uno dei più importanti esponenti de su cantu a chiterra, Insieme al chitarrista Alfonso Merella è considerato il creatore del canto in Fa diesis. I funerali oggi alle ore 15,30 a Bulzi, nella chiesa di San Sebastiano.

Francesco Cubeddu è nato a Bulzi nel 1924, avrebbe compiuto 93 anni tra pochi giorni. Imparò a cantare fin da ragazzo seguendo le orme dei più grandi cantadores di quegli anni, Giovanni Gavino Degortes, Luigino Cossu e Antonio Desole. E’ stato protagonista di memorabili gare di cantu a chiterra in tutta la Sardegna arrivando perfino a registrare alcuni dischi per importanti case discografiche, cosa non usuale fra i cantadores sardi. Il suo esordio sui palchi è avvenuto nel paese di Perfugas all’età di 20 anni con una storica gara di canto alla quale parteciparono alcuni dei più famosi cantadores del tempo. Da allora è stato un crescendo di appuntamenti e di notorietà nelle piazze dell’isola e presso i circoli degli emigrati sardi nel mondo. Personaggio notissimo tra gli estimatori della musica tradizionale e del cuntu a chiterra in particolare, è considerato unanimemente uno dei più grandi cantadores di sempre. Si ricordano, tra gli altri brani eseguiti una memorabile versione di “sa disisperada”. Lascia la moglie e due figlie.
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Discografia:
- Saldigna mia, 33 giri, edito nel 1967 da Tank, Roma.
- Sardegna, 33 giri, edito nel 1970 da Amico, Milano.

Una pagina Facebook a lui dedicata:
https://www.facebook.com/Francesco-Cubeddu-di-Bulzi-1591851511029076/

Immagini tratte dal sito Francesco Cubeddu di Bulzi.

Ripensare la Sardegna. Un Nuovo Piano di Rinascita della Sardegna Possibile e Auspicabile

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di Roberto Mirasola

Ultimamente gli impegni politici mi portano spesso fuori Cagliari consentendomi un riscontro sempre più preciso delle ripercussioni nel territorio che ha avuto l’istituzione della città metropolitana con l’approvazione della Legge Regionale 2/2016 con la quale si è proceduto al riordino del sistema delle autonomie locali in Sardegna. La città metropolitana di Cagliari ha un senso se riuscirà a svolgere un ruolo guida al servizio dell’isola, se riuscirà ad essere motore per lo sviluppo economico di tutti, se riuscirà a redistribuire nel territorio le molte risorse che riceve sia dall’U.E. sia dal governo centrale. Questo del resto era previsto nella relazione introduttiva alla legge.
Il timore è che invece tutto sia incentrato nella sola città madre ovvero Cagliari. Queste stesse preoccupazioni hanno fatto si che durante il percorso legislativo che l’ha istituita si creassero polemiche dannose che hanno trovato il culmine nella localizzazione della sede dell’Ats a Sassari. Riforme di questo genere devono essere quanto mai condivise e devono unire e non dividere.
Il problema se vogliamo non riguarda la sola novità della città metropolitana ma l’intera riforma degli enti locali. Riforma incentrata sull’esigenza minima di razionalizzare la spesa senza preoccuparsi di dare un’adeguata risposta alle esigenze dei territori, perché non si è voluto tener conto delle differenze. Pensate alla provincia del Sud Sardegna con capoluogo a Carbonia ma che si estende fino all’Ogliastra (fagocitata dalla provincia di Nuoro). Si è pensato di aumentare gli enti senza curarsi delle conseguenze, con il rischio di un ulteriore spopolamento delle zone interne a vantaggio delle aree urbane più sviluppate e verso i centri costieri. Rischio rafforzato e purtroppo confermato dalla Legge sull’urbanistica.
Le riforme istituzionali dovrebbero essere incentrate in un’ottica di sviluppo locale oggi totalmente assente. L’altro giorno ho osservato con grande attenzione i dati sulla disoccupazione in Sardegna che ha ricavato Salvatore Multinu dalla lettura dei dati ISTAT. Così mentre il Sistema Informativo del Lavoro sostiene che l’occupazione su base annua aumenta del 3% i dati ricavati dall’Istat ci dicono che i disoccupati sono aumentati dal 2006 al 2016 del 6,6%. Certo lo stesso Sistema Informativo spiega che l’analisi di questi dati può indurre in errore travisando la realtà. A questo punto noi spostiamo la nostra visuale e chiediamoci come mai tra il 2007 e il 2016 ben 21.746 sardi sono emigrati all’estero e nel solo 2016 le persone che hanno lasciato l’isola sono ben 3.370. Se consideriamo che partono generalmente i laureati e i diplomati allora ci dobbiamo chiedere quale futuro può avere questa terra se molti tra i suoi figli migliori vanno via.
Dico queste cose perché i temi istituzionali e quelli dello sviluppo sono strettamente connessi e quando parliamo di sviluppo dobbiamo chiederci se è il caso di continuare con un sistema industriale completamente estraneo al contesto Sardo basato sulle importazioni più che sulle esportazioni, con industrie come la chimica, la petrolchimica, la produzione dell’alluminio che hanno portato disoccupazione e miseria lasciando tra l’altro l’ambiente circostante fortemente compromesso avendolo inquinato, oppure voltare pagina e puntare sulle energie rinnovabili, l’agroalimentare, l’economia del mare, il turismo e il rilancio della nostra agricoltura.
Concludo con una riflessione. Noi abbiamo bisogno di una Regione snella capace di decentrare funzioni alla periferia per stimolare la capacità a risolvere i problemi locali, che le consenta di concentrarsi maggiormente in un rapporto alla pari con lo Stato Centrale, perché non è pensabile che da una parte lo Stato declini le sue responsabilità e faccia sparire dalla Costituzione il tema delle isole e del mezzogiorno e dall’altra faccia onore all’impegno previsto dallo Statuto sardo che all’art.13 recita: lo Stato col concorso della Regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’isola. Forse è proprio dalla rivendicazione di un Nuovo Piano di Rinascita che occorre ripartire, unificando su questo grande obbiettivo i movimenti e i partiti che li sostengono e rappresentano.
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lampadadialadmicromicro133Recente dibattito su ipotesi di Nuovo Piano di Rinascita della Sardegna: Vanni Tola su Aladinews.

C’era una volta il Piano di Rinascita

nonno Qualcuno crede ancora nelle favole? C’era una volta il Piano di Rinascita, ventitré anni fa.

sedia di Vannitola La Sedia
di Vanni Tola

Questo racconto potrebbe iniziare come nella migliore tradizione favolistica. “C’era una volta, in una antica terra lontana circondata dal mare…” e via dicendo. Il nostro “C’era una volta” parte dalla fine del secolo scorso, più precisamente dal 1999. In quegli anni si concludeva la vicenda del Piano di Rinascita della Sardegna. Cosa è accaduto? Leggendo la narrazione dei fatti così come viene riportata dalla stampa regionale, nello specifico dal quotidiano “La Nuova Sardegna”, si apprende che lo Stato pagherà alla Regione 90 milioni di lire “scordati” nel 1999. L’ultima rata del Piano di Rinascita. Il titolo nelle pagine interne recita: “La Regione trova un tesoretto, 90 milioni dimenticati dal 1999”. L’autore della scoperta viene individuato nella persona dell’Assessore Raffaele Paci al quale si riconosce il merito di avere frugato sapientemente tra le pieghe dei bilanci e di avere trovato il tesoretto. La notizia è intrigante, curiosa, direi quasi sbalorditiva, merita una attenta lettura. Dalla puntuale ricostruzione giornalistica emerge che lo Stato doveva dei soldi alla Regione fin dal 1994, per l’esattezza ben 910 miliardi di lire (pari a 460 milioni di euro) da impiegare in interventi urgenti per sviluppo delle infrastrutture. I contributi statali erano erogati con rate annuali. Dell’ultima rata, quella del 1999 di 90 milioni di lire, non si aveva traccia. Nel 2015, cioè dopo 16 anni di “ritardo”, l’Assessorato al bilancio della regione Sardegna si è reso conto della mancata riscossione dell’ultima rata del finanziamento statale e del fatto che la vicenda Piano di Rinascita, dopo 23 anni, non si era ancora formalmente conclusa. Risparmiamo al lettore la ricostruzione dei diversi passaggi burocratici che si sono resi necessari per arrivare alla conclusione della vicenda. Si arriva così all’anno 2016 per registrare la presa d’atto del Cipe della avvenuta chiusura del Piano di Rinascita e il riconoscimento alla Regione Sardegna del credito dell’ultima rata del Piano, i 90 milioni di lire. Tali risorse, assicura l’Assessore competente, appena riscosse saranno impiegate per saldare i debiti con i Comuni e le imprese. E vissero a lungo felici e contenti. Ci si pone una domanda intrigante che suggerisce qualche riflessione. Quanto sono capienti e vaste le citate “pieghe di bilancio”? Ricordo soltanto, per restare in tempi recenti, che nel mese di luglio del corrente anno si è tenuto in Regione un incontro tra autorevoli rappresentanti della Giunta e le Organizzazioni professionali agricole e della cooperazione. In quella occasione emerse che per fronteggiare la crisi dell’agricoltura e il dramma della siccità la Giunta avrebbe erogato con urgenza 15 milioni di euro. Apparve a tutti come una grande vittoria del mondo contadino, il massimo che si potesse concedere per l’emergenza del comparto. Poche settimane dopo, con una grandiosa manifestazione del Movimento Pastori Sardi, scende in piazza la rabbia e la determinazione dei pastori che incontrono il Presidente Pigliaru e riescono a ottenere l’impegno della Giunta per reperire un ulteriore finanziamento di 30- 35 milioni di euro. In meno di un mese la Giunta riesce nel suo intento, trova e mette sul tavolo altri 30 milioni per la pastorizia. E dove li va a trovare? Naturalmente nelle pieghe del bilancio. Alcune considerazioni si impongono. Quanto sono estese e capienti queste pieghe del bilancio? E’ mai possibile che gli amministratori di una regione con gravi problemi occupazionali e la crisi in atto nei principali comparti produttivi non abbiano conoscenza, fin dall’inizio del loro mandato, di un quadro preciso e dettagliato delle risorse disponibili? La Giunta regionale, il Consiglio, gli apparati burocratici, sono organismi di programmazione e direzione di processi politici ed economici della regione. Tali istituzioni sono nelle mani di individui competenti o, come sembrerebbe, ci si avvale della abilità di improvvisati gestori delle emergenze? Fino a quando si continuerà a fare affidamento sulle pieghe del bilancio?

Catalogna

sedia di VannitolaUn’analisi sintetica e chiara sulla situazione in Spagna pubblicata da Manuel Castells, sul giornale La Vanguardia, Spagna
22 settembre 2017. (V.T.)
139534-md Il pugno di ferro contro la Catalogna è un errore
Il governo di Madrid ha scelto la repressione nei confronti degli indipendentisti catalani. Nessuna trattativa. È una strada molto pericolosa per la stabilità del paese.

INTERNAZIONALE.IT
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Scrive Domingo Gimeno Torrente.“Ci sono giuristi che dicono che con la costituzione spagnola si può indire il referendum. Io gli do retta, perché i signori del PP che oggi si coprono con quella costituzione e quella bandiera costituzionale hanno votato NO alla costituzione (il PP era allora AP, Alianza Popular) e signori come Aznar hanno scritto manifesti contro nei giornali. Comunque, le costituzioni servono per governare i popoli, non come strumento di oppressione. Prima del 2006 e la vergognosa (e anticostituzionale) modifica dello statuto di Autonomia votato con larga maggioranza nei parlamenti catalano e spagnolo, approvato da un Tribunal Constitucional politicizzato lottizzato e occupato dai partiti. Gli indipendentisti erano circa il 20 %, sino a due settimane fa il 48’5 % e saranno larga maggioranza nelle prossime elezioni, siano autonomiste o di qualsiasi tipo. Non ci vuol l’oracolo di Delfi per capirlo. Quindi sia detto con tutto il rispetto ma legalità oggi è stata largamente superata per quella della dignità. Quella di un popolo che non vuol più violenze e polizie che intervengono come forze di occupazione.” Dalla pag fb di Nicolò Migheli.
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Un nuovo Piano di Rinascita della Sardegna è possibile? Sì con la forza dell’impegno e della speranza dei Sardi, contro la rassegnazione e la disperazione

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di Vanni Tola.

sardegnaUN NUOVO PIANO DI RINASCITA PER LA SARDEGNA, ENDOGENO E AUTOCENTRATO

Parlare delle prospettive di lavoro e occupazione in Sardegna è possibile a condizione che si acquisiscano alcuni elementi fondamentali per rilevare la situazione attuale. Ne indicherei almeno due. Un’analisi puntuale delle caratteristiche del mancato sviluppo, dell’errata ipotesi di sviluppo che ha governato gli anni dei Piani di Rinascita. Una ricognizione accurata e non idealista delle reali potenzialità produttive e quindi occupazionali della nostra isola e in rapporto con il contesto economico e sociale della parte di mondo nella quale operiamo e con la quale dobbiamo confrontarci. Sintetizzando e rimandando, per brevità espositiva, ai numerosi e validi studi relativi agli anni della Rinascita mancata, direi che c’è un punto comune dal quale partire. Il modello di sviluppo prospettato dai Piani di Rinascita, per certi versi interno alle scelte per il contrasto del ritardo di sviluppo del meridione e quindi con elementi comuni rispetto ad altre aree geografiche dell’Italia, si è rivelato fallimentare per quanto concerneva l’incremento dell’occupazione e una migliore valorizzazione delle poche risorse isolane. Il sogno dell’industria di base (principalmente petrolchimica) concentrata nei “poli industriali”, che avrebbe dovuto generare intorno a se uno sviluppo industriale indotto e una complessiva crescita dell’economia regionale, non ha soddisfatto tali aspettative. Ha anzi concorso a drenare ingenti risorse finanziarie destinate alla Sardegna e a generare profitti che non sono stati reinvestiti nell’isola. Dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul banditismo in poi si è sviluppato un grande dibattito sulle cause del fallimento della politica della rinascita e sul fallimento dell’ipotesi di sviluppo industriale scelta dalla classe politica regionale e nazionale per la Sardegna. Tale riflessione deve costituire il punto di partenza di una nuova ipotesi di sviluppo che concentri l’attenzione e l’impiego delle risorse finanziarie nella direzione della valorizzazione delle risorse locali, prime fra tutte l’agro-pastorizia, l’industria alimentare e quella turistica. Ipotesi di sviluppo appunto, solo ipotesi, non sempre suffragate da validi studi di settore, spesso orientate a soddisfare i desideri di un immaginario collettivo piuttosto che rispondenti alle prospettive di sviluppo effettive che tali comparti produttivi sembravano indicare. Sono gli anni che mi piace definire “delle centralità ”. Una schiera infinita di analisti e tecnici di settore, per qualche decennio, non hanno fatto altro che indicare modelli di sviluppo che traessero origine dalla centralità del proprio comparto di appartenenza. E’ noto, mi si perdoni la battuta, che un cerchio, inteso come figura geometrica, ha un centro, uno solo, non si discute. In Sardegna invece si sono sprecati convegni, studi di settore, si sono scritti libri per dimostrare, di volta in volta, la centralità dell’agricoltura e della pastorizia, la centralità del turismo, la centralità della pesca, la centralità dei trasporti e via dicendo fino alla centralità della produzione di energia alternativa o della chimica verde. Tutte centralità descritte come potenzialmente in grado di innescare meccanismi di sviluppo dell’economia isolana con interessanti ricadute in termini di sviluppo, occupazione e benessere. Quando ci si è resi conto che è difficile immaginare un cerchio con molti centri si è passati alla fase degli abbinamenti tra comparti “centrali”. Sviluppare l’agricoltura per incrementare anche il turismo, sviluppare il comparto agro alimentare per creare una industria agro-alimentare in grado di trasformare i nostri prodotti e via dicendo. Va da se che ciascuna dichiarazione di centralità di un comparto celava la implicita richiesta di orientare i finanziamenti disponibili principalmente a quel comparto piuttosto che agli altri. Una triste e inconcludente lista di desideri. Nella realtà non si è andati oltre le corrette indicazioni per una ipotesi di sviluppo dell’isola che ponga al centro la valorizzazione delle risorse locali con riferimento ai nuovi contesti di politiche e scambi commerciali internazionali. Domandiamoci allora quali fattori, quali elementi hanno impedito lo sviluppo economico e socio culturale dell’isola. Cerchiamo di comprendere se la crisi occupazionale e dell’apparato industriale sardo debba essere esclusivamente attribuita a fattori congiunturali propri del contesto di crisi internazionale o alla oggettiva incapacità della politica regionale di orientare e gestire tali fantasiosi e mai realizzati proponimenti. C’è un’unica risposta da fare crescere la Sardegna e con essa l’occupazione dei Sardi, un nuovo Piano di Rinascita che un gruppo minoritario di intellettuali ha più volte indicato nei decenni passati proponendo e immaginando un Piano di sviluppo “endogeno e autocentrato”. Endogeno nel senso che deve trarre origine dalla valorizzazione delle risorse locali (quelle vere) e delle capacità di sviluppo del sistema Sardegna. Autocentrato nel senso che la sua realizzazione non dovrà rispondere a interessi di altri centri di potere che non siano quelli esistenti e operanti in Sardegna sotto un reale governo della Giunta Regionale. I vecchi Piani di Rinascita sono stati funzionali a una idea di sviluppo che ruotava intorno alla diffusione di un modello di crescita che poneva al centro lo sviluppo dei poli petrolchimici per la chimica di base, prospettando una miracolosa “discesa a valle” delle produzioni con la creazione di un indotto mai nato nell’isola.
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Rivisitare il saggio di Benedetto Croce. PERCHÉ NON POSSIAMO DIRCI CRISTIANI SENZA IL CRISTIANESIMO

copia-di-fullsizerender-41Rivisitare il saggio di Croce
PERCHÉ NON POSSIAMO DIRCI CRISTIANI SENZA IL CRISTIANESIMO

L’operazione crociana, infondata ieri, non è riproponibile oggi. Comincia invece un tempo in cui le Chiese e le fedi, liberate dall’abbraccio col potere, possono ripartire dai poveri e curare le ferite di un’umanità dolente

di Raniero La Valle

Pubblichiamo il discorso tenuto da Raniero La Valle il 9 giugno scorso alla Facoltà teologica di Cagliari, nel quadro di una iniziativa promossa dal MEIC volta a una rivisitazione del saggio di Benedetto Croce “Perché non possiamo non dirci cristiani” (ripreso da chiesadituttichiesadeipoveri).

“Perché non possiamo non dirci cristiani” è il titolo di un famoso saggio di Benedetto Croce, che è una specie di patriarca della cultura italiana del Novecento. Il saggio uscì per la prima volta su “La Critica” del 20 novembre 1942, e poi fu ripubblicato più volte.

Il titolo, più ancora del saggio, ha fatto storia, perché si presenta come il biglietto da visita di una civiltà intera: è la civiltà europea di cui Croce si sente espressione e interprete che rivendica per sé il nome di cristiana. Ma è un biglietto da visita fuorviante, che esprime piuttosto una vanteria che un’identità; ed è una vanteria altamente mistificatoria e profondamente non vera; essa però è stata tanto ripetuta come se fosse ovvia, da diventare un luogo comune. Con la secolarizzazione questo luogo comune è caduto in disuso, però non manca chi ancora vi fa ricorso per certe battaglie politiche identitarie come quelle oggi in voga contro immigrati, stranieri e musulmani.

L’equivoco della formula crociana consiste nel travisamento del suo oggetto: ciò di cui parla è infatti un cristianesimo senza Vangelo, una cristianità senza cristianesimo e, si può aggiungere, un cristianesimo nonostante la Chiesa. Il Dio di questo cristianesimo, dice Croce, non è Zeus, né Jahvè, né il Wodan del paganesimo germanico (che Croce cita perché nel ’42 aveva a che fare con Hitler); ma con ogni evidenza non è nemmeno il Dio di Gesù. Perciò un cristianesimo senza Cristo. Croce parla quindi di ciò che non conosce. Lo coglie nella storia degli effetti, ma non ne riconosce l’essenza, non ne capisce le cause. Negli effetti il cristianesimo gli appare straordinario. È stato, egli dice, la più grande rivoluzione nella storia dell’umanità, tale che di un’altra religione o rivelazione come questa non si sa se mai potrà essercene un’altra pari o maggiore; in ogni caso non se ne vede ora il minimo barlume. È stata una rivoluzione senza eguali perché ha operato nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e consiste in sostanza nella scoperta della congiunzione dell’umano e del divino nell’uomo. Ed è vero: senonché di questo Croce nega la causa e l’origine; sì, all’origine ci sono Gesù, Paolo, Giovanni, ma Dio non c’è, se non come un nuovo concetto pensato dall’uomo. È un Dio nuovo, non più immobile e inerte, che però non è altro dal mondo, non si dà come miracolo, bensì è un parto della storia, dice Croce; e non è mistero ma è visibile; non visibile all’occhio della logica astratta e intellettualistica, ma all’occhio della “logica concreta”.

Questo cristianesimo al netto del Dio di Gesù Cristo ha prodotto eventi storici straordinari. Ma Croce distingue un prima e un dopo. C’è una prima fase – dopo quella della Chiesa nascente – che è il periodo trionfante della Chiesa, che foggia se stessa fissando il suo impianto dogmatico e organizzativo; questa Chiesa, ben piantata dopo le leggi di Costantino e di Teodosio, fino al Medio Evo e agli inizi dell’età moderna passa di successo in successo. Quello che Croce descrive non è però il cammino della Chiesa, è piuttosto l’ascesa della cristianità. La cristianità, come la definiamo oggi, è quel mondo dominato dalla Chiesa che a partire da Costantino si costruisce come un sistema totale che unisce religione, cultura, politica e istituzioni in una identità storica che si contrappone alle altre identità storiche. E qui l’entusiasmo crociano mette all’attivo della Chiesa cristiana cattolica molte cose: ci mette la lotta alle eresie, la ripresa dei fasti dell’impero romano, il “cristianizzamento e romanizzamento e incivilimento dei germani e di altri barbari”, la “difesa contro l’Islam, minaccioso alla civiltà europea”; ma ancora di più, Croce giunge a riconoscere che ”a giusto titolo la Chiesa affermò il suo diritto di dominio sul mondo intero, quali che nel fatto fossero sovente le perversioni o le inversioni di questo diritto”. Più di questo non si potrebbe concedere. Né a togliere merito a questa Chiesa valgono, secondo Croce, le accuse che le furono fatte per “la corruttela dei suoi papi, del suo clero e dei suoi frati”, perché corruttela c’è in ogni organismo; del resto quelli che Croce chiama “i suoi errori accidentali e superficiali” non impedirono alla Chiesa – egli dice – di riportare “i trionfi migliori nelle terre di recente scoperte del Nuovo Mondo”.

E questa è la prima fase come descritta dal filosofo. Ma a partire da lì c’è un dopo, c’è l’era della modernità con cui la Chiesa di Roma entra in conflitto e che nell’Ottocento condannerà in blocco nel Sillabo. E qui Croce opera un transfert della rappresentatività cristiana che dalla Chiesa, rimasta irretita nell’assetto dogmatico fissato dal Concilio di Trento, sarebbe passata “ai continuatori effettivi dell’opera religiosa del cristianesimo”, che ne sarebbero stati i veri interpreti, anche se affetti da “talune parvenze anticristiane” o addirittura fuori del cristianesimo e della Chiesa, ma “tanto più intensamente cristiani perché liberi”. E l’elenco è lungo. Ci sono gli uomini dell’Umanesimo e del Rinascimento, della Riforma e dell’Illuminismo, della rivoluzione francese, del diritto naturale, della scienza moderna, della filosofia dello Spirito (fino a Hegel) e del liberalismo. Per la Chiesa era blasfemo chiamarli cristiani, e invece sono proprio loro, rivendica Benedetto Croce, che non possono non dirsi cristiani.

E qui si pone un problema di discernimento anche per noi. Perché è vero che nei confronti degli uomini e delle donne dell’ illuminismo e della modernità c’è una riparazione da fare e una vulgata da correggere; infatti moltissimi di loro che la Chiesa di Roma ha disconosciuto come cristiani, cristiani lo erano, molti addirittura teologi o pastori. In questo senso il rinominarli come cristiani da parte di Croce è storicamente fondato.

Tuttavia Croce, avendo staccato l’albero dalle sue radici, la cristianità dal cristianesimo, e la religione dal mistero, ha perso la capacità di vedere dove sta o cade il potersi dire cristiani, ha perso la capacità di vedere il punto in cui il cristianesimo si rovescia nel suo contrario, e ciò che si dice cristiano, perfino nella Chiesa, non lo è più o non lo è mai stato. E, solo per fare un esempio, è Croce stesso che ci fa vedere come Hegel non possa dirsi cristiano, e come lui stesso non possa dirsi cristiano, quando ambedue parlano degli indiani “scoperti” in America in termini seccamente razzisti ed opposti al Vangelo, come di non uomini, quasi animali, ripugnanti allo spirito europeo.

È un’osservazione questa più volte fatta dal filosofo del diritto Luigi Ferrajoli a proposito della conquista dell’America. Egli cita Hegel, che in Lezioni sulla filosofia della storia, (1837, La Nuova Italia, Firenze 1975), «fornisce di questi popoli una rappresentazione apertamente razzista: “Dal tempo in cui gli Euro­pei sono ap­prodati in Ameri­ca, gl’indi­ge­ni sono scomparsi a poco a poco, al soffio del­l’at­tività euro­pea” (p. 222). Ciò dipende, dice Hegel, dal­l’”infe­riori­tà di questi individui sotto ogni a­spetto, persino quanto a statura” (ivi, p.224), ana­loga del re­sto a quella della “fauna ame­ri­cana”, i cui “leoni, tigri, cocco­dril­li… hanno bensì una somiglianza con le specie corrispondenti del Vecchio Mondo, ma sono sotto ogni aspet­to più picco­li, debo­li, meno po­tenti” (ivi, pp.222‑223). Per questo, conclu­de Hegel, “gli abi­tan­ti delle isole delle Indie occiden­tali sono estinti” e “le stirpi dell’A­merica del Nord in parte sono scom­par­se, in parte si sono ritira­te, al contatto con gli Euro­pei” (ivi, p.223): per la loro “costitu­zione debo­le, ten­do­no a scompari­re al contatto di po­poli più civi­lizza­ti, di cul­tura più intensa” (ivi, p.223)». Così scriveva Hegel. Ma poi arriva Croce: «Purtroppo – dice Ferrajoli – questa immagine delle stirpi del­l’America del Nord che “scom­paiono” e “si ritirano al contatto con gli Europei” piacque al nostro Benedetto Croce, che la riprese con accenti altrettanto razzisti: gli uomini, egli dice, si di­stin­guono “tra uomini che appartengono alla storia e uomini della natura (Natur­völker), uomini capaci di svolgimento e uomini di ciò incapaci; e verso la seconda classe di esseri, che zoologica­mente e non sto­ricamente sono uomini, si esercita, come verso gli animali, il dominio, e si cerca di addomesticarli e di addestrar­li, e in cer­ti casi, quando altro non si può, si lascia che viva­no ai margi­ni, vietan­dosi la crudeltà che è colpa contro ogni forma di vita, ma la­sciando altresì che di essa si estingua la stirpe, come accadde di quelle razze americane che si ritiravano e morivano (secondo l’immagine che piacque) dinanzi alla civiltà, da loro insopporta­bile. Si tenta certamente dapprima, e ci si sforza, di svegliarli ad uomini, mercé delle conversioni religio­se, della dura disci­plina, della paziente educazione ed istruzio­ne, e di stimoli e castighi politici, che è ciò che si chiama l’incivili­mento dei barbari e l’umanamento dei selvaggi. Ma se questo, e finché que­sto, non vien fatto, in qual modo si può ave­re comuni ricordi e sentimenti con loro, che si ostinano a non entrare nel­la storia, la quale è lotta di libertà? E purtroppo questi repugnanti, questi inconvertibili, s’incontrano anche frammezzo alle nostre società civili, né aveva tutti i torti Ce­sare Lombroso quando formava la classe dei ‘delinquenti nati’ o ‘di natura’, incarcerati o messi a morte per la necessaria difesa sociale” (Filosofia e storiogra­fia, Laterza, Bari 1949, pp. 247‑248)».

Queste non sono certo parole cristiane. Ora questa operazione crociana di una cristianità senza il mistero di Dio e senza il vangelo era sbagliata ieri e sarebbe improponibile oggi; perché quando con la perdita del potere temporale e con la secolarizzazione questa cristianità è finita, non sarebbe rimasto più niente del cristianesimo se nella sua tradizione non si fosse conservata la traccia delle origini e se Dio non avesse continuato ad essere evocato nella sua parola e presente nel suo popolo. Invece è proprio questo miracolo, ignorato da Croce, del Cristo vissuto come Risorto e dello Spirito inviato da lui che ha permesso il rinnovamento della Chiesa del Novecento, dal Concilio Vaticano II a papa Francesco, portandoci alla soglia di un’epoca nuova.

È finito il regime di cristianità

E veniamo così al tempo di oggi. Abbandonata la presunzione del “non possiamo non dirci cristiani”, che oggi sarebbe l’alibi di un conservatorismo tradizionalista e di un settarismo identitario, dobbiamo interrogarci più a fondo sulla fase critica che stiamo vivendo.

Credo che bisogna partire dal chiedersi qual è il significato del pontificato di papa Francesco, che è la vera grande novità del terzo millennio appena iniziato, e che è la vera risposta e la vera alternativa alla via senza uscita teorizzata da Croce.

Che cosa sta succedendo con papa Francesco?

Succede che il papato romano riconosce e proclama lui stesso che è finito il regime di cristianità, cioè appunto quel modo di essere del cristianesimo nella storia che Benedetto Croce aveva esaltato come una ideologia e come un potere terreno. Già col Concilio Vaticano II questa ideologia era stata considerata decaduta, ma ancora non ne erano state tratte tutte le conseguenze, e questa è una delle cause non ultime per cui per cinquant’anni è stata così difficile la ricezione e l’attuazione del Concilio nella Chiesa. Ma col pontificato di papa Francesco questo passaggio avviene nel modo più esplicito; e la data in cui si può simbolicamente fissare questa svolta è il 6 maggio dell’anno scorso (2016) quando il papa incontrò a Roma i leaders europei per ricevere il premio Carlo Magno, il premio cioè intitolato al re che è il simbolo supremo dell’impero cristiano.

Secondo l’interpretazione che autorevolmente ne ha dato la Civiltà Cattolica, in quella occasione papa Francesco ha celebrato e sancito la fine del regime di cristianità, cioè di quel processo che supponeva la Chiesa come la realizzazione stessa del Regno di Dio sulla terra, e quindi faceva della Chiesa la vera sovrana terrena. Simbolicamente quel giorno Francesco ha ritirato la corona che nella notte di Natale dell’anno 800 in San Pietro il papa Leone III aveva messo sulla testa dell’imperatore, non per riprendere in mano il potere, ma per rimetterlo al suo posto, là dove il potere nasce, nel popolo, per restituirlo a Cesare, per sottoporlo al diritto, per affidarlo all’autonomia ma anche alla suprema responsabilità della politica.

Con questo gesto la Chiesa rinunziava a porsi come erede di un’Europa o di un Occidente la cui pretesa fosse di non poter non dirsi cristiani. Del resto in un severo discorso al Parlamento di Strasburgo il 25 novembre 2014 il papa aveva messo in discussione l’identità cristiana dell’Europa. Aveva detto come in un mondo sempre più globale e perciò meno eurocentrico l’Europa apparisse sempre più invecchiata e compressa; aveva osservato come neppure in Europa fossero mancate nel corso dei secoli molteplici violenze e discriminazioni contro la dignità umana, e come anche oggi persistano fin troppe situazioni in cui gli esseri umani sono trattati come oggetti che possono essere buttati via quando non servono più perché diventati deboli, malati o vecchi; aveva rivendicato la concezione dell’uomo come essere sociale, ben fondata nel pensiero europeo, ma oggi a rischio di perdersi nell’individualismo, sicché una delle malattie più diffuse oggi in Europa è la solitudine, propria di chi è privo di legami, come si vede particolarmente negli anziani spesso abbandonati, nei giovani senza futuro, nei poveri che numerosi popolano le nostre città, negli occhi smarriti dei migranti venuti qui a cercare un migliore futuro; aveva aggiunto come da più parti si avvertisse un’impressione generale di stanchezza e di invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vitale, per cui i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembravano aver perso forza attrattiva.

Nel discorso per il premio Carlo Magno il papa riprendeva poi questi concetti parlando di un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice, un’Europa tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione; un’Europa che si va “trincerando” invece di privilegiare azioni che promuovano nuovi dinamismi nella società, generando processi piuttosto che proteggere spazi (cfr. Esort. ap. Evangelii gaudium, 223); ed esclamava: “Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”. E quanto alla Chiesa diceva che il suo compito era l’annuncio del Vangelo, “che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo” (dunque non un regno, ma un ospedale da campo!). “Dio – aggiungeva – desidera abitare tra gli uomini, ma può farlo solo attraverso uomini e donne che siano toccati da Lui e vivano il Vangelo senza cercare altro”: senza cercare altro. E pochi giorni dopo, il 9 maggio, il papa stesso in un’intervista al quotidiano francese La Croix, dava l’interpretazione autentica di quanto stava avvenendo. Egli spiegava che Chiesa ed Europa sono due entità diverse; per questo lui non parla di radici cristiane dell’Europa, perché teme il tono con cui se ne parla, che può essere trionfalista o vendicativo. Il rapporto della Chiesa con l’Europa consiste nella lavanda dei piedi, cioè nel servizio. “Il dovere del cristianesimo per l’Europa – ha detto il papa – è il servizio”. E qui ha fatto una citazione che è un po’ la chiave di volta per mettere in chiaro il suo pensiero, ha citato il gesuita Erich Przyvara, “grande maestro di Romano Guardini e di Hans Urs von Balthasar”, il quale ha scritto che “l’apporto del cristianesimo a una cultura è quello di Cristo con la lavanda dei piedi, ossia il servizio e il dono della vita”. Tradotto, vuol dire che l’Europa cammina nella storia e la Chiesa le lava i piedi e le dona la vita.

Dunque, nella visione di papa Francesco, non c’è più una cristianità da rivendicare, né un’Europa di cui esaltare la continuità con le radici. Si riparte invece dalla situazione originaria del Vangelo. Questa è la novità. Ed è in forza di ciò che, parlando all’ONU, per la prima volta il papa ha proclamato “il dominio incontrastato del diritto”, e ha rivendicato, d’accordo con le Costituzioni moderne, la divisione e la limitazione dei poteri, E questa è una liberazione anche per la Chiesa che, non più compromessa col potere, può tornare dai poveri, sempre dominati dal potere; e pertanto è una Chiesa che non si identifica più con la società tutta, ma si riconosce solo come una parte di essa, e per questo le può fare da ospedale e, come distinta da lei, le può offrire misericordia. E può anche riconoscerla nelle sue diversità: perché le radici sono tante e la gloria dell’Europa è proprio quella di averle accolte, integrate e fatte crescere e fortificare insieme, sia che fossero cattoliche, o di altre Chiese cristiane, o non cristiane

Non si deve pensare però che l’uscita dal sistema di cristianità sia un processo facile e comporti solo una rinuncia al potere temporale della Chiesa. Uscire dal regime di cristianità vuol dire anche correggere le dottrine dipendenti da quella teologia. Per questo il papa è oggi duramente attaccato, anche in casa sua. È chiaro ad esempio che la dottrina del Grande Inquisitore, immortalata da Dostoewskij (i miracoli in cambio della libertà), deve essere abbandonata. Ma non solo. Lo stesso papa Benedetto XVI ha dato a suo tempo nelle sue omelie una lettura diversa da quella tradizionale sul peccato originale, e più di recente, già papa emerito, ha definito “in sé del tutto errata” la teoria anselmiana del sacrificio del Figlio inteso come riparazione pretesa dal Padre per l’offesa ricevuta a causa del peccato dell’uomo. Una teologia durata per secoli che si dichiara oggi del tutto errata. E una nuova immagine di Dio è stata affermata dalla Commissione Teologica Internazionale quando ha detto che il cristianesimo ha preso definitivo congedo da ogni idea di un Dio violento e vendicatore. Tuttavia l’aggiornamento dottrinale è un processo difficile. Si è visto come sia stato difficile nel caso del matrimonio e come è difficile correggere le dottrine che contrastano con la misericordia, parola pressoché assente in tutto il magistero pontificio dell’800 e del primo ‘900, fino a quando è stata assunta come nuova opzione della Chiesa nel discorso di inaugurazione del Concilio di Giovanni XXIII.

Il significato del pontificato di Francesco

E allora si può capire la portata della svolta che consiste nell’uscire dalla cristianità per far vivere il cristianesimo. Essa significa riconoscere fino in fondo che la Chiesa non è il cristianesimo realizzato, come il socialismo reale, ne è solo il segno e lo strumento, come dice il Concilio; non è la società umana trasformata in regno di Dio, è invece quella che, spoglia del potere, con forza profetica dice al potere che il re è nudo, che l’economia uccide, che il denaro domina e che l’umanità per nessuna ragione, né politica, né economica, né religiosa può essere divisa in eletti e scartati.

Uscire dal regime di cristianità comporta perciò una comprensione più avanzata di che cosa significhi la signoria di Dio e il regno di Dio annunciato come vicino.

Ed ecco allora che il complesso di queste circostanze ci porta a chiederci che cosa sta succedendo nella storia della salvezza, e se oggi sulla scia della novità intervenuta col pontificato di Francesco, non si possa presagire l’avvento di un’epoca nuova, a partire da un nuovo annunzio di Dio. È questa l’ipotesi che è stata messa a tema dai gruppi ecclesiali che si riconoscono nel movimento e nel sito che in occasione dei cinquant’anni dal Concilio ha preso il nome di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”. A tal fine essi hanno promosso un’Assemblea nazionale a Roma per Il prossimo 2 dicembre che avrà come tema: “Ma viene un tempo ed è questo”

L’idea che ispira questa iniziativa è che il tempo non si è fermato, che il progresso storico non è ricacciato indietro dalla tempesta della crisi e che, nonostante tutto, viene un tempo nuovo ed è questo (sempre se gli lasciamo aperto anche un piccolo varco per il quale possa entrare).

“Ma viene un tempo ed è questo” è una citazione delle parole di Gesù alla Samaritana nel vangelo di Giovanni, quando accanto al pozzo di Giacobbe, a Sicar, Gesù dice alla donna straniera (e perciò lo dice a tutte le genti): “verrà un tempo ed è questo, in cui né a Gerusalemme nè su un altro monte adorerete Dio, ma adorerete il Padre in spirito e verità”. Era quello l’annunzio messianico di un nuovo tempo della storia della salvezza. Non a caso ciò avveniva a Sicar, proprio lì dove Giosuè aveva proposto al popolo uscito dall’Egitto di servire non altri dii o idoli, ma il Dio di Israele, stabilendo così l’alleanza di Sichem. Gesù, molti secoli dopo nello stesso luogo propone una nuova alleanza di tutte le genti, e forse di tutte le religioni, per adorare il Padre in spirito e verità.

È proprio il pontificato di papa Francesco che fa pensare a questo nuovo tempo che viene. Egli ha rimesso nel cuore della Chiesa il tema messianico. Aprendo ogni giorno il vangelo al popolo, egli ha ristabilito un continuo rimando, che si era perduto, dal Messia al Padre, ha scrostato dal volto di Dio la patina di errate dottrine onde si credeva di rendergli onore, ha annunciato un Dio non violento ed è arrivato a proporre la non violenza come stile radicale di vita agli uomini e agli ordinamenti. In tal modo egli si è ricongiunto al grande tema messianico di Isaia e di Michea delle lanci trasformate in falci, oltrepassando i confini della Chiesa istituita e mettendo la misericordia, contro i falsi messianismi, al centro della storia del mondo e della salvaguardia del creato.

Sicché noi oggi possiamo di nuovo idealmente andare a Sicar, per incontrarci e dare effettività alla seconda alleanza promossa da Gesù al pozzo di Giacobbe. E possiamo sognare ed avere visioni.

E prima di tutto possiamo sperare (e operare perché accada) che a partire da Sicar si ristabilisca la comunione tra ebrei e samaritani, che oggi si chiamano palestinesi, e quindi la pace tra Israele e Palestina; e poi che a partire dal Padre adorato in spirito e verità, si realizzi l’incontro e la comunione tra cristianesimo e Islam, e tra le religioni abramitiche e tutte le religioni i popoli le lingue e le culture della terra.

E ciò è necessario oggi, quando tutto è diventato globale, ma ciò che non è globale, ciò che non è stato messo in comune è lo spirito di cui vive il mondo; non sono patrimonio comune la giustizia e il diritto, la condiscendenza e l’accoglienza, i saperi e gli aneliti, l’amore di Dio e l’amore del prossimo.

In questa contraddizione c’è l’alternativa tra l’epoca nuova e la catastrofe.

Perché questa alternativa possa risolversi per il bene, occorre che le religioni si convertano. Non basta che la conversione sia del cristianesimo (dove pure recalcitra), occorre che sia di tutte le religioni. Non si tratta solo di dialogo, ma di una nuova creazione. Il Dio nonviolento non è solo il Dio inedito ora annunciato dalla Chiesa, è il Dio nascosto da portare alla luce in ogni religione o fede teista; la lettura storico-critica e sapienziale delle Scritture non deve essere solo della Bibbia, ma deve esserlo del Corano e di ogni testo sacro; il discernimento tra il Dio dell’ira e della vendetta e il Dio della misericordia e del perdono deve essere non solo dei battezzati, ma dei confessanti di ogni fede, pur ciascuno restando un tassello del poliedro.

Questo sembra il tempo nuovo che non solo la Chiesa ripartita dal Concilio e fatta scendere in strada da Francesco, ma tutti noi abbiamo oggi il compito di annunciare e di far accadere.

Raniero La Valle

Cagliari, 9 giugno 2017, Facoltà Teologica

Primo giorno di scuola

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sedia di VannitolaPrimo giorno di scuola, buon anno scolastico a tutti, alunni, insegnanti e genitori. Nessun suggerimento, gli insegnanti capaci sanno fare bene il loro “mestiere” e lo faranno certamente. Auspico semplicemente che la scuola aiuti tutti a comprendere la situazione attuale del paese, il contesto europeo e mondiale, i problemi reali delle persone. Mi auguro che la Scuola possa contribuire a fare comprendere i problemi del mondo per costruire una società migliore. Parlare delle diseguaglianze sociali, della fame e della miseria, della condizione dell’Africa, delle cause delle grandi migrazioni. Parlare della Pace e delle guerre in corso, della difesa dei diritti civili. Insegnare la democrazia e la libertà e il significato profondo del razzismo e del fascismo da combattere e contrastare. Non penso che debba fare tutto l’istituzione scolastica ma sono convinto che gli insegnanti capaci possono fare e faranno molto. Buon lavoro.

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oggi mercoledì 6 settembre 2017

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lampadadialadmicromicro13xxxSPOPOLAMENTO: “Nell’arco di cinque anni (2011-2015) la popolazione sarda residente diminuisce di 12.125 individui. L’Isola perde abitanti e, diversamente dal passato, i flussi migratori non riescono a compensare il calo demografico dovuto alla dinamica naturale (nascite e decessi)”. Di questo dobbiamo parlare e non solo parlare. Su Aladinews.
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Serie ipotesi, statistiche, sfide reali. Studiare fa (più) felici
Studiare fa (più) felici
Leonardo Becchetti
domenica 27 agosto 2017, su Avvenire.
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lampada aladin micromicroGli editoriali di Aladinews. IL PROCESSO DI INDUSTRIALIZZAZIONE IN SARDEGNA NEI DOCUMENTARI DAGLI ANNI ’50 AI GIORNI NOSTRI
di Antonello Zanda
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democraziaoggiLa vocazione imperiale Usa e le promesse di Trump
6 Settembre 2017
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Donald Trump ha vinto le elezioni promettendo ai “dimenticati d’America”, cioè a coloro che sono stati vittime della politica dei suoi più immediati predecessori, di riscattarli dalle condizioni economiche disagiate cui sono stati costretti; in particolare, dalle modalità con cui negli ultimi decenni sarebbe stata “governata” la globalizzazione.
Connotato essenziale di ogni struttura imperiale americana […]

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logo76 www.chiesadituttichiesadeipoveri.it . Newsletter n° 31 del 5 settembre 2017

Cari Amici,
mentre Minniti e Renzi, alla ricerca dei consensi perduti, tripudiano perché, trattenuti gli sbarchi, un po’ meno di inferno tracima da noi; e mentre giornali e TV si eccitano alla caccia dei branchi di marocchini e di neri che secondo i loro notiziari dilagano per le spiagge italiane stuprando e violentando altri stranieri e “diversi” e magari anche le native (dicono neri, non negri, e “maghrebini”, perché sono politicamente corretti) Moni Ovadia ammonisce in TV: “attenti, siamo alle leggi (e al clima) di Norimberga”. Moni Ovadia rivendica di essere ebreo, e di sapere bene perciò di che cosa parla. Si tratta di tre leggi approvate all’unanimità nel 1935 dal Reichstag durante il settimo congresso del partito nazionalsocialista tedesco (attenzione: all’unanimità, senza unanimità non possono far nulla). La prima legge, sulla cittadinanza, stabiliva che soltanto chi avesse sangue tedesco potesse essere cittadino del Reich, la seconda, ”per la protezione del sangue e dell’onore tedesco”, proibiva il matrimonio e i rapporti extraconiugali tra ebrei e non ebrei, e la terza, “sulla bandiera del Reich” stabiliva che la croce uncinata diventasse il simbolo sulla bandiera nazionale.
– segue –

Oggi sabato 26 agosto 2017

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. Avviso ai naviganti. Considerato il periodo estivo l’aggiornamento del sito non è ancora regolare. Ma il sito non ha chiuso per ferie e riprenderà a tutto ritmo a settembre. Comunque ancora Buone vacanze a tutti!

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lampada aladin micromicrosedia di VannitolaGli editoriali di Aladinews. IL MOVIMENTO PASTORI SARDI GUIDA LA LOTTA PER LA RIFORMA DEL PASTORALISMO, di Vanni Tola.
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democraziaoggiGramsci e il nascente americanismo
26 Agosto 2017

A Gianni Fresu su Democraziaoggi.
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Oggi venerdì 25 agosto 2017

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. Avviso ai naviganti. Considerato il periodo estivo l’aggiornamento del sito potrebbe non essere ancora regolare. Ma il sito non ha chiuso per ferie e a settembre riprenderà a pieno ritmo. Comunque ancora Buone vacanze a tutti!

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SOCIETÀ E POLITICA » CAPITALISMO OGGI
eddyburgAppello all’Onu: “Fermate i soldati-robot, sono un pericolo per l’umanità”
di GIULIANO ALUFFI
Non aprite il vaso di Pandora! Quando il progresso della tecnologia ha come motore la ricerca di profitto e di potere il rischio che corre l’umanità è la sua estinzione. L’accorata denuncia di una nuova catastrofe. R.it scienze, online, 21 agosto 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews.
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lampada aladin micromicrosedia di VannitolaGli editoriali di Aladinews. IL MOVIMENTO PASTORI SARDI GUIDA LA LOTTA PER LA RIFORMA DEL PASTORALISMO, di Vanni Tola.
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democraziaoggiPresentazione del libro “Autonomia Sarda” di Umberto Cardia
25 Agosto 2017

Mario Melis
Cagliari, 7 febbraio 2000 – Associazione “ Amici del Libro” Presentazione del libro “Autonomia Sarda – Un’idea che attraversa i secoli” di Umberto Cardia.
Su Democraziaoggi, oggi.
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Movimento Pastori Sardi: avanti seguendo il programma tracciato!

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sedia di Vannitoladi Vanni Tola.
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IL MOVIMENTO PASTORI SARDI GUIDA LA LOTTA PER LA RIFORMA DEL PASTORALISMO.

Con la grande manifestazione del 2 Agosto a Cagliari, il Movimento Pastori Sardi conferma la sua indiscussa leadership tra le Associazioni dei lavoratori agricoli. Oltre quattromila persone in piazza con molti giovani, donne e bambini, la presenza di 60 Sindaci dei comuni a prevalente economia pastorale, hanno mostrato la grande capacità di mobilitazione e la notevole forza di persuasione che il Movimento riesce a esercitare nei confronti delle Istituzioni regionali. E il risultato politico ed economico non è mancato. Il Presidente della Regione Pigliaru, già alla conclusione della manifestazione, ha infatti dovuto assumere l’impegno ufficiale di reperire, entro il mese di Agosto, un ulteriore finanziamento di 35 milioni di euro per fronteggiare la gravissima e drammatica crisi della pastorizia che mette a repentaglio l’esistenza stessa di migliaia di aziende pastorali. Sapremo tra alcuni giorni se l’impegno assunto da Pigliaru sarà mantenuto ma diversi segnali autorizzano a pensare che lo sarà. Inizia cosi una nuova stagione di mobilitazione del Movimento Pastori per affrontare e risolvere i principali problemi del comparto: l’irrisorio prezzo del latte e della carne, la cronica siccità, la disponibilità di infrastrutture e servizi per le aziende pastorali – la cui mancanza limita le potenzialità produttive dell’allevamento – la organizzazione delle catene distributive dei prodotti. Disordinata e scomposta invece è apparsa la reazione delle altre Organizzazioni del settore agricolo, soprattutto della Coldiretti, che ha mal digerito l’innegabile successo del Movimento Pastori Sardi in termini di capacità di mobilitazione e di risultati conseguiti. Dapprima si è assistito a una serie di commenti che mettevano in dubbio la capacità e la volontà della Regione di mantenere gli impegni assunti con i Pastori. Successivamente si è passati ai toni forti, al tentativo di fare la voce grossa annunciando per il 5 Settembre una manifestazione dei lavoratori agricoli e precisando perfino che sarà una manifestazione “dura e combattiva”. E’ fin troppo evidente il tentativo della Coldiretti di recuperare, anche agli occhi dei propri associati, una credibilità notevolmente ridimensionata anche per il fatto che, pochi giorni prima della manifestazione dei Pastori, le Organizzazioni professionali agricole si erano dovute accontentare di risulti molto più modesti nell’incontro istituzionale del mese di Luglio.
Il Movimento Pastori Sardi, dal suo canto, mantiene la barra diritta seguendo il proprio programma con attenzione, prudenza e vigilanza. La prossima tappa sarà quella di verificare, entro il 25 Agosto, il mantenimento degli impegni assunti dalla Giunta. Successivamente si proseguirà con le manifestazioni pubbliche negli aeroporti programmate da tempo per sensibilizzare l’opinione pubblica nel merito della crisi della pastorizia sarda. E’ sempre più indispensabile però concorrere a ripensare e riorganizzare le politiche regionali per la pastorizia e l’agricoltura con una efficace azione di riforma dell’intero comparto. Per tale motivo, superata l’attuale fase emergenziale, il Movimento Pastori Sardi si proporrà come interlocutore principale della Regione con l’obiettivo di avviare una effettiva e duratura valorizzazione del comparto pastorale da realizzare con una legge ad hoc sul pastoralismo che riscatti il comparto da una condizione di precarietà perenne ed emergenza continua.
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——————Documentazione—————
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Per il Movimento Pastori Sardi resta valido il periodo di tregua fino al 25 agosto. Questo tempoil MPS lo ha detto più voltedeve servire alla politica per rendere concreta la promessa dei 35milioni di euro. Se, invece, il MPS si rende conto che nulla è stato fatto, lunedì 28 Agosto i pastori saranno all’aeroporto di Olbia e la prima settimana di settembre a Cagliari come già da tempo annunciato, naturalmente il MPS va avanti seguendo il programma già tracciato. Quei soldi servono a sfamare le pecore perciò servono adesso!
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Cagliari, 2 agosto 2017: Manifestazione dei pastori sardi. (Fotocronaca di Vanni Tola).
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mps-1_2- Pastori sardi su Aladinews.
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- La pagina fb del MPS.
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- L’articolo di Vanni Tola sulla pag. fb del MPS.
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65251_113969351998233_758825_nIl documento del MPS
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- Le pecore “beni comuni” dei sardi.pecore-300x221
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- La foto in testa è di Claudia Zuncheddu (da fb).
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