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Newsletter n. 160 del 25 agosto 2019

CHE COSA BACIARE

Care Amiche ed Amici, [segue]
tra il 7 e il 20 agosto si è consumata la sconfitta di Salvini già annunciata un anno fa in una nostra newsletter del 18 luglio 2018 (che ora si trova in: lettere-in-bottigliaRaniero La Valle, Lettere in bottiglia, Gabrielli editore, pag. 176). Questo ultimo tempo del film della sconfitta si è andato svolgendo nello stesso tempo della tragedia dei naufraghi della Open Arms, non a caso conclusasi con lo sbarco a Lampedusa la sera stessa della caduta del governo.
Anche il simbolo conferma perciò che la causa della sconfitta è stata la spietatezza. Il sistema non l’ha retta, esso ha ancora (non per sempre) le risorse per farlo, e l’ha rigettata. La spietatezza della cultura e della politica di Salvini e della Lega non era solo nei confronti dei profughi, degli stranieri, degli immigrati, dei piagati, dei sommersi. Stava nell’idea stessa che c’è chi è prima e chi è dopo nella spartizione non solo delle ricchezze, ma del minimo vitale, della dignità umana, della vita stessa. E non c’era pietà nemmeno verso gli Italiani, che per un proprio interesse di parte si voleva gettare nell’avventura di restare soli ed invisi nell’Europa e nel mondo, sovrani solo nell’arroganza e nella loro procurata miseria. Non c’era pietà verso l’Europa che con tutte le sue storture e ingiustizie è pur sempre la nostra madre, la storia da cui veniamo e che siamo. Non c’era pietà verso istituzioni di democrazia e di diritto che sono costate secoli di lotte e sangue di martiri; non pietà verso gli investiti di cariche pubbliche, tutti degradati alla simbiosi di culo e poltrona; non pietà verso i senatori, insultati come non liberi, di contro all’unico “libero” di quell’aula che voleva intestarsi pieni poteri; e non c’era pietas verso il crocefisso e il rosario sbaciucchiati ad uso di telecamere sui banchi del governo.
Occorre fermarsi ancora un momento, prima di voltare pagina su questa crisi, sulla controversia intorno all’uso dei simboli religiosi esplosa sui giornali e in Parlamento. Si è già detto che quest’uso politico dei segni della devozione cristiana offende il sentire religioso dei credenti e la laicità dello Stato. Il presidente Conte ha aggiunto che è una forma di “incoscienza religiosa” e padre Spadaro, direttore della “Civiltà Cattolica”, è rimasto impressionato della forza di questa espressione. Si potrebbe chiudere qui, ma c’è un’insidia nascosta in quanto è avvenuto, c’è un pericolo ancora maggiore e rischi imprevisti che vanno identificati, per l’impatto devastante che potrebbero avere in futuro.
Deve essere chiaro che la controversia non è sulla fede e nemmeno sulla religione, ma su gesti e simboli devozionali della religione e della fede che sono del tutto legittimi e anzi spesso hanno radici profonde nelle tradizioni dei credenti e nell’immaginario popolare, ma che possono essere deviati, distorti, banalizzati e perfino rovesciati nel loro significato. Ne ha offerto una preziosa traccia nella discussione al Senato il presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra, quando ha detto che in Calabria la ndrangheta ha deciso di “consegnarsi” a un santuario della Madonna, di farlo suo, e perciò l’uso politico di rosari e madonne può lì trasmettere messaggi in codice. Ma al di là di questi casi limite c’è il rischio di un uso e di un’esibizione in chiave superstiziosa magica e scaramantica dei segni religiosi, che immessi nel circuito sociale possono deturpare e intercettare la fede, funzionando da dissuasori, vaccini e anticorpi all’aprirsi al rapporto con Dio.
Il caso del calciatore di riserva mandato in campo dalla panchina che si fa il segno della croce e manda un bacio a Dio un po’ per grazia ricevuta un po’ per procacciarsi il miracolo di un goal, non è diverso dal caso di Salvini che bacia il rosario in piazza per aver vinto le elezioni e si appella all’Immacolata in Senato per esorcizzare la fine della sua ascesa politica. Con una certa inclemenza sono chiamati baciapile quelli che baciano le acquasantiere invece che praticare la misericordia. Il bacio è un evento umano sublime e un gesto religioso potente, non si può buttar via. Nella liturgia il bacio si dà prima della comunione per consegnarsi la pace, è il bacio che si depone il venerdì santo sulla croce di Gesù; c’è stato il bacio della Maddalena al Signore nel giardino della resurrezione; Dio stesso è un bacio, diceva il camaldolese Benedetto Calati e al bacio sono dedicati i nove sermoni di san Bernardo da Chiaravalle sul “Cantico dei Cantici” in cui, chiosava lo stesso padre Benedetto, “questo grande monaco nel gesto più naturale dell’amore ha saputo riassumere il segreto mistico della vita divina ed umana”.
Ed allora il rischio qual è? È che per mettere al riparo la politica dalle incursioni del sacro, sia pure nelle forme del devozionismo magico e incosciente alla Salvini, per prevenire ricadute identitarie in politiche “cristiane” e magari democristiane, si ritorni alle care vecchie battaglie laiciste, si torni ad erigere muri invalicabili tra fede e politica, si professi l’illegittimità di ogni ispirazione religiosa dell’azione laica in politica. Si tornerebbe all’idea della religione come oppio, dell’ateismo come sinonimo della modernità e del sapere, della fede come negatrice del pluralismo e fattore di esclusione; si tornerebbe a prima del Vaticano II, a prima dell’incontro fraterno tra le religioni e delle religioni col mondo, a prima dell’ascolto prestato a papa Francesco, a prima dei suoi dialoghi “politici” coi movimenti popolari e della sua critica all’economia che scarta e che uccide, a prima della “Laudato Sì’” per la salvezza della terra. E poiché la salvezza della terra, problema del tutto rimosso dalla politica attuale, può farsi solo attraverso un grande cambiamento dell’animo umano e del sentire dei popoli che si rifletta poi nell’azione politica, questa ricaduta negli storici steccati del passato la renderebbe impossibile.
Con i più cordiali saluti
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it

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