Gli sguardi senza volto dei bulli

MASCHERA

di Veronica Rosati

Non importa quanti anni passeranno. Chi ha subito atti di bullismo di qualunque natura non dimentica. Ricorderà per sempre quelle emozioni gelide, poiché caratterizzate da un infinito perpetuarsi di insulti e di risatine del bullo o della bulla di turno. Si sa, i bambini e gli adolescenti possono essere cattivi, ma la loro vittima, seppur coetanea, riesce subito a distinguere la cruda spontaneità dal bullismo.
È recente la consapevolezza che quegli epiteti gridati, quegli insulti totalmente gratuiti sono l’espressione di un fenomeno che passa quasi indisturbato da una generazione all’altra, adeguandosi tristemente ai tempi.

Negli anni ’80 era sufficiente portare gli occhiali per entrare di diritto nella rosa delle possibili vittime dei bulli. Il bullo poteva essere maschio o femmina, ininfluenti la classe sociale o la famiglia di provenienza. Si divertiva ad offendere riversando addosso alla vittima ogni sorta di insofferenza, invidia malcelata o rancore silente. Gli occhiali, più erano spessi e brutti più diventavano una colpa, un peccato originale sinistro che segnava, giorno dopo giorno, l’imperfezione e la conseguente inferiorità del suo portatore.
La vittima vedeva la sua forza d’animo vacillare e rischiava di iniziare a vedersi con gli occhi dei bulli.

Non sei più tu con il tuo universo di pregi e di difetti, con il tuo vissuto e la tua libertà. Ti guardi allo specchio e vedi solo i tuoi orribili occhiali oppure qualunque altra caratteristica divenuta colpa. Il colore della pelle, la nazionalità, le preferenze sessuali, le scelte affettive o sentimentali. Divieni fragile, pericolosamente in balia degli sguardi dei bulli, poiché anche il tuo è divenuto tale.
La forza, la sicurezza di sé e la razionalità che lucidamente farebbero comprendere che gli unici colpevoli sono gli altri, vengono intorpidite fino a svanire del tutto. Si riescono a percepire solo la solitudine ed un imprecisato senso di colpa. Impossibile uscire da queste sabbie mobili, dove chi insulta e moltiplica questa violenza incanala lo squallore della sua vita in un rabbioso moto di male.

Oggi il web rappresenta il vero pericolo. Una giungla fittissima che dà l’illusione di nascondere i volti dei bulli. I cattivi non sono più in un luogo definito, ma possono essere ovunque. Non ha più importanza la loro età. Il luogo per eccellenza della libertà d’espressione è diventato una terra di nessuno in cui la totale assenza di regole e di una legislazione a tutela degli utenti fa sentire in diritto di poter insultare chiunque. Le donne, ancora una volta, sono le prede preferite. Si ricoprono di ingiurie impronunciabili ex fidanzate, amori non ricambiati, sconosciute incrociate per strada e vip.

Ne sa qualcosa la giornalista Selvaggia Lucarelli. Dal suo seguitissimo profilo Facebook non si stanca di gridare la sua battaglia a favore di una regolamentazione del web e di una punizione certa per chi commette atti di bullismo sul web e sui social. Lo fa in maniera seria, denunciando gruppi che inneggiano alla violenza sulle donne, alle volgarità più squallide, al femminicidio, alla diffamazione, al furto di immagini personali segnalando alla Polizia Postale, alle autorità competenti e a Facebook.
Lo fa anche a modo suo. Condivide i nomi e i cognomi, i profili, i luoghi di lavoro degli autori di tutto questo. Si affanna a dare un volto ed una collocazione reale ad azioni che non possono continuare a restare impunite. Lo fa per smuovere un pantano di ignoranza, di degrado di valori e di assenza di regole. Per portare una goccia nel mare della lotta ad ogni forma di violenza.

La confusione dei confini fra la realtà virtuale e quelli del mondo reale, oltre a non aver portato alcun adeguamento normativo, apre un baratro. È il vuoto che può raggiungere l’animo umano il quale, in assenza di regole e paletti in questa forma nuova di vivere civile, riesce a compiere e ad inneggiare le cose più atroci. È un universo di vigliacchi che si crede al sicuro, dietro agli schermi dei loro pc o smartphone.
Ma siamo sempre noi, anche sul web. Non basta l’accezione fintamente reale del vagare col proprio nome e cognome per gruppi Facebook chiusi, se non si è responsabili di ciò che si esprime: così, come accade nel mondo reale. Si tratta di veri e propri gironi infernali che fanno della libertà di parola l’arma per augurare la morte altrui, per diffamare chiunque senza alcuna pietà. Un accanimento sconcertante, un meccanismo che fa togliere il fiato. Razzismo, ignoranza, volgarità, ipocrisia, desiderio di fare del male si rincorrono.
Sconcerta la parola che si fa desiderio ed azione. Viene da chiedersi quale sia davvero il ruolo contemporaneo del sistema dei principi etici che regolano le relazioni umane. È in atto una crisi profonda e dolorosa.

È vero. Il bullismo è uno di quei complessi fenomeni che rotola come un macigno da un decennio all’altro. Ora però i suoi luoghi si moltiplicano all’infinito su internet. Il luogo e il tempo dell’atto di violenza svaniscono. È questo forse il dramma più grande.
Le parole, gli insulti, le immagini viaggiano incontrollate sui social. Rimbalzano e feriscono. Si creano ferite nell’animo infinite. Come gli sguardi senza volto dei bulli che restano impuniti.

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