immigrazione in prospettiva evoluzionistica
di Pietro Greco su Rocca
Il clima cambia. E l’uomo va. «Out of Africa», fuori dal continente nero. No, non stiamo parlando (solo) delle migrazioni con i barconi che in questi ultimi giorni, mesi e anni salpano dalle coste della Libia o dell’Egitto e cercano di raggiungere l’Europa. Spesso senza, tragicamente, riuscirci.
Stiamo parlando di un fenomeno antico, che coinvolge da sempre e talmente il genere Homo da caratterizzarlo. Nessun altra grande scimmia antropomorfa migra come l’uomo. Ha iniziato Homo ergaster 1,5 milioni di anni fa. Ha fatto altrettanto Homo heidelbergensis (200mila anni fa) e poi ancora, più di una volta, Homo sapiens (125mila e poi 85.000 anni fa). Tutte queste specie sono uscite dall’Africa, dove erano nate, e si sono diffuse in tutto il mondo (Antartide escluso), seguendo la medesima strada: il delta del Nilo, il Sinai e il Medio Oriente. Talvolta hanno attraversato il mare più a sud e sono sbarcati in Arabia.
Tutte queste migrazioni sono state documentate in tempi recenti. Ma proprio negli ultimi mesi qualcuno ha ipotizzato, senza prove definitive, che prima Homo ergaster anche Homo naledi, dal corpo e dal cervello minuscoli ma dalle capacità cognitive piuttosto sviluppate, i cui resti sono stati rinvenuti in Sud Africa nel 2013, abbia lasciato l’Africa e sia giunto fino in Asia. I suoi pronipoti sarebbero quegli Homo floresiensis i cui fossili sono stati trovati nell’isola indonesiana di Flores a partire dal 2004. Oggi sappiamo che il piccolo Homo floresiensis, che molti chiamano vezzosamente hobbit, abbia frequentato l’isola per almeno un milione di anni venendo in contatto, meno di 20mila anni fa, con le avanguardie dell’ultimo tra i migranti africani, Homo sapiens.
Da dove nasce questa continua spinta delle specie Homo «a voler vedere se si sta meglio dall’altra parte della collina»? Se lo chiedono Valerio Calzolaio e Telmo Pievani all’inizio del libro, Libertà di migrare (pagg. 133; euro 12,00), che hanno appena pubblicato da Einaudi nella collana Vele. Un testo breve, ma denso e compatto. E ci accompagna lungo i sentieri di tutto il mondo al seguito di uomini che migrano, in ogni tempo e da ogni luogo.
Il libro tratta il problema, attualissimo, delle migrazioni con un taglio affatto originale. Valerio Calzolaio (giornalista e scrittore, più volte deputato e sottosegretario all’Ambiente tra il 1996 e il 2001) e Telmo Pievani (docente di Filosofia delle Scienze Biologiche presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova) rispondono in maniera nuova – e illuminante – alla domanda ponendo il tema delle migrazioni che oggi occupa stabilmente le prime pagine dei giornali di tutto il mondo e che sembra voler mandare in frantumi l’Europa, nell’unica prospettiva possibile: quella evoluzionistica.
L’uomo migra da sempre, ripercorrendo con sistematica continuità i medesimi percorsi e, soprattutto, per le medesime cause, peraltro intrecciate tra loro: le guerre, l’economia, i cambiamenti climatici e più in generale ambientali.
Quella evoluzionistica è una prospettiva importante sul piano culturale: perché narra e spiega a un tempo la nostra storia, che è appunto una storia di migrazioni. Di persone in carne e ossa, ma anche di idee. Ed è una storia di migrazioni non solo in epoca paleolitica, ma anche in tempi moderni. Cos’è la cultura occidentale – da Pericle a Obama; da Pitagora a Einstein – se non una storia di spostamenti di persone e di intere popolazioni? Una storia di migrazioni, appunto.
D’altra parte, come potremmo ricostruire anche solo la storia della nostra piccola italica penisola senza tener conto degli infiniti «out of Italy» e dei non meno numerosi «in in Italy» che l’hanno caratte- rizzata nel corso dei millenni e continuano a caratterizzarla persino nei nostri giorni?
al di là della collina
Già proprio l’Italia di oggi è il paese che forse meglio rappresenta il bisogno, tutto umano, di «voler vedere se si sta meglio dall’altra parte della collina». Giovani italiani partono, per vedere se si sta meglio oltre i declivi settentrionali delle Alpi. Giovani e meno giovani africani, ma anche asiatici e americani, mettono molto (troppo) spesso a repentaglio la loro vita e giungono in Italia per vedere se si sta meglio dal nostro lato della collina (o del mare). Ebbene, la prospettiva evoluzionistica in cui Calzolaio e Pievani pongono il fenomeno delle migrazioni, l’unica possibile per spiegare anche i fenomeni odierni, dimostra che la spinta a «vedere se si sta meglio dall’altra parte della collina» non è un’emergenza dell’oggi, ma dato strutturale della condizione umana. Gli uomini migrano da sempre per sfuggire a una minaccia bellica, per cercare da bere e da mangiare se nel proprio habitat per un qualsiasi motivo le risorse si sono esaurite. Perché, sottolineano Calzolaio e Pievani, l’ambiente cambia.
Le migrazioni non sono un fatto raro in natura. Basta osservare le rondini o le anguille. Ma, nell’ambito dei primati, quella che il giornalista Franco Prattico chiamava la «frenesia del viaggio» è pressoché esclusiva delle specie che classifichiamo come appartenenti al genere Homo. Nessun altra grande scimmia antropomorfa, per esempio, ha sentito il bisogno di vedere sistematicamente se si sta meglio dall’altra parte della collina. La «frenesia del viaggio» si è rivelato un carattere vincente ed è determinata, probabilmente, sia dalla straordinaria capacità di adattamento della specie umane sia dalle loro capacità cognitive.
Ponendo le migrazioni in’ottica evoluzionistica – l’unica possibile, ripetiamo, per capire il fenomeno – scaturiscono almeno tre conseguenze.
inutile e controproducente erigere muri
È inutile erigere muri: reali o virtuali. Quando le cause sono la guerra e/o la scarsità di risorse e/o i cambiamenti ambientali, la spinta a migrare è tale che qualsiasi ostacolo sarà rimosso o aggirato. La Grande Muraglia non è riuscita a contenere la spinta a migrare delle popolazioni mongole in Cina; così come il Vallo di Adriano e innumerevoli altri muri non sono riusciti a contenere le spinte dei migranti del nord d’Europa (allora) povero verso il sud (allora) più ricco. Allo stesso modo i tanti muri virtuali e reali lungo le frontiere non riusciranno a trasformare l’Europa in una fortezza inespugnabile. È ingiusto erigere muri. Non a caso Calzolaio e Pievani hanno dato il titolo Libertà di migrare al loro libro. Perché quella di andare via o di restare nel proprio paese è e va riconosciuto come un diritto universale dell’uomo. E i migranti devono avere un esplicito riconoscimento giuridico di questo diritto: iniziando ad allargare lo status riconosciuto ai rifugiati bellici anche ai rifugiati climatici, sostengono Calzolaio e Pievani.
È controproducente erigere muri. Oggi i migranti venuti dal sud povero del mondo assicurano una quota importante del Prodotto interno lordo dei paesi ricchi del nord. Senza i migranti, noi abitanti del nord del mondo saremmo più poveri e non riusciremmo (si pensi al caso delle badanti) ad assicurare servizi essenziali. Ma soprattutto le rimesse dei migranti – circa 500 miliardi di euro nel 2014 – sono il miglior strumento per trattenere le popolazioni povere nei paesi originari. Basti pensare che queste rimesse sono tre volte superiori agli «aiuti allo sviluppo» messi (sempre meno) a disposizione da parte dei paesi ricchi. La «libertà di migrare» va certo regolata e ordinata, ma non va negata.
Ci sono, infine, un quarto e un quinto punto che – nella prospettiva evoluzionistica delle migrazioni – dobbiamo prendere in considerazione.
I cambiamenti climatici ridisegneranno – stanno già ridisegnando – la geografia del mondo. Zone accoglienti diventeranno (stanno già diventando) a rischio; mentre zone inospitali diventeranno (stanno già diventando) accoglienti. Inevitabilmente nei prossimi decenni avremo nuovi e più massicci flussi migratori. Noi stessi, abi- tanti del Mediterraneo, potremmo sentire presto la necessità di andare a vedere se dall’altra parte della collina si sta meglio.
il boomerang della fortezza Europa
Costruire mura oggi da parte nostra potrebbe rivelarsi un tragico boomerang domani. Potremmo restare ingabbiati nella prigione da noi stessi eretta. Si veda, a tal proposito, quel bellissimo esempio di climate fiction che Bruno Arpaia a pubblicato per Guanda, dove narra, appunto, le avventure di migranti italiani che, alla fine di questo secolo, cercano di fuggire al caldo e al degrado provocati dai cambiamenti del clima nel Mediterraneo e cercano un po’ di refrigerio nel Nord d’Europa. Trovando gli stessi ostacoli e gli stessi muri che oggi ostacolano il nuovo «out of Africa».
Ma il tentativo di realizzare la fortezza Europa è già un boomerang. Nulla, infatti, più del tentativo, peraltro inefficace, di negare la «libertà di migrare» e di costruire la «fortezza Europa» sta mandando in frantumi l’Unione Europea. Stiamo cercando di contenere il mare con un secchiello, pagando un prezzo elevatissimo per acquistare l’inutile contenitore.
Pietro Greco

Lascia un Commento