I GIOVANI, il LAVORO, la NECESSITA’ di INVESTIRE in ISTRUZIONE/EDUCAZIONE

LAVOROIl 10 dicembre dello scorso anno presso il Seminario arcivescovile, il Vescovo di Cagliari ha convocato ventidue esponenti del mondo dell’Università, del Sindacato, della Comunicazione, delle Associazioni impegnate socialmente, delle Imprese, delle Organizzazioni della Cooperazione e del Terzo Settore, nel percorso di preparazione alla Settimana Sociale dei Cattolici italiani che si terrà a Cagliari dal 26 al 29 ottobre 2017 sul tema “Il lavoro che vogliamo: dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale”, con specifico riferimento alla situazione sarda. All’incontro ha partecipato il direttore di Aladinews. Di seguito riportiamo il suo intervento che si è articolato in due filoni di riflessione.
I GIOVANI, IL LAVORO, LA NECESSITA’ DI INVESTIRE IN CULTURA
di Franco Meloni

Prima riflessione

I GIOVANI E LA DISOCCUPAZIONE. LE SOLUZIONI NASCONO DALLA PARTECIPAZIONE

Quasi come un bollettino medico di un malato grave, i rapporti trimestrali dell’andamento dell’occupazione in Sardegna segnalano variazioni sui relativi dati, ora positive ora negative, che sostanzialmente confermano uno stato complessivo di perdurante infermità. Tra i dati, tutti disponibili sui siti dell’Istat e della Regione Sarda (Sardegna Statistiche), quello più disastroso si riferisce alla disoccupazione giovanile, stabilizzato sul 56,4% ( riferito alla popolazione di età compresa tra i 15 e i 24 anni.), che assegna alla Sardegna un posto tra le peggiori regioni dell’Unione europea (precisamente l’ottavo, in Italia al secondo posto dopo la Calabria) (1). Le serie storiche dei dati riferiti alla Sardegna mostrano una situazione di “ritardo di sviluppo” non riconducibile semplicemente all’attuale grave crisi dell’intero sistema economico a livello nazionale ed europeo, che, peraltro ne determina un aggravamento. Siamo infatti sempre più vittime dei nuovi equilibri a livello globale che si basano sulla progressiva diminuzione dell’occupazione, sulla perdita di tutele contrattuali, su un basso livello dei salari e su una distribuzione inequa del reddito, caratterizzata dall’acuirsi della forbice economica tra alti salari/rendite (concentrati nelle mani di pochi), mancanza di reddito o redditi di sussistenza (la maggioranza). Ne consegue l’aumento della povertà che colpisce sempre più vasti settori della popolazione, aggredendo anche i ceti medi, fino a qualche anno fa non colpiti. Come si è già osservato, questa situazione è generalizzata in quasi tutti gli stati a livello planetario. Limitando la nostra attenzione a quelli dell’Unione Europea, possiamo osservare diversi gradi di gravità nelle diverse regioni in cui sono articolati, in Sardegna tra i più accentuati.

Che fare allora? Per dirla con uno slogan di altri tempi, che potrebbe suonare massimalista: si può uscire dalla crisi solo se si esce dal capitalismo in crisi. Micca facile!
Se questa è la portata dei problemi, cosa possiamo fare noi, specificamente in Sardegna, che siamo piccoli e quasi irrilevanti nel mondo globalizzato? La risposta è che non dobbiamo rassegnarci, dobbiamo invece per quanto è possibile, come è realisticamente possibile, praticare al nostro livello soluzioni diverse o parzialmente diverse da quelle dominanti, che ogni giorno ci impongono con sistemi più o meno coercitivi. Come? Innanzitutto facendo resistenza sulla base dei nostri interessi di cittadini e di lavoratori. Cioè, dobbiamo partire da questi e non dalle “compatibilità” del sistema dominante. Usciamo dall’astratezza. Il lavoro è un diritto? Certo, ma è un diritto negato a vasti strati della popolazione. E allora organizziamo le leghe per il lavoro (o chiamatele come vi pare), appoggiandoci alle organizzazioni dei lavoratori (per quanto siano coinvolgibili) e alle Istituzioni più vicine ai cittadini, come i Comuni (per quanto sappiano rappresentare anche i ceti più deboli). E con queste organizzazioni difendiamo il lavoro esistente e creiamo nuovo lavoro, utilizzando tutte le possibili opportunità, per esempio quelle fornite dai fondi pubblici, specie europei, spesso inutilizzati o spesi male. Ma, si dirà, è una vecchia ricetta, che non ha dato in passato grandi risultati. E’ vero, ma il fatto nuovo, la carta vincente, è il coinvolgimento delle persone, che non devono delegare, se non in certa misura, ad altri la risoluzione dei loro problemi. E devono attivarsi in prima persona nei confronti di quanti detengono il potere, a tutti i livelli, per rivendicare politiche per il popolo. In sostanza, si tratta di praticare in tutti i campi la “partecipazione dal basso”, anche a piccoli gruppi, con il criterio delle isole che a poco a poco assumono la dimensione di arcipelaghi. Tutto ciò è riduttivo? Può darsi, ma è quanto si può fare, da subito, nella fiducia che solo il popolo salva il popolo. L’impostazione di questo nuovo protagonismo popolare, che non ci preoccupiamo possa essere irriso come “populismo”, ha un grande e credibile suggeritore: Papa Francesco, che nel solco della dottrina sociale della Chiesa, ci esorta a non rassegnarci e ad assumere iniziative creative con e per il popolo, che spiega con chiarezza nella parte dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium dedicata alla Crisi e alla Dimensione sociale dell’Evangelizzazione.
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(1) Tre regioni italiane, la Calabria col 65,1%, la Sardegna col 56,4% e la Sicilia col 55,9%, figurano tra i dieci territori Ue col tasso di disoccupazione giovanile (riferito alla popolazione di età compresa tra i 15 e i 24 anni.) più elevato nel 2015, precedute solo dalle due ‘encalve’ spagnole in terra africana, cioè Ceuta (dove la disoccupazione giovanile è al 79,2%) e Melilla (72%). La Sardegna si trova in ottava posizione e la Sicilia è nona. Oltre alle tre italiane, nelle ‘top ten’ ci sono quattro regioni spagnole e tre greche. La media europea è al 20,4%. Il territorio che invece presenta la percentuale più bassa di disoccupazione giovanile è quello tedesco di Oberbayern (3,4%), seguito da altre nove regioni tedesche, tra queste Freiburg al secondo col 4,7%, e Mittelfranken col 5,2%. Fonte: http://www.giornaledicalabria.it/?p=47346

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Seconda riflessione

INVESTIAMO IN CULTURA, A PARTIRE DALL’ISTRUZONE E DALL’EDUCAZIONE

La presente riflessione sulla Cultura attiene soprattutto alla sua componente fondamentale “istruzione/educazione”, riferita alla situazione sarda. In questa direzione: se è vero che vogliamo che la Cultura e in essa la sua componente essenziale dell’istruzione/educazione possa operare per dare sviluppo e benessere alla Sardegna dobbiamo innanzitutto prendere atto della situazione e operare per migliorarla, riconoscendo evidentemente quanto di buono già si fa.
I pochi dati esposti nelle tabellle sotto riportate sono sufficienti a dare conto della situazione dell’istruzione in Sardegna confrontabili con i dati complessivi dell’Italia. Ci accorgiamo che i valori sono complessivamente bassi in Italia, e, ancora di più, in Sardegna, specie se confrontati con i dati dei più virtuosi paesi dell’Europa e del Mondo.
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Popolazione residente di 15 anni e oltre per titolo di studio – Sardegna e Italia
Anno 2015 – Valori assoluti in migliaia e percentuali *

cultura 2 NC
*Tratto da Sardegna in cifre 2016, Tab. 18.10 (pubblicazione del Servizio Statistiche della RAS.

Mettiamo in evidenza come in Sardegna vi siano ben 300mila persone con la sola licenza elementare o con nessun titolo di studio (il 20,6% della popolazione presa in considerazione). Anche se il livello delle conoscenze non è misurato totalmente dai titoli formali, il dato è comunque significativo e pertanto preoccupante, considerato che comunque segnala l’inadeguatezza della preparazione delle persone rispetto alle esigenze delle attività lavorative e della vita associativa.

Se poi ci riferiamo in particolare ai giovani, è pertinente definire la situazione disastrosa. Al riguardo citiamo ancora una volta il Rapporto Crenos 2016, che afferma che il tasso di abbandono scolastico è tra i più elevanti in Italia, e la percentuale di giovani inattivi, in costante crescita. Nel 2014, il 29,6% dei ragazzi e il 17% delle ragazze in età 18-24 anni ha abbandonato gli studi e oltre il 27% dei giovani tra i 15 e i 24 anni (30,6 per i ragazzi e 24,7% per le ragazze) non studia e non lavora (i c.d. NEET – Not in Education, Employment and Training).

Giustamente i recenti rapporti Caritas sulle povertà hanno inserito questi giovani tra i nuovi poveri, segnalando la necessità di robusti interventi risolutivi. I quali, peraltro, sono chiaramente proposti da più parti, ma praticati in misura decisamente insufficiente. Tra gli interventi di carattere istituzionale in corso di realizzazione è giusto ricordare per la Sardegna il Progetto Iscol@, l’efficacia del quale non è ancora possibile verificare.
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Riteniamo utile a questo punto riepilogare dette proposte, che si articolano in sette ambiti di intervento (dando atto che provengono da operatori ed esperti dell’ambito Caritas, Cnos-Fap dei Salesiani e della pastorale giovanile Cei, e che per i Neet si avvalgono delle elaborazioni del prof. Dario Nicoli, docente di sociologia dell’Università Cattolica di Brescia).

1. Lavoro e inserimento lavorativo
:
- attivare, anche attraverso incentivi economici, percorsi di inserimento lavorativo, attraverso l’avviamento d’impresa ed esperienze formative e lavorative;
- rilanciare l’istituto dell’apprendistato, in raccordo con il sistema delle imprese e i centri di formazione professionale.

2. Formazione professionale:
- prevedere un uso integrato degli strumenti disponibili: tirocini, voucher formativi, alternanza scuola-lavoro, apprendistato, ecc., per puntare alla crescita personale e professionale;
- sostenere la partecipazione ai corsi Iefp (istruzione e formazione professionale), finalizzati al conseguimento di qualifiche spendibili a livello nazionale e comunitario.

3. Scuola-educazione:
- fare in modo che la formazione scolastica sia più aderente alle necessità del mondo del lavoro, trasmettendo la cultura positiva del lavoro;
- costruire percorsi educativi, formali e informali, di aggiornamento a tutoraggio, con attenzione alle esigenze dei giovani in condizione di povertà o disagio sociale.

4. Orientamento, accompagnamento e tutoraggio:
- avviare azioni di orientamento già a partire dalla scuola media, tramite metodologie e strategie attive di orientamento professionale;
- rivolgere attenzione particolare ai territori maggiormente trascurati da progettualità investimenti, garantendo relazioni positive con genitori e famiglie.

5. Cultura, risorse e territorio:
- valorizzare la presenza dei luoghi positivi di aggregazione (oratori, istituzioni di istruzione e formazione professionale, scuole popolari, associazioni, società sportive, ecc.), creandoli laddove mancano;
- sviluppare reti territoriali tra soggetti del sistema educativo e del sistema economico, integrando politiche di istruzione, formazione e lavoro.

6. Attenzione – supporto alla persona:
- progettare interventi personalizzati di recupero dei Neet in prospettiva educativa, puntanti sulla ripresa dell’iniziativa e dell’intraprendenza personale;
- favorire esperienze di abitazione-coabitazione autonoma o altre soluzioni di “sgancio” dalla famiglia di origine, anche prevedendo forme di alleanza tra giovani.

7. Welfare – assistenza sociale:
- necessità di sostegno al reddito per favorire lo studio dei ragazzi in situazione di povertà economica;
- politiche per le famiglie, attraverso agevolazioni fiscali, borse di studio e sostegni per l’acquisto di testi o strumenti didattici.

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Riflessione finale

C’è moltissimo da fare e le energie attualmente in moto sono notevoli ma non sufficienti e pertanto da incrementare. Comunque dobbiamo riconoscere che sono in atto moltissimi interventi ascrivibili alle Istituzioni (civile e religiose), al Terzo Settore e al Volontariato libero e gratuito. Ed è proprio dalle buone pratiche che bisogna continuamente ripartire: riconoscendole, valorizzandole e diffondendole. Ma anche sapendole distinguere dalle cattive pratiche che sfruttano in modi delinquenziali le situazioni di disagio sociale e che pertanto vanno combattute senza complicità e reticenze. In conclusione: occorre sempre più lavorare “in rete”, con apertura e capacità collaborativa nei confronti di tutte le organizzazioni di qualsiasi ispirazione, purché democratiche, praticando gli obbiettivi con spirito di solidarietà intergenerazionale.
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3 Responses to I GIOVANI, il LAVORO, la NECESSITA’ di INVESTIRE in ISTRUZIONE/EDUCAZIONE

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