Ernesto Balducci

rocca-11-2017 Il quindicinale della Pro Civitate Christiana ROCCA, ricordando i 25 anni dalla morte di Ernesto Balducci (Santa Fiora, 6 agosto 1922 – Cesena, 25 aprile 1992), ripropone uno degli articoli che lo stesso, con grande lucidità e apertura, scrisse per Rocca n. 23/1988 nel corso della sua lunga collaborazione con la medesima rivista.

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Una laicità di nuovo tipo balducci

di Ernesto Balducci

In un recente articolo, dedicato al tema tipologia variegata, che va dalla fedeltà dell’appartenenza ecclesiale e della identità cristiana, il teologo francese Christian Duquoc coglie nel segno quando riassume la sua analisi parlando di una «chiesa duale», e cioè di due forme di appartenenza: la prima caratterizzata dal riferimento all’istituzione, la seconda totalmente affidata ai moti creativi della comunità di fede. È su questo schema dualistico («schizofrenico», dice in altro luogo il Duquoc) che è possibile tratteggiare una tipologia della presenza dei cattolici nella nostra società. È una tipologia variegata, che va dalla fedeltà a una immagine teocratica della chiesa, che propugna l’unità dei cattolici a tutti i livelli, fino al rigetto di ogni identità che non sia quella derivante dalla fedeltà alla coscienza del Vangelo.
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A mio giudizio, è questa la seconda tipologia destinata a diffondersi, con grande imbarazzo dei sociologi che perdono, uno dopo l’altro, i loro strumenti di rilevazione del fenomeno cristiano, e soprattutto dei partiti politici che non sanno più per quali vie guadagnarsi il consenso dei credenti. Il suo principio direttivo è che l’unità dei cattolici è quella che si realizza nell’evento della confessione di fede, attorno all’Euca- restia: in ogni altro settore dell’esistenza privata e pubblica l’unità imperativa è via via da realizzare attorno ai problemi del- l’uomo, in forza della voce della coscienza. Ma allora non si tratta più di una unità di segno cattolico. La fede, com’è nella sua natura messianica, vive e agisce sia come prospettiva aperta sull’evento ultimo, sia come intimo confronto tra principi etici, comuni a tutti, e Parola di Dio.
Si tratta di una laicità di nuovo tipo, che si lascia alle spalle la dicotomia tradizionale fra credenti e laici. Alla lunga, il suo risultato sarà la dissoluzione del mondo cattolico come monade socioculturale differenziata.

integrismo fuori quadro
In questa fase di transizione, è ancora possibile ma sempre più improprio rifarsi al mondo cattolico come a un soggetto capace di produrre e gestire progetti unitari. Se la scena pubblica, quella su cui battono i riflettori dei mass media, è occupata da gruppi o movimenti cattolici di greve spessore ideologico è perché si tratta di realtà omogenee alle forze politiche in campo. Il fenomeno di Comunione e Liberazione è il più vistoso di questi movimenti perché conserva in sé i connotati del cattolicesimo sociale degli anni cinquanta, quando Formigoni si chiamava Gedda. Ma l’integrismo di Gedda era culturamente significativo, perché esprimeva il modo d’essere della Chiesa cattolica nel suo insieme, dal Papa al piccolo Aspirante di Azione Cattolica. Le diverse tradizioni culturali erano di forte identità, rigide, alimentate da un rapporto di reciproca esclusione, quella cattolica era fortemente antilaicista e antimarxista. L’integrismo oggi, per quanto si rallegri di alte protezioni (reali o presunte), è fuori quadro, è un coagulo, di residui culturali non filtrati né dalla razionalità critica, ormai diffusa negli strati più maturi della nostra società, né dalla razionalità teologica, ormai sempre più alimentata da un contatto diretto con la Parola di Dio, al di fuori delle mediazioni concettuali in uso negli ambienti tradizionali o progressisti (maritainiani) degli anni ’80. Sarà anche vero quanto scrive Gentiloni (Rocca n. 19/88), che il progetto di questo cattolicesimo sia di ricomporre l’unità cattolica non più nella sfera del politico, ormai degradato a funzioni meramente strumentali, ma nel sociale e cioè nelle scuole, nelle cooperative, nelle opere di assistenza. Ma in ogni caso si tratta, a mio giudizio, di un arretramento tattico, destinato ad essere travolto dagli stessi processi di mutamento interni al mondo dei credenti.

la fede a un bivio
La mia esperienza mi dice che il cattolico rinnovato, libero cioè dalle vecchie sedimentazioni ideologiche, tende per natura a ricercare spazi comuni, dove il confronto con una professione di fede non fa problema, dove quel che conta è il servizio da rendere all’uomo. Il cambiamento lo si vede ad occhio nudo. Quante sono ormai le parrocchie che si costruiscono, nel contesto della società civile come un mondo a sé dotato di strutture – dal campo sportivo, al cinema, al bar – capaci di contenere la vita del fedele in tutto il suo svolgimento, dalla culla alla bara? Il processo pastorale dominante va nel senso opposto, nonostante gridi di allarme e ottuse resistenze.
Certo una fede che si immerge nel sociale senza cercare spazi suoi propri, integra in sé l’insicurezza, la perdita di identità storico-culturale che sulle prime suscita paure. Ed è proprio su questa «paura» che contano gli integristi per far proseliti. La fede è sempre di più di fronte a un bivio tra la totale scomparsa, dato che il suo contenuto era spurio, era cioè di tipo ide- ologico e non teologale, o la rigenerazione nella sorgente evangelica, e in tal caso la «povertà», come dire la mancanza di con- tenuti culturali suoi propri, diventa il suo normale modo di essere, come lo era ai tempi della Lettera a Diogneto.
Per riprendere quanto diceva Duquoc della «chiesa duale» è naturale che l’istitutozione ecclesiastica conservi in sé pulsioni di simpatia per le forme integriste del popolo di Dio: esse procurano gregari a dei pastori che altrimenti si trovano come ufficiali senza truppe. Ma ci sono anche vescovi, e soprattutto parroci illuminati che vanno guidando le loro chiese verso questa totale immersione nella società secondo la logica della disponibilità alla dispersione nei comuni spazi dell’uomo e non secondo la logica della coesione nel sociale.

resistenza al mutamento
Insomma, quella a cui assistiamo è una nuova «ecclesiogenesi», ed è naturale che in una mutazione di questa fatta la memoria genetica riporti a galla qualche morfologia del paleolitico! Lo scisma di Lefebvre è solo la punta di iceberg di una resistenza al mutamento diffusa un po’ dovunque in quel grande organismo in dissoluzione che è il cattolicesimo.
Una resistenza al mutamento, è bene ricordarlo, che si rivela molto diffusa anche nella società civile e nel mondo politico. L’esempio più lampante ce lo offre il nostro partito socialista, erede di feroci massimalismi sociali e anticlericali. Liberatosi dall’ideologia, esso si muove ormai con molto buon fiuto e mostra di saper sfruttare questa paura del nuovo ammantandolo di modernità. Ma per quanto riguarda i comportamenti del mondo cattolico che si sta allineando sulla trincea del sociale non è il caso di proccuparsene troppo, come molti fanno. La polemica gli giova perché stimola il suo spirito di intransigenza. Il vero modo di sconfiggerlo è di attenderlo con pazienza fraterna non sul ring della lotta ma sulla pubblica piazza dove si svolge il comune dialogo tra gli uomini. La prova della laicità al livello del vivere quotidiano, mentre rinnova la fecondità della fede, per conto suo svela l’inconsistenza delle fedeltà narcisistiche.

Ernesto Balducci

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