Emilio Lussu, riferimento fondamentale della Scuola Popolare dei Lavoratori del Quartiere di Is Mirrionis
QUARTIERE DI IS MIRRIONIS. ASSEMBLEA DELLA SCUOLA POPOLARE. 11.05.1975
L’11 maggio 1975, a due mesi dalla morte di Emilio Lussu (Roma 5 marzo 1975) la Scuola Popolare e il Circolo culturale di quartiere di Is Mirrionis organizzarono un’assemblea popolare per onorare il Grande Sardo. La relazione introduttiva venne tenuta da Giuseppe Caboni, uno dei massimi studiosi della vita e dell’opera di Emilio Lussu, nonché personale amico, sia pure considerando la grande differenza di età tra i due. Ringraziamo il nostro amico Giuseppe per averci ricordato quell’importante iniziativa, trasmettendoci il testo della sua relazione, che, come abbiamo riconosciuto, mantiene una straordinaria inalterata validità, oggi come allora. Tutto ciò anche a testimonianza della preziosa presenza politico-culturale della Scuola Popolare e del Centro Culturale nel quartiere di Is Mirrionis, nella città ed oltre.
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Ricordando Emilio Lussu, il suo esempio e i suoi attualissimi insegnamenti
di Giuseppe Caboni
Chi lavora comanda. È questa una delle indicazioni morali fondamentali che Emilio Lussu trasse dalla sua vita col padre. Era attorno ai 10 anni quando la prepotenza con un mezzadro gli costò, per l’intervento del padre appunto, una settimana al suo servizio, a lavorare la terra.
Da questa e da altri simili esperienze sosteneva di aver acquisito la prima apertura alla democrazia sostanziale, al senso dell’uguaglianza (in un breve saggio del 1952, “Nascita di uomini democratici”).
Lo spirito d’indipendenza, l’apprezzamento del coraggio come dote primaria, la lealtà e la socialità: anche queste sono state qualità di Lussu che lui stesso riportava ai valori propri della società pastorale di Armungia, il paese dove era nato nel 1890. L’ha definita – nel racconto “il cinghiale del diavolo”- una società senza classi e senza stato, all’interno della quale la distinzione tra patrizi e plebei, fra pastori da una parte e commercianti o scribacchini dall’altra, era “morale”, e non sociale. A questo modo di sentire, assorbito intensamente sin dall’infanzia, Lussu riportava sempre il suo radicale, irriducibile antifascismo, la sua avversione profonda alla ripartizione in classi della società capitalista, in cui quelli che lavoravano più duramente e produttivamente – contadini, pastori, operai – non esercitano affatto il potere, ma subiscono quello di strati privilegiati, autoritari e parassitari, e sono – in modo sempre più violento – vittime dello sfruttamento e del bisogno materiale.
Il primo grande scontro con la logica della società classista Lussu lo ebbe nelle trincee della prima guerra mondiale, a cui partecipava come interventista, ma di cui imparò presto a comprendere le contraddizioni. Le pagine di “Un anno sull’altopiano” descrivono con sobrietà il processo psicologico che portò il tenente sardo a capire come i veri “nemici” fossero i generali e i profittatori di guerra – e dietro l’intera struttura di potere della grande borghesia italiana ed europea – e a fraternizzare con i formidabili soldati della brigata Sassari, per il 95% pastori e contadini, e per il resto, operai, minatori ed artigiani.
Sul fronte Lussu divenne un capo leggendario. Al rientro in Sardegna le intuizioni che riuscì progressivamente a inserire nelle rivendicazioni degli ex combattenti, sino al 1920, e poi nel Partito Sardo d’Azione, muovevano in direzione del socialismo, di un socialismo originale, basato – allora – sull’autogestione, sull’antiburocratismo, sullo spirito di iniziativa e d’indipendenza. (segue)
Fu un grande movimento popolare, di massa, che diede un ruolo e una dignità ai contadini e ai pastori, alle donne, ai portuali, agli artigiani, agli insegnanti, ai tecnici. Certo una parte della dirigenza del P.S.d’AZ., cedette progressivamente alle lusinghe e alla violenza del fascismo. Ma Lussu – deputato nel 1921 e nel 1924 – lottò senza tregua contro la brutalità, la volgarità, l’opportunismo di vecchi e nuovi fascisti.
Lucidità d’analisi e coraggio fisico, spiccate capacità organizzative furono le basi del suo antifascismo attivo. Formò addirittura squadre di ciclisti, che ogni domenica giravano per Cagliari e nei sobborghi, per impedire i pestaggi e le prepotenze delle camice nere, poiché gli organi pubblici – a partire dalle piazze – subivano il formarsi dello stato fascista, ne divenivano progressivamente agenti.
Lussu venne brutalmente ferito al capo da un graduato della milizia nel novembre del 1922, e poi, il 31 ottobre 1926, fu assalito nella sua casa in piazza Martiri da una folla decisa a linciarlo. Si difese uccidendo un fascista. Fu assolto per legittima difesa dai giudici, ma fu rinchiuso 13 mesi nel carcere di Buoncammino, dove contrasse malattie che gli costarono in seguito la perdita di un polmone. Il governo- poi – dispose che venisse confinato a Lipari, una delle isole in cui il regime chiudeva i suoi oppositori. Ma Lussu si ribellò ancora. Fuggì da Lipari, con Carlo Rosselli e Fausto Nitti, e con loro raggiunse Parigi. Lì fondò un nuovo movimento politico antifascista, G.L., all’interno del quale rappresentò sempre l’ala radicale, classista, più coerentemente rivoluzionaria. Bisogna leggere i suoi libri ed articoli: La catena, Marcia su Roma e dintorni, gli scritti sui quaderni di G. L., il movimento all’interno del quale rappresentò sempre l’ala radicale, classista, più coerentemente rivoluzionaria. I suoi scritti rappresentano tappe successive di un rapido sviluppo morale e intellettuale. Lussu passò dalla condanna ironica e dura del “crollo delle coscienze”, di tanti opportunisti o vigliacchi di fronte al fascismo, e quindi da una condanna soprattutto di tipo morale, ad un’analisi precisa dalle forze sociali che avevano giocato una parte fondamentale dietro squadristi o pagliacci ufficiali, e cioè essenzialmente gli agrari e il grande capitale industriale. La conoscenza del marxismo, l’esperienza della lotta politica a livello internazionale, nel cuore della Europa imperialista, con l’incubo del montare del nazismo, valsero a conferirgli grande maturità politica e ideologica, a farne un combattente per il socialismo – a livello internazionale – originale, intelligente, attivissimo.
Restavano peraltro saldi i suoi legami etici e politici con la Sardegna. Diplomazia clandestina, il libro in cui Lussu descrive le sue esperienze di attivo antifascista – nei primi anni 40 – in Francia, Inghilterra, Portogallo, Stati Uniti d’America, rappresenta il suo tenace lavoro attorno al progetto di una insurrezione contro il regime, che partisse dalla Sardegna, con l’aiuto delle forze armate inglesi, per poi estendersi alla penisola. In questo progetto il nerbo della lotta partigiana avrebbero dovuto essere i soldati e gli ufficiali della Brigata Sassari, i militanti del P.S.d’Az., quella base che Lussu aveva conosciuto ampia, salda ed entusiasta e che restava il suo modello di formazione politica: popolare, rivoluzionaria e democratica, autonomistica, profondamente legata alla vita e agli interessi delle masse. Il suo progetto – esaminato più volte dal gabinetto di guerra inglese – fu messo da parte, soprattutto per le pregiudiziali politiche che Lussu poneva per la sua realizzazione. Gli alleati preferirono accordarsi con la mafia, in Sicilia.
Lussu rientrò così in Italia da Ventimiglia, il 13 agosto 1943, per partecipare subito alla Resistenza, alla direzione del Partito d’azione, in cui era confluita Giustizia e Libertà. Volle farsi precedere da un opuscolo, però, “La ricostruzione dello Stato”, più volte ristampato e diffuso tra i militanti antifascisti: vi si ribadivano prospettive di emancipazione finale del proletariato italiano, disegni di una nuova società orientata verso il socialismo. Fu questa impronta radicale, classista, che portò allora alla rottura del P.d’Azione attraverso i convegni di Cosenza (1945) e di Roma (1946) e poi, in Sardegna, del P.S.d’Az. con la successiva confluenza della maggioranza delle due formazioni, con Lussu, nel PSI, conclusasi alla fine del 1949.
Fu ministro nel gabinetto Parri, nel 1945, deputato all’Assemblea Costituente e ancora ministro nei primi gabinetti De Gasperi.
Nel PSI fece parte della direzione e fu presidente del gruppo socialista al Senato fino al 1964. La sua attività parlamentare è stata sempre intensa ed appassionata. Il primo discorso pronunciato da Emilio Lussu al Senato della nuova Repubblica, il 23 giugno 1948, è un vibrante atto di accusa contro lo strapotere democristiano, contro l’ingerenza pesante del clero nella vita politica, nelle elezioni, contro la soggezione passiva del Governo italiano nei confronti degli Stati Uniti d’America. Ciò che è più importante, di quel discorso, ciò che dovrebbe oggi far meditare, è la chiarezza con cui Lussu indicava come la lotta forsennata della Democrazia Cristiana e della Chiesa contro le sinistre fosse strettamente connessa alla natura di destra, – e non di centro, si badi bene – degli interessi che difendeva.
A destra quindi, il partito liberale, l’uomo qualunque, il MSI, due o tre monarchici, per usare le parole dello stesso Lussu, erano solo piccole pattuglie di avanguardia al servizio della Democrazia Cristiana, il partito che quindi si proponeva oggettivamente come il continuatore del fascismo nel difendere con prepotenza la conservazione, il padronato, contro i lavoratori, contro le classi popolari.
Tutta l’attività politica di Lussu anche nel secondo dopoguerra è stata sempre profondamente legata agli interessi delle masse operaie e popolari.
Gran parte delle sue battaglie furono dedicate a promuovere per la Sardegna un grande balzo in avanti: condizioni federative alla Costituente, e poi lo Statuto speciale, il Piano di rinascita, sino al 1962, come strumento di emancipazione economica e sociale, di liberazione dalla condizione di grave subordinazione coloniale contro cui aveva lottato sin dagli anni ‘20 alla guida del P.S.d’Az..
L’amarezza degli ultimi anni della sua vita nasceva soprattutto dalla constatazione di come l’enorme patrimonio di lotte, di speranze, di propositi d’emancipazione popolare in Sardegna fosse in gran parte tragicamente andato disperso per la corruzione, la rozzezza clientelare, l’incapacità della classe politica regionale; e di come lo Stato repubblicano, che doveva essere radicalmente ricostruito dopo la Resistenza, rimasto sostanzialmente intatto a dispetto della Costituzione per la sua organicità ai nuovi partiti di governo e alla borghesia nazionale e internazionale, tendesse a riprodurre il proprio dominio violento, con il terrore, grazie a quelle che sono state definite stragi di Stato, attraverso la forza repressiva dei suoi organi.
Come poteva non amareggiarsi un uomo che alla Sardegna e alla lotta al fascismo e al capitalismo aveva dedicato tutta la vita, che nella difesa degli interessi delle classi subalterne aveva sostenuto sempre le tesi più radicali, sino alla scissione del PSI nel 1964 e quindi alla costruzione del PSIUP, ed infine al suo ritiro dalla politica attiva, al suo silenzio dopo il 1968.
Negli ultimi anni continuava a scrivere molte lettere, e lavorava a un libro sulla mancata difesa di Roma contro l’occupazione dell’esercito nazista, dopo l’8 settembre ’43, alla fine della seconda guerra mondiale. Progettava, a 85 anni, una seconda stesura del suo libro sul P. d’Az., progettava di scrivere la storia di Giustizia e libertà e poi del P.S.d’Az.. Inviò un telegramma di solidarietà al Circolo di Orgosolo, durante la lotta di Pratobello: sottolineava il fatto che i diritti non si contrattano, e diceva che solo le sue condizioni di salute gli impedivano di essere sul campo, con i pastori. In quel duro scontro tra esercito italiano e il paese barbaricino Lussu si schierava con immediatezza, da vecchio combattente, da capo. Era l’ennesimo atto repressivo del Governo nei confronti delle nostre popolazioni, ed era, in più, uno dei primi atti di reazione dello stato borghese dopo le lotte del 1968, a livello italiano e sardo; prima delle stragi, prima delle leggi speciali, prima degli arresti di operai e sindacalisti.
Il pericolo del fascismo, per cui Lussu ha sofferto anche negli ultimi giorni di vita, era però un ritorno che lui aveva previsto con grande lucidità: la continuità dello Stato, dopo il disarmo della Resistenza – nella burocrazia, nell’esercito, nella legislazione -, la pesantissima ingerenza degli Usa nelle questioni italiane sino a svuotare l’idea stessa di sovranità, il soffocamento dell’economia italiana, sono stati obiettivi costanti delle sue denunce politiche, inflessibili e sarcastiche. Temeva e prevedeva la grande disgregazione sociale, i conflitti qualunquisti creati nelle metropoli meridionali dagli esiti delle speculazioni edilizie, dalla mancanza di servizi, di scuole, di rapporti organici con attività produttive, da un urbanesimo spinto, legato allo svuotamento dell’agricoltura, dalla disoccupazione forzata o dalla corsa al non lavorare manualmente, al comandare, al vivere nel privilegio o nello sfruttamento del lavoro altrui; perché questi sono i valori della società capitalistica.
Il programma del P.S.d’Az. per le prime elezioni al Comune di Cagliari, dopo la seconda guerra mondiale, faceva esplicito riferimento alle necessità dei quartieri de Is Mirrionis e del Lazzaretto (l’attuale Sant’Elia), proponeva la costruzione di case a canone minimo per gli abitanti di queste zone, dei “bassi” di tutta la città, per i tanti senzatetto. Oggi il quartiere è un agglomerato disorganico, con problemi enormi.
Modernità di Lussu, quindi. Nella sua intransigenza antifascista, nel suo internazionalismo, nella sua capacità di legare il socialismo al principio di autodeterminazione dei popoli e delle regioni geografiche, nel suo antidogmatismo.
In fondo l’esperienza del partito sardo d’azione negli anni 1920 tentava – in forme strettamente legate alla situazione concreta – la strada percorsa poi nel secondo dopoguerra dalle lotte rivoluzionarie e vittoriose, indipendentiste e per il socialismo dell’Algeria, della Cina, di Cuba, delle colonie portoghesi, del Vietnam. Si potrebbe forse dire ciò che Marx ha scritto dalla Comune di Parigi; era un assalto al cielo. Ma, condotto con grande coraggio e determinazione, avrebbe forse prevalso senza la violenza dello stato fascista. Il coraggio e il rigore del movimento erano impersonati da Lussu, dall’uomo di Armungia fedele sino al rischio della vita agli impegni assunti, all’uomo che in un articolo del 1933 su Enrico Malatesta ammoniva “È alla scuola del carattere che dobbiamo formarci noi tutti che combattiamo per una rivoluzione e per una differente civiltà”.
È la scuola a cui anche oggi, in questi anni di grande tensione politica, dovremmo educarci tutti noi. Dato che questo è necessario perché anche una regione debole e oppressa come la Sardegna possa sopravvivere e contribuire ad affermare una nuova civiltà.
Giuseppe Caboni
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