Risultato della ricerca: povertà

Oggi martedì 21 settembre 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
La NATO, presidio di sicurezza, pace e libertà?
21 Settembre 2021
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
L’altro giorno il presidente della Repubblica Mattarella si è recato alla Base Nato di Lago Patria, in provincia di Napoli, per celebrare i 70 anni della Nato, dove ha dichiarato: «I risultati del lavoro della Nato sono evidenti, primo tra tutti gli oltre 70 anni di pace nel continente europeo. L’Alleanza Atlantica è una […]
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IL PUNTO
di Antonio Dessì
Su fb

toninoLa stampa oggi riporta un’affermazione del Presidente Draghi contenuta nel videomessaggio che ha inviato venerdì al Presidente statunitense Biden per il forum sull’economia e il clima.
In sintesi, l’emergenza climatica secondo Draghi è di uguale entità della pandemia.
Ritengo che la il concetto sia stato espresso in tal modo per motivi di effetto comunicativo.
Non sembri tuttavia un eccesso di puntigliosità se esprimo l’opinione che si tratti di una forma riduttiva. [segue]

Oggi domenica 12 settembre 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
Carbonia. Si parla di minatori anche nei discorsi sull’autonomia di Emilio Lussu e di sardisti e socialisti. Lo spettro delle scissioni
12 Settembre 2021
Gianna Lai su Democraziaoggi
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[Democraziaoggi] Ormai son due anni, dal 1° settembre 2019, che ogni domenica pubblichiamo un post per comporre, come in un mosaico, la storia di Carbonia, momento fondamentale del movimento operaio in Sardegna.
Come fa rilevare lo storico Antonello Mattone nel suo libro dedicato a Velio Spano, il Convegno regionale dei quadri sardi di aprile 1947, […]
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c3dem_banner_04REDDITO DI CITTADINANZA: RIFARLO MEGLIO, NON ABOLIRLO
8 Settembre 2021 su C3dem.
Giovanna Vitale, “Duello sul reddito di cittadinanza. Il giudizio dell’Ocse” (Repubblica). Paolo Baroni, “L’assegno da tagliare” (La Stampa). Rosaria Amato, “Il reddito di cittadinanza: un bilancio controverso” (Repubblica). Tito Boeri e Roberto Perotti, “Il reddito va riformato separandolo dalle politiche attive per il lavoro e allargandolo a tutti i poveri” (Repubblica). Roberto Mania, “Governo: il reddito resta, ma si farà un nuovo sistema di politiche attive e di formazione” (Repubblica). Alberto Orioli, “Più spazio ai privati e meno alle regioni per le politiche attive del lavoro” (Sole 24 ore). Elsa Fornero, “Reddito, povertà e lavoro sparito” (La Stampa). GIOVANI: Francesco Riccardi, “L’aumento dei giovani italiani Neet. Uno spreco insostenibile” (Avvenire).
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Che succede?

c3dem_banner_04VIRUS E DISCIPLINA. DRAGHI E I SUOI DETRATTORI. LA CASSAZIONE SUL CROCIFISSO A SCUOLA
10 Settembre 2021 su C3dem
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CROCIFISSO A SCUOLA, SENTENZA DELLA CASSAZIONE: Alessandra Arachi, “La Cassazione: crocifissi nelle aule, decidano gli istituti” (Corriere). Elena Loewenthal, “Un compromesso, non una rinuncia” (La Stampa). Bruno Forte, “Il crocifisso nelle scuole: simbolo anche per chi non crede. Ma l’essenziale è spiegarne il senso” (intervista al Corriere).
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L’ETA’ DELL’INSICUREZZA
10 Settembre 2021 su C3dem
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REDDITO DI CITTADINANZA: RIFARLO MEGLIO, NON ABOLIRLO
8 Settembre 2021 su C3dem.
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IL VELENO DI KABUL
8 Settembre 2021 su C3dem.
[segue]

Oggi lunedì 30 agosto 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
L’invidia non spiega il fallimento della Rinascita sarda
30 Agosto 2021
23 Ottobre 2014
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.

Il secondo volume di “Buongiorno Sardegna” – intitolato “Dove siamo” – tratta delle cause che, secondo Giuseppi Dei Nur, hanno determinato il fallimento della politica di Rinascita dell’Isola attuata nel dopoguerra. Lo fa alla sua maniera, con largo impiego di metafore e di uno stile narrativo che, se […]
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Afghanistan, il fallimento della guerra
Giulio Marcon su Sbilanciamoci!
18 Agosto 2021 | Sezione: Editoriale, Politica

In questi giorni molti parlano del fallimento in Afghanistan. 20 anni in cui sono morti 170mila civili (a cui vanno aggiunti le migliaia di militari e combattenti uccisi) e sono stati spesi 5,4 mila miliardi di euro che, se utilizzati a fin di bene, avrebbero potuto debellare la povertà più estrema nel mondo.

Che succede?

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MATTARELLA (MEETING DI RIMINI) E DRAGHI (AFGHANISTAN E G20): I PILASTRI DELL’ITALIA
21 Agosto 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
I due temi forti del discorso di Sergio Mattarella al Meeting di Cl a Rimini: Marzio Breda, “Mattarella sull’Europa: basta ottusità e ipocrisia” (Corriere della sera) e Marco Conti, “La scossa di Mattarella: un dovere vaccinarsi” (Messaggero). Il commento di Corrado Augias al tema del Meeting (che è “Il coraggio di dire: io”): “La prevalenza del ‘noi’” (Repubblica). Il messaggio di papa Francesco al Meeting (vatican news). Il punto di vista di Dario Di Vico sugli umori del Meeting: “La società civile adesso teme l’autunno caldo dei partiti” (Corriere della sera). AFGHANISTAN/CRONACA: Francesco Semprini, “Portateci in salvo” (la Stampa). Lorenzo Cremonesi, “Caccia all’uomo casa per casa” (Corriere della sera). Antonio Giustozzi, “I nuovi padroni puntano a rifare l’Emirato islamico” (Repubblica). AFGHANISTAN/INIZIATIVE/COMMENTI: Valerio Valentini, “Un asse da Merkel a Putin. Così Draghi prepara la via al G20 straordinario per l’Afghanistan” (Foglio). Alessandro Barbera, “Draghi a Biden: un piano per l’Afghanistan” (La Stampa). Marta Dassù, “A questa America serve l’Europa” (Repubblica). Tonia Mastrobuoni, “Merkel chiede a Putin di fare da mediatore nella crisi” (Repubblica). Piero Fassino, “Andare a Kabul è stato giusto. Adesso non lasciamo soli gli Afghani” (Foglio). Francesco Saverio Regasto, “Afghanistan. Come aiutarli? Si dà asilo, lo dice la Carta” (Il Fatto). Alberto Cairo, “Diario da Kabul. Il coraggio della solidarietà” (Repubblica). Giuliano Ferrara, “Joe Biden ha avuto fretta, ma ora faccia come i grandi presidenti” (Foglio). Daniele Raineri, “Biden sapeva, ma ha scelto la via più rischiosa” (Foglio). Dacia Maraini, “Cosa ci insegna il coraggio di quelle piazze” (Corriere della sera). Giovanni Sartori (da alcuni suoi scritti), “La democrazia è esportabile (non sempre e dovunque)” (Corriere). La nota di Marcello Sorgi: “Gli esteri, grave lacuna di Conte” (La Stampa).
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“COME SI COMBATTE IL TERRORISMO SE NON SI COSTRUISCE UNA NAZIONE?”
20 Agosto 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
Hela Ouardi, “Capisco quei genitori che alzano quei bambini. I talebani cancellano l’idea stessa di infanzia” (intervista al Corriere della sera). Melania Mazzucco, “Quei bambini verso l’unico futuro” (Repubblica). Marina Corradi, “Per guardare ancora i figli” (Avvenire). Francesca Paci, “Il terrore di Fariba, chiusa in cantina: ‘Nessuno mi aiuta’” (La Stampa). Michele Ainis, “Il diritto delle genti” (Repubblica). Gianni Cuperlo, “Accogliamoli tutti per salvare l’anima delle nostre democrazie” (Domani). ANALISI GEOPOLITICHE: Timothy Garton Ash, “Che cosa succede se l’America non è più leader” (Repubblica); Lucio Caracciolo, “Il Grande Gioco della nuova Asia” Repubblica); Ian Bremmer, “Gli errori americani e i nuovi disastri da evitare” (Corriere della sera). Stefano Silvestri, “La tragedia afghana colpa del caos politico in Occidente” (intervista a Il Riformista). UN PO’ DI STORIA: Andrea Nicastro, “Dalla ‘guerra giusta’ al ritiro: vent’anni cancellati in dieci giorni” (Corriere). E ADESSO? Olivier Roy, “Cosa faranno adesso i talebani” (internazionale.it). Filippo Grandi, commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati: “Servono aiuti per sostenere quelli che restano”, e interviene su un nodo discusso (vedi più avanti), criticando Biden: “Come si combatte il terrorismo se non si costruisce una nazione?” (intervista al Corriere della sera). Marco Bresolin, “Borrell sconfessa l’America: ‘La linea Biden è discutibile” (la Stampa). Josep Borrell, “L’Unione europea obbligata a dialogare” (La Stampa). Emanuele Giordana, “Dopo lo sfascio della guerra ci vuole la politica” (Manifesto). Andrea Nicastro, “La resistenza nel Panshir e gli appelli inascoltati di Massoud jr all’Occidente” (Corriere della sera). Alessandro Barbera, “I Sette Grandi al talebani: ‘Garanzie sui diritti umani o non avrete più soldi” (La Stampa). NATION BUILDING, O NO? E COME? Tania Groppi, “Il dramma dell’Afghanistan. E’ fallita l’esportazione della democrazia o il sistema internazionale dei diritti umani?” (giustizia insieme.it). Ernesto Galli Della Loggia, “Guerra e diritti, quanta ipocrisia” (Corriere della sera). Roberta De Monticelli, “I diritti umani sono universali e non un’imposizione dell’Occidente” (Domani). Filippo Andreatta, “Esportare la democrazia con le baionette non funziona” (colloquio con il Foglio). Luca Diotallevi, “La democrazia si può esportare solo costruendo consenso e libertà” (Messaggero). Paolo Mastrolilli, “Ecco il rapporto che accusa gli Usa: ‘Non abbiamo capito l’Afghanistan’” (La Stampa). Paolo Cacciari, “Cari guerrafondai, chiedete almeno scusa” (Manifesto). Poi i “duri”: Barbara Spinelli, “La guerra oscena dei soldi mischiata a valori e sangue” (Il Fatto); Gad Lerner, “Afghanistan, piovono lacrime di coccodrillo” (Il Fatto). L’ITALIA: Marcello Sorgi, “Per l’Italia di Draghi il test internazionale” (La Stampa). Carlo Fusi, “Se Draghi prende le redini dell’Europa” (Il Quotidiano). Claudio Cerasa, “Importare l’ipocrisia? Il caso di Salvini e Meloni” (Foglio). Gianandrea Gaiani, “Perché l’ambasciata italiana deve restare aperta” (Mattino).
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ACCOGLIERE I RIFUGIATI AFGHANI. IL PIANETA TALEBANI. FINE VITA, VERSO IL REFERENDUM

18 Agosto 2021 su C3dem.
Paolo Gentiloni, “Accogliere i rifugiati o l’Europa rischia arrivi fuori controllo” (intervista al Messaggero). Barbara Fiammeri, “La crisi afghana riaccende lo scontro sui migranti” (Sole 24 ore). Stefano Feltri, “E adesso accogliamo tutti, è un obbligo morale” (Domani). Luigi Manconi, “Ma io vi prego, accogliamoli” (La Stampa). Mario Giro, “Una preghiera per chi muore lentamente nella storia” (Domani). Marco Impagliazzo, “Tre proposte per chi chiede protezione” (Avvenire). Uski Audino, “Merkel: ‘Vent’anni di sforzi senza successo. E ora l’Unione teme un’ondata di migranti” (La Stampa). Carmelo Caruso, “Draghi annuncia un asse con Merkel per l’Afghanistan” (Foglio). CHI SONO E CHE FARANNO I TALEBANI? Francesco Cremonesi, “Pianeta talebani. Chi sono e cosa vogliono” (Corriere della sera). Francesca Manenti, “Non sono più i talebani di 20 anni fa, ma il fondamentalismo resta lo stesso” (intervista a Avvenire). Micol Flammini, “La doppiezza talebana” Foglio). Mario Giro, “Nazionalisti ma non jihadisti. Come pensano i nuovi talebani” (Domani). Roberto Saviano, “Eroina, miliardi e geopolitica. I talebani sono i nuovi narcos” (Corriere della sera). FINE VITA: Francesca Schianchi, “Fine vita: 500mila firme, e adesso il referendum” (La Stampa). Francesco Ognibene, “Eutanasia, verso il referendum” (Avvenire). Marco Cappato, “Che svolta le 500mila firme di giovani e cattolici per l’eutanasia” (intervista a Repubblica). Federico Capurso, “Eutanasia, Vaticano in allarme” (La Stampa). Elisa Calessi, “Il Vaticano boccia l’eutanasia per legge” (Libero). Lucetta Scaraffia, “Non lasciamo solo chi chiede il fine vita” (La Stampa). MEETING DI RIMINI: Giorgio Vittadini, “Al Meeting di Rimini è di scena l’io collettivo” (intervista a Qn) e “Interpretare il lavoro come percorso: la sfida per il futuro” (Sole 24 ore). INOLTRE: Sabino Cassese, “Tutti i poteri del presidente” (Foglio). Franco Monaco, “L’anomalia di Berlusconi ha minato il possibile bipolarismo” (Il Fatto). Giorgia Serughetti, “Ammettere l’incertezza sui vaccini può ricomporre la sfiducia degli scettici” (Domani). Guido Maria Brera, “Globalizzazione, il ritardo è un vantaggio” (La Stampa).
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IL DISCORSO DI BIDEN CHE GELA L’EUROPA. LA DEMOCRAZIA NON E’ POSSIBILE IN AFGHANISTAN?

18 Agosto 2021 su C3dem
Francesco Semprini, “Biden difende la ritirata: non era compito nostro costruire una nazione” e “La politica estera Usa: il passo indietro di Biden” (La Stampa). Charles Kupchan, “Perché Biden ha scelto il ritiro” (Repubblica). Paolo Garimberti, “Un’anatra zoppa alla casa Bianca” (Repubblica). Lia Quartapelle, “Il discorso di Biden cambia il modo in cui guardiamo il mondo” (intervista a Linkiesta). Claudio Cerasa, “La teoria del vuoto afghano e l’Europa” (Foglio). Ezio Mauro, “Il dilemma della democrazia” (Repubblica). Pasquale Annicchino, “La caduta dell’Afghanistan è il trionfo di un Occidente che non ha ideali universali” (Domani). ESPORTARE LA DEMOCRAZIA? Enrico Letta, “La democrazia non si può esportare con la guerra” (intervista a Repubblica); e la replica (dura) di Giuliano Ferrara, “Esportare la democrazia non è mai stato un errore” (Foglio). Gianfranco Pasquino, “L’occupazione ha anche fatto emergere una società civile” (Domani). Enaiatollah Akbari, “Il mio paese sognava la vera democrazia” (La Stampa). Olivier Roy, “La resistenza dei giovani afghani ai mujaddhin sarà pacifica e culturale” (intervista a Il Fatto). Michael Walzer, “La guerra fu giusta. L’occupazione piena di errori e di ignoranza” (intervista al Corriere della sera). Nino Sergi (Intersos), “Alle radici del fallimento: inascoltata la società civile” (Avvenire). Gen. Vincenzo Camporini, “Questa guerra si poteva vincere. Washington si è mossa da sola. Ora l’Europa torni protagonista” (intervista al Messaggero). NUOVI SCENARI GEOPOLITICI: Danilo Taino, “C’è anche il rischio Pakistan” (Corriere della sera). Ugo Tramballi, “Il tramonto dell’impegno americano in Medio Oriente e la silenziosa avanzata cinese” (Sole 24 ore). Gianpiero Massolo, “L’Italia, l’Europa e la real politik” (Repubblica). Lucio Caracciolo, “America, Nato e altri disastri” (La Stampa). Renzo Guolo, “A chi parlano i talebani” (Repubblica). Emma Bonino, “Aveva detto ‘America is back’. Kabul è una tegola per Biden” (intervista al Riformista). Michele Marchi, “L’Occidente impreparato alle sfide del XXI secolo” (Il Quotidiano).
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L’AMORE CIVILE E POLITICO. LA SINODALITA’. IL POST PANDEMIA

16 Agosto 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.

Fabrizio Mandreoli, “Appunti e prospettive sull’amore civile e politico” (Settimana news). Gigi Maistrello, “Gli attori nella comunità del futuro” (Settimana news). Jesus Martinez Gordo, “L’infarto teologico della sinodalità” (Baptises.fr., trad. it. finesettimana.org). CREDENTI E POST-PANDEMIA: Mons. Erio Castellucci, “Prioritario non perdere il buono nato con l’emergenza” (intervista a Avvenire). Nando Pagnoncelli, “I credenti possono fare la differenza” (intervista a Avvenire). DOPO LA RISPOSTA DI FRANCESCO A M. MAGGIANI: Marco Menduni, “Il mondo degli scrittori si ribella: ha ragione papa Francesco, ora basta con i lavoratori-schiavi” (La Stampa). Carlo Petrini, “Il papa, il lavoro e gli sfruttati” (La Stampa). Mario Tronti, “Sono grato al santo padre: la sinistra si deve occupare di questi orizzonti cruciali” (intervista a La Stampa). INOLTRE: Andrea Grillo, “Il sacro è immutabile? Il presunto principio che R. Sarah ha imparato da J. Ratzinger” (come se non). Vescovi della Calabria, “La Calabria chiede una vita buona” (Settimana news). Marco Grieco,”Negando la DAD il Vaticano ha escluso le donne dalla formazione teologica” (Domani). Vincenzo Passerini, “Valori umani, non solo medaglie d’oro” (Itlodeo). Raniero La Valle, “Le risorse in campo” (chiesadeipoveri).
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Afghanistan, il fallimento della guerra
Giulio Marcon
Sbilanciamoci! 18 Agosto 2021 | Sezione: Editoriale, Politica
In questi giorni molti parlano del fallimento in Afghanistan. 20 anni in cui sono morti 170mila civili (a cui vanno aggiunti le migliaia di militari e combattenti uccisi) e sono stati spesi 5,4 mila miliardi di euro che, se utilizzati a fin di bene, avrebbero potuto debellare la povertà più estrema nel mondo.
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Che succede?

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ACCOGLIERE I RIFUGIATI AFGHANI. IL PIANETA TALEBANI. FINE VITA, VERSO IL REFERENDUM

18 Agosto 2021 su C3dem.
Paolo Gentiloni, “Accogliere i rifugiati o l’Europa rischia arrivi fuori controllo” (intervista al Messaggero). Barbara Fiammeri, “La crisi afghana riaccende lo scontro sui migranti” (Sole 24 ore). Stefano Feltri, “E adesso accogliamo tutti, è un obbligo morale” (Domani). Luigi Manconi, “Ma io vi prego, accogliamoli” (La Stampa). Mario Giro, “Una preghiera per chi muore lentamente nella storia” (Domani). Marco Impagliazzo, “Tre proposte per chi chiede protezione” (Avvenire). Uski Audino, “Merkel: ‘Vent’anni di sforzi senza successo. E ora l’Unione teme un’ondata di migranti” (La Stampa). Carmelo Caruso, “Draghi annuncia un asse con Merkel per l’Afghanistan” (Foglio). CHI SONO E CHE FARANNO I TALEBANI? Francesco Cremonesi, “Pianeta talebani. Chi sono e cosa vogliono” (Corriere della sera). Francesca Manenti, “Non sono più i talebani di 20 anni fa, ma il fondamentalismo resta lo stesso” (intervista a Avvenire). Micol Flammini, “La doppiezza talebana” Foglio). Mario Giro, “Nazionalisti ma non jihadisti. Come pensano i nuovi talebani” (Domani). Roberto Saviano, “Eroina, miliardi e geopolitica. I talebani sono i nuovi narcos” (Corriere della sera). FINE VITA: Francesca Schianchi, “Fine vita: 500mila firme, e adesso il referendum” (La Stampa). Francesco Ognibene, “Eutanasia, verso il referendum” (Avvenire). Marco Cappato, “Che svolta le 500mila firme di giovani e cattolici per l’eutanasia” (intervista a Repubblica). Federico Capurso, “Eutanasia, Vaticano in allarme” (La Stampa). Elisa Calessi, “Il Vaticano boccia l’eutanasia per legge” (Libero). Lucetta Scaraffia, “Non lasciamo solo chi chiede il fine vita” (La Stampa). MEETING DI RIMINI: Giorgio Vittadini, “Al Meeting di Rimini è di scena l’io collettivo” (intervista a Qn) e “Interpretare il lavoro come percorso: la sfida per il futuro” (Sole 24 ore). INOLTRE: Sabino Cassese, “Tutti i poteri del presidente” (Foglio). Franco Monaco, “L’anomalia di Berlusconi ha minato il possibile bipolarismo” (Il Fatto). Giorgia Serughetti, “Ammettere l’incertezza sui vaccini può ricomporre la sfiducia degli scettici” (Domani). Guido Maria Brera, “Globalizzazione, il ritardo è un vantaggio” (La Stampa).
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IL DISCORSO DI BIDEN CHE GELA L’EUROPA. LA DEMOCRAZIA NON E’ POSSIBILE IN AFGHANISTAN?

18 Agosto 2021 su C3dem
Francesco Semprini, “Biden difende la ritirata: non era compito nostro costruire una nazione” e “La politica estera Usa: il passo indietro di Biden” (La Stampa). Charles Kupchan, “Perché Biden ha scelto il ritiro” (Repubblica). Paolo Garimberti, “Un’anatra zoppa alla casa Bianca” (Repubblica). Lia Quartapelle, “Il discorso di Biden cambia il modo in cui guardiamo il mondo” (intervista a Linkiesta). Claudio Cerasa, “La teoria del vuoto afghano e l’Europa” (Foglio). Ezio Mauro, “Il dilemma della democrazia” (Repubblica). Pasquale Annicchino, “La caduta dell’Afghanistan è il trionfo di un Occidente che non ha ideali universali” (Domani). ESPORTARE LA DEMOCRAZIA? Enrico Letta, “La democrazia non si può esportare con la guerra” (intervista a Repubblica); e la replica (dura) di Giuliano Ferrara, “Esportare la democrazia non è mai stato un errore” (Foglio). Gianfranco Pasquino, “L’occupazione ha anche fatto emergere una società civile” (Domani). Enaiatollah Akbari, “Il mio paese sognava la vera democrazia” (La Stampa). Olivier Roy, “La resistenza dei giovani afghani ai mujaddhin sarà pacifica e culturale” (intervista a Il Fatto). Michael Walzer, “La guerra fu giusta. L’occupazione piena di errori e di ignoranza” (intervista al Corriere della sera). Nino Sergi (Intersos), “Alle radici del fallimento: inascoltata la società civile” (Avvenire). Gen. Vincenzo Camporini, “Questa guerra si poteva vincere. Washington si è mossa da sola. Ora l’Europa torni protagonista” (intervista al Messaggero). NUOVI SCENARI GEOPOLITICI: Danilo Taino, “C’è anche il rischio Pakistan” (Corriere della sera). Ugo Tramballi, “Il tramonto dell’impegno americano in Medio Oriente e la silenziosa avanzata cinese” (Sole 24 ore). Gianpiero Massolo, “L’Italia, l’Europa e la real politik” (Repubblica). Lucio Caracciolo, “America, Nato e altri disastri” (La Stampa). Renzo Guolo, “A chi parlano i talebani” (Repubblica). Emma Bonino, “Aveva detto ‘America is back’. Kabul è una tegola per Biden” (intervista al Riformista). Michele Marchi, “L’Occidente impreparato alle sfide del XXI secolo” (Il Quotidiano).
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L’AMORE CIVILE E POLITICO. LA SINODALITA’. IL POST PANDEMIA

16 Agosto 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.

Fabrizio Mandreoli, “Appunti e prospettive sull’amore civile e politico” (Settimana news). Gigi Maistrello, “Gli attori nella comunità del futuro” (Settimana news). Jesus Martinez Gordo, “L’infarto teologico della sinodalità” (Baptises.fr., trad. it. finesettimana.org). CREDENTI E POST-PANDEMIA: Mons. Erio Castellucci, “Prioritario non perdere il buono nato con l’emergenza” (intervista a Avvenire). Nando Pagnoncelli, “I credenti possono fare la differenza” (intervista a Avvenire). DOPO LA RISPOSTA DI FRANCESCO A M. MAGGIANI: Marco Menduni, “Il mondo degli scrittori si ribella: ha ragione papa Francesco, ora basta con i lavoratori-schiavi” (La Stampa). Carlo Petrini, “Il papa, il lavoro e gli sfruttati” (La Stampa). Mario Tronti, “Sono grato al santo padre: la sinistra si deve occupare di questi orizzonti cruciali” (intervista a La Stampa). INOLTRE: Andrea Grillo, “Il sacro è immutabile? Il presunto principio che R. Sarah ha imparato da J. Ratzinger” (come se non). Vescovi della Calabria, “La Calabria chiede una vita buona” (Settimana news). Marco Grieco,”Negando la DAD il Vaticano ha escluso le donne dalla formazione teologica” (Domani). Vincenzo Passerini, “Valori umani, non solo medaglie d’oro” (Itlodeo). Raniero La Valle, “Le risorse in campo” (chiesadeipoveri).
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Afghanistan, il fallimento della guerra
Giulio Marcon
Sbilanciamoci! 18 Agosto 2021 | Sezione: Editoriale, Politica
In questi giorni molti parlano del fallimento in Afghanistan. 20 anni in cui sono morti 170mila civili (a cui vanno aggiunti le migliaia di militari e combattenti uccisi) e sono stati spesi 5,4 mila miliardi di euro che, se utilizzati a fin di bene, avrebbero potuto debellare la povertà più estrema nel mondo.
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Omaggio a Gino Strada

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Un santo, laico.
di Gianfranco Fancello, su fb.
Per descrivere la grandezza di Gino Strada non servono grandi discorsi, ma sono sufficienti due parole: santo laico.
Perché non può che essere definito così chi, come lui, ha letteralmente salvato dalla morte migliaia di vite umane mettendo, ogni volta, a repentaglio la propria. Lo ha fatto sotto le bombe, in mezzo al mare, fra le mine antiuomo. Lo ha fatto perché, da ateo (quale si professava), aveva un altissimo concetto di sacralità dell’uomo che, in quanto tale, in quanto persona, in quanto essere vivente, doveva essere sempre protetto e tutelato, indipendentemente dal colore della pelle, dal credo religioso, dall’etnia, dalla condizione economica. Sempre protetto, accolto, difeso. Sempre. A costo, anche della vita, la propria.
Dove c’era bisogno di soccorso, lui c’era. Dove c’era bisogno di aiuto, lui c’era. Dove c’era bisogno di medici, di ospedali, di chirurghi, lui c’era. Un santo, appunto.
Mi sono spesso interrogato sul suo ateismo che, lo confesso, un po’ mi sorprendeva. In realtà l’ho sempre considerato (è così continuo a farlo) un ateismo militante: infatti ho sempre visto Gino Strada molto più vicino a Dio di tanti “falsi” credenti, che si dichiarano tali per convenienza, per abitudine, o, peggio ancora (e gli esempi non mancano) per spudorato interesse personale: questi in realtà, basano il proprio credo sull’egoismo, sull’arroganza, sulla centralità della persona, la propria. Esattamente il contrario di Gino Strada, che, da ateo, ci ha mostrato una strada (ops… ma guarda un po’…) di fratellanza, di solidarietà, di amore per il prossimo, per il diverso, per il debole, per il ferito, molto spirituale e di forte impronta morale.
Forse il suo ateismo era frutto delle sue tante vite, passate negli angoli sperduti del mondo, a curare le ferite di cristiani, mussulmani, induisti, buddisti, pagani, non credenti; con ognuno di loro entrava in empatia, ad ognuno di loro apriva il suo cuore, soprattutto per sanare le cicatrici dell’anima. Con ognuno di loro parlava lo stesso linguaggio, quello della pace, del rifiuto della guerra, della concordia, linguaggio trasversale fra le religioni e quindi universalmente valido. Ateismo quindi non come rifiuto, ma come somma di pluralità, come incapacità di scelta di un credo a scapito degli altri.
Cosa ci lascia in eredità? Tante cose: un’associazione umanitaria fra le più grandi al mondo, diversi ospedali localizzati in zone difficili e dì frontiera, tanti medici, infermieri ed operatori che si spendono in prima persona in condizioni di difficoltà e di disagio.
Ma soprattutto un grande insegnamento morale, quello della solidarietà a prescindere, di lotta alla discriminazione, di amore e fratellanza per il diverso. Tutti insegnamenti degni di un santo. Laico, ma sempre santo.
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Gino Strada, laico ma sempre santo. E titolare della “cattedra dei non credenti”.
lampadadialadmicromicro132Nel condividere le riflessioni di Gianfranco Fancello sulla figura di Gino Strada, per il quale propone l’attribuzione della qualità di “santo laico” scopro che nella sostanza poco differirebbe dalla qualità di “santo religioso” secondo quanto prevede la Chiesa cattolica, prescindendo per un momento da quanto differenzia i credenti dai non credenti. Leggo su Wikipedia alla voce “santo”:
“Per i cattolici, il santo è colui che pienamente risponde alla chiamata di Dio a essere così come Egli lo ha pensato e creato, frammento nel quotidiano del suo amore per l’umanità. La fede cattolica insegna che Dio ha per ogni persona un’idea particolare, e assegna a ognuno un posto preciso nella comunità dei credenti. Non esistono dunque caratteristiche univoche di santità, ma nella teologia cattolica, ognuno ha una santità particolare da scoprire e porre in atto. Santo, per la fede cattolica, può e deve essere chiunque, senza la necessità di particolari doni o capacità. (…) Il santo viene proposto come modello a tutti i fedeli e agli uomini di buona volontà non tanto per quanto ha fatto o detto, ma poiché si è messo in ascolto e a disposizione di Dio accettando, nella fede, che fosse Lui a dirigere attraverso l’opera dello Spirito Santo la sua vita. Per la Chiesa cattolica, dunque, a dover essere imitato è soprattutto l’atteggiamento di obbedienza a Dio e l’amore per il prossimo che ogni santo ha reso reale nei modi più diversi”. La vita di Gino Strada corrisponde proprio alla chiamata di Dio perché si ponesse a totale servizio dell’umanità (frammento nel quotidiano del suo amore per l’umanità), come davvero ha fatto. Certo Gino non credeva che questa sua missione provenisse da una chiamata divina. Ma, all’atto pratico, che ci importa? Avessimo tanti Gino Strada credenti o non credenti, o diversamente credenti!
Un’altra riflessione. Per connessione pensando a Gino Strada mi è venuta in mente l’esperienza della “Cattedra dei non credenti” inventata e praticata dal card. Carlo Maria Martini negli anni 1987-2002 durante il suo episcopato nella Diocesi di Milano, che sarebbe bene riproporre, aggiornata in metodi e contenuti ma mantenendo motivazioni e impostazione (ne riparleremo). Si trattava di una proposta insolita “non solo ascoltare i non credenti o dialogare con loro, ma metterli ‘in cattedra’, per farsi interrogare da loro e dalla dinamica generata dal confronto”. Di questa cattedra sicuramente Gino ne sarebbe stato uno dei degni titolari. E nel tempo che verrà, se come auspichiamo l’iniziativa verrà riproposta, lo sarà, attraverso le testimonianze che ci ha lasciato (scritti, video) e con la presenza dei suoi continuatori della missione di Emergency.
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Riportiamo di seguito l’intervista che Gino Strada rilasciò nel 2019 al Corriere della Sera, che ci sembra utile segnalare, soprattutto in alcuni passaggi, anche in relazione alle riflessioni che precedono di Gianfranco Fancello e Franco Meloni.
Gino Strada: intervista al Corriere [2019]

Venerdì 13 agosto, è scomparso Gino Strada. Aveva 73 anni. Medico, filantropo, attivista, nel 1994, insieme alla moglie Teresa Sarti, Strada ha fondato la ong umanitaria Emergency. Riproponiamo qui l’intervista che ha concesso al Corriere nel 2019, in occasione del 25esimo anniversario della fondazione di Emergency.

Emergency fa 25 anni. Che cosa si regala?
«Un ospedale in Uganda, disegnato gratis da Renzo Piano. Costruito con terra di scavo. Poi andremo a farne uno in Yemen».

Altro bel posto complicato…
«Il peggio è la Somalia. Ci ho provato per dieci anni: con gli Shabaab non si parla. Idem in Cecenia, rien à faire. Tirano su il muro. A un certo punto, devi rassegnarti».

Ma come fa, Gino Strada, a entrare in questi posti?
«Non ho ricette. In Sudan, ci chiese d’intervenire il governo. In Iraq, andammo alla ventura con tre macchine da Milano. Prima di partire si parla con tutte le parti: guardate che non c’entriamo con la vostra guerra… Mai avuto un morto, facendo le corna. Ma la gestione della sicurezza dev’essere precisa».

Come fu la prima riunione, nel 1994?
«A casa mia a Milano, fino a ore tarde. Carlo Garbagnati, una ventina d’amici, non tanti medici (erano scettici). E la mia adorata Teresa, che sarebbe diventata insostituibile. Ci fu una cena al Tempio d’Oro, in viale Monza. Raccogliemmo 12 milioni di lire, ma volevamo cominciare dal genocidio in Ruanda e non bastavano. Ne servivano 250. Io dissi: beh, ragazzi, firmiamo 10 milioni di cambiali a testa… Per fortuna venni invitato da Costanzo e, puf, la tv è questa cosa qui: in un paio di mesi, arrivarono 850 milioni. Gente che mi suonava al campanello di casa, ricordo una busta con dentro duemila lire spillate».

È vero che litigò con la Croce rossa?
«Quella italiana non esiste. Ma della Croce rossa di Ginevra ho gran stima. Avevo girato per loro, dall’Etiopia al Perù. Solo che a un certo punto s’erano disimpegnati dalla chirurgia di guerra. Che è difficile, costosa, rischiosa».

E il nome?
«Lo scelsi io. Era l’aggettivo all’inizio d’Emergency-Life Support for Civilian War Victims. Troppo lungo: l’aggettivo diventò sostantivo».

Settantanove progetti in sette Paesi, 120 dipendenti, 9 milioni di persone curate. Questa nuova sede vicino a Sant’Eustorgio…
«È la chiesa più antica di Milano, sa che non ho ancora avuto il tempo di visitarla? Nessuno pensava a dimensioni simili. Anni lunghi, faticosi. Siamo cresciuti con la solidarietà della gente. Anche ora che le Ong sono criminalizzate. Quel procuratore di Catania, Zuccaro, ci ha provato e non è uscito niente. Quando ammetterà che era tutta una balla?».

Volevano la tassa sulla bontà per colpire chi s’arricchisce…
«Anche noi avevamo una nave per salvare i migranti, ma costava troppo: 150mila euro al mese. È verosimile che certi meccanismi lascino spazio a comportamenti illegali. Ma non cambi la tassazione delle Ong solo perché tre sono poco chiare: indaghi su quelle tre!».

Vi sentite danneggiati?
«Han creato sfiducia nella gente. Dal 2011 abbiamo raddoppiato il budget, ma i progetti sono tanti. Un ospedale è un debito continuo, ogni anno i ricoveri aumentano del 30%. In Afghanistan, il sistema sanitario siamo noi».

Un caso che non dimentica?
«Un ragazzino, Soran, operato in Iraq. Aveva una gamba amputata da una mina. Qualche anno fa è venuto a trovarmi. Fa l’avvocato».

Il giorno più duro?
«Quando rapirono i nostri in Afghanistan e in Sudan. Anche nel caso Mastrogiacomo rischiai. Mi chiedevo: ha senso mediare? Sì, perché c’era un uomo che rischiava più di me».

Ha lavorato con Christiaan Barnard…
«Elegantissimo, con la sua Mercedes, ma ormai operava poco per l’artrosi alle mani. I miei modelli furono Staudacher e Parenzan».

E la chirurgia di guerra chi gliela insegnò?
«Era un’attività di nicchia. La faceva la Croce rossa. E i militari, che però erano proprio un altro mondo. Nel ’91, guerra del Golfo, i militari chiesero a Ginevra d’andare in Bahrein. Avevano allestito un ospedale da 5mila posti letto. Vuoto. Mandammo 101 chirurghi inglesi. Ma fecero un solo intervento: a un mignolo».

Il mondo umanitario a volte è pura rivalità. In Sierra Leone, i medici olandesi e francesi di Msf nemmeno si parlavano…
«C’è anche molto dilettantismo, favorito dai grandi donatori. In Kurdistan, vidi un palazzo per la posta aerea pagato dall’Ue. Gli aeroplanini dipinti, la scritta Air Mail. Inutile, costava un’enormità. Lo usavano come hotel».

Libia, Palestina… Perché state alla larga?
«I libici sono tosti, chiudemmo perché non arrivavano feriti di guerra, solo delinquenti locali. E ci pigliavano a sassate. Coi palestinesi ci ho provato, un ospedale a Ramallah. Andai dal ministro. Mi disse: “Ma voi avete 5 milioni da spendere? Sa, un posto letto vale 100mila dollari”. Arrivederci… Ho sempre pensato che una parte d’aiuti alla Palestina finisca altrove».

Paesi nel cuore?
«L’Afghanistan. E il Sudan: non ci credeva nessuno che si potesse fare cardiochirurgia in uno Stato canaglia. C’era una rivista di sinistra, Aprile, con un solone della Cooperazione che mi spiegava di che cosa c’era davvero bisogno in Sudan… Perché? Gli africani non hanno bisogno d’essere operati al cuore? La salute non è solo un diritto degli europei. Qui hai la tac e la risonanza magnetica, lì due aspirine e vai? L’eguaglianza dev’essere nei contenuti, non solo nelle idee».

Trattate col dittatore Bashir…
«Se un regime è oppressivo, la gente sta male. E noi ci andiamo. Quelli che noi chiamiamo dittatori, in Africa sono presidenti. E loro come dovrebbero chiamare i nostri “presidenti” Orbàn o Erdogan?».

Quando pecunia olet?
«Quando arriva dal crimine. E chi dona, pretende di decidere chi devi operare e chi no».

Le amicizie d’una vita?
«De André, Eco, Chomsky. Adesso, Renzo Piano. Quando morì Teresa, mi scrisse una lettera splendida. Gli telefonai a Parigi per ringraziarlo. Ci siamo chiamati per quattro anni senza vederci. Amicissimi, ma non sapevo nemmeno che faccia avesse».

Dio?
«Non ne sento alcun bisogno. Penso che il significato delle cose stia nelle cose stesse, non al di fuori o al di sopra. Questo non m’ha precluso l’amicizia con don Gallo, Alex Zanotelli, don Ciotti, a parte qualche bestemmia che ogni tanto mi scappava. Mi piacerebbe incontrare Papa Bergoglio, parlare dell’abolizione della guerra. Una volta era un tema, oggi è dimenticato».

Dicono che lei sia un pacifista utopista…
«Utopista va bene: secoli fa, era utopia abolire la schiavitù. Pacifista, no: lo sono anche i parlamentari che poi votano per le guerre».

Sergio Romano scrisse: Emergency fa del bene, ma non è neutrale.
«Nessuno può essere neutrale. Non puoi esserlo, su un treno in corsa. Come fai a esserlo in Iraq? Però non siamo neanche di sinistra: scegliamo la vita, la giustizia, l’uguaglianza».

Aveva simpatie per Ingroia, per Tsipras…
«Quelle sono cose che ti appiccicano addosso. Certo, trovo Prodi una persona ragionevole, anche se polemizzammo sull’Afghanistan (credo che oggi saremmo più in sintonia). E trovo Salvini razzista. Io poi sono di Sesto San Giovanni e ieri ho firmato una petizione perché apre Casa Pound. Quest’idea imbecille d’una società violenta e rancorosa, che ti spinge a trovare chi sta peggio di te e a dargli la colpa dei tuoi guai. Mai uno di loro che punti il dito su quelli che stanno meglio, eh?».

In Italia, avete 13 progetti.
«Un’Italia sconosciuta. Castel Volturno, Polistena, questi bei posticini. Povertà, degrado, schiavismo, situazioni che non ho mai visto neanche in Sudan. Quando abbiamo aperto a Marghera, pensavamo d’essere nel ricco Nord Est e d’avere solo stranieri. Invece il primo paziente fu uno di Mestre, un bell’uomo. Era stato un campione italiano alle Olimpiadi. Ma poi aveva perso il lavoro e i denti, mangiava male. E non poteva pagarsi una protesi».

Se i grillini l’avessero candidata al Quirinale, come volevano, sarebbe diventato il capo delle Forze armate. Che cosa avrebbe fatto?
«Ritiro dalle missioni all’estero. Smantellamento degli arsenali stranieri in Italia. Riduzione degli armamenti. Ma era una boutade, non ci ho pensato neanche un momento».

L’hanno candidata al Nobel per la pace…
«Accade ogni anno. Ci sono delle regole, il candidato non sa mai chi lo candida. Accettarlo? Mah, l’hanno talmente svilito: Obama l’ebbe per un semplice discorso, Kissinger con tutti i golpe che ha organizzato, l’Ue che tira su muri e nei Balcani fece una guerra tra le più sanguinose del secolo…».

Sua figlia Cecilia tornerà in Emergency?
«Non lo so. Non discutiamo più delle vicende che l’hanno spinta ad andarsene. Ma abbiamo ancora un buon rapporto».

Che padre è stato? Cecilia raccontò una volta che all’asilo le mandava le cartoline dal mondo, da adolescente lei le vietava la discoteca, da adulta ha imparato la sua ironia…
«L’ironia e la discoteca, è vero. Ma non le mandavo solo cartoline dal mondo. C’inventavamo giochi, letture. All’asilo, sono andato anche a fare il buffone».

Si sente stanco?
«Purtroppo ho 70 anni e sono afflitto da una malattia inguaribile, la vecchiaia. Non so come faccia Renzo Piano, 12 ore d’aereo e subito altre otto in cantiere. Forse la vita del chirurgo è molto usurante e ha ragione Woody Allen: non conta l’età, conta il chilometraggio. In alcuni posti ho lasciato la salute. L’anno in Sierra Leone è stato devastante, perché ebola non è diverso dalla guerra: il nemico non lo vedi, ma ogni passo che fai potrebbe essere l’ultimo».

Hanno dato il suo nome a un asteroide, il 248908 Gino Strada…
«Una volta ho fatto i conti sulla superficie: potrebbe venirci fuori un bilocale. Un buon rifugio per il weekend. Però è a otto milioni di anni luce, un po’ lunga: ho ancora troppo da fare, qui».

Gino Strada

8927ef11-8367-4eab-857e-13ae8f9e24cf«Frequento luoghi di guerra»
13-08-2021 – di: Gino Strada
Su Volerelaluna

È morto Gino Strada, medico, fondatore di Emergency, da sempre impegnato, in Italia e nel mondo, sui temi dei diritti, della salute, dell’accoglienza e contro ogni guerra e uso delle armi. Molti anni fa gli chiesi un contributo per l’agenda di Magistratura democratica del 2006, dedicata al tema della legalità. Mi mandò uno scritto molto intenso per spiegare la sua difficoltà a parlare di diritto e di diritti in un contesto di conflitti e di guerre. La situazione, da allora, non è mutata, e credo che ripubblicare oggi le sue parole sia il modo migliore non solo per ricordarlo ma anche per tener dritta la barra contro chi ogni giorno parla di legalità e di diritti e, contemporaneamente, promuove guerre e discriminazione (l.p.)
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Frequento luoghi di guerra, e parlare di diritto in contesti di guerra mi pare, sinceramente, un ossimoro.

Non l’ho pensato da sempre. Appartiene alla mia preistoria una non breve stagione di collaborazioni con il Comitato Internazionale della Croce Rossa e per dovere d’ufficio, non foss’altro, mi sono trovato in qualche contiguità – non dirò confidenza – con le Convenzioni di Ginevra, con il «diritto umanitario». Seguo anche – con minor coinvolgimento, confesso – il gioco del calcio. E mi sono fatto l’idea che il rispetto delle regole non avvenga per qualche slancio di civiltà, sia pure una «civiltà del gioco». Il calciatore rispetta regolamenti e arbitri per la ragione che dopo questa partita ne seguirà un’altra; che fuori dal campo ci sono altri scopi e fini (anche molto materiali) desiderabili, che violando le regole si metterebbero a rischio. Ecco, questo mi pare d’aver capito: che la guerra mette in gioco tutto; talmente tutto che in gioco sono la vita e la morte; talmente tutto da non consentire nessuna certezza sulla disponibilità di un «dopo-partita» e di un «fuori campo».

Vengono meno, così, in guerra, gli spazi e i tempi nei quali trova ragione e fondamento il rispetto delle regole. E un comportamento basato esclusivamente sulla dedizione alla lealtà verso un valore, non sono cinico abbastanza da escluderlo a priori. Potrà darsene il caso, e ne avremmo qualche figura esemplare sotto il profilo estetico e morale. Se m’interrogo con sincerità, tuttavia, non riesco a pensare che quella totale, gratuita, disinteressata dedizione ai valori possa costituire l’universalità dei casi, una motivazione diffusa e generalizzata di comportamenti diffusi e generalizzati. Un domani, un «oltre» in guerra non ha nessuna certezza, nessuna solidità. Non ha perciò un ragionevole fondamento l’aspettativa di un sistematico rispetto delle regole. Temo che le vecchie, care Convenzioni di Ginevra possano essere, al più, un fondamento della punizione: una punizione iniqua se destinata, com’è spesso e prevedibilmente, a raggiungere soltanto gli sconfitti. Temo che l’efficacia di queste norme nel regolare – diciamo almeno nel moderare ‒ i comportamenti sia più nulla che scarsa.

Ho pensato un tempo che chi è certo della vittoria è anche certo di avere a disposizione quel «poi» e quell’«altrove» cui mi sono riferito. Ho dunque immaginato qualche corrispondenza ai fatti della colpevolezza sistematicamente riscontrata nei soccombenti, essi soli, nelle guerre degli ultimi decenni, privi della prospettiva di un «oltre» che fornisca un motivo al rispetto delle regole. Essi soli, dunque, portati all’infrazione. Ho tentato, insomma, di chiedermi se non ci fosse qualche frammento di verità nel riscontrare colpe soprattutto nei soccombenti. Ho abbandonato questa lettura dei fatti, che a suo modo aspirava ad essere comprensiva, se non generosa, verso i «trionfanti», che d’istinto non amo. Guantanamo e Abu Ghraib sono il nome di questo abbandono. Anche i vincitori certi a priori infrangono le regole. Dall’essere vincitori certi a priori traggono motivo, pare, per rivendicare la facoltà di infrangerle.

Ho chiacchierato – potrebbe mancare il latino? – solamente di ius in bello. Il resto – lo ius ad bellum ‒ no, è davvero troppo. Certo per la mia incompetenza. Ma non solo. Avete mai provato a chiudere gli occhi – se gli occhi fanno parte di quel che ne resta – a un bambino, a una donna, a un vecchio… a qualcuno distrutto da un’esplosione? Per me «la guerra» è questo. E il «diritto a far guerra» si traduce, senza ipocrite omissioni, nel diritto a produrre questi effetti che mille volte ho conosciuto. Questi ricordi non possono convivere con le distinzioni tra «guerra giusta», «guerra legittima», guerra non so che altro.

Non riesco a seguire e capire parole che per me sistematicamente, univocamente significano corpi distrutti, esseri umani cancellati, esistenze che potrebbero essermi contemporanee e sono invece passate. Il mio mestiere mi fa conoscere anche la sofferenza e la morte: sono frequentazioni inevitabili. Ma possono avere dentro di sé ‒ la sofferenza e la morte ‒ qualche umana intensità, forse anche qualche “dolcezza”, quando sono accompagnate da uno sgomento e da un sentimento di sconfitta che accomuna chi resta, che riguarda l’umanità tutta, la percezione di una condivisa, tragica «fatica di vivere». Ma in guerra un corpo inerte, un soggetto diventato «cosa» non è una riprova dolorosa della condizione umana: è l’equivalente di un trofeo, il successo raggiunto nell’applicazione di un «diritto internazionale»…

Non so bene che cosa sia questo diritto, sono però certo che mi è estraneo, che mi rifiuto di capirlo. Se si tratta di ciò che a me pare, spero che i miei simili tutti lo trovino, come me, ripugnante.
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— Su Avvenire.
Right Livelihood Award”. Gino Strada: aboliamo insieme la guerra
Gino Strada martedì 1 dicembre 2015
Gino Strada: aboliamo insieme la guerra
L’articolo di questa pagina, affidato in esclusiva ad “Avvenire” nella sua versione integrale, è il discorso pronunciato ieri dal fondatore di “Emergency”, Gino Strada, ricevendo al Parlamento svedese il “Right Livelihood Award”, considerato il premio per la pace alternativo al Nobel. Il premio è stato conferito a Strada, 67 anni, chirurgo, nato a Sesto San Giovanni, «per la sua grande umanità e la sua capacità di offrire assistenza medica e chirurgica di eccellenza alle vittime della guerra e dell’ingiustizia, continuando a denunciare senza paura le cause della guerra». Il “Rla” mira a «onorare e sostenere coloro che offrono risposte pratiche ed esemplari alle maggiori sfide del nostro tempo», ed è la prima volta che viene dato a un italiano. Emergency è un’associazione fondata nel 1994 per offrire cure medico-chirurgiche gratuite e di qualità alle vittime di guerre, mine antiuomo e povertà. Dalla sua nascita ha curato oltre 6 milioni di persone in 16 Paesi.
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Che succede?
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FINE VITA. NO VAX. MAGGIANI E PAPA FRANCESCO. CRISTIANESIMO. IUS SOLI. REDDITO DI CITTADINANZA. MEDITERRANEO…
12 Agosto 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.

Roberto Speranza, “Caro Mario, sostengo la tua battaglia. Le Asl garantiscano il suicidio assistito” (La Stampa). Mauro Magatti, “Serve un salto oltre le piccole logiche” (Avvenire). Paolo Pombeni, “Le lungaggini che rischiano di farci perdere il treno Ue” (Messaggero). Monica Guerzoni, “La partita del Quirinale e il fattore Recovery” (Corriere della sera). Piero Bevilacqua, “Senza l’economia agricola l’Italia va in fumo” (Manifesto). Antonio Preiti, “La guerra asimmetrica con i no vax” (Corriere). Claudio Cerasa, “La buona stella d’Europa” (Foglio). Stefano Ceccanti, “Anniversario con profezia (Zaccagnini e il Muro di Berlino)” (blog). Luca Diotallevi, “Il cristianesimo che cambia nella società occidentale” (Messaggero). Tommaso Montanari, “La Madonna prima marxista ante litteram” (Il Fatto). MAGGIANI E PAPA FRANCESCO: Maurizio Maggiani, “La bellezza e le catene possono stare insieme?” (Secolo XIX). Il papa risponde allo scrittore: Francesco, “No al lavoro schiavo, la cultura non si pieghi al dio mercato” (La Stampa). PD: Valerio Valentini, “Agora, e poi? Il cammino del Pd” (Foglio). Stefano Folli, “Bettini, la giustizia e il segnale al Pd” (Repubblica). AMBIENTE: Ursula von der Leyen, “Faremo dell’Europa il primo continente a emissioni zero” (intervista a Avvenire). Franco Prodi, “Contro il catastrofismo dell’Onu” (intervista al Foglio). IUS SOLI: Giovanni Moro, “Quei figli del paese multicolore” (Repubblica). Fabio Martini, “Letta: Salvini offende il paese. Lo ius soli è una legge urgente” (La Stampa). Elena Bonetti, “Una legge è possibile anche in questo parlamento. E il premier può mediare” (intervista a Repubblica). Nicola Molteni (Lega, sottosegretario agli Interni), “Iter più veloce per i 18enni, ma la legge attuale non va cambiata” (intervista al Corriere). MIGRANTI E MEDITERRANEO: Matteo Salvini, “Sbarchi, pochi rimpatri e tante vittime. Ecco perché Lamorgese ha fallito” (intervista a La Stampa). Renato Mannheimer, “L’azzardo di Salvini è un rischio calcolato” (Il Riformista). Ilario Lombardo, “Migranti. Draghi vuole una cabina di regia e blinda Lamorgese” (La Stampa). Michela Murgia, “Governo in fuga dal Mediterraneo” (La Stampa). Marco Minniti, “Mediterraneo. Ci sono mutamenti epocali. L’Europa deve agire subito” (intervista a La Stampa). Francesco Viviano, “L’unico modo di fermare i migranti è dare all’Africa pane e libertà” (Manifesto). REDDITO DI CITTADINANZA: Enzo Marro, “Reddito di cittadinanza: il 36% va a famiglie sopra la soglia di povertà” (Corriere della sera). Il Rapporto della Caritas italiana, “Lotta alla povertà. Imparare dall’esperienza, migliorare le risposte”. Carlo Borgomeo, “Il nuovo reddito con più buonsenso” (Mattino). Veronica De Romanis, “Posti non sussidi per una vera ripresa” (La Stampa). Mario Giro, “Alla politica i poveri danno molto fastidio” (Domani).

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Oggi venerdì 13 agosto 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
La globalizzazione accresce o riduce la povertà?
13 Agosto 2021
21 Aprile 2012
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.

Per molti la globalizzazione rappresenterebbe quanto di più negativo può essere ricondotto agli animal spirit che dominano il mercato; soprattutto quando questo è abbandonato allo spontaneismo dell’azione dei suoi principali attori. Secondo i “demonizzatori” della globalizzazione, l’internazionalizzazione delle economie nazionali avrebbe abbattuto le originarie “pareti” dell’organizzazione statuale […]
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Elezioni e coalizioni. I conti senza l’oste
13 Agosto 2021
Tonino Dessì su Democraziaoggi
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Come riflessione politica agostana magari è troppo impegnativa e comprendo che ai più, in spiaggia o in villeggiatura montana o collinare, gliene freghi poco.
Tuttavia inevitabilmente leggo di quanto ferve in ambienti politici nazionali e regionali e delle elucubrazioni varie sulle prossime coalizioni elettorali italiane e sarde.
Per carità, io ammetto che […]
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Sinodo e cammini sinodali

sinodo-pcc-01Sinodo, lavoro, ambiente: quale Chiesa?
10 AGOSTO 2021 di Silvio Minnetti su Città nuova.
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Che succede?

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I “NUOVI” CINQUESTELLE. LA GIUSTIZIA. LA POVERTA’. I PROFUGHI. IL SUD E L’EST
7 Agosto 2021 su C3dem.
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VARIANTE DELTA. LIBERTA’ E OBBLIGHI. GLI AZZURRI. IL CAMMINO DEL GOVERNO
7 Agosto 2021 su C3dem.
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Riflessioni e recensioni su “Abitare la terra” e “Pachamama”.

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Il sogno di Leonardo e Francesco: “Abitare la terra”
Riflessioni e recensioni su “Abitare la terra” e “Pachamama” (in lingua quechua “Madre Terra”)
6 Agosto 2021 by c3dem_admin | su C3dem.
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La visione del mondo come fraternità universale è al centro del piccolo libro, curato e introdotto da Pier Luigi Mele, che raccoglie tre scritti di Leonardo Boff. Ne emerge la profonda affinità tra il teologo brasiliano, già frate francescano, e papa Bergoglio che all’esempio di Francesco d’Assisi ha deciso di dedicare il suo pontificato, a cominciare dal nome prescelto per guidare in questi anni la chiesa. Fraternità universale che è cammino di liberazione

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Pierluigi Mele, apprezzato giornalista di Rai News 24, ha recentemente curato un utile libretto che raccoglie tre preziosi interventi del teologo brasiliano Leonardo Boff, noto come uno dei padri della teologia della liberazione, ma anche uno degli autori più apprezzati da Papa Francesco.
Il volume, edito da Castelvecchi, si intitola: Abitare la terra. Quale via per la fraternità universale?
Il testo si apre, dopo l’affettuosa dedica dell’ex frate francescano al curatore, con un’introduzione di Pier Luigi Mele che mette subito in relazione le due figure di Boff e di papa Bergoglio, definiti “due fratelli universali”.
Mele parte da un evento che rimarrà per sempre nella storia e nella memoria collettiva: papa Francesco che, il 27 marzo 2020, sotto una pioggia scrosciante, prega da solo in una Piazza San Pietro deserta, durante l’esplodere della prima ondata della pandemia Covid-19. Una solitudine potentissima, ponte verso una moltitudine smarrita e impaurita e, allo stesso tempo, come scrive il giornalista di RaiNews, “assetata di vicinanza e di fiducia”. Il Papa che – ha scritto un vaticanista – “conosce l’odore della vita” non si limita a un “grido di preghiera”, ma, in un momento difficilissimo della storia del mondo globalizzato, invita l’umanità a una profonda “conversione”, a un cambiamento radicale di mentalità.
Il libro, anche nei testi di Boff (tradotti dal sindacalista-pacifista Gianni Alioti), non rinuncia a un dialogo serrato tra paura e speranza, quest’ultima intesa come fattore energetico, mobilitante; come entusiasmo fattivo, scriverebbe il filosofo tedesco Ernst Bloch, nell’attesa fervente dell’adempimento.
Il legame tra Francesco e Leonardo Boff, afferma Pierluigi Mele, sta proprio nel loro collocarsi nella corrente del dinamismo della storia umana, nella “corrente calda” della profezia che pone il pensiero vissuto come ideale storico concreto, inevitabilmente connesso ad una lotta di liberazione.
Ma di quale liberazione stiamo parlando?
L’orizzonte di papa Francesco e di Leonardo Boff è quello di una scelta tra una cosmologia della dominazione, della conquista, del potere, e una cosmologia della cura e della relazione. Sta qui il passaggio fondamentale tra l’enciclica Laudato si’ e l’enciclica
Fratelli tutti, firmata ad Assisi e trasmessa all’umanità proprio nel tempo della pandemia.
La visione del mondo come fraternità universale, l’ecologia integrale di cui si nutre è non solo il sogno di Francesco di Buenos Aires e di Leonardo di Concordia, è un cammino sulla scia di Francesco d’Assisi. Neoliberismo e capitalismo sono, infatti, il contrario della cosmologia della cura, così come l’emergenza Coronavirus appare come un contrattacco e un avvertimento della Terra di fronte allo sfruttamento vorace delle risorse finite del Pianeta.
Il messaggio del libro non si ferma, però, alla denuncia dello stato delle cose. L’opportunità che si apre oggi – ci dicono Papa Francesco e Boff – non può essere sprecata perché, come ha scritto il sociologo polacco Zygmunt Bauman, è finito il “secolo degli spettatori”.
Si tratta quindi di agire e di fare presto, senza farsi ingannare dal maquillage, dal grande trucco del Green Wash di un capitalismo truccato, fintamente “verde”.
Se la globalizzazione, come scrive Francesco nell’enciclica Fratelli tutti, “ci ha resi più vicini, ma non più fratelli”, la risposta, la speranza, si sviluppa attraverso il ruolo liberatorio e coscientizzante della fraternità nella sua realizzazione pubblica. Una fraternità evangelica, capace di diventare, scrive ancora Mele nell’introduzione, “amore politico” e per la quale anche il dialogo interreligioso può fare molto.
Senza costruire alibi per gli Stati e i potenti della Terra, l’attenzione di Boff e di papa Francesco non può non rivolgersi soprattutto alle comunità locali (ecclesiali e non), ad un protagonismo dal basso che è condizione necessaria proprio per andare oltre “il secolo degli spettatori”. Un protagonismo che si nutre, certamente, di una profonda, inclusiva spiritualità e di esempi che ci parlano attraverso il linguaggio della profezia, ma anche dell’impegno concreto.
È così che Francesco e Leonardo, sulla scia del santo universale di Assisi, incontrano nelle pagine curate da Mele, tra gli altri, Charles de Foucauld, il grande islamista francese Luis Massignon, il “sindaco santo” Giorgio La Pira, la dimensione planetaria di padre Ernesto Balducci, un testo fondamentale anche se in parte ingiustamente dimenticato come la “Carta della Terra” (anno 2000), il naturalista francese Theodore Monod, il poeta brasiliano Vinicius De Moraes, Gandhi, lo psicologo Carl Gustav Jung, Marthin Luther King, Desmond Tutu, l’imam Al Azhar Al Tayyeb, e, infine, uno dei più grandi conoscitori di Francesco d’Assisi: Eloi Le Clerc, sopravvissuto all’inferno dei campi di sterminio nazisti di Buchenwald e Dachau.
In mezzo all’agonia il testo ci ricorda, citando il Cantico delle Creature, ma anche la tentazione di San Francesco tra carisma e potere, che una presenza diversa nel mondo, una fraternità umana sono possibili.
“Abitare la terra” è, lo scopriranno meglio i lettori, un libro sui sogni. Sogni che non rappresentano esercizi ascetici o “notturni”, ma che vengono immaginati e perseguiti nella consapevolezza di essere accanto e non sopra a tutti gli esseri della natura, formando, insieme, come ci ha ribadito anche la pandemia, una comunità di destino.
Un sogno-scommessa, insomma, quello di papa Francesco e Leonardo Boff, che solo se verrà percorso sino in fondo, e insieme, potrà salvarci da una minaccia terribile.
Un sogno che ci rinfranca, proprio come il salmo che Boff pone alla fine del volume e che dovremmo recitare insieme, forse ogni giorno: “Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me”.

Francesco Lauria

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Leonardo Boff, Abitare la terra. Quale via per la fraternità universale?, Castelvecchi, Roma, 2021 (a cura di Pierluigi Mele).
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“Abitare la terra”. Quale via per la fraternità universale?
Riccardo Cristiano
20 Luglio 2021 su Articolo 21.
L’epoca della pandemia seguita a porci sfida ormai esistenziali e un grande teologo, dall’America Latina ci avverte: “Di fronte a questo drammatico scenario in cui è in ballo il destino comune della Terra e dell’umanità sono stati prodotti tre documenti seminali: la Carta della Terra (2003), nata da un’ampia consultazione e approvata dall’UNESCO, e le encicliche di Papa Francesco Laudato si’. Enciclica sulla cura della Casa Comune (2015) e Fratelli tutti (2020). Tutti questi testi, coscienti della grave situazione del pianeta e della vita su di esso, propongono alternative paradigmatiche, capaci di proiettarci verso un percorso diverso e salvifico. Come mai prima d’ora nella storia siamo obbligati a prenderci carico della nostra sopravvivenza e decidere se vogliamo prolungarla o se porvi drammaticamente fine”.
La storia della teologia della liberazione non può prescindere dalla storia dei cristiani marxisti, che Papa Francesco ha ricordato magnificamente dicendo di loro che pensavo di essere gli ultimi cristiani e invece erano gli ultimi marxisti. Ma la storia della teologia della liberazione non prescindere neanche dalla domanda se esista una teologia che non è di liberazione. Purtroppo abbiamo viste molte teologie smarrire questa necessità di liberazione dell’uomo. Per questo uno dei più grandi teologi viventi, Leonardo Boff, padre della teologia della liberazione, si è compromesso per tutta la sua con i poveri: “si è compromesso, secondo il paradigma centrale della teologia della liberazione, con i poveri e gli ultimi”. Eppure i teocon hanno diffuso un cattocapitalismo che legittima non solo il liberismo economico, ma anche il privilegiare i ricchi, perché così si creerebbe una ricaduta di benessere sui poveri. La fermezza della presa di distanza di Papa Francesco da queste visioni è divenuta esplicita con le sue ultime due encicliche, Laudato si’ e Fratelli tutti, citate da Boff come due dei tre documenti che ci indicano la strada della liberazione dalle secche in cui ci troviamo. In particolare a queste due encicliche e soprattutto a Fratelli tutti è dedicato il nuovo volume, pubblicato in Italia da Castelvecchi, di Leonardo Boff, “Abitare la terra”, aperta da una bellissima dedica al collega di Rainews Pierluigi Mele che ne ha scritto la prefazione.
Mele presenta con sintesi e visione il lavoro di Boff, indicandoci da subito il legame tra l’autore e i citati testi di Francesco, in una importante citazione del grande teologo brasiliano: “Ora l’ecologia integrale e la teologia della liberazione hanno qualcosa in comune: entrambe partono da un grido. L’ecologia nasce dal grido degli esseri viventi, delle foreste, delle acque […] specialmente dal grido della Terra. […] E all’interno della categoria dei poveri deve essere incluso il Grande Povero che è la Terra, nostra Madre, la Terra torturata e crocifissa che dobbiamo far scendere dalla croce”. E’ vero, tanto che Mele può concludere così la sua prefazione: “Per questa loro capacità di ascolto dei poveri e degli ultimi, Papa Francesco e Leonardo Boff sono diventati fratelli di tutti, fratelli universali”. Non è la tesi di un “bergoglista”, tanto è vero che l’umanista planetario Edgar Morin, compiendo un un secolo di vita, ha detto: “Rendo omaggio a Papa Francesco, perché è il solo ad avere la coscienza di tutta l’umanità. Serve un cambio di rotta al mondo”. Che questo cambio di rotta serva lo percepiamo tutti, ma è Francesco che sa esprimerlo con la forza della sua visione radicalmente evangelica e quindi la sua piena accettazione dell’altro. La digressione è fratelli tutti, mentre l’economia attuale o ci rende con il consumismo “clienti tutti” o ci fa con la finanza soci tutti, ma mai ci fa fratelli. Il racconto evangelico del buon samaritano è un po’ la bussola narrativa di questo rieorientamento nell’enciclica di Francesco. Scrive al riguardo Leonardo Boff: “Attraverso i personaggi che popolano la parabola del buon samaritano, Papa Francesco sferza un ulteriore attacco all’economia politica che si traduce in una domanda cruda, diretta e determinante: “Con chi ti identifichi?”. Il racconto è noto. Un viandante viene piccato per strada e lasciato così, sanguinante. Passano degli uomini di Dio, dei sacerdoti, ma non si fermano. Si ferma invece un samaritano, l’eretico del tempo. E soccorre il malcapitato. Il senso è forte, evidente: il buon samaritano diventa così il modello dell’amore sociale e politico e della solidarietà illimitata.
Per questo l’amicizia sociale è al centro del libro e della riflessione cosmica di Boff, che prima di arrivare ai rapporti con il creato setaccia quelli dell’umano, di noi uomini, per poi affermare che il reset che ci occorre è quella di una cosmologia, abbandonando quella del dominio, con gli altri e con la natura. Non può che essere una la cosmologia opposta, quella che ci serve. Ma Mele ci riporta ancora all’economia, alla concretezza del fare, tanto cara a uomo post-ideologico come Francesco. E così riproduce i 12 punti scaturiti dall’incontro mondiale di giovani economisti The Economy of Francis: è una tabella di marcia per il nuovo presente: “1.Le grandi potenze mondiali e le grandi istituzioni economico-finanziarie rallentino la loro corsa per lasciare respirare la Terra. Il Covid ci ha fatto rallentare, senza averlo scelto. Quando il Covid sarà passato, dobbiamo scegliere di rallentare la corsa sfrenata che sta asfissiando la Terra e i più deboli;

2. venga attivata una comunione mondiale delle tecnologie più avanzate perché anche nei Paesi a basso reddito si possano realizzare produzioni sostenibili; si superi la povertà energetica – fonte di disparità economica, sociale e culturale – per realizzare la giustizia climatica;

3. il tema della custodia dei beni comuni (specialmente quelli globali quali l’atmosfera, le foreste, gli oceani, la Terra, le risorse naturali, gli ecosistemi tutti, la biodiversità, le sementi) sia posto al centro delle agende dei governi e degli insegnamenti nelle scuole, università, business school di tutto il mondo;

4. mai più si usino le ideologie economiche per offendere e scartare i poveri, gli ammalati, le minoranze e svantaggiati di ogni tipo, perché il primo aiuto alla loro indigenza è il rispetto e la stima delle loro persone: la povertà non è maledizione, è solo sventura, e responsabilità di chi povero non è;

5. che il diritto al lavoro dignitoso per tutti, i diritti della famiglia e tutti i diritti umani vengano rispettati nella vita di ogni azienda, per ciascuna lavoratrice e ciascun lavoratore, garantiti dalle politiche sociali di ogni Paese e riconosciuti a livello mondiale con una carta condivisa che scoraggi scelte aziendali dovute al solo profitto e basate sullo sfruttamento dei minori e dei più svantaggiati;

6. vengano immediatamente aboliti i paradisi fiscali in tutto il mondo perché il denaro depositato in un paradiso fiscale è denaro sottratto al nostro presente e al nostro futuro e perché un nuovo patto fiscale sarà la prima risposta al mondo post-Covid;

si dia vita a nuove istituzioni finanziarie mondiali e si riformino, in senso democratico e inclusivo, quelle esistenti (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale) perché aiutino il mondo a risollevarsi dalle povertà, dagli squilibri prodotti dalla pandemia; si premi e si incoraggi la finanza sostenibile ed etica, e si scoraggi con apposita tassazione la finanza altamente speculativa e predatoria; le imprese e le banche, soprattutto le grandi e globalizzate, introducano un comitato etico indipendente nella loro governance con veto in materia di ambiente, giustizia e impatto sui più poveri;

le istituzioni nazionali e internazionali prevedano premi a sostegno degli imprenditori innovatori nell’ambito della sostenibilità ambientale, sociale, spirituale e, non ultima, manageriale, perché solo ripensando la gestione delle persone dentro le imprese, sarà possibile una sostenibilità globale dell’economia;

gli Stati, le grandi imprese e le istituzioni internazionali si prendano cura di una istruzione di qualità per ogni bambina e bambino del mondo, perché il capitale umano è il primo capitale di ogni umanesimo;

le organizzazioni economiche e le istituzioni civili non si diano pace finché le lavoratrici non abbiano le stesse opportunità dei lavoratori, perché imprese e luoghi di lavoro senza una adeguata presenza del talento femminile non sono luoghi pienamente e autenticamente umani e felici;

chiediamo infine l’impegno di tutti perché si avvicini il tempo profetizzato da Isaia: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra» (Is 2, 4). Noi giovani non tolleriamo più che si sottraggano risorse alla scuola, alla sanità, al nostro presente e futuro per costruire armi e per alimentare le guerre necessarie a venderle. Vorremmo raccontare ai nostri figli che il mondo in guerra è finito per sempre.” Punti che Leonardo Boff sa ricapitolare culturalmente così: “Il paradigma del potere e la pretesa dell’essere umano di apparire come un dominus (signore e padrone) su tutto ciò che esiste e vive – piuttosto che essere frater (fratello) di tutti e con tutti – non rispondono ai gravi problemi che l’uomo stesso ha creato. Dobbiamo necessariamente cambiare e cercare un altro cammino, poiché questo ci porta su una strada senza ritorno.

Sia la Carta della Terra che le due encicliche di ecologia integrale di Papa Francesco si sforzano di presentare altri principi e nuovi valori che possono illuminarci a intraprendere un percorso di salvezza. […] L’ultima enciclica sociale Fratelli tutti rappresenta un appello di Papa Francesco angosciato e speranzoso al tempo stesso. Angosciato dalla chiara consapevolezza che siamo tutti «sulla stessa barca e che o ci salviamo tutti insieme o nessuno si salva». Speranzoso nella fiducia verso la creatività umana che può progettare un altro tipo di mondo non ancora conosciuto, basato cioè su quanto di più umano c’è nell’uomo: l’amore, la solidarietà, la cura, il senso di una fratellanza universale non solo tra gli esseri umani, ma anche con tutti gli altri esseri della natura e una totale apertura all’Infinito, al Dio che si è presentato come un appassionato «amante della vita» che abita dentro di noi”.

Volerelaluna

uscire-dalla-crisi-o-dal-capitalismo-in-crisi-199x300_2La lotta di classe l’hanno vinta i ricchi. Però…
28-07-2021 – di: Amedeo Cottino
volerelaluna-testata-2
Come ogni fenomeno epocale – dalle guerre alle rivoluzioni, dai terremoti agli tsunami ‒ la pandemia che ha fatto irruzione nella nostra vita non soltanto ci obbliga, come ammonisce papa Francesco (Fratelli tutti, Libreria Editrice Vaticana, 2020, p. 7) a rivedere le nostre false sicurezze, ma ci disvela l’esito di uno scontro, l’esito di una lotta di classe che ha visto uscire vincenti i potenti. Che lo scontro fosse in atto e che i vincitori sarebbero stati loro, l’aveva capito uno dei più noti miliardari del mondo, Warren Buffett, che già nel 2006, intervistato dal New York Times, aveva affermato: «Certo che c’è guerra di classe, ma è la mia classe, la classe ricca che la sta conducendo, e noi stiamo vincendo» (M. D’Eramo, Dominio, Feltrinelli, 2020, p. 10). E pochi anni dopo, ricorda ancora D’Eramo, lo stesso Buffett «ribadiva il concetto non più che i ricchi questa guerra di classe la “stavano vincendo” ma che “l’avevano già vinta”». Una lotta dunque conclusa con successo e vinta non dal basso ma dall’alto, il cui inizio si può collocare, grosso modo, circa cinquant’anni fa. Eppure di questa sconfitta pochi se ne sono accorti. Come mai? Il sottotitolo del volume di D’Eramo ci fornisce una prima risposta: La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi. Fermiamoci sulle due parole: “guerra” e “invisibile”. “Guerra”, perché, come scrive l’autore, «la metafora militare è appropriata, poiché di una vera e propria guerra si è trattato, ma di una guerra condotta in larga misura senza l’impiego delle armi». “Invisibile”, in quanto «non sono state, in primo luogo, le armi a farla uscire vincente bensì l’affermarsi di una precisa rappresentazione del mondo attraverso un capillare lavoro che, poco a poco, ha indotto la maggioranza degli umani ad accettare come vere alcune menzogne spacciate come fatti, come dati empiricamente confermati» (p. 40). Così, ad esempio, ci hanno convinti che il mercato costituisce un fenomeno naturale che possiede il talento di sapersi autoregolare; convinzione di fatto smentita dalle ricorrenti crisi. Nel 2005 e nel 2007 le economie dei singoli paesi occidentali infatti non si sarebbero salvate dal tracollo senza gli interventi pubblici. Come è parimenti falsa l’idea che non esistano alternative all’attuale sistema economico e che, pertanto, il capitalismo finanziario globale costituisca l’unico futuro pensabile. Ma forse è più appropriato parlare di miti più che di idee, e cioè di rappresentazioni che, da transitorie, contingenti a una determinata situazione, diventano immutabili, eterne. Basti pensare al mito dei vantaggi che la società ricava dalla riduzione delle tasse! Uno sguardo anche frettoloso alle economie mondiali rivela senza ombra di dubbio che i Paesi più poveri sono quelli dove è più bassa la pressione fiscale.

Dunque è con questa sconfitta che tutti noi, nessuno escluso, dobbiamo fare i conti. E fare i conti significa innanzitutto aprire gli occhi, vedere il frutto dissennato di decenni di neoliberismo, vale a dire dell’ideologia che ha posto al centro il Dio mercato e la sua merce, l’umano. Che ha affermato, contro ogni logica e ogni evidenza, che del costante, crescente aumento di ricchezza dei ricchi avrebbero beneficiato anche i poveri. E che se questi sono aumentati la colpa è delle politiche di welfare! Un dato è certo: secondo l’ISTAT, nel giro di pochi anni, il loro numero è salito nel nostro Paese da cinque a quasi sei milioni. Parlo di persone in condizione di povertà assoluta, cioè di umani a cui non è garantito neppure il minimo indispensabile per vivere, dal cibo all’abitazione, alla salute. Di persone dunque che devono lottare quotidianamente per non soccombere. E pure i ricchi sono in crescita: in Italia, i miliardari, che erano poco più di una decina nel 2009, oggi sono una quarantina!

Ma l’invisibilità della guerra che ha a lungo celato la nostra sconfitta, va a sua volta spiegata. Bisogna capire in che modo i potenti sono riusciti a prenderci per il naso, a fare in modo che noi interiorizzassimo i valori che ci hanno poi resi subalterni. E il concetto chiave è la violenza culturale, vale a dire quell’insieme di rappresentazioni e di messaggi che nascondono la violenza del sistema e ne permettono la riproduzione. Sono precisamente loro a svolgere quel capillare lavoro di costruzione della menzogna di cui parlava D’Eramo. E la parte del leone è svolta dal linguaggio che, come ben sappiamo, non è soltanto l’espressione ma la realizzazione del pensiero. Così, ad esempio, chiamare clandestini o extra-comunitari o sans-papier le persone che giungono da noi, in fuga da fame, da guerre, da persecuzioni di ogni ordine e grado, significa cambiare il prisma attraverso il quale li guardiamo. Significa ridefinire radicalmente il nostro rapporto con loro. Non siamo più noi quelli a cui incombe il dovere morale e giuridico di accoglienza. Sono invece loro che hanno l’obbligo di giustificare ciò che sono o ciò che a loro manca. Umani, per così dire devianti, incompleti, alla fine inferiori. Talvolta basta l’uso di un termine come ad esempio la parola “risparmio” a coprire la violenza che viene esercitata. Ché è all’insegna del risparmio, risparmio di personale assistenziale, risparmio di farmaci, più in generale risparmio di cure, che tanti anziani sono stati lasciati morire nelle cosiddette case di riposo (RSA). Ricordiamoci che le loro morti in Lombardia, nel periodo più acuto della mortalità per Covid-19 hanno rappresentato, nel solo marzo 2020, il 42% del totale dei decessi. Le bocche inutili le chiama Alberto Gaino nel suo libro (Sensibili alle foglie, 2021) appunto con questo titolo. Inutili sì, ma fino a un certo punto, fino a quando non sono più fonte di profitto perché, come ricorda Gaino, con il progressivo ritiro dello Stato dall’assistenza diretta alle persone non autosufficienti, la loro cura è diventata un investimento per importanti gruppi imprenditoriali come il gruppo Kos, fondato dalla famiglia De Benedetti, naturalmente con un occhio di riguardo all’analisi costi-benefici. Ciò è molto chiaro al presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, quando, il primo novembre del 2020, non esita ad affermare: «Per quanto ci addolori ogni vittima del Covid-19, dobbiamo tenere conto di questo dato: solo ieri tra i venticinque decessi della Liguria, ventidue erano pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate» (Gaino, p. 20, mio corsivo). E la tutela non può certamente consistere nell’imporre loro «delle giornate in strutture enormi, per garantire l’economia di scala, con ritmi di sonno e di veglia programmati […] una semplice triste sopravvivenza, dimostratasi nemmeno sicura» (Gaino, p.84, mio corsivo).

Ma come penetrare questa invisibilità? Ché, per vedere che il re è nudo non basta, semplicemente, alzare le palpebre. C’è un primo passo da compiere, ed è la presa di coscienza, non soltanto con la mente ma anche con le viscere, di ciò che un numero crescente di noi è diventato: questo essere sempre meno disposti o capaci a quel movimento interiore dell’umano che «scopre fuori di sé un altro essere umano, apparentemente simile e tuttavia differente, [e che] entra in contatto con quest’altro, gli fa domande e ascolta le risposte» (C. Todorov, Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, 2009, p. 36). Abbiamo cioè sempre più spesso ceduto alla fatica della compassione, come è toccato a me, ricoverato in terapia intensiva per Covid-19. Ché lì, a fronte di un altro ricoverato, un corpo immobile avvolto in uno scafandro di plastica lucente, io non seppi fare altro che distogliere lo sguardo. Quando, una notte, morì, il corpo venne rinchiuso in un sacco, ma il letto con il quale gli infermieri lo trasportavano urtò, per la fretta, il mio. Fu l’unico contatto tra noi due. Ero diventato uno dei tanti individui trasformati da umani sociali a individui isolati, incapaci appunto di entrare in contatto con l’Altro.

Tuttavia, la transizione dal mondo della menzogna al mondo della verità non può essere semplicemente il frutto di “un cuore informato”. Pertanto, l’altro passo da compiere è quello di prendere atto del fatto che noi, i sudditi, in realtà, un po’ di potere ce l’abbiamo e che dunque è venuto il momento di esercitarlo. Certo, non dobbiamo condividere il pessimismo di uno studioso come Luciano Gallino, che, una decina di anni fa (ma le sue considerazioni continuano ad essere attuali) non esitava a dichiarare che «è arduo attendersi che dal seno di una popolazione così capillarmente governata emergano forme estese e non effimere, di dissenso o di opposizione aperta» (Finanzcapitalismo, 2011, p. 322). Piuttosto, potendo scegliere, facciamo nostro l’invito di D’Eramo che, citando Machiavelli ‒ «Le buone leggi nascono dai tumulti» ‒, ci incoraggia alla protesta e al dissenso. Salvo poi precisare che, «per convincere i nostri simili bipedi umani di questa verità il lavoro da fare è immenso, titanico, da mettere spavento», ed aggiungere: «Ma ricordiamoci che nel 1947 i fautori del neoliberismo dovevano quasi riunirsi in clandestinità; sembravano predicare nel deserto proprio come noi; ora loro però tanto hanno creduto nelle proprie idee, tanto hanno persistito, che, alla fine, hanno vinto» (D’Eramo, p. 206).

Il compito è indubbiamente enorme, ma lo era anche quello dei danesi che, nel 1943, in piena occupazione tedesca e senza armi, salvarono migliaia di loro concittadini ebrei dai campi di sterminio, traghettandoli in Svezia. E forse i dominanti non si sentono così sicuri del loro potere se si riflette sull’accanimento con il quale, da decenni, stanno cercando di soffocare il dissenso e alla crescita di tecnologie di controllo come i dispositivi di riconoscimento facciale. Forse noi, singoli e movimenti, un po’ di paura la facciamo. Altrimenti come spiegare la militarizzazione di un’intera vallata ‒ la Valle di Susa ‒ che si oppone alla costruzione della TAV e la criminalizzazione del dissenso dei suoi abitanti? Come rendere ragione dello spietato accanimento politico e giudiziario nei confronti di Mimmo Lucano, sindaco di Riace e del suo progetto di una comunità dell’accoglienza, se non in termini di espressione del timore che quell’esperimento di vita comune fondata sul riconoscimento dell’Altro e sulla solidarietà potesse essere di esempio per altre iniziative ispirate agli stessi valori? Onde la necessità di statuire un esempio? E non si tratta di casi isolati. Anche la persecuzione alle ONG costringendone la maggioranza a restare ferme nei porti, riflette la stessa paura. Perché ‒ e qui Gallino coglieva nel segno ‒ «nulla deve turbare il mondo del finanzcapitalismo».

Le ONG lo turbano, i No-Tav pure. Può altresì turbarlo il fruttivendolo che, nella metafora di Vaclav Havel (Il potere dei senza potere, Castelvecchi, 2013), nella società post-totalitaria, decide di non più esporre tra i suoi prodotti il cartello che recita «proletari di tutto il mondo unitevi». Con quel gesto egli fa sapere che non è più disposto a vivere nella menzogna. A questo punto una cliente che sta facendo la spesa da lui, nota l’assenza del cartello e quando ritorna in ufficio, decide pure lei di togliere dalla porta ciò che vi è affisso. E forse pure il collega della stanza accanto rimuoverà il suo cartello. E forse…
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