Salviamo i bambini
Le vicenda della bambina “dimenticata” in macchina dalla madre rappresenta un aspetto non marginale per comprendere che società “civile” ci siamo realizzati attorno. Siamo soltanto dei produttori di lavoro e dei consumatori ai quali vendere i prodotti. Siamo sempre meno individui, persone con bisogni, con sentimenti, con diritti naturali inalienabili. Persone che meritano di vivere una vita in condizioni dignitose e gratificanti per la nostra stessa natura umana. Le donne sono costrette a lavorare durante la gravidanza (quando non vengono discriminate o allontanate dal lavoro per questa loro condizione). Le donne devono tornare a lavorare immediatamente dopo il parto pur non essendoci servizi sociali adeguati a sostenere la cura dei bambini. Al mattino è facile vedere in città bambini anche molto piccoli, ancora assonnati, sballottati da una parte all’altra, in cerca di “parcheggio” da genitori pressati dall’esigenza di raggiungere rapidamente il posto di lavoro. E i luoghi di “parcheggio”, mancando quasi totalmente i servizi sociali, sono solitamente le case dei nonni (quando possibile) e, raramente, asili nido o servizi analoghi. Poi tutti a piangere sul calo delle nascite e sulle conseguenza negative che si riversano su giovani vite necessariamente “trascurate” nella fase più importante e delicata della propria esistenza, quale è la primissima infanzia. Pubblichiamo una riflessione dell’amica Claudia Crabuzza che condividiamo interamente. (V. T)
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L’incidente capitato pochi giorni fa, di nuovo, a una mamma che è andata a lavorare dimenticando la bimba di un anno e mezzo in auto, è spiegabile molto semplicemente. Non c’è nulla di misterioso né di raro. È una tragica evidenza di come la vita che abbiamo costruito e che inseguiamo e che insegniamo sia del tutto sbagliata. Da ripensare completamente.
Bisogna avere il coraggio di dire che non è giusto trovarsi a correre subito dopo la nascita di un figlio, per non perdere il lavoro o per paura di trovarsi scavalcate, o lasciate indietro. Non è un paese civile questo che non offre altra scelta che mettere un bambino di pochi mesi al nido per tutta la giornata. Bisogna pretendere che questo non sia necessario.
Ma bisogna anche smuovere profondamente la nostra coscienza di donne, bisogna che smettiamo di raccontarci che partorire e tornare al lavoro nel giro di pochi mesi sia giusto e necessario. Conosco molte donne e amiche che l’hanno fatto, sostenute da una cultura comune che dice che non ci sia niente di sbagliato, pure obbligate da condizioni che non prevedono alternative. Hanno rinunciato ad allattare perché tornando al lavoro sarebbe impossibile, e ancora molti pediatri sostengono che non cambia nulla, anzi forse è meglio il latte artificiale, è più completo, dicono.
Quando si ha un figlio invece l’unica cosa che si deve fare è andare al suo ritmo, fare in modo che altri si occupino di questioni meno importanti, come la casa e la spesa. Recuperare la forma e le forze col tempo che ci vuole, e spesso non è una cosa rapida perché un bambino magari non dorme di notte e ti sembra di impazzire, o perché i tuoi ormoni non vogliono rimettersi in ordine e la stanchezza non passa. Bisogna lasciare che il piccolo inizi a mangiare quando ha il desiderio di farlo, lasciandogli a disposizione il seno materno per tutto il tempo che gli serve.
L’idea che le donne debbano disporre del proprio corpo è valida sino a che un bambino non arriva ed impone il suo di corpo e di bisogno. Certo, ogni madre può scegliere quanto dare, ma è la percezione che non cambi nulla che è sbagliata. Dovrebbe fare le proprie scelte, ogni donna, valutando quale sia la soluzione più adatta a se stessa, però mantenendo la consapevolezza di quanto sta togliendo al proprio figlio.
Un bambino di un anno e mezzo, per come la vedo io, dovrebbe stare ancora a casa con sua mamma. Sopratutto sinché la mamma non si sente completamente pronta.
La mia non è una critica a quella madre, che avrà già dolore a sufficienza per il resto dei suoi giorni anche con tutta la mia comprensione, né alle donne che non hanno tenuto con sé i figli per almeno due o tre anni. La mia è una critica al sistema sociale che non protegge chi fa alla società il dono più grande, i propri figli. Mentre in molti paesi europei non solo la maternità è coperta sino a tre anni e le facilitazioni sono numerose e permettono di lavorare un numero di ore adatto a chi ha messo al mondo dei bambini, ma il proprio valore lavorativo non viene messo in discussione dalla quantità di assenza dal posto di lavoro.
La mia è una critica alla cultura imperante che trasforma i bambini in un ingranaggio del mercato da quando nascono, sotto il segno della fretta, in nome di una malintesa libertà femminile che non rende libere ma semmai schiave. Perché togliere attenzione e tempo al momento in cui si costruiscono le fondamenta dell’esistenza dei bambini significa crescere ragazzi meno stabili, più bisognosi quando invece dovrebbero diventare indipendenti, prolungando all’infinito il momento dell’emancipazione dalla madre e della madre dai figli. Senza contare il danno emotivo e di salute nell’accorciare il tempo dell’allattamento, o non cominciarlo nemmeno.
Basterebbe guardare agli animali per tornare a una visione più umana e più compatibile con le nostre possibilità. Siamo animali, siamo fragili, non possiamo fare finta di essere altro. Di certo non siamo macchine, e non lo sono i bambini.
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