Cagliari questa sconosciuta…

Chiesa_SantAgostino_e_Cripta_d0LA CHIESA DI SANT’AGOSTINO A CAGLIARI
di Carla Deplano

Il sito

La chiesa di Sant’Agostino nuovo rispecchia il gusto classicista diffuso in Sardegna alla fine del Cinquecento e rappresenta il più antico esempio di architettura rinascimentale di Cagliari, che trova significativi confronti nella Cappella del Rosario di San Domenico e nella vecchia chiesa del Carmine, distrutta dai bombardamenti del 1943.
Per ordine di Filippo II di Spagna, gli architetti ticinesi Iacopo e Giorgio Pa-learo Fratino demolirono l’originaria chiesa gotico-catalana di Sant’Agostino e l’attiguo convento degli Eremitani nell’ambito dei lavori di rafforzamento e riammodernamento delle mura cittadine eseguiti tra il 1563 e il 1576. Questa prima chiesa sorgeva fuori dalle mura della Marina, sul luogo dove si credeva fossero custodite le spoglie mortali del vescovo di Ippona; di essa si sa solamente che aveva tre navate e che venne eretta tra il 1400 ed il 1420. Tutto quello che rimane è una cripta: una cappella ipogeica successivamente inglobata nel Palazzo Accardo realizzato tra il 1899 e il 1901 su progetto di Dionigi Scano.
La nuova chiesa, costruita intra moenia insieme al nuovo convento degli Eremitani tra il 1577 ed il 1580, esprime il gusto manierista purista caro a Filip-po II. Nella metà dell’Ottocento iniziò il suo lento e inesorabile declino, quan-do passò al demanio statale e poi al Comune di Cagliari in seguito alla sop-pressione degli ordini religiosi decretata dalla Legge Siccardi. Con l’alienazione dei beni ecclesiastici, la chiesa fu chiusa al culto ed il convento smantellato per ospitare i Mercati civici edificati nel 1886, poi sostituiti da alcuni edifici bancari nel 1954. Delle vecchie strutture del Mercato rimangono oggi pochi resti, come i capitelli decorati delle colonnine di ghisa ed uno degli avancorpi laterali che in origine erano disposti simmetricamente sulla facciata dotata di un grande arco d’ingresso prospettante sul Largo Carlo Felice. segue
I locali del convento furono parzialmente utilizzati per ospitare l’Asilo della Marina, mentre la chiesa venne nuovamente chiusa al culto. Negli anni Venti, in seguito alle pressanti richieste dell’arcivescovo Piovella si ebbe una sua temporanea riapertura, cui seguì la definitiva riapertura al culto nel 1925, quando divenne Parrocchia.
Danneggiata dai bombardamenti del 1943 e non interessata da lavori di restauro, fu richiusa al culto fino al 1978; in questo lasso di tempo cadde definitivamente in rovina e subì l’onta di un sistematico ed inesorabile saccheggio.
Negli anni Ottanta alcuni scavi archeologici hanno interessato resti di edifici di età romana e alto medievale sotto il pavimento del transetto di sinistra, rimasti peraltro inagibili per l’assenza di uscite di sicurezza; d’altra parte, in mancanza di una relazione di scavo non è possibile, purtroppo, conoscere qualcosa di preciso in merito.

L’architettura

L’ingresso principale prospetta sull’attuale Via Baylle, in origine chiamata Via San Leonardo per la presenza di un’omonima chiesa pisana ed in seguito detta Via Sant’ Agostino.
La facciata è molto semplice, a terminale piatto con il portale inquadrato da un arco a tutto sesto con una cornice classica retta da paraste, su cui si apre un finestrone rettangolare.
L’accesso secondario, sul Largo Carlo Felice, immette in un cortile adiacente ai resti del Mercato civico, da cui si accede direttamente alla sagrestia.
Nella controfacciata è presente una cantoria sostenuta da un arco ribassato di impronta gotico-catalana.
Il classicismo traspare nella razionalità dei volumi; nell’impianto accentrato, con una croce pseudo greca (il braccio est d’ingresso risulta leggermente più lungo degli altri tre); nella cupola del vano centrale sullo spazio cubico all’incrocio dei bracci; nelle volte a botte; nella trabeazione aggettante dentellata; nelle paraste lisce e nei timpani delle nicchie sugli altari. SAgostino CD2
La volta a botte del presbiterio, decorata con cassettoni e rosette, rimanda all’architettura del Bramante e, in particolare, alla chiesa di Santa Maria presso S. Satiro di Milano (1482). Il modello trova significativi confronti con l’architettura cagliaritana, nella Cappella del Rosario a San Domenico e nel Capellone della Vergine del Carmine, nell’omonima chiesa distrutta dai bombardamenti, oltre che nei lacunari del Santuario dei Martiri della stessa Cattedrale.
I raccordi a scuffia della cupola emisferica impostata sul vano cubico derivano, più propriamente, dal modello locale della basilica di San Saturno. SAostino CD3 tre
L’altare maggiore in legno policromo e ricco di dorature, in perfetto stile barocco, si richiama invece all’altare ligneo di San Giorgio di Suelli, datato 1748-52.

Percorso interno

All’interno della nostra chiesa è possibile ammirare numerose statue di legno. Nel fervido clima religioso della Controriforma la statuaria lignea si diffuse come potente mezzo di propaganda e indottrinamento sopratutto a livello popolare, soddisfacendo in pieno le esigenze di una resa naturalistica, teatrale e pittorica di Santi e Madonne che fungevano da intercessori presso Dio per i fedeli devoti.
Alcune statue appartengono alla categoria nota come Estofado de oro: una tecnica nata in ambito partenopeo sotto l’influsso degli artisti iberici e diffusa in Sardegna tra il Cinquecento ed il Seicento. La caratteristica policromia conferisce una particolare preziosità alla scultura, simulando materiali ben più preziosi, secondo la formula a tutto tondo conforme all’uso di trasportare le statue in processione durante determinate festività.
Le sculture lignee imitano l’aspetto delle stoffe (sopratutto damaschi, broccati e vellu-ti) nell’apparato decorativo delle vesti e di taluni dettagli. Si parla di damaschinatura, ovvero di estofado, con riferimento alla fase successiva alla doratura: nel processo di decorazione policroma delle statue, dopo aver applicato lo strato di foglia d’oro di base, si stendevano i colori a tempera, su cui, una volta asciugati, si raschiava con una punta di osso o metallo quando si voleva far apparire l’oro sottostante.
Si scolpivano parti singole che vengono successivamente assemblate, lavorate separa-tamente e montate ad incastro o con chiodi di ferro. Altre statue erano realizzate con la cannuga: una canna palustre con un’estremità allargata ad imbuto, comunemente impiegata per la raccolta dei fichi d’India, che reggeva le vesti da cui fuoriuscivano testa e mani scolpite nel legno.

Entrando dall’ingresso principale di via Baylle, oltre la bussola a destra si trovano le prime due statue:
• Statua di San Francesco d’Assisi: in legno policromo, sec. XVIII, restaurata nel 2015.
• Statua di Santa Faustina martire (prima metà del sec. XVIII): in legno poli-cromo su trespolo. La scultura è pensata per essere vestita con abiti di tessuto e solo le parti visibili di viso, collo, polsi e mani sono stati decorati cromaticamente; tutto il tronco presenta invece lo strato preparatorio; le braccia con snodi all’altezza delle spalle e dei gomiti sono in legno non decorato.

• Nella prima nicchia a destra, proseguendo, si trova la statua di San Nicola da Tolentino (seconda metà sec. XVIII), di gusto barocco, in legno intagliato e policromato su manichino, attribuita a Giuseppe Antonio Lonis, Senorbì 1720 – Cagliari 1805), considerato il principale scultore sardo del Settecento. Formatosi a Napoli, dove si confrontò con la tradizione ispanica, questi realizzò numerose statue in legno policromo a soggetto religioso caratterizzate dalla perizia tecnica dei dettagli anatomici ed aprì una bottega nel quartiere di Stampace. San Nicola era un frate dell’Ordine degli Eremitani di Sant’Agostino che visse nelle Marche tra il Duecento ed il Trecento. Veniva raffigurato con un sole sul petto, perché la sua agiografia narrava che un astro lucente lo seguisse continuamente nei suoi spostamenti illuminando la sua figura.

• La seconda edicola, classicista e probabilmente coeva all’impianto cinquecentesco della chiesa, è incorniciata da un ordine dorico composto da lesene sormontate da un timpano triangolare. Nel lato interno della lesena sini-stra è ricavata una nicchia con un catino a valva di conchiglia. Nella parete di fondo, sotto una nicchia è alloggiato un busto ligneo del Cristo. L’edicola appare fortemente deteriorata a causa della persistente umidità tanto nella muratura quanto negli elementi lapidei che la incorniciano. La risalita dell’umidità capillare è accentuata dall’uso di materiali che impediscono una corretta traspirazione della muratura. Generalmente, gli interventi di restauro hanno previsto la rimozione del vecchio intonaco con uno nuovo a base di calce idraulica altamente traspirante ed al consolidamento degli elementi lapidei.

chiesa-di-sant-agostino statua Lonis• Nella terza nicchia a destra si trova la statua di Sant’Agostino (seconda metà sec. XVIII) in legno intagliato, policromato e dorato, attribuita al Lonis.

• Nel braccio destro del transetto è stata rinvenuta una cisterna romana (del sec. III d. C.).

• Nella parete di fondo del transetto troviamo la statua lignea di Santa Moni-ca (inizi sec. XVII), di autore sardo.

• Accanto abbiamo la Madonna dormiente (sec. XVIII) policroma con arti e capo lignei uniti da un busto imbottito realizzato in crine, attribuita al Lonis. L’iconografia della dormitio virginis riprende la credenza che la Madonna non sia realmente morta, ma solo caduta in un sonno profondo e, quindi, assunta in cielo.

• Affianco si trovava la Pala della Madonna del Buon Cammino (sec. XVI), ora nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, attribuita al pittore fiammingo Van Hemesen caro a Filippo II di Spagna.

S Agostino CD 1• Nella zona presbiteriale fa bella mostra l’altra statua di Sant’Agostino (prima metà sec. XVIII), in legno intagliato e policromo Estofado de oro, originariamente collocata nella nicchia centrale dell’altare della testata destra del transetto. La mano sinistra regge un libro, mentre la destra regge il baccolo pastorale d’argento fresco di restauro. Il saio è verde scuro a fiorami dorati, mentre piviale e mitria sono dorati. La damaschinata della veste ha uno stile geometrico a maglie quadrilobate con motivi vegetali in oro su fondo verde e foglie con graticci.

• Accanto troviamo la statua di San Tommaso di Villanova (sec. XVIII) in legno policromo, su trespolo a cannuga con braccia snodabili, di scuola napoletana. Si tratta di un religioso spagnolo appartenente all’Ordine degli eremitani di S. Agostino, divenuto poi arcivescovo di Valencia.

• Nella parete di fondo del presbiterio vediamo il bell’altare maggiore ligneo, dorato e in finto marmo, suddiviso in tre ordini di cui quello inferiore costituito da un basamento decorato da riquadri rettangolari e da quattro gradini dorati e in finto marmo verde; sull’ultimo gradino si imposta la parte centrale suddivisa in tre specchi da quattro colonnine tortili dorate sormontate da capitelli corinzi. In ogni specchio si apre una nicchia cassettonata. L’ordine superiore poggia su un architrave modanato e centinato, decorato con dentelli, cornici e girali vegetali; al centro si apre una finestra circolare raggiata con angeli laterali. I lavori di restauro hanno interessato anche le statue policrome di S. Leonardo, S. Guglielmo e della Madonna d’Itria.

• Sempre nella zona presbiteriale, sulla sinistra, si trova la statua della Madonna del Buonconsiglio (sec. XVIII) policroma su trespolo a cannuga, realizzata ad intaglio. Si compone di testa, busto compreso di braccia e avambracci; le braccia sono dotate di antichi sistemi di rotazione che ne consen-tono il movimento. Della scuola di Stampace, è stata restaurata nel 2015.

• La statua di San Matteo (sec. XVIII) è costruita su trespolo a cannuga con gesso e colla animale con braccia snodabili. Attribuito al Lonis, rappresenta il santo in età senile e con i suoi emblemi: una penna e il suo Vangelo. Analogamente alle altre sculture, il degrado è dovuto all’attacco di insetti xilofagi, alla caduta di parti lignee ed al deterioramento della pellicola pittorica, con conseguenti ossidazioni e abrasioni.

• Nella parete di fondo del transetto, a sinistra, si trova l’altare ligneo policromo dell’Immacolata (prima metà del sec. XVIII). Restaurato e rimontato negli anni ’80 del Novecento, rimane smontato per altri vent’anni per via di alcuni errori nel riassemblaggio. Attualmente versa ancora in condizioni precarie di conservazione. Cinque elementi lignei del paliotto sono stati re-cuperati dal Nucleo dei Carabinieri per i Beni Culturali e sono da integrare nelle parti mancanti, secondo il modello degli altri paliotti della chiesa che presentano gli stessi elementi figurativi a fiori e volute. Appare urgente un revisionamento dell’altare col riposizionamento di tutti gli elementi ritrovati e per ora senza alcuna collocazione, in avanzato stato di degrado dovuto all’azione degli insetti xilofagi ed al distacco e sollevamento della preparazione pittorica a causa dell’umidità persistente provocata dal particolare microclima della chiesa.

• Proseguendo lungo il braccio sinistro del transetto troviamo la statua del Cristo deposto (sec. XVIII) in legno policromo.

• Verso l’ingresso, nella terza nicchia della parete sinistra del braccio principale campeggia l’altare della Consolazione (o della cintura), con la statua di Santa Monica (inizi sec. XVII), madre di Agostino, con la sua cintura di cuoio, in legno policromo, di autore sardo. L’appellativo di Madonna della Cintura compare spesso accanto a quello di Vergine della Consolazione. La devozione alla Vergine della Cintura, secondo la tradizione, è nata dal desiderio di Santa Monica di imitare anche nel modo di vestire la Madonna, che le sarebbe apparsa ammantata di un’umile veste penitenziale con una cinta in vita, divenuta in seguito uno degli attributi dell’ordine degli Agostiniani.

• Nella seconda nicchia a sinistra è racchiusa la Pala di Santa Barbara (1611), attribuita a Bartolomeo di Castagnola. La martire, vissuta tra il III ed il IV secolo a Nicomedia, è la santa protettrice contro i fulmini e le morti violente. Secondo la leggenda, il padre pagano l’aveva rinchiusa in una torre per proteggerla dai pretendenti e quando scoprì che la figlia si era segretamente convertita al Cristianesimo la denunciò al magistrato romano, che la con-dannò ad atroci torture ed alla decapitazione per mano del padre. Durante la flagellazione, le verghe con cui veniva percossa si trasformarono in piume di pavone (simbolo di immortalità), mentre il padre morì fulminato subito dopo il martirio della figlia.

La cripta: una preghiera

La cripta, oggi non più visitabile a causa di un cedimento strutturale, costituisce ciò che resta dell’originaria chiesa e del primo convento degli agostiniani, eretti extra moenia nel luogo che secondo la tradizione, tra il 504 ed il 722, ospitò le spoglie mortali di Agostino.
Il santo dottore della Chiesa, morto ad Ippona nel 430, fu portato a Cagliari al seguito del celebre monaco e teologo San Fulgenzio da Ruspe, esiliato dal re vandalo Trasamondo in Sardegna insieme ad altri sessanta vescovi prove-nienti dal nord Africa.
La cripta custodì quindi per oltre due secoli le preziose reliquie traslate in Sardegna per sottrarle al possibile oltraggio da parte dei Vandali, seguaci dell’eresia ariana, che avevano avviato una dura persecuzione dei vescovi cristiani del Nord Africa, costringendoli all’esilio in Sicilia, in Sardegna e in altre regioni dell’Italia meridionale.
Le spoglie di Sant’Agostino restarono a Cagliari fino al 722 d.C., anno in cui il re longobardo Liutprando le fece trasferire a Pavia (dove si trovano attualmente) per preservarle dalle scorrerie saracene.
Ipogeo_agostino cagliariLa grotta, un ambiente probabilmente già utilizzato in epoca romana, continuò rappresentare un luogo di culto e divenne, così, la cripta della prima chiesa dedicata a Sant’ Agostino, edificata nel Quattrocento in stile gotico ed affiancata dal convento dei monaci eremitani che la officiavano. In seguito ai lavori di riammodernamento delle mura della Marina voluti da Filippo II, venne lasciata in piedi solo una piccola cappella soprastante la cripta, poi demolita alla fine dell’Ottocento durante i lavori di sistemazione del largo Carlo Felice per far posto al Palazzo Accardo.
Tutto quello che rimane, oggi, è un piccolo ambiente mononavato con un al-tare marmoreo policromo con l’effige del santo, fatto erigere nel 1638 dalla sua devota marchesa di Villacidro Elena Brondo.
Nella speranza di poter nuovamente accedere in tempi brevi alla cripta – affidata (prima del cedimento) al Liceo Dettori nell’ambito della XX edizione di Monumenti aperti – mi appello alle istituzioni perché l’importante sito di Sant’Agostino, uno dei più depredati della Sardegna, venga definitivamente recuperato garantendo la dignità che merita.
Sant’Agostino: ora pro nobis!

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  1. […] La chiesa di Sant’Agostino fuori le mura: un appuntamento da non perdere. – Approfondimenti su Aladinews a cura di Carla Deplano. […]

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