Precipitando…
L’uscita potrebbe essere a destra
di Nicolò Migheli
“L’intero mercato è destinato a cambiare e con esso anche la mentalità dei lavoratori italiani […]. Dobbiamo abituare la gente che l’istruzione sarà molto più lunga e costosa, le assunzioni a tempo indeterminato molte di meno, i tempi di lavoro più lunghi, i pensionamenti verranno posticipati. Le riforme non hanno solo un fine economico, ma anche e soprattutto sociale perché servono a modificare la mentalità lavorativa degli italiani”.
Chi l’ha detto? Un economista o un politico conservatore. Un neo liberista di sicuro. No, anzi sì. È Filippo Taddei responsabile economico del PD in dichiarazioni rilasciate all’Espresso il 28 luglio 2015. In una intervista pubblicata sull’Huffington Post il 4 maggio scorso Il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini alla domanda del giornalista:
“A proposito della flessibilità: tale concetto viene in Italia considerato equivalente a quello di precariato. Si può dunque affermare che la flessibilità non sia sinonimo di malessere?”
Risponde: “Sì. Flessibilità deve voler dire dinamismo e mobilità del lavoro e delle persone, anche se spesso viene tristemente associato alla precarietà. Con le riforme vogliamo introdurre una flessibilità virtuosa sia sociale che professionale.” Matteo Renzi nel 2013: “Dimostreremo che non è vero che l’Italia e l’Europa sono state distrutte dal liberismo, ma che al contrario il liberismo è un concetto di sinistra, e che le idee degli Zingales, degli Ichino e dei Blair non possono essere dei tratti marginali dell’identità del nostro partito, ma ne devono essere il cuore.”
Tre indizi, una prova, avrebbe detto Agatha Cristie. La prova che la finanza internazionale ha dato alla politica il compito di ridisegnare un modello di società; che sarà difficile definire tale se non come un insieme di individui concorrenti tra loro, sradicati, che alterneranno periodi di disoccupazione a lavori precari. Un meccanismo infernale che si traduce in barriere all’ingresso, negando non solo mobilità sociale, ma la semplice sopravvivenza. Un sistema di protezione e consolidamento dell’élite al potere.
L’esatto contrario di quel che storicamente si è definito sinistra. Il PD definendosi tale, può realizzare quel che per la destra economica italiana è stato impossibile. La precarizzazione di quella che fu la classe operaia ormai si è trasmessa ai ceti medi. Il terziario è il comparto che soffre di più. Nel settore culturale, ad esempio, il ministro Franceschini invita e propone ai giovani di lavorare gratis. Peggio dello schiavismo dove il padrone doveva assumersi il costo del vitto e dell’alloggio. L’automazione e la robotica, sognate dagli autori di fantascienza come liberatrici dalla fatica, stanno traducendo in strumenti di privazione del lavoro.
Basta vedere quel che sta succedendo nel settore bancario dove un addetto fa operazioni che solo quindici anni fa facevano in dieci. I consumatori lavorano gratis per le imprese che vendono loro i servizi: prenotano viaggi ed alberghi on-line, fanno il conto da sé nelle casse dei supermercati, abolendo di fatto figure professionali. Un processo che coinvolge sempre di più anche ceti medio alti. I medici che verranno sostituiti da computer per le diagnosi e i chirurghi dai robot. È il concetto stesso di lavoro ad essere in crisi e con esso realizzazioni personali e riconoscimento nel gruppo. Una mina esplosiva dentro la coesione sociale di popoli e nazioni. Chiunque sia contro ridotto al rango di populista, incapace di razionalità e concretezza.
Ripescare Ned Ludd e la sua lotta contro i telai meccanici? No di certo, però una sinistra che abbia ancora interesse ai ceti popolari, ai perdenti della globalizzazione, dovrà pure porsi il problema. Il nodo nuovo è quello della redistribuzione del plusvalore che l’automazione produce e produrrà. Non può essere che ancora una volta, tutto questo vada a beneficio dell’un per cento che continua a diventare sempre più ricco, mentre i poveri sempre più poveri. Questo è il tema discriminante per la sinistra della contemporaneità. L’aver abbandonato la difesa del lavoro, l’aver ceduto ad ogni forma di liberalizzazione possibile, l’essere stati ostaggi del pensiero unico, sta comportando immensi costi sociali. Con buona pace di chi nega la lotta di classe e teorizza comunità di destino.
La lotta di classe è in atto e i ceti popolari la stanno perdendo. Non è problema solo italiano, ma di tutto l’Occidente. La destra neo nazista trova praterie su cui far galoppare i suoi cavalieri. I migranti e i rifugiati visti come responsabili e capri espiatori. In Germania i socialdemocratici non essendo riusciti a differenziarsi dai popolari cedono elettori al partito xenofobo Pegida, allo stesso modo in Austria. Destre già al potere in Polonia e Ungheria, probabili vincitrici delle prossime elezioni presidenziali francesi.
È l’idea stessa di Unione Europea ad essere fortemente a rischio, visto che si presenta con il volto arcigno dell’eurocrazia e dell’austerità. Una promessa tradita che genera frustrazione e rabbia, erige muri. Cameron drammatizzando la possibile vittoria nel referendum britannico di chi vorrebbe il Brexit, è arrivato a preconizzare guerre intraeuropee. Chi conosce la storia sa che ogni qualvolta i nazionalismi estremi sono andati al potere, l’approdo sono stati i conflitti sanguinosi. Non vi è alcuna ragione che questa volta sia diverso. Anche perché non ci sono solo ceti perdenti nella globalizzazione, ma anche paesi. Una responsabilità che è oggi tutta in mano alla sinistra che ha tradito la sua ragion d’essere e alle nostre classi dirigenti. Il tempo restante è poco.
———–
Maria E. Boschi e la sua confusa propaganda
di Gonario Francesco Sedda **
Maria Elena Boschi a Perugia, venerdì 6 maggio: «Fa un po’ strano che nel fronte contrario alle riforme costituzionali ci siano anche pezzi della sinistra che incarnano certi valori a difesa della Carta e votano insieme a Casa Pound al referendum» [Il manifesto, 8 maggio 2016].
Maria Elena Boschi a Desenzano del Garda (Brescia), sabato 7 maggio: «Sappiamo che parte della sinistra non voterà le riforme costituzionali e si porranno sullo stesso piano di Casa Pound e noi con Casa Pound non votiamo» [ANSA, 7 maggio 2016].
Maria Elena Boschi a Roma, Direzione nazionale del PD, 9 maggio: «Più volte ho sentito equiparare chi vota Sì alle riforme a Verdini e in un incontro pubblico ho detto che chi vota No lo fa proprio come casa Pound. È un dato oggettivo. Non ho fatto valutazione di merito, una equiparazione ma ho semplicemente fatto una constatazione» [La Stampa, 9 maggio 2016].
Non sembra che la ministra abbia fatto semplicemente una constatazione, senza valutazione di merito. Diversamente non si capirebbe perché «fa un po’ strano» una convergenza nel voto di forze che possono essere all’opposizione non solo quando si assomigliano, ma anche quando sono assolutamente diverse. Né la ministra si è limitata a dire che i democratici conseguenti votando NO votano «come Casa Pound». Per questa banalità il suo discorso propagandistico non acquisterebbe nessuna maggiore efficacia.
Dunque M. E. Boschi ha voluto equiparare i democratici di “sinistra” – che rifiutano la riforma retrograda (restauratrice in chiave oligarchica) dell’attuale Costituzione italiana – ai fascisti di Casa Pound. Infatti a Desenzano del Garda ha affermato che «si porranno sullo stesso piano di Casa Pound». Sullo stesso piano!
Ma oltretutto la debolezza del discorso della ministra sta nel confronto improprio tra dissenso e consenso. Non si possono confrontare le mele con le pere se non per concludere che sono due frutti diversi, nonostante provengano entrambi da alberi e siano entrambi vegetali. Il discorso sulle mele riguarderà le mele e non può essere travasato e confuso col discorso sulle pere. I due discorsi sono asimmetrici, non speculari né sovrapponibili.
Così il consenso di D. Verdini non è speculare né sovrapponibile al “dissenso composito” del fronte del NO. Per gli oppositori non è necessario nessun accordo né riguardo alle ragioni del NO né riguardo a eventuali proposte alternative e neppure è necessario che lavorino assieme le varie componenti, vicine o lontanissime che siano.
Il consenso di Denis Verdini (e dei “coservuzionari” come lui) è il risultato di un “lavoro comune” (che ha preso le mosse dal Patto del Nazareno), riconosciuto addirittura da un’intesa di coordinamento dell’azione parlamentare. E quel lavoro comune è stato possibile per la vicinanza delle reciproche culture politiche, per la sostanziale o comunque almeno sufficiente condivisione della riforma costituzionale in chiave di restaurazione oligarchica e, prima ancora, delle motivazioni che la supportano.
In più, D. Verdini è un faccendiere toscano coinvolto in sei processi e con qualche condanna già sulle spalle.
—————
* By sardegnasoprattutto/ 12 maggio 2016/ Economia & Lavoro/
** Su Democraziaoggi
Lascia un Commento