Risultato della ricerca: povertà
Per una Costituzione della Terra
di Luigi Ferrajoli, su CRS.
L’umanità si trova oggi di fronte ad emergenze e a sfide globali che mettono in pericolo la sua stessa sopravvivenza: le devastazioni ambientali e il rischio di una prossima inabitabilità del pianeta, la minaccia nucleare generata da migliaia di testate atomiche, la crescita della povertà e la morte per fame o per malattie non curate di milioni di esseri umani, le ondate migratorie di masse crescenti di persone che fuggono dalla miseria, dagli sconvolgimenti climatici, dalle guerre civili e dalle persecuzioni politiche. Tutto questo è ormai da molti anni sotto gli occhi di tutti. Anche di quanti ne sono responsabili, dai governanti ai grandi attori dell’economia mondiale. Eppure continuiamo tutti a comportarci come se fossimo le ultime generazioni che vivono sulla Terra.
Non basta quindi denunciare. Al pessimismo paralizzante delle diagnosi è necessario opporre una risposta politica e istituzionale all’altezza delle sfide globali. Questa risposta non può che consistere nell’imposizione di limiti e vincoli ai poteri dei mercati globali e degli Stati sovrani. Per porre fine all’azione devastatrice della natura e garantire la pace, la dignità, i beni vitali e i diritti fondamentali di tutti gli esseri umani.
Da qui la proposta avanzata nell’appello del 27 dicembre 2019, poi ripresa dalla Scuola “Costituente Terra” che inaugurammo a Roma il 21 febbraio 2020 di un patto costituzionale tra tutti i popoli del mondo, in grado di garantire la loro convivenza pacifica e, prima ancora, le condizioni della vita sul nostro pianeta. Non si tratta di un progetto irrealistico. Al contrario è la sola risposta razionale e realistica alle terribili emergenze che ci minacciano. Come la pandemia del Covid-19 ha mostrato i diritti fondamentali e i principi della pace e tutela dell’ambiente sono assicurati, in un mondo interdipendente, solo dall’introduzione di garanzie di carattere pubblico e globale.
Il progetto di costituzionalismo sovranazionale offre un concreto obiettivo strategico alle lotte sociali contro le tante emergenze in atto. Tanto più necessario, quanto più siamo consapevoli delle difficoltà di realizzare risultati adeguati. Una Costituzione della Terra è il programma politico in grado di unificare le lotte di migliaia di associazioni in tutto il mondo: dalle battaglie civili in difesa dell’ambiente a quelle a sostegno della garanzia universale dell’acqua potabile, dai movimenti pacifisti per il disarmo nucleare alle mobilitazioni per l’uguale garanzia del diritto alla salute di tutti gli esseri umani, da quelle contro la povertà e la fame nel mondo fino alle lotte a sostegno dei diritti alla sopravvivenza oggi negati ai migranti.
Ci è sembrato opportuno, nei mesi di inerzia imposta dal Covid, scrivere una bozza di costituzione per facilitare il dibattito, gli emendamenti e le integrazioni sulle questioni normative più rilevanti. Su invito del Comitato esecutivo della Scuola “Costituente Terra” ho elaborato un testo di cento articoli, divisi in due parti: la prima formata dai principi di giustizia sostanziale, ovvero i fini e la ragion d’essere della Costituzione della Terra; la seconda dedicata all’organizzazione di istituzioni globali, previste dalla Costituzione quali strumenti idonei per la realizzazione delle finalità stabilite.
Una Costituzione della Terra è assai diversa da tutte le carte vigenti, per i problemi globali a cui deve rispondere, del tutto sconosciuti ad altre epoche, e per la tutela di nuovi diritti e nuovi beni vitali contro nuove aggressioni che richiedono sistemi di garanzie, ben più incisivi e complessi di quelli tramandati dalla nostra tradizione giuridica. Non mi nascondo il carattere all’apparenza utopistico di molte proposte. Ma lo scopo di questo progetto è di disegnare un modello-limite, quanto più possibile idoneo a garantire effettivamente i principi di giustizia proclamati nelle tante carte dei diritti che affollano i nostri ordinamenti.
Dopo una premessa nella quale viene parafrasato l’incipit della Carta delle Nazioni Unite, vi sono quattro titoli su: principi supremi, diritti fondamentali, beni fondamentali e beni illeciti. I principi supremi sono la ragion d’essere della Costituzione della Terra, i diritti fondamentali sono i diritti universali scritti nelle carte costituzionali avanzate: i diritti di libertà, i diritti sociali, i diritti politici e i diritti civili. I beni fondamentali e i beni illeciti sono le due novità di questa Costituzione, riguardando le sfide e le emergenze globali – umanitarie, ecologiche e nucleari – che il linguaggio individualistico dei diritti non sempre è in grado di affrontare.
I beni fondamentali sono beni vitali sottratti al mercato: i beni personalissimi, quali l’integrità del corpo umano e l’identità delle persone; i beni sociali, che includono tutti i farmaci salva-vita e i vaccini, la cui garanzia universale prevede l’esclusione della loro brevettabilità e, comunque, la possibilità, già prevista dall’articolo 31 dell’Accordo sui diritti di proprietà intellettuale (TRIPS), del loro uso, in caso di emergenza, senza il consenso dei loro titolari; i beni comuni – l’aria, l’acqua potabile, i grandi ghiacciai e le grandi foreste – garantiti da molteplici tutele, a cominciare dalla loro qualificazione come beni appartenenti a un demanio planetario. I beni illeciti sono i beni micidiali, che minacciano la vita delle persone e di popoli interi e dei quali, perciò, viene pattuito il divieto della produzione e/o del commercio e/o della detenzione: le armi atomiche, le armi da fuoco, i rifiuti tossici o comunque pericolosi, le energie non rinnovabili con le connesse emissioni di gas serra.
Anche la seconda parte è divisa in quattro titoli. Il primo definisce ruolo e competenze della Federazione della Terra quale istituzione aperta all’adesione di tutti gli Stati. Il secondo è dedicato alle istituzioni e alle funzioni globali di governo, già previste dalla Carta delle Nazioni Unite: l’Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza, il Consiglio economico e sociale e il Segretariato. Ne è stipulata la democratizzazione politica, con il compito di dar vita alle istituzioni globali di garanzia e le funzioni di pubblica sicurezza internazionale e di governo sovranazionale dell’economia. A parte queste funzioni di carattere globale, è bene che le funzioni di governo restino prevalentemente in capo agli Stati nazionali, poiché la loro legittimità dipende dalla loro rappresentatività politica.
Ma per la costruzione di una sfera pubblica mondiale è decisivo creare istituzioni e funzioni globali di garanzia, legittimate a livello globale, anche in forma contro-maggioritaria, al fine di garantire l’ effettiva uguaglianza nei diritti, la tutela e l’accesso ai beni fondamentali, la protezione dai beni illeciti. Sono indicate nelle due sezioni del titolo terzo, la prima dedicata alle istituzioni e funzioni di garanzia primaria dei principi sanciti dalla Costituzione – pace, salute, alimentazione di base, istruzione, ambiente lavoro; la seconda dedicata alle istituzioni e funzioni di garanzia secondaria, ovvero di accertamento e riparazione giurisdizionale delle violazioni, per commissione o per omissione e, insieme, alla soluzione delle controversie internazionali.
Per un verso si prevede il rafforzamento di istituzioni esistenti, quali l’Oms, la Fao, l’Unesco e l’Organizzazione internazionale del lavoro, cosicché possa realizzarsi effettivamente la garanzia universale dei diritti sopra indicati. Vengono inoltre introdotte, o riformate, altre istituzioni di garanzia primaria in riferimento all’attuazione, ai principi e ai diritti inseriti nella Costituzione. È previsto un Consiglio internazionale per i diritti umani, che coordini l’organizzazione delle attività delle diverse istituzioni e distribuisca tra loro le risorse necessarie. Le istituzioni introdotte sono l’Agenzia dell’ambiente, con un demanio planetario dei beni naturali identificati come vitali, e il controllo dei divieti dei gas serra e dei rifiuti tossici e micidiali; l’Organizzazione delle prestazioni sociali, per la sussistenza delle persone; l’Agenzia dell’acqua, per l’accesso all’acqua potabile; e il Comitato delle comunicazioni digitali, a garanzia dei diritti umani che possano esserne lesi. È infine prevista a garanzia della pace, la stipula di patti per la messa al bando delle armi e per lo scioglimento – auspicato da Immanuel Kant – degli eserciti nazionali.
Quanto alle istituzioni di garanzia secondaria, sono estese le competenze della Corte internazionale di giustizia ad altre controversie nelle quali siano coinvolti gli Stati, ed è resa obbligatoria la sua giurisdizione; anche la giurisdizione della Corte penale internazionale è estesa alle gravi lesioni dei diritti di libertà da parte di regimi dispotici, alla produzione e al commercio illeciti di armi e alle violenze dirette a impedire l’esercizio dei diritti fondamentali, incluso il diritto di emigrare.
Le due nuove giurisdizioni sono ancora più importanti. La prima è la Corte costituzionale globale, il cui ruolo di controllo sull’invalidità di qualsiasi fonte normativa in contrasto con la Costituzione della Terra pone tali norme al vertice del sistema delle fonti, conferendole la rigidità, che è tratto distintivo del garantismo costituzionale.
La seconda è la Corte per “i crimini di sistema”, chiamata ad accertare le cause e a far cessare violazioni gravissime di diritti o di beni fondamentali, che non sono riconducibili alla responsabilità penale di persone determinate, ma dovute all’irresponsabilità, irrazionale, del sistema politico ed economico: quali le devastazioni ambientali, i rischi di conflitti nucleari, la crescita della fame e della povertà nelle periferie del mondo.
Il titolo quarto della parte seconda è dedicato alle istituzioni economiche e finanziarie. Si tratta di istituzioni già esistenti: la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale, istituiti nel 1945 a seguito degli accordi di Bretton Woods, e l’Organizzazione mondiale del Commercio, istituita nel 1995. Sono riformati i criteri di formazione dei loro organi dirigenti, il cui controllo da parte dei paesi più ricchi, ha reso inefficace, o ha addirittura capovolto, la finalità, prevista dai loro statuti, di promozione dello sviluppo dei paesi poveri e di riduzione degli squilibri economici. Vengono inoltre previsti un bilancio planetario e un fisco globale, con indicazioni dettagliate, onde renderle effettivamente vincolanti, sia delle quote di bilancio che delle aliquote fiscali. Il fisco globale si compone di svariate tassazioni di attività globali, a cominciare dall’uso fino ad oggi gratuito di beni comuni, e di un’imposizione fiscale fortemente progressiva sulle grandi ricchezze e sugli altissimi redditi. Il bilancio planetario consiste nell’assegnazione alle diverse istituzioni globali, e soprattutto a quelle di garanzia primaria, di quote minime delle entrate fiscali dirette a finanziarne le attività.
Riprendo, in conclusione di questa illustrazione della Costituzione della Terra, ne riporto l’incipit che ne riassume lo spirito e l’ispirazione di fondo.
Costituzione della Terra
Noi, abitanti della Terra, che nel corso delle ultime generazioni abbiamo accumulato armi micidiali in grado di distruggere più volte l’umanità, abbiamo devastato l’ambiente naturale e messo in pericolo, con le nostre attività produttive, l’abitabilità del nostro pianeta;
consapevoli della catastrofe ecologica che incombe sulla Terra, del nesso che lega la sopravvivenza dell’umanità e la salvaguardia del pianeta e del rischio che, per la prima volta nella storia, il genere umano, a causa delle nostre aggressioni alla natura, possa avviarsi all’estinzione;
decisi a salvare la Terra e le generazioni future dai flagelli dello sviluppo insostenibile, delle guerre, dei dispotismi, della crescita della povertà e della fame, che hanno già provocato devastazioni irreversibili al nostro ambiente naturale, milioni di morti ogni anno, lesioni gravissime della dignità delle persone e un’infinità di indicibili privazioni e sofferenze;
decisi a vivere insieme, nessuno escluso, in pace, senza armi mortali, senza fame e senza muri ostili, a garantire un futuro alla specie umana e alle altre specie viventi, a realizzare l’uguaglianza nei diritti fondamentali e la solidarietà tra tutti gli esseri umani e ad assicurare loro le garanzie della vita, della dignità, delle libertà, della salute, dell’istruzione e dei minimi vitali, promuoviamo un processo costituente della Federazione della Terra, aperto all’adesione di tutti gli Stati esistenti e finalizzato alla stipulazione di questo patto di convivenza pacifica e di solidarietà.
Che fare? Dove andare?
Dopo il Covid svolta a sinistra
Rachele Gonnelli
Sbilanciamoci! 11 Maggio 2021 | Sezione: Apertura, Politica.
Un testo per il nuovo riformismo con proposte per la ripresa post pandemica e sollecitazioni sul ruolo dello Stato e le riforme necessarie. Lo hanno elaborato una cinquantina di economisti e intellettuali dopo mesi di discussioni online, sintetizzato da Biasco, Mastropaolo e Tocci.
C’è sempre qualcuno che brechtianamente riprende il discorso e cerca di riparare agli errori fatti per dare nuova vita a una sinistra ormai povera di idee e di programmi, sconfitta e travolta da sé stessa più che dagli insulti della storia e dall’egemonia del fronte opposto. Così il gruppo di economisti, politologi e intellettuali riuniti nella rete “Ripensare la cultura politica della sinistra” ha elaborato una sintesi della serie di webinar interni svolti a partire dalla fine di dicembre fino ai primi di marzo.
Il documento, lungo una trentina di pagine, si intitola “Governare la società del dopo Covid” e si confronta con il momento attuale, l’alba di una nuova era almeno per quanto riguarda il ruolo e la responsabilità dello Stato e quindi della politica nel progettare e intervenire direttamente nella trasformazione economica e sociale dell’Italia, provata dalla pandemia e dai postumi di un’adesione anche culturale alle logiche del neoliberismo. È uno sforzo di elaborazione e di sintesi ammirevole, firmato alla fine da Salvatore Biasco, Alfio Mastropaolo e Walter Tocci, ma al quale hanno partecipato una cinquantina di intellettuali, tra i quali Nadia Urbinati e Laura Pennacchi, ma anche Gianfranco Dosi, Andrea Roventini, Gianfranco Viesti e Maurizio Franzini e altri che da anni collaborano anche con le elaborazioni della campagna Sbilanciamoci!.
L’assunto iniziale è che “la sconfitta della sinistra” e quindi la caduta del governo Conte bis non possa essere rubricata “solo come una questione di numeri parlamentari” ma debba essere invece inquadrata in una perdita di egemonia dalle radici profonde e che il Pd, “trasformato in partito d’opinione”, da solo non riesce e non riuscirà a superare. Il rischio che si vede profilarsi è quello che una gran parte dell’elettorato “fuori dalla Ztl” pesantemente colpito dalla crescita delle diseguaglianze aggravate dalla pandemia e dai processi di marginalizzazione e precarizzazione si rifugi nell’astensione o perda definitivamente l’interesse per un progetto di “socialismo democratico” e partecipativo, al quale gli estensori del documento vogliono ancorarsi agganciandosi alla società civile del Terzo settore, dei sindacati, dei movimenti di cittadinanza attiva e anche ai pezzi di partiti della sinistra ancora “non omologati”. L’idea è quindi quella di rilanciare un “grande progetto di trasformazione sociale”, un progetto deliberatamente riformista che parte dalla constatazione che “il capitalismo anche se ha i secoli contati in questa epoca non ha alternative”. E tuttavia il capitalismo può essere riorientato, attraverso una politica coerente e attraverso, appunto, lo Stato, piegato in una sua forma meno vorace dal punto di vista ambientale e più equa dal punto di vista dei “diritti universali”.
Per quanto riguarda l’Italia di oggi e del Pnrr appena abbozzato, due sono le riforme che vengono messe in primo piano: quella della pubblica amministrazione con una modernizzazione che non vada verso la creazione di nuove agenzie o verso nuove privatizzazioni e il rafforzamento della scuola pubblica, intesa anche come polo di attrazione di un vivere civile associato ai beni comuni, alle comunità territoriali, alla cittadinanza partecipata e non ultimo ad un grande piano di educazione degli adulti e formazione permanente. Come obiettivo di fondo si vuole superare la frantumazione della società e del mondo del lavoro, si vuole cioè agevolare una ricomposizione sociale, sia con lo strumento di un nuovo Statuto dei lavori che evoca quello da tempo proposto dalla Cgil, sia in termini più esistenziali e culturali riaffermare la possibilità di una “felicità collettiva”, battendo una tendenza contraria antropologicamente in atto.
Il documento si sofferma sulla necessità di una redistribuzione dei redditi, proponendo una riforma fiscale più progressiva che tocchi anche le “valutazioni patrimoniali dei cespiti” insieme a strumenti in grado di premiare l’uso produttivo dei capitali. Qui non si entra nel dettaglio, non si delineano percentuali e scaglioni di aliquote. Si tratteggia semplicemente i luoghi degli interventi: il grande patrimonio ereditario, la finanza speculativa, l’evasione fiscale sia dei redditi da capitale che si impiantano nei paradisi fiscali sia dei professionisti autonomi e delle piccole e medie imprese la cui elusione è finora coperta dal mancato incrocio dei dati rilevanti sul piano fiscale. Oltre a chiedere un impegno contro la superfetazione di norme che hanno ingigantito la bolla burocratica fino a rasentare la paralisi delle pubbliche amministrazioni, il documento pur senza parlare esplicitamente di un ritocco del Titolo V, nota come la pandemia abbia messo in evidenza l’inefficienza di una eccessiva regionalizzazione in settori come la sanità e le politiche attive del lavoro. Si evidenzia quindi una esigenza di sfoltimento di norme e semplificazione e di ringiovanimento e ammodernamento del personale pubblico.
Complessivamente il testo si pone con un evidente intento di apertura di un dibattito anche tra diverse anime quindi non entra nel dettaglio e appare piuttosto come una piattaforma iniziale di mediazione, per la rinascita di un pensiero riformista che dovrà trovare altre voci e altre gambe. Inoltre i temi trattati sono tutti di natura più economica che sociale. Così si avvertono alcuni vuoti, soprattutto sul welfare, sul reddito di cittadinanza, sull’essenziale riforma degli ammortizzatori sociali (si propende in ogni caso per l’introduzione di un salario minimo orario) e su questioni che pure riguardano i piani industriali e gli input da dare alle imprese partecipate dallo Stato come la riconversione dell’industria bellica. Rispetto ad una proposta di inasprimento della Web Tax, stranamente si ripropone invece, senza dettaglio, la “bit tax” degli anni ’90 che intendeva rincorrere i flussi di traffico sul web anziché i fatturati delle multinazionali.
Alla fine della lettura resta la sensazione di uno sforzo di organicità e di prospettiva che potrebbe davvero essere utile se non per un partito sinceramente socialdemocratico, almeno per un campo più ampio di coalizione.
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Che succede?
RIFORMARE IL CAPITALISMO, LOTTARE CONTRO LA POVERTA’…
14 Maggio 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
Ugo Colombino, “Riformare il capitalismo, si può. Ma come?” (lavoce.info). Stefano Lepri, “Per aiutare i poveri bisogna andare a conoscerli” (La Stampa). Leonardo Becchetti, “C’è un interesse a conciliare utili e licenze obbligatorie” (Avvenire). PARTITI E GOVERNO: Lina Palmerini, “Perché il costo delle liti sta pesando su Letta e Salvini” (Sole 24 ore). Alessandro Campi, “Se i partiti in frantumi non imparano la lezione” (Messaggero). Nadia Urbinati, “Il Pd ha perso il controllo delle primarie a livello locale” (Domani). Emanuele Felice, “L’occasione da non perdere per abbattere l’evasione” (Domani). Tito Boeri e Roberto Perotti, “Gli intoccabili del fisco” (Repubblica). Stefano Feltri, “Siete pronti per la prossima crisi? Arriva l’inflazione” e “L’errore di sottovalutare la sfida epocale del Pnrr” (Domani). Sabino Cassese, “L’errore di evitare i concorsi” (Corriere della sera). GIUSTIZIA: Marco Conti, “Prescrizione e appello, rivoluzione Cartabia. In gioco il Recovery” Messaggero). Giovanni Bianconi, “Prescrizione, le due ipotesi” (Corriere della sera). Gianluca De Feo, “Draghi affronta la sfida più difficile” (Repubblica). Gustavo Zagrebelsky, “La giustizia e la vita” (Repubblica). OMOFOBIA: Luigi Manconi, “La legge Zan e i confini delle libertà” (Repubblica). Gianni Santamaria, “Zan, Letta spinge ma primi no nel Pd” (Avvenire). Giovanni Maria Flick, “Ddl Zan, errori seri. Il Senato rifletta bene” (intervista all’Avvenire). Francesco Lepore, “La proposta autolesionista del centrodestra contro il ddl Zan” (Linkiesta).
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PNRR sotto la lente del Forum delle disuguaglianze e diversità
COSA PENSIAMO DEL PIANO INVIATO ALL’UE E “CHE FARE ORA”?
1. Gli spazi per fare la cosa giusta e un requisito: monitoraggio aperto
11 maggio 2021 su ForumDD.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (235,1 miliardi di euro, di cui 204,5 di Next Generation EU) è all’attenzione formale della Commissione Europea. Dopo avere lavorato dal luglio 2020 per orientarne le scelte, per noi ForumDD, come per tanti altri, è arrivato il momento di prendere atto che questo è quanto le nostre istituzioni sono in grado di fare. Sull’esito pesano l’infelice avvio – a partire dalla raccolta dei progetti esistenti – e la scelta, immodificata da un governo all’altro, di assoluta chiusura al dialogo sociale. Pesa, da ultimo, anche la scelta della classe dirigente europea di anteporre l’obiettivo di “chiudere” i Piani alla presenza di tutti gli elementi di garanzia per il raggiungimento degli obiettivi dichiarati. E allora, se questo è “ciò che passa il convento”, ci sono tre cose da fare: apprezzare alcuni progressi compiuti; segnalare i seri limiti (molti già presenti in gennaio), osando augurarci che alcuni di essi siano superati nel confronto con la Commissione Europea; e poi, comunque, a Piano dato, individuare gli spazi che abbiamo, come società attiva e ricerca, per cavarne il massimo in termini di sviluppo giusto e sostenibile, di giustizia sociale e ambientale, insomma, il nostro “che fare” dei prossimi mesi.
Queste tre cose proviamo a fare in queste note. Lo facciamo, nonostante la valutazione sia resa difficile dal fatto che il Governo non ha ancora reso pubblici al Paese e al Parlamento le informazioni su “Targets e Milestones”, che immaginiamo la Commissione Europea abbia, visto che sono parte integrante del Piano da essa richiesto, e che circolano da poco in modo informale e non facilmente intellegibile. Ma prima un’osservazione generale. [segue]
Per la Costituzione della Terra
Sabato 8 maggio 2021 si è tenuta la terza Assemblea associativa della Costituente della Terra. Ripubblichiamo di seguito la prima bozza di lavoro sulla stessa Carta su cui si è aperto il confronto. Tutta la documentazione sarà presto disponibile nel sito dell’Associazione Costituente Terra, www.costituenteterra.it, già molto ricco di riflessioni e proposte.
PRIMA BOZZA DI LAVORO PER UNA COSTITUZIONE DELLA TERRA
Estensore Luigi Ferrajoli
Relazione
L’umanità si trova oggi di fronte ad emergenze e a sfide globali che mettono in pericolo la sua stessa sopravvivenza: le devastazioni ambientali e il rischio di una prossima inabitabilità del pianeta, la minaccia nucleare generata da migliaia di testate atomiche, la crescita della povertà e la morte per fame o per malattie non curate di milioni di esseri umani, le ondate migratorie di masse crescenti di persone che fuggono dalla miseria, dagli sconvolgimenti climatici, dalle guerre civili e dalle persecuzioni politiche. Per la prima volta nella storia il genere umano, a causa della catastrofe ecologica, rischia l’estinzione: non un’estinzione naturale come fu quella dei dinosauri, ma un insensato suicidio di massa dovuto all’attività irresponsabile degli stessi esseri umani. Tutto questo è ormai da molti anni sotto gli occhi di tutti. Perfino quanti di queste emergenze e di queste minacce sono i responsabili – dai governanti delle maggiori potenze ai grandi attori dell’economia mondiale – sono ormai pienamente consapevoli che il cambiamento climatico, la distruzione della biodiversità, i processi di deforestazione e desertificazione stanno travolgendo l’umanità e sono dovuti ai loro stessi comportamenti. Eppure continuiamo tutti a comportarci come se fossimo le ultime generazioni che vivono sulla Terra.
Non basta, quindi, lamentarsi e denunciare. Non basta documentare i disastri in atto e quelli ancor più gravi che ci aspettano di cui tutti sono ormai consapevoli. Al pessimismo paralizzante delle diagnosi è necessario opporre una risposta politica e istituzionale all’altezza delle sfide globali, in assenza della quale troverebbe conferma la massima corrente che a quanto accade non ci sono alternative. Ebbene, questa risposta non può che consistere nell’imposizione di limiti e vincoli ai poteri selvaggi dei mercati globali e degli Stati sovrani, onde porre fine all’azione devastatrice della natura e garantire la pace, la dignità, i beni vitali e i diritti fondamentali di tutti gli esseri umani.
È questa la proposta avanzata dal nostro appello del dicembre 2019 e poi dalla Scuola “Costituente Terra” che inaugurammo nell’assemblea del 21 febbraio 2020: la necessità di pervenire a un nuovo patto costituzionale tra tutti i popoli del mondo, in grado di garantire la loro convivenza pacifica e, prima ancora, le condizioni della vita sul nostro pianeta. Non si tratta di un progetto irrealistico. Si tratta al contrario della sola risposta razionale e realistica alle terribili emergenze che minacciano il futuro del genere umano. Come la pandemia del covid-19 ha mostrato a proposito del diritto alla salute, l’effettività di tutti i diritti fondamentali e dei principi della pace e della tutela dell’ambiente può essere assicurata, in un mondo sempre più integrato e interdipendente, solo dall’introduzione di idonee garanzie di carattere pubblico e globale. Il progetto di un costituzionalismo sovranazionale, al di là delle difficoltà della sua realizzazione, vale dunque a indicare, alle lotte sociali contro le tante emergenze in atto, un concreto obiettivo strategico. Non solo. L’obiettivo di una Costituzione della Terra, sollecitando risposte simultanee e sistematiche a tutte queste emergenze, equivale a un programma politico razionale in grado di unificare le tante battaglie nelle quali sono impegnate in tutto il mondo migliaia di associazioni: dalle battaglie civili in difesa dell’ambiente a quelle a sostegno della garanzia universale dell’acqua potabile, dai movimenti pacifisti per il disarmo nucleare alle mobilitazioni per l’uguale garanzia del diritto alla salute di tutti gli esseri umani, da quelle contro la povertà e la fame nel mondo fino alle lotte a sostegno dei diritti alla sopravvivenza oggi negati ai migranti.
Il progetto qui presentato è stato elaborato, su invito del Comitato esecutivo della Scuola “Costituente Terra”, durante la pandemia, che ha reso impossibile lo svolgimento dei seminari progettati. E’ infatti sembrato, in questi mesi di inerzia forzata, che una discussione feconda sul testo di una carta costituzionale globale potrebbe giovarsi di una prima bozza, che valga a facilitare e a orientare il dibattito attraverso l’identificazione sistematica delle questioni normative più rilevanti che il lavoro della Scuola dovrà affrontare.
La bozza è formata da cento articoli, divisi in due parti: la prima parte è dedicata ai principi di giustizia sostanziale nei quali consistono i fini e la ragion d’essere della Costituzione della Terra; la seconda è dedicata alle forme organizzative delle istituzioni globali che la Costituzione prevede ed impone quali strumenti idonei, grazie alle loro competenze, ad assicurare la realizzazione delle finalità stipulate. Nella stesura di questi cento articoli ho utilizzato quanto più possibile le formulazioni presenti nelle Carte dei diritti più avanzate, sia costituzionali che internazionali. Ma una Costituzione della Terra è inevitabilmente assai diversa da tutte le Carte vigenti, dato che deve rispondere a problemi globali del tutto sconosciuti ad altre epoche e tutelare nuovi diritti e nuovi beni vitali contro nuove aggressioni che richiedono sistemi nuovi di garanzie, ben più incisivi e complessi di quelli tramandati dalla nostra tradizione giuridica. Non mi nascondo il carattere all’apparenza utopistico di molte proposte qui avanzate. Ma lo scopo di questo progetto è stato disegnare un modello-limite, quanto più possibile idoneo a garantire effettivamente i principi di giustizia proclamati nelle tante Carte dei diritti che affollano i nostri ordinamenti.
La prima parte del progetto, dopo una premessa nella quale viene parafrasato l’incipit della Carta delle Nazioni Unite, è divisa in quattro titoli dedicati, rispettivamente, ai principi supremi, ai diritti fondamentali, ai beni fondamentali e ai beni illeciti. I principi supremi definiscono la ragion d’essere della Costituzione della Terra, cioè il mantenimento della pace, la salvaguardia della natura, la garanzia dei diritti fondamentali, la tutela dei beni vitali e la messa al bando dei beni micidiali. I diritti fondamentali, previsti nel titolo secondo, sono i tradizionali diritti che in tutte le Carte costituzionali avanzate vengono conferiti universalmente a tutti: i diritti di libertà, i diritti sociali, i diritti politici e i diritti civili, cui sono dedicate altrettante sezioni. Beni fondamentali e beni illeciti sono invece due novità di questa Costituzione, riguardando proprio le sfide e le emergenze globali – umanitarie, ecologiche e nucleari – che il linguaggio individualistico dei diritti non sempre è in grado di affrontare. I beni fondamentali, previsti nel titolo terzo, sono i beni vitali, accomunati dalla loro sottrazione al mercato: i beni personalissimi, che riguardano l’integrità del corpo umano e l’identità delle persone; i beni sociali, che includono tutti i farmaci salva-vita e i vaccini, dei quali viene stipulata la garanzia universale attraverso l’esclusione della loro brevettabilità e comunque la possibilità, già prevista dall’articolo 31 dell’Accordo sui diritti di proprietà intellettuale (TRIPS), del loro uso, in caso di emergenza, senza il consenso dei loro titolari; i beni comuni – come l’aria, l’acqua potabile, i grandi ghiacciai e le grandi foreste – garantiti da molteplici tutele, a cominciare dalla loro qualificazione come beni appartenenti a un demanio planetario. Infine i beni illeciti, previsti nel titolo quarto, sono i beni micidiali, che minacciano la vita delle persone e di popoli interi e dei quali, perciò, viene pattuito il divieto della produzione e/o del commercio e/o della detenzione: le armi atomiche, tutte le armi da fuoco, i rifiuti tossici o comunque pericolosi, le energie non rinnovabili con le connesse emissioni di gas serra.
Anche la seconda parte di questo progetto è divisa in quattro titoli. Il primo titolo definisce il ruolo e le competenze della Federazione della Terra quale istituzione aperta all’adesione di tutti gli Stati del mondo. Il secondo titolo è dedicato alle istituzioni e alle funzioni globali di governo, quali sono già previste dalla Carta delle Nazioni Unite: l’Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza, il Consiglio economico e sociale e il Segretariato. Di queste istituzioni vengono stipulate la democratizzazione politica, il compito di dar vita alle istituzioni globali di garanzia e le funzioni in tema di pubblica sicurezza internazionale e di governo sovranazionale dell’economia. Ma a parte queste funzioni di carattere globale, è chiaro che le funzioni di governo, poiché la loro legittimità dipende dalla loro rappresentatività politica, è bene che restino prevalentemente in capo agli Stati nazionali.
Enormemente più decisiva, ai fini della costruzione di una sfera pubblica mondiale, è l’introduzione di quelle che ho chiamato istituzioni e funzioni globali di garanzia, legittimate appunto, soprattutto a livello globale, dalla garanzia, anche contro-maggioritaria, dell’uguaglianza nei diritti, della tutela e dell’accesso ai beni fondamentali e della protezione dai beni illeciti. Sono le istituzioni previste nel titolo terzo, diviso a sua volta in due sezioni: la prima dedicata alle istituzioni e alle funzioni di garanzia primaria dei principi stabiliti nella parte prima, cioè all’immediata e diretta garanzia della pace, della salute, dell’alimentazione di base, dell’istruzione, dell’ambiente e del lavoro; la seconda dedicata alle istituzioni e alle funzioni di garanzia secondaria, deputate all’accertamento e alla riparazione giurisdizionale delle violazioni dei suddetti principi, per commissione o per omissione e, insieme, alla soluzione delle controversie internazionali.
Talune istituzioni di garanzia primaria esistono già: l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Fao, l’Unesco e l’Organizzazione internazionale del lavoro. Di esse viene previsto il rafforzamento sia delle funzioni che degli apparati, onde metterle in grado di assicurare effettivamente la garanzia universale dei diritti alla salute, all’istruzione, all’alimentazione di base e a condizioni di lavoro eque e dignitose. Altre istituzioni di garanzia primaria vengono invece istituite o riformate, da questo progetto, in attuazione di altrettanti principi e diritti stabiliti nella sua prima parte. Viene anzitutto previsto un Consiglio internazionale per i diritti umani, con funzioni di coordinamento e organizzazione delle attività delle altre istituzioni di garanzia e di distribuzione delle risorse ad esse necessarie. Vengono stipulati, a garanzia della pace, la messa al bando delle armi e lo scioglimento, quale fu auspicato da Immanuel Kant, degli eserciti nazionali. Viene inoltre istituita un’Agenzia garante dell’ambiente, deputata alla protezione della natura attraverso la qualificazione come appartenenti a un demanio planetario di tutti i beni naturali da essa identificati come vitali e, inoltre, il controllo dell’osservanza dei divieti di produrre gas serra, rifiuti tossici o comunque micidiali. Infine sono previste un’Organizzazione internazionale delle prestazioni sociali, a garanzia della sussistenza delle persone, un’Agenzia mondiale dell’acqua, a garanzia dell’accesso di tutti all’acqua potabile, e un Comitato mondiale per le comunicazioni digitali, a garanzia dei diritti umani che da tali comunicazioni possano essere lesi.
Quanto alle istituzioni globali di garanzia secondaria, due di esse sono l’attuale Corte internazionale di giustizia, la cui giurisdizione viene resa obbligatoria ed allargata ad altre controversie nelle quali siano coinvolti gli Stati, e l’attuale Corte penale internazionale, la cui giurisdizione viene a sua volta estesa alle gravi lesioni dei diritti di libertà da parte di regimi dispotici, alla produzione e al commercio illeciti di armi e alle violenze dirette a impedire l’esercizio dei diritti fondamentali, incluso il diritto di emigrare. Sono poi istituite altre due nuove giurisdizioni, forse ancor più importanti. La prima è la Corte costituzionale globale, il cui ruolo di controllo sull’invalidità di qualsiasi fonte in contrasto con le norme di questa Costituzione vale a collocare tali norme al vertice del sistema delle fonti e a conferire ad esse la rigidità, che è il tratto distintivo dell’odierno garantismo costituzionale. La seconda è la Corte internazionale per i crimini di sistema, competente ad accertare le cause e a promuovere la cessazione di quelli che ho chiamato “crimini di sistema”, consistenti in violazioni gravissime di diritti o di beni fondamentali non riconducibili alla responsabilità penale di persone determinate, ma all’irrazionalità e all’irresponsabilità sociale dell’attuale sistema politico ed economico: le devastazioni ambientali, i rischi di conflitti nucleari, la crescita della fame e della povertà nelle periferie del mondo.
Infine il titolo quarto della parte seconda è dedicato alle istituzioni economiche e finanziarie. Si tratta di istituzioni già esistenti nel nostro diritto internazionale: la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale, istituiti nel 1945 a seguito degli accordi di Bretton Woods, e l’Organizzazione mondiale del Commercio, istituita nel 1995. Di queste istituzioni vengono riformati i criteri di formazione dei loro organi dirigenti, il cui controllo odierno da parte dei Paesi più ricchi ha finora reso ineffettivo e talora capovolto il ruolo di promozione dello sviluppo dei Paesi poveri e di riduzione degli squilibri economici ad esse affidato dai loro statuti. Vengono inoltre previsti, in quest’ultimo titolo, un bilancio planetario e un fisco globale, con indicazioni dettagliate, onde renderle effettivamente vincolanti, sia delle quote di bilancio che delle aliquote fiscali. Il fisco globale si compone di svariate tassazioni di attività globali, a cominciare dall’uso fino ad oggi gratuito di beni comuni, e di un’imposizione fiscale fortemente progressiva sulle grandi ricchezze e sugli altissimi redditi. Il bilancio planetario consiste nell’assegnazione alle diverse istituzioni globali, e soprattutto a quelle di garanzia primaria, di quote minime delle entrate fiscali dirette a finanziarne le attività.
Luigi Ferrajoli
COSTITUZIONE DELLA TERRA
Progetto Ferrajoli
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PRECEDENTI EDITORIALI
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Festa dell’Europa 2021
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Discutiamo di welfare, anzi di stato sociale, del quale urge una non più rinviabile profonda riforma.
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Per la Costituzione della Terra
PRIMA BOZZA DI LAVORO PER UNA COSTITUZIONE DELLA TERRA
Estensore Luigi Ferrajoli
Relazione
L’umanità si trova oggi di fronte ad emergenze e a sfide globali che mettono in pericolo la sua stessa sopravvivenza: le devastazioni ambientali e il rischio di una prossima inabitabilità del pianeta, la minaccia nucleare generata da migliaia di testate atomiche, la crescita della povertà e la morte per fame o per malattie non curate di milioni di esseri umani, le ondate migratorie di masse crescenti di persone che fuggono dalla miseria, dagli sconvolgimenti climatici, dalle guerre civili e dalle persecuzioni politiche. Per la prima volta nella storia il genere umano, a causa della catastrofe ecologica, rischia l’estinzione: non un’estinzione naturale come fu quella dei dinosauri, ma un insensato suicidio di massa dovuto all’attività irresponsabile degli stessi esseri umani. Tutto questo è ormai da molti anni sotto gli occhi di tutti. Perfino quanti di queste emergenze e di queste minacce sono i responsabili – dai governanti delle maggiori potenze ai grandi attori dell’economia mondiale – sono ormai pienamente consapevoli che il cambiamento climatico, la distruzione della biodiversità, i processi di deforestazione e desertificazione stanno travolgendo l’umanità e sono dovuti ai loro stessi comportamenti. Eppure continuiamo tutti a comportarci come se fossimo le ultime generazioni che vivono sulla Terra.
Non basta, quindi, lamentarsi e denunciare. Non basta documentare i disastri in atto e quelli ancor più gravi che ci aspettano di cui tutti sono ormai consapevoli. Al pessimismo paralizzante delle diagnosi è necessario opporre una risposta politica e istituzionale all’altezza delle sfide globali, in assenza della quale troverebbe conferma la massima corrente che a quanto accade non ci sono alternative. Ebbene, questa risposta non può che consistere nell’imposizione di limiti e vincoli ai poteri selvaggi dei mercati globali e degli Stati sovrani, onde porre fine all’azione devastatrice della natura e garantire la pace, la dignità, i beni vitali e i diritti fondamentali di tutti gli esseri umani.
È questa la proposta avanzata dal nostro appello del dicembre 2019 e poi dalla Scuola “Costituente Terra” che inaugurammo nell’assemblea del 21 febbraio 2020: la necessità di pervenire a un nuovo patto costituzionale tra tutti i popoli del mondo, in grado di garantire la loro convivenza pacifica e, prima ancora, le condizioni della vita sul nostro pianeta. Non si tratta di un progetto irrealistico. Si tratta al contrario della sola risposta razionale e realistica alle terribili emergenze che minacciano il futuro del genere umano. Come la pandemia del covid-19 ha mostrato a proposito del diritto alla salute, l’effettività di tutti i diritti fondamentali e dei principi della pace e della tutela dell’ambiente può essere assicurata, in un mondo sempre più integrato e interdipendente, solo dall’introduzione di idonee garanzie di carattere pubblico e globale. Il progetto di un costituzionalismo sovranazionale, al di là delle difficoltà della sua realizzazione, vale dunque a indicare, alle lotte sociali contro le tante emergenze in atto, un concreto obiettivo strategico. Non solo. L’obiettivo di una Costituzione della Terra, sollecitando risposte simultanee e sistematiche a tutte queste emergenze, equivale a un programma politico razionale in grado di unificare le tante battaglie nelle quali sono impegnate in tutto il mondo migliaia di associazioni: dalle battaglie civili in difesa dell’ambiente a quelle a sostegno della garanzia universale dell’acqua potabile, dai movimenti pacifisti per il disarmo nucleare alle mobilitazioni per l’uguale garanzia del diritto alla salute di tutti gli esseri umani, da quelle contro la povertà e la fame nel mondo fino alle lotte a sostegno dei diritti alla sopravvivenza oggi negati ai migranti.
Il progetto qui presentato è stato elaborato, su invito del Comitato esecutivo della Scuola “Costituente Terra”, durante la pandemia, che ha reso impossibile lo svolgimento dei seminari progettati. E’ infatti sembrato, in questi mesi di inerzia forzata, che una discussione feconda sul testo di una carta costituzionale globale potrebbe giovarsi di una prima bozza, che valga a facilitare e a orientare il dibattito attraverso l’identificazione sistematica delle questioni normative più rilevanti che il lavoro della Scuola dovrà affrontare.
La bozza è formata da cento articoli, divisi in due parti: la prima parte è dedicata ai principi di giustizia sostanziale nei quali consistono i fini e la ragion d’essere della Costituzione della Terra; la seconda è dedicata alle forme organizzative delle istituzioni globali che la Costituzione prevede ed impone quali strumenti idonei, grazie alle loro competenze, ad assicurare la realizzazione delle finalità stipulate. Nella stesura di questi cento articoli ho utilizzato quanto più possibile le formulazioni presenti nelle Carte dei diritti più avanzate, sia costituzionali che internazionali. Ma una Costituzione della Terra è inevitabilmente assai diversa da tutte le Carte vigenti, dato che deve rispondere a problemi globali del tutto sconosciuti ad altre epoche e tutelare nuovi diritti e nuovi beni vitali contro nuove aggressioni che richiedono sistemi nuovi di garanzie, ben più incisivi e complessi di quelli tramandati dalla nostra tradizione giuridica. Non mi nascondo il carattere all’apparenza utopistico di molte proposte qui avanzate. Ma lo scopo di questo progetto è stato disegnare un modello-limite, quanto più possibile idoneo a garantire effettivamente i principi di giustizia proclamati nelle tante Carte dei diritti che affollano i nostri ordinamenti.
La prima parte del progetto, dopo una premessa nella quale viene parafrasato l’incipit della Carta delle Nazioni Unite, è divisa in quattro titoli dedicati, rispettivamente, ai principi supremi, ai diritti fondamentali, ai beni fondamentali e ai beni illeciti. I principi supremi definiscono la ragion d’essere della Costituzione della Terra, cioè il mantenimento della pace, la salvaguardia della natura, la garanzia dei diritti fondamentali, la tutela dei beni vitali e la messa al bando dei beni micidiali. I diritti fondamentali, previsti nel titolo secondo, sono i tradizionali diritti che in tutte le Carte costituzionali avanzate vengono conferiti universalmente a tutti: i diritti di libertà, i diritti sociali, i diritti politici e i diritti civili, cui sono dedicate altrettante sezioni. Beni fondamentali e beni illeciti sono invece due novità di questa Costituzione, riguardando proprio le sfide e le emergenze globali – umanitarie, ecologiche e nucleari – che il linguaggio individualistico dei diritti non sempre è in grado di affrontare. I beni fondamentali, previsti nel titolo terzo, sono i beni vitali, accomunati dalla loro sottrazione al mercato: i beni personalissimi, che riguardano l’integrità del corpo umano e l’identità delle persone; i beni sociali, che includono tutti i farmaci salva-vita e i vaccini, dei quali viene stipulata la garanzia universale attraverso l’esclusione della loro brevettabilità e comunque la possibilità, già prevista dall’articolo 31 dell’Accordo sui diritti di proprietà intellettuale (TRIPS), del loro uso, in caso di emergenza, senza il consenso dei loro titolari; i beni comuni – come l’aria, l’acqua potabile, i grandi ghiacciai e le grandi foreste – garantiti da molteplici tutele, a cominciare dalla loro qualificazione come beni appartenenti a un demanio planetario. Infine i beni illeciti, previsti nel titolo quarto, sono i beni micidiali, che minacciano la vita delle persone e di popoli interi e dei quali, perciò, viene pattuito il divieto della produzione e/o del commercio e/o della detenzione: le armi atomiche, tutte le armi da fuoco, i rifiuti tossici o comunque pericolosi, le energie non rinnovabili con le connesse emissioni di gas serra.
Anche la seconda parte di questo progetto è divisa in quattro titoli. Il primo titolo definisce il ruolo e le competenze della Federazione della Terra quale istituzione aperta all’adesione di tutti gli Stati del mondo. Il secondo titolo è dedicato alle istituzioni e alle funzioni globali di governo, quali sono già previste dalla Carta delle Nazioni Unite: l’Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza, il Consiglio economico e sociale e il Segretariato. Di queste istituzioni vengono stipulate la democratizzazione politica, il compito di dar vita alle istituzioni globali di garanzia e le funzioni in tema di pubblica sicurezza internazionale e di governo sovranazionale dell’economia. Ma a parte queste funzioni di carattere globale, è chiaro che le funzioni di governo, poiché la loro legittimità dipende dalla loro rappresentatività politica, è bene che restino prevalentemente in capo agli Stati nazionali.
Enormemente più decisiva, ai fini della costruzione di una sfera pubblica mondiale, è l’introduzione di quelle che ho chiamato istituzioni e funzioni globali di garanzia, legittimate appunto, soprattutto a livello globale, dalla garanzia, anche contro-maggioritaria, dell’uguaglianza nei diritti, della tutela e dell’accesso ai beni fondamentali e della protezione dai beni illeciti. Sono le istituzioni previste nel titolo terzo, diviso a sua volta in due sezioni: la prima dedicata alle istituzioni e alle funzioni di garanzia primaria dei principi stabiliti nella parte prima, cioè all’immediata e diretta garanzia della pace, della salute, dell’alimentazione di base, dell’istruzione, dell’ambiente e del lavoro; la seconda dedicata alle istituzioni e alle funzioni di garanzia secondaria, deputate all’accertamento e alla riparazione giurisdizionale delle violazioni dei suddetti principi, per commissione o per omissione e, insieme, alla soluzione delle controversie internazionali.
Talune istituzioni di garanzia primaria esistono già: l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Fao, l’Unesco e l’Organizzazione internazionale del lavoro. Di esse viene previsto il rafforzamento sia delle funzioni che degli apparati, onde metterle in grado di assicurare effettivamente la garanzia universale dei diritti alla salute, all’istruzione, all’alimentazione di base e a condizioni di lavoro eque e dignitose. Altre istituzioni di garanzia primaria vengono invece istituite o riformate, da questo progetto, in attuazione di altrettanti principi e diritti stabiliti nella sua prima parte. Viene anzitutto previsto un Consiglio internazionale per i diritti umani, con funzioni di coordinamento e organizzazione delle attività delle altre istituzioni di garanzia e di distribuzione delle risorse ad esse necessarie. Vengono stipulati, a garanzia della pace, la messa al bando delle armi e lo scioglimento, quale fu auspicato da Immanuel Kant, degli eserciti nazionali. Viene inoltre istituita un’Agenzia garante dell’ambiente, deputata alla protezione della natura attraverso la qualificazione come appartenenti a un demanio planetario di tutti i beni naturali da essa identificati come vitali e, inoltre, il controllo dell’osservanza dei divieti di produrre gas serra, rifiuti tossici o comunque micidiali. Infine sono previste un’Organizzazione internazionale delle prestazioni sociali, a garanzia della sussistenza delle persone, un’Agenzia mondiale dell’acqua, a garanzia dell’accesso di tutti all’acqua potabile, e un Comitato mondiale per le comunicazioni digitali, a garanzia dei diritti umani che da tali comunicazioni possano essere lesi.
Quanto alle istituzioni globali di garanzia secondaria, due di esse sono l’attuale Corte internazionale di giustizia, la cui giurisdizione viene resa obbligatoria ed allargata ad altre controversie nelle quali siano coinvolti gli Stati, e l’attuale Corte penale internazionale, la cui giurisdizione viene a sua volta estesa alle gravi lesioni dei diritti di libertà da parte di regimi dispotici, alla produzione e al commercio illeciti di armi e alle violenze dirette a impedire l’esercizio dei diritti fondamentali, incluso il diritto di emigrare. Sono poi istituite altre due nuove giurisdizioni, forse ancor più importanti. La prima è la Corte costituzionale globale, il cui ruolo di controllo sull’invalidità di qualsiasi fonte in contrasto con le norme di questa Costituzione vale a collocare tali norme al vertice del sistema delle fonti e a conferire ad esse la rigidità, che è il tratto distintivo dell’odierno garantismo costituzionale. La seconda è la Corte internazionale per i crimini di sistema, competente ad accertare le cause e a promuovere la cessazione di quelli che ho chiamato “crimini di sistema”, consistenti in violazioni gravissime di diritti o di beni fondamentali non riconducibili alla responsabilità penale di persone determinate, ma all’irrazionalità e all’irresponsabilità sociale dell’attuale sistema politico ed economico: le devastazioni ambientali, i rischi di conflitti nucleari, la crescita della fame e della povertà nelle periferie del mondo.
Infine il titolo quarto della parte seconda è dedicato alle istituzioni economiche e finanziarie. Si tratta di istituzioni già esistenti nel nostro diritto internazionale: la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale, istituiti nel 1945 a seguito degli accordi di Bretton Woods, e l’Organizzazione mondiale del Commercio, istituita nel 1995. Di queste istituzioni vengono riformati i criteri di formazione dei loro organi dirigenti, il cui controllo odierno da parte dei Paesi più ricchi ha finora reso ineffettivo e talora capovolto il ruolo di promozione dello sviluppo dei Paesi poveri e di riduzione degli squilibri economici ad esse affidato dai loro statuti. Vengono inoltre previsti, in quest’ultimo titolo, un bilancio planetario e un fisco globale, con indicazioni dettagliate, onde renderle effettivamente vincolanti, sia delle quote di bilancio che delle aliquote fiscali. Il fisco globale si compone di svariate tassazioni di attività globali, a cominciare dall’uso fino ad oggi gratuito di beni comuni, e di un’imposizione fiscale fortemente progressiva sulle grandi ricchezze e sugli altissimi redditi. Il bilancio planetario consiste nell’assegnazione alle diverse istituzioni globali, e soprattutto a quelle di garanzia primaria, di quote minime delle entrate fiscali dirette a finanziarne le attività.
Luigi Ferrajoli
COSTITUZIONE DELLA TERRA
Progetto Ferrajoli
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PRECEDENTE EDITORIALE
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Discutiamo di welfare, anzi di stato sociale, del quale urge una non più rinviabile profonda riforma.
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1° maggio: buon primo maggio a tutti
SE MANCA LA MATERIA PRIMA
di Gianni Loy
Festa celebrata con tristezza, oggi come tante altre volte, perché ancora scorre, davanti ai nostri occhi, il lavoro come forma di sfruttamento, il lavoro che manca, il lavoro che uccide. Scorrono, impietosamente, le immagini di chi, per guadagnarsi un pane, è costretto a piegarsi ad ogni umiliazione, ad abbandonare la propria terra, a morire, senza sepoltura, di morte atroce.
Sembra che l’angelo del dipinto ancora brandisca la spada della cacciata dal paradiso terrestre. Che i nostri primi progenitori ancora fuggano dal giardino verso l’ignoto, inseguiti dallo sguardo del Dio poderoso, lasciandosi alle spalle la felicità.
Sembra ancora di udire le parole della condanna: maledetta la terra, da essa, con fatica, trarrai il nutrimento, mangerai il pane con il sudore del tua fronte.
Così nacque il lavoro, come maledizione, come sofferenza; per i credenti come espiazione dal peccato originale. Spregevole fatica destinata agli schiavi, ai servi, ai rematori delle galere. Ché le persone “libere” disdegnavano. Non è neppure lontano il tempo in cui le donne della borghesia persino fuggivano i raggi del sole per non essere confuse con le loro sorelle che, lavorando nei campi dall’alba al tramonto, vedevano iscurire la loro pelle. Più tardi l’avrebbero chiamata abbronzatura.
- Che questo lavoro sia maledetto! Ebbe a gridare anche Victor Hugo, alla vista di fanciulli, dei quali neppure uno sorrideva, e di bimbe di otto anni “che vanno a lavorare quindici ore sotto le macine, che se ne vanno dall’alba alla sera, a far eternamente, nella medesima prigione, il medesimo movimento”.
Il giorno d’oggi non ci consola. Né nelle periferie, lontane eppur così vicine, né sul nostro marciapiede. Le leggi hanno affermato i fondamentali diritti della persona che lavora ma non hanno potuto arrestare la povertà che ancora prospera proprio a causa del lavoro negato e del lavoro sfruttato.
Eppure, sin dal principio, è germogliata una differente e contrapposta visione del lavoro che, ben lungi dall’esser considerato una condanna ed una pena, veniva riscoperto nel suo valore essenziale di dignità della persona. A partire dallo stesso San Paolo che, pur potendosi avvalere, in quanto ministro del culto, del diritto di esser mantenuto dalla Comunità, decide, invece, di mantenersi con il proprio lavoro e proclama con orgoglio: “nessuno mi toglierà questo vanto”.
Un percorso lento e faticoso. La schiavitù è scomparsa dal diario della storia appena l’altro giorno, e neppure del tutto. È stata necessaria la ribellione organizzata degli sfruttati, con il sacrificio di innumerevoli vittime, per far progredire la storia. Così che, oggi, è proprio sul lavoro che si fonda la Repubblica italiana e a tutti i cittadini viene chiesto di concorrere, con la propria attività, al progresso materiale o spirituale dell’intera società.
Per altro verso, è attraverso la cultura che dovrà penetrare nell’intimo di ogni persona, e della collettività nel suo insieme, la consapevolezza della dignità insita in ogni attività umana.
La storia va avanti, ma il processo di crescita democratica a volte s’inceppa. In un primo maggio devastato dalla pandemia, due esempi possono aiutarci a meglio intendere il valore del lavoro.
Il primo è quello di un Papa che proprio il primo maggio dell’anno passato, durante la celebrazione della messa, nella cappella di Casa Santa Marta, ha raccontato una parabola. Un uomo, rimasto senza lavoro e impossibilitato a sfamare la propria famiglia, si recò nella sede della Caritas per chiedere aiuto. Un volontario gli diede un pacco contenente prodotti alimentari e, nel consegnarglielo, gli disse: “Almeno lei può portare il pane a casa”. Quell’uomo, al sentire quelle parole, si rivolse al volontario e gli rispose: “Ma a me non basta questo, non è sufficiente. Io, il pane che porto a casa lo voglio guadagnare”. Papa Francesco, in perfetto stile stile evangelico, ha così commentato: – Vedete. A quell’uomo mancava la dignità, la dignità di poter ‘fare’ egli stesso il pane con il proprio lavoro e portarlo a casa. La dignità del lavoro, che tanto è calpestata, purtroppo.
Chi non lavora “non ha”, è evidente, ma soprattutto “non è”.
Papa Francesco ha concluso ricordando che il lavoro altro non è che la continuazione della creazione e che “il lavoro umano è la vocazione dell’uomo ricevuta da Dio alla fine della creazione dell’Universo”.
Il secondo è un ammonimento del nostro Remundu Piras, in occasione dei festeggiamenti di Sant’Antiogu, nel 1976 a Ghilarza. Prima di tutto, con una bellissima espressione, ha invitato tutti a “guardare in faccia il lavoro”: “Nara a sa moderna zonventude, de abbaidare su trabagliu in cara”, cioè a prendere piena consapevolezza del suo valore.
Quindi, con una mirabile metafora, spiega l’indispensabilità del lavoro, perché “sena s’istuppa non faghet filonzu, non ballat fusu e non si faghet filu …” In mancanza della stoppa non si può filare, il fuso non potrà “ballare” e non si potrà produrre il filato.
Insomma, il lavoro è la materia prima. Senza lavoro, senza un lavoro dignitoso, la terra, questa nostra unica terra, calpesta e derisa, non potrà ballare.
Gianni Loy
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Nell’illustrazione in testa: Cappella Brancacci, Cacciata di Adamo ed Eva (restaurato).
Autore: Masaccio – Data 1424-1425 – Tecnica: affresco Dimensioni 214×88 cm.
Ubicazione: Cappella Brancacci, chiesa di Santa Maria del Carmine, Firenze.
Nelle foto:
- manifestazione di lavoratori ambulanti, giostrai, torronai. Cagliari 21 aprile 2021.
- la prima pagina de Il Manifesto, del primo maggio 2021.
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IN PRIMO PIANO
1° maggio 2021: la solitudine dei lavoratori
30-04-2021 – di: Livio Pepino su Volerelaluna
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1° maggio a Cagliari
Sant’Efisio
28 de abrili Sa die de sa Sardigna
Sa Die 2021, sa bandela, sa festa, s’innu: sos sinnos de sa NATZIONE SARDA
Come l’anno scorso celebreremo la festa del Popolo sardo, “Sa Die de sa Sardigna 2021” chiusi nelle nostre case. Il Comitato, nell’augurare ai Sardi ogni soddisfazione e benessere, propone di diffondere nei propri siti (fb, instagramm, twitter, telegram, tictoc etc) l’allegato “MESSAGGIO PER SA DIE 2021”, che abbiamo reso disponibile in italiano, sardo-campidanese e in sardo-logudorese, e di esporre la bandiera sarda nelle proprie case. E NEI VOSTRI SOCIAL. Augurios, frades Sardos!
MESSAGGIO DEL COMITATO PER SA DIE DE SA SARDIGNA 2021
Come l’anno scorso celebreremo la festa del Popolo sardo, “Sa Die de sa Sardigna 2021” chiusi nelle nostre case. Il Comitato, nell’augurare ai Sardi ogni soddisfazione e benessere, propone di diffondere nei propri siti (fb, instagramm, twitter, telegram, tictoc etc) l’allegato “MESSAGGIO PER SA DIE 2021”, che abbiamo reso disponibile in italiano, sardo-campidanese e in sardo-logudorese, e di esporre la bandiera sarda nelle proprie case.
L’insurrezione cagliaritana del 28 aprile 1794 – ancora oggi viva nella memoria collettiva – sta alla base di “Sa Die de sa Sardigna”, la Giornata del Popolo Sardo che si celebra tutti gli anni, proprio il 28 aprile, e che anche il Comitato celebra nell’Aula del presente Parlamento sardo.
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Il tempo che stiamo vivendo ha impedito la partecipazione popolare alla Pasqua, alla festa del centenario della nascita del partito sardo (17 aprile) e alla festa della liberazione dal nazifascismo (25 aprile). Il 28 aprile, ricorre Sa Die de sa Sardigna, la festa che la Regione Autonoma della Sardegna ha dedicato al passato e al presente di questo popolo. Pochi giorni dopo, il 1 Maggio, è la Festa dei lavoratori in tutto il mondo e in Sardegna, non solo a Cagliari, di sant’Efisio.
Il popolo è invitato al rispetto di regole di prudenza che comportano la distanza reciproca e la rinuncia allo spazio pubblico.
Più di mille e trecento sardi sono stati finora vittime della malattia, e troppi sono stati travolti dalla seconda ondata della pandemia.
Sembra ripetersi il tragico destino delle migliaia di giovani che persero la vita nell’insensata catastrofe della Prima Guerra Mondiale. Allora quel “mare de dolore” provocò la reazione che spinse tanti giovani ad organizzarsi perché non si ripetesse quella carneficina, e perché quel sangue versato divenisse lievito di resurrezione di un popolo misero e calpestato.
La Sardegna si avvia ad affrontare forse alcuni tra i giorni più difficili, prima che la pandemia sia debellata. E’ il momento in cui occorre il massimo sforzo individuale nel rispetto di sé e degli altri, la massima efficacia ed efficienza nell’attività delle strutture pubbliche.
I Sardi sono stati sempre capaci di affrontare i problemi con la serietà, la laboriosità, la generosità che li contraddistingue. Oggi c’è bisogno più che mai delle virtù del nostro popolo.
La Sardegna è ricca di grandi risorse umane e naturali. La nostra terra è arrivata integra sino alle soglie della contemporaneità, il progresso ha consentito di sconfiggere, con l’aiuto di popoli amici, mali secolari come la malaria. Preservare l’ambiente naturale e la terra dall’inquinamento e dalla contaminazione radioattiva di scorie nucleari e depositi di rifiuti di ogni genere è compito primario della generazione attuale di Sardi.
Il popolo sardo deve ritrovare uno spirito unitario e solidale, per superare le difficoltà attuali e intraprendere con fiducia un cammino di ripresa e sviluppo economico per conquistare migliori condizioni di vita.
Come la bandiera con i Quattro Mori, prima bandiera del Regno di Sardegna, in seguito bandiera di partito, è diventata la bandiera di tutti i Sardi, così auspichiamo che tutti i Sardi si riconoscano parte di un unico popolo e, soprattutto in questa occasione, insieme ricordino e cantino il proprio inno nazionale, “Procurade ‘e moderare, barones sa tirannia …”.
Le figure e i disegni della nostra bandiera possono decorare gli edifici delle nostre case e illuminare i nostri cuori.
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(in campidanesu, di Gianni Loy)
Is sardus torrant a fairi festa, oi, po sa Die de sa Sardigna. Da torrant a festai, occannu, in conditzionis chi non funti normalis. Epperò du fainti cun convintzioni, cun impegnu e fintzas cun cuntentesa.
Giai ch’in su tempus chi seus bivendu sa participatzioni polulari no est possibili, is tzelibradoris, religiosus o laicus chi siant, d’hant a tzelebrai a sa sola. Po mori e icussu, prus manna hat a essiri sa rensponsabilidadi insoru.
Invitaus prima ‘e tottu su populu sardu, chi est sovranu, a respettai is arregulas de prudenzia; a mantenniri sa distantzia e a ndi fairi de mancu de s’ammuntonai in is pratzas.
Prus de milli e duxentus sardus hanti perdiu sa vida in sa gherra contra de sa maladia chi seus ancora cumbattendu.
Sa Sardigna, hat imbuccau unu caminu aunia, prima chi custa pandemia siat binta de averas, s’hant a deppiri affrontai tempus forsis prus diffitzilis ancora, In su tempus benidori nos hat a toccai a fairi unu sfortzu mannu meda, con rispettu po nosus e tottu e po is atrus; e a is istitutzionis publicas depeus pediri efficientzia e efficacia.
Is sardus, de calechisiat manera, hanti ammostau, confrommi a s’istoria insoru, sa balentia de affrontai il probelmas con sediedadi, cun laboriosidadi e cun generosidadi. Oi, prus ch’in atrus tempus, depeus bentulai is virtudis de su populu nostru.
Sa richesa de sa Sardigna s’agattat in is personas de gabbale e fintzas in sa natura. Sa terra nosta est erribada sana finas a oi. Gratzias a su progressu e a s’agiudu de populus amigus est arrenescia a binciri fintzas e a maladias antigas, comenti‘e sa malaria. Su primu doveri chi teneus oi est de preservai s’ambienti naturali e sa terra, gherrendu contra de s’inquinamentu e de sa contaminatzioni nucleari, tanchendu sa porta a depositus nuclearis e a dogna tipu de aliga.
Po arrenexiri a superai is ostaculus chi si presentanta dogna di, po imbucai in d’unu caminu nou de sperantzia, po chi si potzat torrai a una vida de mellus calidadi, su populu sardu depit arrenesciri a mantenniri un’ispiritu de unidadi e de solidariedadi,
Una bandera, cussa de is quattru morus est istettia su primu istendardu de su Regnu Sardu, a pustis de un partidu est, immoi, sa bandera de tottus is sardus. A sa matessi manera, a di de oi, auguramus chi tottus is sardus si potzant arreconosciri comenti parti de un unico populu.
CUN S’AUGURIU CHI CUSTA BANDERA COSA NOSTRA, POTZAT BENTULAI IN IS DOMUS NOSTRAS ET ALLIRGAI SU CORU DE NOSATRUS TOTTUS.
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(in logudoresu, di Luciano Carta)
Sos Sardos torrrant a festare oe sa festa issoro, sa Die de sa Sardigna. Issos la torrant a proponnere occannu in cunditziones chi non sunt normales, epperò lu faghent meda cumbintos, cun impinnu, e finzas cun cuntentesa.
Sos tempos chi semus vivìndhe non cunsèntint sa partizipassiòne populare a custas festas, chi ant a esser onoràdas dae sos tzelebràntes religiosos e laicos a sa sola. Custu fattu aumèntat de meda sa responsabbilidàde de sas autoridàdes e cun issas de sos uffizios.
A su pòpulu soberànu faghìmos s’invitu de rispettare sas regulas de prudensia chi impònent sa distànsia tra sas pessònes e sa mancantzia de ispaziu prubbicu de sa vida comune.
Pius de milli e treghentos sardos b’ant lassàdu sa vida in sa gherra contra custa maladìa, medas, troppu sunt ruttos in sa gherra chi amos cumbàttidu in cust’urtimu annu.
Sa Sardìgna s’at leàdu camìnu pro affrontare sos tempos forzis pius diffiziles, primma chi sa pandemìa siat bìnchida deabbèru. Custu est su tempus inùe b’at nezessidàde de un’isforzu mannu meda, in su rispettu de se matessi e de s’ateru, po ottenner s’efficaza e s’efficentzia massima de sas istitussiònes prubbicas.
Sos Sardos ant semper tentu capazidàde de affrontare sos problemas cun sa seriedàde, sa laboriosidàde, sa generosidàde che los distìnghet. Oe pius che in ateros tempos b’at bisonzu de sas virtùdes de su pòpulu nostru.
Sa Sardigna est terra de benes mannos de omines e de natura. Sa terra nostra est arrivàda sana finzas a s’intràda de sa cuntemporaneidàde, su progressu at cunsentìdu de che bìnchere, cun s’azzùdu de pòpuòos amigos, males seculares comente sa malaria. Preservare s’ambienbte naturale e-i sa terra dae s’inquinamentu e dae sa cuntaminassiòne de sos iscartos nucleares e depòsitos de avànsos de onzi tipu est sa primma faìna de sos Sardos de oe.
Su populu sardu deppet appompiare a tènnere un’ispiritu de unidàde e de solidariedàde, si cheret brincàre sas difficultàdes e cominzàre cun isperànsia unu camìnu de cominzamèntu nou e de torràre a fagher nàschere cunditziònes de vida menzus.
Che-i sa bandhèla de sos Battor Moros, primma bandhèla de su Regnu Sardu, appustis bandhèla de unu partìdu, chi est diventàda sa bandhèla de totu sos Sardos, gai auguràmos chi totucantos nos potèmas reconnòschere parte de su matessi unicu populu.
Chi sas figuras e-i sos disìnnos de sa bandhèla nostra potant illuminare sas domos nostras e-i sos coros de totu nois.
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PRECEDENTI EDITORIALI PNRR DIBATTITO
Manca il coraggio di cambiare
Giulio Marcon su Sbilanciamoci!
26 Aprile 2021 | Sezione: Editoriale, Politica
Nelle oltre 300 pagine del Piano di ripresa e resilienza, il Recovery Plan presentato alle Camere, le parole “competizione”, “concorrenza” e “impresa” ricorrono 257 volte, il doppio delle citazioni di “lavoro”, “diseguaglianze” solo sette volte. Il lessico è importante. Infatti alle imprese vanno 50 miliardi, solo 6,6 al lavoro. Un piano senza coraggio.
Incominciamo dalle parole. Nel PNRR di Draghi la parola “concorrenza” compare 42 volte, “competizione” 79 mentre “diseguaglianze” 7 e “diritti” 18. E già questo ci dice qualcosa. Se mettiamo insieme “competizione”, “concorrenza” e “impresa” (257) hanno più del doppio di citazioni (378) di quelle del “lavoro” (179) che pure sta sulla bocca di tutti come la cosa più importante. Ora, non si tratta di mettersi a fare il campionato delle citazioni, ma l’enfasi sulle parole ha sempre qualcosa a che fare con il senso di un discorso, il suo indirizzo, le finalità cui soggiace. Il lessico ha la sua importanza. Così nel piano di Draghi le diseguaglianze scolorano nelle pari opportunità, i diritti nell’accessibilità ai servizi mentre la ricerca scientifica acquista la sua importanza se va verso l’impresa (e non per esempio verso il benessere dei cittadini).
L’impianto di Draghi è sostanzialmente tecnocratico e liberista, pur contenendo diverse cose importanti: le misure per la transizione ecologica, quelle per la medicina territoriale, per l’inclusione sociale e la scuola e altro ancora. Ci sono alcune riforme previste (nel segno della sacrosanta efficienza del sistema), ma non quelle che potrebbero dare il senso di un cambiamento sociale e più giusto del Paese: la riforma del fisco (che sta nel calderone generico delle “varie ed eventuali”), del mercato del lavoro (invertendo la rotta del precariato verso i diritti), della sanità pubblica ricostruendo le basi del Servizio sanitario nazionale, dell’introduzione dei Livelli essenziali di assistenza, già previsti da 20 anni e mai realizzati. Non c’è il coraggio di dire qualche parola in più sulla prospettiva e gli strumenti dell’intervento pubblico in economia. Nel piano manca la politica industriale (altra riforma che non c’è): non sono evidenziate le sedi, gli strumenti, i poteri di indirizzo, di stimolo e di monitoraggio delle scelte per il nostro sistema produttivo.
Le imprese continuano ad essere le più importanti beneficiarie dei fondi pubblici (come è stato nel 2020 con i vari decreti d’emergenza): quasi 50 miliardi di euro del piano, mentre alle politiche per il lavoro vanno solo 6,6 miliardi. Di diseguaglianze non si parla e soprattutto manca una strategia su come affrontarle: il discorso è sempre lo stesso, con la crescita si risolverà tutto. Ricetta falsa: non è così e non è stato così in questi anni. Sulle diseguaglianze sanitarie si dice poco o niente su come affrontarle (non si affronta il tema della divaricazione dei sistemi sanitari regionali) e così quasi nulla (briciole) sul digital divide che incombe su gran parte del Paese.
Per l’ambiente le cose potrebbero andare meglio, certamente. Anche se le associazioni ambientaliste hanno espresso già le loro critiche. Ma ci si consenta qualche dubbio sul rapporto costi-benefici di un provvedimento come quello del bonus 110% su cui anche l’UpB ha sollevato qualche dubbio: un provvedimento (che implica tante risorse) di cui non usufruiscono né i poveri né i ceti medio-bassi e il cui effetto sull’abbattimento delle emissioni è molto sovrastimato, mentre lo spazio per incentivi fiscali sull’ecoefficienza è molto più ampio e molto più diffuso. Scompaiono quasi del tutto gli incentivi per la rigenerazione energetica degli edifici pubblici e rimangono solo quelli per i privati. Tutta questa enfasi per l’investimento sull’idrogeno (più di 3 miliardi) suscita qualche interrogativo, anche perchè è un vettore energetico più che una rinnovabile. E soprattutto uno di interrogativi: se tra le varie disposizioni non si nasconda anche l’aiuto dello sviluppo dell’idrogeno blu (cioè dal gas), su cui sta puntando l’ENI. Inoltre, non ci sono impegni per il superamento dei Sussidi ambientalmente dannosi (SAD) di cui usufruiscono in gran parte le imprese. Ulteriori semplificazioni vengono previste per la procedura VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) e codice appalti: più che meno burocrazia questo significa più deregulation. Qualcosa di cui sarà felice il ministro Cingolani, ex responsabile dell’innovazione per Leonardo: aumentano enormemente i fondi (quasi un miliardo di euro) per le infrastrutture satellitari: ne sarà contento l’ad Profumo.
Molti dubbi anche sulla governance (sulla cabina di regia si rimanda ad un successivo provvedimento) e il monitoraggio previsto per il piano. A tale riguardo colpisce che tutto si riduca -per il monitoraggio- all’uso di software più o meno sofisticati per valutare lo stato di avanzamento e la rispondenza agli obiettivi fissati. Prevale, in questa deriva tecnocratica, il modello McKinsey con matrici, indicatori, ecc e scompare completamente la dinamica della componente sociale, partecipativa e democratica della valutazione delle scelte fatte. D’altra parte è la stessa impostazione che si è seguita anche nella fase preparatoria del piano.
Si doveva fare diversamente. Un piano con molte cose utili (ma anche diverse sbagliate) in una cornice liberista, sempre la stessa, sbagliata e fallimentare, senza il coraggio di affrontare i nodi di una economia diversa fondata sul cambiamento radicale del modello di sviluppo che ci sta portando alla rovina. Senza mai metterlo in discussione: nemmeno nel piano di Draghi.
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Punta de billete. Lompendi su 28 de abrile: sa Die de sa Sardigna
28 de abrile: sa Die de sa Sardigna
SA FESTA NATZIONALE DE SOS SARDOS IN TEMPOS DE PANDEMIA
de Frantziscu Casula
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PRECEDENTE EDITORIALE
Comitato Italiano petizione ICE
Right2cure – No profit on pandemic- Diritto alla Cura -
VACCINI, APPELLO A DRAGHI: SOSPENDERE I BREVETTI PER SALVARCI TUTTI!
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PNRR. Le buone intenzioni dell’inferno di Draghi
di Mario Draghi, presidente del Consiglio dei Ministri.
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Il discorso di Mario Draghi alla Camera (lunedì 26 aprile 2021).
Signor Presidente, Onorevoli Deputati,
[...]
sbaglieremmo tutti a pensare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pur nella sua storica importanza, sia solo un insieme di progetti tanto necessari quanto ambiziosi, di numeri, obiettivi, scadenze. Vi proporrei di leggerlo anche in un altro modo. Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne, dei cittadini che verranno. Le attese di chi più ha sofferto gli effetti devastanti della pandemia. Le aspirazioni delle famiglie preoccupate per l’educazione e il futuro dei propri figli. Le giuste rivendicazioni di chi un lavoro non ce l’ha o lo ha perso. Le preoccupazioni di chi ha dovuto chiudere la propria attività per permettere a noi tutti di frenare il contagio L’ansia dei territori svantaggiati di affrancarsi da disagi e povertà. La consapevolezza di ogni comunità che l’ambiente va tutelato e rispettato. Ma, nell’insieme dei programmi che oggi presento alla vostra attenzione, c’è anche e soprattutto il destino del Paese. La misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale. La sua credibilità e reputazione come fondatore dell’Unione europea e protagonista del mondo occidentale.
Non è dunque solo una questione di reddito, lavoro, benessere. Ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare.
Dico questo perché sia chiaro che, nel realizzare i progetti, ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite. Soprattutto su quelle dei cittadini più deboli e sui nostri figli e nipoti. E forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio. Nel presentare questo documento, al quale è strettamente legato il nostro futuro, vorrei riprendere, specie all’indomani della celebrazione del 25 aprile, una testimonianza di uno dei padri della nostra Repubblica.
Scriveva Alcide De Gasperi nel 1943:
“Vero è che il funzionamento della democrazia economica esige disinteresse, come quello della democrazia politica suppone la virtù del carattere.
L’opera di rinnovamento fallirà, se in tutte le categorie, in tutti i centri non sorgeranno degli uomini – oggi diremmo delle persone – disinteressati pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune.”
A noi l’onere e l’onore di preparare nel modo migliore l’Italia di domani.
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Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – Primi approfondimenti dopo la presentazione al Parlamento
Manca il coraggio di cambiare
Giulio Marcon su Sbilanciamoci!
26 Aprile 2021 | Sezione: Editoriale, Politica
Nelle oltre 300 pagine del Piano di ripresa e resilienza, il Recovery Plan presentato alle Camere, le parole “competizione”, “concorrenza” e “impresa” ricorrono 257 volte, il doppio delle citazioni di “lavoro”, “diseguaglianze” solo sette volte. Il lessico è importante. Infatti alle imprese vanno 50 miliardi, solo 6,6 al lavoro. Un piano senza coraggio.
Incominciamo dalle parole. Nel PNRR di Draghi la parola “concorrenza” compare 42 volte, “competizione” 79 mentre “diseguaglianze” 7 e “diritti” 18. E già questo ci dice qualcosa. Se mettiamo insieme “competizione”, “concorrenza” e “impresa” (257) hanno più del doppio di citazioni (378) di quelle del “lavoro” (179) che pure sta sulla bocca di tutti come la cosa più importante. Ora, non si tratta di mettersi a fare il campionato delle citazioni, ma l’enfasi sulle parole ha sempre qualcosa a che fare con il senso di un discorso, il suo indirizzo, le finalità cui soggiace. Il lessico ha la sua importanza. Così nel piano di Draghi le diseguaglianze scolorano nelle pari opportunità, i diritti nell’accessibilità ai servizi mentre la ricerca scientifica acquista la sua importanza se va verso l’impresa (e non per esempio verso il benessere dei cittadini).
L’impianto di Draghi è sostanzialmente tecnocratico e liberista, pur contenendo diverse cose importanti: le misure per la transizione ecologica, quelle per la medicina territoriale, per l’inclusione sociale e la scuola e altro ancora. Ci sono alcune riforme previste (nel segno della sacrosanta efficienza del sistema), ma non quelle che potrebbero dare il senso di un cambiamento sociale e più giusto del Paese: la riforma del fisco (che sta nel calderone generico delle “varie ed eventuali”), del mercato del lavoro (invertendo la rotta del precariato verso i diritti), della sanità pubblica ricostruendo le basi del Servizio sanitario nazionale, dell’introduzione dei Livelli essenziali di assistenza, già previsti da 20 anni e mai realizzati. Non c’è il coraggio di dire qualche parola in più sulla prospettiva e gli strumenti dell’intervento pubblico in economia. Nel piano manca la politica industriale (altra riforma che non c’è): non sono evidenziate le sedi, gli strumenti, i poteri di indirizzo, di stimolo e di monitoraggio delle scelte per il nostro sistema produttivo.
Le imprese continuano ad essere le più importanti beneficiarie dei fondi pubblici (come è stato nel 2020 con i vari decreti d’emergenza): quasi 50 miliardi di euro del piano, mentre alle politiche per il lavoro vanno solo 6,6 miliardi. Di diseguaglianze non si parla e soprattutto manca una strategia su come affrontarle: il discorso è sempre lo stesso, con la crescita si risolverà tutto. Ricetta falsa: non è così e non è stato così in questi anni. Sulle diseguaglianze sanitarie si dice poco o niente su come affrontarle (non si affronta il tema della divaricazione dei sistemi sanitari regionali) e così quasi nulla (briciole) sul digital divide che incombe su gran parte del Paese.
Per l’ambiente le cose potrebbero andare meglio, certamente. Anche se le associazioni ambientaliste hanno espresso già le loro critiche. Ma ci si consenta qualche dubbio sul rapporto costi-benefici di un provvedimento come quello del bonus 110% su cui anche l’UpB ha sollevato qualche dubbio: un provvedimento (che implica tante risorse) di cui non usufruiscono né i poveri né i ceti medio-bassi e il cui effetto sull’abbattimento delle emissioni è molto sovrastimato, mentre lo spazio per incentivi fiscali sull’ecoefficienza è molto più ampio e molto più diffuso. Scompaiono quasi del tutto gli incentivi per la rigenerazione energetica degli edifici pubblici e rimangono solo quelli per i privati. Tutta questa enfasi per l’investimento sull’idrogeno (più di 3 miliardi) suscita qualche interrogativo, anche perchè è un vettore energetico più che una rinnovabile. E soprattutto uno di interrogativi: se tra le varie disposizioni non si nasconda anche l’aiuto dello sviluppo dell’idrogeno blu (cioè dal gas), su cui sta puntando l’ENI. Inoltre, non ci sono impegni per il superamento dei Sussidi ambientalmente dannosi (SAD) di cui usufruiscono in gran parte le imprese. Ulteriori semplificazioni vengono previste per la procedura VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) e codice appalti: più che meno burocrazia questo significa più deregulation. Qualcosa di cui sarà felice il ministro Cingolani, ex responsabile dell’innovazione per Leonardo: aumentano enormemente i fondi (quasi un miliardo di euro) per le infrastrutture satellitari: ne sarà contento l’ad Profumo.
Molti dubbi anche sulla governance (sulla cabina di regia si rimanda ad un successivo provvedimento) e il monitoraggio previsto per il piano. A tale riguardo colpisce che tutto si riduca -per il monitoraggio- all’uso di software più o meno sofisticati per valutare lo stato di avanzamento e la rispondenza agli obiettivi fissati. Prevale, in questa deriva tecnocratica, il modello McKinsey con matrici, indicatori, ecc e scompare completamente la dinamica della componente sociale, partecipativa e democratica della valutazione delle scelte fatte. D’altra parte è la stessa impostazione che si è seguita anche nella fase preparatoria del piano.
Si doveva fare diversamente. Un piano con molte cose utili (ma anche diverse sbagliate) in una cornice liberista, sempre la stessa, sbagliata e fallimentare, senza il coraggio di affrontare i nodi di una economia diversa fondata sul cambiamento radicale del modello di sviluppo che ci sta portando alla rovina. Senza mai metterlo in discussione: nemmeno nel piano di Draghi.
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EDITORIALI PRECEDENTI
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Punta de billete. Lompendi su 28 de abrile: sa Die de sa Sardigna
28 de abrile: sa Die de sa Sardigna
SA FESTA NATZIONALE DE SOS SARDOS IN TEMPOS DE PANDEMIA
de Frantziscu Casula
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Comitato Italiano petizione ICE
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VACCINI, APPELLO A DRAGHI: SOSPENDERE I BREVETTI PER SALVARCI TUTTI!
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PNRR. Le buone intenzioni dell’inferno di Draghi
di Mario Draghi, presidente del Consiglio dei Ministri.
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Il discorso di Mario Draghi alla Camera (lunedì 26 aprile 2021).
Signor Presidente, Onorevoli Deputati,
sbaglieremmo tutti a pensare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pur nella sua storica importanza, sia solo un insieme di progetti tanto necessari quanto ambiziosi, di numeri, obiettivi, scadenze. Vi proporrei di leggerlo anche in un altro modo. Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne, dei cittadini che verranno. Le attese di chi più ha sofferto gli effetti devastanti della pandemia. Le aspirazioni delle famiglie preoccupate per l’educazione e il futuro dei propri figli. Le giuste rivendicazioni di chi un lavoro non ce l’ha o lo ha perso. Le preoccupazioni di chi ha dovuto chiudere la propria attività per permettere a noi tutti di frenare il contagio L’ansia dei territori svantaggiati di affrancarsi da disagi e povertà. La consapevolezza di ogni comunità che l’ambiente va tutelato e rispettato. Ma, nell’insieme dei programmi che oggi presento alla vostra attenzione, c’è anche e soprattutto il destino del Paese. La misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale. La sua credibilità e reputazione come fondatore dell’Unione europea e protagonista del mondo occidentale.
Non è dunque solo una questione di reddito, lavoro, benessere. Ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare.
Dico questo perché sia chiaro che, nel realizzare i progetti, ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite. Soprattutto su quelle dei cittadini più deboli e sui nostri figli e nipoti. E forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio. Nel presentare questo documento, al quale è strettamente legato il nostro futuro, vorrei riprendere, specie all’indomani della celebrazione del 25 aprile, una testimonianza di uno dei padri della nostra Repubblica.
Scriveva Alcide De Gasperi nel 1943:
“Vero è che il funzionamento della democrazia economica esige disinteresse, come quello della democrazia politica suppone la virtù del carattere.
L’opera di rinnovamento fallirà, se in tutte le categorie, in tutti i centri non sorgeranno degli uomini – oggi diremmo delle persone – disinteressati pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune.”
A noi l’onere e l’onore di preparare nel modo migliore l’Italia di domani.
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PNRR. Le buone intenzioni dell’inferno di Draghi
di Mario Draghi, presidente del Consiglio dei Ministri.
La crisi in Italia e il problema giovani-lavoro
La crisi si è abbattuta su un paese già fragile dal punto di vista economico, sociale ed ambientale. Tra il 1999 e il 2019, il pil in Italia è cresciuto in totale del 7,9 per cento. Nello stesso periodo in Germania, Francia e Spagna, l’aumento è stato rispettivamente del 30,2, del 32,4 e 43,6 per cento. Tra il 2005 e il 2019, il numero di persone sotto la soglia di povertà è salita dal 3,3 per cento al 7,7 per cento della popolazione – prima di aumentare ulteriormente nel 2020 fino al 9,4 per cento. A essere particolarmente colpiti sono stati donne e giovani: l’Italia è il paese dell’Ue con il più alto tasso di giovani tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione (Neet), e il tasso di partecipazione delle donne al lavoro è solo il 53,1 per cento, molto al di sotto del 67,4 per cento della media europea. Questi problemi sono ancora più accentuati nel Mezzogiorno, dove il processo di convergenza con le aree più ricche del paese è ormai fermo.
Cambiamenti climatici ed erosione del territorio
L’Italia è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici e, in particolare, all’incremento delle ondate di calore e delle siccità. Le zone costiere, i delta e le pianure alluvionali risentono degli effetti legati all’incremento del livello del mare e delle precipitazioni intense. Secondo le stime dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale (Ispra), nel 2017 il 12,6 per cento della popolazione viveva in aree classificate ad elevata pericolosità di frana o soggette ad alluvioni, con un complessivo peggioramento rispetto al 2015. Dopo una forte discesa tra il 2008 e il 2014, le emissioni pro capite di gas clima-alteranti in Italia, espresse in tonnellate equivalenti, sono rimaste sostanzialmente inalterate nel 2019.
Germania e Francia corrono di più
Dietro l’incapacità dell’economia italiana di tenere il passo con gli altri paesi avanzati europei e di correggere i suoi squilibri sociali ed ambientali, c’è l’andamento della produttività, molto più lento in Italia che nel resto d’Europa. Negli ultimi vent’anni, dal 1999 al 2019, il pil per ora lavorata in Italia è cresciuto del 4,2 per cento, mentre in Francia e Germania è aumentato rispettivamente del 21,2 e del 21,3 per cento. La produttività totale dei fattori, un indicatore che misura il grado di efficienza complessivo di un’economia, è diminuita del 5,8 per cento tra il 2001 e il 2019, a fronte di un generale aumento a livello europeo.
P.a. e digitalizzazione, un problema da affrontare
Tra le cause del deludente andamento della produttività c’è l’incapacità di cogliere le molte opportunità legate alla rivoluzione digitale. Questo ritardo è dovuto sia alla mancanza di infrastrutture adeguate, sia alla struttura del tessuto produttivo italiano, caratterizzato da una prevalenza di piccole e medie imprese, che sono state spesso lente nel muoversi verso produzioni di più alto valore aggiunto. La scarsa familiarità con le nuove tecnologie digitali caratterizza d’altronde anche il settore pubblico. Prima dello scoppio della pandemia, il 98,8 per cento dei dipendenti dell’amministrazione pubblica in Italia non aveva mai utilizzato il lavoro agile. Anche durante la pandemia, a fronte di un potenziale di tale modalità di lavoro nei servizi pubblici pari a circa il 36 per cento, l’utilizzo effettivo è stato del 33 per cento, con livelli più bassi, di circa 10 punti percentuali, nel Mezzogiorno.
Il ritardo degli investimenti
Questi ritardi sono in parte legati al calo degli investimenti pubblici e privati, che ha rallentato i necessari processi di modernizzazione della pubblica amministrazione, delle infrastrutture e delle filiere produttive. Nel ventennio 1999-2019 gli investimenti totali in Italia sono cresciuti del 66 per cento a fronte del 118 per cento nella zona euro. In particolare, mentre la quota di investimenti privati è aumentata, quella degli investimenti pubblici è diminuita, passando dal 14,5 per cento degli investimenti totali nel 1999 al 12,7 per cento fino al 2019.
Le riforme fanno crescere il Pil
Le riforme strutturali sono essenziali per migliorare la qualità della spesa da parte delle amministrazioni pubbliche e incoraggiare i capitali privati verso investimenti e innovazione. Secondo un recente studio della Banca d’Italia, le riforme introdotte nell’ultimo decennio in materia di giustizia civile, liberalizzazione dei servizi e incentivi all’innovazione hanno contribuito ad accrescere il pil nel 2019 di una percentuale tra il 3 per cento e il 6 per cento, con ulteriori effetti previsti nel decennio successivo. E’ un impatto significativo, che può essere ulteriormente rafforzato con una nuova agenda di semplificazioni.
Un nuovo miracolo italiano
Questi problemi rischiano di condannare l’Italia a un futuro di bassa crescita da cui sarà sempre più difficile uscire. La storia economica recente dimostra, tuttavia, che l’Italia non è necessariamente destinata al declino. Nel secondo Dopoguerra, durante il miracolo economico, il nostro paese ha registrato tassi di crescita del pil e della produttività tra i più alti d’Europa. Tra il 1950 e il 1973, il pil per abitante è cresciuto in media del 5,3 per cento l’anno, la produzione industriale dell’8,2 per cento e la produttività del lavoro del 6,2 per cento. In poco meno di un quarto di secolo l’Italia ha portato avanti uno straordinario processo di convergenza verso i paesi più avanzati e il reddito medio degli italiani è passato dal 38 al 64 per cento di quello degli Stati Uniti e dal 50 all’88 per cento di quello del Regno Unito.
Tassi di crescita così eccezionali sono legati ad aspetti peculiari di quel periodo, in primo luogo la ricostruzione postbellica e l’industrializzazione di un paese ancora in larga parte agricolo, ma mostrano anche il ruolo trasformativo che investimenti, innovazione e apertura internazionale possono avere sull’economia di un paese.
Ngeu è un’opportunità imperdibile
Il Programma Next Generation Eu
L’Unione europea ha risposto alla crisi pandemica con il Next Generation Eu (Ngeu). E’un programma di portata e ambizione inedite, che prevede investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale; migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori; e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale. Per l’Italia il Ngeu rappresenta un’opportunità imperdibile di sviluppo, investimenti e riforme. L’Italia deve modernizzare la sua pubblica amministrazione, rafforzare il suo sistema produttivo e intensificare gli sforzi nel contrasto alla povertà, all’esclusione sociale e alle disuguaglianze. Il Ngeu può essere l’occasione per riprendere un percorso di crescita economica sostenibile e duraturo rimuovendo gli ostacoli che hanno bloccato la crescita italiana negli ultimi decenni.
L’Italia è la prima beneficiaria, in valore assoluto, dei due principali strumenti del Ngeu, il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (Rrf) e il Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori di Europa (React-Eu). Il solo Rrf garantisce risorse per 191,5 miliardi di euro, da impiegare nel periodo 2021-2026, delle quali 68,9 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto. L’Italia intende inoltre utilizzare appieno la propria capacità di finanziamento tramite i prestiti della Rrf, che per il nostro paese è stimata in 122,6 miliardi.
Sei missioni da compiere
Il dispositivo Rrf richiede agli stati membri di presentare un pacchetto di investimenti e riforme – il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Questo piano, che si articola in 6 Missioni e 16 Componenti, beneficia della stretta interlocuzione avvenuta in questi mesi con il Parlamento e con la Commissione europea, sulla base del Regolamento Rrf. Le sei Missioni del Piano sono: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute. Il Piano è in piena coerenza con i sei pilastri del Ngeu e soddisfa i parametri fissati dai regolamenti europei, con una quota di progetti ‘verdi’ pari al 38 per cento del totale e di progetti digitali del 25 per cento.
Al Mezzogiorno quasi metà degli investimenti
Il 40 per cento circa delle risorse del Piano sono destinate al Mezzogiorno, a testimonianza dell’attenzione al tema del riequilibrio territoriale. Il Piano è fortemente orientato all’inclusione di genere e al sostegno all’istruzione, alla formazione e all’occupazione dei giovani e contribuisce a ciascuno dei sette progetti di punta (European flagships) della Strategia annuale sulla crescita sostenibile dell’Ue. Gli impatti ambientali indiretti sono stati valutati e la loro entità minimizzata in linea col principio del “non arrecare danni significativi” all’ambiente (“do no significant harm” – Dnsh) che ispira il Ngeu.
Le quattro riforme epocali sul tavolo
Il Piano comprende un ambizioso progetto di riforme. Il governo intende attuare quattro importanti riforme di contesto – Pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza. Inoltre, sono previste iniziative di modernizzazione del mercato del lavoro e di rafforzamento della concorrenza nel mercato dei prodotti e dei servizi. E’ prevista infine una riforma fiscale, che affronti anche il tema delle imposte e dei sussidi ambientali.
Pubblica amministrazione
La riforma della Pubblica amministrazione migliora la capacità amministrativa sia a livello centrale che locale; rafforza i processi di selezione, formazione e promozione dei dipendenti pubblici; e incentiva la semplificazione e la digitalizzazione delle procedure amministrative. Si basa su una forte espansione dei servizi digitali, negli ambiti dell’identità, dell’autenticazione, della sanità e della giustizia. L’obiettivo è una marcata sburocratizzazione per ridurre i costi e i tempi che attualmente gravano su imprese e cittadini.
Riforma della Giustizia
La riforma della giustizia ha l’obiettivo di affrontare i nodi strutturali del processo civile e penale e rivedere l’organizzazione degli uffici giudiziari. Nel campo della giustizia civile si semplifica il rito processuale, in primo grado e in appello, e si implementa definitivamente il processo telematico. Il Piano predispone inoltre interventi volti a riformare i meccanismi di riscossione e a ridurre il contenzioso tributario e i tempi della sua definizione. In materia penale, il governo intende riformare la fase delle indagini e dell’udienza preliminare; ampliare il ricorso a riti alternativi; rendere più selettivo l’esercizio dell’azione penale e l’accesso al dibattimento; definire termini di durata dei processi.
Semplificazione e sburocratizzazione
La riforma finalizzata alla razionalizzazione e semplificazione della legislazione abroga o modifica leggi e regolamenti che ostacolano eccessivamente la vita quotidiana dei cittadini, le imprese e la Pubblica amministrazione. La riforma interviene sulle leggi in materia di pubbliche amministrazioni e di contratti pubblici, sulle norme che sono di ostacolo alla concorrenza, sulle regole che hanno facilitato frodi o episodi corruttivi. E’ potenziato il Dipartimento affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio e presso la Presidenza viene costituito un apposito Ufficio per la razionalizzazione e semplificazione delle leggi e dei regolamenti, per permettere una continuità di proposte e di interventi nel processo di semplificazione normativa.
Tutela della concorrenza
Un fattore essenziale per la crescita economica e l’equità è la promozione e la tutela della concorrenza. La concorrenza non risponde solo alla logica del mercato, ma può anche contribuire ad una maggiore giustizia sociale. La Commissione europea e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella loro indipendenza istituzionale, svolgono un ruolo efficace nell’accertare e nel sanzionare cartelli tra imprese, abusi di posizione dominante e fusioni o acquisizioni di controllo che ostacolano sensibilmente il gioco competitivo. Il governo s’impegna a presentare in Parlamento il disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, o comunque a approvare norme che possano agevolare l’attività d’impresa in settori strategici, come le reti digitali, l’energia e i porti. Alcune di queste norme sono già individuate nel Piano, ad esempio il completamento degli obblighi di gara per i regimi concessori oppure la semplificazione delle autorizzazioni per la realizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti. Il governo si impegna inoltre a mitigare gli effetti negativi prodotti da queste misure e a rafforzare i meccanismi di regolamentazione.
Al Ministero dell’Economia il controllo dei fondi
Quanto più si incoraggia la concorrenza, tanto più occorre rafforzare la protezione sociale. Il governo ha predisposto uno schema di governance del Piano che prevede una struttura di coordinamento centrale presso il ministero dell’Economia. Questa struttura supervisiona l’attuazione del piano ed è responsabile dell’invio delle richieste di pagamento alla Commissione europea, invio che è subordinato al raggiungimento degli obiettivi previsti. Accanto a questa struttura di coordinamento, agiscono una struttura di valutazione e una struttura di controllo. Le amministrazioni sono invece responsabili dei singoli investimenti e delle singole riforme e inviano i loro rendiconti alla struttura di coordinamento centrale.
Le task force regionali del governo
Il governo costituirà anche delle task force locali che possano aiutare le amministrazioni territoriali a migliorare la loro capacità di investimento e a semplificare le procedure. La supervisione politica del piano è affidata a un comitato istituito presso la Presidenza del Consiglio a cui partecipano i ministri competenti.
Il governo stima che gli investimenti previsti nel piano avranno un impatto significativo sulle principali variabili macroeconomiche e sugli indicatori di inclusione, equità e sviluppo sostenible (Sdgs). Nel 2026, l’anno di conclusione del Piano, il prodotto interno lordo sarà del 3,6 per cento più alto rispetto all’andamento tendenziale e l’occupazione di quasi 3 punti percentuali. Gli investimenti previsti nel Piano porteranno inoltre a miglioramenti marcati negli indicatori che misurano la povertà, le diseguaglianze di reddito e l’inclusione di genere, e un marcato calo del tasso di disoccupazione giovanile. Il programma di riforme potrà ulteriormente accrescere questi impatti.
L’Italia del futuro
Il Pnrr è parte di una più ampia e ambiziosa strategia per l’ammodernamento del paese. Il governo intende aggiornare e perfezionare le strategie nazionali in tema di sviluppo e mobilità sostenibile; ambiente e clima; idrogeno; automotive; filiera della salute. L’Italia deve combinare immaginazione e creatività a capacità progettuale e concretezza. Il governo vuole vincere questa sfida e consegnare alle prossime generazioni un paese più moderno, all’interno di un’Europa più forte e solidale.
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DOCUMENTAZIONE su Aladinpensiero
- IL PIANO.
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QUADRO ECONOMICO COMPLESSIVO
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EDITORIALI PRECEDENTI [segue]
La lezione della pandemia
una Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola
Newsletter n.35 del 19 aprile 2021
LA LEZIONE DELLA PANDEMIA
Carissimi,
Prima che sia troppo tardi l’umanità deve raccogliere la lezione della pandemia e decidere come provvedere a far continuare la vita sulla Terra.
È questo l’ulteriore e decisivo movente che anima l’iniziativa di una Costituzione della Terra, che è il fine per cui tutti insieme abbiamo dato vita all’Associazione “Costituente Terra”. Il blocco delle attività ha impedito finora lo svolgimento delle iniziative in presenza che erano state previste, a cominciare da quelle della Scuola, ma non ha impedito né l’attività dei siti www.costituenteterra.it e http://labibliotecadialessandria.costituenteterra.it/, né il varo della collana “Materiali per una Costituzione della Terra” (Giappichelli Editore) di cui è uscito il primo titolo “Perché una Costituzione della Terra?” di Luigi Ferrajoli.
Nello stesso tempo è stato predisposto un progetto di Costituzione della Terra, che a cura dello stesso Ferrajoli sarà presentato nell’Assemblea di “Costituente Terra” convocata, come già annunziato, per sabato 8 maggio pv alle ore 11 (in seconda convocazione).
La pandemia, concentrando su di sé tutta la cura del mondo, ha distolto l’attenzione da altre urgenze già presenti prima di essa e da questa aggravate. Basta pensare all’innalzamento delle acque atteso in conseguenza della crisi climatica quando, come dice un documento “People and Oceans” delle Nazioni Unite, circa 145 milioni di persone vivono entro un metro sopra l’attuale livello del mare e quasi due terzi delle città del mondo, con una popolazione di oltre 5 milioni di abitanti, si trovano in aree soggette al rischio di innalzamento di tale livello, mentre quasi il 40% della popolazione mondiale vive entro 100 km da una costa. E basta pensare al solo problema dello smaltimento delle acque contaminate dalle centrali nucleari sinistrate, come quella di Fukushima, (per non parlare delle bombe atomiche), che diventeranno inoffensive solo fra 24.000 o addirittura milioni di anni, per comprendere la portata delle questioni da affrontare ormai tutti insieme.
Intanto in piena pandemia mentre lasciava attoniti lo spettacolo di un gran numero di vittime ogni giorno inumate in forme collettive nel sud del Brasile come nel nord dell’Italia, si dava lo scandalo, come lo definiva il papa nel suo messaggio pasquale, del rincrudirsi delle guerre e diffondersi delle armi nel confermato esercizio della lotta di tutti contro tutti; e mentre la ragione suggeriva l’immediata mondializzazione dei vaccini, enormi profitti derivanti dai loro brevetti e dall’esplodere delle tecnologie informatiche venivano spartiti nell’indiscussa obbedienza alla sovranità dei mercati.
La lezione sta nel fatto che senza una rivoluzione del sistema di governo e una conversione della maggioranza dei cuori tali sfide letali alla sopravvivenza del mondo e alla continuità della storia non possono essere affrontate.
Questa è la posta in gioco della Costituzione della Terra che sarà presentata nella prossima Assemblea e aperta ai commenti e alle proposte di modifica da parte di tutti, secondo le modalità che in quella sede saranno convenute. Quanti intendono partecipare o assistere all’Assemblea e non l’abbiano ancora fatto ne possono chiedere il link rispondendo a questa newsletter. Chi non ha ancora rinnovato l’adesione all’Associazione e i nuovi soci che vogliano aggiungersi possono farlo usando per il relativo contributo l’IBAN IT94X0100503206000000002788 (dall’estero BIC BNLIITRR) intestato a “Costituente Terra”. Per la quota richiesta rimandiamo a quanto enunciato nell’appello fondativo “Perché la storia continui”, che ne motivava la misura significativa di 100 euro, lasciando però a ciascuno piena libertà di versare una somma diversa.
Il lavoro per giungere alla promulgazione di una Carta della Terra da parte dell’ONU impegnerà i prossimi mesi o anche anni. È evidente che si tratterà di una Costituzione ben altra rispetto a quelle conosciute, che finora non hanno dovuto né istituire un demanio planetario, né una fiscalità mondiale, né mettere fuori commercio beni illeciti, né abolire eserciti e armi.
Però tutti siamo invitati a farcene costituenti.
Come anticipazione ai lavori dell’Assemblea trascriviamo qui l’INCIPIT e i primi articoli del relativo progetto:
INCIPIT
Noi, popoli della Terra, che nel corso delle ultime generazioni abbiamo accumulato armi micidiali in grado di distruggere più volte l’umanità, abbiamo devastato l’ambiente naturale e messo in pericolo, con le nostre attività produttive, l’abitabilità del nostro pianeta, consapevoli della catastrofe ecologica che incombe sulla Terra, del nesso che lega la sopravvivenza dell’umanità e la salvaguardia del pianeta e del rischio che, a causa delle nostre aggressioni alla natura, il genere umano, per la prima volta nella storia, possa avviarsi all’estinzione; decisi a salvare la Terra e le generazioni future dai flagelli dello sviluppo insostenibile, delle guerre, dei dispotismi, della crescita della povertà e della fame, che hanno già provocato devastazioni irreversibili al nostro ambiente naturale, milioni di morti ogni anno, lesioni gravissime della dignità delle persone e un’infinità di indicibili privazioni e sofferenze; decisi a vivere insieme, nessuno escluso, in pace, senza armi d’offesa, senza fame omicida né sete né essere separati da muri ostili; decisi a garantire un futuro alla specie umana e alle altre specie viventi, a realizzare l’uguaglianza nei diritti fondamentali e la solidarietà tra tutti gli esseri umani e ad assicurare loro le garanzie della vita, della dignità, delle libertà, della salute, dell’istruzione e dei minimi vitali, promuoviamo un processo costituente della Federazione della Terra, aperto all’adesione di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite e finalizzato alla stipulazione di questo patto di convivenza pacifica e di mutuo aiuto:
Titolo primo: Principi supremi.
Art. 1 – La Terra è un pianeta vivente, una perla dell’universo, casa comune degli esseri umani, delle piante e di una grande quantità di animali, sede di storia e di lavoro, del diritto e della scienza, di amori e di illimitate speranze. Essa appartiene a tutti gli esseri viventi: agli esseri umani, agli animali e alle piante. Appartiene anche alle generazioni future, alle quali la generazione presente ha il dovere di garantire la continuità della storia quale condizione della loro stessa messa al mondo e sopravvivenza.
L’umanità fa parte della natura. La vita e la salute del genere umano dipendono dalla vitalità e dalla salute del mondo naturale e degli altri esseri viventi, animali e vegetali, che insieme agli esseri umani formano una famiglia accomunata da una stessa origine e da una globale interdipendenza.
Art. 2 – I fini della Federazione della Terra sono:
- garantire la vita presente e futura sul nostro pianeta in tutte le sue forme e, a questo fine, porre termine alle emissioni di gas serra e al conseguente riscaldamento climatico, alle deforestazioni, alle desertificazioni e agli inquinamenti dell’aria, dell’acqua e del suolo;
- mantenere la pace e la sicurezza internazionale e, a questo fine, mettere al bando tutte le armi, nucleari e convenzionali, sopprimere gli eserciti nazionali e realizzare, in capo alla Federazione della Terra, il monopolio della forza, limitato alle sole armi necessarie alle funzioni di polizia;
- promuovere fra i popoli rapporti amichevoli di solidarietà e di cooperazione nella soluzione dei problemi globali di carattere ecologico, politico, economico, sociale e culturale e, a questo fine, garantire l’uguale dignità di tutte le persone e la conservazione e la tutela di tutti i beni vitali;
- realizzare l’uguaglianza di tutti gli esseri umani nei diritti fondamentali e, a questo fine, introdurre, in capo ad adeguate istituzioni globali di garanzia, idonee funzioni consistenti negli obblighi di prestazione e nei divieti di lesione che a tali diritti corrispondono quali loro garanzie.
Art. 3 – La dignità della persona umana è inviolabile. E’ dovere di tutti rispettarla e tutelarla. Nella ricchezza delle loro differenze, che questa Costituzione ha il compito di tutelare, gli esseri umani costituiscono un’indivisibile famiglia umana, quali soggetti uguali in dignità e diritti, titolari di beni comuni e responsabili in solido della vita sulla Terra e del dovere di conservarla, promuoverla e trasmetterla da una generazione all’altra.
Art. 4 – Tutti gli esseri umani sono uguali in dignità. La loro pari dignità impone il diritto di ciascuno al rispetto e all’esplicazione di tutte le proprie differenze personali – di sesso, di nascita, di nazionalità, di lingua, di religione, di convinzioni, di opinioni politiche e di ogni altro elemento della propria identità – e alla massima riduzione delle loro disuguaglianze economiche e sociali.
Art. 5 -Tutti gli esseri umani sono cittadini della Terra. Tutti sono dotati, dal momento della nascita, di personalità e di capacità giuridica. Nessuno può essere privato della personalità, della capacità giuridica o del nome.
Tutti acquistano la capacità d’agire con la maggiore età, stabilita al compimento del diciottesimo anno.
Art. 6 – La fraternità è la forma primaria dei rapporti tra i membri della famiglia umana. Tutti gli esseri umani e tutte le pubbliche istituzioni sono tenuti ai doveri di solidarietà economica, sociale e politica.
Seguono altri 94 articoli.
Con i più cordiali saluti
www.costituenteterra.it
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- Approfondimenti.
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Precedente editoriale.
Mario Melis, ricordando un grande sardo a 100 anni dalla sua nascita.
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Largo ai giovani. La Chiesa sarda dà il buon esempio. Occorre una forte alleanza intergenerazionale per superare la crisi.
Che succede?
TRACCE DI NUOVI UMANESIMI. PROVE DI NUOVI 5 STELLE. UE, IL NODO DEI TRATTATI
5 Aprile 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
Renzo Piano, “Il nuovo umanesimo nascerà negli ospedali” (intervista a La Stampa). EUROPA: Romano Prodi, “La Ue perdente sui vaccini e il nodo dei Trattati” (Messaggero). Sergio Fabbrini, “L’Europa e i ritardi del programma Next generation” (Sole 24 ore). GOVERNO: Paolo Pombeni, “Mattarella e le tre ricostruzioni di De Gasperi” (Il Quotidiano). Francesco Verderami, “Draghi studia i tempi per la ripartenza” (Corriere della sera). Paolo Armaroli, “I silenzi e le parole di Mattarella e Draghi” (Fond. Leonardo). Rino Formica, “Draghi e lo stato dell’Unione” (Domani). Francesco Bei, “Letta e Conte allo specchio” (Repubblica). IL PAESE: Federico Fubini, “Volano i risparmi, per i giovani cresce la povertà” (Corriere della sera). IL PROGRAMMA: Giorgio Santilli, “Recovery plan, commissione unica per il via ai progetti” (Sole 24 ore). Enrico Giovannini, “Strade e nuove linee Tav, le opere da accelerare” (intervista a Il Tirreno). Le alternative di Marco Bersani, “Serve un Recovery per la società della cura” (Manifesto). Le critiche di Giorgio Beretta e Francesco Vignarca, “Tutti uniti, l’industria militare avrà parte dei fondi del Recovery” (Manifesto). PD: Sabrina Cottone, “Rosy Bindi vuole tornare nel nuovo Pd di Letta” (Il Giornale). Franco Monaco, “La beffa delle donne nel Pd, scelte da correnti maschili” (Il Fatto). Mario Giro, “Oltre l’irrilevanza, un impegno comune di cattolici” (Avvenire). [segue]
Riflessioni su volontariato e terzo settore
Ridefinire il volontariato per promuovere risposte
Per un necessario cambiamento del Terzo settore
di Luca Gori, su Labsus.
In un suo editoriale del 2017, Gregorio Arena scriveva che «le parole del legislatore pesano, per cui ne basta una per cambiare completamente la prospettiva». Si può dire che il volume che Emanuele Rossi ed il sottoscritto hanno curato, Ridefinire il volontariato (Pisa University Press, 2021) – e di cui Labsus ha gentilmente chiesto una auto-recensione –, ha inteso prendere sul serio quell’avvertimento: le parole del legislatore “pesano”. In effetti, se si legge con attenzione l’art. 17, comma 2 del Codice del Terzo settore si percepisce come la necessaria “sinteticità” che è richiesta alla legge svolga una duplice funzione: bilancio della disciplina normativa del volontariato italiano e, allo stesso tempo, apertura verso il futuro.
Bilancio perché la storia normativa del volontariato italiano nasce ancora prima della legge n. 266 del 1991 (Legge quadro sul volontariato) e si snoda attraverso diverse leggi statali e regionali, non sempre fra loro coordinate, e interpretate dai giudici. Ciascuna di quelle leggi ed interpretazioni ha progressivamente adattato, riletto, adeguato. Ha sagomato – per riprendere una immagine di Paolo Grossi – il vestito del diritto sopra il corpo sociale, per come esso si è via via organizzato.
Ma vi è anche una significativa apertura verso il futuro, perché il legislatore ha preso atto del polimorfismo del volontariato, che trascende i singoli enti e le singole attività. E ciò è avvenuto, principalmente, attraverso un semplice “anche”: sia nel Terzo settore, sia fuori di esso, sia in modalità del tutto informali. Si prende atto – attraverso l’utilizzo di “anche” – che ad oggi la capacità immaginativa del legislatore si arresta ad un dato storico – il Terzo settore – ma che non si possa escludere, domani, un volontariato del tutto nuovo.
La valutazione complessiva dell’art. 17, c. 2 è positiva. Certamente, si tratta di una disposizione che non si può isolare rispetto al Codice del Terzo settore, ma è estremamente significativo che – finalmente – vi sia una definizione chiara e comprensiva, che si proietta in tutto l’ordinamento giuridico.
Due scenari per il volontariato
Nel libro si è provato a “spezzare” il comma 2 in singoli sintagmi. A ciascun autore si è chiesto di offrire una propria lettura di una singola espressione. Si tratta di una operazione che non ha solo un significato di tipo giuridico – offrire una interpretazione di una disposizione di diritto vigente – bensì pure di lanciare un segnale di tipo culturale. Infatti, la disposizione rappresenta, oltre che una norma propriamente giuridica, una sorta di manifesto culturale. Dalla lettura del libro, emergono, fra i tanti, due “scenari” da valutare.
Il primo. Il volontario «[…] svolge attività in favore della comunità e del bene comune». La norma non indica quale sia la comunità di riferimento (il quartiere, la città, la Regione, ecc.) né indica quale sia il bene comune cui si riferisce. Spetta al volontario individuare quale sia la comunità con la quale voglia entrare in relazione e quale sia l’idea di bene comune che intende sostenere, ed aggregare altre persone, risorse, beni immateriali. La disposizione, quindi, ci parla di un volontario che non è il mero esecutore della volontà degli enti pubblici, ma di un volontario che è chiamato a farsi naturalmente costruttore, sapendo che la propria attività avrà un impatto politico (e non si deve avere paura di dirlo) e modificherà i rapporti all’interno del contesto di riferimento. Anche le micro-azioni di cura dei beni comuni sono espressione di appartenenza alla comunità, di rivendicazione della propria libertà di scegliere e di impegnarsi e di assunzione di una responsabilità.
Al contrario, spesso è diffusa una idea di volontariato come intervento a basso costo, in sostituzione di quello pubblico e con intenti dirigisti da parte della pubblica amministrazione. L’art. 17, c. 2 ricorda che la prospettiva è tutt’altra. Il sintagma «attività in favore della comunità e del bene comune» potrebbe essere così riletto: ciascun volontario è in condizione di esercitare la propria autonoma iniziativa di cittadino individuando, in condizione di libertà, i fini ed i mezzi della propria azione orientata a migliorare le condizioni di vita della comunità ove vive, anche indipendentemente dal potere pubblico, responsabilmente, ovverosia potendo argomentare a quale comunità egli si riferisca ed a quale idea di bene comune si ispiri. Una missione impegnativa, insomma.
Il secondo. Il volontario opera «[…] per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione». Non è detto semplicemente “per realizzare risposte ai bisogni”, ma più ampiamente di “promuovere risposte“. “Promuovere” significa creare le condizioni affinché i bisogni possano trovare risposta e, ancora prima, affinché i bisogni escano da uno stato di latenza e assumano una loro concreta evidenza. Talvolta è richiesto al volontario di attivarsi anche solamente per indicare ai pubblici poteri situazioni e luoghi sui quali intervenire o invocare la tutela di diritti (la c.d. funzione di advocacy). Ciò non esclude che “promuovere” significhi pure prendersi cura direttamente delle situazioni, concretamente e operativamente. Non si deve dimenticare però che la gamma di azioni che il volontario può essere chiamato a mettere in campo è, quindi, assai ampia.
Un cambiamento necessario
Ma soprattutto il richiamo alle “risposte” indica l’idea di un cambiamento necessario: l’azione del volontario determina alterazioni della realtà di fatto, non accettazione di una condizione attuale. Emanuele Rossi, nella conclusione del libro, ricorda che ha molto colpito ed ha generato dibattito il messaggio, a tratti provocatorio, di Papa Francesco in occasione dell’evento “The Economy of Francesco – i giovani, un patto, il futuro” (21 novembre 2020). Il Papa ha ammonito che, per garantire beni e servizi essenziali alle persone, «non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel Terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare. Infatti, non si tratta solo o esclusivamente di sovvenire alle necessità più essenziali dei nostri fratelli. Occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case».
È stato un richiamo forte, quasi ruvido, ma che ha rimesso al centro il tema di quel “promuovere risposte” in maniera integrale: non già il «porre rimedio ai guai fatti dagli altri» (come affermava Maria Eletta Martini), bensì l’andare in profondità, con acume, alle radici dei problemi, attraverso formazione e non tramite improvvisazione. Quando la legge dice “promuovere risposte” si potrebbe dire, più ampiamente, come creare le condizioni affinché quei bisogni siano rilevati e soddisfatti poiché, per la propria competenza, potere pubblico e Terzo settore si adoperano affinché le determinanti di quei bisogni siano individuate e risolte nonché gli effetti, comunque, mitigati.
Le voci
Le “voci” che si alternano del libro appartengono a diversi ambiti disciplinari ed esperienze: giuristi, sociologici, economisti, dirigenti di grandi enti, ricercatori sociali. Hanno infatti contribuito, oltre ai curatori, Pasqualino Albi, Maurizio Ambrosini, Gregorio Arena, Carlo Borzaga, Antonio Cecconi, Andrea Salvini, Jacopo Sforzi, Vincenzo Tondi Della Mura. I contributi sono brevi, di agile lettura, con una indicazione di una bibliografia essenziale.
L’intenzione è stata di indicare sentieri possibili da percorrere, per approfondire e riflettere, a partire da un singolo comma costituito da meno di 400 caratteri che, da solo, indica un essere ed un dover essere della persona-volontario. Il rischio, infatti, è schiacciare l’analisi esclusivamente sul dato normativo e sulla sua portata prescrittiva, che è indubitabile: dagli adempimenti di registrazione, alle incompatibilità, ai divieti di retribuzione, alle assicurazioni ecc., queste sono le preoccupazioni che affliggono il Terzo settore e la pubblica amministrazione oggi. Si tratta di aspetti indubbiamente importanti, ma occorre tenere presente che non sono altro che il riflesso, sul piano giuridico, di alcuni orientamenti valoriali di fondo e, in particolare, di quella naturale vocazione sociale dell’uomo, inscritta nella storia profonda del nostro Paese e cardine della Costituzione repubblicana.
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Dispositivo dell’art. 17 Codice del terzo settore
Fonti → Codice del terzo settore → Titolo III – Del volontario e dell’attività di volontariato
1. Gli enti del Terzo settore possono avvalersi di volontari nello svolgimento delle proprie attività e sono tenuti a iscrivere in un apposito registro i volontari che svolgono la loro attività in modo non occasionale.
2. Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà.
3. L’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere rimborsate dall’ente del Terzo settore tramite il quale svolge l’attività soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata, entro limiti massimi e alle condizioni preventivamente stabilite dall’ente medesimo. Sono in ogni caso vietati rimborsi spese di tipo forfetario.
4. Ai fini di cui al comma 3, le spese sostenute dal volontario possono essere rimborsate anche a fronte di una autocertificazione resa ai sensi dell’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, purché non superino l’importo di 10 euro giornalieri e 150 euro mensili e l’organo sociale competente deliberi sulle tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità di rimborso. La disposizione di cui al presente comma non si applica alle attività di volontariato aventi ad oggetto la donazione di sangue e di organi.
5. La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano agli operatori che prestano attività di soccorso per le organizzazioni di cui all’articolo 76 della legge provinciale 5 marzo 2001, n. 7, della Provincia autonoma di Bolzano e di cui all’articolo 55-bis della legge provinciale 19 luglio 1990, n. 23, della Provincia autonoma di Trento.
6. Ai fini del presente Codice non si considera volontario l’associato che occasionalmente coadiuvi gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni.
6-bis. I lavoratori subordinati che intendano svolgere attività di volontariato in un ente del Terzo settore hanno diritto di usufruire delle forme di flessibilità di orario di lavoro o delle turnazioni previste dai contratti o dagli accordi collettivi, compatibilmente con l’organizzazione aziendale.
7. Le disposizioni di cui al presente titolo non si applicano agli operatori volontari del servizio civile universale, al personale impiegato all’estero a titolo volontario nelle attività di cooperazione internazionale allo sviluppo, nonché agli operatori che prestano le attività di cui alla legge 21 marzo 2001, n. 74.
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Pubblichiamo di seguito il testo del Videomessaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato, a conclusione dei lavori, ai partecipanti all’Incontro internazionale “Economy of Francesco – Papa Francesco e i giovani da tutto il mondo per l’economia di domani”, in corso ad Assisi – in diretta streaming – dal 19 al 21 novembre 2020:
Videomessaggio del Santo Padre
Cari giovani, buon pomeriggio!
Grazie per essere lì, per tutto il lavoro che avete fatto, per l’impegno di questi mesi, malgrado i cambi di programma. Non vi siete scoraggiati, anzi, ho conosciuto il livello di riflessione, la qualità, la serietà e la responsabilità con cui avete lavorato: non avete tralasciato nulla di ciò che vi dà gioia, vi preoccupa, vi indigna e vi spinge a cambiare.
L’idea originaria era di incontrarci ad Assisi per ispirarci sulle orme di San Francesco. Dal Crocifisso di San Damiano e da altri volti – come quello del lebbroso – il Signore gli è andato incontro, lo ha chiamato e gli ha affidato una missione; lo ha spogliato degli idoli che lo isolavano, delle perplessità che lo paralizzavano e lo chiudevano nella solita debolezza del “si è sempre fatto così” – questa è una debolezza! – o della tristezza dolciastra e insoddisfatta di quelli che vivono solo per sé stessi e gli ha regalato la capacità di intonare un canto di lode, espressione di gioia, libertà e dono di sé. Perciò, questo incontro virtuale ad Assisi per me non è un punto di arrivo ma la spinta iniziale di un processo che siamo invitati a vivere come vocazione, come cultura e come patto.
La vocazione di Assisi
“Francesco va’, ripara la mia casa che, come vedi, è in rovina”. Queste furono le parole che smossero il giovane Francesco e che diventano un appello speciale per ognuno di noi. Quando vi sentite chiamati, coinvolti e protagonisti della “normalità” da costruire, voi sapete dire “sì”, e questo dà speranza. So che avete accettato immediatamente questa convocazione, perché siete in grado di vedere, analizzare e sperimentare che non possiamo andare avanti in questo modo: lo ha mostrato chiaramente il livello di adesione, di iscrizione e di partecipazione a questo patto, che è andato oltre le capacità. Voi manifestate una sensibilità e una preoccupazione speciali per identificare le questioni cruciali che ci interpellano. L’avete fatto da una prospettiva particolare: l’economia, che è il vostro ambito di ricerca, di studio e di lavoro. Sapete che urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che «l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista»[1] e colpisce nostra sorella terra, tanto gravemente maltrattata e spogliata, e insieme i più poveri e gli esclusi. Vanno insieme: tu spogli la terra e ci sono tanti poveri esclusi. Essi sono i primi danneggiati… e anche i primi dimenticati.
Attenzione però a non lasciarsi convincere che questo sia solo un ricorrente luogo comune. Voi siete molto più di un “rumore” superficiale e passeggero che si può addormentare e narcotizzare con il tempo. Se non vogliamo che questo succeda, siete chiamati a incidere concretamente nelle vostre città e università, nel lavoro e nel sindacato, nelle imprese e nei movimenti, negli uffici pubblici e privati con intelligenza, impegno e convinzione, per arrivare al nucleo e al cuore dove si elaborano e si decidono i temi e i paradigmi.[2] Tutto ciò mi ha spinto a invitarvi a realizzare questo patto. La gravità della situazione attuale, che la pandemia del Covid ha fatto risaltare ancora di più, esige una responsabile presa di coscienza di tutti gli attori sociali, di tutti noi, tra i quali voi avete un ruolo primario: le conseguenze delle nostre azioni e decisioni vi toccheranno in prima persona, pertanto non potete rimanere fuori dai luoghi in cui si genera, non dico il vostro futuro, ma il vostro presente. Voi non potete restare fuori da dove si genera il presente e il futuro. O siete coinvolti o la storia vi passerà sopra.
Una nuova cultura
Abbiamo bisogno di un cambiamento, vogliamo un cambiamento, cerchiamo un cambiamento.[3] Il problema nasce quando ci accorgiamo che, per molte delle difficoltà che ci assillano, non possediamo risposte adeguate e inclusive; anzi, risentiamo di una frammentazione nelle analisi e nelle diagnosi che finisce per bloccare ogni possibile soluzione. In fondo, ci manca la cultura necessaria per consentire e stimolare l’apertura di visioni diverse, improntate a un tipo di pensiero, di politica, di programmi educativi, e anche di spiritualità che non si lasci rinchiudere da un’unica logica dominante.[4] Se è urgente trovare risposte, è indispensabile far crescere e sostenere gruppi dirigenti capaci di elaborare cultura, avviare processi – non dimenticatevi questa parola: avviare processi – tracciare percorsi, allargare orizzonti, creare appartenenze… Ogni sforzo per amministrare, curare e migliorare la nostra casa comune, se vuole essere significativo, richiede di cambiare «gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società».[5] Senza fare questo, non farete nulla.
Abbiamo bisogno di gruppi dirigenti comunitari e istituzionali che possano farsi carico dei problemi senza restare prigionieri di essi e delle proprie insoddisfazioni, e così sfidare la sottomissione – spesso inconsapevole – a certe logiche (ideologiche) che finiscono per giustificare e paralizzare ogni azione di fronte alle ingiustizie. Ricordiamo, ad esempio, come bene osservò Benedetto XVI, che la fame «non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale».[6] Se voi sarete capaci di risolvere questo, avrete la via aperta per il futuro. Ripeto il pensiero di Papa Benedetto: la fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale.
La crisi sociale ed economica, che molti patiscono nella propria carne e che sta ipotecando il presente e il futuro nell’abbandono e nell’esclusione di tanti bambini e adolescenti e di intere famiglie, non tollera che privilegiamo gli interessi settoriali a scapito del bene comune. Dobbiamo ritornare un po’ alla mistica [allo spirito] del bene comune. In questo senso, permettetemi di rilevare un esercizio che avete sperimentato come metodologia per una sana e rivoluzionaria risoluzione dei conflitti. Durante questi mesi avete condiviso varie riflessioni e importanti quadri teorici. Siete stati capaci di incontrarvi su 12 tematiche (i “villaggi”, voi li avete chiamati): 12 tematiche per dibattere, discutere e individuare vie praticabili. Avete vissuto la tanto necessaria cultura dell’incontro, che è l’opposto della cultura dello scarto, che è alla moda. E questa cultura dell’incontro permette a molte voci di stare intorno a uno stesso tavolo per dialogare, pensare, discutere e creare, secondo una prospettiva poliedrica, le diverse dimensioni e risposte ai problemi globali che riguardano i nostri popoli e le nostre democrazie.[7] Com’è difficile progredire verso soluzioni reali quando si è screditato, calunniato e decontestualizzato l’interlocutore che non la pensa come noi! Questo screditare, calunniare o decontestualizzare l’interlocutore che non la pensa come noi è un modo di difendersi codardamente dalle decisioni che io dovrei assumere per risolvere tanti problemi. Non dimentichiamo mai che «il tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma»[8], e che «la mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità».[9]
Questo esercizio di incontrarsi al di là di tutte le legittime differenze è il passo fondamentale per qualsiasi trasformazione che aiuti a dar vita a una nuova mentalità culturale e, quindi, economica, politica e sociale; perché non sarà possibile impegnarsi in grandi cose solo secondo una prospettiva teorica o individuale senza uno spirito che vi animi, senza alcune motivazioni interiori che diano senso, senza un’appartenenza e un radicamento che diano respiro all’azione personale e comunitaria.[10]
Così il futuro sarà un tempo speciale, in cui ci sentiamo chiamati a riconoscere l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta. Un tempo che ci ricorda che non siamo condannati a modelli economici che concentrino il loro interesse immediato sui profitti come unità di misura e sulla ricerca di politiche pubbliche simili che ignorano il proprio costo umano, sociale e ambientale.[11] Come se potessimo contare su una disponibilità assoluta, illimitata o neutra delle risorse. No, non siamo costretti a continuare ad ammettere e tollerare in silenzio nei nostri comportamenti «che alcuni si sentano più umani di altri, come se fossero nati con maggiori diritti»[12] o privilegi per il godimento garantito di determinati beni o servizi essenziali.[13] Non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare. Infatti, non si tratta solo o esclusivamente di sovvenire alle necessità più essenziali dei nostri fratelli. Occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case. E questo è molto più che assistenzialismo: stiamo parlando di una conversione e trasformazione delle nostre priorità e del posto dell’altro nelle nostre politiche e nell’ordine sociale. [segue]
Covid-19
Covid. Il profitto non è la cura giusta
Volerelaluna. 30-03-2021 – di: Marco Bersani
Dall’inizio della pandemia, e senza soluzione di continuità fra Governo Conte e Governo Draghi, le misure messe in atto per fronteggiarla hanno seguito sei precise traiettorie: [segue]
RECOVERY PLAN. I Sindaci scrivono…
LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REGIONE SUL NEXT GENERATION UE – RECOVERY PLAN
Gentilissimo Signor Presidente,
Le scriviamo in rappresentanza di Anci Sardegna, Asel, Aiccre, Uncem, Focus Europe, AssoGal, Città Metropolitana di Cagliari, Rete Metropolitana di Sassari, Comuni Capoluogo, Unioni dei Comuni e Comunità Montane che hanno partecipato alla misura 5.8 della Programmazione Territoriale e della Snai.
Il Next Generation Ue potrebbe rappresentare, per la Sardegna, una grandissima opportunità di progresso economico, sociale, culturale e democratico. [segue]