Riflessioni
Avvoltoi neri che volano in cerchio sulle nostre teste. Con tempestività “sospetta” alcuni si affrettano a dichiarare che il poliziotto che ha ucciso il terrorista di Berlino è un eroe e merita una medaglia d’oro per ciò che ha fatto. Massimo rispetto per il coraggio e la determinazione degli agenti che sono intervenuti in maniera ineccepibile. Hanno certamente compiuto in modo corretto il loro dovere e per questo dobbiamo essere loro grati. Penso tuttavia che loro per primi avrebbero preferito prenderlo vivo quel feroce criminale e non arrivare a questa tragica soluzione. La morte, in una azione di polizia, non è mai un bel gesto, un gesto eroico. E’ soltanto una drammatica necessità che, purtroppo, in una azione di polizia rappresenta talvolta l’unica soluzione possibile per contrastare una azione criminosa. (v.t.)
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La risposta al contagio
di ENZO BIANCHI priore del Monastero di Bose
La risposta al contagio
22 dicembre 2016
di ENZO BIANCHI priore del Monastero di Bose
La lucida follia omicida ha seminato morte al cuore dell’Europa, in quella Berlino che nel 1989 era diventata il simbolo della caduta di ogni muro e della riconciliazione tra due mondi confinanti ma ideologicamente agli antipodi. E ha colpito in prossimità della festività religiosa più sentita in occidente, forse l’unica ancora capace di richiamare tutti i membri di una società secolarizzata a sentimenti di pace e di bontà. Ma stiamo attenti a leggere la simbolica di questo atto terroristico in chiave di scontro religioso. L’attentato di Berlino è molto più simile a quello di Nizza nel luglio scorso – non solo per le modalità di esecuzione – che non ai tanti perpetrati contro obiettivi dichiaratamente cristiani. L’attentatore, infatti, ha scelto un luogo e un momento che garantissero al contempo un numero potenzialmente elevato di vittime e una forte valenza simbolica, capace di sconvolgere i sentimenti occidentali: a Nizza i festeggiamenti civili legati alla laicità per eccellenza, quella rappresentata dalla triade libertà-fraternità-uguaglianza, patrimonio universale di cui l’illuminismo e la rivoluzione francese si sono fatti gli araldi per antonomasia. A Berlino la calamita per l’attentatore non è stato il Natale in sé, ma la sua commercializzazione diffusa: non certo la celebrazione del mistero cristiano dell’incarnazione, bensì la sua riduzione – sovente lamentata anche dagli stessi cristiani – a gioioso mercato di doni e di regali, di profitti e di buoni sentimenti a basso prezzo.
Ben diversi, e quelli sì manifestamente anticristiani, sono stati altri atti di terrore, altri tragici massacri, come quello contro un inerme anziano prete francese intento a celebrare messa o le stragi di cristiani in Egitto compiute all’uscita dei fedeli dalla messa di Natale o tra le navate di una chiesa durante le celebrazioni liturgiche in giorno di domenica.
Il terrore e la morte seminati a Berlino suscitano allora, assieme all’orrore, due tipi di riflessioni quanto mai urgenti, l’una concernente i cittadini europei indistintamente e l’altra particolarmente cogente per i cristiani. Colpire a morte il maggior numero di persone mentre vivono un momento di festa condivisa – come a Parigi, Nizza o Berlino – vuole minare alle radici la convivenza civile, fatta di quotidianità, di lavoro e di svago, di semplicità dello stare insieme e di coesione nei momenti difficili: è quell’Europa sociale e solidale che condivide alcuni valori di fondo e che in questi ultimi anni è stata gravemente ferita da un crisi non solo economica ma anche e soprattutto di etica. È l’Europa dell’integrazione e delle garanzie sociali, delle libertà individuali e dei diritti comuni, dei doveri civili e delle lotte per la giustizia e la pace: un’Europa che purtroppo vediamo sfarinarsi giorno dopo giorno, in arroccamenti egoistici e in calcoli particolaristici. L’unica risposta degna della storia e delle tradizioni europee ed erede sapiente delle tragedie che hanno attraversato il nostro continente è quella che rifiuta le armi della guerra e della violenza e che si affida alla responsabilità dei propri cittadini e alla loro capacità di dialogo civile: continuare in ciò che i nostri principi considerano giusto non è testardaggine, ma paziente e feconda resistenza contro quanto troppo spesso abbiamo sperimentato come mortifero. Come ha coraggiosamente ribadito ieri la cancelliera tedesca: “Continueremo a vivere uniti, aperti, liberi … continueremo a essere un paese ospitale”.
Nella chiesa luterana della memoria, adiacente al luogo della strage, cristiani, musulmani e persone non religiose si sono ritrovate insieme in un silenzio che esprime un convinto no alla follia della violenza cieca che uccide e semina terrore: senza tentazioni di vendetta, ma saldi nei valori della convivenza civile segnano la vittoria sull’odio irrazionale, sulla disumanità che oggi sembra imporsi. Non bastano ragioni economiche per fare l’Europa: ci sono ragioni etiche e spirituali, di umanesimo vissuto che ne costituiscono l’ossatura e possono renderla un corpo unito, vivo, ospitante.
E qui si innesta la riflessione che coinvolge più da vicino i cristiani: dopo aver a lungo rivendicato le “radici cristiane dell’Europa”, si fa sempre più urgente l’impegno a discernere tra secolari sedimenti culturali e istanze radicalmente evangeliche, tra consuetudini che hanno conservato solo l’esteriorità di un’appartenenza e prassi quotidiane di carità cristiana, tra immagini oleografiche e stereotipate e cura concreta per il prossimo e il bisognoso. Nei giorni precedenti la strage, papa Francesco con candore per nulla ingenuo ebbe a dire: “Parlo sempre di poveri e di misericordia, ma non è una malattia!”. Non di malattia si tratta ma di eco schietta del vangelo. Per un cristiano, infatti, malattia è non vedere i poveri, epidemia è non usare misericordia, contagio è chiudere il cuore di fronte al bisognoso. Questa è la risposta che la fede e le opere cristiane possono dare anche oggi a un’Europa ferita nei suoi sentimenti più profondi.
Pubblicato su: Avvenire
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