Europa, Europa!

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ELEZIONI EUROPEE
lo spartiacque della politica italiana

di Roberta Carlini, su Rocca.

«Se ne parlerà dopo le Europee». Che sia la manovra-bis, la resa dei conti tra gli alleati di governo, la Tav, le trivelle nel mare, le nomine o qualsiasi altra cosa importante ma spinosa per la vita politica italiana, è frequente sentire il rinvio a dopo la fatidica data, il 26 maggio. Invece per altre scelte, importanti ma portatrici di consenso, la dinamica è stata opposta: un’accelerazione, spesso con sfida al buon senso e alle capacità dell’amministrazione, per arrivare prima delle Europee. È il caso del reddito di cittadinanza, la cui entrata in vigore è stata accelerata e forzata, senza tener conto dei problemi dell’amministrazione, della mancanza di personale nei centri, e di altre carenze che potrebbero mettere a rischio tutta la tenuta del sistema congegnato con quella legge: si vuole far arrivare qualcosa – almeno una promessa formale – nelle case dei più poveri entro la data del voto.

aspettando le Europee
Le Europee sono dunque diventate lo spartiacque della politica italiana, a solo un anno dalla grande svolta che ha mandato in pensione i partiti tradizionali della destra e della sinistra e lanciato l’inedita e imprevista alleanza tra la destra naziona-
lista della Lega e il movimentismo populista, che si dice «né di destra né di sinistra», del M5S. Un’alleanza che finora ha premiato l’astro sorgente di Salvini e la sua Lega, e penalizzato il primo e più giovane partito italiano, adesso guidato da Di Maio. Alle Europee, tra le tante cose, si misure- rà anche la tenuta di questa alleanza, che è così deteriorata, dopo soli nove mesi di governo, che qualcuno pensa che potrebbe anche deflagrare prima del 26 maggio. Tutto ruota attorno al voto con cui manderemo i nostri rappresentanti a Bruxelles: strano destino, per due partiti che sono contro l’Europa, che fanno campagna, con diverse ma convergenti motivazioni, contro la burocrazia di Bruxelles ma anche le sue istituzioni; che volevano uscire dall’euro, salvo rimangiarsi questi fieri propositi nel fotofinish della campagna elettorale; che hanno impostato tutta la loro prima manovra economica sulla sfida ai limiti e ai paletti della Commissione europea, anche qui poi rimangiandosi la dichiarazione di guerra; che attribuiscono all’Europa anche tutte le colpe dell’arrivo dei migranti, oltre che dello scaricabarile sull’immigrazione ai danni dell’Italia.
Si dirà: proprio per questo le elezioni europee sono importanti, i nostri partiti di governo, protagonisti di una rivoluzione nell’atteggiamento dell’Italia rispetto all’Europa, vogliono conquistare l’Unione per cambiarla. Aprirla come una scatoletta di tonno, per seguire l’immagine usata dai Cinque Stelle per il parlamento italiano. Ma allora diventa determinante sapere come, e con chi. Ma purtroppo più di un indizio porta a credere che né Lega né Cinque Stelle sappiamo come vogliono cambiare la politica e le istituzioni dell’Unione Europea, e soprattutto con quali alleanze.

euro sì euro no!
Una cosa è chiara. Anche per queste elezioni, la bandiera della lira non tornerà. Per quanto rimanga negli argomenti dei nostri attuali governanti, e soprattutto nell’umore di una fascia anziana dei loro elettori, l’idea che il declino italiano sia iniziato venti anni fa con l’euro, e che con la vecchia lira e le relative svalutazioni ricorrenti staremmo tutti meglio, pare proprio che questo argomento non sia destinato a diventare tema di campagna elettorale. Ed è un peccato: confinato nel limbo del «vorrei ma non posso», per i costi legati alle turbolenze sui mercati e a una transizione che non prevede regole certe, l’argomento continua ad aleggiare nell’aria, senza essere seriamente discusso ed even- tualmente demolito. Invece sarebbe bene,
e a questo punto della storia possibile, tracciare un bilancio dei benefici che la moneta unica ha portato – in primis, con l’entrata in un’area di stabilità monetaria e bassi tassi di interesse, cruciali per un Paese che ha da pagare una montagna di debiti – e dei costi economici, politici e sociali pagati negli ultimi anni per l’adesione all’area e alla politica dell’Eurogruppo. Si potrebbe distinguere la moneta dalle politiche che l’hanno governata; capire chi sarebbe beneficiato, e chi punito, da un cambiamento dell’una e delle altre; insomma discutere laicamente e non nel generico chiacchiericcio che alimenta lo scontento ma non cerca né trova soluzioni.
bilanci nazionali e bilancio europeo
Se l’euro resterà fuori dalla campagna elettorale, saranno però ben presenti altri temi economici: a partire, per l’Italia, dall’osservazione e i vincoli di Bruxelles sui bilanci nazionali; per passare poi al bilancio europeo, quello che potrebbe essere destinato a una politica comune, adesso microscopico e oggetto di proposte di riforma. E sarà presente il grande tema dell’immigrazione, quello su cui davvero l’Unione ha fallito, non riuscendo a dare una risposta comune e solidale a una pressione migratoria che è sì crescente ma ancora in proporzioni gestibili per un continente esteso, potente e ricco come quello in cui viviamo.

contro l’austerità, ma come?
Sulla politica di bilancio, sia pure in modo confuso e contraddittorio, è abbastanza chiara la visione gialloverde: è contro l’austerità, la linea di rigore sui conti imposta da Bruxelles che è tra le cause, dicono, dell’impoverimento e della precarietà della vita degli italiani. Senza discutere qui nel merito di questa connessione (se ne è parlato tante volte, anche su Rocca, e quel che si può dire ora è che in molti ambienti mainstream, e anche nella stessa presidenza della Commissione, si sono diffuse la critica e l’autocritica per la politica dell’austerità europea negli anni più duri della crisi), certo è che con questa linea i due partiti interpretano il mandato e il messaggio che hanno avuto dal moto di popolo che li ha portati al governo.
Ma adesso che al governo dell’Italia ci sono da un po’, e aspirano a conquistare la maggioranza politica in Europa, è tempo di dire: con quali proposte? Tra i critici dell’austerità così come decisa e interpretata dall’élite europea degli anni Dieci, c’è chi chiede più flessibilità e discrezionalità dei bilanci nazionali, chi un rafforzamento di quello europeo, che passo dopo passo porti a un vero e proprio bilancio federale. Per natura, cultura e storia, né i Cinque Stelle né la Lega ambiscono a un bilancio europeo: la seconda è federalista in casa propria, ma non certo per l’Europa. Nella loro sfida sulla manovra italiana, nei giorni più caldi dello scontro con la Commissione, i governanti italiani hanno detto più o meno apertamente: tanto a maggio cambia tutto, Juncker e soci hanno i mesi contati. Ma in una nuova Commissione «sovranista» gli interessi dei Paesi come l’Italia, che chiederà ancora più flessibilità e ricorso al deficit, saranno più tutelati?

e con quali alleati?
Tutto fa pensare di no. Spesso nelle discussioni sulla tenuta dei conti italiani i «falchi» più agguerriti sono stati proprio i rappresentanti dei governi più vicini all’attuale maggioranza di governo, a partire dalla destra nazionalista del «gruppo di Visegrad» (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia). Non è un caso, ma la conseguenza di quello che è un paradosso logico: l’alleanza tra sovranisti, o tra nazionalisti, si può fare su un obiettivo comunque, possibilmente esterno. Ma appena c’è una posta in gioco comune, ecco che ognuno penserà solo a massimizzare il proprio vantaggio nazionale, a scapito degli altri. Il ministro ceco sarà pure più vicino, per cultura politica e nostalgie nazionaliste, al suo omologo italiano; ma, per quanto riguarda i cordoni della borsa, trova più simpatia con il collega di tavolo tedesco, della cui ortodossia monetaria si sente parte. La falla logica di un «patto» tra nazionalisti è già emersa, in tutta la sua evidenza, a ogni sbarco e discussione sull’immigrazione, con gli alleati di Salvini in prima linea nel negare ogni possibilità di farsi carico, anche in piccolissima parte, dei problemi che si presentano sulla costa italiana. Senza alcuna contropartita sulla condivisione dei problemi italiani, Salvini sta consegnando il suo partito (e, probabilmente, tutto il centrodestra se lo seguirà) a una compagnia politica che in alcuni Paesi – Polonia e Ungheria – è già sotto accusa per la violazione dei diritti politici e democratici fondamentali. Ma almeno la Lega – che non sa bene cosa vuole fare dell’Europa – sa con chi vuole allearsi. I Cinque Stelle invece non sanno né cosa né con chi. Né è prova la casuale e sconclusionata ricerca di alleati, che è passata all’inizio dalla destra nazionalista inglese di Nigel Farage agli ipereuropeisti del gruppo Alde (Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa, nel cui gruppo nel Parlamento europeo i Cinque Stelle chiesero, a un certo punto, di entrare, ricevendo in risposta un sonoro «no»), fino ad approdare tra pezzi sparsi dei Gilet Gialli francesi, realtà sociale interessante e turbolenta ma senza ancora alcuna strutturazione né chiara visione politica. Finora la cosa più chiara che i Cinque Stelle hanno detto sulle elezioni è che vogliono abolire la sede di Strasburgo del Parlamento europeo, perché inutile e costosa, concentrando tutti i lavori sulla sede di Bruxelles: un po’ poco, per un movimento che vorrebbe scrivere un’altra storia dell’Europa partendo dal basso, dai cittadini e dalla democrazia diretta.
Le settimane che ci separano dal voto europeo sono ancora lunghe. Converrà passarle guardando bene a tutte le dichiarazioni, frasi, impegni, indizi su cosa davvero potrà succedere nella politica europea, piuttosto che restare chiusi in quella italiana.
Roberta Carlini
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One Response to Europa, Europa!

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