CAGLIARI 2016. Dibattito su/per la città dentro la campagna per le elezioni comunali
Martinez, chi è costei? M5S e la formazione dei gruppi dirigenti
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
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E’ vera legittimazione la candidatura a sindaco di Cagliari con 150 voti e un corpo elettorale online di 207 persone? Così è stata designata l’altro ieri Maria Antonietta Martinez nelle primarie del Movimento 5 Stelle. La Martinez ha raccolto una percentuale del 72% contro Emilio Floris con 57 voti e il 28%. Si può obiettare che Zedda e gli altri esponenti di partito non hanno avuto neppure questo, neanche un voto popolare. Ed è vero, come è vero che le candidature partitiche sono il frutto di manovre deteriori e bilanciamenti interni alla Casta o alle varie consorterie cittadine. Nel PD spesso sono il frutto di primarie coi brogli. Ed Enrico Lobina, che pure è un buon candidato non omologato alla Casta, chi lo ha scelto? E’ espressione di un’area alternativa che lui si sforza di unire e questo lo legittima, ma si può dire che alla base ci sia una procedura democratica?
Non pongo questi quesiti per quella pregiudiziale ostilità verso i pentastellati di molti sinistri anche non pentiti. Tutti sanno che non sono fra quelli. Ed anzi ho sempre apprezzato e apprezzo le meritorie battaglie dei 5 Stelle, dalla moralizzazione della vita pubblica alla difesa strenua della Costituzione contro lo scasso renziano. Sono anche convinto con Flores D’Arcais che la Casta vada debellata e senza far prigionieri. Già Grillo aveva messo in guardia sul processo di omogeneizzazione del PD al PDL, chiamando il primo, provocatoriamente, PD-L. Quella analisi all’inizio poco creduta e poco credibile, bollata come settaria, a distanza di breve tempo è stata del tutto comprovata dalle vicende che hanno preceduto e seguito le ultime elezioni politiche e dall’anomala maggioranza (perfino con Verdini!) a sostegno di Renzi. Ha ragione Flores quando dice che oggi, la deriva “partitocratrica della rappresentanza ha reso fungibili in un ‘grande centro molle e invariante’ i partiti un tempo di destra e di sinistra, proprio perché ha sottratto la rappresentanza ai cittadini facendola diventare autoreferenziale”, trasformando “la rappresentanza dapprima in gilda […] e infine in inamovibile “Casta”. E’ fuori discussione, dunque, che si debba combattere l’espropriazione della rappresentanza attraverso un movimento riformatore che neutralizzi ”il monopolio sulla vita pubblica dei politici di professione e delle loro macchine elettorali”.
Si deve dare atto al M5S di avere intrapreso per primo questa lotta “durissima”, data l’impraticabilità di un’autoriforma della Casta. E su questo metro deve valutarsi positivamente la loro indisponibilità all’alleanza col PD. Tuttavia, le modalità di formazione di gruppi dirigenti del M5S non paiono soddisfacenti, sopratutto ai livelli locali. Sempre meglio degli altri, sia ben chiaro. Bisogna tuttavia ammettere che molto spesso, e salve rare eccezioni, la scelta online mette in campo perfetti sconosciuti, privi di qualunque esperienza e legittimazione sociale, in un contesto non coeso e dunque aperto ad un’endemica conflittualità interna. Gli scazzi e i frequenti cambi di casacca mostrano un’estrema fragilità personale e collettiva della dirigenza locale grillina. Il governo anche dei piccoli paesi e ancor più delle grandi città richiede invece gruppi dirigenti compatti, riconosciuti e di forte legittimazione sociale prima che elettorale.
Sarò un nostalgico, ma rimango dell’idea che, per compiti di questa complessità, per una lotta generale così difficile e una riforma intellettuale e morale così profonda, occorra un “intellettuale organico” che diriga il processo. D’altronde le esperienze dei girotondi, degli arancioni e simili, dopo la preziosa vampata sul tema del momento, non sono riuscite sedimentare una presenza permanente e costante della cittadinanza attiva sulla scena pubblica nè a produrre una rappresentanza forte e omogenea a livello istituzionale. Occorre, dunque, un soggetto politico in grado di assicurare la coerenza democratica e una tensione riformatrice permanente, cioè un soggetto politico organizzato. Ma questo si può costruire “dal basso”, per esempio con la partecipazione e le decisioni online? Questo sembrano pensare Grillo e Casaleggio. Ma, mentre il web ha assicurato ai 5 Stelle uno straordinario successo a livello nazionale ed un ruolo di primo piano nella politica del Paese, non altrettanto sembra accadere a livello locale.
Al di là delle critiche, spesso non disinteressate o pregiuziali, si deve ammettere che le elezioni politiche hanno consentito al M5S di far emergere un nucleo dirigente interessante e affidabile (i Di Maio, i Di Battista ecc.), migliore anni luce, dal punto di vista etico e della coerenza costituzionale, rispetto ai trafficanti dei partiti; tuttavia il web non sembra dare esiti all’altezza dei compiti nelle Regioni e nei Comuni. Occorre, dunque, inventare qualcos’altro. Flores parla di un impulso “dall’alto”, attraverso un atto di fondazione, senza un modello organizzativo preventivamente stabilito, dove la quasi permanente mobilitazione della società civile si saldi con “una fortissima leadership carismatica, capace di inclusione antisettaria”. E delinea la necessità di un “ethos” inclusivo sul quale innestare la plausibilità dell’ipotesi di un “quasi comunismo” (alternativo al comunismo ed alla socialdemocrazia), cioè un disegno generale dell’organizzazione sociale.
La tesi è intressante ed è molto vicina alla pratica dei pentastellati. Tuttavia, mentre è visibile in loro la ferma coerenza nella lotta al monopolio paritocratico, non altrettanto positivamente può valutarsi la formazione dei gruppi dirigenti locali, dove la frequente scomposta conflittualità li avvicina, almeno quanto ai modi, ai partiti tradizionali, con grave discredito per la pur meritoria battaglia nazionale. Insomma, auspicare qualche correttivo nella formazione della dirigenza nei territori sembra ragiovole e necessario, senza mettere in discussione la ispirazion di fondo, anzi per inverarla. Un primo passo? Anzitutto annoverare fra i requisiti dei candidati alle cariche più importanti anche quelli della autorevolezza e della riconosciuta legittimazione sociale. Che senso ha mettere in capo alle liste emeriti sconosciuti, privi spesso di qualsivoglia esperienza sociale? Non esistono, in tutti i campi, personalità di specchiata moralità e di riconosciuti competenza e prestigio fra i quali far cadere la scelta online? Insomma, occorrerebbe, mutatis mutandis, fare come per la penultima elezione del Presidente della Repubblica. In quella occasione i nomi messi in campo dal M5S si chiamavano Stefano Rodotà, Gino Strada, Gustavo Zagrebelsky, Romano Prodi e simili. Furono accolti con grande favore dall’area democratica, e, con una maggiore accortezza, anche dell’allora segretario del PD Bersani, forse avremmo avuto un’altra storia. Inoltre la ricerca dei candidati più importanti fra figure di riconosciuto rigore morale e sperimentata pratica sociale verrebbe ad introdurre nel M5S quella “virtù di non ambire”, la cui diffusa mancanza è la fonte della frequente conflittualità interna.
Insomma, rispetto per la Martinez, vedremo di scoprirla, speriamo ci sorprenda positivamente, è certo meglio di un candidato sotto processo o scelto, nell’oscurità, dalle consorterie cittadine. Ma – insisto – la formazione di gruppi dirigenti per il governo alternativo delle città e dei piccoli comuni è processo più complesso e richiede molto di più della semplice elezione, con pochi voti, di un Carneade.
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