Verso Camaldoli/2

40711aladin-logo-lampadaSi terrà dal 26 al 30 agosto a Camaldoli la Settimana teologica 2019, intitolata “Fede e politica. Un dialogo da ricominciare”, organizzata al MEIC, Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale. Per l’importanza e la ricchezza dei contenuti abbiamo ripreso dal sito del Meic su Aladinpensiero una parte dei lavori preparatori, ripubblicandoli integralmente o riportando i relativi link. Contiamo ora questa attività. Daremo ovviamente conto dei lavori della Settimana e delle conclusioni.
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VERSO CAMALDOLI/1 Fede e politica: un servizio di cultura
13 Giugno 2019

di RICCARDO SACCENTI
ricercatore della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII
delegato Meic Toscana

Il passaggio storico che ci troviamo ad attraversare viene descritto, sul piano politico, da un lessico dominato dal binomio sovranismo/populismo, con il quale si cerca di significare un mutamento radicale negli equilibri e nelle dinamiche con cui si costruisce la decisione politica, soprattutto all’interno di sistemi istituzionali democratici e liberali. Tuttavia, questa scelta semantica, che assume come tratto qualificante l’accentuazione posta sul primato assoluto dell’interesse del popolo sovrano, ricorre a concetti che appartengono oramai alla storia del secolo precedente e che non sono in grado di restituire fino in fondo la radicalità di un mutamento storico nel quale siamo direttamente coinvolti.

Sotto la superficie estremamente sottile di queste espressioni si cela infatti un movimento magmatico nel quale ad essere messi in discussione, fin nelle loro radici, sono i concetti di democrazia, di libertà, di giustizia, che hanno segnato il Novecento. Il terreno della politica, che oggi mostra tensioni e conflitti, è il precipitato di tutto questo: rappresenta cioè l’esito di una faglia che si è creata e si è allargata essenzialmente sul terreno della cultura e che dunque richiede di essere presa in considerazione con gli strumenti propri della cultura.

E come tutte le realtà umane e storiche, anche questo cambio d’epoca cela rischi e opportunità che una lettura teologica è in grado di mettere in luce. Lo sforzo di far sì che la Parola di Dio interroghi anche questa stagione di “crisi” delle culture politiche e della politica stessa, cela potenzialità di speranza non ancora colte e del tutto inespresse. Si tratta di un impegno che richiedere una profonda maturità spirituale e teologica e al tempo stesso un’apertura al mondo e alla storia all’insegna di una misericordia intellettuale radicata nella convinzione che ogni frammento della vicenda umana è destinatario dell’annuncio del Vangelo. Per realtà ecclesiali che come il Meic hanno nell’apostolato della cultura il loro proprium vi è qui la consapevolezza di un’urgenza a cui rispondere: andare, in questo nostro tempo, alle radici di una lettura sapienziale della politica e restituire alla cultura quella funzione pubblica di strumento per dare alla politica un senso profondo della storia e dell’umanità.
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VERSO CAMALDOLI/2 Delegare non basta, servono cittadini protagonisti
21 Giugno 2019

di PAOLO DACCO’
delegato regionale Meic Lombardia

Lo spazio politico e del dibattito culturale è dominato da chi pensa di potersela cavare con poco: frasi e annunci ad effetto, promesse a getto continuo – non importa se contraddittorie e senza verifica successiva, capitani e caporali più o meno carismatici e zero idee complesse, ragionamenti e argomentazioni.

I cittadini meno attrezzati, oppure preparati ma animati da poca tensione verso un esercizio pieno dei diritti e dei doveri che la cittadinanza porta con sé, trovano decisamente più semplice delegare ogni decisione al leader di turno, senza assumere in prima persona posizioni o ruoli che esigerebbero poi impegni ed azioni conseguenti.

Sgombrando subito il campo da illusioni di facile cambiamento, va detto che un antidoto ad effetto rapido non esiste. Il lavoro – anzitutto culturale – che la situazione ci richiede, per quanto sia da attivare prima possibile, prevede tempi di efficacia medio-lunghi.

Non per questo, per il fatto cioè di non vedere nessuna luce in fondo al tunnel (del divertimento, soprattutto altrui), possiamo sentirci autorizzati al disimpegno o a cedere il passo alla sensazione di inutilità che spesso pervade chi si trova a remare contro una corrente contraria e impetuosa.

Credo invece che sia più che urgente ed opportuno non mollare la presa, da un lato assumendo l’atteggiamento e lo stile della “cittadinanza attiva”, dall’altro individuando nel grande filone dei “beni comuni” un campo di azione e di elaborazione di una nuova cultura politica capace di superare lo sfilacciamento dell’ampio fronte democratico-costituzionale, andando oltre sigle, partiti e partitini ormai specializzati in “teoria e tecnica della gestione del proprio ombelico”, per ridare respiro e un nuovo orizzonte ideale ad azioni capaci di coinvolgere i cittadini nuovamente come parte di una comunità e non solo come individui.

Il quadro è così complesso e frastagliato che sembra impossibile trovare un punto da cui partire. Credo che la visione complessiva sulla nostra realtà espressa nella Laudato Si’ e i temi in essa contenuti possano rappresentare un terreno comune a tante espressioni – non necessariamente ispirate da una prospettiva credente – di una nuova cultura di promozione di ciò che è comune ed essenziale per la vita di tutti.

Questo a tutela dei diritti di chi vive oggi, ma allo stesso tempo di quelli delle generazioni future.

In questa direzione si collocano i movimenti sociali e popolari (non a caso convocati più volte da Papa Francesco) che muovendo da una critica ai dogmi della globalizzazione ci hanno accompagnato e sollecitato negli ultimi decenni.

Da Seattle a Genova, al Forum dei Movimenti per l’Acqua con la grandissima vittoria referendaria del 2011 resa finora inefficace da scelte di segno opposto da parte di tutti i governi che da allora si sono succeduti, fino alla campagna in corso in questi mesi, promossa in tutta Italia dai Comitati per i beni pubblici e comuni “Stefano Rodotà” (www.generazionifuture.org), che propone una raccolta di firme per una Legge di iniziativa popolare che vuole l’inserimento esplicito nel Codice civile dei beni comuni e della loro tutela.

Insomma, per chi lo vuole c’è già da subito modo e spazio per essere attivi, iniziando a ridare senso e sostanza al nostro comune essere cittadini.
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VERSO CAMALDOLI/3 Nell’epoca dei populismi, investire in formazione
27 Giugno 2019

di MARCO FORNASIERO

“Fede e politica. Un dialogo da ricominciare”. Questo il titolo della Settimana teologica del Meic 2019. Probabilmente un dialogo che non si è mai interrotto perché cos’è la politica se non un atto di fede verso il prossimo, un prendersi cura dell’altro? Il mondo culturale dal quale proveniamo ha fatto da principe nel rapporto con la politica. Un ponte tra la formazione delle coscienze, tema tanto caro a chi come me ha vissuto l’esperienza della Fuci, e le esperienze a servizio del Paese a tutti i livelli. Potrà sembrare banale, ma il tema oggi è: vale la pena investire sulla formazione alla politica nell’epoca dei populismi? La risposta può essere solo che affermativa. Potrà sembrare scontato ma comporta un atto di responsabilità. Desiderare di percorrere questa strada significa decidere di mettersi in dialogo soprattutto con persone che possono sembrare distanti, che provengono da realtà differenti. È in questi momenti che prende corpo l’espressione “essere Chiesa”. Nel rapporto tra fede e politica, un aspetto dal quale oggi non è possibile esimersi è la comunicazione. Possiamo dire che fare politica oggi significa anzitutto saper comunicare, è difficile essere generativi se non si è in grado di comunicare le proprie idee all’esterno.

Una realtà che negli anni ha incarnato questa essenza è Connessioni, una comunità di giovani che da dieci anni dibattono e si formano sui grandi temi del Paese a partire dalla dottrina sociale della Chiesa. È bene ricordare come questa realtà sia nata dall’impulso del mondo associativo cattolico (Fuci, Azione cattolica, Agesci, Mcl, Gioventù Francescana ecc.), dalla volontà delle singole dirigenze nazionali di mettersi in rete, connettere i virtuosismi. Ed è proprio questo a mio avviso il punto di forza, a Connessioni non si frequenta una scuola di formazione politica ma si vive un’esperienza di fede declinata in tutti i suoi aspetti. Viene proposto un metodo che scandisce i lavori degli incontri in cinque momenti. Il primo è dedicato all’introduzione spirituale che seppur breve, costituisce il fondamento dell’agire politico e la base di partenza per ogni nostro incontro. Il secondo momento è dedicato all’ascolto e al dialogo con uno o più relatori sul tema della giornata. Il terzo è dedicato ai lavori di gruppo che si ispirano al metodo della casistica gesuitica, in cui dal caso concreto si risale al principio generale. Questo momento è fondamentale perché è durante la divisione in lavori di gruppo che si cerca di trasmettere il metodo proprio della democrazia deliberativa. L’esito dei lavori di gruppo sfocia nel quarto punto, la condivisione in plenaria del lavoro svolto. Last but not least, l’ultimo momento è rappresentato dal pranzo comunitario in cui ognuno è chiamato in base alle proprie disponibilità, a contribuire a questo momento di condivisione e amicizia.

Credo che ci sia ampio spazio di dialogo nel rapporto tra fede e politica e credo anche che le singole associazioni possano giocare un ruolo fondamentale nella formazione alla politica delle nuove generazioni, ma per farlo dovranno passare a mio avviso da due capisaldi: il fare rete per evidenziare gli aspetti virtuosi di ciascuna realtà nel rispetto delle singole autonomie, così da generare comunità; la comunicazione per dare corpo e ali ai contenuti.
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VERSO CAMALDOLI/4 “La fede ha una parola da dire su tutto”
03 Luglio 2019

di ROCCO D’AMBROSIO
ordinario di Filosofia politica, Pontificia Università Gregoriana

Sono passati cento anni da quel gennaio del 1919, quando i cattolici italiani, guidati da Luigi Sturzo, sono ritornati ad impegnarsi direttamente in politica. Dei tanti nobili profili e alti contenuti, è impossibile fare sintesi, eppure solo la loro storia può illuminare e guidare il presente dei cattolici italiani. Consci che, come scriveva Pietro Scoppola, “la storia in contrasto con l’opinione corrente non dà lezioni, non detta comportamenti, non dice a nessuno cosa deve fare; ma solo aiuta, un poco, a capire che cosa siamo, lasciandoci tutta intera la responsabilità di scegliere, dopo averci messo in una posizione un poco più elevata, con la possibilità di un orizzonte più aperto”. Questa storia, oggi, non può prescindere dall’indicazione di Paolo VI: “Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi”. L’invito papale e conciliare ad impegnarsi in politica non contiene mai un’indicazione di schieramento e di partito. Per questo motivo il magistero si limita a ricordare solo le esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili nell’azione politica dei cattolici, che sono: il rifiuto dell’aborto e dell’eutanasia; la tutela dei diritti dell’embrione umano, della famiglia, della libertà di educazione e la tutela sociale dei minori; la liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù; la libertà religiosa; lo sviluppo per un’economia al servizio della persona e del bene comune; la giustizia sociale; la solidarietà umana; la sussidiarietà; la promozione della pace. Questi principi morali non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno e sollecitano una forte responsabilità personale nel realizzarli (cfr. Nota della CDF, 2002). Quindi, tutti i cattolici, a prescindere dalla loro collocazione politica e sociale, sono tenuti a seguire fedelmente tutte, nessuna esclusa, queste indicazioni etiche.

Eppure una frattura esiste tra i cattolici italiani e non è quella dello schieramento: è quella della coerenza. Ci sono coloro che vivono in politica servendo il Vangelo per il bene comune e, purtroppo, ci sono anche quelli (di destra, sinistra e centro) che vivono servendosi del Vangelo per accrescere interessi e potere. La frattura esiste non per carenze magisteriali, ma per deficienze formative, sia a livello di autoformazione che di itinerari in parrocchie e diocesi. Sono pochi i cattolici che giungono all’impegno politico con una robusta formazione intellettuale, un cuore grande e una fede solida. Chi è seriamente formato sa bene che non si può restare in silenzio quando sono in gioco i cardini della democrazia: solidarietà, unità dei popoli, pace, rispetto della dignità di tutti, accoglienza, rispetto delle istituzioni e della fede religiosa, giustizia e così via. Principi anche cristiani.

La proposta lanciata da papa Francesco di indire un sinodo della Chiesa italiana sembra essere quanto mai attuale: è innegabile una sorta di “scisma sommerso” tra i cattolici italiani, specie sui temi sociali e politici. Abbiamo bisogno di riflettere tutti insieme sulla nostra testimonianza di fede nel mondo. Non basta essere contro aborto, eutanasia e altri temi di etica personale; accanto a questi deve essere della stessa forza il No a razzismo, xenofobia, corruzione, mafie, guerre e traffico di armi, egoismi nazionali e discriminazioni. Niente deve fermare o compromettere la testimonianza di pastori e laici credenti. Il buon Dio ci invita a essere forti e liberi da ogni compromesso con chi vuole comprare, magari con privilegi o leggi, o strumentalizzare, in tanti modi, il consenso dei credenti.

Insieme a Scoppola potremmo indicare altri cristiani coerenti e significativi: Sturzo, De Gasperi, La Pira, Dossetti, Moro, Bonhoeffer, Lazzati, Rodano, La Valle, Romero e altri ancora. Sono convinto che ad accomunarli è quanto Scoppola scriveva: “La fede ha una parola da dire su tutto! È che tocca a ognuno dei credenti di far sentire questa parola. A tutti i livelli. In tutti gli ambienti. Con umiltà. Senza arroganza. Ma con la consapevolezza di una grande responsabilità e di un momento decisivo per la storia del mondo”.
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