Valore Lavoro

copia-di-eu_direct_loc_4-5_ottobre_ok_001-2_2_21-2DOPO IL CONVEGNO SUL LAVORO DEL 4-5 OTTOBRE 2017 Quali linee di attività, filiere produttive, ruolo del pubblico e del privato, professioni, tipo di istruzione, prospettive di impresa per creare occupazione e sviluppo locale in Sardegna? Convegno-Dibattito Cagliari, venerdì 1 dicembre 2017 Hostel Marina, scalette San Sepolcro.
convegno
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COMUNICAZIONE di Franco Meloni
Alla fine dello scorso mese di ottobre si è svolta a Cagliari la 48a Settimana sociale dei Cattolici italiani sul tema “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo, solidale” (26-29 ottobre, sito web http://www.settimanesociali.it). E’ stato un importante evento, molto partecipato (1000 delegati di 225 Diocesi italiane e oltre 200 invitati, con ampia rappresentanza della Gerarchia della Chiesa italiana e del Governo italiano ), di interessanti contenuti e ottimamente organizzato (http://www.laciviltacattolica.it/articolo/la-48a-settimana-sociale-dei-cattolici-italiani/). Le conclusioni formali sono state sintetizzate in 7 “proposte”: 4 indirizzate al Parlamento e al Governo italiano (http://www.settimanesociali.it/wp-content/uploads/2017/10/Settimane-Sociali-Le-quattro-proposte-della-Chiesa-al-governo.pdf); 3 indirizzate all’Unione Europea (http://www.settimanesociali.it/wp-content/uploads/2017/10/Slide-proposta-europea.pdf)*. Tutte proposte di rilevante importanza e utilità, tuttavia “riduttive” rispetto alla ricchezza di contenuti e idee propositive che hanno caratterizzato la Settimana, probabilmente anche in conseguenza della destinazione “istituzionale” prescelta per le stesse, giocoforza iscritte nel quadro istituzionale dato e pertanto nelle relative compatibilità. Non è un caso, per esempio, che non si citi la necessità di investire nell’economia sociale e solidale, peraltro ben presente in alcune relazioni del Convegno, sia pur non si può pretendere dalla Chiesa italiana indicazioni radicali di fuoriuscita dal capitalismo, ma, più semplicemente, è giusto aspettarsi che la stessa cerchi il più possibile di corrispondere ai forti indirizzi di Papa Francesco (https://www.aladinpensiero.it/?p=64740), che criticano senza ambiguità le impostazioni dell’economia neo-liberista attualmente egemoni su grande parte del pianeta.
Due grandi limiti: 1) la scarsa attenzione sulle problematiche della Sardegna (ma la scadenza era nazionale/italiana e l’organizzazione fortemente accentrata nella CEI-Conferenza dei Vescovi italiani) niente affatto mitigata dagli interventi del Sindaco di Cagliari (divertente) e del presidente della Regione (deprimente); 2) la mancanza di attenzione sulla questione del Reddito di Cittadinanza/Reddito di inclusione sociale e dintorni, che pure è argomento di grande attualità (tanto che il nostro Comitato, dando seguito alle riflessioni fatte in argomento nel nostro Convegno, ha in programma di organizzare un’apposita iniziativa di studio e proposta). Da sottolineare e da valorizzare da parte del nostro Comitato di Iniziativa Costituzionale l’indirizzo Costituzionalmente ispirato assunto dalla Chiesa italiana per “…una rinnovata politica come presenza laicale nelle attività temporali in fedeltà alla attuazione dei principi costituzionali (…)” con la pratica di un “metodo sinodale” che “raccorda esperienze diverse orientate a dare risposta ai bisogni della gente e specificamente al bisogno di lavoro. Da questa realtà già esistente in forme variegate, ma connesse fra loro delle modalità di impegno di varie associazioni e movimenti si può sviluppare una unità operativa che nasce dal fermento evangelico (…) coinvolgendo nell’azione persone di buona volontà anche se provengono da esperienze culturali differenti. Qualcosa di simile è accaduto con il contributo dei parlamentari cattolici nella stesura della nostra costituzione repubblicana” [citazione da documenti ufficiali della Settimana Cattolica].
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*Le sette proposte operative
Sono in tutto sette le proposte operative che la Settimana Sociale dei cattolici italiani mette dunque sul tappeto della politica. Tutte si iscrivono nella prospettiva di un patto tra le generazioni che non è volto semplicemente a creare lavoro, ma ad assicurare ai giovani un’occupazione “degna” e di “qualità”. Perché per i cattolici il “lavoro che vogliamo” non è tutto uguale, come non è indifferente il modello di sviluppo. E non da oggi: «ardua cosa è segnare i precisi confini nelle relazioni tra proprietari e proletari, tra capitale e lavoro» scriveva già Leone XIII nel 1891.
[1] La prima, tra quelle indirizzate al governo, punta ad affrontare la questione attraverso un investimento sulla formazione professionale. Scommette sugli Its e tifa per il sistema duale scuola-lavoro. Il premier Gentiloni l’ha accolta, ma ora dovrà esprimersi il Parlamento, in sede di esame della legge di bilancio. Questa richiesta discende da una lettura coraggiosa dei tempi che viviamo: seppur implicitamente, propone di investire meno sull’università e più sulla «filiera formativa professionalizzante». Qualcuno si straccerà le vesti, ma sono in ballo quasi 300mila posti di lavoro che non sono stati assegnati per mancanza di offerta. Meglio un diplomato che lavora di un laureato a spasso.
[2] La seconda proposta è quella di allargare il bouquet dei Piani individuali di risparmio alle imprese non quotate «che rispondano a precise caratteristiche di coerenza ambientale e sociale». Su questo punto, Gentiloni è stato ancor più generoso, perchè la materia è già oggetto di revisione e la richiesta di Cagliari va nella direzione su cui lavora il governo. Al di là di tale convergenza, questa richiesta ci permette di enucleare il vero filo rosso di Cagliari, rappresentato dalla sostenibilità ambientale e dalla condanna del dumping sociale. Non è un omaggio alle mode del momento, ma un’evoluzione della Dottrina Sociale, con un solido fondamento teologico e antropologico.
Non casualmente, ritorna nella [3] terza e nella [4] quarta proposta, laddove si chiede di riformare il Codice dei contratti pubblici e di rimodulare le aliquote Iva per le imprese; nel primo caso «potenziando i criteri di sostenibilità ambientale» e «inserendo tra i criteri reputazionali i parametri di responsabilità sociale, ambientale e fiscale, con certificazione di ente terzo»; nel secondo caso «rispettando criteri ambientali e sociali minimi», anche «per combattere il dumping sociale». Il premier si è mostrato più possibilista sulla prima misura e non solo perché sulla seconda incombe una revisione in sede comunitaria. È evidente, infatti, la portata politica di una riforma tributaria con cui lo Stato – e in prospettiva l’Europa, con clamorose ricadute sui commerci internazionali – si troverebbe impegnato a cambiare il mondo partendo dal portafoglio dei consumatori.
[5] La sostenibilità ambientale e sociale ovviamente caratterizza anche le richieste avanzate al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, il quale le ha accolte con maggiore entusiasmo, anche perché misure come l’armonizzazione fiscale e l’eliminazione dei paradisi fiscali interni all’Ue, [6] l’aumento degli investimenti infrastrutturali e produttivi (anche privati) e l’adeguamento del loro trattamento nelle discipline di bilancio non dipendono solo dall’assemblea di Strasburgo. [7] Per non dire dell’integrazione nello statuto della BCE «del parametro dell’occupazione accanto a quello dell’inflazione come riferimenti per le scelte di politica economica», che costituisce la terza proposta di carattere comunitario avanzata dalla Settimana Sociale. (Paolo Viana su Avvenire del 30 ottobre 2017 https://www.avvenire.it/economia/pagine/settimana-sociale-cagliari-le-conclusioni)
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Economia Sociale e Solidale e impegno per il rafforzanento del Terzo Settore
Dagli atti (in corso di realizzazione) del Convegno sul Lavoro organizzato dal CoStat
Tavola rotonda su Economia Sociale e Solidale 4 ottobre 2017
Intervento introduttivo di Franco Meloni

Abbiamo inserito tra i contenuti del nostro Convegno la tematica dell’Economia Sociale e Solidale per due ragioni: 1) perchè costituisce un settore – meglio definirlo un “mondo” – che dà molto lavoro, oggi tra quelli di maggiore espansione; 2) perchè richiama l’esigenza e in certa parte la realizza, praticandola, di una “nuova economia” diversa da quella di mercato, con cui allo stato convive, pretendendo in alcuni ambiti di esserne alternativa, fino a preconfigurarne un radicale superamento (ma questa “pretesa” potremo iscriverla a una visione utopica delle prospettive dell’economia, sia al livello di singoli paesi o contesti omogenei, sia rispetto a dimensioni planetarie).
Al riguardo ci piace riprendere alcuni concetti definitori dell’Economia sociale e Solidale da uno dei siti più accreditati (http://www.socioeco.org/)

Economia Sociale e Solidale: un’altra visione dell’economia
1. Di fronte agli effetti devastanti di una globalizzazione predatoria dal punto di vista sociale, umano e ambientale, si impone la necessità di una nuova economia che possa produrre nuovi rapporti sociali e una relazione privilegiata con il pianeta. Alcuni autori fanno riferimento a una transizione necessaria da un modello globale unico basato sulla crescita economica e su un indebitamento sempre più elevato unito al saccheggio delle risorse naturali, verso una federazione decentralizzata di economie sociali e ambientaliste.

2. Le finalità economiche e sociali dell’economia sociale e solidale: creazione di nuovi mercati, risposta a nuovi bisogni sociali, creazione di posti di lavoro, inclusione sociale, rafforzamento del capitale sociale… perseguono complessivamente un grande progetto politico di democratizzazione dell’economia.
Alcuni autori come Jean-Louis Laville (1999) definiscono l’Economia Sociale e Solidale (ESS) come «l’insieme delle attività che contribuiscono alla democratizzazione dell’economia a partire dall’impegno civile».

Emerge allora una scelta di radicale alternativa rispetto alla classica concezione dell’economia di mercato, che oggi è dominata dalla sua versione neo-liberista. Ci piace osservare come tale concezione, purtroppo egemone in quasi tutto il pianeta, contrasti con i principi della nostra Costituzione.

Costituzione della Repubblica Italiana
Articolo 42
La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.

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Fatta questa premessa vediamo ora il contesto organizzativo in cui concretamente si manifesta e pratica l’economia sociale e solidale, cioè il Terzo Settore, avvertendo che lo stesso non ne è il sistema organizzativo esclusivo, tuttavia il più rilevante.

Il Terzo Settore in Italia: definizione, dimensioni e complessità
Il Terzo Settore (TS) è costituito da un insieme, vasto ed eterogeneo, di aggregazioni collettive (associazioni, gruppi, comitati, cooperative, fondazioni, enti, ect). Può essere così definito:

“Complesso di soggetti/enti privati che si pongono all’interno del sistema socio-economico, collocandosi tra Stato e Mercato e che sono orientati alla produzione di beni e servizi di utilità sociale per soddisfare bisogni a cui né lo Stato né il mercato privato sono in grado di dare risposta. I destinatari dei servizi offerti nel TS sono l’enorme fetta di popolazione che rimane scoperta dall’assistenza pubblica e che non si può permettere di rivolgersi a un mercato sempre più caro” .
(Bruni, Zamagni, 2009; Weisbrod, 1977 e 1988; Hansmann, 1980).

La complessità del TS è rilevata da due fondamentali documenti che sono il Libro bianco sul TS (Zamagni, 2011) e il Terzo Censimento del non profit (Istat, 2013). Il primo, curato dal Prof. S. Zamagni, allora presidente dell’Agenzia per il TS, descrive lo stato di salute del non profit italiano, i suoi punti di forza e i nodi da sciogliere:

“La chiamano l’altra economia. È quella prodotta dal sistema del TS che arriva ormai a sfiorare il 5% del Pil, occupando in forma retribuita 750.000 persone e 3.300.000 volontari” (Zamagni, 2011).

Il Libro bianco sottolinea che con 4 milioni di operatori, pari al 18% del totale dei lavoratori italiani, il non profit rappresenta il ‘contenitore sociale’ più grande in Italia: l’età media si aggira intorno ai 40 anni, il 60% è costituito da donne e quasi l’80% delle organizzazioni censite si è costituito negli ultimi vent’anni, a testimonianza della forte espansione che ha caratterizzato l’intero settore.

Il Terzo Censimento del non profit (il primo è del 1999, il secondo del 2001) fornisce la rappresentazione organica più aggiornata della dimensione nazionale del non profit che fotografa i dati al 31 dicembre 2011:
esso è costituito da 301.000 organizzazioni (+ 28% rispetto al 2001) ed i privati collegati al mondo non profit (volontari, dipendenti, altro) sono 5.700.000 (+46% rispetto al 2001). In particolare, sono due i segmenti più dinamici: quello a orientamento imprenditoriale (cfr. le 11.264 cooperative sociali quasi raddoppiate) e quello della filantropia (cfr. le 6.220 fondazioni più che raddoppiate) che sempre più si orienta anch’essa in senso produttivo.
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Campi di intervento.
Gli Enti del Terzo Settore perseguono finalità di interesse generale. La definizione di “interesse generale” è volutamente ampia: sono comprese le attività nel campo dell’assistenza sociale e sanitaria, dell’arte e della cultura, della ricerca e della formazione, dell’ambiente e degli animali, dello sport e del tempo libero, della tutela dei diritti civili, e ovviamente della cooperazione internazionale.

Per quanto riguarda i dati regionali, il non profit cresce soprattutto nel Nord e nel Centro Italia, con punte più alte di presenza e attività in Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Lazio.
Quasi la metà dei dipendenti impiegati nelle istituzioni non profit (46,9%) è concentrata in Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna.
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Fonte: Il terzo settore quale volano per l’economia dei territori
Aldo Cavadini1
1 Fondazione Sodalitas, Milano, e-mail: aldo.cavadini44@gmail.com.

Addetti e volontari per regione/provincia autonoma e ripartizione geografica. Censimento 2011, valori assoluti e rapporto di incidenza sulla popolazione. Sardegna (tra parentesi Italia)
Addetti v.a.
16.976 (680.811)
Per 10mila ab.
104 (115)
Volontari v.a.
140.794 (4.758.622 )
Per 10mila ab.
859 (801)
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Fonte: ISTAT. LA RILEVAZIONE SULLE ISTITUZIONI NON PROFIT: UN SETTORE IN CRESCITA

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DOCUMENTAZIONE. Tavolo tematico Economia sociale e solidale

DECRETO LEGISLATIVO 3 luglio 2017, n. 117
Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106. (17G00128) (GU Serie Generale n.179 del 02-08-2017 – Suppl. Ordinario n. 43) – Entrata in vigore del provvedimento: 03/08/2017
(…)
Art. 1

Finalità ed oggetto

1. Al fine di sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona, a valorizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione degli articoli 2, 3, 4, 9, 18 e 118, quarto comma, della Costituzione, il presente Codice provvede al riordino e alla revisione organica della disciplina vigente in materia di enti del Terzo settore.

Art. 2

Principi generali

1. E’ riconosciuto il valore e la funzione sociale degli enti del Terzo settore, dell’associazionismo, dell’attività di volontariato e della cultura e pratica del dono quali espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne è promosso lo sviluppo salvaguardandone la spontaneità ed autonomia, e ne è favorito l’apporto originale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, anche mediante forme di collaborazione con lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali.
(…)
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Il Codice del Terzo settore è legge. Cosa cambia con il grande “riordino”
CSVnet 02 Ago 2017 Scritto da Stefano Trasatti

PRIMO: vengono abrogate diverse normative, tra cui due leggi storiche come quella sul volontariato (266/91) e quella sulle associazioni di promozione sociale (383/2000), oltre che buona parte della “legge sulle Onlus” (460/97).

SECONDO: vengono raggruppati in un solo testo tutte le tipologie di quelli che da ora in poi si dovranno chiamare Enti del Terzo settore (Ets). Ecco le sette nuove tipologie: organizzazioni di volontariato (che dovranno aggiungere Odv alla loro denominazione); associazioni di promozione sociale (Aps); imprese sociali (incluse le attuali cooperative sociali), per le quali si rimanda a un decreto legislativo a parte; enti filantropici; reti associative; società di mutuo soccorso; altri enti (associazioni riconosciute e non, fondazioni, enti di carattere privato senza scopo di lucro diversi dalle società).
Restano dunque fuori dal nuovo universo degli Ets, tra gli altri: le amministrazioni pubbliche, le fondazioni di origine bancaria, i partiti, i sindacati, le associazioni professionali, di categoria e di datori di lavoro. Mentre per gli enti religiosi il Codice si applicherà limitatamente alle attività di interesse generale di cui all’esempio successivo.
Gli Enti del Terzo settore saranno obbligati, per definirsi tali, all’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore (già denominato Runts…), che farà quindi pulizia dei vari elenchi oggi esistenti. Il Registro avrà sede presso il ministero delle Politiche sociali, ma sarà gestito e aggiornato a livello regionale. Viene infine costituito, presso lo stesso ministero, il Consiglio nazionale del Terzo settore, nuovo organismo di una trentina di componenti (senza alcun compenso) che sarà tra l’altro l’organo consultivo per l’armonizzazione legislativa dell’intera materia.

TERZO: vengono definite in un unico elenco riportato all’articolo 5 le “attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale” che “in via esclusiva o principale” sono esercitati dagli Enti del Terzo settore. Si tratta di un elenco, dichiaratamente aggiornabile, che “riordina” appunto le attività consuete del non profit (dalla sanità all’assistenza, dall’istruzione all’ambiente) e ne aggiunge alcune emerse negli ultimi anni (housing, agricoltura sociale, legalità, commercio equo ecc.).
Gli Ets, con l’iscrizione al registro, saranno tenuti al rispetto di vari obblighi riguardanti la democrazia interna, la trasparenza nei bilanci, i rapporti di lavoro e i relativi stipendi, l’assicurazione dei volontari, la destinazione degli eventuali utili.
Ma potranno accedere anche a una serie di esenzioni e vantaggi economici previsti dalla riforma: circa 200 milioni nei prossimi tre anni sotto forma, ad esempio, di incentivi fiscali maggiorati (per le associazioni, per i donatori e per gli investitori nelle imprese sociali), di risorse del nuovo Fondo progetti innovativi, di lancio dei “Social bonus” e dei “Titoli di solidarietà”.
Senza contare che diventano per la prima volta esplicite in una legge alcune indicazioni alle pubbliche amministrazioni: come cedere senza oneri alle associazioni beni mobili o immobili per manifestazioni, o in comodato gratuito come sedi o a canone agevolato per la riqualificazione; o incentivare la cultura del volontariato (soprattutto nelle scuole): o infine coinvolgere gli Ets sia nella programmazione che nella gestione di servizi sociali, nel caso di Odv e Aps, “se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato”.
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Un esempio di incentivazione e collaborazione da parte delle Pubbliche Amministrazioni nei confronti degli Enti del Terzo Settore, previsto dalla recente legge di riordino

ARTICOLO 71 (Locali utilizzati)
1. Le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.
2. Lo Stato, le Regioni e Province autonome e gli Enti locali possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, agli enti del Terzo settore, ad eccezione delle imprese sociali, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali. La cessione in comodato ha una durata massima di trent’anni, nel corso dei quali l’ente concessionario ha l’onere di effettuare sull’immobile, a proprie cura e spese, gli interventi di manutenzione e gli altri interventi necessari a mantenere la funzionalità dell’immobile.
3. I beni culturali immobili di proprietà dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli altri enti pubblici, per l’uso dei quali attualmente non è corrisposto alcun canone e che richiedono interventi di restauro, possono essere dati in concessione a enti del terzo settore, che svolgono le attività indicate all’articolo 5, comma 1, lettere f), i), k), o z) con pagamento di un canone agevolato, determinato dalle amministrazioni interessate, ai fini della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione a spese del concessionario, anche con l’introduzione di nuove destinazioni d’uso finalizzate allo svolgimento delle attività indicate, ferme restando le disposizioni contenute nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. La concessione d’uso è finalizzata alla realizzazione di un progetto di gestione del bene che ne assicuri la corretta conservazione, nonché l’apertura alla pubblica fruizione e la migliore valorizzazione. Dal canone di concessione vengono detratte le spese sostenute dal concessionario per gli interventi indicati nel primo periodo entro il limite massimo del canone stesso. L’individuazione del concessionario avviene mediante le procedure semplificate di cui all’articolo 151, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Le concessioni di cui al presente comma sono assegnate per un periodo di tempo commisurato al raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa e comunque non eccedente i 50 anni.
4. Per concorrere al finanziamento di programmi di costruzione, di recupero, di restauro, di adattamento, di adeguamento alle norme di sicurezza e di straordinaria manutenzione di strutture o edifici da utilizzare per le finalità di cui al comma 1, per la dotazione delle relative attrezzature e per la loro gestione, gli enti del Terzo settore sono ammessi ad usufruire, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, al ricorrere dei presupposti e in condizioni di parità con gli altri aspiranti, di tutte le facilitazioni o agevolazioni previste per i privati, in particolare per quanto attiene all’accesso al credito agevolato.

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Una parte consistente del Codice (sei articoli, dal 61 al 66, pari al 14% dell’estensione del testo) è dedicata ai Centri di servizio per il volontariato (CSV), interessati da una profonda revisione in chiave evolutiva che ne riconosce le funzioni svolte nei primi 20 anni della loro esistenza e le adegua al nuovo scenario. A cominciare dall’allargamento della platea a cui i CSV dovranno prestare servizi, che coinciderà con tutti i “volontari negli Enti del Terzo settore”, e non più solo con quelli delle organizzazioni di volontariato definite dalla legge 266/91 (anche se in realtà era già cospicua la quota di realtà del terzo settore “servite” in questi anni).

I Centri – che dovranno essere di nuovo accreditati – verranno governati da un inedito Organismo nazionale di controllo (Onc) e dalle sue articolazioni territoriali (Otc), le cui maggioranze saranno detenute dalle fondazioni di origine bancaria. Sarà inoltre ridotto il numero complessivo dei Centri in riferimento ad alcuni parametri territoriali. Nella governance dei CSV potranno entrare tutti gli Ets (secondo il cosiddetto principio delle “porte aperte”), lasciando però al volontariato la maggioranza nelle assemblee. Saranno previsti nuovi criteri di incompatibilità tra la carica di presidente di un CSV e altre cariche, ad esempio ministro, parlamentare, assessore o consigliere regionale o di comuni oltre i 15 mila abitanti. I CSV, insieme alle Reti associative nazionali, potranno essere autorizzati dal ministero delle Politiche sociali all’“autocontrollo degli Enti del Terzo settore”. Viene infine centralizzato e ripartito a livello nazionale il fondo per il funzionamento dei CSV, che continuerà ad essere alimentato da una parte degli utili delle fondazioni di origine bancaria e da un credito di imposta fino a 10 milioni, a regime, che queste ultime si vedranno riconoscere ogni anno.

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Nel nostro tavolo di lavoro intendiamo rappresentare questo mondo con alcune esperienze esemplari che spaziano in più campi e con alcune riflessioni di carattere generale, affidate a:
- Ettore Cannavera
- Antonello Caria
- Gisella Trincas
- Giuliano Angotzi
- Remo Siza.

Avendo sviluppato la tematica anche in iniziative di riflessione e dibattito precedenti all’odierno incontro, anticipiamo di seguito alcune conclusioni, meglio definite come
“Proposte impegnative”.
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Impegno a sviluppare in Sardegna l’Economia Sociale e Solidale (ESS), favorendo l’associazionismo e la partecipazione dei cittadini (Enti del Terzo Settore e ulteriori modalità di organizzazione dei cittadini attivi), attraverso le sinergie tra pubblico e privato.
Individuazione e utilizzo sociale dei “beni comuni”, con il coinvolgimento della finanza etica e partecipata e in particolare delle Fondazioni ex bancarie.
In materia di ESS massimo sostegno soprattutto pubblico alla ricerca scientifica e alla formazione in tutte le sue possibili articolazioni.
Obbiettivo: portare la Sardegna a raggiungere i risultati delle migliori regioni italiane, in un tempo massimo di tre anni.
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- Foto di Renato d’Ascanio Ticca.

2 Responses to Valore Lavoro

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