Risultato della ricerca: povertà
Oggi domenica 18 luglio 2021
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Carbonia. Da Portella della Ginestra alla fine dei governi di unità nazionale: in città la protesta si salda alla lotta per la difesa delle miniere e contro l’aumento dei prezzi
18 Luglio 2021
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Oggi domenica consueto appuntamento con la storia di Carbonia dal 1° settembre 2019.
11 morti e 65 feriti. Leggiamo su Ernesto Ragionieri, “Portella della ginestra, 1 maggio 1947, barbara risposta degli agrari siciliani all’affermazione del Blocco del popolo, nelle elezioni regionali di pochi giorni prima”. Ed ancora Turone, “uno dei più agghiaccianti episodi di […]
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Un’intervista (video) molto interessante a Enzo Bianchi, che si sofferma sui problemi della vecchiaia/anzianità, sul rapporto con i giovani, sulla crisi della Chiesa italiana (durata 1 ora e 47 min). Monferrato Web TV – 13/06/2021.
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Rapporto Caritas. Lotta alla povertà: imparare dall’esperienza, migliorare le risposte. Un monitoraggio plurale del Reddito di cittadinanza EXECUTIVE SUMMARY [segue]
Agenda Onu 2030 in Italia
La spesa dello Stato secondo l’Agenda 2030
Maria Letizia D’Autilia
Su Sbilanciamoci! 15 Luglio 2021 | Sezione: Apertura, Economia e finanza
Un ottimo studio sperimentale pubblicato dalla Corte dei conti riclassifica il bilancio dello Stato in funzione degli obiettivi e dei target dell’Agenda 2030 dell’Onu. Nel 2020 segnato dalla pandemia, molta la spesa pubblica su disuguaglianze e povertà, poca quella su ambiente, clima e sostenibilità.
La pandemia e gli Obiettivi dell’Agenda 2030
Nel preambolo dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, l’Organizzazione delle Nazioni Unite dichiara che il programma d’azione universale tracciato nei 17 Obiettivi e 169 traguardi mira a “fare passi audaci e trasformativi”, necessari a “portare il mondo sulla strada della sostenibilità e della resilienza”. L’Agenda si presenta quindi come lo strumento per qualificare in modo immediato obiettivi di policy interconnessi e indivisibili che, declinati in azioni più specifiche, possano bilanciare le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: quella economica, sociale e ambientale.
La Corte dei conti, nell’ambito della Relazione sul Rendiconto generale dello Stato 2020, ha individuato nell’Agenda 2030 una nuova chiave di lettura per rappresentare la varietà dei fenomeni che incidono sulle decisioni di bilancio dell’operatore pubblico. Il bilancio dello Stato riclassificato per Obiettivi/target dell’Agenda potrebbe consentire, in prospettiva, di interpretare – come si rileva nella presentazione del lavoro – i risultati delle politiche di spesa adottate dal legislatore anche alla luce dell’incidenza che queste avranno sul conseguimento degli stessi target e obiettivi dell’Agenda 2030. Anche per questo motivo, lo studio sperimentale avviato dalla Corte nell’ambito della programmazione dei controlli per il 2021, apre una prospettiva nuova, sotto il profilo metodologico, a tutti quegli enti delle amministrazioni pubbliche, soprattutto Regioni ed enti locali, che hanno inserito l’Agenda nella loro attività di programmazione finanziaria.
L’impiego di classificazioni condivise permette, del resto, di rendere confrontabili i risultati delle politiche di bilancio adottate sia dalle diverse istituzioni pubbliche che operano sul territorio e a livello centrale, sia tra i diversi Paesi che hanno scelto di riconoscersi negli obiettivi dell’Agenda. Si tratta di un confronto ancora più necessario in questa particolare fase della crisi determinata dalla pandemia.
Va segnalato, in tal senso, che secondo le Nazioni Unite impegnate nel monitoraggio dell’Agenda 2030, sarà proprio la strategia scelta da ciascun Paese per superare la crisi a determinare le politiche di bilancio dei prossimi anni nel segno della sostenibilità. Gli Stati avranno la possibilità di superare gli effetti sociali ed economici della pandemia se sapranno individuare una via d’uscita fondata su interventi rivolti soprattutto a incrementare e rendere accessibili i sistemi sanitari nazionali a tutti (Goal 3), a predisporre misure coordinate di politica monetaria e finanziaria a sostegno del lavoro (Goal 8), a rafforzare i sistemi nazionali di protezione sociale (Goal 10).
In perfetta sintonia con le Nazioni Unite, l’atto appena assunto (il 22 giugno scorso) dal Consiglio dell’Unione Europea afferma che la crisi generata dal Covid-19 non permette più di scegliere se perseguire gli Obiettivi dell’Agenda 2030, ma rende necessaria un’accelerazione delle politiche di investimento verso il loro raggiungimento anche attraverso il varo di riforme strutturali urgenti.
Cresce, pertanto, il livello di responsabilità degli Stati membri per l’attuazione dell’Agenda e aumenta contestualmente – come auspicato dal Consiglio europeo – la necessità di integrarla negli strumenti di pianificazione nazionale, nelle strategie di sviluppo, nonché nei quadri di bilancio.
Classificare e misurare per riconoscere le politiche
Entrando nel merito del lavoro della Corte dei conti si rileva che l’esercizio di riclassificazione è stato svolto sui dati di spesa (stanziamenti definitivi) del Rendiconto generale dello Stato per il 2020. Le linee guida del metodo utilizzato possono essere riepilogate in pochi punti.
Va detto, in premessa, che lo schema classificatorio dell’Agenda 2030 per Obiettivi/target è stato utilizzato per individuare specifiche aree di policy al primo livello (Obiettivi) e puntuali azioni di policy al secondo livello (Target). Trattandosi di una prima sperimentazione, il metodo utilizzato ha “filtrato” la descrizione degli Obiettivi/target da specifici riferimenti a misurazioni, scadenze e target finalizzando l’operazione a individuare esclusivamente l’area di policy.
Le questioni connesse alla misurazione e valutazione delle politiche da realizzare con l’attuazione degli Obiettivi/target saranno affrontate – come viene spiegato nel lavoro – solo in una fase successiva, con la messa a punto di metodologie, strumenti e indicatori specifici di carattere sia quantitativo che qualitativo.
La Spesa primaria finale del Rendiconto 2020 ha costituito il campo di osservazione per la riclassificazione, che ha tuttavia riguardato soltanto le funzioni cosiddette istituzionali delle amministrazioni, ossia quelle relative alla loro attività caratteristica, mentre le spese per il personale e il funzionamento degli uffici (escluse, quindi, dalla spesa primaria finale) saranno analizzate e attribuite nella seconda fase della sperimentazione una volta consolidato il metodo.
Le spese del bilancio dello Stato secondo l’Agenda 2030
Il primo risultato che emerge dalla riclassificazione secondo l’Agenda 2030 mostra che il metodo utilizzato ha consentito di intercettare circa il 60 per cento della spesa primaria finale impiegata per la realizzazione delle attività caratteristiche dei Ministeri.
Fonte: Corte dei conti, Relazione sul Rendiconto generale dello Stato 2020
Si tratta di oltre 470 miliardi di euro di stanziamenti definitivi di spesa che si concentrano (circa 153 miliardi, come si vede nel grafico qui sopra) in particolare nell’Obiettivo 10-Ridurre le disuguaglianze. Guardando, poi, al livello dei target, emerge che il 90 per cento della somma è stata destinata a finanziare “Politiche salariali e di protezione sociale” (target 10-4).
In un anno caratterizzato da interventi di sostegno a gran parte dei settori economici e di aiuti alle famiglie, gli Obiettivi dell’Agenda hanno permesso di rappresentare in modo particolarmente efficace l’orientamento della spesa pubblica. I riflessi finanziari dei provvedimenti adottati dal legislatore per fronteggiare, con misure straordinarie di spesa, l’emergenza sociale ed economica generata dalla crisi, si possono cogliere infatti in modo immediato attraverso lo schema di classificazione dell’Agenda 2030 così fortemente caratterizzato da traguardi di sostenibilità, inclusione, protezione sociale.
Le diverse misure varate per attenuare gli effetti determinati dal blocco delle attività produttive hanno, del resto, modificato in modo profondo, nel 2020, il Bilancio dello Stato nel corso della sua gestione. L’emanazione di numerosi e specifici provvedimenti legislativi emergenziali (dl 18/2020 “Cura Italia”, dl 23/2020 “Liquidità, dl 34/2020 “Rilancio”, dl 104/2020 “Agosto”, dl 137/2020 “Ristori”) hanno comportato, infatti, l’individuazione di nuovi capitoli o piani gestionali, nonché l’introduzione di variazioni, anche significative, sulle dotazioni già previste.
Si è trattato di interventi che hanno inciso in modo significativo sulla distribuzione della spesa corrente e di quella in conto capitale, sottolineando il carattere assolutamente straordinario dell’esercizio finanziario, nonché lo sforzo effettuato dalle amministrazioni centrali per dare effettività e concretezza alle notevoli risorse stanziate.
Lo sforzo finanziario, nel complesso, si è concentrato in poche missioni di spesa riconducibili ad alcuni Obiettivi “Pilastro” dell’Agenda. Come la riclassificazione mette bene in evidenza, oltre a concentrarsi nell’Obiettivo 10 mirato alla riduzione delle disuguaglianze (con il 32,6% di risorse stanziate), le risorse statali hanno alimentato con ulteriori 180 miliardi di euro i target relativi all’Obiettivo 3 “Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età” (19,1%) e 8 “Incentivare una crescita economica, duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti” (18,9%).
La straordinarietà della crisi pandemica, a cui è stata data risposta con misure altrettanto straordinarie, ha pertanto fortemente indirizzato l’esercizio di riclassificazione verso tali Obiettivi, influenzando di conseguenza anche il punto di osservazione iniziale. Sarà pertanto necessario continuare a svolgere l’esercizio anche per gli anni successivi per verificare l’effettivo orientamento dei governi verso gli Obiettivi di sostenibilità.
Sul versante opposto, la residualità che si osserva per gli stanziamenti nel settore della sostenibilità climatica e ambientale (Goal 14) e di gestione delle acque e delle strutture igienico-sanitarie (Goal 6), oltre a mettere in evidenza quali siano state le priorità assegnate alle politiche nel 2020, segnala quanto sia importante provare a individuare nell’orizzonte del legislatore i legami e le strette interconnessioni tra le dimensioni economiche, ambientali e sociali delle misure di policy emanate.
Un’angolazione, questa, che potrebbe essere introdotta, in prospettiva, anche allo scopo di individuare, nelle politiche di spesa attuate dalle amministrazioni, le trasversalità e le interconnessioni tra le dimensioni citate. Ricostruire il quadro sistemico sottostante a tali decisioni permetterebbe infatti di interpretare in modo più approfondito gli obiettivi di policy collegati all’Agenda 2030 e consentirebbe di corredare i dati di bilancio anche con gli indicatori per la misurazione dello sviluppo sostenibile e il monitoraggio dei suoi obiettivi prodotti dall’Istat (in coerenza con l’Inter-agency and Expert Group on SDG Indicators, IAEG-SDGs).
Il quadro fornito dall’Istat, nel maggio 2020, nel momento più drammatico della pandemia, era riuscito in tal senso a descrivere – seppure sulla base delle prime informazioni disponibili a quella data – le interconnessioni tra gli Obiettivi dell’Agenda 2030 e la pandemia. Gli indicatori statistici facevano emergere i forti i legami tra gli Obiettivi economici e ambientali: a partire dalla Salute e benessere (Obiettivo 3), le interconnessioni osservate mostravano che gli effetti della pandemia si iniziavano a osservare soprattutto nell’aumento della Povertà (Obiettivo 1) e delle Disuguaglianze (Obiettivo 10). Gli stessi Obiettivi su cui si rilevano, nella sperimentazione svolta dalla Corte dei conti sul Rendiconto dello Stato, gli interventi di spesa più consistenti attuati nel 2020. Gli stanziamenti di bilancio riconducono, infatti, alle “Politiche di protezione sociale” (10.4) gran parte dei provvedimenti, varati nel corso del 2020, finalizzati a trasferire le risorse per finanziare misure previdenziali e di protezione speciale “straordinarie” per mitigare gli effetti della crisi sui lavoratori.
La classificazione proposta dalla Corte dei conti segnala, in conclusione, che è stato individuato un metodo da cui si potrebbe partire per integrare gli Obiettivi dell’Agenda 2030 nelle diverse fasi del ciclo del bilancio, a partire dal momento della programmazione fino alla fase della rendicontazione.
Riconoscere in modo immediato con quali priorità le risorse pubbliche vengono destinate a realizzare politiche sostenibili e orientate al benessere collettivo, permette di comprendere i processi decisionali di bilancio e di svolgere monitoraggi trasparenti e accessibili anche in vista dell’avvio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. L’invito della Commissione Europea a integrare gli Obiettivi dell’Agenda 2030 nel semestre europeo, nel quadro finanziario pluriennale (QFP) e nello strumento per la ripresa Next Generation EU potrebbe rappresentare l’occasione per consolidare un metodo di monitoraggio.
* Maria Letizia D’Autilia, ricercatrice Istat distaccata presso la Corte dei conti.
** Il lavoro riflette esclusivamente le opinioni dell’autrice, senza impegnare la responsabilità delle istituzioni di appartenenza.
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Clima e Green Deal, la Commissione accelera a metà
Monica Frassoni
Su Sbilanciamoci! 16 Luglio 2021 | Sezione: Ambiente, Apertura
Rischi e omissioni nelle 12 proposte legislative chiamate “Fit for 55” con cui Ursula von del Leyen e la Commissione europea hanno aggiornato gli obiettivi del Green Deal per ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 istituendo un Fondo sociale per ridurre l’impatto della transizione.
La presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen insieme ai Commissari Timmermans, Gentiloni, Simson, Aldean, Wojciechowski ha presentato il 14 luglio quello che è uno dei più consistenti pacchetti legislativi mai completati nella sua storia. Il pacchetto di proposte legislative si chiama “Fit for 55”. Si tratta di 8 proposte di revisione di direttive e regolamenti esistenti e di 4 nuove iniziative in materia soprattutto energetica che rappresentano un pezzo centrale del Green Deal europeo, il programma partito due anni fa per portare la UE a essere il primo continente a emissioni zero nel 2050 attraverso una lunga lista di norme in tutti i settori dell’economia, industria, ambiente, accompagnate dal riorientamento e dall’aumento delle risorse a disposizione della UE. Il Green Deal è un elemento chiave di Next Generation EU ed è quindi integrato anche nello sforzo di uscita dalla crisi pandemica intrapreso a livello europeo.
La decisione di aumentare dal 40% al 55% gli obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030 e di raggiungere la neutralità climatica nel 2050, racchiusi nella Legge sul Clima che entra in vigore questo mese, sono una conseguenza diretta dei richiami incessanti di scienziati ed esperti, delle grandi mobilitazioni dei “Friday for Future” e della crescente consapevolezza dell’estrema minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici non solo per l’ambiente, ma anche per l’economia e la vita tout court. L’idea è cioè che il Green deal sia una “strategia per la crescita” alternativa a quella attuale ancora fondata sui combustibili fossili. Il piano ha anche l’obbiettivo di portarci fuori dalla crisi, di dare nuove prospettive di lavoro e di inclusione sociale, di ridisegnare il nostro modo di muoverci, di abitare, di consumare, il tutto riducendo le diseguaglianze e il nostro impatto su risorse e ambiente.
Un sogno? Forse, e come vedremo i problemi non mancano. Bisogna però riconoscere che al di là del merito, il grande lavoro fatto dalla Commissione europea, con il suo scarso (in termini numerici) e spesso criticato staff, è stato davvero straordinario e rappresenta il senso e l’utilità del progetto europeo. In questi mesi c’è stato anche uno sforzo reale di ascolto dei vari attori in campo, dalle ONG all’industria, anche se ovviamente alcune voci sono forse state più ascoltate di altre.
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Pausa per pensare
Mai da soli, sempre insieme
11 luglio 2021
XV domenica del tempo Ordinario
Mc 6,7-13
⁷Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. ⁸E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ⁹ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. ¹⁰E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. ¹¹Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». ¹²Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, ¹³scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Quando un profeta è rifiutato a casa sua, dai suoi, dalla sua gente (cf. Mc 6,4), può solo andarsene e cercare altri uditori. Hanno fatto così i profeti dell’Antico Testamento, andando addirittura a soggiornare tra i gojim, le genti non ebree, e rivolgendo loro la parola e l’azione portatrice di bene (si pensi solo a Elia e ad Eliseo; cf., rispettivamente, 1Re 17 e 2Re 5). Lo stesso Gesù non può fare altro, perché comunque la sua missione di “essere voce” della parola di Dio deve essere adempiuta puntualmente, secondo la vocazione ricevuta.
Rifiutato e contestato dai suoi a Nazaret, Gesù percorre i villaggi d’intorno per predicare la buona notizia (cf. Mc 6,6) in modo instancabile, ma a un certo momento decide di allargare questo suo “servizio della parola” anche ai Dodici, alla sua comunità. Per quali motivi? Certamente per coinvolgerli nella sua missione, in modo che siano capaci un giorno di proseguirla da soli; ma anche per prendersi un po’ di tempo in cui non operare, restare in disparte e così poter pensare e rileggere ciò che egli desta con il suo parlare e il suo operare. Per questo li invia in missione nei villaggi della Galilea, con il compito di annunciare il messaggio da lui inaugurato: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete alla buona notizia” (Mc 1,15). Li manda “a due a due”, perché neppure la missione può essere individuale, ma deve sempre essere svolta all’insegna della condivisione, della corresponsabilità, dell’aiuto e della vigilanza reciproca. In particolare, per gli inviati essere in due significa affidarsi alla dimensione della condivisione di tutto ciò che si fa e si ha, perché si condivide tutto ciò che si è in riferimento all’unico mandante, il Signore Gesù Cristo.
Ma se la regola della missione è la condivisione, la comunione visibile, da sperimentarsi e manifestare nel quotidiano, lo stile della missione è molto esigente. Il messaggio, infatti, non è isolato da chi lo dona e dal suo modo di vivere. Come d’altronde sarebbe possibile trasmettere un messaggio, una parola che non è vissuta da chi la pronuncia? Quale autorevolezza avrebbe una parola detta e predicata, anche con abile arte oratoria, se non trovasse coerenza di vita in chi la proclama? L’autorevolezza di un profeta – riconosciuta a Gesù fin dagli inizi della sua vita pubblica (cf. Mc 1,22.27) – dipende dalla sua coerenza tra ciò che dice e ciò che vive: solo così è affidabile, altrimenti proprio chi predica diventa un inciampo, uno scandalo per l’ascoltatore. In questo caso sarebbe meglio tacere e di-missionare, cioè dimettersi dalla missione!
Per queste ragioni Gesù non si attarda sul contenuto del messaggio da predicare, mentre entra addirittura nei dettagli sul “come” devono mostrarsi gli inviati e gli annunciatori. Povertà, precarietà, mitezza e sobrietà devono essere lo stile dell’inviato, perché la missione non è conquistare anime ma essere segno eloquente del regno di Dio che viene, entrando in una relazione con quelli che sono i primi destinatari del Vangelo: poveri, bisognosi, scartati, ultimi, peccatori… Per Gesù la testimonianza della vita è più decisiva della testimonianza della parola, anche se questo non l’abbiamo ancora capito. In questi ultimi trent’anni, poi, abbiamo parlato e parlato di evangelizzazione, di nuova evangelizzazione, di missione – e non c’è convegno ecclesiale che non tratti di queste tematiche! –, mentre abbiamo dedicato poca attenzione al “come” si vive ciò che si predica. Sempre impegnati a cercare come si predica, fermandoci allo stile, al linguaggio, a elementi di comunicazione (quanti libri, articoli e riviste “pastorali” moltiplicati inutilmente!), sempre impegnati a cercare nuovi contenuti della parola, abbiamo trascurato la testimonianza della vita: e i risultati sono leggibili, sotto il segno della sterilità!
Attenzione però: Gesù non dà delle direttive perché le riproduciamo tali e quali. Prova ne sia il fatto che nei vangeli sinottici queste direttive mutano a seconda del luogo geografico, del clima e della cultura in cui i missionari sono immersi. Nessun idealismo romantico, nessun pauperismo leggendario, già troppo applicato al “somigliantissimo a Cristo” Francesco d’Assisi, ma uno stile che permetta di guardare non tanto a se stessi come a modelli che devono sfilare e attirare l’attenzione, bensì che facciano segno all’unico Signore, Gesù. È uno stile che deve esprimere innanzitutto decentramento: non dà testimonianza sul missionario, sulla sua vita, sul suo operare, sulla sua comunità, sul suo movimento, ma testimonia la gratuità del Vangelo, a gloria di Cristo. Uno stile che non si fida dei mezzi che possiede, ma anzi li riduce al minimo, affinché questi, con la loro forza, non oscurino la forza della parola del “Vangelo, potenza di Dio” (Rm 1,16). Uno stile che fa intravedere la volontà di spogliazione, di una missione alleggerita di troppi pesi e bagagli inutili, che vive di povertà come capacità di condivisione di ciò che si ha e di ciò che viene donato, in modo che non appaia come accumulo, riserva previdente, sicurezza. Uno stile che non confida nella propria parola seducente, che attrae e meraviglia ma non converte nessuno, perché soddisfa gli orecchi ma non penetra fino al cuore. Uno stile che accetta quella che forse è la prova più grande per il missionario: il fallimento. Tanta fatica, tanti sforzi, tanta dedizione, tanta convinzione,… e alla fine il fallimento. È ciò che Gesù ha provato nell’ora della passione: solo, abbandonato, senza più i discepoli e senza nessuno che si prendesse cura di lui. E se la Parola di Dio venuta nel mondo ha conosciuto rifiuto, opposizione e anche fallimento (cf. Gv 1,11), la parola del missionario predicatore potrebbe avere un esito diverso?
Proprio per questa consapevolezza, l’inviato sa che qua e là non sarà accettato ma respinto, così come altrove potrà avere successo. Non c’è da temere; rifiutati ci si rivolge ad altri, si va altrove e si scuote la polvere dai piedi per dire: “Ce ne andiamo, ma non vogliamo neanche portarci via la polvere che si è attaccata ai nostri piedi. Non vogliamo proprio nulla!”. E così si continua a predicare qua e là, fino ai confini del mondo, facendo sì che la chiesa nasca e rinasca sempre. E questo avviene se i cristiani sanno vivere, non se sanno soltanto annunciare il Vangelo con le parole… Ciò che è determinante, oggi più che mai, non è un discorso, anche ben fatto, su Dio; non è la costruzione di una dottrina raffinata ed espressa ragionevolmente; non è uno sforzarsi di rendere cristiana la cultura, come molti si sono illusi.
No, ciò che è determinante è vivere, semplicemente vivere con lo stile di Gesù, come lui ha vissuto: semplicemente essere uomini come Gesù è stato uomo tra di noi, dando fiducia e mettendo speranza, aiutando gli uomini e le donne a camminare, a rialzarsi, a guarire dai loro mali, chiedendo a tutti di comprendere che solo l’amore salva e che la morte non è più l’ultima parola. Così Gesù toglieva terreno al demonio (“cacciava i demoni”) e faceva regnare Dio su uomini e donne che grazie a lui conoscevano la straordinaria forza del ricominciare, del vivere, dello sperare, dell’amare e dunque vivere ancora… L’invio in missione da parte di Gesù non crea militanti e neppure propagandisti, ma forgia testimoni del Vangelo, uomini e donne capaci di far regnare il Vangelo su loro stessi a tal punto da essere presenza e narrazione di colui che li ha inviati. Attesta uno scritto cristiano delle origini, la Didaché: “L’inviato del Signore non è tanto colui che dice parole ispirate ma colui che ha i modi del Signore” (11,8).
Noi cristiani dobbiamo sempre interrogarci: viviamo il Vangelo oppure lo proclamiamo a parole senza renderci conto della nostra schizofrenia tra parola e vita? La vita cristiana è una vita umana conforme alla vita di Gesù, non innanzitutto una dottrina, non un’idea, non una spiritualità terapeutica, non una religione finalizzata alla cura del proprio io!
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RIFLESSIONI ESSENZIALI: «La differenza più importante non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa ai grandi interrogativi dell’esistenza»
Una riflessione condivisa dal filosofo Norberto Bobbio e dal cardinale Carlo Maria Martini. «La differenza più importante non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa ai grandi interrogativi dell’esistenza»
Una riflessione condivisa dal filosofo Norberto Bobbio e dal cardinale Carlo Maria Martini.
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Online il nuovo blog di Enzo Bianchi
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Eccolo: https://www.ilblogdienzobianchi.it/
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Che succede?
EUROPA, I DIRITTI TRADITI. EUROPA, BIDEN E LA CINA
29 Giugno 2021 su C3dem.
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I PARTITI E LA SPACCATURA GRILLINA. L’APPELLO DELLA POVERTA’
29 Giugno 2021 su C3dem.
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Che succede?
CONSIGLIO EUROPEO: LA SEVERITA’ CON ORBAN, MA L’IPOCRISIA SUI MIGRANTI
27 Giugno 2021 su C3dem.
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GLI ESAMI DA SUPERARE. FINEVITA. DDL ZAN. DUELLO CONTE-GRILLO. VOTO A MILANO
27 Giugno 2021 su C3dem.
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Il Vaticano e il disegno di legge Zan: una nota stonata.
25-06-2021 – di: Domenico Gallo
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La povertà in Italia in forte aumento
La povertà in Italia nel 2020
22-06-2021 – di: ISTAT
Nel mese di giugno di ogni anno l’Istat diffonde il report La povertà in Italia nel quale sono contenute le stime riferite all’anno precedente. Il report diffuso nei giorni scorsi, e relativo alla situazione del 2020, contiene dati interessanti e fonte di estrema preoccupazione. In sintesi: la povertà assoluta e quella relativa continuano a crescere. (Volerelaluna: la redazione).
L’Italia dispone di un quadro articolato di indicatori di povertà la cui varietà consente di cogliere le molte dimensioni del fenomeno, specie in un anno come il 2020, segnato da una congiuntura economica particolarmente difficile e anomalo da molti punti di vista. Le diverse linee di povertà e i relativi indicatori mostrano la situazione secondo prospettive differenti.
La soglia di povertà assoluta fa riferimento a un paniere di beni e servizi che vengono considerati essenziali per una determinata famiglia per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile. Non si tratta quindi di una unica soglia, ma di molte soglie che variano, per costruzione, in base alla dimensione della famiglia, alla sua composizione per età, alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza (vedi il Prospetto in Nota Metodologica che mostra le soglie mensili di povertà assoluta per le principali tipologie familiari, ripartizione geografica e tipo di comune). La soglia di povertà relativa, invece,varia di anno in anno a causa della variazione della spesa per consumi delle famiglie o, in altri termini, dei loro comportamenti di consumo. Tale soglia, infatti, deriva da un calcolo interno alla distribuzione delle spese (è pari infatti alla spesa per consumi media pro-capite per una famiglia composta da due persone). La misura di povertà relativa fornisce,quindi,una valutazione della disuguaglianza nella distribuzione della spesa per consumi e individua le famiglie povere tra quelle che presentano una condizione di svantaggio rispetto alle altre. Nel 2020, per una famiglia di due componenti, la soglia è risultata pari a 1.001,86 euro, cioè oltre 93 euro meno della linea del 2019.
Per tenere conto dei cambiamenti nei comportamenti di spesa, ogni anno si calcola anche una linea di povertà dell’anno corrente rivalutando quella dell’anno precedente con la variazione dei prezzi. La soglia 2019, rivalutata al 2020 in base all’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività (pari a -0,2%), è risultata pari a 1.092,76 euro (90,90 euro in più della soglia standard). L’incidenza di povertà relativa 2020, calcolata rispetto alla soglia 2019 rivalutata, è, di conseguenza, molto più elevata ed è pari al 13,4% (3.484mila famiglie povere, ossia circa 847mila in più). Le due diverse stime permettono di individuare le famiglie che nel 2020, pur avendo conseguito dei livelli di spesa inferiori a quelli del 2019, non risultano povere per effetto della considerevole riduzione dei consumi e delle condizioni medie di vita nell’anno segnato dalle misure restrittive per il contenimento della pandemia.
I dati sono univoci. Sono in povertà assoluta 5,6 milioni di persone, record dal 2005. Per quanto riguarda la povertà relativa, le famiglie sotto la soglia sono poco più di 2,6 milioni.
Nel 2020, sono in condizione di povertà assoluta poco più di due milioni di famiglie (7,7% del totale da 6,4% del 2019) e oltre 5,6 milioni di individui (9,4% da 7,7%). Dopo il miglioramento del 2019, nell’anno della pandemia la povertà assoluta aumenta raggiungendo il livello più elevato dal 2005 (inizio delle serie storiche). Per quanto riguarda la povertà relativa, le famiglie sotto la soglia sono poco più di 2,6 milioni (10,1%, da 11,4% del 2019).
Per scaricare il rapporto integrale: https://www.istat.it/it/files/2021/06/REPORT_POVERTA_2020.pdf el 2020
22-06-2021 – di: ISTAT
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Newsletter ASviS – Sulle migrazioni serve una strategia europea che guardi al medio termine
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Don Lorenzo Milani
54 ANNI DA QUEL GIORNO:
26 GIUGNO 1967 DON LORENZO CI LASCIO’
di Arcangelo Riccardi, su fb.
Il suo testamento: “Cari ragazzi, ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto. Un abbraccio, vostro Lorenzo”.
Lorenzo Milani nasce a Firenze il 27 maggio 1923 da Albano e Alice Weiss in una famiglia benestante e colta. Intellettuali e scienziati gli ascendenti Milani, veronesi d’origine ma trapiantati in Toscana. Di cultura mitteleuropea gli ascendenti materni, boemi d’origine, emigrati nella Trieste asburgica, ebrei di etnia, ma quasi tutti lontani da osservanze religiose e agnostici. Nel 1930 la famiglia Milani, coi figli Adriano, Lorenzo ed Elena, si trasferisce da Firenze a Milano, dove il padre, laureato in chimica, ha trovato un lavoro.
Lorenzo compie gli studi fino alla maturità classica, conseguita il 21 maggio 1941. Con sorpresa e rammarico dei genitori, che però non lo contrastano, rifiuta di iscriversi all’università: vuol fare il pittore. Il padre allora lo manda alla scuola di un bravo artista tedesco che vive a Firenze: Hans Joachim Staude. Ci resta pochi mesi, ma ne subisce una forte influenza culturale ed etica. In autunno, tornato a Milano, si iscrive all’Accademia di Brera e lavora con foga nello studio che il padre gli ha preso in una elegante zona della città. Nella primavera del 1943, dopo i primi pesanti bombardamenti aerei, la famiglia si trasferisce ancora a Firenze. Qui, nel giro di pochi mesi, Lorenzo matura una radicale svolta esistenziale: si converte al cattolicesimo e decide di farsi prete, entrando in seminario l’8 novembre di quello stesso anno.
Ordinato sacerdote il 13 luglio del 1947, don Lorenzo Milani viene nominato cappellano a San Donato di Calenzano, dove ci resta per oltre sette anni. Appena arrivato, impianta in canonica una scuola serale aperta a tutti i giovani, senza discriminazioni politiche, purché di estrazione popolare e operaia. Un prete giovane che invece dei tornei di calcio, di ping-pong e bigliardino offre ai giovani una scuola, usando come libri di testo la Costituzione, i codici, i contratti collettivi di lavoro, i giornali. Che esorta gli operai a iscriversi al sindacato e a difendere i propri diritti con le due armi irrinunciabili dello sciopero e del voto.
In breve tempo si tira addosso prima la diffidenza, poi l’aperta ostilità dei benpensanti e di molti preti della zona. Si arriva così al dicembre del 1954, quando don Lorenzo viene “esiliato” a Barbiana, una parrocchia sperduta sull’Appennino, formata da nemmeno un centinaio di anime sparse sui monti. Pier Paolo Pasolini scriverà più tardi che questa punizione “in realtà è stato il più bel dono che gli si potesse fare”. E don Milani lo riconosce per primo e subito. Ad un suo allievo di San Donato risponde: ”Non mi commiserate troppo, perché io devo aver avuto qualche antenato montanino. Mi par d’esser qui da sempre. Ormai sono completamente rincivilito e se per disgrazia mi portassero la luce elettrica, avrei paura di prendere la scossa. Ma il più bello è che anche qui m’hanno accolto come un vecchio amico che torna”.
E lì don Lorenzo organizza una nuova scuola a misura dei bisogni dei suoi montanari. Lucio, uno dei suoi alunni, che doveva accudire le mucche nella stalla, scriverà più tardi nella famosa Lettera ad una professoressa: “La scuola sarà sempre meglio della merda”. A Barbiana tutti i ragazzi vanno a scuola dal priore. Dalla mattina presto fino a sera, estate e inverno. Nessuno “è negato per gli studi”. Non c’è ricreazione e non è vacanza nemmeno la domenica. Nella lettera ai giudici don Lorenzo racconta che “Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande ”I care”. E’ il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”. E’ il contrario esatto del motto fascista “Me ne frego”.
L’obiettivo di don Milani è quello di educare i suoi ragazzi ad essere responsabili delle loro azioni, cittadini sovrani, capaci di usare la parola: “Perché è solo la lingua che fa uguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli”.
In una lettera inviata ai ragazzi di Piadena e al loro maestro Mario Lodi, i ragazzi di Barbiana descrivono la loro esperienza educativa: “Questa scuola, senza paure, più profonda e ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi a venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé. Il priore ci propone un ideale più alto: cercare il sapere solo per usarlo al servizio del prossimo, per esempio dedicarsi da grandi all’insegnamento, alla politica, al sindacato, all’apostolato o simili. Per questo qui si rammentano spesso e ci si schiera sempre dalla parte dei più deboli: africani, asiatici, meridionali italiani, operai, contadini, montanari. Ma il priore dice che non potremo far nulla per il prossimo, finché non sapremo comunicare. Perciò qui le lingue sono la materia principale. Prima l’italiano perché sennò non si riesce a imparare nemmeno le lingue straniere. Poi più lingue possibile, perché al mondo non ci siamo soltanto noi. Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare tra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre”.
Alla sorella Elena che gli annuncia il proprio matrimonio civile don Lorenzo risponde:”Sono contentissimo che tu ti sposi e non ho nessun motivo di dolermi che tu lo faccia in Comune. Esser cristiani è una fortuna, non un obbligo. Mi può dispiacere che tu non abbia questa fortuna, non che tu compia un atto in armonia con quello che pensi”.
A Barbiana, in una canonica senza acqua corrente e luce elettrica, la scelta di povertà austera di don Milani si radicalizza, fino al rifiuto di gestire il podere della parrocchia. Campa della sola “congrua”, il magro stipendio statale per i parroci. Dalla famiglia e dagli amici accetta solo aiuti per la scuola e la salute dei suoi ragazzi, spesso minata dalla miseria della montagna. Gli servono libri, enciclopedie, atlanti, dischi, calcolatrici, cancelleria, utensili… Ha bisogno di medicine, analisi ed esami medici, vitamine, cure dentarie. Denari, ne chiede per i viaggi all’estero, quando d’estate manda i ragazzi ad imparare le lingue e la vita degli altri popoli. Ma devono provvedere da soli, lavorando.
Nel 1958 esce “Esperienze pastorali”, il suo primo e unico libro, del quale pochi mesi dopo il Sant’Uffizio, giudicandolo inopportuno, ordina il ritiro dal commercio e vieta ristampe e traduzioni.
Nel 1960 avverte i primi sintomi del morbo di Hodgkin, che gli procurerà sofferenza e disagi per sette lunghi anni. Nel 1965 replica pubblicamente agli insulti rivolti da un gruppo di cappellani militari agli obiettori di coscienza e viene rinviato a giudizio per apologia di reato. Impossibilitato dalla malattia a presentarsi in tribunale, scrive la propria autodifesa, resa pubblica alla prima udienza del processo. E’ la “Lettera ai giudici” con la famosa frase, oggetto di tante polemiche: “Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene fare scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”.
Serenamente consapevole della sua scelta, ormai gravemente ammalato, ebbe a dire: “Non ho paura di non fare a tempo a dire tutto quello che mi rimane da dire… Non importa che io lo dica… La verità si fa strada da sola”.
Assolto con formula piena, resta imputato, per il ricorso del pubblico ministero. Ma non arriva a ricevere la condanna d’appello, che colpirà comunque il suo scritto. Il 26 giugno 1967, all’età di 44 anni, muore di leucemia a Firenze, in casa della madre. Un mese prima esce “Lettera a una professoressa”, il libro scritto dai ragazzi della scuola di Barbiana sotto la sua regia ”da povero vecchio moribondo”. Ora la scuola è chiusa. I “ragazzi” sono sparsi per l’Italia e anche all’estero, impegnati nel sindacato, nella scuola, nelle associazioni.
A 54 anni dalla morte di don Milani, la testimonianza di fede del Priore di Barbiana, l’amore indicibile per un Dio che ha il volto povero dei suoi ragazzi, la sua obbedienza disobbediente, la rettitudine morale, la coerente laicità, la sete di cultura, lo studio come cosa seria e processo educativo collettivo, il rispetto del valore primario della coscienza, la concezione nobile della politica, l’amore ai poveri, l’impegno per la Costituzione e l’antifascismo, i valori in cui don Lorenzo credeva ci interessano ancor assai. Anche se egli, oggi, è più scomodo che mai. Non ci si può rivolgere al suo pensiero con l’intenzione di annetterlo o edulcorarlo, ma solo con quello di mettersi in discussione.
Non importa di prenderlo a modello od elevarlo a mito: piuttosto importa di rifarci a lui per riproporre l’irriducibilità di alcuni temi. Anche per questo noi lo amiamo e ne onoriamo la memoria.
26 giugno 2021 Arcangelo Riccardi
P.S.: vd. Giorgio Pecorini “Don Milani! Chi era costui?” Baldini & Castoldi.
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Papa Francesco e don Milani.
Su aladinpensiero online.
OLTRE UN FUTURO RECISO: È L’ORA DI UN MONDO ABITABILE
OLTRE UN FUTURO RECISO: È L’ORA DI UN MONDO ABITABILE
Di seguito il documento elaborato dal Forum di Etica Civile, un testo di riflessione, proposta e speranza su questo tempo attraversato dalla pandemia, come contributo al cammino preparatorio della Settimana Sociale che si terrà a Taranto il prossimo ottobre.
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Che succede?
NON TACERE SU SAMAN. NUOVE REGOLE E PIU’ ETICA PER L’EUROPA. IL RITORNO DI CONTE
8 Giugno 2021 by Giampiero Forcesi |su C3dem.
Pasquale Annicchino, “Un patto con l’Islam per tendere la mano a tutte le Saman” (Domani). Ritanna Armeni, “Troppo silenzio delle femministe sul caso Saman” (intervista a Il Giornale). Natalia Aspesi, “Perché siamo tutte Saman” (Repubblica). Lucetta Scaraffia, “Il silenzio di chi teme di giudicare” (Qn). EUROPA: Giorgia Serughetti, “Il folle incubo di un’Europa che respinge e non accoglie” (Domani). Carlo Bastasin, “L’Europa ha bisogno di nuove regole, non solo fiscali” (Repubblica). Tonia Mastrobuoni, “Sorpresa in Sassonia: la riscossa della Cdu ferma l’ultradestra” (Repubblica). Nathalie Tocci, “Germania, ora l’estremismo non porta voti” (La Stampa). Adriana Cerretelli, “Un’aria nuova tra amministrazione Biden e Europa” (Sole 24 ore). Jens Stoltenberg, “Russia e Cina minacciano l’Occidente” (intervista a Repubblica). PD: Claudio Cerasa, “La rivoluzione che serve al Pd e al centro” (Foglio). Luigi Zanda, “Il Pd federi centro e sinistra, da Bersani a Renzi” (intervista al Foglio). Franco Monaco, “Epifani, ‘un caso politico’” (blog in Huffpost). PARTITI: Stefano Lepri, “Se la politica sente solo chi strilla di più” (La Stampa). Giuseppe Conte, “Sostegno leale al governo per ripartire, ma non rinunceremo alle nostre battaglie” (intervista al Corriere). Paolo Pombeni, “Conte, il nuovo Temporeggiatore” (Il Quotidiano). Francesco Verderami, “Così cambia la geografia di maggioranza” (Corriere della sera). Renato Mannheimer, “Sta vincendo la linea Giorgetti e la Lega si sposta al centro” (Il Riformista). Stefano Folli, “Salvini e il bivio in Europa” (Repubblica). Lina Palmerini, “Conte e Salvini, doppio registro nell’appoggio al premier” (Sole 24 ore). Carlo Galli, “Le ragioni dell’avanzata della destra e i rischi della sua futura (probabile) andata al governo” (Repubblica). Massimo Franco, “Le convulsioni di un fronte che cerca nuovi equilibri” (Corriere della sera). Ezio Mauro, “La destra e i destini incrociati” (Repubblica). Stefano Folli, “Colle, l’illusione di Berlusconi” (Repubblica). Piero Ignazi, “I sondaggi non bastano più per prevedere le elezioni” (Domani). ISTITUZIONI: Antonio Floridia, “Legge elettorale. Tre scenari e l’esempio del sistema tedesco” (Manifesto). Andrea Manzella, “Rafforzare il governo per rendere stabile l’eccezionalità di Draghi” (Corriere della sera). Beniamino Caravita, “Un grande accordo politico per il riassetto istituzionale” (Messaggero). Angelo Panebianco, “Politica e magistratura, il difficile equilibrio” (Corriere della sera).
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OLTRE UN FUTURO RECISO: È L’ORA DI UN MONDO ABITABILE
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NASCE L’OSSERVATORIO SULLA TRANSIZIONE ECOLOGICA. Su iniziativa del Coordinamento per la democrazia costituzionale, Laudato Si’ e NOstra. Aderisce Aladinpensiero.
Signor Ministro Cingolani, la transizione ecologica non si fa così!
Già il Pnrr inviato a Bruxelles contiene troppe ambiguità. Non sarà facile quindi vincere le resistenze conservatrici dei potentati economici.
Le scelte del governo sugli appalti e sulle semplificazioni sono già un pessimo segnale. Un piano strategico per fare uscire l’Italia dalla crisi non si realizza solo con i bandi per usare le risorse del Pnrr, ma richiede che il Governo adotti un’ottica di programmazione, usando le società a partecipazione pubblica per costruire un insieme di interventi con obiettivi coerenti con la svolta ecologica e in particolare una transizione energetica fondata sull’uso delle energie rinnovabili.
Tale processo deve mantenere un carattere partecipativo stimolando e coinvolgendo le istituzioni locali e le organizzazioni sociali.
Al contrario la scelta delle cabine di regia rappresenta la delega ad una cerchia di tecnici e fiduciari del presidente Draghi che alimenterà lo scetticismo della popolazione verso la politica non tenendo conto della mobilitazione e dell’impegno della società civile sulla questione ecologica.
Il caso di Civitavecchia è emblematico. Si sono svolte manifestazioni sindacali e di cittadini, presidi in piazza che hanno coinvolto le rappresentanze della città, per contrastare la scelta di una centrale a turbogas da ben 1680 MW in luogo di quella attuale a carbone. Ogni calcolo di convenienza anche economica la rende perdente se confrontata con un progetto fondato su fotovoltaico per il porto, con eolico off-shore e idrogeno verde per fornire l’elettricità necessaria per un ridisegno del territorio.
L’uso del gas naturale oggi è solo l’alibi per mantenere l’Italia nella cultura e nell’economia fossile. La scelta dell’idrogeno verde è strategica e deve essere perseguita immediatamente. Del resto documenti dell’Iea e dell’Onu hanno messo sotto accusa non solo il carbone ma l’uso del gas naturale. Né appare convincente, sia dal punto di vista dei rischi per l’ambiente che da quello economico, la soluzione della cattura della CO2 e del suo immagazzinamento.
Per queste ragioni le tre organizzazioni firmatarie intendono costituire lunedì 7 giugno un osservatorio sulla transizione ecologica, innanzitutto sull’attuazione del Pnrr, per evitare che vengono mancati gli obiettivi della neutralità climatica e che ingenti somme vengano sprecate, lasciando nella sostanza inalterato il vecchio modello di sviluppo.
Roma, 4 giugno 2021
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Transizione ecologica: la gestione del ministro Cingolani non appare convincente
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/06/07/transizione-ecologica-la-gestione-del-ministro-cingolani-non-appare-convincente/6222219/
di Mario Agostinelli
Ecologista, politico e sindacalista
AMBIENTE & VELENI – 7 GIUGNO 2021
Roberto Cingolani ogni giorno descrive la sua missione con varie suggestioni (“fusione nucleare, idrogeno verde, impresa ciclopica”) ma con al fondo un tratto ben distinguibile e non accettabile. Il ministro non interviene nelle scelte con la drammaticità imposta dall’urgenza della crisi climatica: al contrario, confida in una chiave esclusivamente tecnologica per affrontare la “compromissione della termodinamica del pianeta” (parole sue).
L’assetto accentratore con cui l’esecutivo Draghi descrive e imposta la ripresa post pandemica gli offre un palcoscenico dal quale detta le sue formule magiche, visto che i progetti di rilancio del Paese non contemplano il coinvolgimento della società o una dialettica tra punti di vista, ma sono ispirati dai grandi gruppi, con agganci internazionali e sensibili alle lobby multinazionali, talvolta in contrasto con le direttive europee, soprattutto in materia ambientale.
Il ministro, partendo dall’affermazione che entro il 2030 l’Italia dovrà installare 70 GW di rinnovabili (moltiplicando per 10 gli attuali investimenti), ha collocato successivamente al 2030 la vera decarbonizzazione della produzione elettrica e dell’industria. In sostanza, si tratta dell’avallo alle resistenze conservatrici dei gruppi energetici nazionali ed internazionali, mentre occorre una svolta e un cambiamento drastico di paradigma entro il 2025. Così si copre il più banale passaggio dal carbone al gas, come richiesto in ogni sede dai vertici di Eni e di Enel. Quando poi si afferma che dopo il 2030 avremo altri 25 anni per uscire dalle fonti fossili si “buca” il 2050, la “dead line” posta dalla Ue.
Plastica monouso, il ministro della Transizione ecologica esulta perché la Ue ci permette di continuare a inquinare
Plastica monouso, il ministro della Transizione ecologica esulta perché la Ue ci permette di continuare a inquinare
Che questo percorso sia quello che paventiamo, lo dimostra in alcune pieghe il “decreto semplificazioni” appena varato: il nostro Paese non vuole prepararsi alle rinnovabili senza l’ausilio dei combustibili fossili e, quindi, ci si lamenta dei ritardi nei processi autorizzativi per le rinnovabili, ma si allentano le regole di controllo e di protezione dell’ambiente e della salute nel caso specifico di nuove centrali (art.18). Perfino sul nucleare, pur sapendo che la questione in Italia è stata chiusa da ben due referendum, il ministro è stato molto blando nei confronti del tentativo della Francia e di altri paesi di far passare a livello europeo la fissione dell’atomo come fonte “a basso tenore di carbonio”, trascurando la letalità del suo impiego pur di farla accettare, al pari del Ccs, come fonte per produrre idrogeno blu anziché verde. Cingolani avrebbe dovuto dire semplicemente che l’Italia porrà il veto a qualunque tentativo di alimentare un futuro altroché residuale per il nucleare in Europa.
Intanto, c’è un inspiegabile ritardo del Governo Draghi nell’approvare (doveva essere inviato a Bruxelles il 31 marzo scorso) il piano per decidere dove installare l’eolico off-shore, mentre lo stesso fotovoltaico richiede una accelerazione nelle autorizzazioni, con la collocazione prioritaria su superfici esistenti e in aree industriali dismesse. In realtà, si coprono le resistenze al superamento dell’uso di tutte le fonti fossili il prima possibile. I gruppi pubblici, che dovrebbero essere i primi ad adeguarsi alle direttive di un governo che fa riferimento al Green Deal Europeo, tentano di eluderne l’indirizzo entro i confini nazionali, mentre al di fuori di essi, dove risulta forse più complicato fare “greenwashing”, investono solo in rinnovabili!
Le critiche di Rutelli al governo sul clima: “Siamo fuori strada. L’agenda è inadeguata per la ‘rivoluzione verde’, se ne occupi Draghi”
Le critiche di Rutelli al governo sul clima: “Siamo fuori strada. L’agenda è inadeguata per la ‘rivoluzione verde’, se ne occupi Draghi”
Così, per le centrali elettriche a carbone, dove il “phase out” è obbligato, si pensa al rimpiazzo di potenza con metano anziché passare direttamente a rinnovabili, pompaggi o idrogeno verde, ridisegnando così consumi, produzioni e buona occupazione in territori a lungo vulnerati dalla combustione dei fossili. Il gas naturale ha chiuso il suo ciclo: insistere con nuove infrastrutture, come si vorrebbe fare con i turbogas a Civitavecchia, clamorosamente in contrasto con la popolazione, le istanze sociali e le istituzioni, significherebbe pregiudicare una riconversione ecologica, laddove è già matura, a partire dal mondo del lavoro.
Le politiche industriali stesse non possono aspettare il 2030 per cambiare. Pensiamo all’Ilva di Taranto: dopo la recente sentenza occorre decidere il suo futuro, contemporaneamente occupazionale ed ambientale. Lo Stato è già entrato in Ilva con una partecipazione azionaria rilevante e presto sarà un’azienda pubblica a tutti gli effetti che potrà riprendere un’attività solo se compatibile con la salute. In questo caso, l’uso delle rinnovabili e dell’idrogeno è forse l’unico asse di fondo su cui provare a riprogettare una destinazione, lungo l’intero ciclo che tocca l’acqua, i gas in atmosfera, la bonifica del suolo.
La gestione della transizione ecologica che si sta evidenziando non appare convincente. Il ministro Cingolani ha il dovere di esplicitare come verranno impiegati oltre 50 milioni al giorno per 5 anni previsti dal Pnrr. La velocizzazione non può risolversi in un favore ai colossi energetici che oggi svolgono un ruolo di resistenza verso il cambiamento, la difesa del clima e l’innovazione, frustrando il ruolo delle istituzioni territoriali e la presa di coscienza delle collettività.
Scritto in collaborazione con Alfiero Grandi
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WEBINAR SULLA SALUTE
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PER APPROFONDIRE. PNRR, IL TESTO E LE CRITICHE; IL RITORNO DELLO STATO
8 Giugno 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem
Un interessante Dossier di Camera e Senato illustra il Piano nazionale di ripresa e resilienza.. La lettura critica del Forum Diversità e Disuguaglianze: “Manca una visione forte e mobilitante”. Il webinar di Radio Radicale con la discussione sulla valutazione del PNRR condotta dall’ASVIS. Sabino Cassese, “Lo Stato non torna, c’era già, ma la musica è cambiata” (Corriere della sera). I contributi de lavoce.info: Angelo Baglioni, “Non più Stato ma uno Stato migliore, questo ha chiesto Ignazio Visco”; Fabiano Schivardi, “Dopo la crisi: dallo Stato-giocatore allo Stato-allenatore”; Gianni Toniolo, “Welfare state: il futuro è nel ritorno a Beveridge”; Massimo Baldini, “Nuove reti sociali per nuove povertà”; Gilberto Turati, “Quattro temi chiave nell’agenda per la salute”; Michele Polo, “Internet, la quarta utility”. E qui anche i video dei 5 forum tenutisi al Festival dell’Economia di Trento. Inoltre: Luca Mercalli, “Transizione eco-illogica del ministro Cingolani” (Il Fatto); Elena Granaglia, “Il welfare nel PNRR. Riconoscere quanto c’è, ma non trascurare i rischi” (Eticaeconomia); Federico Butera, “La questione organizzativa italiana. Rigenerazione organizzativa, politica per il bene comune e la difesa sociale, formazione delle persone integrali” (Eticaeconomia).
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Luci di carità in tempi di pandemìa
Fratelli tutti e Laudato si’: strumenti per la costruzione di un mondo migliore.
Riflessioni su alcune tematiche “laiche” così come trattate dalle due encicliche: IL LAVORO, POLITICA ed ECONOMIA, BENI COMUNI e PROPRIETA’ PRIVATA*
di Franco Meloni
PREMESSA
L’enciclica “Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale” ci fa sentire partecipi della grande famiglia umana, abitanti della Terra, casa comune, che Papa Francesco ha ben descritto nella precedente enciclica Laudato si’. I due documenti si integrano e si completano, fornendoci strumenti per la costruzione di un mondo migliore. Ma non cerchiamo in essi ricette preconfezionate: le scelte in definitiva competono a noi, come singoli, come membri di aggregazioni comunitarie, e, per quanti lo sono, come rappresentanti istituzionali.
Veniamo al tema, la fraternità: è un valore assoluto, di cui disponiamo tutti, almeno in teoria, senza averla in nessun modo conquistata e meritata. Per i credenti “la nostra volontà non c’entra: siamo fratelli non perché lo vogliamo, ma perché siamo figli di Dio che è, di tutti noi, padre” (1). Anche i non credenti, almeno molti tra loro, pur senza coinvolgere Dio, ci credono! (2) Tanto è che la fraternità costituisce il terzo grande valore della triade della Rivoluzione francese «Libertà, uguaglianza e fraternità», bandiera del pensiero laico (3).
Se siamo fratelli e sorelle, come siamo, spetta a ciascuno di noi comportarci di conseguenza, per godere effettivamente di questo status naturale. Ma il mondo non va esattamente in tale giusta direzione. A moltissime persone su questa Terra non è riconosciuto il diritto alla fraternità. Un virtuoso programma mondiale dovrebbe tendere a renderlo effettivo, rimuovendo tutte le cause che lo impediscono.
E, invece… Addirittura nel tempo, soprattutto nel nostro tempo, la fraternità è stata quasi dimenticata. Perché? “Forse la causa sarà stata una confusione – errata confusione – tra fraternità e uguaglianza sociale. E dunque, fallite le forme di realizzazione storicamente date di tale uguaglianza (fallito cioè il cosiddetto socialismo reale), si è preferito non pensarci più. Qualunque sia la causa, resta il fatto che si è trattato – e si tratta – di una disattenzione imperdonabile” (1bis).
In sostanza così pensa anche il Papa che nella sua enciclica esalta la fraternità, sostenendone l’importanza fino a capovolgere la gerarchia tra i tre valori, dando alla fraternità la funzione di dare senso agli altri due (4): “La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. (…) ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore. Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che «tutti gli esseri umani sono uguali», bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità” [FT 103, 104]. La fraternità dimenticata da tutti? Sì, ma per fortuna non dai poeti – ricordate la poesia Fratelli di Giuseppe Ungaretti? (5) – e dagli artisti in generale. Un esempio lo fornisce lo stesso Papa quando nell’enciclica cita un verso della canzone Samba delle Benedizioni di Vinicius de Moraes [FT 215], che rende magnificamente l’invito a far crescere una cultura dell’incontro, laddove si pratica la fraternità: «La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita». E prosegue il Papa nella proposizione di un “modello di riferimento di società aperta ed inclusiva” ben rappresentato dalla figura geometrica del poliedro “che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono un’unità ricca di sfumature, perché «il tutto è superiore alla parte». Il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda (…). Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo” [FT 215 e LS 237] (6).
Tornando alla fraternità: dunque è un dono e personalmente ne sento l’afflato consolatorio nella sua pratica negli ambienti comunitari, ma ho la consapevolezza che si tratti di un privilegio, considerato che molta parte dell’umanità non ne può godere i benefici, in tutta la loro possibile estensione, a causa della difficile, per tanti drammatica, situazione in cui versa il nostro Pianeta, sia sul versante ambientale, sia su quello sociale ad esso strettamente connesso. Non esiste benessere della Terra senza che sussista contemporaneamente quello dei suoi abitanti, nell’accezione di “ecologia integrale”, concetto profondo dell’enciclica Laudato si’, che, come mi piace rimarcare, trova una “corrispondenza laica” nell’Agenda Onu 2030 (7).
Rifletto sul quadro che l’enciclica Laudato si’ mostra con crudo realismo: 1) il Pianeta è in pericolo, ma comunque sopravvivrà; chi rischia l’estinzione è l’umanità intera con gli altri esseri viventi, travolta da sconvolgimenti ambientali che non si vogliono adeguatamente contrastare; 2) nonostante la pandemia, purtroppo ancora in atto, continuano le guerre in tutto il mondo, una «terza guerra mondiale a pezzi», mentre crescono dappertutto le diseguaglianze e le povertà in un contesto mondiale “dominato dall’incertezza, dalla delusione e dalla paura del futuro e controllato dagli interessi economici miopi”.
E cerco allora possibili vie d’uscita, non solamente sul piano dell’impegno intellettuale, ma concretamente sulla modifica dei comportamenti (la “conversione ecologica”) perché mi sento pienamente coinvolto e perfino in qualche misura responsabile dell’attuale situazione, anche con riferimento alle realtà di impegno civile in cui sono inserito.
Nessuno deve tirarsi indietro per piccolo possa essere il contributo di ciascuno.
Ci aiutano in questa impresa proprio le due ultime encicliche di Papa Francesco.
Individuo alcune connessioni tra le stesse che mi aiutino a comprendere la situazione e che m’illuminino rispetto al “che fare?”. E’ un percorso che mi/ci impegna come cattolici, ma che può coinvolgere tutti. Proprio secondo gli intendimenti del Papa: [FT 6] “Consegno questa Enciclica sociale come un umile apporto alla riflessione affinché (…) siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole. Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà”. Intendimenti ormai nella consuetudine dei Papi, da Giovanni XXIII (Pacem in terris, 1963) in poi.
L’enciclica “Fratelli tutti” richiama esplicitamente la “Laudato si’” in 23 note, sulle quali opero un’arbitraria selezione, riconducendo i contenuti a tre grandi tematiche, che schematizzo nei titoli seguenti: IL LAVORO, POLITICA ed ECONOMIA, BENI COMUNI e PROPRIETA’ PRIVATA.
IL LAVORO
Alla questione il Papa dà molta enfasi, situandola nel solco tradizionale della Dottrina sociale della Chiesa, evitando di portarsi avanti nel dibattito sul rapporto tra lavoro e reddito, che pur aveva trattato in un precedente sorprendente intervento (8)
Dice il Papa [FT 162]: “Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze. Questo è il miglior aiuto per un povero, la via migliore verso un’esistenza dignitosa. Perciò insisto sul fatto che «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze”. Ecco il passaggio in cui il Papa non insiste sulle teorie del «reddito universale di base» se non nel proporlo per le fasi emergenziali. Sostiene infatti che “Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro. Per quanto cambino i sistemi di produzione, la politica non può rinunciare all’obiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società assicuri ad ogni persona un modo di contribuire con le proprie capacità e il proprio impegno. Infatti, non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro». In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo“. Riprende pertanto quanto scritto nella LS [128]: “Siamo chiamati al lavoro fin dalla nostra creazione. Non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale.(…) Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro”. Il Papa ha ben presente le radicali trasformazioni del lavoro e mette in guardia da pericolose derive, nel momento in cui “l’orientamento dell’economia ha favorito un tipo di progresso tecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione della diminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine. È un ulteriore modo in cui l’azione dell’essere umano può volgersi contro sé stesso. La riduzione dei posti di lavoro «ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del «capitale sociale», ossia di quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile. In definitiva «i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani». Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società”.
Ancora sulla FT [168]: “ Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale. Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di fronte a qualunque sfida si presenti. Il neoliberismo riproduce sé stesso tale e quale, ricorrendo alla magica teoria del «traboccamento» o del «gocciolamento» – senza nominarla – come unica via per risolvere i problemi sociali (9). Non ci si accorge che il presunto traboccamento non risolve l’inequità, la quale è fonte di nuove forme di violenza che minacciano il tessuto sociale. Da una parte è indispensabile una politica economica attiva, orientata a «promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale», perché sia possibile aumentare i posti di lavoro invece di ridurli. La speculazione finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a fare strage. D’altra parte, «senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare». La fine della storia non è stata tale, e le ricette dogmatiche della teoria economica imperante hanno dimostrato di non essere infallibili. La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato e che, oltre a riabilitare una politica sana non sottomessa al dettato della finanza, «dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno»“.
Riprendendo la LS [129]: “ Perché continui ad essere possibile offrire occupazione, è indispensabile promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale. Per esempio, vi è una grande varietà di sistemi alimentari agricoli e di piccola scala che continua a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e dell’acqua e producendo meno rifiuti, sia in piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nella caccia e nella raccolta di prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale. Le economie di scala, specialmente nel settore agricolo, finiscono per costringere i piccoli agricoltori a vendere le loro terre o ad abbandonare le loro coltivazioni tradizionali. I tentativi di alcuni di essi di sviluppare altre forme di produzione, più diversificate, risultano inutili a causa della difficoltà di accedere ai mercati regionali e globali o perché l’infrastruttura di vendita e di trasporto è al servizio delle grandi imprese. Le autorità hanno il diritto e la responsabilità di adottare misure di chiaro e fermo appoggio ai piccoli produttori e alla diversificazione della produzione. Perché vi sia una libertà economica della quale tutti effettivamente beneficino, a volte può essere necessario porre limiti a coloro che detengono più grandi risorse e potere finanziario. La semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica. L’attività imprenditoriale, che è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, può essere un modo molto fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune”.
Da quanto messo in evidenza, risulta esplicita la critica del Papa (ripetuta in molte occasioni) alle teorie economiche dominanti, quelle di stampo neoliberista, che mettono al centro la realizzazione del profitto, piuttosto che del benessere delle persone, generando privilegi e ricchezze per pochi, forti diseguaglianze e povertà per molti. Per converso il Papa incoraggia lo studio e la pratica di economie diverse, quali quelle cosiddette circolari o che si rifanno ai principi dell’economia civile. Afferma Papa Francesco in altra circostanza (10): “l’economia, nel suo senso umanistico di “legge della casa del mondo”, è un campo privilegiato per il suo stretto legame con le situazioni reali e concrete di ogni uomo e di ogni donna. Essa può diventare espressione di “cura”, che non esclude ma include, non mortifica ma vivifica, non sacrifica la dignità dell’uomo agli idoli della finanza, non genera violenza e disuguaglianza, non usa il denaro per dominare ma per servire (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 53-60)”.
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