Migranti. Intervento di Enzo Bianchi. “…Non può bastare, infatti, il già difficilissimo inserimento degli immigrati accolti nel mondo del lavoro e una loro dignitosa sistemazione abitativa: occorrerebbe ripensare organicamente il tessuto sociale di città e campagne, la rivitalizzazione di aree depresse del nostro paese, la protezione dell’ambiente e del territorio, la salvaguardia dei diritti di cittadinanza. Questo potrebbe far sì che l’accoglienza sia realizzata non solo con generosità ma anche con intelligenza e l’integrazione avvenire senza generare squilibri”.
I MIGRANTI
E IL DOVERE DI RESTARE UMANI
di Enzo Bianchi
L’INVITO del presidente della Cei, cardinal Bassetti, ad affrontare il fenomeno dei migranti «nel rispetto della legge» e senza fornire pretesti agli scafisti è un richiamo all’assunzione di responsabilità etica ad ampio raggio nella temperie che Italia e Europa stanno attraversando. Un richiamo quanto mai opportuno perché ormai si sta profilando una “emergenza umanitaria” che non è data dalle migrazioni in quanto tali, bensì dalle modalità culturali ed etiche, prima ancora che operative con cui le si affrontano. Non è infatti “emergenza” il fenomeno dei migranti — richiedenti asilo o economici — che in questa forma risale ormai alla fine del secolo scorso e i cui numeri sia assoluti che percentuali sarebbero age- volmente gestibili da politiche degne di questo nome. E l’aggettivo “umanitario” non riguarda solo le condizioni subumane in cui vivono milioni di persone nei campi profughi del Medioriente o nei paesi stremati da conflitti foraggiati dai mercanti d’armi o da carestie ricorrenti, naturali o indotte. L’emergenza riguarda la nostra umanità: è il nostro restare umani che è in emergenza di fronte all’imbarbarimento dei costumi, dei discorsi, dei pensieri, delle azioni che sviliscono e sbeffeggiano quelli che un tempo erano considerati i valori e i principi della casa comune europea e della “millenaria civiltà cristiana”, così connaturale al nostro paese.
È un impoverimento del nostro essere umani che si è via via accentuato da quando ci si è preoccupati più del controllo e della difesa delle frontiere esterne dell’Europa che non dei sentimenti che battono nel cuore del nostro continente e dei principi che ne determinano leggi e comportamenti. È un imbarbarimento che si è aggravato quando abbiamo siglato un accordo per delegare il lavoro sporco di fermare e respingere migliaia di profughi dal Medioriente a un paese che manifestamente vìola fondamenti etici, giuridici e culturali imprescindibili per la nostra “casa comune”.
Ora noi, già “popolo di navigatori e trasmigratori”, ci stiamo rapidamente adeguando a un pensiero unico che confligge persino con la millenaria legge del mare iscritta nella coscienza umana, e arriva a configurare una sorta di “reato umanitario” o “di altruismo” in base al quale diviene naturale minare sistematicamente e indistintamente la credibilità delle Ong e perseguirne l’operato, affidare a un’inesistente autorità statale libica la gestione di ipotetici centri di raccolta dei migranti che tutti gli organismi umanitari internazionali definiscono luoghi di torture, vessazioni, violenze e abusi di ogni tipo, riconsegnare a una delle guardie costiere libiche quelle persone che erano state imbarcate da trafficanti di esseri umani con la sospetta connivenza di chi ora li riporta alla casella-prigione di partenza.
Ora questa criticità emergenziale di un’umanità mortificata ha come effetto disastroso il rendere ancor più ardua la gestione del fenomeno migratorio attraverso i parametri dell’accoglienza, dell’integrazione e della solidarietà che dovrebbero costituire lo zoccolo duro della civiltà europea e che non sono certo di facile attuazione. Come, infatti, in questo clima di caccia al “buonista” pianificare politiche che consentano non solo la gestione degli arrivi delle persone in fuga dalla guerra o dalla fame, ma soprattutto la trasformazione strutturale di questa congiuntura in opportunità di crescita e di miglioramento delle condizioni di vita per l’intero sistema paese, a cominciare dalle fasce di popolazione residente più povere? E, di conseguenza, come evitare invece che i migranti abbandonati “senza regolare permesso” alimentino il mercato del lavoro nero, degli abusi sui minori e della prostituzione?
L’esperienza di tante realtà che conosco e della mia stessa comunità, che da due anni dà accoglienza ad alcuni richiedenti asilo, mostra quanto sia difficile oggi, superata la fase di prima accoglienza e di apprendimento della lingua e dei diritti e doveri che ci accomunano, progettare e realizzare una feconda e sostenibile convivenza civile, un proficuo scambio delle risorse umane, morali e culturali di cui ogni essere umano è portatore. Non può bastare, infatti, il già difficilissimo inserimento degli immigrati accolti nel mondo del lavoro e una loro dignitosa sistemazione abitativa: occorrerebbe ripensare organicamente il tessuto sociale di città e campagne, la rivitalizzazione di aree depresse del nostro paese, la protezione dell’ambiente e del territorio, la salvaguardia dei diritti di cittadinanza. Questo potrebbe far sì che l’accoglienza sia realizzata non solo con generosità ma anche con intelligenza e l’integrazione avvenire senza generare squilibri.
Sragionare per slogan, fomentare anziché capire e governare le paure delle componenti più deboli ed esposte della società, criminalizzare indistintamente tutti gli operatori umanitari, ergere a nemico ogni straniero o chiunque pensi diversamente non è difesa dei valori della nostra civiltà, al contrario è la via più sicura per piombare nel baratro della barbarie, per infliggere alla nostra umanità danni irreversibili, per condannare il nostro paese e l’Europa a un collasso etico dal quale sarà assai difficile risollevarsi.
Anche in certi spazi cristiani, la paura dominante assottiglia le voci — tra le quali continua a spiccare per vigore quella di papa Francesco — che affrontano a viso aperto il forte vento contrario, contrastano la «dimensione del disumano che è entrata nel nostro orizzonte» e si levano a difesa dell’umanità. Purtroppo, stando “in mezzo alla gente”, ascoltandola e vedendo come si comporta, viene da dire che stiamo diventando più cattivi e la stessa politica, che dovrebbe innanzitutto far crescere una “società buona”, non solo è latitante ma sembra tentata da percorsi che assecondano la barbarie. Eppure è in gioco non solo la sopravvivenza e la dignità di milioni di persone, ma anche il bene più prezioso che ciascuno di noi e la nostra convivenza possiede: l’essere responsabili e perciò custodi del proprio fratello, della propria sorella in umanità.
Postilla di eddyburg
Quale legge deve prevalere?
La questione dei migranti del nostro secolo e dell’atteggiamento da tenere nei confronti di chi, come alcune Ong, non rifiuterebbe contatti con “trafficanti di uomini”, (cioè con quegli attori che in cambio di un prezzo, aiutano i profughi a fuggire) divide anche il mondo cattolico.
Le due posizioni alternative emergono con evidenza nei due scritti che riportiamo [vedi eddyburg] : l’uno esprime la posizione della Commissione episcopale italiana, espressa dal suo presidente Gualtiero Bassetti, l’altra quella di Enzo Bianchi, monaco laico fondatore della Comunità monastica di Bose.
Il pretesto con cui viene ammantato il dissenso è quello che si tira in ballo di solito quando gli argomenti di merito di una delle parti sono deboli: bisogna rispettare la legge. Se la legge vieta alle Ong ad avere contatti con i “trafficanti” esse sono obbligate a obbedire, quale che sia la pulsione, o il sentimento, o il principio o la convenienza che li spingerebbe a fare il contrario.
È evidente che il governo italiano abbraccia con entusiasmo il rispetto della legge che impedisce ogni accordo con i “trafficanti, e che invece parte rilevante del mondo cattolico recentemente espressa dal quotidiano della Cei, l’Avvenire, si muove sul versante opposto. È significativo che la stampa attribuisca a Marco Minniti un intervento diretto sul Vaticano per convincere le gerarchie ecclesiastiche a mettere in riga i “buonisti”
Ed è altrettanto evidente che il governo italiano si manifesta debole, impacciato, pusillanime fino alla viltà nel far comprendere all’Unione europea, della quale si spaccia per protagonista, che le migrazioni hanno la Penisola solo come il primo punto l’approdo, e che l’obiettivo e la responsabilità dei flussi migratori sono costituiti dall’insieme dell’Europa. Invece di Gentiloni e Delrio, è Enzo Bianchi a ricordare che sono «i parametri dell’accoglienza, dell’integrazione e della solidarietà che dovrebbero costituire lo zoccolo duro della civiltà europea».
L’intervento di Enzo Bianchi mette in evidenza le due verità di fondo: non si tratta di un impegno che riguardi solo l’Italia, ma l’intera Europa; né si tratta di un conflitto tra chi rispetta la legge e chi non la rispetta, ma è un conflitto tra due leggi. Deve prevalere la legge secondo la quale ogni persona umana è portatrice di eguali diritti, oppure la legge (le leggi) che valgono solo a proteggere alcuni? La risposta di Enzo Bianchi, e della parte del mondo cattolico più vicina a papa Francesco, non sembra dubbia: “il dovere”, la legge, di “restare umani” (i.b.-e.s.).
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Per correlazione: su La Stampa online, ripreso da aladinews.
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