DIBATTITO. Quale Governo sostenibile? E noi, quanto contiamo? Certo è che non possiamo stare alla finestra come spettatori. Abbiamo un ruolo come cittadini singoli e organizzati che vogliamo giocare, eccome! Lo spirito giusto è quello indicato da Raniero La Valle nella riflessione che noi riprendiamo e proponiamo
aprendo martedì 22 maggio i lavori dell’Assemblea generale della CEI, il cardinale Bassetti aveva espresso la stima dei vescovi al presidente Mattarella per la “guida saggia e paziente” con cui stava “facendo di tutto per dare un governo all’Italia”. Non è passato un giorno, e Mattarella mercoledì ha dato questo governo all’Italia chiamando al Quirinale, come presidente incaricato, il prof. Giuseppe Conte. In tal modo i milioni di voti delle elezioni di marzo non sono andati al macero, prima ancora di cominciare, e si è visto con gioia che la democrazia, almeno nelle sue forme essenziali, ancora funziona.
I governi sono, come si sa, una delle massime istituzioni politiche del Paese, e quindi sono oggetto di valutazione politica. Tuttavia non è tale valutazione che ora vogliamo suggerire – controversissima com’è – sia perché ognuno faccia la sua, sia perché il governo ancora non si è formato, e nemmeno si ha certezza del suo programma. Infatti, anche se esso è frutto di un “contratto”, ossia di un patto propedeutico e fondativo, il vero programma del governo, sul quale dovrà essere giudicato, sarà quello proposto al Parlamento all’atto di chiederne la fiducia; ed è evidente ad esempio che su temi delicatissimi in cui tutta la nostra cultura e la nostra etica sono in gioco, come i temi dei migranti, dell’ordine pubblico, della difesa personale, della giustizia, delle carceri, dei diritti civili, della libertà di religione e simili, è molto diverso che a indicare propositi e traguardi siano Conte o Salvini; tanto più in Italia quando al presidente del Consiglio l’art. 95 della Costituzione attribuisce ruolo e responsabilità di guida e di sintesi delle politiche di governo nell’unità dell’indirizzo politico, e ancor più quando sappiamo che sull’osservanza dell’art. 95 come degli altri principi costituzionali, c’è qualcuno, lassù (sul colle) che con la stima di tutti, ed anche dei vescovi, vigila.
Questa osservazione preliminare che riguarda la sostanza della futura azione di governo, ci riconcilia anche un po’ con la caduta di stile che si è avuta nel metodo della sua formazione, perché ci mostra che il braccio di ferro tra i due leaders delle forze contraenti del Patto su chi dovesse averne la guida, con la conclusione salomonica che non l’avesse nessuno dei due, non era una questione di poltrone, di ambizioni infantili o di libidine del potere, per cui meritassero di essere svillaneggiati, ma era una grande questione politica.
Ciò premesso, pur non entrando ora nel merito del giudizio politico, si possono dire alcune cose che attengono al sistema. Anzitutto bisogna riconoscere che quella che sta nascendo è una cosa nuova, e perciò saremmo ben poco attrezzati a capirla se insistessimo a giudicarla con le categorie vecchie, con i formulari d’uso, con i nostri criteri di sempre, le nostre sentenze già date, senza vedere nulla, anche se c’è, al di là delle cose già giudicate e già note.
Come dice il cardinale Bassetti è venuto invece “il momento di cogliere la sfida del nuovo che avanza nella politica italiana”, per riesaminare noi stessi e rinnovare la nostra pedagogia e il nostro discorso politico.
Per esempio è chiaro che non si può giudicare questa nuova compagine di governo dentro lo schema destra-sinistra. E ciò perché siamo in una fase in cui i codici identificativi della sinistra si sono perduti, e ancora non ne sono stati elaborati di nuovi. La sinistra, pur nelle sue diverse forme, è stata nel Novecento indissolubilmente legata al grande fenomeno storico del marxismo e del movimento operaio: perfino la teologia della liberazione è stata accusata di questo. Di fatto quel canone di lettura della storia introdotto dal marxismo è stato per tutti ineludibile, anche nella forma della sua negazione, anche nell’atteggiarsi dei suoi avversari: altrimenti Craxi non avrebbe sentito il bisogno di tirar fuori Proudhon per liberarsi di Marx, ed anche Keynes non ne era così immune. Venuto ora meno il marxismo, anche i pensieri forti si sono eclissati e perciò oggi non c’è niente di più generico e liquido della sinistra. Ciò non vuol dire che allora non ci rimane che la destra, ma vuol dire che per la sinistra e il suo indispensabile ruolo per mettere in discussione il mondo com’è, quello che ora ci vuole è un pensiero, un libro, un manifesto, e ancora non c’è; o forse c’è ma non ce ne siamo accorti, forse sta nella Laudato sì, ma “l’avranno letta?” si chiede Mario Agostinelli e il gruppo di Milano.
Perciò se in tale situazione volessimo giudicare il nascente governo nella griglia della giustapposizione destra-sinistra, non ne verremmo a capo, come mostrano i giornalisti allibiti e spiazzati che si aggirano nelle vociferazioni televisive. A voler usare quel criterio c’è la sorpresa di scoprire che questo governo nasce con tutta la destra rudemente contro, da Forza Italia alla Meloni alla Confindustria, e invece è senza opposizione a sinistra, se si esclude il piccolo drappello di Liberi ed Eguali, mentre il PD è fuori scrutinio, non tracciabile, fermo com’è, per infortunio sul lavoro, a Rignano. Tutto questo dipende forse dal fatto che l’origine di quanto ora accade più che nelle elezioni del 4 marzo sta nella vittoria del referendum costituzionale del 4 dicembre: e questa è una bella rassicurazione contro il timore che questo inusuale governo, ultimo arrivato e oggetto sconosciuto, metta a rischio la democrazia.
Del resto gli eventi del passato ci insegnano che la democrazia non è a rischio per un singolo atto o un singolo evento; in Italia tra l’accesso del fascismo al potere e le leggi razziali non ci fu alcuna immediatezza, di mezzo ci fu la legge Acerbo e milioni di atti e di scelte, personali e collettive, ivi compreso il Concordato e la deriva cattolica, che lastricarono la strada dall’incarico a Mussolini alle leggi razziali ed oltre.
Perciò, per restare a considerazioni di sistema, bisogna dire che il futuro non sta solo nelle mani del governo e dei suoi ministri, sta anche nelle nostre mani, e noi lo dobbiamo prendere in carico, lo dobbiamo costruire. La ricreazione è finita, la politica non è l’eterno spettacolo a cui assistiamo “da casa” nei talk-show televisivi che ai padroni dell’etere costano meno delle soubrettes (che almeno si fanno pagare) e che nella distrazione generale danno ai veri poteri licenza di fare quello che veramente conta, costruire una portaerei o firmare un Trattato, precostituendo come eretici coloro che domani, accorgendosi di pagarne il prezzo, oseranno criticarlo.
Per questo ci sembra molto bello il richiamo fatto dal cardinale Bassetti secondo cui non basta avere un governo, ci vuole l’impegno pubblico, come quello di migliaia di persone disinteressate che nei comuni “reggono le sorti della nostra democrazia”; perché, come ha detto, la partita non è persa, le radici sono buone e il Paese è più sano di come lo si dipinge, non siamo allo sbando o alla deriva, ma c’è ancora molta disponibilità al bene comune.
Richiamo rivolto anche ai cattolici italiani che, nella dimensione politica, vengono dall’appello ai Liberi e Forti di Luigi Sturzo, e oggi appaiono inerti: “Dove sono le nostre intelligenze, dove sono le nostre passioni?” chiede il cardinale. Il papa Francesco ha aperto “spazi enormi”, “ma sono spazi vuoti se non li abitiamo”, mentre traboccano le tragedie di questa umanità nella quale siamo chiamati a vivere. “Finalmente – scrive Valerio Onida di questo intervento del presidente dei vescovi – una parola pacata e serena, di speranza e di incoraggiamento, pur nella piena consapevolezza di tutte le degenerazioni e i rischi”.
Perciò anche noi siamo invitati alla speranza, e ad operare senza prepotenze e sciatteria, “a voce bassa”. Con in più questo annuncio importante che ha dato il cardinale: si sta preparando un incontro tra i vescovi del Mediterraneo perché emerga, tra i soggetti che stanno facendo la storia, un soggetto che oggi non c’è ed è il più sofferente di tutti, il soggetto che è il Mediterraneo, che sono i popoli del Mediterraneo, la cui voce e il cui spirito vengono da lontano, e da cui può venire ora una potente ed universale proposta di pace.
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SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » POLITICA
Governo. Vescovi all’attacco su fat tax, Europa, migranti
di MARINA DELLA CROCE
il manifesto, 25 maggio 2018, ripreso da eddyburg. Una ferma risposta negativa a quei governanti che vorrebbero addossare ai più poveri e agli esclusi il prezzo delle politiche di destra delle formazioni giallo-verde-nero che si sono impossessate del Parlamento. Con commento di eddyburg (e.s.)
Non c’è dubbio: la politica italiana è ridotta a un livello così basso di uguaglianza e democrazia, ed è così ricca di lesione continua dei principi essenziali di buongoverno e di attenzione agli interessi del popolo, che solo dal mondo cattolico si possono ascoltare voci autorevoli di critica. Gli esclusi e gli oppressi sono ancora incapaci di esprimersi nelle forme della protesta sociale e politica. La tacita intesa tra destra, centro ed ex sinistra è così forte da rendere quello attuale il primo parlamento senza opposizione della storia d’Italia (e.s.)
il manifesto, 25 maggio 2018, ripreso da eddyburg.
Governo. Vescovi all’attacco su flat tax, Europa, migranti
di Marina Della Croce
No alla flat tax e massima attenzione sia all’Europa che a come il governo che sta per nascere si comporterà con i migranti. «Ci sono principi irrinunciabili», mandano a dire i vescovi italiani al premier incaricato Giuseppe Conte, la cui vicinanza agli ambienti vaticani è ovviamente apprezzata ma non certo sufficiente ad allontanare i tanti dubbi che circondano la maggioranza che lo sostiene.
Dopo le perplessità sollevate dall’Unione europea e dopo la bocciatura del Contratto da parte di Confindustria, pesanti interrogativi sul nascente esecutivo giallo verde arrivano questa volta dalla Conferenza episcopale italiana. «Vigileremo» su quanto verrà fatto nel prossimo futuro, avverte il presidente della Cei, il cardinale Giuseppe Bassetti. «Saremo la coscienza critica» del governo.
E’ esteso l’elenco dei punti del Contratto che preoccupa i vescovi, delusi anche dai tempi lunghi che hanno portato alla formazione dell’esecutivo. «Una lunga vacanza», la definiscono, che altro non ha fatto che aggravare i problemi già esistenti. L’attenzione per la persona, ma anche la Costituzione, «la scelta chiara per la democrazia, l’Europa e i migranti», avverte Bassetti, sono tutti paletti ai quali la Chiesa non intende rinunciare. Ma i vescovi fanno di più, ed entrano nel merito di alcune delle decisioni già annunciate. A partire da quelle economiche, con una critica precisa alla flat tax: «Non ci possono essere tagli per tutti genericamente ma solo per le fasce per le quali è necessario – spiega Bassetti -. Ci sia una maggiore tassazione sulle attività speculative».
I migranti sono un altro di quegli argomenti che sollevano maggiore allarme tra i vescovi. In questi settimane hanno sentito parlare di rimpatri di massa, dell’intenzione di costruire nuovi centri di identificazione ed espulsione insieme agli attacchi alle politiche seguite fino a oggi da Bruxelles. Ancora ieri, commentando i dati forniti dal Viminale relativi alla forte flessione registrata negli sbarchi (-79% rispetto al 2017) e alle 7.000 espulsioni effettuate, il leader della Lega Matteo Salvini ha chiesto un aumento dei rimpatri. E promesso: «Presto la musica cambierà». Certo, si tratta di parole buone per scaldare gli animi durante un comizio a Pontida, anche perché certe promesse sono difficili da mantenere, ma che comunque, almeno in parte, domani potrebbero realizzarsi. E per questo allarmano la Cei la cui posizione in merito non a caso è stata ricordata solo qualche giorno fa dal suo segretario generale, monsignor Nunzio Galantino, quando si è detto preoccupato da chi fa delle politiche del rifiuto la sua bandiera.
Bassetti ha infine rivolto un appello per un impegno dei cattolici in politica. Un partito unico come nel passato modello Democrazia Cristiana? «Non sta alla Chiesa dare soluzioni», risponde, ma allo stesso tempo fa notare come la stagione dei cattolici divisi in partiti diversi «non abbia dato grandi frutti» e sia comunque «superata». «Per la società oggi – dice il presidente della Cei – è necessario il pensiero dei cattolici, ma se non lo esprimono insieme rischia di essere inefficace». Per questo «occorre investire di più in formazione politica». Un progetto che potrebbe addirittura ripartire dalle parrocchie, come suggerito negli ultimi tempi da analisti del mondo cattolico.
Il presidente Cei parla anche della legge 194, a quarant’anni dalla sua emanazione: «Come Chiesa ne abbiamo visti sempre i limiti ma non era una legge a favore dell’aborto, e comunque bisogna apprezzare certi punti rispetto al relativismo totale sull’embrione e sulla vita. Lì ci sono comunque indicati dei paletti».
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Segnali d’allarme
23 maggio 2018
di Ottavio Olita su il manifesto sardo
I democratici che antepongono il rispetto delle regole condivise, fissate dalla Costituzione, alla propria appartenenza partitica comunque legittima, dovrebbero allarmarsi e far sentire la propria voce autonoma in questo convulso e lungo periodo postelettorale caratterizzato da segnali inquietanti. Il primo e più grave è dato dalla volontà di condizionamento che la finanza internazionale cerca di esercitare sul futuro politico italiano. E non sono tanto le dichiarazioni di commissari europei o di ministri di altri Stati dell’UE, quanto l’azione delle banche e delle borse.
Se lo spread balza a 190 punti quando ancora l’ipotetico nuovo governo Cinquestelle-Lega non può aver deciso alcun provvedimento perché non ancora insediato (ed essendo finora solo ipotizzato), quale valore ‘economico’ si può attribuire a questo dato? Se si ragionasse correttamente si dovrebbe dire che il balzo dello spread e il calo delle borse sono il risultato delle politiche del governo ancora insediato e che si occupa degli ‘affari correnti’. E’ facile, dunque, dedurre che quelle cifre e quei valori sono dettati da scelte politiche che di ‘economico’ non hanno proprio nulla.
Io sono lontanissimo dalla Lega e osservo criticamente l’azione dei Cinque Stelle, ma la mia coscienza democratica mi impone di rispettare la volontà popolare. Se sono onesto con me stesso e con chi la pensa come me, dovrei impegnarmi in un’analisi approfondita della pesante sconfitta subita dalla sinistra nel suo complesso, anche per evitare, in un prossimo futuro, un’ulteriore pesante batosta.
Invece stiamo assistendo al fastidioso teatrino degli attacchi preventivi, dei pronunciamenti su quello che fanno gli altri, quando non si vanno a fare le pulci alla condizione professionale e umana dei soggetti politici indicati dagli altri, dopo aver rimosso qualunque tentativo di critica interna.
Mi riferisco, in particolare, al modo in cui è stato trattato il professor Conte, indicato dai Pentastellati e dai Leghisti alla carica di Presidente del Consiglio. Prima è stato attaccato il suo curriculum, poi la sua azione di difensore de quei genitori che, per curare la loro figlia, fecero ricorso al ‘metodo stamina’.
Sul curriculum sarebbe stato meglio non avventurarsi su un terreno minato, dati i precedenti rappresentati, ad esempio da Matteo Renzi (grandi percorsi di studio e professionali!) o dalla Ministra dell’Istruzione Fedeli (quale laurea?).
Sull’attività svolta dal professor Conte quale difensore non sarebbe difficile confrontare quell’esercizio di un diritto costituzionale con altri che hanno visto impegnati avvocati poi diventati parlamentari o ministri, in casi ben più gravi per il danno alla collettività: processi per corruzione, concussione, compravendite illegali, induzione e sfruttamento della prostituzione, e tanto altro.
Una forte coscienza democratica dovrebbe ribellarsi a tutto questo e dovrebbe pretendere un ritorno alla politica fatta per il bene collettivo, non per ostacolare gli avversari che hanno vinto proprio per colpa delle politiche sbagliate soprattutto in merito al lavoro, all’Europa, alla tutela dei diritti.
E se si tollerano, senza protestare, tante illecite ingerenze, sarà difficile in futuro protestare quando questa stessa azione di sbarramento verrà esercitata contro un altro governo democratico, possibilmente di sinistra, visto con diffidenza dai poteri forti, dalle banche, dal mondo finanziario che non solo è diventato padrone delle nostre scelte politiche, ma ormai vuole anche affermarlo pubblicamente perché non ha più interesse a tenerlo nascosto.
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