Editoriale di Rocca. “I rischi delle formiche e la preveggenza delle cicale”
La recente vicenda delle banche venete salvate dal governo con i soldi dei contribuenti (e il consenso, obtorto collo, dell’Europa) ha richiamato all’attenzione collettiva il tema del risparmio e della fiducia nel sistema bancario. Da un lato, in molti hanno criticato la scelta di far ricadere sulla collettività – o meglio, su quella sua parte che paga le tasse – i fallimenti dei privati; dall’altro, è stato detto che se il governo non fosse intervenuto e il crac avesse coinvolto anche i risparmi affidati alle due banche, nella forma di investimenti o di depositi, si sarebbe potuto avere un effetto domino per il diffondersi del «panico bancario». Nella vicenda specifica, il governo italiano e il non-governo europeo hanno dato il peggio di sé, soprattutto per i ritardi e le contraddizioni nella gestione della crisi che hanno fatto salire il conto del salvataggio pubblico senza riuscire a individuare forme di auto-salvataggio privato; hanno introdotto gravi discriminazioni tra banche e banche, tra risparmiatori e risparmiatori; e hanno rafforzato l’idea che, nelle vicende dell’economia, il motto italiano scolpito nella pietra sia il vecchio adagio della «socializzazione dei profitti e privatizzazione delle perdite».
Costituzione e risparmio
Ma qualcosa, sul risparmio, è scolpito davvero nella nostra carta fondamentale, la Costituzione. Che all’articolo 47 recita: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popola- re alla proprietà dell’abitazione, alla pro- prietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese».
Non tanto in alto come il lavoro, che è nell’articolo 1, ma anche il risparmio è tra i principi fondamentali della nostra Carta. Del resto, i più grandi tra i nostri lettori ricorderanno la solennità con la quale a scuola si celebrava il 31 ottobre di ogni anno la «giornata del risparmio», e il regalo, in quell’occasione, di un piccolo salvadanaio a ogni bambino di prima elementare, perché cominciasse ad accumulare il suo gruzzoletto. E l’esaltazione delle virtù da formichina del popolo italiano, storicamente tra quelli con la più alta propensione al risparmio – che vuol dire, rapporto tra il reddito messo da parte e tutto quello guadagnato. Una caratteristica legata alla ricchezza delle famiglie – alta, anche se mal distribuita – e al modello sociale, ossia a una visione della vita e del futuro nella quale il sostegno della famiglia, presente e futuro attraverso l’eredità, svolge un ruolo più importante che nei sistemi dell’Europa centrale e nordica. Dunque «la roba» messa da parte nel corso negli anni fa da welfare privato e aiuta ad ammortizzare gli imprevisti della vita, oltre a mettere i figli sulla rampa di lancio per ulteriori avanzate, successi, e ulteriori risparmi. Questa visione, diffusa in modo abbastanza interclassista, dalla piccola borghesia ai ceti più ricchi, si è infranta con il volgere del secolo, sotto i colpi della globalizzazione e della crisi. Non che in Italia non si risparmi più; ma la nostra propensione a mettere soldi da parte si è ridotta e allineata a quella di altri Paesi industrializzati, mentre l’immagine del salvadanaio sicuro associata al risparmio si è allontanata e sfocata, a beneficio dell’ascesa della parola «rischio», o peggio «crac» o «truffa».
le cose sono più complicate di come sembra
Nell’ultimo trimestre del 2016, le famiglie italiane hanno risparmiato l’8 per cento del loro reddito, con una riduzione di un punto percentuale sul trimestre precedente. Ma nel periodo precedente era al contrario salita, mai recuperando però del tutto dal grande calo, quello registrato negli anni della crisi economica: anni nei quali le fa- miglie italiane hanno intaccato i loro risparmi per far fronte al calo dei redditi. Non bisogna dimenticare che, per i bilanci delle famiglie, la lunga crisi – la peggiore che abbiamo mai avuto, in tempi di pace – ha avuto un impatto fortissimo, spingendole non solo a ristrutturare e ridurre i consumi ma anche, appunto, a consumare i risparmi. Un comportamento «anticiclico», direbbero gli economisti, positivo: non ci lamentiamo tutti i giorni del fatto che finché non riprendono i consumi l’economia non riparte? E allora, il fatto che gli italiani risparmino meno, a dispetto dell’esaltazione delle virtù delle formiche che viene spesso riproposta, può aiutare l’economia, far girare i soldi, e dunque alla fine tornare in nuovi potenziali risparmi. In questo senso, le cicale spendaccione sono più preveggenti delle formiche accumulatrici.
Senonché, le cose sono più complicate di così. Non siamo un’economia chiusa, e dunque consumi e risparmi possono anche uscire dall’Italia, come entrarvi: non è detto che una ripresa dei primi benefici le imprese e il lavoro con sede in Italia. Né che la spinta dei consumi sia così forte da compensare e recuperare rispetto al grande calo degli anni scorsi. Infatti la riduzione dei risparmi è servita e serve, come si diceva prima, più per ripararsi dai colpi della crisi che per risollevarsi e superarla. Perché questo succeda serve l’entrata in campo di un altro protagonista della scena economica, gemello speculare del risparmio: l’investimento, che fa sì che i soldi risparmiati da qualcuno vengano messi a frutto da qualcun altro, generando innovazione di prodotti o di produzione, che a sua volta può portare lavoro e reddito nel futuro. Ma il gemello coprotagonista è sparito per anni, nella scena dell’economia italiana, segnata da un calo degli investimenti drastico; problema comune anche agli altri Paesi e che allarma le istituzioni economiche internazionali, ma particolar- mente insidioso da noi, vista la debolezza dell’apparato produttivo privato e lo sman- tellamento di quello pubblico. Da un punto di vista morale, il risparmio può essere visto come una virtù (moderazione, preveggenza, saggezza) o come un vizio (accumulazione egoista, avidità, avarizia); ma dal punto di vista economico – che è più semplice – ha una funzione se è connesso agli investimenti, altrimenti rischia di diventare una trappola nella quale si bloccano le risorse per il futuro.
due mondi uno al passato e uno in divenire
Non a caso, l’articolo 47 della Costituzione, nello stabilire al primo comma che la Repubblica «incoraggia e tutela il risparmio», ne dirige subito, al secondo comma, la destinazione: quella, cara a un modello abbastanza superato della famiglia stanziale, radicata e contadina, dell’acquisto della abitazione in cui vivere e della terra; e «l’investimento azionario nei grandi comparti produttivi del Paese». Sembra di vedere in quel comma due mondi, uno passato e uno in divenire, quello dell’Italia agricola che esce e quello dell’Italia del miracolo industriale che entra. Eppure, la linea diretta tra risparmio e investimento azionario non è mai partita, le nostre imprese si sono sempre finanziate più in banca che con la Borsa; e anche il risparmio popolare è andato più volentieri in banca (e in Bot) che sulle piazze finanziarie, considerate rischiose e pericolose. A prescindere dalla storia del modello italiano, dai suoi problemi e anche dalle sue inattese virtù (quelle degli anni «buoni»), e dalla sua evoluzione avvenuta a cavallo degli anni ’90, si può dire che adesso soffrono tutti e due i gemelli speculari: gli investimenti e i risparmi. I primi hanno buone condizioni di mercato, con i tassi di inte- resse bassi, ma ciononostante stentano ancora a decollare, poiché mancano altri elementi del contesto fondamentali perché un’impresa decida di investire; i secondi sono penalizzati dallo stesso livello dei tassi, che ripaga di pochissimo il capitale, ma appena mettono la testa fuori verso impieghi più remunerativi scoprono che il mondo è difficile e rischioso, e dietro le promesse di rendimento del 4 o del 5% c’è spesso la possibilità di una perdita sul capitale. Spuntano nuovi strumenti, formule sempre più difficili da comprendere e infiniti fogli da firmare per sollevare la banca dalle sue responsabilità in caso di perdite; ma intanto il nesso tra risparmio e investimento produttivo svanisce sempre più, sia in borsa che in banca. E anche gli investitori istituzionali, persino quelli posseduti da imprese e sindacati come i fondi pensione, si guardano bene dal mettere i loro tesori nei «complessi produttivi del Paese», come chiedeva la Costituzione.
*Roberta Carlini, su Rocca
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E’ online Rocca 14/2017
[…] Editoriale di Rocca, ripreso da Aladinews. “I rischi delle formiche e la preveggenza delle cicale”, di Roberta […]