Spopolamento
Lo spopolamento non dipende dal Fato ma è l’effetto perverso delle politiche messe in campo
di Antonietta Mazzette
By sardegnasoprattutto/ 6 ottobre 2016/ Città & Campagna/
Il problema dello spopolamento in Sardegna è oggetto di studi sociologici da diversi decenni e ha a che fare con due processi paralleli. Il primo riguarda le dinamiche strutturali globali che interessano popolazioni intere, le quali per poter sopravvivere, sono obbligate a spostarsi dalle aree rurali verso i grandi insediamenti urbani. - segue -
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«Scelte criminali per l’Isola: lo spopolamento è funzionale».
di Claudia Zuncheddu, sul suo sito web (SardignaLibera).
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Lo spopolamento non dipende dal Fato ma è l’effetto perverso delle politiche messe in campo
di Antonietta Mazzette
By sardegnasoprattutto/ 6 ottobre 2016/ Città & Campagna/
L’invecchiamento della popolazione e l’assenza di ricambio generazionale sono fenomeni che attraversano gran parte dell’Europa occidentale e che in alcune regioni italiane (quali la Liguria e la Sardegna) si presentano in modo patologico. Com’è evidente, si tratta di processi complessi e non riducibili a facili slogan.
Riportando la riflessione sulla Sardegna e sul dibattito che, come un fiume carsico, appare e scompare, a seconda dell’affermazione più o meno gradita del politico di turno, mi permetto di avanzare alcune riflessioni. La prima riguarda gli assetti istituzionali. La recente riforma regionale sugli enti locali che, comunque, si colloca dentro una cornice normativa nazionale, non aiuta ad invertire il processo di spopolamento, perché ha come perni un’idea accentratrice del potere e la densità abitativa come mantra di sostenibilità.
Una volta licenziata la città metropolitana del Capo di Sotto e la presunta rete metropolitana di quello di Sopra, tutto il resto (ossia le Unioni e Fusioni dei Comuni che riguardano i due terzi dell’Isola) è ancora da costituire. In tutti i casi, un’idea accentratrice del governo rende difficile da attuare qualunque processo di una vera multilevel governance. Questa logica accentratrice è andata rafforzandosi negli ultimi vent’anni in nome di un presunto rigore efficientistico e della necessità di risparmiare risorse pubbliche.
Logica che ha colpito tutti i settori della società, senza però aggredire il grave problema della crescita esponenziale della burocratizzazione degli interventi. Logica che ha avuto un’accelerazione in questi ultimi anni e che presumibilmente accentuerà lo svuotamento di molti territori a favore degli insediamenti urbani (metropolitani o no che siano), dove si concentreranno maggiori investimenti e attività, per cui le popolazioni, soprattutto quelle più giovani, tenderanno a spostarsi là dove ci saranno più opportunità. La restante parte (che comunque è territorialmente la più estesa) sembrerebbe così destinata ad essere sempre più povera e vecchia.
Una seconda riflessione riguarda la difficoltà di costruire un’idea futura di Sardegna, che abbia come principale ingrediente l’esperienza del place (luogo). L’esperienza del luogo oggi è al centro anche di tutto ciò che attiene il marketing e il management territoriale. Place contrapposto a placessness, ossia a quei luoghi che subiscono un processo di omologazione proprio in ragione della perdita dei loro tratti distintivi e unici. La prospettiva esperienziale, perciò, non è più solo materia teorica di studio, ma in molti territori (anche italiani) è diventata il presupposto dello sviluppo locale.
Ciò significa sviluppare la capacità di individuare il patrimonio tangibile e intangibile dei singoli territori, perché ogni luogo ha delle caratteristiche di unicità e sono proprio queste ad assegnare loro valore strategico. D’altra parte, anche le logiche di marketing territoriale (quindi di mercato) si pongono in questa prospettiva. Ma per conoscere e individuare i fattori distintivi di un luogo, è necessario seguire un chiaro percorso metodologico, individuando le possibili forme di collaborazione tra attori pubblici, privati e no-profit. Infatti, è necessario che i diversi attori condividano una visione strategica del luogo, cioè del futuro.
Ciò presuppone studi e metodi partecipativi che abbiano un carattere interdisciplinare (in quest’ottica il ruolo della sociologia è centrale), ma presuppone anche che si abbandoni un’idea accentratrice del governo e che l’attore pubblico abbia una visione prospettica non limitata al suo mandato elettorale.
Una terza riflessione riguarda le effettive condizioni delle popolazioni in termini di mobilità e di accesso alle funzioni e ai servizi, compresi quelli dello svago e del consumo. In Sardegna si dedica molta attenzione alla continuità territoriale, mentre se ne presta assai poca alla mobilità interna, tranne quando riguarda le difficoltà di accesso dei turisti.
Ebbene, anche in questa materia, se si applicano i principi del risparmio e della densità abitativa, è evidente che non è conveniente investire risorse in tutti quei territori dove c’è poca popolazione, per lo più vecchia, quindi meno propensa a muoversi. Ma se si ragiona in prospettiva, l’investimento che oggi appare diseconomico, potrà rendere molti benefici in termini di rinnovamento generazionale, di rilancio delle economie locali e quant’altro.
In definitiva, lo spopolamento non dipende dal Fato, ma è l’effetto perverso delle politiche finora messe in campo.
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Pesante denuncia di Claudia Zuncheddu: dalle scorie nucleari ai siti inquinati.
«Scelte criminali per l’Isola: lo spopolamento è funzionale».
La casa di Claudia Zuncheddu in Castello è un museo palpitante di cultura tuareg, i nomadi del Sahara signori del suo spirito da tempi lontani. La dottoressa è reduce da un’assemblea di “Sa Luxi”, comitato pro registro tumori. Nelle province di Cagliari e Oristano questa guida medica essenziale non esiste, a Sassari e Nuoro sì. Quando era in Consiglio regionale lei aveva presentato una proposta a costo zero. Invano. I dati-base esistono da dieci anni, inutilizzabili. Strano, ma vero.
Nella pratica terapeutica cos’è un registro tumori?
«Uno strumento indispensabile. Ci fornisce tutti i dati sull’altissima incidenza delle patologie tumorali».
Quali informazioni essenziali darebbe a voi operatori?
«Ci direbbe nei dettagli quante e dove sono le persone affette da queste patologie, di quali tumori si tratta, dove sono ricoverate, quali terapie hanno seguito e soprattutto quali sono le cause».
Ma non saranno proprio le cause il nodo della questione?
«Dici? Il registro tumori è uno strumento scomodo, non vogliono darcelo».
Scomodo?
«Con quei dati si può far luce sulle paternità delle malattie. Non solo dei tumori, delle patologie croniche progressive e dei danni cardio-vasco-respiratori. Allergie? Sarroch e dintorni. Ma c’è di più».
Che cosa?
«Lo Stato in Sardegna ha individuato due Sin, Siti di interesse nazionale per le bonifiche. Zone molto vaste. La realtà è terribile: oltre un terzo dei sardi vive in aree altamente inquinate. Lo Stato lo sa bene, tanto che ha fatto finta di intervenire».
Quali, dove?
«A Nord-ovest, area di Porto Torres, un sito enorme: petrolchimico, annessi, connessi e sconnessi. A Sud-ovest l’area che parte da Sarroch e patisce la Saras, ma non solo. C’è tutto il polo industriale, con Macchiareddu. E Teulada. E Capo Frasca. Arriviamo alle porte dell’Oristanese».
Che succede, in quelle aree?
«L’incidenza delle malattie è tremenda. La politica non può più far finta di nulla».
Altrimenti?
«Si assuma la responsabilità e dica che i sardi debbono mettere la testa sotto la sabbia e non fare domande sulle cause di morte».
Finora si è nascosto molto?
«C’è la tendenza a tacere su Cagliari, ad esempio. La città non respira aria sana. Per la diossina. Non viene dalla Saras ma da Macchiareddu. Saras ci fa altri regali, però la diossina è dell’inceneritore. A ciascuno il suo. Stesso discorso per Macomer».
Macomer?
«Sì. Su quella zona si era pronunciata l’Asl in tempi non sospetti. E i medici attenti. Da consigliere comunale un mio collega aveva avvisato la gente sul rischio diossina: ho tutti i suoi interventi pubblici. Stranamente, oggi non la pensa più così».
Di questo passo, come sarà fra vent’anni?
«Saremo molto pochi. Siamo già ora un quarto di Milano o, se preferisci, un sobborgo di Parigi».
A chi serve una Sardegna spopolata?
«A chi vuole farci fuori: è programmato. Le multinazionali non esitano a compiere nefandezze di ogni genere. Non faticano a entrare, le forze politiche sono inadeguate. L’ultimo tentativo riguarda lo stoccaggio delle scorie nucleari».
In nome di che cosa si fa tutto questo?
«La Sardegna è un’isola avviata allo spopolamento. Ci negano le scuole, forse hanno ragione Renzi e Pigliaru: la scuola non serve, fra un po’ non ci saremo. Alcune scelte sono criminali».
Tipo?
«Fingere di chiudere Teulada per riconvertire Quirra. Di quale tipo di riconversione parliamo?».
Cosa vuol dire, in concreto, riconversione?
«Scavare fino a una profondità di almeno due metri, eliminando il materiale bellico. Poi lavare la terra estratta e conservarla in contenitori di acciaio inox. Immaginiamo una bonifica di quell’area».
Quali problemi porrebbe?
«Dove mettiamo la terra? I costi sarebbero altissimi. Gli americani a Portorico non ci sono riusciti. Ma i nostri politici parlano senza cognizione di causa e pensano solo alla superficie in terra o ai fondali in mare».
A che punto siamo?
«Per Teulada la Stato l’ha già detto: non è più bonificabile. Si tratta di una superficie enorme e costerebbe troppo. Cosa sarebbero, invece, i quattordicimila ettari di Quirra da destinare, ad esempio, alla protezione civile nel bacino del Mediterraneo?».
Sentiamo.
«Molte risorse per noi, occupazione garantita nel tempo lungo».
In parole povere, pace e non guerra?
«Certo, la Sardegna è un’isola di pace. Non siamo mai andati a colonizzare nessuno, questa vergogna non figura nella nostra storia. Il mio lasciapassare in Africa è proprio la Sardegna, a tutti i livelli internazionali».
Come mai?
«Non mi associano all’Italia, come se la nostra Isola fosse soggetto politico autonomo e non ne facesse parte. Noi dobbiamo esportare la pace, ma lo Stato non ne vuole sapere. Oggi oltre il 62 per cento della militarizzazione statale si trova in Sardegna».
Cicitu Màsala diceva: per l’Italia noi sardi siamo carne da macello in tempo di guerra e carne da galera in tempo di pace.
«Cicitu aveva ragione. Riandando indietro nel tempo, ricordo che il 25 aprile, quando ero ragazza, il corteo era nostro: di tutti, non solo del Pci come poi è stato. Continuo ad andarci, mi riguarda come antifascista. Però mi domando: ma la Liberazione in Sardegna c’è mai stata? Dal 1960 in poi no, sicuramente. Continuiamo a morire di guerra, in maniera subdola e solo apparentemente incruenta».
Viviamo in colonia?
«Viviamo in colonia».
Un isolano famoso scriverebbe ancora, stavolta per la Sardegna: «E come potevamo noi cantare/con il piede straniero sopra il cuore?».
Paolo Pillonca
Fonte: L’Unione Sarda – 22/06/2015
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