Per combattere l’assenteismo e i fannulloni occorre applicare le norme che già esistono e riorganizzare le Pubbliche amministrazioni

allegoria buono e cativo governo LorenzettiL’assenteismo del personale nelle Pubbliche Amministrazioni e la questione dei “fannulloni” recentemente riportati all’attenzione dell’opinione pubblica dai fatti di Sanremo e di Roma, anziché indurre il Governo a una seria riflessione sulle condizioni delle organizzazioni pubbliche da cui far scaturire efficaci rimedi migliorativi, primo tra tutti l’eliminazione di ogni impedimento all’applicazione delle norme che già consentono la punizione dei disonesti, costituisce invece il pretesto per sfornare ulteriori provvedimenti ad effetto quanto inutili, anzi dannosi, nella misura in cui complicheranno ulteriormente la vita delle PA, rendendo più difficile il lavoro di quanti vi operano lodevolmente. Al riguardo concordiamo con il commento della Segretaria generale della CGIL Susanna Camusso laddove accusa il Governo di “inventare una campagna che faccia sembrare che i 3 milioni di lavoratori del pubblico impiego siano tutti nulla facenti, dei truffatori dello Stato: così si fa del male”.
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Quali pubbliche amministrazioni vogliamo? La cosa più saggia è ascoltare i cittadini, capire le loro esigenze, prendere in considerazione le loro proposte
di Franco Meloni
Il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, di cui tra alcuni giorni celebreremo il ventitreesimo anno, ha costituito, a mio parere, la più importante riforma della pubblica amministrazione italiana dall’Unità d’Italia. I caposaldi erano ben chiari: 1) la riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni italiane sulla base dei sistemi dei più avanzati paesi europei, nella ricerca di adeguamento ai loro standard; 2) la distinzione tra la funzione di indirizzo, propria del potere politico, da quella di gestione, propria dei dirigenti e dei loro collaboratori; 3) la “privatizzazione” del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni; 4) la fine della “supremazia” e dell’irresponsabilità delle pubbliche amministrazione nei confronti dei cittadini, i quali, utilizzando uno slogan, da “cittadini-sudditi” diventavano “cittadini-sovrani”.
Da quella grande riforma doveva diramarsi un processo di attuazione, che certo doveva correggere, integrare, completare… ma soprattutto attuare concretamente (dalle parole ai fatti) e rendere operativa l’impostazione data. Oggi, al tirare delle somme, senza voler tranciare un giudizio manicheo in senso negativo su quanto poi è avvenuto, prendiamo atto che le cose non sono andate per il verso giusto, che pertanto la riforma è stata sostanzialmente tradita. Constatiamo come la riforma sia stata continuamente rimaneggiata, con poderosi e frequenti interventi normativi, spesso del tutto pleonastici (a riscrivere cose già scritte) e contradditori, che hanno complicato tutto, demotivato gli operatori e depotenziato il carattere innovativo della stessa (trasfusa, come sappiamo, nel decreto legislativo 165/2001 in costante aggiornamento e integrata in misura considerevole dal decreto legislativo 150/2009, cd decreto Brunetta). Con un furore sconosciuto ad altri settori il legislatore e quanti avevano competenza di regolazione sottordinata sono intervenuti spessissimo, creando un complesso normativo mostruoso. - segue - Ne sono un’immagine le chilometriche circolari dell’ex ministro Brunetta (mezza pagina solo per la sua firma), che solo a leggerle e a capirle ci volevano tempi indefiniti. Siamo arrivati all’assurdo che per semplificare la normativa se ne creava nuova aggiuntiva e di maggior volume. Che dire? Zero buonsenso e danni irreparabili. Brunetta merita una citazione particolare: frustrato per non essere stato nominato ministro di un importante dicastero (come per esempio quello dell’Economia, assegnato all’odiato collega Tremonti) ha cercato di far crescere con invenzioni e artifizi l’importanza del modesto (sul piano del potere) dipartimento della Funzione pubblica, accreditandosi come capo dell’amministrazione dello Stato, cosa senza fondamento giuridico, non possibile in considerazione dell’attuale ordinamento della Repubblica, basato sulle autonomie locali. Ne è scaturito un continuo conflitto tra i diversi livelli istituzionali e una larga disapplicazione delle norme, anche di quelle sulla carta innovative, e, sopratutto, la creazione in ambito pubblico del peggior clima in cui un’organizzazione possa trovarsi ad operare.
Sarebbe lungo ma interessante addentrarci oltre, ma, state tranquilli, non lo facciamo, almeno ora. Solo qualche constatazione e un rinvio per opportuni approfondimenti e specificazioni.
Per le pubbliche amministrazioni italiane in questa contingenza tutto è più difficile anche perché ulteriormente complicato dalla politica di Matteo Renzi, e del suo ministro alla funzione pubblica Marianna Maida, improntata a ragioni di risparmio piuttosto che di ricerca dell’efficienza e dell’efficacia dell’operato pubblico per la soddisfazione delle esigenze dei cittadini. In questo contesto si inquadrano le politiche di dismissioni delle partecipazioni pubbliche nell’economia e la privatizzazione dei servizi pubblici essenziali (acqua e rifiuti, tanto per fare esempi di competenze di ambito comunale)
In questa situazione disperata, oltre che fare appello al buon senso, occorre il più possibile essere propositivi. Come? Occorre innanzi tutto dare voce ai cittadini e ripensare le pubbliche amministrazioni partendo appunto dalle loro esigenze. Le parole d’ordine sono: difesa del carattere pubblico delle organizzazioni che erogano servizi essenziali, riorganizzazione sulla base della semplificazione; sburocratizzazione; pratica del principio di sussidiarietà (cioè far fare le cose ai livelli dove s’incrociano efficienza ed efficacia); aprire alla trasparenza e alla partecipazione dei cittadini; coinvolgimento dei lavoratori alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, dei quali vanno rispettati e valorizzati la professionalità e l’impegno.
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E’ quanto propone Cagliari Città Capitale nel proprio programma di riorganizzazione dell’Amministrazione del Comune di Cagliari e delle sue partecipate, condizione per la realizzazione del programma politico più generale per il quale richiede il consenso e il coinvolgimento dei cagliaritani.
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- Nell’illustrazione, particolare degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti “Allegoria del Buono e del Cattivo governo“.

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