DIBATTITO INTERNAZIONALE. Come per il colesterolo: esiste una “globalizzazione buona” o perlomeno “gestibile a vantaggio di tutti”?

6f7823e3-9b02-4886-b50f-fe0ea090a942E’ possibile un governo democratico della globalizzazione?

di Gianfranco Sabattini

La crisi del processo di globalizzazione delle economie nazionali ha suscitato da parte delle popolazioni dei Paesi coinvolti delle reazioni politiche che si sono identita-perdute-globalizzazione-e-nazionalismo-colin-crouchtrasformate in un revival del nazionalismo ed anche del razzismo. In “Identità perdute. Globalizzazione e nazionalismo”, Colin Crouch, teorico della “postdemocrazia”, denuncia il fatto che, a causa dell’impatto negativo che la globalizzazione ha avuto sull’identità culturale dei cittadini (oltre che sulla stabilità economica) nei Paesi economicamente sviluppati, essa (la globalizzazione) è ora all’origine di un vasto fronte di oppositori.
Sebbene l’opposizione provenga da gran parte del mondo della politica di ogni orientamento, la sua leadership è, per il momento, totalmente egemonizzata delle forze della destra nazionalista, nonostante che, sul piano economico, la globalizzazione sia stata promossa dall’ideologia neolibersita, della quale sono state portatrici le forze liberali di destra non nazionaliste; ciò non significa, osserva Crouch, che sul piano politico la globalizzazione possa giustificare solo uno “scontro” tra fazioni diverse delle destra e che la sinistra non abbia validi motivi per parteciparvi, rilanciando la contrapposizione tra destra e sinistra, la cui esistenza non ha certo perso ogni valore.
Crouch, al contrario, è del parere che la differenza tra destra e sinistra continui a risultare utile, ai fini di una rappresentazione esaustiva delle criticità della globalizzazione; al riguardo, il politologo sostiene che un “blocco” delle forze di sinistra, riformiste e democratiche, “possa offrire un suo contributo” al cambiamento delle modalità con cui sinora si è svolto il processo di globalizzazione, salvaguardando quanto di positivo esso ha rappresentato ed opponendosi alle pretese dei movimenti nazionalistici estremi di “liquidare in toto” il processo di integrazione mondiale delle economie nazionali. Crouch si schiera a favore della globalizzazione, convinto che essa, al contrario di quanto sostengono i nazionalisti, non implichi affatto una sorta di “attentato” contro le “identità nazionali o locali”; a suo parere, però, la globalizzazione può godere di un ampio consenso, solo se le “identità multiple” oggi esistenti diventano una “serie di cerchi concentrici che si arricchiscono l’un l’altro con radici ferme in una sussidiarietà cooperativa”, sviluppando iniziative costruttive in corrispondenza di ognuno di questi livelli.
Le problematiche che oggi agitano i singoli sistemi sociali coinvolti nel processo di globalizzazione sono, secondo Crouch, la riproposizione di una nuova fase del confronto tra l’”antico” e il “nuovo”, ovvero tra la situazione propria dei sistemi sociali del passato e il loro superamento, causato dalle innovazioni intrinseche alla dinamica del processo storico. Esaminando le conseguenze della globalizzazione da questo punto di vista generale, anziché dal solo punto di vista economico, è possibile comprendere l’ostilità nei confronti dell’internazionalizzazione delle economie nazionali da parte della destra tradizionalista e nazionalista. Tali conseguenze negative, però, sono oggetto di critiche anche da parte della sinistra, le cui posizioni possono essere espresse nei termini che seguono.
Innanzitutto, per le forze della sinistra, la globalizzazione ha comportato un’estensione planetaria del capitalismo, resa possibile dalla rimozione delle “barriere regolative” che nel passato permettevano ai governi degli Stati-nazione di impedire il verificarsi di fenomeni, quali disoccupazione strutturale, povertà e disuguaglianze distributive. In secondo luogo, la globalizzazione ha determinato un deterioramento del livello di governo delle economie nazionali (quello dello Stato-nazione), in corrispondenza del quale le procedure della democrazia sostanziale hanno potuto allargarsi e consolidarsi a vantaggio di tutti i componenti della società civile; ciò ha reso possibile una facile mobilitazione di questi ogni volta che è stato necessario supportare l’azione dello Stato per contrastare il potere del capitalismo deregolamentato. In terzo luogo, le conseguenze negative della globalizzazione, superando il livello dello Stato nazionale, sono cadute sotto la competenza delle élite capitaliste dominanti lo spazio transnazionale. In quarto luogo, infine, man mano che si è allargata e approfondita, la globalizzazioner ha depotenziato lo stato di sicurezza sociale, il welfare State (una realizzazione dello Stato nazionale, resa possibile dalla solidarietà che legava tra loro i membri della società civile).
Riguardo a queste posizioni critiche, Crouch osserva che esse sono risultate più deboli in quei Paesi (ad esempio, in quelli del Nord dell’Europa), le cui società civili erano fortemente omogenee sul piano culturale, al contrario dei Paesi le cui società civili erano culturalmente eterogenee (come, ad esempio, negli Stati Uniti d’America). Secondo Crouch, quindi, è necessario riconoscere che tra omogeneità culturale delle società civili e multiculturalismo esiste una relazione inversa, che la destra ha strumentalizzato unicamente sul piano emotivo, per ragioni di natura elettorale, sostenendo la necessità di una svolta nell’azione dei governi nazionali con cui tutelare gli interessi economici nazionali e porre severe restrizioni al fenomeno dell’immigrazione.
Nel loro insieme le critiche della sinistra circa le conseguenze negative della globalizzazione sono condivisibili; ma, a volte, esse tendono ad omologarsi alle posizioni della destra, assumendo toni xenofobi. In alcuni segmenti delle forze di sinistra di diversi Paesi europei (ad esempio, Francia, Germania e Italia) spesso affiora questa tendenza, mostrando la propensione ad invocare posizioni economiche protezionistiche, risultando così ostili all’Unione Europea; inoltre, tali segmenti manifestano atteggiamenti ambigui sugli immigrati e sulle minoranze etniche, sebbene nessuno di essi condivida l’ostilità assoluta contro i “diversi”, propria delle forze di estrema destra.
Questo modo di opporsi alla globalizzazione, a parere di Crouch, dato il punto cui l’internazionalizzazione delle economie nazionali e la pressione consolidatasi in suo favore sono arrivate, rende difficile separare in termini netti le critiche della sinistra da quelle dell’estrema destra non democratica.
In considerazione di ciò, Crouch ritiene che sia compito delle sole forze della sinistra riformista e democratica individuare una possibile prospettiva d’azione, seguendo la quale possa essere esteso il raggio della democrazia, della regolamentazione e delle politiche sociali, al fine di superare lo Stato-nazione e mettere la globalizzazione al servizio di tutti i Paesi del mondo. Deve trattarsi di una prospettiva d’azione che consideri congiuntamente, sia le questioni economiche che quelle di natura culturale e sociale sollevate dall’internazionalizzazione delle economie nazionali; ciò perché, secondo Crouch, vivere nel XXI secolo significa “gestire identità multiple, che vanno dal sentirsi radicati in una piccola comunità fino a raggiungere la dimensione transnazionale”.
Per quanto alle forze della sinistra riformista e democratica sia difficile ricondurre ad una possibile azione politica responsabile uno spettro così ampio di problemi, occorre però che tali forze si pongano l’interrogativo riguardo al modo in cui può essere pensata questa prospettiva, per la realizzazione di un possibile futuro della globalizzazione, che sia al servizio di tutti i popoli del mondo. Ciò significa che questa prospettiva dovrebbe partire dall’assunto che, dopo essere giunta al punto cui ora è pervenuta la mondializzazione delle economie nazionali, non è possibile – afferma Crouch – ritornare a un mondo preglobalizzato, pensando di poter superare facilmente la crisi che inevitabilmente seguirebbe il tentativo di “liquidare” l’attuale interconnessione tra le economie nazionali; è molto più auspicabile e costruttivo, cercare il modo in cui può essere perseguita l’idea di sostituire la sovranità economica nazionale con “una concezione di sovranità riunite per perseguire una migliore regolamentazione trasparente dell’economia globalizzata”.
Le forze della sinistra sono storicamente interventiste; per cui diventa plausibile ipotizzare che quelle tradizionalmente riformiste e democratiche possano opporsi alla “forma neoliberista della globalizzazione”, in favore di una sua regolamentazione sovranazionale; ciò significa però che dovranno essere superati i limiti dello Stato-nazione, per dotare il mondo di un apparato istituzionale in grado di sostituire lo spontaneismo col quale si è svolto sinora il processo di integrazione delle economie nazionali con un’azione regolativa globale, che non sia solo un’azione “concertata” tra i singoli Stati nazionali. Una semplice concertazione non può assicurare una governance politica universalmente condivisa, che in linea di principio può esserlo, solo se stabilita da un sistema politico mondiale dotato di un’identità culturale ben definita; un sistema, però, impossibile da conseguire, a causa della forte eterogeneità valoriale.
In queste condizioni, a livello internazionale, la “global governance” ha potuto essere espressa come attività concertativa delle politiche orientate alla soluzione dei problemi originati dal processo di integrazione economica delle economie nazionali; infatti, a livello internazionale, in assenza di un struttura istituzionale superiore a quella propria dello Stato-nazione, è stato possibile attuare solo un’attività di concertazione delle politiche di intervento nell’economia mondiale, in modo del tutto indipendente da una qualunque forma globale di controllo politico.
La concertazione delle politiche nazionali a livello internazionale è divenuta così la procedura con la quale è stata attuata l’azione unitaria di tutti gli organismi internazionali oggi esistenti che, nati da accordi tra Stati-nazione indipendenti, hanno mostrato una spiccata tendenza a sottrarsi ad ogni forma di controllo democratico. Questa disfunzione è oggi particolarmente avvertita dalle popolazioni degli Stati che maggiormente hanno subito gli effetti negativi della globalizzazione; esse, infatti, avvertono la necessità che la costruzione della “global governance” sia riconducibile a una qualche forma di controllo politico.
A tal fine, alcuni analisti di relazioni internazionali hanno avanzato la proposta di un modello di “governo regionale” della globalizzazione, fondato sull’ipotesi che l’intera area dell’economia mondiale sia suddivisa in subaree regionali (della dimensione, ad esempio, dell’Unione Europea), le quali, in prospettiva, potrebbero essere assunte come punto di riferimento, in sostituzione degli attuali Stati-nazione. Il modello di una “global governance regionale”, tuttavia, dal punto di vista della realizzazione di un effettivo governo democratico dei rapporti tra le aree regionali del mondo, non mancherebbe di presentare gli stessi limiti di una governance mondiale fondata sulla mera concertazione delle politiche dei “vecchi” Stati-nazione.
Allo stato attuale, perciò, la riconduzione della globalizzazione a un possibile governo democratico non può che essere poco probabile; a meno che non si assuma l’attivazione di un sistema di governi democratici regionali, fondata su un “iter processuale” finalizzato a dare corpo ad una ancora inesistente sfera pubblica mondiale, all’interno della quale radicare il riconoscimento della convenienza ad adottare, nella risoluzione dei problemi comuni, procedure democratiche consensuali e condivise, anch’esse risultanti dall’esito del medesimo iter processuale.
Una prospettiva come questa, infatti, non ipotizza la costruzione nell’immediato di un organismo soprannazionale democratico della globalizzazione, ma l’attivazione di un possibile “iter processuale” dal quale derivare gradualmente un possibile esito finale, che risulti strumentale rispetto alla realizzazione, nel lungo periodo, di una governance globale democratica delle varie circoscrizioni regionali del mondo.
La improponibilità della realizzazione immediata di una governance globale democratica è dovuta al fatto che essa presuppone l’adozione di regole valide in astratto per tutti i popoli delle regioni del mondo. Ciò potrebbe implicare, per molti governi regionali, che le regole adottate a livello globale risultino estranee alle loro tradizioni storiche; è questo il motivo per cui viene proposta l’attuazione di un governo globale delle relazioni tra le aree regionali del mondo in una prospettiva temporale molto remota e tale da comportare la considerazione della sua realizzazione come esito finale di un continuo processo di approssimazione.
Il progetto qui immaginato, a sostegno di una globalizzazione al servizio della crescita e dello sviluppo di tutti Paesi del mondo, può essere percepito come surreale e utopistico; a sorreggerlo, però, può essere di conforto la frase seguente di Barbara Wootton: “E’ dai campioni dell’impossibile piuttosto che dagli schiavi del possibile che l’evoluzione trae la sua forza creativa.”

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