Risultato della ricerca: Vanni Tola

Elezioni

IL SONNO DELLA RAGIONE CREA MOSTRI
sedia-van-gogh4La sedia
di Vanni Tola
Campagna elettorale, ritorna la strategia della tensione per far vincere le destre. Come in passato con il “pericolo” dell’estremismo rosso, anche stavolta si fa perno sulla paura della gente minacciando la “bomba sociale che sta per esplodere” rappresentata dai migranti. Ignorato l’invito del Presidente della Repubblica ad abbassare i toni del dibattito elettorale e l’invito imperativo del Ministro degli Interno a “non cavalcare l’odio”.
Il sospetto che il gesto stragista di un fascista non fosse un episodio occasionale generato da uno squilibrato era nell’aria. Molti hanno pensato, con ragione, ad un gesto inserito in una precisa strategia del terrore finalizzata a garantire e rafforzare l’affermazione elettorale delle destre. Diversi segnali lo confermano. Intanto l’atteggiamento dell’autore del gesto che viene descritto come assolutamente non pentito e lucidamente convinto, e magari anche fiero, della strage compiuta. Poi l’immediato appoggio al suo operato di una formazione di destra, Forza Nuova, che con tempestività annuncia sostegno morale e assistenza legale all’autore del fatto criminale. Via a seguire Salvini che, pur condannando il gesto in sé, dichiara che la responsabilità dell’accaduto va ricercata nella “invasione” di clandestini in atto. Simile la posizione della Meloni (Fratelli D’Italia). Inizialmente fuori dal coro Silvio Berlusconi che, nelle prime ore dopo la vicenda, preferisce attribuire il gesto ad uno squilibrato. Giusto il tempo di comprendere che non poteva lasciare al solo Salvini la gestione della strategia della paura ed ecco che anche Berlusconi decide di cavalcare l’odio. E’ lui che conia la definizione di “bomba sociale pronta ad esplodere” intendendo con tale definizione la presenza di un eccessivo numero di immigrati clandestini in Italia. Poco importa se i dati sull’immigrazione dimostrano inconfutabilmente l’infondatezza di qualunque minaccia di invasione del Paese. I livelli di migranti sono nella norma degli altri paesi europei, non è in atto nessuna islamizzazione del Paese, nessun tentativo di sostituzione etnica degli italiani con altre popolazioni e altre scemate analoghe. L’effetto previsto del folle gesto di un fascista ha ottenuto l’effetto sperato, rilanciare con forza le ragioni delle destre, diffondere paura e ansia tra la gente, favorire la scelta elettorale di quelle forze politiche che si candidano per la tutela e lo ristabilimento dell’ordine e la pulizia etnica. La palla è in campo e con quella si giocherà. Nessuno verificherà più di tanto l’irrazionalità del concetto di “bomba sociale” pronta a deflagare. Se lo dice Berlusconi, molti non hanno difficoltà a crederlo. La altre forze politiche, quelle che dovrebbero essere antagoniste e alternative al blocco delle destre, si guardano bene dallo schierarsi in modo deciso contro questa operazione. Lo fanno per vari e innumerevoli motivi e con occhio attento agli umori della gente e ai sondaggi elettorali. Ma lo fanno anche perché non hanno saputo rimuovere quella vergogna immane rappresentata dalla legge Bossi-Fini che sta alla base di tutte le distorsioni ideologiche e le riserve mentali che hanno determinato una errata politica di controllo e governo dei movimenti migratori. Ma anche perché la politica di controllo dell’emigrazione, dell’accoglienza e dell’integrazione del governo Renzi si é rivelata, a dir poco, inadeguata. E, da ultimo, il silenzio imbarazzato della sinistra è determinato dal fatto che, quello che viene rappresentato come una vittoria del Governo e del ministro Minniti, il calo del numero di immigrati sbarcati in questi mesi, è frutto di un accordo miserabile e vigliacco con la Libia del quale non ci si può che vergognare. Gli sbarchi sono diminuiti perché i libici bloccano i migranti richiudendoli in carceri improvvisate che rassomigliano molto più ai lager nazisti piuttosto che a centri di raccolta e smistamento di migranti. E mentre gli organi di stampa si interrogano su eventuali rapporti di conoscenza tra la ragazza massacrata e il suo carnefice ci si interroga sul profilo psicologico del fascista che ha realizzato la strage, tutto procede come da copione. Salvini continua a predicare odio con ossessive presenze televisive, Berlusconi cerca di scavalcarlo a destra per ribadire la sua premiership sullo schieramento di destra Intanto e le altre forze portano avanti come possono le loro misere strategie elettorali che ci condurranno quasi certamente al governo delle grandi ammucchiate o a nuove elezioni. Si pensava che sarebbe stata una campagna elettorale col botto, ma si pensava principalmente ad un botto metaforico non a quello reale. Invece siamo già alla “bomba sociale pronta ad esplodere” e nessuno sa che altro potranno inventarsi ancora.

Sempre peggio

oxamsedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola
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Valutiamo le proposte dei partiti e dei candidati con il metro della riduzione delle diseguaglianze economiche e sociali.
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In queste settimane la nostra attenzione è calamitata principalmente dalla campagna elettorale. Programmi, strategie, possibili alleanze, governabilità del Paese. Intanto un ideale meteorite ha sfiorato le nostre teste. Una notizia di una drammaticità straordinaria. Più dell’80% della ricchezza prodotta tra Marzo 2016 e marzo 2017, è finita tra le mani, o se preferite, nelle tasche dell’1% dalla parte più ricca della popolazione mondiale. Al 50% della parte più povera della popolazione mondiale, circa 3,7 miliardi di persone, non è arrivato nulla, dico nulla, della ricchezza prodotta nel mondo. Pensateci un attimo. Può questa riflessione rappresentare un criterio guida per sviluppare e orientare ciascuna delle nostre scelte di vita e dei nostri comportamenti, anche di quelli concernenti le scelte elettorali per il governo del paese? A mio parere sì. Il rapporto annuale dell’Oxfam, (Confederazione internazionale delle organizzazioni non profit), dal quale rileviamo la notizia riportata, ha documentato che le diseguaglianze economiche e sociali nel mondo si stanno ampliando, diventano sempre maggiori. L’aumento costante delle diseguaglianze economiche e sociali tra una parte minoritaria della popolazione mondiale e una massa sterminata di poveri, o meglio ciò che si ritiene di dover fare per contrastarlo, deve diventare il metro di paragone per valutare l’operato e i programmi futuri delle differenti forze politiche, per scelte ponderate e realistiche. Lo affermo pensando, per esempio, alla illogicità di alcune promesse elettorali quali l’abolizione per tutti della tassa sulla prima casa, la mancia elettorale di 500 euro elargita a tutti i giovani per affrontare spese concernenti la formazione culturale e altre proposte analoghe. Credete che vadano nella direzione di ridurre l’aumento delle diseguaglianze? Chi possiede un lussuoso attico nel centro storico di una grande città non pagherà nessuna tassa sulla propria abitazione esattamente come il salariato che, con un misero stipendio e un indebitamento pluridecennale, è riuscito ad acquistare le classiche due camere e cucina per la propria famiglia. Analoga considerazione può essere sviluppata relativamente ad altri comparti della vita sociale (prestazioni sanitarie, gratuità delle tasse scolastiche, prestazioni di servizi pubblici). Detta in questi termini la questione della crescente diseguaglianza sociale può apparire cosa semplice frutto di ragionamento esso stesso semplicistico. Proviamo allora ad andare un pochino più a fondo nella questione. La contraddizione principale della nostra esistenza è attualmente rappresentata dal fatto che viviamo in un mondo ricco e con enormi opportunità, ma nel quale si registrano livelli di povertà assoluta inaccettabili che sono la radice di gran parte delle tensioni sociali, dai conflitti regionali ai grandi movimenti migratori. Il citato rapporto dell’Oxfam indica quale causa fondamentale delle diseguaglianze «l’ottimizzazione dei costi» nei processi di delocalizzazione della produzione di beni (e servizi) che, in una logica di massimo profitto, significa corsa verso il basso sui diritti del lavoro nelle filiere e del valore dei prodotti. Un processo complesso che è favorito, e alimentato da un modello di finanza mirato esclusivamente alla ricerca del massimo valore da parte degli azionisti delle imprese, A questo aspetto fondamentale della produzione delle merci se ne aggiunge poi un’altro, quello della elusione fiscale. Cioè della tendenza prevalente a spostare i profitti lontano da dove il valore viene prodotto impedendo una sia pur minima distribuzione della ricchezza fra gli strati più deboli del sistema. Pensiamo a tanta manodopera di numerosi paesi che vivono ai limiti della sopravvivenza. Fra i numerosi esempi riportati nel Rapporto Oxfam si cita il settore tessile nel quale la corsa al ribasso e l’ottimizzazione dei costi ha prodotto situazione decisamente drammatiche. La corsa al ribasso dei costi e la ricerca di manodopera a costi sempre più bassi ha fatto si che in India, Cambogia e Indonesia un quarto dei lavoratori lavorino con stipendi al limite o al di sotto del salario minimo legale, quasi ai limiti della sopravvivenza. C’è poi un altro aspetto che ci interessa direttamente. Questi lavoratori di Paesi lontani, in un mondo sempre più globalizzato esercitano una formidabile concorrenza a basso costo nei confronti dei nostri lavoratori, dei quali diventano di fatto diretti concorrenti. Col tempo infatti i lavoratori meno specializzati dei nostri Paesi tendono ad accettare condizioni di lavoro sempre più difficili con peggioramenti marcati nelle condizioni di lavoro e soprattutto con riduzioni considerevoli dei salari. E’ fondamentale notare che la quota dei salari sul Pil, nei paesi ad alto reddito, diminuisce considerevolmente per i lavoratori a bassa e media qualifica mentre aumenta per i lavoratori con alta qualifica che, invece, mantengono ancora un elevato potere contrattuale con i datori di lavoro. Il malcontento di molti elettori italiani, la crescente propensione all’astensionismo elettorale sono la diretta conseguenza di questi problemi che molti faticano a comprendere in quanto disorientati dalle strategie propagandistiche delle forze populiste generalmente incentrate su ben altre considerazioni (invasione dei migranti, pericoli di stravolgimenti etnici, paura dell’integrazione, accuse generiche all’Unione Europea e alle proprie scelte generalmente condivise all’origine anche dal nostro Paese). Una delle soluzioni che il Rapporto Oxfam indica è il contrasto al duping sociale ed ambientale, una operazione che interessa allo stesso modo sia i lavoratori dei Paesi poveri che quelli dei Paesi con redditi elevati. Come farlo? Una soluzione potrebbe essere la riforma dell’Iva in Europa, una rimodulazione delle aliquote che penalizzi le filiere produttive che operano al di sotto di standard minimi per ostacolare la concorrenza al ribasso globale dei costi di produzione, che si traducono in un ostacolo per la competizione fra le aziende. Ma le soluzioni, tutte puntualmente indicate nel Rapporto, possono essere anche altre, il contrasto ai paradisi fiscali, la tutela dei diritti sindacali nei paesi poveri, la progressività fiscale, lo sviluppo della responsabilità sociale delle imprese che limiti la logica del massimo profitto a qualunque costo. E’ evidente quindi che la partita elettorale non si gioca sulla base di promesse altisonanti, ad effetto ma scarsamente efficaci quando non palesemente irrealizzabili. E’ il momento delle scelte concrete e realistiche che tengano conto delle effettive potenzialità di crescita e sviluppo, che devono necessariamente basarsi sulla riduzione delle diseguaglianze sociali ed economiche, tutelare il diritto alla salute e all’istruzione di chi vive in condizioni di disagio sociale, creare occasioni di pari opportunità per tutti. Il resto, le promesse elettorali, ricordiamolo, sono spesso soltanto promesse.
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La grande diseguaglianza della società servile.
di Marco Revelli.
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Da il manifesto, 23 gennaio 2018, ripreso da eddyburg. Ciò che stupisce non è l’enormità della situazione di sfruttamento nella quale miliardi di persone sono gettati, ma l’incapacità degli sfruttati a ribellarsi.
«Povertà globale. Il Rapporto Oxfam fotografa non solo le vette, straordinarie nel 2017, della ricchezza ma guarda il mondo anche dalle profondità globali degli abissi sociali»

L’ultimo rapporto Oxfam sullo stato sociale del pianeta è piombato come un pugno sul tavolo dei signori di Davos. Dice che l’1% della popolazione mondiale controlla una ricchezza pari a quella del restante 99%. E questo lo riportano tutti i media. Ma dice anche di più. Dice, per esempio, che tra il marzo del 2016 e il marzo 2017 quell’infinitesimo gruppo di super-privilegiati (un paio di migliaia di maschi alfa, meno di 1 su 10 sono donne) si è accaparrato l’86% della nuova ricchezza prodotta, mentre ai 3 miliardi e 700 milioni di donne, uomini e bambini che costituiscono il 50% degli abitanti della terra non è andato nemmeno un penny (alla faccia della famigerata teoria del trickle down, cioè dello “sgocciolamento” dei soldi dall’alto verso il basso). Dice anche che lo scorso anno ha visto la più grande crescita del numero dei miliardari nel mondo (all’incirca uno in più ogni due giorni). E dell’ammontare della loro ricchezza: 762 miliardi, una cifra che da sola, se redistribuita, permetterebbe di porre fine alla povertà estrema globale non una ma sette volte!

E poi dice, soprattutto, che quella mostruosa accumulazione di ricchezza poggia sul lavoro povero, svalorizzato, umiliato di miliardi di uomini e soprattutto di donne, e anche bambini. E’, biblicamente, sterco del diavolo.

Anzi, non si limita a dirlo con l’aridità delle statistiche, confronta anche le vite dei protagonisti: quella, per esempio, di Amancio Ortega (il quarto nella classifica dei più ricchi), padrone di Zara, i cui profitti sono stati pari a un miliardo e 300 milioni di dollari, e quella di Anju che in Bangladesh cuce vestiti per lui, 12 ore al giorno, per 900 dollari all’anno (quasi 1 milione e mezzo di volte in meno) e che spesso deve saltare il pasto.

È QUESTA LA FORZA del rapporto Oxfam di quest’anno: che non si limita a guardare il mondo sul suo lato “in alto” – a descriverne il luminoso polo della ricchezza -, ma di misurarlo anche “in basso”. Di rivelarci la condizione miserabile e oscura del mondo del lavoro, dove uno su tre è un working poor, un lavoratore povero, in particolar modo una lavoratrice povera. E dove in 40 milioni lavorano in “condizione di schiavitù” o di “lavoro forzato” (secondo l’ILO “i lavoratori forzati hanno prodotto alcuni dei cibi che mangiamo e gli abiti che indossiamo, e hanno pulito gli edifici in cui molti di noi vivono o lavorano”).

IL SISTEMA ECONOMICO globale, plasmato sui dogmi del neo-liberismo – l’unico dogma ideologico sopravvissuto – si conferma così come quella maga-macchina globale (descritta a suo tempo perfettamente da Luciano Gallino) che mentre accumula a un polo una concentrazione disumana di ricchezza produce al polo opposto disgregazione sociale e devastazione politica (consumo di vita e consumo di democrazia). Allungando all’estremo le società, espandendo all’infinito i privilegi dei pochi, anzi pochissimi, e depauperando gli altri, erode alla radice le condizioni stesse della democrazia. La svuota alla base, cancellando il meccanismo della cittadinanza stessa: da società “democratiche” che eravamo diventati (di una democrazia incompiuta, parziale, manchevole, ma almeno fondata su un simulacro di eguaglianza) regrediamo a società servili, dove tra Signore e Servo passa una distanza assoluta, e dove al libero rapporto di partecipazione si sostituisce quello di fedeltà e di protezione. O, al contrario, di estraneità, di rabbia e di vendetta: è, appunto, il contesto in cui la variante populista e quella astensionista si intrecciano e si potenziano a vicenda, come forme attuali della politica nell’epoca dell’asocialità.

IN REALTÀ NESSUNO dei suggerimenti che il Rapporto avanza figura nell’agenda (quella vera, non gli specchietti per le allodole) dei governi di ogni colore e continente: non la tassazione massiccia delle super-ricchezze così da ridurre il gap (anzi, le flat tax che vanno di moda stanno agli antipodi), né la riduzione degli stipendi dei “top executives”, per ridurli almeno a un rapporto di 1 a 20 rispetto al resto dei dipendenti; men che meno la promozione delle rappresentanze collettive dei lavoratori, o la riduzione del precariato. Figurano, certo, nel démi-monde della politica governante, preoccupazioni formali, dichiarazioni d’intenti o di consapevolezza, promesse e moine, puntualmente e platealmente smentite dalla pratica (Oxfam porta gli esempi della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, che mentre denunciano i pericoli del dumping salariale o dell’evasione appoggiano evasori e tagliatori di buste paga e di teste, e naturalmente di Donald Trump, che mentre lisciava il pelo ai blue collar riempiva la propria amministrazione di multimiliardari e di uomini delle banche).

COME DIRE CHE L’IPOCRISIA è diventata la forma attuale della post-democrazia. E che con questo qualunque sinistra che voglia rifondarsi non può non fare i conti.

Sempre peggio

oxamsedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola
Valutiamo le proposte dei partiti e dei candidati con il metro della riduzione delle diseguaglianze economiche e sociali.
In queste settimane la nostra attenzione è calamitata principalmente dalla campagna elettorale. Programmi, strategie, possibili alleanze, governabilità del Paese. Intanto un ideale meteorite ha sfiorato le nostre teste. Una notizia di una drammaticità straordinaria. Più dell’80% della ricchezza prodotta tra Marzo 2016 e marzo 2017, è finita tra le mani, o se preferite, nelle tasche dell’1% dalla parte più ricca della popolazione mondiale. Al 50% della parte più povera della popolazione mondiale, circa 3,7 miliardi di persone, non è arrivato nulla, dico nulla, della ricchezza prodotta nel mondo. Pensateci un attimo. Può questa riflessione rappresentare un criterio guida per sviluppare e orientare ciascuna delle nostre scelte di vita e dei nostri comportamenti, anche di quelli concernenti le scelte elettorali per il governo del paese? A mio parere sì. Il rapporto annuale dell’Oxfam, (Confederazione internazionale delle organizzazioni non profit), dal quale rileviamo la notizia riportata, ha documentato che le diseguaglianze economiche e sociali nel mondo si stanno ampliando, diventano sempre maggiori. L’aumento costante delle diseguaglianze economiche e sociali tra una parte minoritaria della popolazione mondiale e una massa sterminata di poveri, o meglio ciò che si ritiene di dover fare per contrastarlo, deve diventare il metro di paragone per valutare l’operato e i programmi futuri delle differenti forze politiche, per scelte ponderate e realistiche. Lo affermo pensando, per esempio, alla illogicità di alcune promesse elettorali quali l’abolizione per tutti della tassa sulla prima casa, la mancia elettorale di 500 euro elargita a tutti i giovani per affrontare spese concernenti la formazione culturale e altre proposte analoghe. Credete che vadano nella direzione di ridurre l’aumento delle diseguaglianze? Chi possiede un lussuoso attico nel centro storico di una grande città non pagherà nessuna tassa sulla propria abitazione esattamente come il salariato che, con un misero stipendio e un indebitamento pluridecennale, è riuscito ad acquistare le classiche due camere e cucina per la propria famiglia. Analoga considerazione può essere sviluppata relativamente ad altri comparti della vita sociale (prestazioni sanitarie, gratuità delle tasse scolastiche, prestazioni di servizi pubblici). Detta in questi termini la questione della crescente diseguaglianza sociale può apparire cosa semplice frutto di ragionamento esso stesso semplicistico. Proviamo allora ad andare un pochino più a fondo nella questione. La contraddizione principale della nostra esistenza è attualmente rappresentata dal fatto che viviamo in un mondo ricco e con enormi opportunità, ma nel quale si registrano livelli di povertà assoluta inaccettabili che sono la radice di gran parte delle tensioni sociali, dai conflitti regionali ai grandi movimenti migratori. Il citato rapporto dell’Oxfam indica quale causa fondamentale delle diseguaglianze «l’ottimizzazione dei costi» nei processi di delocalizzazione della produzione di beni (e servizi) che, in una logica di massimo profitto, significa corsa verso il basso sui diritti del lavoro nelle filiere e del valore dei prodotti. Un processo complesso che è favorito, e alimentato da un modello di finanza mirato esclusivamente alla ricerca del massimo valore da parte degli azionisti delle imprese, A questo aspetto fondamentale della produzione delle merci se ne aggiunge poi un’altro, quello della elusione fiscale. Cioè della tendenza prevalente a spostare i profitti lontano da dove il valore viene prodotto impedendo una sia pur minima distribuzione della ricchezza fra gli strati più deboli del sistema. Pensiamo a tanta manodopera di numerosi paesi che vivono ai limiti della sopravvivenza. Fra i numerosi esempi riportati nel Rapporto Oxfam si cita il settore tessile nel quale la corsa al ribasso e l’ottimizzazione dei costi ha prodotto situazione decisamente drammatiche. La corsa al ribasso dei costi e la ricerca di manodopera a costi sempre più bassi ha fatto si che in India, Cambogia e Indonesia un quarto dei lavoratori lavorino con stipendi al limite o al di sotto del salario minimo legale, quasi ai limiti della sopravvivenza. C’è poi un altro aspetto che ci interessa direttamente. Questi lavoratori di Paesi lontani, in un mondo sempre più globalizzato esercitano una formidabile concorrenza a basso costo nei confronti dei nostri lavoratori, dei quali diventano di fatto diretti concorrenti. Col tempo infatti i lavoratori meno specializzati dei nostri Paesi tendono ad accettare condizioni di lavoro sempre più difficili con peggioramenti marcati nelle condizioni di lavoro e soprattutto con riduzioni considerevoli dei salari. E’ fondamentale notare che la quota dei salari sul Pil, nei paesi ad alto reddito, diminuisce considerevolmente per i lavoratori a bassa e media qualifica mentre aumenta per i lavoratori con alta qualifica che, invece, mantengono ancora un elevato potere contrattuale con i datori di lavoro. Il malcontento di molti elettori italiani, la crescente propensione all’astensionismo elettorale sono la diretta conseguenza di questi problemi che molti faticano a comprendere in quanto disorientati dalle strategie propagandistiche delle forze populiste generalmente incentrate su ben altre considerazioni (invasione dei migranti, pericoli di stravolgimenti etnici, paura dell’integrazione, accuse generiche all’Unione Europea e alle proprie scelte generalmente condivise all’origine anche dal nostro Paese). Una delle soluzioni che il Rapporto Oxfam indica è il contrasto al duping sociale ed ambientale, una operazione che interessa allo stesso modo sia i lavoratori dei Paesi poveri che quelli dei Paesi con redditi elevati. Come farlo? Una soluzione potrebbe essere la riforma dell’Iva in Europa, una rimodulazione delle aliquote che penalizzi le filiere produttive che operano al di sotto di standard minimi per ostacolare la concorrenza al ribasso globale dei costi di produzione, che si traducono in un ostacolo per la competizione fra le aziende. Ma le soluzioni, tutte puntualmente indicate nel Rapporto, possono essere anche altre, il contrasto ai paradisi fiscali, la tutela dei diritti sindacali nei paesi poveri, la progressività fiscale, lo sviluppo della responsabilità sociale delle imprese che limiti la logica del massimo profitto a qualunque costo. E’ evidente quindi che la partita elettorale non si gioca sulla base di promesse altisonanti, ad effetto ma scarsamente efficaci quando non palesemente irrealizzabili. E’ il momento delle scelte concrete e realistiche che tengano conto delle effettive potenzialità di crescita e sviluppo, che devono necessariamente basarsi sulla riduzione delle diseguaglianze sociali ed economiche, tutelare il diritto alla salute e all’istruzione di chi vive in condizioni di disagio sociale, creare occasioni di pari opportunità per tutti. Il resto, le promesse elettorali, ricordiamolo, sono spesso soltanto promesse.
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Nereide

locandina_nereide-rudas
———————————Domani————————–
Cagliari, Venerdi 19 gennaio 2018 ore 9,30, Aula magna Rettorato Via Università: Nereide Rudas che “parlò con voce di donna” [di Redazione]
By sardegnasoprattutto /

Oggi giovedì 18 gennaio 2018

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
———————————–Da oggi——————————
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img_4630SUCANIA – Associazione di Cooperazione Internazionale
Centro Studi di Relazioni Industriali dell’Università di Cagliari- Fondazione Anna Ruggiu onlus.
Nell’ambito del progetto: Verso la parità di genere: donne nella storia, nelle istituzioni, nel diritto e nella società.
X Corso di Educazione alla Solidarietà Internazionale
Le migrazioni: Una prospettiva interculturale ed interdisciplinare
1° giornata: 18 gennaio 2018,
dalle ore 15 alle ore 19 Università di Cagliari aula B Facoltà di Scienze giuridiche, economiche e sociali, Viale S.Ignazio.
LE MIGRAZIONI – INTRODUZIONE AL TEMA
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img_4629La felicità: nei secoli è aumentata o diminuita?
18 Gennaio 2018
democraziaoggiGianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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lampadadialadmicromicro132Gli editoriali di Aladinews. nagasaki
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di Raniero La Valle

—————————————Elezioni———————–
vitobiolchini occhiali microCotti e Scanu fuori dal prossimo parlamento: chi tocca le servitù militari muore?
img_4633Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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sedia di Vannitola
Psdaz – Lega uniti al voto.
di Vanni Tola
Sorprende fino ad un certo punto. Non è da oggi che, il psdaz dichiara di non essere né di destra né di sinistra. Sarebbe stato bello se fosse diventato qualcosa di altro, una sorta di terza via alternativa ai vecchi grandi schieramenti. Ciò non è accaduto ed è chiaro che, alla stretta finale, subentrano altri criteri di scelta, altri parametri di riferimento, logiche di sedie e di visibilità magari conquistata a caro prezzo e alleandosi con una forza indecente e in contrasto con i principi fondativi del Partito Sardo. Campagna acquisti, come nel calcio. In cambio Zaia, anziché meridionali, li chiama bravi ragazzi. Un bel risultato!
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“In quale tempo accade il ‘ma’ del tempo sperato”. Quattro soglie oltre le quali c’è la morte o la vita: la guerra privatizzata, l’esodo dei migranti, la de-creazione della terra, l’uscita dalla cristianità

la-nostra-ipotesi-2-768x480_mlogo76Le relazioni del 2 dicembre 2017 all’assemblea di Roma. Pubblichiamo, tratta dal sito, quella introduttiva di Raniero La Valle [disponibile anche il video-audio, curato da Radio Radicale].
PER IL TEMPO CHE VIENE UN NUOVO “NOMOS DELLA TERRA”

La relazione introduttiva all’assemblea di Chiesa di tutti Chiesa dei poveri: “In quale tempo accade il ma del tempo sperato”. Quattro soglie oltre le quali c’è la morte o la vita: la guerra privatizzata, l’esodo dei migranti, la de-creazione della terra, l’uscita dalla cristianità

di Raniero La Valle

1 . Noi non abbiamo promosso questa assemblea solo perché volevamo dare continuità e futuro a questa nostra meravigliosa aggregazione che abbiamo chiamato “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”. Al contrario l’abbiamo convocata perché volevamo riconoscere una discontinuità. Sentiamo e vediamo infatti che un grande mutamento è in corso.
Come molti ormai hanno detto, noi non siamo in un’epoca di cambiamenti, ma aun cambiamento d’epoca. Ebbene, noi siamo qui per capire e prenderci la responsabilità di stare in mezzo a due epoche: il che vuol dire che stiamo tra una fine e un principio.

Una fine che incorpora un principio

Però la cosa non è così semplice, e nemmeno è così tragica, come se anzitutto dovessimo vivere una fine.
La verità è che noi siamo a una fine che incorpora un principio. Non c’è prima la fine e poi il principio. La fine, la discontinuità di cui parliamo non è un’interruzione, un black-out, è un passaggio, ossia, per dirla con una lingua antica, l’aramaico, è un pasah, per dirla in ebraico è pesach, per dirla in italiano è pasqua. Noi non stiamo in mezzo tra una fine e un principio, in terra di nessuno, né di là né di qua. Noi siamo dentro la fine e dentro il principio, i quali perciò dipendono anche da noi.

Dove sta veramente il cambiamento

2. Perciò prima di tutto dobbiamo discernere dove sta veramente il cambiamento. Perché non tutto ciò che muta è un vero cambiamento. Come dice il Concilio nella Gaudium et Spes (n. 10) sotto tutti i cambiamenti ci sono delle cose che non mutano (affirmat Ecclesia omnibus mutationibus subesse quae non mutantur).
Prendiamo per esempio la tecnologia: è veramente lei che fa cambiare il mondo, per cui a ogni balzo in avanti della tecnologia nulla è più come prima? Certo, la tecnica ci assoggetta al suo dominio, e se l’automazione soppianta il lavoro umano è una tragedia, se si fabbrica l’uomo in bottega come Geppetto ha fatto con Pinocchio si va nel disumano, e lo scatenarsi del nucleare sarebbe la fine. Ma molte conquiste della tecnologia non sono vere novità. Il treno è sempre lo stesso, da quando è stato inventato, i cavalli vapore si chiamano così perché ci fanno correre come i vecchi cavalli ferrati, le macchine sono la riproduzione delle carrozze di ieri, gli aerei si tengono sulla portanza dell’aria come l’arca sulle acque del diluvio o le navi sul mare, i missili sono la gigantografia del cannone; io ho vissuto mezza vita senza computer e l’altra mezza col computer, ma non per questo ho vissuto due vite.
Bisogna saper riconoscere i veri cambiamenti. Il povero Renzi ha fallito tutta la sua impresa politica perché credeva che il cambiamento stesse nel fatto che nel telefonino non si possono mettere i gettoni.
Perciò dovremmo fare l’inventario di ciò che veramente finisce, almeno delle cose più decisive, perché ciò che ne consegue non sia la fine di tutto, non sia la distruzione ma la vita, non sia la dissoluzione di ogni diritto ma l’avvento di ogni giustizia, perché il nuovo che viene non sia l’anomos, il senza-legge, come lo descriveva san Paolo, ma sia invece chi agisce per un mondo più umano.
È questo il punto in cui si inserisce il katécon, ossia la resistenza o il freno che deve far sì che la fine non sia apocalittica. Noi infatti non siamo qui ad annunziare l’apocalisse. Il vangelo milita contro l’apocalisse, contro la scure posta alla radice dell’albero (Mt. 3, 10). Infatti il katécon paolino, cui si intitola il nostro appello a resistere per creare un mondo non genocida “patria di tutti, patria dei poveri”, si inserisce in un contesto messianico che annuncia la salvezza, e nella nostra tradizione, pur frequentata da tanti falsi profeti, c’è un solo messia, che è Gesù, che appunto perciò è chiamato il Cristo. Ma perché il suo giorno venga, bisogna passare attraverso il katécon. Noi crediamo che papa Francesco abbia messo in campo questo katécon. Esso però non è un contropotere politico, come molti hanno creduto, fino a Cacciari; sono invece i popoli stessi, sono i martiri e i santi, siamo anche noi che lo dobbiamo attivare. Questo è il senso dell’appello che parte in questi giorni anche da qui, e va per il mondo.
Pertanto io proverò ora a estrarre dalla marea dei cambiamenti quattro cose che veramente finiscono e su cui massimamente, a mio parere, si gioca l’alternativa tra una fine che potrebbe essere tombale e un nuovo principio di cui forzare l’aurora.

Finisce la riserva di guerra

3. 1 La prima cosa che finisce è una delle più vetuste istituzioni dell’umanità nella forma in cui l’abbiamo conosciuta e praticata finora; parlo della guerra come istituzione perversa ma pur sempre suscettibile di essere governata, controllata e perfino ripudiata dagli Stati. È grazie a ciò che la guerra più terribile, quella nucleare, siamo riusciti a fermarla nel 900. Ora questa guerra che noi conosciamo, e che abbiamo criticato, combattuto, esorcizzato e perfino messo fuori legge nella Carta dell’ONU, aveva una caratteristica che essenzialmente la identificava, che la distingueva da qualsiasi altra violenza, rissa o strage; la caratteristica era quella di appartenere allo spazio pubblico, di ricadere sotto una responsabilità pubblica, di essere combattuta con armi pubbliche; in ciò essa si distingueva dai delitti comuni, dalla criminalità organizzata, dalle mafie, dalle camorre, dai narco-traffici. Per dirla con una definizione folgorante, che fu data da Alberico Gentili alle origini del diritto internazionale, la guerra è una “publicorum armorum iusta contentio”, cioè è una legittima contesa che si combatte con armi pubbliche. Che le armi siano pubbliche è dunque ciò che condiziona che una guerra sia legittima ed eventualmente possa farla considerare giusta.
Oggi sappiamo che la guerra non può essere giusta, anzi per la Chiesa, a partire dalla Pacem in terris di papa Giovanni, la guerra è addirittura aliena dalla ragione, fuori della ragione, come è fuori della ragione l’attuale minaccia di una guerra nucleare, per sventare la quale è più che mai necessario che tutti siano vincolati al trattato dell’ONU per l’interdizione totale delle armi nucleari. Il problema però è che oggi la guerra non è più quella di ieri, di cui ancora si poteva discutere se fosse giusta o ingiusta, secondo ragione o fuori della ragione. È caduta infatti la riserva di guerra alla sfera pubblica. Oggi la guerra si combatte fuori del quadro pubblico, senza una responsabilità pubblica, e si combatte con armi private.
La guerra è privatizzata perché gli Stati stessi la combattono con combattenti privati, mercenari, contractors, milizie che si trovano sul mercato (il giro d’affari stimato nel 2003 era già sui 100 miliardi di dollari all’anno). Non a caso sono stati aboliti gli eserciti di leva.
E le armi sono private perché sono prodotte, commerciate e necessariamente consumate e usate per il profitto privato, o per un profitto insieme pubblico e privato ma secondo le leggi del profitto privato; è questa la ragione per cui papa Francesco insiste tanto, prima ancora che sulla guerra, sulle armi che inevitabilmente la provocano.
Ma poi le armi sono private perché oggi sono armi i corpi stessi dei militanti, che solo mutandosi in armi si fanno visibili, rilevanti per gli altri, e uccidono uccidendosi; allora ogni cosa in mano a loro può diventare un’arma imprevedibile e impropria, un camion, un furgone, una bombola di gas, una pentola a pressione piena di chiodi e di tritolo, uno spray, una cintura esplosiva, o un mitra della collezione di casa. E pensate che cosa sarebbe se armi nucleari, che oggi sempre più sono fabbricate non per dissuadere ma per essere usate, uscissero dal controllo pubblico, e cadessero in mani anarchiche e private.
Perciò questa guerra non la si può oggi in alcun modo controllare né sventare, è una guerra mondiale, ma una guerra mondiale a pezzi, come dice il papa, che è un ossimoro, è ubiquitaria, pandemica, arriva senza preavviso, senza possibilità né di allarme né di difesa.
E perciò se la vecchia guerra finisce, non si può ammettere che sia sostituita da questa nuova. E c’è un solo mezzo per bloccare la guerra privata e le armi private, ed è quello di sopprimere fermamente e per sempre la guerra pubblica, non solo quella nucleare, nonché frenare la produzione e abolire il commercio delle armi destinate agli Stati, che sono legittimazione e modello delle armi private e della trasformazione di ogni cosa comune in armi improprie e private.

Finisce il mondo colombiano

3. 2 La seconda cosa che finisce è il mondo colombiano; quel mondo cioè in cui i popoli, intesi come Indi, stavano fermi sulla loro madre terra e le caravelle andavano a scovarli e assoggettarli. È allora che fu proclamato lo ius migrandi , ma ad uso esclusivo degli spagnoli; e se poi altri popoli furono fatti migrare, lo furono come schiavi, e fu quella la tratta degli schiavi. Oggi invece i popoli si muovono, premono per uscire dagli argini dei loro dolori come fiumi in piena, e se riescono a partire lo fanno come clandestini, e questa è la tratta degli esuli. Ma una volta che i migranti sono passati, non intercettati da navi e uomini armati, non inabissati nel mare, non fermati da reticolati e da muri, sono dei fuorilegge, rei per il solo fatto di esistere, senza diritti e senza dimora, sans papier, come dicono i francesi, senza carte; sono dei nessuno da imprigionare o da sfruttare.
Le democrazie che ciò fanno non sono più democrazie, perché in Stati di diritto tengono masse intere di persone fuori del diritto, giuridicamente invisibili, sicché nello stesso territorio c’è un popolo e un non-popolo.
Ma ad essere negato non è solo il popolo dei migranti. Ci sono altri popoli che oggi sono considerati non-popolo. Si pensi alla Palestina, dove una legge in discussione alla Knesset dispone che solo uno dei due popoli inclusi nello Stato di Israele abbia il diritto all’autodeterminazione, l’altro, quello arabo e palestinese, non lo ha. Oppure si pensi ai Rohingya negati nel Myanmar, di cui il papa è andato l’altro giorno a rivendicare il diritto di vivere nella terra che considerano la loro casa, e di cui infine ha pronunciato il nome, dicendo loro che “la presenza di Dio oggi si chiama anche Rohingya”.
Dunque ci sono popoli e non-popoli. Ma l’operazione per cui un popolo per gli altri non deve esistere, deve rovesciarsi in non-popolo, deve essere tolto alla vista, si chiama genocidio.

Finisce l’equilibrio delle acque

3. 3 La terza cosa che finisce è l’equilibrio delle acque. Questo è un potente simbolo del cambiamento perché come è noto quando si rompono le acque allora si nasce, viene al mondo una nuova creatura. Però se si rompono le acque e il nuovo non nasce, è una catastrofe. Oggi si sciolgono i ghiacci dei Poli, si alza il livello dei mari, erompono i fiumi messi sotto terra, si scatenano le acque degli uragani e degli tsunami, molte isole-Stati hanno fatto un’alleanza tra loro perché già sanno che saranno sommerse. Noi sappiamo che la separazione delle acque dall’asciutto è il principio stesso della creazione, o che essa sia avvenuta in un “fiat”, o che sia frutto di un’evoluzione. Dice il Salmo 23 che il Signore “ha fondato la terra sulle sue basi, quando l’oceano l’avvolgeva come un manto, le acque coprivano le montagne; e lui pose un limite alle acque, non lo passeranno, non torneranno a coprire la terra”. E dice il Signore a Giobbe di aver messo un chiavistello al mare ordinandogli: “Fin qui giungerai e non oltre, e qui si infrangerà l’orgoglio delle tue onde” (Gb, 38, 10-11). È grazie a questa stabilità delle acque che gli uomini hanno costruito con fiducia città sul mare e hanno stretto amicizia con esso. Ma oggi viene passato il limite, salta il chiavistello; dunque si tratta di una de-creazione, che non è di Dio né dell’evoluzione ma è nostra, perché non siamo stati buoni a custodire il clima, a provvedere alla salvaguardia del creato.
Per questo Francesco ha mandato una lettera, un’enciclica, “Laudato sì”, non solo ai cristiani o a quelli di buona volontà, ma “a ogni persona che abita questo pianeta”. Perché la vera Chiesa è l’umanità intera, ed è questa che dobbiamo realizzare. E perché quello che è in atto è un ecocidio, e noi lo dobbiamo fermare.

Finisce il regime di cristianità

3.4 La quarta cosa che finisce, anzi che è finita, è il regime di cristianità, cioè quella versione del cristianesimo che ha preso la forma della cristianità e che coincide con l’età costantiniana della Chiesa.
È finita cioè la formula della religione intesa come un monoteismo che fonda un’unità politica, formula che passa per Costantino, Eusebio, Teodosio, arriva a Carlo Magno e nell’ultimo millennio diventa la grande pretesa della Chiesa di essere lei la sovrana sulla terra, la sostituta di Dio, di essere lei quella che realizza l’unità organica tra regime politico, religione e fede. Questa pretesa apparteneva a una teologia che non a caso partiva con Ario, cioè dalla negazione del dogma trinitario, perché il modello era: un Dio un imperatore, una terra, una fede, per cui, come diceva lo storico Eusebio, «il Dio unico troneggia come il Gran Re nella sua dimora reale, nel suo palazzo celeste. Sulla terra lo rappresenta Costantino». Ma ciò non si ferma a Eusebio. Nel suo saggio su “L’idea di Europa”, il grande filosofo novecentesco Husserl scrive che la modernità è uscita da un tempo, il Medioevo, in cui si era costituita “un’unità di cultura gerarchica” tale per cui la scienza era normata dalla fede, e la Chiesa si poneva come “una comunità sacerdotale sovranazionale organizzata in modo imperialistico, quale portatrice dell’autorità divina e organo deputato alla guida spirituale dell’umanità”. Secondo lo storico viennese Fiedrich Heer, c’è un arco che va da Costantino a Hitler, che passando da Carlo Magno, patriarca dello “Stato totalitario europeo”, attraverso la riforma gregoriana di Gregorio VII arriva fino al Novecento. E secondo Erich Przywara, il teologo gesuita tedesco citato dal papa, nell’età costantiniana il cristianesimo invece di annunciarsi come la novità di un rapporto – di “uno scambio” attraverso la croce – tra Dio e l’uomo, si sviluppò in «una nuova “antica alleanza”», che ripeteva quella che era stata propria degli Ebrei, ma estesa a nuovi eletti, ciò da cui scaturì l’idea di «una “terra razionale e divina” secondo legge e ordine» che ebbe diverse ricadute sia luterane che cattoliche, anglosassoni e perfino marxiste.
Questa però è la cristianità, non è il cristianesimo,
Tutto questo finisce con la modernità e con Porta Pia: però ancora dopo la seconda guerra mondiale ha corso la versione maritainiana di una cristianità che si realizza con altri mezzi, ma il cui fine è sempre quello, è la società cristiana; la regalità di Dio è trasposta nella regalità della Chiesa, che istituisce l’umanesimo integrale. E questo arriva fino al Concilio Vaticano II. Io ricordo benissimo che allora si ripeteva che si stava uscendo dall’età costantiniana, ma di fatto, come dirà Dossetti, il Concilio stesso è rimasto dentro quella idea di cristianità. La grande dimostrazione di debolezza data dalla Chiesa dopo il Concilio e nella fase della sua ricezione, aveva la sua causa proprio nel fatto che essa non era riuscita a venire fuori da quel modello, a metabolizzarne la fine.
Ora l’attuale papato formalizza questa fine, e dichiara esso stesso che la cristianità è finita; ma questo non vuol dire che è finito il cristianesimo o l’idea stessa di Dio; esso va ripreso da un’altra parte. Il cambiamento epocale è questo. Gli atei devoti se ne sono accorti prima di noi, e sono furibondi. Finisce un’epoca di quasi due millenni, finisce l’idea di una istituzionalizzazione politica della città di Dio sulla terra. E il papa che fa? Quando gli hanno offerto il Premio Carlo Magno, e i leader europei sono venuti a Roma a portarglielo, Francesco ha fatto un discorso nel quale quella corona che un suo predecessore aveva messo sul capo di Carlo Magno l’ha rimessa idealmente nelle mani del popolo, l’ha ridata a Cesare, all’umanità, alla politica. Ancor prima papa Francesco all’Onu aveva affermato “la sovranità del diritto” intendendo per diritto non il “diritto naturale”, ma il diritto positivo che sta scritto nelle Costituzioni.
Il papa dunque prende atto che c’è una forma religiosa che è finita. E in compenso ha la forza e la capacità di dar vita a una nuova predicazione cristiana. La predicazione nasce da una teologia, da una liturgia, da una lettura della Scrittura. Così infatti si era formata la cristianità, a partire da una teologia pervasa da una certa immagine di Dio, che era il Dio della potenza, del giudizio, della condanna, che aveva bisogno del sacrificio del Figlio per essere soddisfatto dell’offesa ricevuta. È dunque a partire da un nuovo annuncio di Dio, che la cristianità si converte in cristianesimo. Questo papa dice tante cose che gli altri non dicevano, ma soprattutto ci sta offrendo un altro annuncio di Dio. Quando egli insiste sulla misericordia non fa solo allusione a uno dei tanti nomi di Dio, a un predicato come gli altri del nome divino, ma ne fa la sostanza della sua predicazione, della sua catechesi. E ci parla di un Dio nonviolento. Un documento che spesso cito, firmato dall’ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, card. Muller, e preparato durante il pontificato di Benedetto XVI, dice che il Dio violento è il frutto di un fraintendimento umano. Ciò avviene anche nella Bibbia dove, dice il documento, ci sono pagine “per noi credenti molto impressionanti e difficili da decifrare”, ciò che accade perché la Rivelazione non è avvenuta come per trasmissione di un fotogramma fisso, ma è avvenuta nel corso di un lungo processo, che è documentato dalla Scrittura, nel corso del quale c’è una purificazione della fede. Pertanto le immagini di un Dio violento ritraggono un Dio che non esiste; il Dio della guerra dice il papa, non esiste. Quello che resiste è il Dio che sulla croce si scambia con l’uomo, che dell’umano prende su di sé la gioia e la speranza, il lutto e il dolore.

Quattro vie alternative

4. Dunque per riepilogare abbiamo quattro soglie ciascuna delle quali si apre su due scenari possibili.

4.1 La prima soglia è la fine della riserva di guerra. Lo scenario che immediatamente ne deriva sarebbe la guerra di tutti contro tutti, l’uccidibilità generalizzata, e quindi la spirale del genocidio.
L’alternativa è attuare finalmente il sogno millenario delle lance convertite in falci, del “mai più la guerra”; l’alternativa è realizzare questa prima e costitutiva somiglianza con Dio: se Dio è non violento, lo siamo anche noi, se il Dio della guerra non esiste, non deve esistere neanche la guerra. È una rivoluzione.

4.2 La seconda soglia è la fine del mondo colombiano, del mondo a compartimenti stagni, dove ciascuno resta dove sono le sue culle e le sue tombe, il mondo di cui un tempo si diceva: cuius regio, eius et religio: una terra, una religione, uno Stato.
Il primo scenario che si apre oltre questa uscita è che il popolo dei migranti, forse 250 milioni nei prossimi anni, venga respinto, affondato, imprigionato, tolto alla vista, e questo è genocidio.
L’alternativa è che si statuisca e si regoli il primo dei diritti umani proclamato agli albori della modernità, lo ius migrandi, cioè il diritto di ognuno di piantare le sue tende, il suo lavoro e la sua vigna, insomma di “eleggere” il suo domicilio, dove lo porta la speranza di realizzare la sua vita. Allora ogni sistema politico, economico e sociale dovrebbe attrezzarsi e cambiare, per rispondere alla nuova situazione di fatto. Perché come dice l’art. 3 della nostra Costituzione bisogna cambiare le condizioni che di fatto impediscono l’eguaglianza e il pieno sviluppo della persona umana.

4.3 La terza soglia è la rottura dell’equilibrio delle acque. Un suo esito prevedibile è l’ecocidio, la rottura del patto con la terra, il trionfo dell’anomos, del mistero dell’anomia, come lo chiama la seconda lettera ai Tessalonicesi.
Qui allora l’alternativa è un nuovo nomos della terra, dove nomos non è solo la legge, significa l’ordine complessivo della società, anzi, secondo i greci, da cui nascono questa parola e questo concetto, è l’ordine della società conforme all’ordine del cosmo. Il nomos dell’Occidente, come l’ha descritto Carl Schmitt, consiste in un ordine fin dal principio identificato e finalizzato al ciclo economico e definito dalla sequenza appropriazione, divisione, produzione, una triade che, secondo Claudio Napoleoni, inevitabilmente sfocia nel dominio. Quindi si tratta di ripartire dal principio, dal Sabato, come lui diceva, per dare un altro corso all’opera dell’uomo che nel sabato della creazione ha dato il cambio al lavoro di Dio. Si tratta di dar luogo “a un nuovo inizio”, come diceva la Carta della Terra citata dalla Laudato sì al n. 207. Ed un nuovo nomos potrebbe essere pensato così: invece dell’appropriabilità universale dei beni, che genera la scarsità, la condivisione che genera l’abbondanza, e insieme il lieto uso delle cose, secondo la lezione di san Francesco; non la sola proprietà privata e la spartizione ineguale delle risorse della terra, ma la tutela e la libera fruizione dei beni comuni, cioè non appropriabili da nessuno; non la crescita illimitata, ma un nuovo modo di produzione, di consumo e di vita; e infine un nuovo modo di coabitare, liberi ed eguali sulla terra, invece del dominio.

4.4 La quarta soglia è la fine della cristianità. Qui il primo scenario che ne potrebbe conseguire è l’ulteriore sviluppo del processo di secolarizzazione come ateismo di massa, ma allora si perderebbe la dolcezza di Dio.
L’alternativa è quella per cui è riunita questa assemblea, ed è di dare mente, cuore e gambe perché venga il tempo e sia questo, in cui non solo nei santuari nè a Gerusalemme, sia adorato il Padre in spirito e verità

Dunque queste quattro cose:
Interdizione della guerra, ius migrandi, nuovo nomos della terra, abbraccio al Padre in spirito e verità; sono quattro cose difficili, perché comportano che molte altre cose cambino con loro, le culture e le religioni, l’economia e la politica, ma non sono impossibili, sono nell’orizzonte del tempo che viene, del tempo a cui, col resistere agendo, dobbiamo aprire la strada. E non solo con le parole, con gli appelli, con le firme, che pure sono importanti ma, come ci ammoniva Bonhoeffer dal carcere di Tegel, “d’ora in poi penserete solo ciò di cui risponderete agendo”, e si potrebbe aggiungere: d’ora in poi spererete solo ciò che concorrerete a far accadere agendo.
Raniero La Valle

Oggi giovedì 7 dicembre 2017

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sedia di Vannitola Occupazione in agricoltura per i giovani del Mezzogiorno. GRANDE OPERAZIONE MEDIATICA DEL GOVERNO: LE TERRE INCOLTE AI GIOVANI IMPRENDITORI. La sedia di Vanni Tola.
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democraziaoggiIn Corsica gli indipendentisti uniti vincono e qui?
7 Dicembre 2017
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Occupazione in agricoltura per i giovani del Mezzogiorno. GRANDE OPERAZIONE MEDIATICA DEL GOVERNO: LE TERRE INCOLTE AI GIOVANI IMPRENDITORI.

sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola

img_4424Un’idea neppure tanto nuova, in Sardegna ci ha già provato con il Monte dei Pascoli e la legge 28/84 per l’occupazione giovanile. L’irrisolta questione fondiaria e dell’utilizzo delle terre incolte e malcoltivate.
A conclusione del proprio mandato il Governo Renzi affronta la questione dell’occupazione giovanile del Meridione e il possibile ritorno in agricoltura di una nuova imprenditoria giovanile che favorirebbe l’auspicato ricambio generazionale nel settore primario. Lo fa con due provvedimenti certamente interessanti quanto fortemente sospetti di essere stati ispirati dall’approssimarsi delle elezioni. I due provvedimenti, già in avanzata fase di attuazione hanno dei nomi molto programmatici: “Resto al Sud” e “Banca delle terre”. Con il programma “Resto al Sud” il Governo stanzia un miliardo e duecentocinquanta milioni di euro per prestiti a tasso zero da destinare a giovani imprenditori fino ai trentasei anni di età. Ciascun giovane imprenditore potrà ottenere un prestito fino a 50.000 euro per realizzare un’impresa agricola e potrà unirsi in società (fino a un massimo di quattro) raggiungendo cosi un potenziale investimento di 200.000 euro. Una parte della somma assegnata, pari al 35% del costo d’impresa ritenuto finanziabile, sarà concessa a fondo perduto. Il restante 65% sarà assegnato come finanziamento bancario. In pratica ciascun giovane riceverà complessivamente 50.000 dei quali 15.000 a fondo perduto e 35.000 da restituire in otto anni a partire dal terzo anno di attività. La novità del programma è rappresentata dal fatto che sono escluse dal finanziamento le spese di progettazione e le consulenze. L’ente preposto all’esame dei progetti s’impegna a fornire una risposta in merito all’accettazione del piano aziendale entro sessanta giorni. Con il progetto “Banca delle terre” il governo intende promuovere la valorizzazione dei beni non utilizzati nelle regioni del Mezzogiorno. Il ministro Martina ha precisato in un recente intervento pubblico che con il termine “beni” il Governo si riferisce alle terre, al suolo agrario. Nelle terre abbandonate s’insedieranno le imprese agricole giovanili per avviare produzioni di qualità. Il Governo considererà terreni abbandonati quelli sui quali non sia stata esercitata attività agricola negli ultimi dieci anni. I terreni abbandonati, se di proprietà pubblica, saranno affidati direttamente ai giovani, se di proprietà privata saranno presi in affitto. “Vogliamo – precisa il Ministro Martina – che si torni a utilizzare le terre pubbliche di qualsiasi proprietà amministrativa per fare agricoltura”. Nulla è dato sapere di che cosa accadrebbe nel caso che, una volta assegnate le poche terre pubbliche disponibili i proprietari privati che non lavorano la terra decidessero di non cederla in affitto. Oltretutto il tempo definito per stabilire che un terreno possa essere individuato come abbandonato è lunghissimo, dieci anni. E poi è evidente che sarà sufficiente praticare poche arature e piantare qualche decina di piante prima dello scadere del termine dei dieci anni per impedire che il fondo agrario possa essere catalogato come terra abbandonata. Nelle regioni dove si pratica il pascolo brado, quali la Sardegna, sarebbe pressoché impossibile individuare aree definibili abbandonate secondo i parametri del programma “Banca delle terre”. Altra cosa sarebbe riconoscere il ruolo di importanza strategica del suolo agrario nella produzione di beni di prima necessità per imporre vincoli temporali di inutilizzo dei suoli più ristretti prospettando perfino l’esproprio per pubblica utilità dei fondi inutilizzati o scarsamente utilizzati. Sappiamo che nessun Governo si assumerebbe mai la responsabilità di adottare simili decisioni. E’ ancora troppo forte la paura di essere accusati di voler espropriare la proprietà privata e di pensare a una sorta di collettivizzazione della terra, in pratica di essere, più o meno, comunisti. Anche per questo è fallito in Sardegna il progetto di realizzazione del Monte dei pascoli che, a parere di chi scrive, meriterebbe una più attenta rilettura e una maggior riconsiderazione di alcuni aspetti fondamentali che il piano prevedeva quali la costituzione dei comprensori agro-pastorali in funzione di un serio progetto di riordino fondiario e di riforma agraria. Ma siamo in campagna elettorale. Il governo ha i giorni contatti, la sostanza e la qualità delle proposte non può non essere sacrificata all’idea della magnificazione di indefiniti e fantasiosi programmi che probabilmente non reggeranno lo scontro con la realtà quotidiana. Programmi che non hanno neppure saputo cogliere il meglio delle leggi regionali per l’inserimento dei giovani in agricoltura che, in questi anni, diverse Regioni hanno saputo proporre e sperimentare. Poco importa. Loro offrono la geolocalizzazione delle terre abbandonate, la banca delle terre, lo sportello telematico per la presentazione delle richieste di finanziamento, 8000 Ha già oggi in vendita sul sito dell’Ismea che rappresenterebbero il primo lotto di una più vasta offerta di terreni da coltivare che raggiu8ngerebbe la bella cifra di 23mila ettari. Sarebbero in vendita ben 1700 Ha in Sicilia, 1300 Ha in Toscana e Basilicata, 1200 Ha in Puglia, quasi 500 Ha in Emilia Romagna e Lazio e perfino 600 Ha in Sardegna. Una gran bella operazione mediatica per raccogliere consenso elettorale. Poi, molto probabilmente, si vedrà un altro film.

Ps – Maggiori riferimenti tecnici relativi ai progetti “Resto al Sud” e “Banca delle terre”.
- Sito Ismea;
- https://www.fasi.biz/it/notizie/in-evidenza/17446-resto-al-sud-bando-per-finanziamenti-a-giovani-imprenditori.html

Pastori Sardi. Occorre passare dalle gestione delle emergenze alla ricostruzione della filiera del latte e del formaggio, alla ristrutturazione del comparto, alla dotazione di servizi alle aziende pastorali (luce, acqua, strade, servizi informatici)

vt2sedia di VannitolaSembra procedere la distribuzione dei finanziamenti ottenuti con la lotta dei pastori del mese di Agosto. Qualcuno parla di ritardi nell’erogazione, è possibile che in alcune realtà e in particolari situazioni di singole aziende o gruppi di aziende si sia verificato qualche contrattempo. In linea di massima, se i dati riportati in questo articolo corrispondono al vero (e ne siamo certi conoscendo la serietà di questa emittente) pensiamo non si possa che essere soddisfatti del risultato ottenuto. E’ necessario ora, come hanno affermato recentemente anche alcuni Sindaci e come dice da sempre il Movimento Pastori Sardi, passare dalle gestione delle emergenze alla ricostruzione della filiera del latte e del formaggio, alla ristrutturazione del comparto, alla dotazione di servizi alle aziende pastorali (luce, acqua, strade, servizi informatici). Soltanto un nuovo piano di riforma della pastorizia e dell’agricoltura in genere può prefigurare un futuro produttivo migliore, vere prospettive di sviluppo, il ritorno e il reinsediamento di giovani in agricoltura. L’alternativa è l’attesa delle prossime emergenze e il continuo rincorrere nuove situazioni di crisi con provvedimenti emergenziali (Lettori di V.T. su fb).
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sardegnalive_logo
https://www.sardegnalive.net/news/in-sardegna/20903/sostegno-per-i-pastori-dei-45-milioni-gia-spesi-13-domande-entro-il-18-dicembre
SOSTEGNO PER I PASTORI: DEI 45 MILIONI GIÀ SPESI 13. DOMANDE ENTRO IL 18 DICEMBRE
Circa 12mila le domande presentate fino al primo dicembre.
di Redazione Sardegna Live

Oggi mercoledì 15 novembre 2017

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola su Aladinews
Lavori usuranti e gravosi, ma di che stiamo parlando?
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Separatismo: tra ragioni economiche e “invenzioni”
15 Novembre 2017
democraziaoggi
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi
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SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI
Due articoli e una postilla, a proposito di democrazia e uguaglianza
di TOMASO MONTANARI
il manifesto, 14 novembre 2017. Anna e Tom hanno disdetto l’assemblea convocata il 18 maggio (vedi su eddyburg: la loro lettera). Civati (“Possibile”) casca dal pero. Con postilla. Su eddyburg, ripreso da aladinews.
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Lavoro

sedia di VannitolaLa Sedia
di Vanni Tola

Lavori usuranti e gravosi, ma di che stiamo parlando?

Una notizia che dovrebbe servire per mitigare l’effetto devastante dell’aumento dell’età pensionabile, in realtà sta diventando un boomerang per chi la propone e una presa in giro per chi la dovrà subire. “Stop dell’aumento a 67 anni dell’età di pensione dal 2019 per 15 categorie di lavori gravosi: le 11 già fissate dall’Ape social (tra cui maestre, infermieri turnisti, macchinisti e edili) e altre 4 (agricoli, siderurgici, marittimi e pescatori). Questa la proposta messa dal governo sul tavolo tecnico a Palazzo Chigi, secondo quanto riferiscono i sindacati”. Non prendiamoci in giro, che significa lavori gravosi? Si può valutare la “gravosità” di un lavoro secondo parametri risalenti agli anni della Rivoluzione Industriale? Tutti i lavori sono gravosi se svolti con impegno e competenza soprattutto quando protratti per periodi molto lunghi. Lo sono per almeno due motivi, l’esasperante ripetitività nel tempo e la riduzione delle capacità mentali e fisiche del lavoratore conseguenti all’invecchiamento fisiologico. Come si fa a decidere che il lavoro del minatore è usurante e quello del panettiere no? Spesso entrambi muoiono per problemi respiratori conseguenti all’ingerimento di polveri nei polmoni. Come si può decidere che è usurante il lavoro delle maestre e non quello degli insegnanti della scuola media e delle scuole superiori? Davvero si può pensate che l’infermiere, l’operaio siderurgico, il lavoratore marittimo subiscano, per conseguenza del loro lavoro, una usura mentale e fisica maggiore di quelle di una cassiera di un supermarket o di un impiegato che opera in uno sportello aperto al pubblico, di un operatore di aziende di vendita e spedizione pacchi? Cerchiamo di seguire la logica e lasciare da parte i luoghi comuni spesso originati da convinzioni errate e conoscenza superficiale delle differenti mansioni lavorative. Il lavoro, attività indispensabile per l’uomo, provoca inevitabilmente livelli elevati di usura dello stato psico-fisico di chi lo pratica anche e soprattutto con lo scorrere degli anni e per il decadimento fisiologico che l’invecchiamento comporta. Allora, se tutto ciò è fondato, (segue)

Emergenza periferie. Emergenza educazione

pietre-aladin
Antonio Dessì, su fb
Guardando, anche piuttosto sgomento (non l’avrei mai pensato) le riprese di Ostia e del suo degrado, al TG3, sto considerando che parlare di politica come in genere facciamo tutti noi è privo totalmente di senso.
Ora, io non credo -non ci ho mai creduto- all’onnipotenza della politica.
Una società è animata da tante componenti, delle quali la politica rappresenta appena una funzione di indirizzo ideale e progettuale e una competenza amministrativa e gestionale, entrambe da esercitarsi ai fini di interessi generali.
Ma quando ti accorgi che una grande realtà urbana alle porte della Capitale -parte integrante dell’area metropolitana di Roma Capitale- è sprofondata in una condizione abietta, ti chiedi per forza a cosa serve il teatro quotidiano cui assistiamo nella sfera pubblica.
Ma dove caspita erano, prima, ogni giorno, il Governo, lo Stato, la Regione, il Comune, la Municipalità?
E oggi, tirano fuori la testa sui media giusto perché un mafioso è stato così arrogante e sprovveduto da esercitare una violenza plateale sotto delle telecamere e perchè un gruppo di teppisti ammantati di ideologia nera ha guadagnato un consenso elettorale?
In Italia, di Ostia ce ne sono dieci, cento, mille e sono lasciate a marcire.
Cerchiamo di essere seri: per forza metà degli italiani non vota più.
Ed è sempre più sorprendente come mai un Paese, testardamente e in silenzio, continui a tirare avanti, nonostante i suoi gruppi dirigenti siano così cialtroni.
Altro che rinuncia e qualunquismo (cazzo, se mi danno fastidio, da qualche tempo, le pippe contro chi non vota!).
La verità è che si fa ormai in tanti a tirar la carretta, propria e talvolta altrui, nonostante.
Si, proprio: nonostante il peso che rappresenta -siamo franchi- quasi tutta l’altra metà, divisa ormai tra oligarchie tanto parassitarie quanto scassate e cittadini “partecipanti” che, ripartiti nel voto per l’una o per l’altra fazione, credono di esercitare una qualche occasionale influenza, ma che non contano (non contiamo) proprio un tubo.
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Vanni Tola, su fb
E’ molto difficile avviare una riflessione sulla vicenda di Ostia che non cada nei soliti luoghi comuni del fascismo che ritorna, della classe politica incapace e corresponsabile del degrado economico e morale del Paese. Penso possa essere utile orientarsi su alcuni segnali di fondo, da tempo presenti e poco considerati. Partiamo dalla scuola, per esempio. Già dalla scuola media, molti ragazzi e ragazze con una età tra gli undici e i tredici anni manifestano comportamenti di inaudita violenza. I pestaggi di avversari (anche per futili motivi) sono la norma e si eseguono “normalmente” in gruppi di individui contro uno, con risultati spesso devastanti (pure le ragazze spesso agiscono in questo modo). Un alunno mi ha confessato che quasi tutti possiedono un tirapugni e molti hanno il coltello e praticano attività marziali (di per se positive se esercitate con finalità ludico-sportive ma tremendamente pericolose se esercitate da individui non emozionalmente equilibrati). Quell’orribile scena della testata e del pestaggio col manganello è orribile per molti di noi ma per tanti altri, soprattutto giovani esaltati, può rappresentare un modello di riferimento sul come farsi rispettare e farsi giustizia da sé. Si comincia con banali gesti di bullismo, poi si sente il bisogno di costituire un gruppetto per dare una lezione a qualcuno, poi si sperimentano le prepotenze contro gli emarginati e i diversi verso i quali scatenare la propria rabbia e le proprie frustrazioni. Naturalmente in un contesto nel quale operano indisturbati i fomentatori di odio, dalla Lega ai 5stelle e gruppi diversi non ci si può sorprendere più di tanto dell’esistenza di mille Ostia nel Paese. E’ evidente che il problema è complesso e trae origine da diversi fattori. Il lavoro da fare per recuperare un consesso civile, un rapporto fra individui pacifico e tollerante è tanto, richiede l’impegno di tutti nelle diverse agenzie formative (famiglia, scuola ma non solo). L’alternativa è la barbarie sociale, il chiudersi in casa tra telecamere e armi di difesa personale, l’individualismo egoista contro la solidarietà sociale. Un brutto mondo.
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Catalogna e Unione Europea

Europa flagSOCIETÀ E POLITICA » GIORNALI DEL GIORNO » ARTICOLI DEL 2017
La Catalunya indipendente
di PAOLO LEPRI
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il manifesto
L’AZZARDO DELL’INDIPENDENZA.
SCATTA IL COMMISSARIAMENTO

di Giuseppe Grosso

Catalogna. Il Parlament dichiara la República catalana: 70 Sì, 10 No, 2 voti in bianco e 53 deputati assenti su 135. E a Madrid il senato mette in moto l’articolo 155. Rajoy destituisce Puigdemont e il suo governo e convoca elezioni regionali il 21 dicembre.
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il manifesto e Corriere della Sera 28 ottobre 2017. Articoli di Giuseppe Grosso e Paolo Lepri, ripresi da eddyburg e da aladinews (m.p.r.)
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sedia di VannitolaGrande solidarietà ai Catalani. Il problema dell’indipendenza in Europa è però molto più vasto. Occorre, a mio avviso, lottare perché trovi spazio in Europa l’idea che la UE deve essere federale e deve federare non solo stati ma anche comunità che per tradizione, cultura, lingua, vicende storiche e quant’altro vivono una condizione identitaria specifica e particolare. A prescindere dalla dimensione quantitativa delle popolazioni interessate, dalla superficie geografica del territorio che occupano. L’obiettivo deve essere la ricostruzione dell’Europa intorno agli obiettivi fondanti che ne hanno favorito la nascita e restano ancora, per la gran parte inattuati. L’arroccamento intorno al concetto di Stato come entità monolitica e immodificabile è pura follia. Molti Stati, e l’Italia fra questi, non sono diventati tali per scelte condivise tra individui di tradizioni, cultura e lingua comune ma, molto più semplicemente, come risultante degli scontri tra eserciti delle monarchie europee e come opera di Trattati che, fino a prova contraria, possono e devono essere messi in discussione. Si tratta di una questione di non poco conto per l’Europa, per il superamento della crisi che l’Unione vive. La scommessa è quella di realizzare una Unione europea pacifica, solidale e federata, un’unione di popoli che, nel rispetto delle specificità, si danno obiettivi di sviluppo comuni. L’Europa della conservazione degli Stati immutabili non ha futuro. (Vanni Tola)
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Agricoltura

sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola

allegoria-agricoltura Agricoltura. In arrivo importanti finanziamenti attesi da tempo da pastori e contadini. Ancora da definire la questione delle trattenute Inps delle aziende pastorali in relazione alla liquidazione dei contributi stanziati dalla regione per il comparto ovicaprino.
L’assessore regionale per l’agricoltura ha incontrato ieri a Roma il gabinetto e l’ufficio legislativo del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf) e i vertici dell’Agenzia nazionale per le erogazioni in agricoltura (Agea). Il risultato del vertice è stato la firma del decreto Agea che destina all’agricoltura isolana 38, 2 milioni di euro di fondi comunitari per soddisfare le richieste avanzate da 9000 aziende. I pagamenti dovrebbero avvenire in tempi rapidi e con cadenza settimanale fino al prossimo 30 Novembre, con una anticipazione del 70 %. Tale finanziamento trae origine dalla richiesta avanzata dal Ministero dell’agricoltura alla Commissione europea per incrementare gli aiuti comunitari dopo la constatazione delle criticità dovute, principalmente, al perdurare della siccità. Si prevede inoltre, entro il mese di Dicembre, la corresponsione dei contributi relativi al Programma di sviluppo rurale. Il Mipaaf ha inoltre firmato la declaratoria sull’emergenza dovuta alle calamità naturali delle nevicate di gennaio e delle gelate di aprile, mentre è alla firma del ministro Maurizio Martina quella sullo stato di siccità. Tale provvedimento, annunciato per i prossimi giorni è particolarmente importante perché dovrebbe il riconoscimento dello stato di emergenza per l’intero comparto agricolo sardo, compreso anche il settore bovino.
Il provvedimento già approvato su nevicate e gelate permetterà invece alle aziende colpite, anche quelle che non hanno sottoscritto polizza assicurativa, di poter accedere alle risorse del Fondo di solidarietà nazionale e agli strumenti di carattere finanziario (sospensione dei pagamenti sui mutui bancari agrari, riduzione del 50% o sospensione su quelli previdenziali e assistenziali) messi a disposizione dallo Stato attraverso l’art. 5 del decreto legislativo 102/2004. (Segue)

Oggi martedì 24 ottobre 2017

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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democraziaoggi-loghettoVeneto, Lombardia, Catalogna: che vento è?
24 Ottobre 2017

Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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eddyburgSOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » POLITICA
Neoliberalismo: l’idea che ha inghiottito il mondo
di CARMENTHESISTER
vocidall’estero, 19 ottobre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews. Un articolo di Stephen Metcalf dal The Guardian sul pensiero che domina la nostra epoca: il neoliberalismo. (c.m.c.)
«Sul The Guardian, un approfondimento che risale alle origini del neoliberalismo per rintracciarne le caratteristiche peculiari e sottolineare l’ambizione di trasformare completamente la visione del mondo contenuta in quella “Grande Idea” di Von Hayek, che alla fine è riuscita a permeare completamente la società di oggi. Il neoliberalismo è divenuto l’idea dominante della nostra era, che venera la logica del mercato, deprivandoci delle capacità e dei valori che ci rendono più propriamente umani. (…)
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lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. Grave provocazione della Giunta regionale contro il Movimento Pastori Sardi, la più importante organizzazione di lavoratori dell’Isola. Di Vanni Tola.
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lucamercalliEDDYBURG » POSTILLE » INVERTIRE LA ROTTA
Luca Mercalli: «Auto elettrica e tele-lavoro: soluzioni pratiche per non intasare le metropoli»
di MAURIZIO PIGLIASSOTTI
il manifesto, 22 ottobre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews. «Siamo di fronte alla combinazione di un fenomeno anomalo, sicuramente. La seconda estate più calda della storia si è saldata con una siccità prolungata che riguarda le regioni del nord ovest». Ha ragione, ma c’è ben di più, vedi postilla
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cropped-railway-wallpaperok-ok-ok-5Cagliari: 25 e 26 ottobre, Sala Capitini Sa Duchessa, Convegno internazionale su Pavel A. Florenskij nell’80° anniversario della morte
Su SardegnaSoprattutto.
- Su Unica: il sito dedicato del Convegno.
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labsusIL PUNTO DI LABSUS
Città e sussidiarietà: da Aristotele ai beni comuni
Filippo Maria Giordano – 24 ottobre 2017, su LabSus.

La città è stata motore della civiltà europea e costituisce una fonte di creatività e sviluppo senza eguali, in cui è possibile rintracciare l’origine di molte peculiarità sociali, economiche e politiche che ancora oggi caratterizzano le società del nostro continente. (segue)