Ospedale “San Giovanni di Dio” di Cagliari: quale destinazione?

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lampadadialadmicromicro132Nel recente incontro promosso dal Comitato per la salvaguardia del San Giovanni di Dio il prof. Andrea Loviselli, docente della Facoltà di Medicina dell’Università di Cagliari, ha prospettato per la Struttura un utilizzo ottimale come “Casa della Salute”, coerente evoluzione della situazione esistente, rispondente alle esigenze della popolazione del centro storico e non solo. Abbiamo allora richiesto al dott. Antonello Murgia, medico ed esperto di politiche sanitarie, un parere sulla proposta avanzata dal prof. Loviselli sulla base di una illustrazione degli interventi sanitari sul territorio previsti dalla vigente normativa e dal Piano sanitario regionale. Il dott. Murgia ci ha prontamente inviato il seguente articolo che in estrema sintesi, ma con esemplare chiarezza, ci informa sull’argomento e, di più, aderendo alla proposta del prof. Loviselli, propone un “percorso” attuativo della trasformazione del San Giovanni di Dio in Casa della Salute o, auspicabilmente più avanti, in Ospedale di Comunità. Torneremo presto sull’intera questione, anche per gli aspetti di altra natura, strettamente connessi: piano complessivo di risanamento/ristrutturazione del Complesso San Giovanni di Dio, idee su un utilizzo differenziato, ma compatibile con la realizzazione della Casa della Salute, finanziamento del tutto (fondi europei, fondi delle fondazioni ex bancarie, fondi regionali, fondi di partecipazione dei privati, etc.), costituzione di un’apposita “fondazione di partecipazione” per la gestione (in analogia a quanto realizzato a Firenze). Dunque, a presto (f.m.).
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Ospedale “S. Giovanni di Dio” di Cagliari: quale destinazione?
di Antonello Murgia
E’ da qualche decennio che si teorizza la necessità di superare l’ospedalocentrismo e di avvicinare la sanità ai cittadini, spostando il fulcro dell’intervento sanitario sul territorio. Per fare questo occorre organizzare sul territorio stesso quelle strutture che forniscano ai cittadini l’assistenza che non necessita di ricovero ospedaliero e che sarebbe complicato o comunque svantaggioso erogare a domicilio. Questo filtro si compone di più voci le più importanti delle quali sono la Casa della salute, l’ospedale di comunità, il poliambulatorio, l’ADI (Assistenza Domiciliare Integrata).
La Casa della Salute (CdS) è l’elemento più interessante di una sanità basata sulla centralità del territorio, sia perché ha l’ambizione di riunire nello stesso luogo le attività sociali e sanitarie e, fra queste, le cure primarie, la prevenzione, la riabilitazione, sia perché può includere una parte degli altri servizi che fanno da filtro fra territorio e ospedale. Ne sono state individuate 3 tipologie: la piccola, la media e la grande.
La CdS piccola comprende l’ambulatorio infermieristico e quello di medicina generale, la continuità assistenziale di 12 ore, l’ambulatorio specialistico, l’assistenza sociale, l’accoglienza/punto informativo e il CUP (Centro Unico di Prenotazione).
Nella CdS media, in più, sono contemplati gli ambulatori della medicina di gruppo, l’ambulatorio pediatrico, quello ostetrico, il servizio di guardia medica, il punto prelievi, attività specialistiche ambulatoriali, servizio di ecografia, il coordinamento dell’ADI, le vaccinazioni e le certificazioni ai fini della prevenzione.
La CdS grande prevede, oltre a quanto previsto in quella media, la radiologia non contrastografica, la riabilitazione funzionale, il consultorio familiare/pediatrico di comunità, il CSM (Centro di Salute Mentale), il Servizio di Neuropsichiatria infantile e dell’età evolutiva, il SerT (Servizio per le Tossicodipendenze). Vi vengono inoltre programmati interventi di screening della popolazione: pap-test, mammografie, diagnosi precoce delle neoplasie del colon-retto, etc. Devono inoltre esservi previste delle sale riunioni, sia per gli operatori che per incontri con la popolazione.
L’Ospedale di Comunità (O.d.C.) costituisce anch’esso un’innovazione molto interessante, sia per gli operatori che per i cittadini. La sua funzione è quella di assistere i pazienti che presentano problemi che non hanno bisogno di ricovero ospedaliero, ma che non possono essere assistiti adeguatamente a domicilio per inadeguatezza del domicilio stesso o per la necessità di controllo infermieristico continuativo. Ricovera pazienti che presentano malattie soprattutto croniche, ma anche acute, provenienti sia dall’ospedale che da casa, che necessitano di interventi a bassa intensità clinica. Per risultare economicamente vantaggioso anche nel breve periodo, l’OdC non deve essere realizzato ex novo, ma deve derivare dalla riconversione di posti letto e di strutture già esistenti e non più necessari. La direzione, e questo è uno degli elementi più innovativi, è del medico di medicina generale (pediatra di libera scelta nel caso di O.d.C. pediatrico), venendo così incontro alla preoccupazione di impiegatizzazione/burocratizzazione lamentata da tale categoria, mentre la gestione è dell’infermiere professionale. Il Direttore del Distretto ha invece la responsabilità igienico-organizzativa e gestionale complessiva. Il funzionamento prevede di giorno l’attivazione del responsabile clinico, mentre di notte e nei festivi le necessità di intervento medico verranno coperte dal servizio di continuità assistenziale. Alle emergenze provvede il Sistema di Emergenza-Urgenza territoriale. Il modulo tipo dell’OdC è costituito da un reparto di 15-20 letti. E’ importante sottolineare che l’OdC non rappresenta una alternativa a forme di residenzialità già esistenti (RSA), che hanno il compito di assistere un’altra tipologia di destinatario e con altro tipo di risorse.
E’ un’attività che necessita di una preparazione accurata e, ritengo, di una cultura adeguata, non essendo la centralità del territorio ancora entrata a sufficienza nella mentalità della nostra dirigenza sanitaria regionale, sia come amministratori che come operatori, ma è molto interessante perché può consentire di fornire assistenza a persone fragili e/o con domicilio inadeguato, minimizzando il rischio di istituzionalizzazione e di allontanamento dei soggetti dal loro ambiente e riducendo contemporaneamente i costi economici a carico del Servizio Sanitario ed i costi sociali, che per lo più sono a carico delle famiglie.
I primi esperimenti di OdC risalgono ormai a 20 anni fa in Emilia Romagna per cui ci sono esperienze consolidate cui fare riferimento per implementare al meglio questo tipo di attività anche in Sardegna e in particolare a Cagliari ove non manca la disponibilità degli spazi necessari.
Dati i requisiti richiesti, l’Ospedale S. Giovanni di Dio si presterebbe ottimamente a questo scopo e non necessiterebbe di adattamenti costosi; l’apertura di tale attività si tradurrebbe, in poco tempo, in una sanità più vicina ai cittadini e con costi più contenuti rispetto al modello ospedalocentrico. E’ altrettanto evidente che la cosa non possa essere impiantata dall’oggi al domani e che necessiti di una preparazione accurata, ma va tenuta presente la sua sinergia con la Casa della salute: in entrambi i casi, infatti, risultano centrali il ruolo del medico di medicina generale e di diverse altre figure come l’infermiere professionale (che nell’OdC ricoprirebbe un ruolo di responsabilità in prima persona della gestione di una struttura di ricovero e cura cui è evidente che aspiri e che trovo giusto ricopra in un sistema sanitario moderno), il terapista della riabilitazione, l’assistente sociale, etc. Questo modello di intervento è importante anche per impedire/ritardare quelle disabilità che portano alla non autosufficienza, responsabile di una quota rilevante della crescente spesa sanitaria degli ultrasessantacinquenni. Ritengo che un progetto realistico potrebbe prevedere l’apertura a scadenza abbastanza breve di una Casa della Salute media, con la prospettiva di farla diventare di più grande dimensione man mano che l’attività si consolida, favorendo il lavoro d’equipe e multidisciplinare dei medici e aggiungendo gradatamente i vari servizi che contraddistinguono la CdS grande (radiologia, ADI, SerT, servizi di screening per le malattie a maggiore incidenza, eventualmente il CSM attualmente sistemato in strutture a sé stanti, etc.). Anche il poliambulatorio di v.le Trieste sul quale circolano voci di chiusura, potrebbe, con le relative professionalità, trasferirsi nella CdS al S. Giovanni di Dio. Insomma, il vecchio e glorioso ospedale cittadino potrebbe essere convertito in una struttura moderna che offra prestazioni che avvicinano la sanità ai cittadini, per giunta ad un costo più basso rispetto al modello che stiamo con qualche fatica cercando di superare.
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One Response to Ospedale “San Giovanni di Dio” di Cagliari: quale destinazione?

  1. […] di Franco Meloni Non sono solito frequentare Simposi di medici, infermieri e altri operatori della sanità: uno come me si affida alla scienza medica e a chi la rappresenta nelle diverse sue professioni. Con giudizio (quello del Manzoni: Adelante Pedro, con juicio, si puedes), ovviamente. E tanto basta. Ma la telefonata di alcuni giorni fa dell’amico Paolo Castaldi, presidente dell’Aimos, di cui pure sono consigliere di competenza amministrativa, era perentoria: “Franco devi partecipare al prossimo nostro Convegno di Area critica: parliamo di politiche sanitarie, di nuovi modelli socio-sanitari, di risorse da impiegare, possibilmente bene… questioni che riguardano tutti i cittadini…”. Giocarsi un venerdì sera per un Convegno di sanitari? Se lo dice Paolo ne vale il sacrificio: obbedisco! E così è stato e ne sono contento. Di seguito alcune riflessioni. Non aspettatevi un resoconto, sarebbe troppo impegnativo e peccherebbe di approssimazioni. Meglio – per quanti vogliono approfondire gli argomenti, perchè assenti o magari perchè molto sfugge anche ai più attenti partecipanti – ripercorrere le relazioni e gli interventi ai dibattiti negli “atti” successivi, che l’Aimos metterà a disposizione nel proprio sito web o con altri mezzi di efficace comunicazione. Numerosa e attenta partecipazione, in un clima di cordialità, anche perchè in molti si conoscevano personalmente. Ma, nonostante tutto, ho colto un senso di generale smarrimento davanti allo sciorinare da parte dei relatori di sigle/acronimi/titolazioni che caratterizzano i nuovi programmi socio sanitari, a casaccio: PUA, LEA, LEP, PNRR, ADI, Casa di Comunità, Ospedale di Comunità, COT, PLUS… Tutte appunto contenute nel “Piano regionale dei servizi della persona” e nel “Piano sanitario regionale”. Da perdersi, almeno per un “laico” come me, ma, ripeto, non mi sono sentito solo in questa sensazione. E’ vero che la complessità delle questioni non può essere ridotta e tanto meno banalizzata, ma occorre molta applicazione e studio per orientarsi positivamente nel mare magnum della normativa generale e di specifico riferimento che riguardano un solo grande obbiettivo: l’integrazione Ospedale/Territorio, mettendo al centro la persona, non solo intesa come paziente, da curare quando malato. Per quanto i relatori, tra i quali i dirigenti di vertice della sanità regionale, abbiano fatto meritevoli sforzi per spiegare le novità di un sistema sanitario orientato virtuosamente a migliorare i servizi destinati alla popolazione, non tutto è stato capito, almeno quanto sarebbe necessario. Nell’aria c’era però la volontà di capire e quindi di mettere in pratica le indicazioni delle pianificazioni innovative, nelle molte cose da fare, quando si potranno fare. Per esempio nella realizzazione delle Case della Comunità, le nuove strutture socio-sanitarie che insieme con gli Ospedali di Comunità, strutture sanitarie di ricovero della rete di assistenza territoriale con funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero, entreranno a far parte del Servizio Sanitario Nazionale. Ci è stato detto che tutto è già regolamentato in linee generali (DM 77 del 23 maggio 2022), programmato e perfino finanziato dal PNRR e dai fondi ordinari destinati agli interventi sanitari e socio-sanitari. Ed è qualcosa che già si fa, anche in Sardegna, seppure ancora a carattere sperimentale… Il passato peraltro non è privo di ottime realizzazioni: è stato ricordato come la Sardegna ha costituito un modello di riferimento nazionale per quanto riguarda l’assistenza ai pazienti di area critica. Potrà servire questa esperienza che la crisi pandemica ha rallentato a riprogrammare il nuovo secondo le linee guida dei piani sanitari e socio-sanitari, come detto. Insomma, per non farla lunga: è necessario che al Convegno di oggi ne seguano altri, quanti necessari per presidiare il passaggio dal dire al fare. Eventi che devono vedere il coinvolgimento dei professionisti della sanità, dei politici, delle rappresentanze dei pazienti e dei loro familiari, dei cittadini attivi. Parafrasando un antico detto che si riferiva alla guerra: “La sanità è troppo importante per essere lasciata in mano a sanitari e politici, quantunque questi possano essere ottimi in tutti i sensi! E purtroppo non sempre lo sono. Del copioso materiale prodotto per il Convegno riportiamo solo una slide tratta dall’intervento di Rita Polo, consigliere comunale di Cagliari, che rappresenta efficacemente il “nuovo concetto di salute (One Health, un unica salute) nel contesto in cui tutto è connesso! Torneremo sulle questioni qui solo delineate. ———— Breve spiegazione del titolo. Parafrasando la ripartizione medievale tra chierici e laici, in questo contesto denominiamo laici coloro che non appartengono alle professioni sanitarie e socio sanitarie o comunque a figure professionali dei relativi comparti. ————————— Su Casa della salute e Ospedale di comunità pubblichiamo un intervento di Antonello Murgia, medico ospedaliero in pensione, che nonostante datato mantiene indubbia validità: https://www.aladinpensiero.it/?p=83513 […]

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